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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissione III
11.
Giovedì 20 maggio 2010
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Furio Colombo, Presidente ... 2

Audizione del sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Vincenzo Scotti, in vista della conclusione della Revisione periodica universale cui è sottoposta l'Italia al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni unite (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):

Furio Colombo, Presidente ... 2 7 13 14 15 16
Barbi Mario (PD) ... 10
Farina Renato (PdL) ... 12
Mecacci Matteo (PD) ... 7 15
Nirenstein Fiamma (PdL) ... 11
Pianetta Enrico (PdL) ... 9
Scotti Vincenzo, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri ... 2 13 14 15 16
Tempestini Francesco (PD) ... 14 16
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud/Lega Sud Ausonia: Misto-NS/LS Ausonia.

COMMISSIONE III
AFFARI ESTERI E COMUNITARI
Comitato permanente sui diritti umani

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di giovedì 20 maggio 2010


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FURIO COLOMBO

La seduta comincia alle 9,05.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Vincenzo Scotti, in vista della conclusione della Revisione periodica universale cui è sottoposta l'Italia al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni unite.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Vincenzo Scotti, in vista della conclusione della Revisione periodica universale cui è sottoposta l'Italia al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni unite.
Do il benvenuto al sottosegretario Scotti. Ricordo che nella seduta del 16 febbraio scorso questo Comitato ha audito il ministro Simonetti, che è presente e a cui porgo il nostro benvenuto, presidente del Comitato interministeriale per i diritti umani, il quale il 9 febbraio aveva partecipato alla prima parte dell'esame periodico universale del nostro Paese da parte del gruppo di lavoro del Consiglio per i diritti umani della Nazioni unite.
Do la parola al sottosegretario Scotti.

VINCENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor presidente, innanzitutto ringrazio lei e i membri del Comitato permanente sui diritti umani della Commissione affari esteri della Camera dei deputati per l'invito rivoltomi a riferire sugli orientamenti del Governo in merito alle risposte da dare alle 92 raccomandazioni rivolte all'Italia nel quadro della Revisione periodica universale del Consiglio per i diritti umani, a seguito del dibattito svoltosi lo scorso 9 febbraio a Ginevra, al quale sono intervenuto in qualità di capo delegazione.
Ho già avuto l'opportunità, il 18 marzo scorso, in occasione dell'ultima riunione dell'Osservatorio parlamentare e di Governo per il monitoraggio dello stato di promozione e di tutela dei diritti fondamentali nel mondo, di fornire alcune anticipazioni sui seguiti per quello che concerne le raccomandazioni rivolte al nostro Paese.
Credo che questo incontro, che fa seguito a un'altra audizione tenuta ieri presso la Commissione straordinaria per i diritti umani del Senato, rappresenti una nuova tappa importante nel percorso di confronto e collaborazione tra Governo e Parlamento sulle tematiche dei diritti umani.
Prima di entrare nel merito delle raccomandazioni e delle nostre risposte, mi pare utile tracciare un sintetico riepilogo del funzionamento della Revisione periodica universale, meglio nota agli addetti ai lavori con l'acronimo UPR, dall'inglese Universal periodic review, e fornire alcuni specifici elementi di informazione che consentano di inquadrare nel loro contesto le risposte alle raccomandazioni.
Come saprete, il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni unite, che, a decorrere


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dal giugno del 2006, ha sostituito la Commissione per i diritti umani, ha introdotto una nuova procedura di esame della situazione dei diritti umani in tutti gli Stati membri delle Nazioni unite. L'esame ha cadenza quadriennale e si svolge in tre sessioni annuali di un apposito gruppo di lavoro del Consiglio per i diritti umani. In ciascuna sessione vengono esaminati 16 Paesi, per un totale di 48 all'anno. Sino a ora si sono tenute otto sessioni e sono stati esaminati 128 Paesi.
Il processo si articola in due fasi. La prima si svolge nell'ambito del citato gruppo di lavoro a composizione aperta, dove hanno diritto di parola soltanto gli Stati, i quali hanno la possibilità di rivolgere domande e raccomandazioni al Paese sotto esame, la seconda a livello di sessione plenaria del Consiglio, dove possono intervenire anche le organizzazioni non governative.
Per quanto riguarda l'Italia, lo scorso 9 febbraio abbiamo affrontato la prima fase dell'esercizio. Al termine del dibattito di tre ore, il Segretariato del Consiglio, coadiuvato da una troika composta da Stati membri del Consiglio estratti a sorte, nel nostro caso Argentina, Ghana e Slovacchia, ha redatto un rapporto, che contiene un sintetico processo verbale della seduta e si conclude con un elenco delle raccomandazioni che ci sono state rivolte durante il dibattito, le quali rappresentano l'aspetto più rilevante dell'esercizio.
Rammento che il documento contenente le raccomandazioni è reso pubblico sul sito dell'Alto commissariato per i diritti umani e che sui siti di alcune organizzazioni non governative italiane è reperibile anche la traduzione in italiano.
Lo Stato interessato può accettare o respingere le raccomandazioni già nel corso della riunione conclusiva della prima fase del procedimento, oppure riservarsi di fornire ulteriori elementi nella fase successiva.
Per quanto ci riguarda, in linea con l'approccio prevalente in ambito europeo, abbiamo optato per quest'ultima possibilità, indicando che avremmo preso in considerazione tutte le raccomandazioni avanzate nel dibattito e che avremmo provveduto a fornire una risposta scritta.
La seconda fase dell'esame dell'Italia avrà, dunque, luogo il 9 giugno, nella sessione plenaria del Consiglio per i diritti umani, dove verrà esaminato il suddetto rapporto e presentato il documento nazionale con le risposte alle raccomandazioni. Al termine del dibattito di un'ora, il Segretariato del Consiglio redigerà il documento conclusivo, che costituisce l'atto finale del processo.
Svolta questa premessa, vorrei rammentare che, con il trascorrere delle sessioni, il numero delle raccomandazioni rivolte ai Paesi è andato costantemente aumentando, imponendo, peraltro, un lavoro di accorpamento del testo delle raccomandazioni di contenuto analogo, che non giova sempre alla chiarezza del quesito.
Per porre alcuni esempi riferiti a Paesi occidentali, nella prima sessione del 2008 sono state rivolte 30 raccomandazioni alla Gran Bretagna e 40 all'Olanda, ma già nella seconda sessione la Germania ne ha ricevute 45 e il Canada 71. Nelle sessioni più recenti si superano le 90 raccomandazioni e l'Italia, come accennato, ne ha ricevute 92.
A seguito delle pressanti richieste delle organizzazioni della società civile, si è anche progressivamente affermato il principio per cui, in sede di risposta, gli Stati esaminati debbano esprimersi in termini non equivoci sull'accettazione o meno di ogni singola raccomandazione.
L'attuale Presidente del Consiglio per i diritti umani appare particolarmente attento a far rispettare tale principio e noi ci siamo attenuti, nelle risposte, a tale disposizione. La necessità di rispondere in maniera netta a richieste non sempre univoche e lineari ha fatto, però, lievitare proporzionalmente la percentuale di raccomandazioni respinte.
In ogni caso, sin dalle prime sessioni, la maggioranza dei Paesi europei e occidentali ha optato per risposte nette, con percentuali relativamente elevate di raccomandazioni respinte: il 30 per cento per la Gran Bretagna, il 25 per cento per


