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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissioni Riunite
(III-IV Camera e 3a-4a Senato)
3.
Giovedì 10 dicembre 2009
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Cirielli Edmondo, Presidente ... 3

Comunicazioni dei Ministri degli affari esteri e della difesa sulle strategie e sugli sviluppi della partecipazione italiana alla missione ISAF:

Cirielli Edmondo, Presidente ... 3 12 22 27
Boniver Margherita (PdL) ... 15
Cicu Salvatore (PdL) ... 18
Del Vecchio Mauro (PD) ... 22
Evangelisti Fabio (IdV) ... 17
Fassino Piero (PD) ... 12
Frattini Franco, Ministro degli affari esteri ... 3 23
Galioto Vincenzo (PdL) ... 14
La Russa Ignazio, Ministro della difesa ... 7 22 25
Mogherini Rebesani Federica (PD) ... 21
Pedica Stefano (IdV) ... 19
Perduca Marco (PD) ... 20
Pinotti Roberta (PD) ... 15 25
Ramponi Luigi (PdL) ... 16
Scanu Gian Piero (PD) ... 14
Vernetti Gianni (Misto) ... 19
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP.

COMMISSIONI RIUNITE
III (AFFARI ESTERI E COMUNITARI) - IV (DIFESA) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E
3A (AFFARI ESTERI, EMIGRAZIONE) - 4A (DIFESA) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di giovedì 10 dicembre 2009


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA IV COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI EDMONDO CIRIELLI

La seduta comincia alle 13,50.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sul sito Internet della Camera.

Comunicazioni dei Ministri degli affari esteri e della difesa sulle strategie e sugli sviluppi della partecipazione italiana alla missione ISAF.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno delle Commissioni riunite affari esteri e difesa della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica reca le comunicazioni dei Ministri degli affari esteri e della difesa sulle strategie e sugli sviluppi della partecipazione italiana alla Missione ISAF.
Ai fini di un ordinato svolgimento dei lavori, invito i gruppi di Camera e Senato a far pervenire alla presidenza, entro i primi venti minuti della seduta, l'elenco dei propri componenti che intendono intervenire. Avverto che i lavori dovranno concludersi prima dell'inizio delle votazioni della seduta pomeridiana dell'Assemblea della Camera, previsto per le ore 16.
Prima di dare la parola al Governo, intendo rivolgere un sentito ringraziamento al Ministro degli affari esteri, onorevole Franco Frattini, e al Ministro della difesa, onorevole Ignazio La Russa, per la loro partecipazione alla seduta odierna.
Do la parola al Ministro Frattini e quindi al Ministro La Russa.

FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Ringrazio i presidenti e tutti i colleghi. Certamente, come sapete, la settimana scorsa è stata estremamente importante. Dopo l'annuncio della strategia americana indicata dal Presidente Obama a West Point, vi sono stati degli incontri politici: quello della NATO e quello allargato a tutti i partner della ISAF, ai quali ho partecipato, nonché alcuni incontri bilaterali, tra cui ricordo come più rilevanti quelli con la signora Clinton, con il collega russo Lavrov e con il nuovo Ministro degli esteri tedesco Westerwelle.
Al centro di questi appuntamenti è stata una nuova strategia politica per la stabilizzazione dell'Afghanistan, che stiamo mettendo a punto, cominciando a definirla anche nei dettagli, e che tutti ormai chiamiamo «strategia di transizione», il cui obiettivo di fondo è restituire l'Afghanistan agli afgani.
Nessuno di noi partner della Comunità internazionale, infatti, è in Afghanistan per restarci. Siamo stati tutti molto chiari al riguardo: dobbiamo lavorare insieme - questa è una delle chiavi politiche - sia in Afghanistan, sia fuori dall'Afghanistan, per creare, oggi, le condizioni iniziali che permettano di trasferire progressivamente al Governo di Kabul la responsabilità e la gestione della sicurezza, ma soprattutto del buongoverno del Paese.
Queste sono, quindi, le principali finalità, di carattere generale, che vogliono porre a tutti noi obiettivi, direi dopo molto tempo, chiari, realistici e convincenti, ma


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soprattutto credibili - anzitutto per gli afgani - in modo da illustrare, in primo luogo alle opinioni pubbliche e ai Parlamenti che li rappresentano, le ragioni del nostro ingente impegno (mi riferisco all'Italia) in questo Paese.
A questo tema se ne aggiunge un altro, che non è oggetto diretto della nostra riflessione odierna, ma su cui una parola è indispensabile: il quadro dell'Afghanistan si comprende soltanto in uno scenario regionale. La presidenza italiana del G8, durante il vertice ministeriale di giugno, a Trieste, ha chiarito, forse per la prima volta, che non c'è stabilità in Afghanistan se non ce n'è in Pakistan. Pertanto, il nostro impegno in Afghanistan si inquadra nell'ambito dello sforzo che la comunità internazionale sta compiendo in Pakistan per la lotta al terrorismo, per consolidare il Governo locale e per permettere che le lunghe frontiere tra i due Paesi, in alcuni casi neanche demarcate tra di loro, smettano di essere assolutamente porose, transitabili senza alcun problema e, dunque, veicolo di facile aiuto per le organizzazioni terroristiche.
La domanda di tutti è dunque come far progredire la transizione di cui stiamo parlando. Noi, come Governo italiano, abbiamo fissato con grande chiarezza tre binari.
In primo luogo, siamo in Afghanistan e contribuiamo alla strategia regionale anzitutto per un'attenzione, che mai deve essere sottovalutata, alla nostra sicurezza, alla sicurezza dell'Italia e dell'Europa. Vi è poi un'esigenza, che abbiamo avvertito, di solidarietà atlantica, che abbiamo voluto riconfermare; infine, la conferma del ruolo, in cui come Italia fortemente crediamo, delle Nazioni unite in qualità di ente coordinatore dell'intera strategia afgana.
I tre binari, dunque, prevedono: un aumento temporaneo e con una precisa finalità politica dei contingenti militari; una maggiore responsabilizzazione del Governo afgano; un rafforzamento dell'impegno nel settore civile e un miglior coordinamento tra questo e la dimensione militare. Questi sono dunque i tre binari emersi dalle riflessioni già svolte e che nelle prossime settimane saranno messi a punto nel dettaglio.
Quanto al primo binario, relativo all'aumento temporaneo dei contingenti militari, esso ha una logica politica. Non mi soffermerò, quindi, sulle questioni tecniche, specifiche che sono di competenza del Ministro La Russa, ma sulla logica politica della scelta che, insieme ad altri Paesi della coalizione, abbiamo condiviso. Oggi, l'aumento degli effettivi non è una finalità in sé, ma una consapevolezza comune che non possa esistere una soluzione militare per la stabilizzazione dell'Afghanistan. Dobbiamo garantire una cornice di sicurezza, in cui la soluzione può essere solo politica. Questa è la ragione sottostante alle decisioni prese.
L'aumento degli effettivi è interpretato come un'opzione funzionale a una strategia complessiva e più ampia. È una scelta, quindi, finalizzata alla transizione e alla logica politica di consegnare agli afgani il destino e il controllo del loro Paese. La decisione di accelerare il rafforzamento degli effettivi viene presa oggi per realizzare, in un domani prossimo, le condizioni di un graduale disimpegno internazionale in una fase successiva. Appena due ore fa, il Presidente Obama ha di nuovo indicato l'inizio del disimpegno internazionale nel luglio del 2011, affermando che si tratta di una scelta ormai assunta, rispetto alla quale evidentemente dovremo riflettere sul «come» e non sul «se» attuarla.
Ho avuto occasione di aggiungere a Bruxelles che l'inizio del disimpegno dovrà accompagnarsi a una chiara fase finale della strategia di impegno per la sicurezza dell'Afghanistan. Ascoltando le parole del Presidente Karzai a Kabul, nel giorno del suo insediamento, ho indicato, come lo stesso presidente ha fatto, la fine del suo mandato appena iniziato come il momento conclusivo di un impegno per la sicurezza.
Si tratta, quindi, di una strategia che da oggi non è più open ended, ma dotata di benchmark precisi, di una road map chiara, di limiti temporali e di obiettivi da realizzare entro quei tempi.