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l'Olanda, il 20 per cento per la Germania e per il Canada. Nell'ultima tornata anche la Norvegia ha respinto 18 raccomandazioni su 91.
Come ho avuto modo di accennare nel corso della scorsa audizione, il gruppo di lavoro interministeriale coordinato dal Comitato interministeriale per i diritti umani, che coinvolge tutte le amministrazioni e gli enti interessati, ha curato la nostra partecipazione all'UPR e ha elaborato il documento di risposta alle raccomandazioni. Tale documento dovrà essere perfezionato entro la fine del mese, in modo da distribuirlo a Ginevra con il richiesto anticipo rispetto alla sessione in cui verrà formalmente presentato e brevemente discusso.
Allo stato attuale, che possiamo considerare pressoché definitivo, il Governo è, quindi, orientato ad accettare 75 raccomandazioni, ad accoglierne parzialmente 2 e a respingerne 15. Per la statistica, si tratta di una percentuale di raccomandazioni non accolte inferiore al 17 per cento.
Tengo a precisare che tra le raccomandazioni respinte ci sono anche questioni rispetto alle quali non siamo in grado di fissare tempi e modalità, perché il problema sarà rappresentato, successivamente alle nostre risposte, dal controllo sull'attuazione di quanto affermiamo all'interno delle risposte stesse.
Prima di passare a illustrare le risposte, consentitemi di sottolineare che l'esame delle raccomandazioni è stato condotto mantenendo un approccio aperto e costruttivo. La nostra idea dell'UPR non è quella di un tribunale nato per processare gli Stati sotto il profilo del rispetto dei diritti umani, ma di uno strumento per spingere i Governi a compiere concreti passi avanti su questo terreno. Con questo spirito, d'altra parte, formuliamo domande e raccomandazioni agli altri Paesi.
La grande maggioranza delle raccomandazioni viene, quindi, accolta, proprio nella prospettiva di un miglioramento della situazione dei diritti umani all'interno del nostro Paese, nella consapevolezza, naturalmente, che gli impegni presi dal Governo e non solo dall'Amministrazione degli affari esteri in questa sede verranno attentamente scrutinati in futuro dai nostri partner e dalle organizzazioni, governative e non, per quanto attiene ai seguiti che vi daremo.
Come ho accennato, si è ritenuto di non poter accettare alcune delle raccomandazioni avanzateci, per esempio quando si dovrebbe porre mano a modifiche di carattere legislativo o attuare tipologie di interventi non compatibili con la nostra organizzazione istituzionale per ottenere risultati che si possono, invece, concretamente conseguire con altri mezzi. Diverse altre raccomandazioni appaiono, inoltre, il frutto di una mancata comprensione dei fondamenti del nostro ordinamento o pretestuose.
Ciò premesso, passo ora all'illustrazione delle risposte, raggruppando le raccomandazioni per temi, sia per esigenze di omogeneità nella trattazione, sia per rendere più agevole la percezione della rilevanza conferita a ciascuna delle tematiche affrontate nel corso della discussione a Ginevra lo scorso febbraio.
Il primo punto riguarda il trattamento dei migranti, che è stato oggetto di tredici raccomandazioni, le quali coprono una vasta gamma di questioni, dall'ingresso degli immigrati nel Paese alle tutele sul lavoro e a quelle di carattere sociale.
L'orientamento del Governo è di accettare nove raccomandazioni, di accettarne parzialmente una e di respingerne tre.
Le raccomandazioni che si intende respingere sono le numero 72, 73 e 81, che chiedono puntuali modifiche della legge n. 94 del 2009. Non si ritiene di poterle accettare in quanto si tratta di punti qualificanti delle nuove norme sull'immigrazione illegale, che, nell'opinione del Governo, non si pongono affatto in contrasto con la disciplina internazionale.
La raccomandazione 75 viene parzialmente accolta in quanto, fra le diverse richieste avanzate, peraltro pienamente accettabili, è stata inserita anche quella di ratificare la Convenzione delle Nazioni unite sui diritti dei lavoratori migranti e i membri delle loro famiglie. Si tratta di una convenzione che non distingue tra


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immigrati regolari e irregolari e che, conseguentemente, non è stata ratificata da alcun Paese di immigrazione o dai partner dell'Unione europea.
Data la crescente estensione della normativa europea in questo settore, un'ipotetica ratifica dovrebbe oggi coinvolgere contemporaneamente tutti gli Stati membri dell'Unione europea.
In tema di procedure di asilo, la seconda questione, strettamente collegata a quella dei migranti, sono state avanzate sei raccomandazioni, che il Governo intende accogliere, trattandosi di princìpi incorporati nella legislazione italiana o di indicazioni pienamente compatibili con le modalità concrete di applicazione delle norme.
Il terzo aspetto riguarda la questione delle minoranze, con particolare riguardo alle comunità rom e sinti, trattata in dieci raccomandazioni, che affrontano questioni come gli sgomberi, l'accesso ai servizi e il riconoscimento dello status di minoranza nazionale.
In questo caso appare possibile accogliere otto raccomandazioni, che riguardano i problemi concreti da affrontare per migliorare la situazione di rom e sinti sul nostro territorio.
Non si ritiene, viceversa, di poter recepire le raccomandazioni 56 e 58, che chiedono la modifica dei princìpi che regolano la disciplina nazionale relativa alle minoranze linguistiche storiche per consentire l'estensione dello status anche alle comunità rom e sinti. Naturalmente, su questo punto potremo tornare nella replica.
Particolare attenzione è stata dedicata anche alla discriminazione razziale e alla xenofobia, oggetto di undici raccomandazioni.
Di queste, sette possono essere accolte, recependo un ventaglio di indicazioni per contrastare il razzismo, la discriminazione e la xenofobia con intenti specifici nell'ambito delle manifestazioni sportive e della formazione, condannando l'uso di espressioni razziste o xenofobe anche nei media.
La raccomandazione 21 viene accolta parzialmente, contenendo un esplicito riferimento alla Conferenza di revisione di Durban del 2009, cui, come è noto, l'Italia non ha partecipato.
Non sembra, invece, possibile accettare le raccomandazioni 18, 19 e 20, che implicherebbero l'impegno a elaborare un piano nazionale contro il razzismo, di cui non è evidente il valore aggiunto rispetto alle concrete attività in essere e in via di definizione.
All'infanzia e alla adolescenza sono dedicate otto raccomandazioni, che coprono questioni come l'accesso all'istruzione e gli istituti per minori, l'adozione del Piano nazionale per l'infanzia e l'adolescenza.
Il Governo ritiene di poter accettare tutte le raccomandazioni, salvo la 38, con cui si chiede di vietare esplicitamente per legge le punizioni corporali nell'ambito domestico, allorquando, come è noto - è giurisprudenza consolidata fin dal 1996 - tale divieto è già contemplato dalle norme vigenti.
Alla specifica questione della tratta degli esseri umani sono riferite sei raccomandazioni, con cui l'Italia è incoraggiata a proseguire gli sforzi per contrastare il fenomeno, perseguire i trafficanti e proteggere le vittime. Tutte le raccomandazioni saranno accettate.
Un'ulteriore questione riguarda la ratifica di ulteriori convenzioni internazionali in materia di diritti umani, che viene richiesta in sette raccomandazioni, le quali chiedono all'Italia di aderire alla Convenzione internazionale per la protezione di tutte le persone dalle sparizioni forzate, al Protocollo opzionale alla Convenzione contro la tortura, alla Convenzione del Consiglio d'Europa contro la tratta di esseri umani e alla già menzionata Convenzione internazionale sui diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie.
Il Governo è pronto ad accettare cinque raccomandazioni, avendo già firmato e avviato le procedure di ratifica dei relativi strumenti internazionali, mentre si dovranno respingere le raccomandazioni 1 e 2,