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Evidentemente, questo vuole dare alle opinioni pubbliche e ai Parlamenti un messaggio molto chiaro: l'impegno per la sicurezza non può e non deve essere indeterminato. Dobbiamo ragionare nella cornice di sicurezza, ma dobbiamo lavorare per l'obiettivo politico, guardando al futuro. È chiaro, dunque, che anche dopo il disimpegno in termini di sicurezza, gli obiettivi politici, come la cooperazione allo sviluppo e l'aiuto alla ricostruzione, certamente resteranno.
Non so se porteremo avanti la cooperazione allo sviluppo per l'Afghanistan per venti anni - come ci chiede il Presidente Karzai - ma certamente non si può dire che l'impegno, anche economico, per la ricostruzione si esaurirà nel giro di tre, quattro o cinque anni, come invece credo debba essere, come limite massimo, il mandato relativamente alla sicurezza.
Questo messaggio, tuttavia, è anche rivolto gli afgani. È il momento di dire con chiarezza che la Comunità internazionale non può firmare assegni in bianco al Governo Karzai, che abbiamo sostenuto, con cui abbiamo lavorato e ci impegniamo a lavorare. Gli afgani devono rafforzare la loro capacità di governo per riprendere in mano la sicurezza e le sorti della loro nazione - come ha detto lo stesso Karzai - in tempi brevi.
Quali sono, allora, per venire all'Italia, le ragioni politiche della scelta adottata dal Consiglio dei ministri, sulla proposta del Presidente del Consiglio, del Ministro degli esteri e del Ministro della difesa? È una scelta dell'Italia di contribuire ad un aumentato sforzo della comunità internazionale, in termini di sicurezza militare, in termini civili e finanziari.
Questo impegno - è stato molto chiaro - si caratterizzerà, oltre che per una presenza strettamente militare, per una presenza rinforzata per l'addestramento delle forze di sicurezza - i nostri carabinieri sono ormai i coordinatori della missione NATO di addestramento della polizia afgana - e, in termini finanziari, per il contributo al trust fund, che abbiamo deciso di raddoppiare per il prossimo anno, al fine di aiutare il potenziamento della sicurezza afgana.
Evidentemente, l'altro aspetto, nella cornice di questi impegni, riguarda la necessità di accrescere gli sforzi in campo civile, quelli in cui l'Italia, insieme allo straordinario contributo militare, ha già dimostrato di non essere un Paese «marginale» ma, al contrario, tra i primi Paesi leader al mondo nella coalizione in Afghanistan.
Parlo del nostro sostegno all'educazione, con la promozione delle scuole, dell'insegnamento della lingua e dell'addestramento professionale, nonché della formazione della pubblica amministrazione (abbiamo proposto a Bruxelles di candidare l'Italia a formare pubblici dipendenti, centrali e provinciali, dell'Afghanistan, così come abbiamo fatto in Iraq, con grande successo). La nostra scuola nazionale della pubblica amministrazione, infatti, per l'Iraq ha già formato 1.400 funzionari delle municipalità e delle regioni irachene e credo che rappresenti un esempio apprezzato da tutti, che noi offriamo anche per la good governance in Afghanistan.
Parlo anche della sanità: gli ospedali italiani rappresentano punti di eccellenza. A ciò si aggiunge il ruolo guida che esercitiamo nella riforma della giustizia dal momento che, in Afghanistan, con il coordinamento dell'Italia e di magistrati italiani, abbiamo portato a compimento tre codici su quattro previsti.
Infine, ricordo il nostro impegno nell'agricoltura e nello sviluppo economico.
Tali elementi sono parte di una strategia politica onnicomprensiva, che include ovviamente la sicurezza sul terreno, ma anche la protezione della popolazione afgana. Non è più il tempo di pensare solamente a una sicurezza antiterrorismo, ma anche a una sicurezza che si preoccupi di proteggere la vita quotidiana delle popolazioni afgane.
In questi ambiti, l'Italia ha dato prova di responsabilità. Lo abbiamo fatto per lealtà alle Nazioni unite e alla NATO, ma anche per profonda convinzione della correttezza di questo impegno politico onni


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comprensivo. Come tutti sapete, sia la NATO, sia le Nazioni unite, sia gli Stati Uniti d'America hanno pubblicamente ringraziato l'Italia per questa decisione, per il suo ruolo e anche per il valore aggiunto dei contributi. Certamente, la tempistica, oltre alla «quantità» della nostra decisione, ha accresciuto ulteriormente la credibilità della presenza italiana.
Credo si debba dire con grande franchezza che tutto ciò coincide anche con un interesse nazionale: quello di combattere il terrorismo. Sapete tutti che le infiltrazioni jihadiste, di cui troviamo sempre più le tracce, in Europa ma anche in Italia, sono profonde e trovano origine nella regione al confine tra Pakistan e Afghanistan, in quella insorgenza che ha purtroppo accettato l'abbraccio mortale di Al Qaeda.
Certamente, in ogni caso, il nostro interesse nazionale è di contribuire con l'impegno civile a difendere i valori della libertà e della democrazia in Afghanistan. L'Italia è stato il primo Paese a reagire - l'ho fatto in prima persona, con Hillary Clinton e con il ministro norvegese, echeggiato subito in Italia dal Ministro La Russa - quando fu proposta una legge afgana che sottometteva la donna all'uomo, riportando gli aspetti più gravi della Sharia, ed essa fu bloccata. Ovviamente, la nostra presenza nel settore di rule of law e good governance sarà un antidoto, anche per il futuro, all'introduzione in Afghanistan di norme e leggi quadro offensive delle dignità e dei diritti fondamentali (abbiamo parlato dei diritti delle donne, ma non solo).
Questa azione dell'Italia, dunque, ci ha permesso di riscuotere un credito internazionale. Tutti leggiamo la stampa internazionale, talvolta sottolineandone le criticità verso l'Italia. Oggi, invece, rileviamo le positività di importanti commenti politici, dal Washington Post al Washington Times, che nell'ultima settimana hanno sottolineato, con un'evidente ricaduta sull'opinione pubblica americana, l'impegno italiano tempestivo e credibile.
Relativamente al secondo dei tre binari della strategia che ho indicato, ossia responsabilizzare di più il Governo di Kabul, oggi, dopo il discorso introduttivo della presidenza Karzai, che è stato un buon primo passo nella giusta direzione, occorre passare ai fatti; occorre un Governo Karzai rappresentativo, competente ed efficace. Abbiamo detto con lealtà ed amicizia al Presidente dell'Afghanistan che vogliamo che le scelte che lui assumerà ricadano su ministri e su governatori delle province afgane immuni da legami col crimine organizzato e con la corruzione.
Vogliamo un Governo afgano rappresentativo, deciso dagli afgani, non da Bruxelles, da Roma o da Washington, ma competente ed efficace, che promuova lo sviluppo economico e si concentri sui temi politici essenziali della reintegrazione e della riconciliazione. Senza una riconciliazione nazionale, senza guardare a quelle frange dell'insorgenza che hanno scelto l'illegalità, per la disperazione, magari, di aver perso il lavoro, senza un tentativo di sottrarre dall'abbraccio dell'illegalità quelle frange dell'insorgenza che non sono legate ad Al Qaeda, sarà più difficile parlare di una stabilizzazione politica di lungo periodo.
Pertanto, l'Italia è a favore di un tentativo politico teso a esplorare - lo stiamo compiendo con i Paesi arabi più interessati a collaborare con noi - se le frange di talebani non legate ad Al Qaeda accetteranno il ritorno alla legalità in cambio di una loro reintegrazione sociale, civile e politica.
Di questi obiettivi parleremo il 28 gennaio prossimo a Londra; sarà un passo concreto per una conferenza internazionale in cui chiederemo al Governo Karzai, a quel momento definitivamente insediato, di tradurre in azioni concrete, in tempi certi, tutti gli obiettivi di cui ha parlato nel suo discorso introduttivo, a cominciare dalla lotta alla corruzione.
L'Italia presenterà a Londra un suo programma e alcune idee che vi anticipo, perché ne ho già accennato informalmente a Hillary Clinton, al collega tedesco e ne ho anche parlato con gli altri colleghi europei. Saranno iniziative volte a dare un contributo rafforzato alla lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata, oltre


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che un contributo - di cui vi ho già detto - alla formazione delle pubbliche amministrazioni afgane.
Abbiamo voluto dare un primo segno concreto, ponendo a disposizione dell'ambasciatore Holbrooke, Alto rappresentante del Presidente Obama per l'Afghanistan e il Pakistan, un magistrato italiano a Washington - si tratta di un ex collega che molti di voi conoscono, il dottor Sinisi - il quale ha offerto la propria esperienza professionale in materia di lotta al crimine organizzato transnazionale.
L'ultimo binario, infine, riguarda il settore civile. L'impegno in questo senso vede la centralità dell'ONU. Tale centralità e il ruolo di UNAMA saranno indispensabili per l'approccio onnicomprensivo che noi vogliamo. Abbiamo sottolineato la necessità di coordinare meglio il rapporto tra NATO e Nazioni unite a Kabul; abbiamo dato il segnale di un impegno civile della NATO e non delle sole Nazioni unite, perché anche la NATO può svolgere nel settore civile un ruolo maggiore. Come sapete, un diplomatico italiano è il responsabile della NATO a Kabul per il settore civile.
In tutto questo si inseriscono due nuove iniziative specifiche italiane che, in conclusione, voglio brevemente ricordare. La prima riguarda un contributo all'agricoltura. In Afghanistan vi sono delle colture abbandonate da decenni; in particolare, ad Herat, dove il Ministro degli esteri afgano è nato e dove noi siamo e resteremo per esercitare il controllo della zona occidentale, ricostruiremo la coltura dell'olio d'oliva, che c'era trent'anni fa, ma è stata cancellata. L'Italia finanzierà una produzione agricola in quel territorio.
Un'altra proposta, originalmente italiana, è quella di impegnare maggiormente la Guardia di finanza nella collaborazione con la polizia di frontiera afgana. Noi siamo già alla frontiera di Herat, ad oggi la più efficiente tra tutte quelle dell'Afghanistan, ed abbiamo pensato a un coinvolgimento della zona di frontiera al confine con l'Iran. Comprendete bene che ciò implica un'azione di collaborazione operativa con gli afgani in un territorio di frontiera, per rafforzare il PRT di Herat, che l'Italia coordina e continuerà a coordinare.
Questo, a grandi linee, è l'impegno politico italiano, che credo giustifichi la scelta adottata recentemente dal Consiglio dei ministri, in linea con le Nazioni unite e con l'Alleanza atlantica.