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che si riferiscono alla Convenzione internazionale sui diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie, a cui l'Italia non è in condizione di accedere per i motivi che ho avuto modo di illustrare in precedenza.
L'invito a costituire un'istituzione nazionale indipendente per la promozione e protezione dei diritti umani è oggetto di cinque raccomandazioni.
Il Governo, come ho avuto occasione di accennare nella precedente audizione, è attualmente impegnato a finalizzare il disegno di legge per la creazione di un'istituzione pienamente conforme agli standard internazionali. Si sta ora operando per assicurare la copertura finanziaria al provvedimento, il che, come comprenderete, non è particolarmente agevole in questo particolare momento.
Il Governo intende in ogni caso accogliere tutte le raccomandazioni, salvo la 14, che imporrebbe una scadenza temporale di fine d'anno per l'effettiva creazione dell'organismo. Si tratta, in effetti, di una scadenza che impegnerebbe non solo il Governo, ma anche il Parlamento, e che, di conseguenza, non si ritiene di poter accettare per la credibilità dell'impegno che si assume.
I temi della giustizia sono trattati in sei raccomandazioni, che riguardano l'indipendenza del sistema giudiziario, il sistema penitenziario e l'introduzione di uno specifico reato di tortura nel Codice penale.
Due raccomandazioni non possono essere accettate. La 49 postula, infatti, un rafforzamento dell'indipendenza del sistema giudiziario che in Italia è già costituzionalmente garantito. La raccomandazione 8 richiede, viceversa, l'introduzione nel Codice penale di uno specifico reato di tortura.
Come è noto, in Italia la tortura è sanzionata attraverso l'applicazione di diverse norme incriminatrici, connesse alla commissione di molteplici reati, che ne delineano una fattispecie più ampia di quella prevista dalla Convenzione delle Nazioni unite contro la tortura. Anche se non è disciplinato in quanto reato specifico nel Codice penale, è prevista la punibilità di atti di violenza fisica e morale contro persone private della libertà personale.
Vorrei ricordare, al riguardo, che negli ordinamenti della grande maggioranza dei Paesi dell'Unione europea non è stato a oggi introdotto uno specifico reato di tortura, pur essendo, ovviamente, presenti disposizioni penali analoghe a quelle italiane.
Per questi motivi, il Governo non ritiene di poter accettare la raccomandazione. Sono, comunque, di fronte al Parlamento disegni di legge in materia, sui quali il Governo si esprimerà in occasione della loro discussione.
Le due raccomandazioni relative alle carceri, 45 e 46, vengono entrambe accolte.
Il tema della libertà di espressione è affrontato in cinque raccomandazioni, che riguardano anche la protezione dei giornalisti dalle minacce di gruppi criminali e la libertà di stampa. Il Governo ritiene di poter accettare tutte le raccomandazioni.
La discriminazione di genere nelle sue diverse forme è oggetto di quattro raccomandazioni, che si intende accettare, così come ne vengono accettate altre undici relative a questioni diverse, come la formazione in materia di diritti umani, la minoranza di lingua slovena, l'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, l'aiuto pubblico allo sviluppo e altre.
Per concludere, segnalo che si è orientati a respingere la raccomandazione 17, sottoposta dall'Iran, con cui si chiede di sviluppare un piano nazionale integrato per i diritti umani. Si tratta, in effetti, di uno strumento di scarso utilizzo nei Paesi di consolidata democrazia e caratteristico piuttosto delle società che escono da gravi situazioni di conflitto. Non a caso, sono pochissimi i Paesi europei che hanno adottato piani nazionali per i diritti umani.
Tirando le somme, credo di poter affermare che l'Italia si appresta ad affrontare la seconda fase del procedimento di Revisione periodica universale in modo altrettanto positivo rispetto alla prima, fornendo risposte non equivoche e ampiamente


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favorevoli alle raccomandazioni che ci sono state rivolte, contribuendo ancora una volta ad avvalorare l'immagine di un Paese sensibile ai problemi concreti, attrezzato per farvi fronte e disposto ad accogliere ogni raccomandazione utile e praticabile per migliorare la situazione dei diritti umani al suo interno.
L'attenzione è rivolta, nelle risposte, all'implementazione delle stesse, cioè alla possibilità di attuarle puntualmente, una volta accettate in sede di Consiglio per i diritti umani.
Sono pronto a fornire ulteriori elementi di specificazione a richiesta degli onorevoli deputati.

PRESIDENTE. Grazie. Non so se spetti al presidente svolgere una valutazione, che affido volentieri subito ai colleghi.
Per quanto mi riguarda, condivido con voi l'impressione che il Governo abbia respinto praticamente tutti i punti chiave delle richieste delle Nazioni unite, in particolare sulla condizione dei migranti e sull'insieme di norme che in Italia vengono chiamate Pacchetto sicurezza, le quali, a quanto pare, hanno fortemente toccato l'attenzione della comunità internazionale e del gruppo di Paesi che si sono occupati del tema.
Il Comitato avrebbe gradito che il Governo affidasse al Comitato stesso e al Parlamento la valutazione dell'esito brillante e del merito con il quale il Governo si fregia di aver risposto alle domande. Sarebbe sempre meglio farlo, ma si sa che è spesso nello stile degli esecutivi attribuirsi i meriti prima che essi vengano attribuiti dalle assemblee parlamentari. È tipico del nostro Paese e va notato che la lode finale che il Governo rivolge a se stesso appare alquanto prematura, prima che si svolga una discussione parlamentare sulla questione.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