IGNAZIO LA RUSSA, Ministro della difesa. Cercherò di mettere da parte il testo scritto per non ripetere le cose, da me assolutamente condivise, che vi ha già illustrato il Ministro per gli affari esteri. Riassumo, quindi, la parte che può essere ripetitiva ribadendo che attualmente gli sforzi della Comunità internazionale sono tutti incentrati sulla nuova strategia, definita dell'«approccio comprensivo», che ha come obiettivo - ormai l'abbiamo detto più volte - quello di consegnare, in un orizzonte temporale non indeterminato, l'Afghanistan agli afgani, sia dal punto di vista politico, sia dal punto di vista militare e della sicurezza.
Per raggiungere questo obiettivo, che non cambia rispetto al passato, è stata approntata una nuova strategia dopo il rapporto Mc Crystal. Essa ci conforta molto perché, senza alcuna enfasi, possiamo dire che in qualche modo sia stata, non dico anticipata, ma quanto meno teorizzata dal nostro Paese, sia da questo Governo, sia dal Governo precedente.
Per esempio, noi abbiamo sempre cercato di annullare o di rendere il più breve possibile il lasso di tempo che separa la fase militare dalla fase della ricostruzione, mentre una teoria alternativa ipotizzava che, per iniziare la fase dell'intervento civile, bisognasse prima mettere completamente in sicurezza il territorio. Noi riteniamo che più le due fasi procedono in parallelo, più sarà facile riuscire ad assecondare la popolazione e ottenere, quindi, un migliore risultato anche dal punto di vista militare.
La nuova strategia, che con l'intervento del Presidente Obama ha preso nuovo slancio, è una strategia alla quale abbiamo concretamente partecipato. Io ricordo, nel mio piccolo, il mio incontro a Washington


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con Bob Gates, Ministro della difesa americana - avvenuto, per caso, immediatamente dopo la presentazione del rapporto Mc Crystal -, l'azione continuativa del Ministro degli esteri, i colloqui con Obama del Presidente del Consiglio; ebbene, debbo riferire alle Commissioni che, per la prima volta, il Capo di stato maggiore della Difesa e gli altri alti quadri militari hanno mostrato soddisfazione per un intervenuto nuovo modo di rapportarsi in termini di intelligence. Infatti, è stata registrata con soddisfazione dall'Italia una maggiore condivisione dell'intelligence da parte degli Stati Uniti. Essa mi era già stata preannunciata da Bob Gates e, devo dire, che è stata effettivamente registrata dai militari ed è stata verificata anche a livello diplomatico.
Poc'anzi ho affermato di voler sinteticamente illustrare gli elementi su cui si baserà la nuova strategia. Andando veramente per sintesi, possiamo dire che il primo elemento è la priorità della lotta contro il terrorismo di Al Qaeda. Non dobbiamo, infatti, dimenticare che, come è stato già detto, la ragione prima della nostra presenza in Afghanistan non è solo la ricostruzione di quel Paese, ma è tenere lontano dalle nostre città, dalle nostre nazioni e dalle nostre famiglie il pericolo del terrorismo, o almeno l'accrescersi di tale pericolo.
Il secondo è la contestualità dell'intervento militare e civile, appena citata.
Il terzo è l'enfasi sull'afganizzazione, ossia il trasferimento in tempi certi alle autorità afgane della piena responsabilità della gestione della crisi.
Il quarto, di estrema rilevanza, è l'importanza dell'adeguato addestramento delle forze afgane. Anticipando quello che più in dettaglio vi dirò tra breve, mi limito a far presente che l'obiettivo non è più solo quello - pur molto ambizioso - di mettere sul terreno del teatro afgano gli OMLT, cioè dei battaglioni afgani che abbiano all'interno un rapporto di uno a dieci o di uno a quindici di militari del contingente internazionale (tale è stato il massimo di coinvolgimento delle forze armate afgane finora). L'intento, adesso, è invece di operare in condizioni di partnership vera e propria, cioè con un rapporto non più di uno a dieci, ma di uno a due, o magari anche di uno a uno, utilizzando la loro capacità di stare sul terreno, che sarà assai migliore di quella attuale, dopo un adeguato addestramento delle Forze armate. Per questo nuovo sforzo di addestrare adeguatamente le forze armate afgane, noi, così come abbiamo dimostrato sul terreno delle forze di sicurezza e delle forze dell'ordine con i carabinieri, siamo considerati un'eccellenza.
L'ultimo elemento, infine, anch'esso già ricordato dal Ministro Frattini, è l'importanza dell'approccio regionale, che coinvolga, cioè, anche i Paesi confinanti - in particolare il Pakistan - che si trovano ad affrontare le stesse minacce. A questo riguardo devo esprimere soddisfazione per la rinnovata volontà politica con cui l'Afghanistan sta affrontando il problema, nonostante i rischi maggiori e rinnovati. Le cronache ci mostrano, infatti, un numero di attentati in Pakistan assai superiore che in passato e ciò fa da riscontro ad una maggiore volontà politica e ad una effettiva e concreta azione in quella fascia di confine non proprio definita tra Afghanistan e Pakistan.
Vorrei soffermarmi un momento sul settore addestrativo. Come dicevo, il nostro obiettivo è quello di poter combattere, quando sarà necessario, avendo l'appoggio di una vera partnership delle forze afgane. Entrando nell'aspetto più prettamente militare, ricordo che già adesso, in fase di combattimento, è compito delle forze afgane muoversi, mentre le truppe internazionali hanno il compito di chiudere le vie di fuga, di guardare loro le spalle e, ove occorra, di intervenire a loro sostegno. Nella nostra zona è sempre stato così.
Ebbene, questa modalità non cambierà, ma essa potrà basarsi su condizioni di maggiore affidabilità delle capacità militari afgane.
Della nuova strategia è già stato detto qualcosa e, tra breve, farò un approfondimento. Prima vorrei ancora sottolineare l'importanza dell'aspetto civile del nostro


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impegno in Afghanistan. Esso è stato ribadito anche dal Presidente Obama, che, quindi, ci trova pienamente d'accordo.
Il dato che a noi sembra importante far capire è che l'aumento delle truppe - punto focale del mio intervento - è finalizzato proprio a rendere possibile quel parallelismo cui facevo riferimento poc'anzi: truppe in numero non adeguato non consentono di svolgere un'azione militare di conquista del territorio, della sua bonifica e, contemporaneamente, l'avvio della fase di ricostruzione; una maggiore presenza militare, al contrario, rende quasi contemporanee la conquista dell'agibilità territoriale e l'avvio dell'azione che possiamo definire «civile», intendendo con questo dire ricostruzione, scuole, sanità eccetera.
Passo ora a illustrare velocemente quali siano le modalità per raggiungere tale scopo, ripetendo il contenuto del rapporto Mc Crystal. Le modalità per neutralizzare Al Qaeda consistono nel negare ad essa un rifugio sicuro (sembra banale, ma è importante). Bisogna poi impedire ai talebani di rovesciare il Governo afgano e rafforzare le energie del Governo stesso, affinché gli afgani possano gestire il loro futuro. È necessario adottare una strategia militare che interrompa l'attuale momentum talebano e aumenti le capacità operative afgane nell'arco di diciotto mesi; attuare una più efficace strategia civile e combattere su entrambi i lati del confine con una più forte partnership con il Pakistan.
La strategia militare è incentrata sull'aumento rapido delle truppe americane (30 mila uomini entro luglio 2010), sulla concentrazione degli sforzi nelle aree più densamente popolate, sull'addestramento degli afgani a operazioni congiunte, sull'aumento delle truppe internazionali e sull'inizio non indeterminato della fase del rientro. Esso è stato fissato congiuntamente - naturalmente con possibilità di verifica - per il 2011 secondo l'ottimistica ma ragionevole valutazione del Presidente Obama per il 2011, ma il Ministro degli esteri Frattini ha più prudentemente indicato nel 2013 il momento conclusivo di questa operazione.
In cosa consisterà la presenza italiana? Credo che siate già a conoscenza dell'intervenuta valutazione del Governo, avvenuta a seguito degli incontri di cui ho già accennato, ossia dell'incontro del Ministro Frattini con la signora Clinton, del mio incontro con Bob Gates, dei colloqui del Presidente Berlusconi con Obama e, soprattutto, della visita di Rasmussen, che ha formalmente richiesto un'incremento fino a 1600 uomini italiani.
La nostra valutazione, come sapete, è di incrementare di mille uomini la presenza dei nostri militari, tarandola sul livello di presenza media prima dell'aumento dovuto alla contingenza delle elezioni afgane. Tale contingenza è già rientrata in quanto, come sapete, in ossequio all'impegno preso con voi, benché si parlasse già di un possibile aumento di mezzi, ho ritenuto di dover dare disposizione affinché non fosse modificata la data del rientro dei circa 450 uomini in più inviati in coincidenza delle elezioni. Essi, infatti, sono tutti da tempo rientrati in Italia.
La presenza media in Afghanistan, nel periodo antecedente alle elezioni presidenziali, era di 2.795 fra uomini e donne. Vorrei fare un'avvertenza utile anche per i numeri che dirò in seguito. Non ha senso parlare del numero che c'è in un dato giorno. Ha senso, invece, parlare di presenza media. Infatti, in questo momento, ad esempio, non c'è la Folgore in Afghanistan, ma c'è la Brigata Sassari, che ha un dispositivo logistico che impone un numero maggiore di uomini, in quanto hanno più mezzi pesanti, maggiore necessità di manutenzione e così via. Quello che conta è, quindi, la presenza media, non la presenza in un determinato giorno.
La presenza media nel teatro operativo dell'Afghanistan, nel periodo precedente alle elezioni, era di 2.795 uomini; entro giugno 2010, cioè nel periodo che parte da gennaio e arriva a giugno 2010, noi contiamo di realizzare una presenza media di 3.300 uomini. Essa sarà, invece, di 3.700 uomini nell'ottobre 2010. In ogni caso, per