MATTEO MECACCI. Io credo che una prima valutazione, essendo questa la prima volta che l'Italia è sottoposta al vaglio del Consiglio per i diritti umani, riformato da alcuni anni, vada effettuata sul tipo di procedura.
Credo che, in particolare per i Paesi a democrazia più antica, se non più consolidata, come il nostro, ciò sia un elemento di novità, perché queste istituzioni, prima la Commissione per i diritti umani e poi il Consiglio per i diritti umani, in genere si sono sempre concentrate, purtroppo in modo molto deficitario, su Paesi in via di sviluppo, dal punto di vista non solo economico, ma anche istituzionale e democratico.
Sappiamo quanto questa istituzione non sia riuscita a realizzare il suo mandato, cioè tutelare i princìpi della Dichiarazione universale dei diritti umani. Nonostante le critiche che anch'io personalmente, insieme a tante forze politiche, ho mosso alla creazione di tale istituto nel 2003, dopo la famigerata presidenza della Libia della Commissione per i diritti umani, ritengo che vada comunque riscontrata un'opportunità di dialogo e coinvolgimento a livello internazionale anche di Paesi che si sono sempre ritenuti un po' al riparo dallo scrutinio internazionale in tema di diritti umani. La quantità di raccomandazioni venute dai membri del Consiglio per i diritti umani riflettono questo tipo di attenzione, cioè che nessun Paese si possa ritenere esente da una potenziale verifica del rispetto degli standard internazionali.
Dopo questi primi due anni di legislatura, in cui il Governo si è assunto la responsabilità anche di alcune polemiche esplicite con le organizzazioni internazionali, in particolare con l'ufficio dell'Alto commissario ONU per i diritti umani a Ginevra, credo che ciò abbia prodotto anche un determinato tipo di raccomandazioni venute all'Italia e che si tratti di una responsabilità politica.
La risposta che viene adesso da parte del Governo a tali raccomandazioni, in quella sede istituzionale e ora in questa, è molto diversa da quelle che responsabili politici di primo piano del nostro Governo hanno dato nei confronti delle medesime istituzioni, a partire dal Ministro della


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difesa La Russa, dal Ministro degli affari europei Ronchi e da altri esponenti di Governo, che hanno esplicitamente accusato l'Ufficio dell'Alto commissario ONU per i rifugiati in Italia, nonché a Ginevra, e l'Alto commissario per i diritti umani di svolgere valutazioni, rispetto alle politiche del nostro Paese nei confronti dei migranti e delle minoranze etniche, nonché della situazione del nostro sistema carcerario, ritenute infondate.
Credo, allora, che le considerazioni del sottosegretario Scotti siano corrette: occorre verificare, cioè, quanto l'accoglimento di alcune raccomandazioni avanzate dal Consiglio per i diritti umani trovi poi riscontro nella realtà.
Per esempio, lei ha affermato che il Governo ritiene di accettare le due raccomandazioni che riguardano il trattamento dei richiedenti asilo nel nostro Paese. In queste raccomandazioni si sentono anche gli echi del nostro dibattito parlamentare, relativo alla discussione del trattato con la Libia, quando fu posta la questione di come tale trattato fosse compatibile con il rispetto dei diritti dei migranti, laddove non si prevedeva alcuna esplicita clausola che garantisse la possibilità di uno screening e di un monitoraggio dei richiedenti asilo che arrivavano via mare verso il nostro Paese.
Tali raccomandazioni, senza bisogno che i parlamentari si spostassero a Ginevra - non si trattava di una questione di polemica politica interna o di chissà quale speculazione in nome dei diritti umani per cercare di trarre vantaggi politici nel nostro Paese - sono state ripetute dalle istituzioni internazionali.
Se il Governo sostiene di accogliere queste raccomandazioni, come si realizza ciò in concreto? Sappiamo che, per esempio, sono in corso alcuni procedimenti penali in Sicilia nei confronti di alcuni responsabili del Ministero dell'interno e dei comandanti di navi italiane che hanno riportato indietro migranti provenienti dalla Libia per violazione delle norme del diritto di asilo del nostro Paese, in quanto, cioè, non ci sarebbe stata, secondo l'istruttoria dei magistrati, un'accurata valutazione delle possibilità di richieste di asilo di queste persone, che sappiamo tutti provenire da Paesi come la Somalia, l'Eritrea e via elencando, in cui le raccomandazioni, non solo delle UNHCR, ma di tutte le organizzazioni internazionali, fanno propendere per una presunzione di legittimità della richiesta di asilo o, comunque, di una protezione internazionale.
La prima domanda è, dunque, come si pensa di poter far sì che queste richieste vengano accolte.
Sempre in uno spirito di realizzazione positiva degli impegni, si afferma che le due raccomandazioni che riguardano la questione delle carceri, la 45 e la 46, in cui si parla di risolvere i problemi relativi al sistema penitenziario, in particolare il sovraffollamento delle carceri, e incoraggiare l'adozione di alternative alla privazione della libertà vengono accolte.
Sappiamo che la situazione del nostro sistema carcerario è al limite e che ci sono provvedimenti in discussione presso il Parlamento che cercano parzialmente di affrontare la questione, ma sappiamo anche benissimo che il nostro è un problema strutturale, che va avanti, purtroppo, da molti anni e non riguarda in particolare questo Governo. Sicuramente, però, anche l'introduzione di alcune norme, che vengono citate nel documento e riguardano il cosiddetto Pacchetto sicurezza, rispetto al quale si sostiene che non si accolgono queste raccomandazioni, hanno un effetto diretto sul sovraffollamento delle carceri.
Come sono compatibili il non mutamento della legislazione o delle politiche in tema anche di criminalizzazione dello status dell'immigrato nel nostro Paese e, più in generale, le norme di restrizione delle libertà esistenti con l'obiettivo di affrontare la questione del sovraffollamento delle carceri?
Se si tratta di valutare misure alternative alla privazione della libertà, capisco che questa non sia competenza diretta del Ministero degli affari esteri, però, se il Governo si impegna a livello internazionale a realizzare tale obiettivo, occorrerebbe forse una specificazione di quali tipo di provvedimenti si intendano attuare


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per realizzare tale obiettivo. Altrimenti, il rischio è quello che paventava il presidente Colombo, cioè che si cerchi, meritoriamente - lo affermo senza ironia - al Ministero degli affari esteri di mantenere una posizione del nostro Paese a livello internazionale in linea con quella degli altri Paesi europei e, quindi, che si abbia un atteggiamento di apertura, di accoglimento delle raccomandazioni, di dialogo positivo e costruttivo, ma poi, quando si arriva alla presentazione dei decreti, dei disegni di legge e delle norme concrete che regolano tali fenomeni, si verifichino politiche e dichiarazioni pubbliche veramente distanti da questo tipo di atteggiamento. Si rischia, cioè, una schizofrenia nella politica concreta realizzata dal nostro Paese, che credo oggettivamente dannosa, non solo per il tessuto normativo dell'Italia, ma anche per le possibilità del nostro Paese di giocare un ruolo a livello internazionale, a Ginevra e in altre istituzioni, vicino a quello di altri Stati membri.
Sulle due questioni delle carceri e dell'applicazione delle norme in materia di rifugiati e di protezione internazionale dei migranti chiederei, dunque, un'ulteriore specificazione al rappresentante del Governo.