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evitare equivoci e per seguire sempre il criterio della massima trasparenza, voglio dire che questo aumento della presenza media, che come vedete sarà leggermente inferiore ai mille uomini - nel primo semestre non aumenterà sensibilmente, realizzandosi l'aumento maggiore solo nel secondo semestre - potrà portare a picchi che, comunque, resteranno sempre al di sotto delle quattro mila unità.
Vi fornisco, dunque, anche un tetto, sebbene di solito non sia necessario farlo. Per il percorso che vogliamo compiere, la presenza media sarà di 3.700 uomini nel secondo semestre, che è quello più importante, con picchi che rimarranno al di sotto dei 4.000 uomini, ivi compresi i 200 carabinieri che, per quel momento, saranno tutti dislocati. Come sapete, infatti, per ora, pur avendo già dato la nostra disponibilità, ne abbiamo schierati soltanto 60, in quanto il nostro contingente, per mancanza di luogo o di persone da addestrare, non è stato ancora messo in condizione di schierare gli altri. Come avete già appreso, noi faremo fronte a questo aumento di mille unità medie - mi riferisco, naturalmente, alle risorse - con una prevedibile riduzione di truppe, pur avvertendo che non vi è equivalenza tra il costo di un militare in Afghanistan e quello di un militare impiegato in un'altra missione internazionale.
È giusto, tuttavia, riferire non soltanto l'entità della presenza con riguardo ai costi, ma anche con riguardo alla presenza umana; ciò significa, infatti, che il livello di addestramento delle nostre Forze armate è tale da consentirci queste presenze che, ve lo ricordo, vanno sempre moltiplicate almeno per tre, in quanto, naturalmente, ci sono i turni. In Kosovo abbiamo attualmente 1.900 uomini; nel giugno del 2010 contiamo di scendere a 1.400, con un calo, quindi, di 500 unità e a 600 nell'ottobre del 2010, con una riduzione, quindi, di 1.300 uomini.
Si tratta di un obiettivo che mi dicono sia raggiungibile; io però sono più prudente. Tuttavia, se anche da ora a ottobre, anziché di 1300 unità, li riducessimo di un migliaio, questo risultato sarebbe già in grado di pareggiare i conti.
In Libano, passando il comando agli spagnoli - come è giusto che avvenga e come faremo, senza opporci minimamente, sebbene qualche notizia sia andata in questa direzione -, diminuiremo automaticamente di 200 unità la nostra presenza. Tali unità sono legate a quella che ai miei tempi si chiamava compagnia-comando o qualcosa del genere. Vorrei, peraltro, rivolgere il mio ringraziamento al generale Graziano per l'opera che ha svolto insieme a tutto il contingente in Libano e per la qualità del suo personale comando, che è stata apprezzata da tutti coloro che sono presenti nell'area più di quanto si possa immaginare, apportando un beneficio di immagine per la nostra comunità nazionale che, da solo, vale la missione, anche al di là degli aspetti tecnici, militari e politici della stessa.
Mi auguro, tuttavia, e il mio appello è rivolto tanto al Ministro degli esteri, quanto alle strutture militari, che si possano coinvolgere in questa zona anche altri Paesi che oggi non partecipano, senza dover immaginare una riduzione drastica della presenza in Libano, facendo affidamento sulla disponibilità - anche marginale - di altri Paesi a contribuire a tale missione, magari con un massimo di 400 uomini. Per esempio, abbiamo avviato, occasionalmente ma non troppo, un colloquio con il Cile in tal senso, che il Ministero degli esteri proseguirà. Ciò potrebbe alleggerire la nostra presenza, senza far venir meno il fulcro portante della qualità nella missione. Bisogna anche tener conto del fatto che quella missione gode di un rimborso ONU che per noi è solo simbolico, ma che per altri Paesi è molto meno simbolico. Attualmente, mi pare che con noi ci siano i ghanesi: ebbene, essi, con l'entità del rimborso, si pagano abbondantemente la missione.
È chiaro, tuttavia, che la priorità da perseguire è il livello della qualità della presenza del contingente; a patto che la qualità della missione non decresca in


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nessun modo, noi siamo interessati a valutare il coinvolgimento di altri Paesi.
Seguendo la cartina geografica dell'Afghanistan, mi piacerebbe farvi notare una cosa. Vedete che, stranamente, la forma della zona ovest dell'Afghanistan è molto simile a quella dell'intero Paese e facilmente confondibile. In questa zona, noi contiamo di riaffermare la concentrazione del rafforzato contingente italiano. Sempre in questa zona, peraltro, abbiamo fatto anche degli investimenti importanti; in particolare, a Farah, a Herat, e nelle altre zone che vedete indicate, abbiamo fatto degli investimenti anche consistenti in infrastrutture.
Tale zona, dove abbiamo la presenza, è grande complessivamente come metà dell'Italia. Noi riteniamo che la nuova strategia abbisogni di un rafforzamento, in questa zona, quanto meno di mille uomini; pertanto, la logica - che mi era parsa abbastanza condivisa dai vertici della NATO e dallo stesso Bob Gates - è di mantenere il comando italiano e di destinare le nostre Forze all'interno di questa area. Peraltro, noi non abbiamo più veri e propri limiti all'impiego, se non il limite delle sei ore per l'impiego fuori dall'area. La notizia che vi ribadisco, tuttavia, è che quel remark non è mai stato utilizzato proprio a causa dell'ampiezza della zona ovest. Immaginare un utilizzo fuori dall'aria dei nostri soldati, quindi, è un'ipotesi di scuola, che magari potrà anche eccezionalmente verificarsi, ma che sicuramente non sarà mai la regola. In ogni caso, la nota dell'avvertimento delle sei ore è rimasta e nessuno ci ha chiesto di eliminarla.
È bene che si sappia, inoltre, che attualmente, la parte a est di Farah, benché sia zona ovest, vede la presenza pressoché autonoma di truppe inglesi e americane. Non è possibile modificare la zona ovest, in quanto essa ha una valenza amministrativa, ma dal punto di vista militare, tuttavia, è giusto dire che vi è un'area che è come se non fosse nella zona ovest. Ciò consentirà un concentramento ulteriore delle nostre truppe nel resto nell'area.
Naturalmente, noi abbiamo immaginato di rafforzare anche i mezzi che servono da supporto alle nostre Forze. Li incrementeremo con il dispiegamento di quattro velivoli AMX, che hanno già sostituito i due Tornado, conservandone, tuttavia, lo scopo e le modalità di utilizzo; di tre elicotteri da combattimento, in aggiunta ai sei già in aria; di tre elicotteri AB 412 e AB 212 da trasporto ed evacuazione medica, in aggiunta ai sette che sono già in aria; di tre aerei da trasporto C-27J, in aggiunta ad un C-130J, già in aria, e di due velivoli a pilotaggio remoto da ricognizione che avevo inteso assicurare subito per una maggior sicurezza e che si aggiungeranno ai tre già in aria. È stata, inoltre, avviata l'immissione delle nuove ralle protette per incrementare la sicurezza del personale a bordo dei veicoli Lince. Per il 2010 si conferma, quindi, la tipologia e il numero dei principali mezzi presenti attualmente nel teatro.
Peraltro, è in corso uno studio per determinare l'immissione di mezzi ruotati o cingolati e ad ala rotante in funzione dell'incremento del quarto battlegroup previsto nella seconda metà dell'anno.
A questo proposito, vi fornisco un ulteriore notizia tecnica. Noi operiamo, oltre che con cinque OMLT, ossia battaglioni afgani con una presenza di italiani di uno a dieci, anche con tre battlegroup italiani, cioè tre battaglioni in grado di combattere. L'impegno è di portarli a quattro. Questo potrà avvenire rafforzando quelli esistenti a partire da giugno, mentre, a partire da ottobre 2010, immaginiamo di poter avere in campo a pieno regime anche il quarto battlegroup.
Abbiamo già immaginato di inviare nel 2010 una prima aliquota del nuovo mezzo blindato Freccia e dei dispositivi avanzati di autoprotezione contro gli ordigni esplosivi improvvisati.
A tal riguardo - questo è un mio pallino -, ritengo utile assicurarsi di disporre del meglio che la tecnica può offrire nel campo dei disturbatori di frequenza, i cosiddetti Jammers, che rendono impossibile attivare a distanza gli ordigni improvvisati. Tali ordigni sono stati utilizzati


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più volte, provocando danni ai nostri soldati. Sembra che nell'ultimo attentato vi fosse un guidatore nella macchina esplosa, anzi, questa è la conclusione certa; tuttavia, capiamo perfettamente che la possibilità di avere uno strumento che renda impossibile l'azionamento di tali ordigni attraverso un telecomando è importante. A questo riguardo, c'è stata inizialmente un'acquisizione di urgenza di un sistema disturbatore prodotto in Inghilterra; adesso, dopo una gara secretata, anche con produzioni italiane, ma con libreria inglese, contiamo di poter disporre del massimo che la tecnologia ci consente. La libreria è, per inciso, l'immissione nello strumento delle frequenze che si ritiene possano essere utilizzate; per accelerare la produzione utilizziamo quelle inglesi che sono le più avanzate.
Credo, a questo punto, di avere detto tutto. In conclusione, non mi resta che ringraziare il Parlamento, e non è un ringraziamento di maniera. Lo ringrazio, innanzitutto, per la sensibilità che in questo campo ha dimostrato e che non è venuta meno neanche in momenti di aspra polemica politica su altro terreno. Questo fa onore all'Italia, a questo Parlamento, alla maggioranza e all'opposizione. Certo, non c'è stato un voto favorevole unanime per quanto riguarda l'ultimo decreto di finanziamento, ma lo comprendo. Pur comprendendo, ma, naturalmente, non accettando le ragioni polemiche di una parte dell'opposizione che non ha voluto dare voto favorevole, ho preso per buono il fatto che non ci sia stato, comunque, neanche un voto contrario e che il Partito democratico e le forze di maggioranza abbiano invece espresso un voto unanime. Di tale voto non vi ringrazia il Ministro Frattini o il Ministro La Russa; non vi ringrazia il Presidente Berlusconi, ma vi ringraziano i tanti ragazzi e le tante ragazze che ogni giorno, negli angoli più disparati del mondo, e in particolare in Afghanistan, fanno davvero qualcosa per la pace e contro il terrorismo.
A loro - scusatemi se lo faccio con una vena che può sembrare di maniera ma che, vi assicuro, non lo è - in vista dell'avvicinarsi della festività natalizia, che rende loro più pesante lo stare lontani da casa, rivolgo, anche a nome vostro, il nostro augurio e il nostro abbraccio. Augurio e abbraccio che saranno trasmessi anche dai Presidenti della Camera e del Senato, i quali mi hanno preannunciato che, in date diverse, raggiungeranno non l'Afghanistan, ma due delle missioni, per portare simbolicamente il saluto di tutto il Parlamento ai nostri contingenti. Vi ringrazio per l'attenzione.

PRESIDENTE. Grazie, signor Ministro. Avverto che il tempo complessivamente a disposizione per gli interventi è pari a 55 minuti ed è stato calcolato in modo da consentire al Governo di svolgere le repliche negli ultimi 15 minuti della seduta. Poiché vi sono tredici iscritti a parlare, invito i colleghi a contenere ciascun intervento nel limite di quattro minuti.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

PIERO FASSINO. Farò in fretta perché il tempo è stretto e interverranno altri deputati e senatori.
Ringrazio i Ministri dell'ampia informazione e ringrazio sinceramente, come altrettanto sinceramente lo ha fatto, il Ministro La Russa per le parole di apprezzamento nei confronti dell'opposizione e del ruolo del Parlamento. Con la stessa sincerità devo però dire che non abbiamo apprezzato il fatto che si sia arrivati a questa discussione a decisioni assunte, perché abbiamo appreso la decisione di inviare 1.000 soldati in più in Afghanistan qualche giorno fa, aprendo i giornali, nelle notizie che davano conto dello svolgimento del vertice NATO a Bruxelles.
Il Governo non ha detto di prendere atto della richiesta avanzata dalla NATO, che l'avrebbe portata in Parlamento e che ne avrebbe fatto sapere i seguiti, ma nel giro di poche ore ha annunciato che quella richiesta veniva accolta e che noi avremmo mandato 1.000 soldati in più, tanto che il Segretario di Stato americano Hillary Clinton


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ha dichiarato la sua grande soddisfazione per l'Italia, Paese più leale e più fedele.
Poiché dobbiamo assumere decisioni delicate e, come dichiarato dal Ministro La Russa, si può contare su un'opposizione che non si sottrae dal farsi carico delle responsabilità, non capisco perché queste decisioni non si debbano prendere nei momenti e nelle sedi giuste.
Registro che tra l'altro il vertice NATO si è svolto ventiquattro ore dopo la discussione in Senato sul rifinanziamento delle missioni; quindi c'era anche l'occasione per poter avere un confronto in Parlamento senza far perdere nulla.
Concordo con la considerazione del Ministro Frattini secondo cui ci sono decisioni che, anche per la loro credibilità politica internazionale, devono essere assunte con tempestività, ma al Senato c'era la discussione sul rifinanziamento delle missioni in cui si poteva portare l'orientamento del Governo, per andare il giorno dopo al vertice NATO e annunciare la decisione di inviare 1.000 soldati in più.
Non si tratta di un aspetto formale, perché, dal momento che assumiamo decisioni impegnative per tutti, e ciascuno di noi per la parte che gli è data risponde all'opinione pubblica di queste decisioni, non è indifferente anche il procedimento di decisione e il modo con cui le forze politiche assumono le proprie responsabilità, nel pieno rispetto delle prerogative del Parlamento.
Non sono solito fare polemiche, ma credo che questo valga quantomeno a futura memoria, giacché chiediamo che d'ora in avanti tutti gli impegni che riguardano le missioni internazionali di pace siano portati alle sedi parlamentari con le modalità e i tempi giusti, rispettosi delle prerogative del Parlamento in modo da consentire a ciascuno di noi di farsi pienamente carico delle decisioni assunte.
Sul merito mi pare che la strategia sia quella di mandare più soldati per avere poi la certezza di poterli fare tornare, con l'intenzione non di restare all'infinito, ma di garantire un rafforzamento al fine di accelerare un processo di afganizzazione che consenta, in tempi relativamente prevedibili, di ridurre l'impegno internazionale in Afghanistan, perché si sono create le condizioni di una stabilità autosufficiente e sostenibile dagli afgani stessi.
Ovviamente, tutti condividiamo questa strategia. Credo che non possiamo avere una discussione che sia ispirata soltanto dall'interrogativo su quando veniamo via, perché la risposta dipende da quello che lasciamo. Abbiamo tutti presente che quando i russi si ritirarono precipitosamente dall'Afghanistan arrivarono i talebani e in una settimana impiccarono tutti coloro che avevano cooperato con i russi, e nessuno di noi si può permettere di prendere decisioni che ci mettano di fronte alle stesse immagini. C'è un problema morale, prima ancora che politico, e proprio per questo siamo consapevoli che lo sforzo che va fatto deve essere sostenuto.
Non riprendo tutti gli elementi strategici che naturalmente sono condivisibili, ma insisto su un punto: quella strategia ha la possibilità di essere vincente, o quantomeno praticabile, in quanto si rafforzi l'azione di dialogo interno tra il Governo afgano e quei settori, anche degli insorgenti afgani, che sono disponibili ad andare a un accordo di pacificazione. Se non c'è questo punto, anche il nostro impegno militare rischia di essere assolutamente vano, anzi, paradossalmente, indicare una data è perfino pericoloso. Se dichiariamo di restare fino al 2011, 2012 o 2013 senza attivare contemporaneamente un processo di pacificazione, la prima reazione di un comandante talebano sarà dire che resisterà un minuto di più.
Il problema di come mettiamo in campo un'iniziativa - affidata non soltanto al Governo Karzai, ma all'iniziativa internazionale ed europea in particolare - per sostenere l'attivazione di un processo di dialogo che renda evidente che noi rafforziamo il nostro impegno militare non per fare una guerra ma per creare le condizioni dell'afghanizzazione, è un punto fondamentale.
Chiederei inoltre di fare un'attenta riflessione sulla diminuzione della nostra


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presenza in altri teatri, perché passare da 1900 a 1400, e poi a 600 unità in Kosovo in meno di un anno è una scelta da verificare attentamente. Abbiamo fatto uno straordinario lavoro di stabilizzazione nei Balcani, ma il Kosovo è un punto ancora dedicato. Abbiamo presente quanto è successo nelle recenti elezioni, per cui chiederei un supplemento di verifica su questo. Tra l'altro, i Balcani sono un'area di interesse per il nostro Paese anche dal punto di vista della contiguità geofisica e geopolitica.
Ultima questione: poiché inviamo 1.000 soldati, o poco più di 900, con un impegno significativo sul piano militare e anche finanziario, chiediamo di garantire un equilibrio tra il rafforzamento dell'impegno militare e delle risorse dedicate e il rafforzamento dell'impegno sul settore civile. Non vorremmo infatti che il rafforzamento fosse solo finalizzato ai 1.000 soldati in più, pur condividendo le ragioni per cui lo facciamo. Per ogni euro in più che spendiamo per mandare soldati è necessario prevedere di avere 1 euro in più anche per l'impegno sul terreno economico, civile e della ricostruzione. Questo è coerente con l'impianto che ci siamo dati.