ENRICO PIANETTA. Signor presidente, ho apprezzato la relazione del sottosegretario Scotti, anche perché questo Comitato e la Commissione affari esteri sono coinvolti attraverso tanti momenti, a cominciare anche dall'Osservatorio parlamentare e di Governo per il monitoraggio dello stato di promozione e di tutela dei diritti fondamentali nel mondo, il quale ha tenuto alcune sedute che ci hanno permesso di conoscere e approfondire questi temi così importanti e delicati. Una precedente serie di audizioni del ministro Simonetti ci ha permesso, inoltre, di avere un quadro estremamente ampio relativamente a tali temi.
Non c'è dubbio che la promozione e la tutela dei diritti umani costituisca un percorso che deve essere portato avanti da tutti con molta capacità e determinazione. Credo che abbia fatto bene il sottosegretario a sottolineare - lo ripeto in altre parole - che i diritti umani non sono un obiettivo che si raggiunge una volta per sempre, ma che si deve costruire in maniera molto costante e con molta attenzione nei confronti di tutti. È un processo che rappresenta indubbiamente il fulcro del percorso della civiltà e della convivenza sociale.
Svolta questa premessa di carattere generale, sottolineo che sono la storia e l'attenzione del nostro Paese a dover essere valutate ed evidenziate nel momento in cui si danno le risposte richieste.
Voglio soltanto toccare un punto, quello relativo al reato di tortura. In effetti, già due legislature fa, il Parlamento aveva affrontato in termini molto costruttivi la possibilità di discuterne. È vero che questo reato, di fatto, nell'ambito delle leggi esistenti, può essere valutato e considerato, ma, proprio perché sono giacenti presso il Parlamento alcuni disegni di legge, ciò significa che è esistita ed esiste ancora oggi un'attenzione del Parlamento nei confronti della possibilità di prevedere qualcosa di specifico relativamente a questo reato.
Mi permetto di evidenziare il fatto che, proprio in ragione del percorso passato e di quella che potrebbe essere anche una modalità che in questa legislatura si potrà affrontare in un ramo o nell'altro del Parlamento, un'apertura nei confronti di questo percorso, che di fatto è esistito ed esiste, forse potrebbe essere elemento di una valutazione di maggiore apertura nei confronti di tale modalità, proprio perché, come ripeto, si tratta di un percorso che abbiamo già cominciato, che però non ha avuto un esito positivo a causa dell'interruzione della legislatura. Credo che questo fatto possa essere valutato con una maggiore attenzione nei confronti dell'esigenza di recepire e definire una legislazione più specifica relativamente a questo argomento.
Come ha ben espresso il collega Mecacci, la questione delle carceri, un problema che evidentemente dovrà essere affrontato, è strutturale. Mi pare che il Governo e il Ministro della giustizia abbiano


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affrontato il tema nella prospettiva di un miglioramento di una condizione difficile e inaccettabile, legata alle strutture che non sono adeguate. Questo punto è evidente e, quindi, credo che il percorso verso un miglioramento delle condizioni richieda una valutazione nostra, finalizzata allo scioglimento di un nodo che da troppo tempo esiste nel nostro Paese.
Per altri argomenti non ritengo, invece, che ci sia stata una posizione del Governo che abbia evidenziato un comportamento in termini di lode di se stesso. Il Governo ha espresso in termini molto costruttivi l'atteggiamento e la modalità caratteristici della volontà di affrontare tali temi nell'ambito delle valutazioni e delle condizioni che connotano il nostro momento sociale, politico ed economico.
Credo che questo sia stato - lo ripeto come giudizio - un comportamento molto costruttivo, che, ovviamente, recepisce elementi che fanno sì che ci possa essere una collaborazione nei confronti delle entità sovranazionali che cercano di promuovere, a livello generale e universale, la tutela dei diritti umani. Ritengo, quindi, che il nostro atteggiamento come Paese sia costruttivo in un contesto che deve vederci capaci anche di esprimere posizioni di grande collaborazione e di fare in modo che il nostro Paese possa compiere il percorso di promozione e tutela di un tema importante come i diritti umani, che sono alla base della nostra convivenza.

MARIO BARBI. Signor presidente, cercherò di essere piuttosto breve.
Intanto, apprezzo il metodo che abbiamo seguito in questa vicenda, che è stato piuttosto preciso e puntuale. Stiamo, infatti, seguendo, come Comitato, in rapporto con il Governo, la vicenda della revisione del rispetto dei diritti umani da parte del nostro Paese in modo costante e puntuale. Il Governo ha sempre riferito, nei diversi passaggi, da ultimo oggi con l'anticipazione delle risposte che intende fornire al Consiglio per i diritti umani, e considero questo indubbiamente un aspetto positivo e utile.
Allo stesso tempo - sotto questo punto di vista mi sento, in qualche misura, di aderire al giudizio del presidente - la permeabilità del Governo alle osservazioni e al dibattito che si è svolto nelle diverse sedi è stata forse inferiore alle nostre aspettative.
È, dunque, buono il metodo e costante lo scambio di informazioni e opinioni, trasparente e puntuale nei diversi passaggi, ma sul grado di permeabilità esprimo alcuni motivi di insoddisfazione.
Riconosco anche che tali motivi dipendono dalla mia collocazione politica, che in questo momento mi vede all'opposizione, e che nella questione che discutiamo emerge una politicità molto forte. Sarebbe forse improprio aspettarsi che il Governo smentisse se stesso e la sua maggioranza su questioni come il reato di clandestinità e l'aggravante che deriva da tale condizione nel commettere altri reati, questioni che pure vengono trattate e poste nella revisione in corso presso le Nazioni unite e che il Governo ha deciso, dal suo punto di vista - né vedo come avrebbe potuto agire diversamente - di respingere.
Mi chiedo se il Governo su questo punto intenda precisare ed eventualmente in che termini che questo è oggetto di una discussione politica tuttora aperta nel nostro Paese, che è oggetto di contrasto. Su tali questioni vi è un contrasto politico aperto, destinato a rimanere tale ed è forse improprio attendersi che venga risolto da una sede internazionale.
Lo stesso vale per i respingimenti. Ci troviamo di fronte a questioni che riconosco come caratterizzate da una forza politica indiscutibile e non credo che ci sia una sede internazionale in grado di dirimerle in termini di legalità o non legalità. Tale considerazione potrebbe essere applicata anche a diversi aspetti.
Si pone, dunque, il problema di riferire nella sede internazionale che vi sono questioni che attengono alla vita politica e al dibattito parlamentare del nostro Paese, sulle quali vi sono opinioni diverse e sulle


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quali eventuali cambi di maggioranza in futuro potranno determinare cambiamenti anche di politica.
Svolta questa osservazione di tipo generale, mi soffermo su due punti specifici: la questione della tortura e quella dell'autorità indipendente sui diritti umani.
Il reato di tortura, nel nostro ordinamento, è previsto in modo addirittura esteso rispetto alla fattispecie che si chiede di inserire. Esistono, però, come peraltro è stato anche ricordato, progetti di legge su questo tema perché il reato venga incluso nell'ordinamento in modo specifico, conformemente alle previsioni e alle convenzioni internazionali.
Mi chiedo se in merito il Governo non intenda specificare, nella risposta che fornirà in sede delle Nazioni unite, che non vi è da parte sua alcuna opposizione all'esame in sede parlamentare e all'adozione da parte del Parlamento di una norma di questo genere.
Da ultimo, vengo all'autorità. Il Governo sostiene che per serietà respinge il termine proposto, indicato nella fine del 2010. È una decisione apprezzabile, naturalmente, ma chiedo che si assuma l'impegno, proponendo un'altra data. Vogliamo indicare la fine del 2011, sottosegretario? Cerchiamo di definire questo impegno. Vogliamo assumerlo sub conditione di trovare il finanziamento, la copertura? Troviamo, comunque, una forma un po' più positiva, che traduca la serietà nel respingere il termine proposto in un'alternativa e una formula impegnativa per il nostro Governo e per il nostro Paese.