VINCENZO GALIOTO. Ringrazio i Ministri Frattini e La Russa per i loro interventi, che hanno chiarito tutti gli aspetti della questione che stiamo affrontando. Da tali interventi emergono il ruolo centrale che il nostro Paese ha avuto e continua ad avere nella vicenda Afghanistan e il valore aggiunto che il nostro esercito sta continuando a portare con accordi e con sollecitazioni, ma anche con apprezzamenti da parte di tutti gli alleati, in primis gli Stati Uniti, nonché della NATO e dell'ONU.
All'inizio del suo intervento, il Ministro Frattini ha chiarito gli obiettivi. Essi sono il temporaneo aumento del numero dei nostri soldati - che è soprattutto finalizzato a cercare di venire fuori dal teatro di operazioni nel più breve tempo possibile (il Ministro La Russa ha richiamato i tempi previsti e l'obiettivo, più lontano, del 2013) -, e altri due obiettivi contemporanei: la responsabilizzazione degli afgani, che deve avvenire con la loro formazione e con la loro capacità di difendersi e andare avanti da soli, gestendo situazioni fino ad oggi cogestite o gestite dagli altri Paesi presenti, e, altrettanto importante, la continuazione di una presenza post-bellica di cooperazione e sviluppo, utilizzando e stimolando le risorse di quel Paese o cercando di recuperare e di incentivare risorse che nel tempo sono state perse.
Vorrei sottolineare il ruolo che il nostro Paese e le altre forze presenti in Afghanistan devono continuare nel frattempo ad avere in maniera sempre maggiore sulla lotta al terrorismo, per una ricaduta interna, ma anche esterna. Parlo della ricaduta interna per i costanti tentativi dei talebani di sovvertire questo Governo che con grandi difficoltà sta cercando di portare la democrazia in Afghanistan. Il terrorismo è collegato con un sistema internazionale che, basandosi sulla produzione e sul commercio della droga, diffonde le ricadute sugli altri Paesi.
Credo quindi che, al di là degli obiettivi da voi rimarcati e assolutamente condivisibili, sia necessario lavorare sulla lotta al terrorismo in senso preventivo interno, ma anche a livello internazionale.

GIAN PIERO SCANU. La mia domanda è finalizzata ad avere possibilmente una risposta secca. A meno che non mi sia distratto, non mi è parso di aver sentito pronunciare la parola ISAF o Enduring Freedom, benché le due realtà dal punto di vista dei rispettivi deliberati siano pienamente cogenti.
L'impiego di 1.000 militari in più è stato illustrato nei termini che abbiamo appena appreso. Mi farebbe piacere sentire esplicitamente affermare dai ministri che il nostro contingente opererà rigorosamente ed esclusivamente nell'ambito del mandato che il Parlamento ha dato al Governo italiano, quindi all'interno della determinazione governata dall'ISAF.
Questo è importante perché un'affermazione del Ministro La Russa, che forse ho interpretato solo parzialmente, dava


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conto del fatto che l'unico limite sia quello del preavviso delle sei ore. Forse si riferiva a ciò che è rimasto dei caveat di un tempo. Ha inoltre affermato che i nostri militari sono chiamati a chiudere le vie di fuga, a guardare le spalle e a intervenire in loro sostegno.
Non credo che questa sia la sede per entrare nei dettagli. Mi riterrei soddisfatto, se venisse esplicitamente affermato che non ci sarà alcun impegno estraneo al mandato che il Parlamento ha conferito. Grazie.

MARGHERITA BONIVER. Credo che siamo tutti assolutamente consapevoli della eccezionalità non soltanto di questa discussione, ma della situazione in generale, che ha fatto emergere la necessità imperiosa del Presidente americano di progredire verso questo surge, con l'invio di oltre 30.000 uomini, che porterà la presenza militare americana al doppio di quanto era stato schierato dal precedente Presidente repubblicano Bush.
All'appello di Obama ha risposto con grandissima coerenza la scelta di questo invio eccezionale di oltre 1.000 nostri militari, che credo faccia onore all'Italia e al Governo. Questa coerenza oltretutto ci appartiene per intero, perché purtroppo sono ancora molti i tentennamenti a livello NATO e soprattutto a livello europeo, quando molti dei nostri maggiori partner stanno ancora discutendo se proseguire su questa strada, che è in qualche modo obbligata. Le circostanze eccezionali che hanno visto la disastrosa campagna elettorale con scarsa partecipazione, con centinaia di attentati, con il risultato contestato, con la sfida poi ritirata da parte dell'incombente Abdullah Abdullah, con un Karzai che è uscito molto indebolito da tutto questo quadro dimostrano che come NATO ci stiamo giocando la credibilità su uno scenario da tempo molto compromesso per quanto riguarda la risposta alla sfida terroristica, che sembra non avere fine.
La decisione di questo massiccio rafforzamento è dettata soprattutto da un progressivo indebolimento del controllo del territorio dell'Afghanistan. Siamo quindi assolutamente d'accordo con la decisione che il Governo italiano ha così coraggiosamente preso, ma dobbiamo continuare a interrogarci sulla bontà di questa guerra, che è stata dichiarata necessaria da Obama, e necessaria certamente lo è, perché sappiamo perfettamente che, se decidessimo di levare le tende, il giorno dopo l'Afghanistan sprofonderebbe nuovamente nell'incubo talebano.
Dobbiamo però anche continuare a chiederci se la nostra risposta alla regionalizzazione, di cui parlava con grande sobrietà e competenza il Ministro Frattini, cioè quella particolare attenzione a quanto avviene in Pakistan, rappresenti la risposta giusta.
Credo che da questo punto di vista ancora non ci siamo. Il Pakistan non può essere in alcun modo considerato un affare degli Stati Uniti: l'Europa e naturalmente anche l'Italia devono fare molto di più, perché il Pakistan è apparentemente in via di dissoluzione e fronteggia con enorme fatica non soltanto il terrorismo interno, ma soprattutto quello che dalle sue basi colpisce il Paese vicino, cioè l'Afghanistan. Ribadiamo quindi tutto l'appoggio a questa decisione, ma soprattutto una volontà di incidere da un punto di vista regionale, che mi sembra sia ancora il lato più debole di questa nuova strategia.

ROBERTA PINOTTI. Anche io ringrazio i ministri per la comunicazione. Il fatto che alcuni esponenti del Partito democratico abbiano anticipato taluni argomenti mi consente di essere più sintetica, di stare nei quattro minuti e di esprimere le mie riflessioni.
Per prepararmi a questa audizione ho riletto con attenzione il discorso del Presidente Obama, che annunciava la nuova strategia. Obama parte dal perché nasce la questione dopo l'11 settembre, ricorda che per la prima volta è stato invocato l'articolo 5 del Trattato della NATO, spiega perché ci sono stati anche degli errori, il disimpegno in Afghanistan e l'impegno in Iraq, evidenzia i problemi esistenti e indica


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una strategia, che è quella su cui il Governo italiano si vuole inserire, evidenziando l'esigenza di un maggior numero di soldati (ne invieranno 30.000), ma anche con un'idea di moderazione nell'uso della forza militare e del procedere insieme fra il militare e il civile.
Gli Stati Uniti hanno sottolineato l'esigenza di fare molta attenzione a non provocare vittime civili. Sembra infatti che anche recentemente ci sia stato un incidente di questo tipo. Questo è uno degli elementi che consente di far percepire che la strategia militare e civile procedono insieme.
Obama individua inoltre gli obiettivi: negare rifugio ad Al Qaeda, ribaltare la forza dei talebani e impedire loro di ribaltare la situazione afgana, rafforzare la capacità delle forze di sicurezza, indicando anche le modalità, ovvero strategia militare, strategia civile e strategia regionale.
Da questo punto di vista, ho trovato la strategia di Obama convincente. Ritengo quindi che, fatti salvi i problemi metodologici evidenziati dall'onorevole Fassino, il Governo italiano abbia fatto bene a rispondere positivamente a questa richiesta. Mi permetto però di sottolineare tre aspetti.
Ringrazio il Ministro La Russa per avere ricordato come su questioni di questo tipo si debba spesso accantonare la polemica politica, per guardare all'interesse del Paese. Chiedo però anche alla maggioranza nel discutere delle missioni di non usarle in funzione di politica interna, perché questo può essere molto negativo per le truppe impegnate in missioni difficili e per la nostra immagine internazionale.
Il problema non è di oggi, ma dopo l'ultimo, sanguinoso attentato in Afghanistan che è costato la vita a sei nostri militari, abbiamo assistito sui giornali a un dibattito tra il Ministro della Repubblica Bossi che sosteneva l'opportunità di un ritiro di tutte le truppe, il Presidente del Consiglio che proponeva di ritirarne 500, che erano quelli in più per le elezioni, mentre oggi dobbiamo mandarne di più.
Questa richiesta di Obama era prevedibile già allora. Con l'attenzione che l'opposizione ha su un tema su cui vota favorevolmente, vi chiediamo che questo spettacolo non si ripeta.
La seconda questione riguarda l'attenzione alle altre missioni. Condivido l'esigenza di essere molto attenti per quanto riguarda il Kosovo, mentre sul Libano è stata presentata un'altra idea. Si tratta comunque di uno scenario mediorientale, quindi anche le truppe devono essere di Paesi che abbiano un ruolo rispetto a quello scenario.
La terza questione è il discorso delle risorse. Il Ministro La Russa ci ha spiegato che l'incremento di 1.000 uomini deriva anche dalla possibilità di diminuire alcune presenze in altre missioni. Sappiamo che i conti devono tornare, però credo che per questioni di questa importanza dover fare troppo i conti possa diventare un problema. Il fatto che non ci sia più un fondo per le missioni, anche se poi vengono finanziate, è un problema. Sono tre elementi su cui portare l'attenzione, se vogliamo che questo ruolo che l'Italia intende svolgere sia sostenuto dalle scelte interne.