FIAMMA NIRENSTEIN. Ho trovato perfettamente consona la relazione del Governo, per un motivo sostanziale e non formale, non soltanto, dunque, per la descrizione dei temi, ma perché di fronte allo Human Rights Council non si può fare altro che tenere un atteggiamento analitico, dubitoso e circospetto. Questo è il mio punto di vista.
È giusto difendere i diritti umani e fanno bene i nostri colleghi, sia dell'opposizione, sia della maggioranza, a occuparsene, quando si tratta dei temi riguardanti sia i migranti, sia i problemi delle carceri. Sono con loro in questo, essendomi sempre occupata anche di questi temi.
Non possiamo, però, improvvisamente dimenticare, di fronte alla relazione dello Human Rights Council, che ci sono altre questioni che, proprio in rapporto a questa specifica organizzazione, si sollevano da sole: la tortura, la persecuzione dell'opinione altra, le persecuzioni religiose, la pena di morte. Nelle celle in cui si attende la pena di morte nel Qatar, uno dei Paesi appena ammessi nello Human Rights Council, ci sono 80 condannati a morte.
I Paesi ammessi una settimana fa nello Human Rights Council sono la Libia, l'Angola, la Malesia, il Qatar e l'Uganda. Hanno dato loro una buona accoglienza l'Arabia Saudita, la Cina, Cuba.
Nel 2006, quando fu istituito il Consiglio per i diritti umani, soltanto gli Stati Uniti e Israele posero la richiesta che chi vi fosse stato ammesso dovesse possedere determinate caratteristiche. A tale richiesta fu data una risposta complessivamente negativa ed essa fu sostituita, invece, con la richiesta che ciascun Paese che intendesse entrare presentasse quelle che in inglese si chiamano pledge, ovvero intenzioni e proponimenti.
Mi ha molto interessato e, purtroppo, non mi ha divertito affatto vedere le pledge della Libia, della Malesia, che applica la Sharia, del Qatar, che prevede la pena di morte, dell'Angola e dell'Uganda.
Colleghi, non possiamo dimenticarci tutto ciò che proviene da un'organizzazione che ha dedicato 27 risoluzioni di condanna su 33, dal 2006 al 2009, a Israele. Non lo possiamo dimenticare: è ridicolo.
Quando ci applichiamo ad affrontare il tema delle osservazioni che ci provengono da questa organizzazione, credo che sia dovere non soltanto nostro, come partiti di Governo, ma anche dell'opposizione, di porre mente al fatto che il primo grande contributo che l'Italia può dare all'interno dello Human Rights Council è sollevare


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costantemente al suo interno - ne facciamo parte dal 2007 - i temi che andavo sottolineando fino a questo momento.
Questa è la situazione dell'esaminatore. L'esaminato certamente deve compiere alcune autocritiche e intraprendere alcune iniziative, ma ben altre sono le caratteristiche dell'esaminatore, che deve essere a sua volta esaminato.
Se vogliamo attribuire un significato al tema dei diritti umani, mi sembra che prima e innanzitutto esista la questione di che cosa sia lo Human Rights Council. A me sembra che la stiamo mettendo troppo da parte. Poiché facciamo parte di questi organismi internazionali e purtroppo la questione dello Human Rights Council è forse una delle più importanti che riguardano la «madre» di tutte le organizzazioni internazionali, cioè le Nazioni unite, questo ci getta in un mare magno di questioni che dobbiamo affrontare, che riguardano innanzitutto il tema, basilare e fondamentale dalla fine della seconda guerra mondiale in avanti, di come fare osservare i diritti umani e impegnarci a farlo. Non escludendo, naturalmente, un impegno per casa nostra - vorrei che questo fosse molto chiaro - auspico che tutti noi usciamo da una dimensione domestica per affrontare il grande problema che ci pone questa relazione.

RENATO FARINA. Salgo virtualmente sulle spalle dell'onorevole Nirenstein, dando per acquisite le sue considerazioni, espresse anche con molto equilibrio.
Guardare in faccia questo Consiglio non significa rinunciare anche a svolgere un'autocritica, a vedere come in effetti i diritti umani sono o non sono rispettati nel nostro Paese. Non è il modo per battere il pugno sul petto degli altri, come va di gran moda.
Per venire, invece, allo specifico degli argomenti trattati e del metodo, vorrei svolgere un'annotazione. Le 92 osservazioni mosse all'Italia, che si raccolgono soprattutto sui grandi temi che abbiamo appena citato, sono benissimo presenti dentro il dibattito parlamentare e, dunque, la risposta data dal Governo riflette, allo stato, l'opinione della maggioranza che ha votato in Parlamento su questi stessi temi.
È ovvio che, nel momento in cui si è votato il Pacchetto sicurezza, ci si è trovati dinanzi a molti interrogativi. Quando si confrontano due valori che hanno entrambi diritto a essere al centro della vita di un Paese, può accadere - e questo è l'esame che ciascuno di noi effettua - che uno confligga con l'altro e sia limitato dall'altro e, soprattutto, che sia limitato il diritto di qualcuno.
Il problema è capire quali sono i diritti fondamentali e se non sia necessario, talvolta, per preservare un diritto più grande e il futuro, chiedere il sacrificio di ciò che non è diritto fondamentale. Questa è la dinamica che si è evidenziata.
Credo che le risposte del Governo non siano una dialettica furba per sottrarsi a interrogativi angosciosi, ma esprimano il ragionamento che sta dietro determinate decisioni. Naturalmente, tutto ciò non esime dal giudicare i fatti specifici e dal considerare tutto ciò che all'interno di una legislazione e di alcune linee di comportamento confligge con il bene delle singole persone. Ciò non deve, però, indurci a cadere, secondo me, in un pregiudizio, che si è affermato a livello internazionale e ha trovato la sua fonte in un preconcetto verso il nostro Governo, in base al quale nel nostro Paese si calpesterebbero sistematicamente alcuni diritti.
Posso verificare tale pregiudizio all'interno dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, dove spesso e volentieri l'Italia è messa sotto accusa, forse perché dal nostro Paese, giustamente, si pretende molto, mentre tra i 47 Paesi del Consiglio d'Europa ci sono ben altri problemi, anche rispetto alle carceri.
È importante notare, inoltre, come il dibattito che si è verificato sull'emergenza carceraria alla Camera abbia registrato un sentimento comune; non ci sono state fratture tra maggioranza e opposizione nel senso dell'umanizzazione delle carceri. Naturalmente, la questione resta problematica e credo che si debba sicuramente andare nel senso indicato dall'onorevole