LUIGI RAMPONI. Sono molto soddisfatto dalla decisione del Presidente Obama, non tanto per la sua caratteristica e per i suoi dettagli, quanto perché effettivamente la situazione in Afghanistan stava diventando di estrema precarietà, per cui la definizione di una strategia è il primo aspetto altamente positivo.
La strategia è su tre punti, il primo dei quali è il rinforzo militare peraltro chiesto dal responsabile in loco, anche a seguito di un'analisi molto approfondita effettuata presso il Pentagono. A questa richiesta Obama ha risposto con l'invio di 30.000 uomini, noi con 1.000, nell'ambito dell'ONU con una risoluzione delle Nazioni Unite.
Ritengo che la nostra risposta così tempestiva, così efficace, per amor di patria sia di estrema soddisfazione. Come dichiarato dal Ministro Frattini e ribadito dal Ministro La Russa, nel contesto internazionale


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essere d'esempio nel rispondere come alleato responsabile ha un ritorno di grande prestigio, che non so quanto la nostra classe politica riesca a capire.
D'altra parte, quando abbiamo avuto il problema del Libano ci siamo comportati alla stessa maniera. Non in questa sala, ma in quella del Mappamondo, abbiamo discusso, ma l'Italia aveva già detto in maniera estremamente opportuna e tempestiva di fronte a tutto il mondo di essere pronta a intervenire fra israeliani ed hezbollah. Allora si discusse della chiarezza della risoluzione delle Nazioni Unite, di certi atteggiamenti molto amichevoli nei confronti dei capi hezbollah peraltro definiti terroristi pericolosi. Tuttavia, anche allora il Governo decise giustamente di rispondere, anzi assunse l'iniziativa, che non fu sottoposta al Parlamento, perché in certe situazioni internazionali ha un altissimo valore politico rispondere tempestivamente, come accaduto in questo caso.
Ogni volta che si ricordano i grandi ritorni di queste nostre iniziative sia per quanto fanno i nostri soldati, sia per la tempestività, sarebbe opportuno che la classe politica italiana capisse che le priorità e l'importanza devono essere tenute in considerazione anche nel momento in cui si fanno le assegnazioni. Il fatto di fare le capriole e diventare pazzi per riuscire a trovare questi 1.000 uomini stride rispetto a quando si afferma che abbiamo avuto un grande ritorno, che è un grande successo, che tutti rispettano l'Italia. Sarà bene ricordarsene anche nel momento in cui si decide come sostenere finanziariamente le missioni.
Il rinforzo è positivo anche per i nostri uomini, perché disporre di 1.000 uomini in più significa aumentare la capacità operativa, di controllo del territorio e quindi garantire maggiore sicurezza per i nostri uomini in un'area talmente estesa.
Il secondo pilastro è quello civile. Ho sentito con piacere che anche sul civile stiamo aumentando l'impegno. Si è parlato della giustizia, dell'agricoltura, delle infrastrutture, dell'educazione, della Guardia di finanza che insegnerà loro, come già sta facendo, l'attività di frontiera. Concordo quindi sull'esigenza di integrare lo sforzo finanziario italiano, normalmente indicato nel primo articolo della legge di copertura. Non c'è dubbio che sia necessario.
Il terzo pilastro mi è parso trascurato, mentre considero il Pakistan la chiave del successo. Nessun movimento guerrigliero è mai stato battuto fino a quando ha potuto avere un rifugio in uno Stato vicino.
Il Presidente degli Stati Uniti ha affermato che fino a quel momento il discorso con il Pakistan è stato molto diretto e che esortava tutti a svolgere una funzione di collaborazione. Il nostro Ministro degli esteri è stato uno dei primi a recarsi in Pakistan e nei confronti di questo Paese abbiamo cancellato un debito e abbiamo dato sostegno. Considero tuttavia doveroso rinforzare ulteriormente il nostro e l'impegno dell'Europa in Pakistan. L'Europa invia migliaia di uomini a combattere e dal punto di vista diplomatico non fa nulla in Pakistan.

FABIO EVANGELISTI. Ho ascoltato con grande interesse le due relazioni che ci sono state proposte, ma faccio fatica a non cogliere e a non evidenziare una sostanziale contraddizione nella giustificazione più volte sottolineata dai due ministri, ovvero che siamo là perché dobbiamo difenderci.
Dobbiamo difenderci dalla minaccia jihadista, la cui presenza secondo il ministro Frattini è ormai evidente non soltanto in Europa, ma anche nel nostro Paese. Se così fosse, non si capisce come si possa immaginare di fissare una data per quanto riguarda la fine del nostro impegno in Afghanistan. Non può essere una data fissata sul calendario, ma può essere una data soltanto segnata dalla sconfitta della minaccia stessa. Le motivazioni devono quindi essere cercate altrove.
Mi ha colpito invece che ancora una volta siano state portate cifre, dati, elementi, che però sono fuori dalla messa in discussione di quella che si è rivelata una strategia fallimentare, ovvero la strategia puramente militare. Da questo punto di vista, non so se gli apprezzamenti di oggi


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nei confronti del Presidente Obama suonino opportuni. Sicuramente, non so se sia opportuno il premio Nobel che gli è stato appena conferito, che appare intempestivo, rispetto al quale forse sarebbe stato opportuno salvaguardare anche la dignità del nostro Paese.
Abbiamo saputo che il 25 novembre il Presidente Obama ha avuto una cordiale telefonata con il premier Berlusconi, che ha costanti frequentazioni con Putin, Gheddafi, Lukashenko, e immediatamente ha dato la sua disponibilità e il via libera all'invio di 1.000 uomini, contraddicendo quanto era stato detto soltanto poche settimane prima nelle Aule parlamentari.
Oggi, il Presidente Berlusconi a Bonn ha dichiarato di voler mettere mano alla Costituzione, perché un uomo «super» come lui, uno «con le palle» come lui non può sopportare questo stato di cose. La Costituzione si può cambiare, ma prima di cambiarla deve essere rispettata e osservata. Essa impone il ruolo del Parlamento anche di fronte a decisioni come quelle discusse oggi, rispetto alle quali siamo un Paese in prima linea.
Siamo un Paese in prima linea a ratificare le decisioni degli Stati Uniti. Noi dovremmo però essere protagonisti nel far sì che queste decisioni vengano assunte non dagli Stati Uniti, non dal Presidente Obama, ma dagli organismi di cui facciamo parte: l'ONU, la NATO, l'Unione europea. Qualcuno ha già sottolineato come nelle relazioni non sia stato fatto nemmeno un riferimento al carattere internazionale e multipolare delle missioni.
In questo senso, devo porre delle domande, che formulo anche se so che sono oziose e non avranno nessuna risposta. Vorrei sapere perché una semplice comunicazione e non una discussione in Parlamento, perché non un dibattito interno, perché non portare il nostro contributo alla conferenza che si sarà a gennaio a Londra, che cosa ha impedito che il confronto di oggi con i Ministri in Commissione non potesse essere fatto in Aula?

SALVATORE CICU. Desidero fare una riflessione sulle considerazioni degli onorevoli Fassino e Evangelisti. Credo che a volte si faccia una grande confusione rispetto alle procedure che adottiamo, al di là dei Governi che si succedono.
Andremo infatti a discutere la proposta delle missioni con un decreto che sicuramente verrà portato in Aula a gennaio prossimo. Stiamo quindi realizzando preliminarmente una fase che vede l'impegno assunto da un Governo, che viene immediatamente a riferire nelle Commissioni competenti per un approfondimento, che dà il senso di partecipazione anche del Parlamento.
Poiché sono relatore nella IV Commissione per quanto riguarda la nuova legge quadro sul problema della partecipazione italiana alle missioni internazionali, chiedo un forte impegno dei ministri presenti e dell'intero Parlamento, per realizzare finalmente regole diverse, che riguardano i tempi non solo della comunicazione, ma anche dell'allocazione delle risorse per le missioni, lo strumento per l'allocazione, la tutela dei nostri militari all'estero, che in maniera ibrida vivono ancora a metà tra codice militare di pace e codice militare di guerra. Vorremmo in questo modo riformare una serie di aspetti. Su questo problema chiedo quindi il massimo sforzo da parte di tutti i gruppi parlamentari.
Non mi entusiasmo molto nel ritenere che si possa oggi condividere la politica del Presidente Obama dopo che gli è stato dato il premio Nobel per la politica precedente, quella della campagna elettorale, ma mi entusiasmo e mi motivo maggiormente quando due ministri dichiarano che il Governo italiano e un Paese - che in questo momento dovrebbe essere unito, per dare un importante messaggio di credibilità e autorevolezza - guardano a obiettivi che vanno oltre e che sono riferiti alla sicurezza di una comunità internazionale - lì è la vera sfida - con riflessi sulla comunità italiana, che si inserisce in un quadro di scelte occidentali.
Aumentare i militari ha un senso perché i risultati conseguiti sino ad oggi non sono entusiasmanti. Abbiamo il problema della scolarizzazione, il problema delle etnie, un problema di infrastrutture, un


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problema che riguarda il Governo Karzai che, come sottolineato dal Ministro Frattini e dal Ministro La Russa, deve scrollarsi di dosso un'impostazione che guarda alla corruzione e alla non credibilità delle istituzioni, che non si cura della partecipazione delle etnie e delle tribù, che da secoli continuano a scontrarsi.
Ritengo che in questo momento le Commissioni, l'intero Parlamento e l'intero Paese debbano sostenere l'azione del Governo come l'unica azione possibile, in grado di raggiungere l'obiettivo attraverso la diffusione all'interno dell'Afghanistan del messaggio che le forze multinazionali sono nel teatro afgano per aiutare la popolazione civile, per aiutare a realizzare una condizione di sviluppo sociale, culturale, sanitario, idrico, elettrico, economico, ovvero un progetto che dia il senso della costruzione e del raggiungimento degli obiettivi sottolineati.