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Mecacci al riguardo. Credo, comunque, che il Governo su questo tema sia fortemente motivato.
Svolgo un'osservazione. In tutti i Paesi del mondo, tranne che in Svizzera, le carceri sono piene. Qualunque carcere si costruisca, si riempie immediatamente: è una regola che mi è stata spiegata da esperti. Non esiste un solo carcere del mondo dove ci siano celle libere. Ciò non vuol dire che le carceri debbano essere sovraffollate, ma la tematica tocca veramente tutti i Paesi. Si pone poi il grande problema della rieducazione e del lavoro nelle carceri, che credo sarebbe bene che il nostro Governo prendesse fortemente in considerazione.
Resta da sottolineare che lavorare sui diritti umani è anche molto difficile. Ho presentato un'interrogazione, per esempio, sulla vicenda prima esposta dell'incriminazione dei militari a causa del respingimento in Libia di alcune persone, che non potrà essere trattata se non dopo la definitiva conclusione del procedimento da parte della magistratura. Avevo un punto di vista diverso dall'onorevole Mecacci, ma resta il fatto che esistono anche questi limiti.
Sarebbe interessante, non adesso ma in futuro, ragionare sui fondamenti dei diritti umani oggi, perché nel mondo, anche a livello scientifico, esiste un forte dibattito su questo tema. Ci si domanda, cioè, come evolvono i diritti fondamentali, come ora si preferisce chiamarli.
Anche il discorso degli standard internazionali, che cosa significa? Qual è la cultura che sta a fondamento dei diritti umani? Mi ha colpito molto, ma chiudo qui perché capisco è una questione delicata, il capitolo del libro di Hammarberg dedicato ai diritti umani, che riassume la filosofia con cui valuta i diversi Paesi, intitolato «Meno carità e più diritti».
Credo che contrapporre, anche se solo per luogo comune, la carità e i diritti sia molto indicativo di come questo tipo di cultura dei diritti umani, dei diritti fondamentali, abbia preso una piega che non è affatto, secondo me, quella che dovrebbe prendere. Lascio, tuttavia, il tema a futuri dialoghi, di cui deciderà la presidenza.

PRESIDENTE. Do la parola al nostro ospite per la replica.

VINCENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Presidente, ringrazio tutti gli onorevoli intervenuti per i contributi che hanno portato anche alla riflessione finale del Governo nella presentazione delle risposte.
Voglio premettere che accettiamo 75 raccomandazioni. Si tratta di un numero particolarmente elevato di accettazioni rispetto a tutti i Paesi fin qui esaminati, il che dimostra lo spirito con cui il Governo nel suo complesso ha lavorato in questo periodo, insieme a tutte le amministrazioni. Devo darne atto al ministro Simonetti e al Comitato interministeriale per i diritti umani, che ha lavorato con impegno sotto un costante dialogo con i responsabili politici delle diverse amministrazioni.
Venendo ai temi delicati, ai migranti e via elencando, sarei molto più cauto nell'affrontare questi problemi con atteggiamenti di bianco e nero, di giusto o sbagliato. Non mi rivolgo alle persone intervenute in questa sede; anzi, il tema è stato posto in termini molto costruttivi.
Credo che quello dell'immigrazione illegale sia un tema straordinariamente delicato e complesso, soprattutto se si tiene conto dell'infiltrazione di criminalità organizzata all'interno del bisogno drammatico di uomini, donne e bambini di ricercare un luogo dove uscire dall'inferno dei loro punti di partenza.
Abbiamo rappresentato una scelta compiuta dal nostro Paese, ma siamo aperti a livello internazionale, onorevole Barbi, ad affrontare un dibattito in sede europea.
Riteniamo che, proprio perché il trasferimento di queste materie è passato in gran parte a livello europeo e quello dell'immigrazione è un tema dell'Europa nel suo insieme, in quella sede la riflessione, il dibattito e le soluzioni vanno ricercati in una conciliazione degli interessi e dei valori, come il valore dei diritti umani e quello della sicurezza, che sono chiamati in gioco quando affrontiamo temi di questo genere.


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Voglio rispondere in concreto all'onorevole Mecacci, il quale ha fatto riferimento, a proposito dei rifugiati, a procedimenti penali in atto che riguardano i primi respingimenti, che in seguito non abbiamo avuto un solo respingimento in fase di trasporto di persone che in quella sede hanno presentano domanda di asilo. Tengo a precisare che non vi è una sola persona che abbia richiesto asilo e sia stata respinta.

PRESIDENTE. Non lo potevano fare.

VINCENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Come, non lo potevano fare? Riferisca qual è l'elemento su cui si basa, perché su queste questioni la delicatezza, presidente, è estrema e non si possono fare affermazioni su questioni umane così drammatiche senza disporre della documentazione. Quali sono state le persone che, avendo presentato richiesta, non hanno avuto accettazione della loro domanda? Questo va detto: non possiamo immetterci su questo terreno, in un ambiente in cui rispondiamo di fronte a un panorama internazionale, con la superficialità con cui svolgiamo simili affermazioni. Andiamo sui dati, sugli elementi.
La percentuale degli accolti, di coloro che hanno chiesto asilo politico in Italia, è più alta della media dei Paesi europei. Questi sono i dati sul tappeto. Li ho espressi a Ginevra, avendo l'assenso di tutti. Abbiamo accettato le sei raccomandazioni, il che implica e impegna il Ministero dell'interno e tutti i ministeri chiamati in causa.
C'è un'apertura ad accogliere queste persone? Certamente, poiché l'accoglimento di una raccomandazione implica un adeguamento di comportamenti alla prescrizione della raccomandazione stessa.
Le due raccomandazioni sulle carceri sono state accettate dal Ministero della giustizia ed è evidente che ciò avrà una ripercussione nel dibattito parlamentare dei provvedimenti che verranno adottati e presentati dal Governo. Il Governo ha accettato tali princìpi nel loro insieme e su quelli intende lavorare. Come ho specificato in precedenza, ci poniamo ad accettare le raccomandazioni con uno spirito aperto, consapevoli di essere successivamente sotto i riflettori in relazione all'adeguamento dei comportamenti.
Sul problema della tortura, la questione è annosa e passa attraverso diversi Governi e legislazioni. Abbiamo riferito che accettiamo il Protocollo opzionale alla Convenzione contro la tortura e il problema vero, il nodo da sciogliere riguarda l'organismo di controllo. La nostra opinione va nella direzione di collocare l'organismo di controllo previsto all'interno dell'autorità per i diritti umani e costituire un unico organismo che presieda ai diritti umani, ivi compresi i controlli che scaturiscono dal Protocollo opzionale alla Convenzione contro la tortura.
Per quanto guarda il problema sollevato dall'onorevole Pianetta, ho rilevato che in Parlamento vi è una discussione e che quella è la sede in cui occuparsene, se la maggioranza e il Governo ritengono di introdurre il reato di tortura. In questa fase rappresentiamo lo status della situazione, cioè le ragioni per cui, nei trascorsi, dalla ratifica della Convenzione a oggi, esso non è stato introdotto; riteniamo, infatti, che esistano tutte le ragioni che ho sottolineato.
A questo punto resta aperta nel Paese la discussione in sede parlamentare dei provvedimenti che sono davanti al Parlamento.

FRANCESCO TEMPESTINI. Lei ha affermato che dopo i fatti ai quali fanno riferimento le incriminazioni operate dalla procura di Siracusa non ci sono stati più respingimenti che non abbiano previsto una richiesta agli interessati, cioè a coloro i quali erano stati individuati nel tratto di mare in cui si effettuano i controlli.
Vorrei una risposta, per poter capire e perché se ne possono trarre conclusioni anche importanti. Si tratta di una novità, nel senso che non abbiamo mai letto tali notizie sulla stampa.
Lei riferisce che i corpi specializzati militari che hanno operato questi respingimenti, prima di operare materialmente il respingimento, hanno effettuato una procedura


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in base alla quale sono state presentate richieste in merito al fatto che le persone intercettate si sentivano nelle condizioni di presentare la domanda di asilo? Le ho posto una domanda precisa.

VINCENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Il Ministro dell'interno aveva già riferito al Parlamento in merito: tutti coloro che hanno manifestato sulla nave l'intenzione di chiedere l'asilo politico, senza aver bisogno di presentare una formale richiesta in quella sede, non sono stati respinti.

MATTEO MECACCI. Nessuno ha presentato domanda. Sulle navi, in base ai dati del Ministero dell'interno, nessuno ha presentato domanda di asilo politico, mentre l'anno prima il 60 per cento l'aveva fatto. Sono dati del sottosegretario Nitto Palma, esposti in Parlamento, dove avevamo dibattuto di questo tema.

VINCENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Il Ministero dell'interno vi fornirà i dati su questo punto; io non posso contestare dati che non ho a disposizione al momento. Dispongo del dato che ho riportato a Ginevra, secondo cui tutti coloro che sulle navi hanno manifestato l'intenzione di chiedere asilo sono stati portati in Italia.

PRESIDENTE. Con il suo permesso, sottosegretario, tutti i parlamentari presenti in Aula quando Nitto Palma ha presentato la sua relazione, hanno notato la frase ripetuta dall'onorevole Mecacci.
Vi affidiamo, dunque, il problema di verificare la consistenza di ciò che voi state affermando, che noi accettiamo in questa sede. Non stiamo accusando nessuno di mentire. Vi ascoltiamo, ma giustamente l'onorevole Tempestini ha notato questa discrepanza e la fa osservare perché Nitto Palma è stato precisissimo nel sostenere che non vi sono state più ulteriori richieste. È stata una frase chiara e semplice ed è a verbale.

VINCENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Bisogna conoscere i tempi ai quali ci si riferisce.

PRESIDENTE. Seguendo la sua descrizione, noi abbiamo la forte impressione che si riferisca esattamente ai tempi che lei ha potuto comunicare all'organo delle Nazioni unite.
Purtroppo ci sembra che, involontariamente e in perfetta buona fede, sulla base di ciò che le era stato riferito dal Ministero dell'interno, lei abbia comunicato un elemento che a noi parlamentari in Aula non risultava, tanto che abbiamo espresso la nostra meraviglia sul fatto che, all'improvviso, nessuno avesse mai più presentato richiesta.
In ogni caso, la prego di non pensare che le critiche che le vengono mosse siano superficiali. Sono punti di vista diversi e noi ringraziamo lei per il suo.

VINCENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Vado avanti. Della questione dei migranti e dei rifugiati ho già parlato, come pure della tortura.
Per quanto riguarda la domanda dell'onorevole Nirenstein, come è stato evidente nella vicenda Durban, la nostra posizione nel Consiglio è stata sempre ferma nel sostegno dei diritti umani e le nostre raccomandazioni e interventi nei confronti degli altri Paesi sono stati improntati a questo spirito, lo stesso con cui abbiamo accettato i rilievi e le raccomandazioni che ci sono stati posti dagli altri.
Certamente il dibattito sul Consiglio non si limita alle questioni di casa nostra, ma riguarda il funzionamento del sistema. Siamo impegnati, e il ritorno degli Stati Uniti nell'organismo è un segno in questa direzione, non a porre in discussione il fondamento del Consiglio, ma a cercare di migliorare il suo funzionamento in relazione agli obiettivi che tutti vogliamo perseguire. Il comportamento migliore è stare nell'interno e da lì cercare di sviluppare con coerenza una posizione.
In questi anni l'Italia si è comportata in questo modo all'interno del Consiglio, in ogni occasione che ci è stata data di poter operare con coerenza.
Abbiamo ascoltato le raccomandazioni ulteriori del Parlamento. Nella stesura finale terremo conto anche di suggerimenti


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che sono stati formulati in relazione al tono della risposta, piuttosto che al contenuto.
L'ultima questione riguarda la creazione dell'autorità. Assumiamo l'impegno formale, in sede internazionale, di portare a compimento l'obbligo di dar vita all'organismo.
Per quanto riguarda il merito, cioè il contenuto, del provvedimento, non ci sono obiezioni allo stato degli atti dell'elaborazione all'interno del Governo. Resta il problema della copertura finanziaria, perché siamo di fronte a un'autorità indipendente, che si allinea a tutte le altre autorità indipendenti nei vincoli e negli obblighi e, conseguentemente, nei costi relativi. Si chiede, infatti, alle persone che dovranno essere deputate a questa funzione di non svolgere, anche successivamente, altre attività. Chiediamo, quindi, un impegno che viene, nel caso dell'autorità...

FRANCESCO TEMPESTINI. Scusi, sottosegretario, ma questo è il disegno di legge presentato al Senato. Personalmente, sono assolutamente contrario alla costituzione dell'ennesima authority. Non penso che si possa continuare a legiferare costruendo authority a 300-400 mila euro a testa.

VINCENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Questo è un contributo straordinario. Prendo atto di questo come un elemento positivo che ci porta a favorire una soluzione del problema. Non ho alcuna obiezione nel merito.

PRESIDENTE. Sottosegretario, poiché l'occasione di oggi è stata particolarmente viva, vorrei sviluppare due osservazioni.
La prima è che la sua persona, disposta e aperta, crea un'atmosfera di maggiore attivismo da parte dei partecipanti.
La seconda è che, effettivamente, nel momento in cui lei viene di fronte a un organo parlamentare con il personale della struttura diplomatica, che si occupa tecnicamente e professionalmente del problema, noi siamo portati a concentrarci interamente sull'aspetto tecnico.
Quando troviamo, invece, una coloritura politica, essa determina poi un intervento più vivace e politico da parte dei suoi interlocutori. Posso però ricordarle, perché può essere utile a lei e ai diplomatici che l'assistono, che il sottosegretario Palma, nel corso della discussione di alcune mozioni sull'argomento nella seduta dell'Assemblea del 24 novembre 2009, ha affermato che nessuno «tra gli stranieri intercettati e soccorsi, una volta saliti a bordo delle navi italiane, ha manifestato la volontà di chiedere asilo». Le ho citato il testo stenografato in quell'occasione, da cui deriva la meraviglia dell'onorevole Mecacci, dal momento che più del 50 per cento degli intercettati aveva presentato domanda di asilo nella situazione immediatamente precedente. Questa è una valutazione politica.
Rivolgo un ringraziamento a tutti i colleghi e al sottosegretario, il cui tono, caldo e vivo, invita a questo tipo di partecipazione.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 10,30.

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