STEFANO PEDICA. Ringrazio il Ministro La Russa, il quale accetta anche una parte dell'opposizione che vota e ragiona in modo contrario sulla totalità delle missioni internazionali, come noi abbiamo fatto in Senato.
Mi pongo dei piccoli quesiti, perché parlando con i cittadini recepiamo aspetti che non si riescono a capire. Ancora oggi continuo a non capire quale sia l'obiettivo di questa missione. I ministri La Russa e Frattini hanno parlato di un maggiore impegno in termini finanziari, ma nella legge finanziaria che abbiamo votato in Senato non erano previsti fondi per le missioni internazionali. Mi risulta che ora si siano trovati 750 milioni di euro per tutte le missioni. Vorrei sapere dove li abbiate trovati, visto che al Senato non c'erano, e da dove li abbiate tolti, fatto che mi preoccupa ancora di più visto che il gioco delle tre carte è una specifica missione di questo Governo.
Per quanto riguarda il dibattito in Parlamento, l'onorevole Cicu evidenziava come esso si svolgerà in futuro; ma non si danno numeri prima di dibattere in Parlamento, altrimenti tale dibattito diventa solo una mera acquisizione di dati per giungere sempre alla quota 1.000. Aprire un dibattito in Parlamento dopo aver già risposto con un decreto-legge o con una telefonata è inutile. Si tappa di nuovo la bocca a questo Parlamento.
Non capiamo come sia possibile, sebbene negli ultimi due mesi si siano ritardati i finanziamenti per le missioni internazionali, continuare a parlare di 1.000 uomini, stando al testo che è stato trasmesso alla Camera dal Senato.
Come ha detto il ministro La Russa, che considero bravo, occorre svolgere una riflessione. Mi chiedo infatti se quando il Ministro dice che compito delle nostre forze è chiudere le vie di fuga questo significhi fare da scudi umani. Dubito infatti della sua bravura, se siamo costretti a dire di sì ad altre forze e a fare da scudi umani.
Il Ministro Frattini parla di un disimpegno entro il 2013. Il Presidente Obama ha affermato che le truppe statunitensi inizieranno il ritiro nel 2011, ma lo completeranno solo nel 2013. Vorrei sapere come sia possibile che noi che siamo lì per ricostruire dopo la guerra ce ne andremo insieme ai militari americani che sono lì per combattere.
Non capiamo quindi se la nostra missione sia per ricostruire o per combattere e chiudere come fanno gli americani.

GIANNI VERNETTI. Anch'io ringrazio i Ministri Frattini e La Russa. Condivido la scelta del Governo. Sono convinto che la risposta alle richieste dell'amministrazione americana e della NATO sia stata pronta, e che in politica internazionale, soprattutto in materia di sicurezza e di difesa, la variabile tempo non sia un fatto secondario.
Credo che sia stato giusto da parte del Governo Prodi assumere delle decisioni con la tempestività che ci permise di annunciare l'invio di 3.000 soldati in Libano, di guidare quella missione e ottenere un ruolo politico chiave nella regione.
Condivido quindi l'aspetto temporale, ritenendo giusto dare questa risposta pronta, che si colloca in una strategia politica che il Parlamento ha tutta la


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sovranità e il diritto/dovere di discutere, di emendare, eventualmente di migliorare, con i tempi necessari che inevitabilmente sono diversi dai tempi della decisione politica, che io condivido.
Ritengo che la stabilizzazione dell'Afghanistan e del Pakistan sia una priorità per la nostra sicurezza, e che una maggiore dotazione quantitativa e qualitativa di truppe potrà accelerare i tempi e il processo di stabilizzazione della regione.
Sono molto convinto dell'attività di formazione. Dobbiamo creare le condizioni per istituire l'Afghanistan e per migliorare le capacità operative dell'esercito e della polizia afgana, per cui l'attività di formazione è fondamentale.
I maggiori mezzi rendono più sicuro il nostro contingente e più efficace l'azione militare, laddove la maggiore efficacia e sicurezza del nostro contingente sono condizioni fondamentali per operare con la dovuta serenità.
Dobbiamo creare le condizioni per realizzare un vero nation building. Il consolidamento delle istituzioni afgane necessita di una maggiore presenza di truppe sul territorio, per permettere, una volta conclusa l'operazione militare, di dare alle amministrazioni locali il tempo necessario a consolidarsi. Ritengo quindi che in generale la strategia dell'amministrazione americana e della NATO abbia una sua forte coerenza.
Due brevissime considerazioni sull'approccio regionale, che considero il vero elemento di criticità e di debolezza. Vorrei sapere qualcosa di più sul contributo italiano alla Conferenza di Londra del 28 gennaio. Credo che vadano riprese e rilanciate le positive esperienze di governo delle frontiere. Il Ministro citava l'apprezzata iniziativa con la Guardia di finanza al confine con l'Iran, che potrebbe essere estesa ad altre zone di frontiera strategiche. Un adeguato controllo delle frontiere contribuisce alla lotta e al contrasto al traffico di stupefacenti e può rappresentare un elemento cardine per la ripresa degli scambi economico-commerciali e dell'economia regionale. Il controllo delle frontiere è un progetto che potrebbe essere potenziato.
Vorrei conoscere l'opinione del Ministro Frattini sulle possibilità dello sviluppo energetico. Ho apprezzato molto le dichiarazioni di Scaroni in occasione della visita del Presidente della Repubblica del Turkmenistan, Gurbanguly Berdymukhamedov, su una possibilità sul medio e lungo periodo di gasdotti che dal Turkmenistan possano raggiungere l'Afghanistan fino ai porti pachistani, che mi parrebbe la chiave di volta. Per quegli investimenti servono però la sicurezza e il contrasto al terrorismo, e questo è il senso delle scelte assunte dal Governo, che condivido e che il Parlamento andrà a ratificare nei prossimi mesi.

MARCO PERDUCA. Tra le cose che non ci sono state ricordate oggi c'è la solita questione dell'oppio, che purtroppo non è rientrata né nella relazione del Ministro Frattini né nella relazione del Ministro La Russa, neanche quando ci ha detto che verranno utilizzati dei militari della Guardia di finanza per pattugliare il confine con l'Iran.
Gli obiettivi che sono stati al centro dei contatti con gli altri alleati sono da una parte l'eredità non necessariamente approfondita di tenere i terroristi a casa loro piuttosto che farli venire a casa nostra - cosa che francamente, a sette anni e mezzo di lotta al terrorismo, si potrebbe iniziare a declinare in un altro modo e i dati degli attacchi terroristici nel mondo potrebbero essere studiati in maniera migliore per evitare di continuare con la stessa propaganda -, dall'altro una stabilizzazione del Paese che possa portarci a rappacificare le tribù, coinvolgendole in un processo politico, giacché, come ricordato dall'onorevole Boniver, il Governo manca se non altro di legittimità. La legalità la mettiamo da parte.
Mi chiedo dunque come si possa non considerare il fatto che l'Afghanistan ha il 90 per cento dell'economia informale e che la metà di questo prodotto interno lordo proviene da un prodotto illegale, che


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potrebbe essere preso in considerazione in un altro modo, e s'intenda portare stabilità con il nostro contributo di 1.000 militari in una zona pari alla metà dell'Italia. Possiamo distribuirli tra Kabul e la provincia di Herat o tutti soltanto nell'ovest, ma comunque vogliamo portare 1.500-2.000 persone per controllare un'area così vasta, attraverso cui passa buona parte dell'oppio che poi arriva in Europa.
Ci sarebbe bisogno di decuplicare, eventualmente, la nostra presenza, se gli obiettivi originari fossero in effetti gli obiettivi necessari da raggiungere. Non mi pare, quindi, che i 30.000-35.000 americani e i 5.000-7.000-10.000 che il resto dei membri della NATO offriranno potranno raggiungere questo obiettivo.
Poiché da qui al 28 gennaio c'è un mese scarso, sarebbe opportuno capire il processo di preparazione della Conferenza di Londra, perché si ritornerà un'altra volta a fare molti proclami e a pretendere che Karzai stesso magari arrivi con un Governo formato, magari di unità nazionale, ma credo che con gli obiettivi posti e i contributi economici, finanziari e in termini di truppe ci attendano altri dieci anni di sconfitte.

FEDERICA MOGHERINI REBESANI. Ringrazio il Ministro La Russa soprattutto per averci dato la notizia che abbiamo concretamente partecipato all'elaborazione della nuova strategia. Per questo Parlamento, per queste Commissioni, questa è una notizia, perché negli ultimi mesi non abbiamo mai avuto modo di discutere di quale contributo l'Italia stesse portando nelle sedi multilaterali o bilaterali alla ridefinizione della nuova strategia in Afghanistan.
Meglio avere comunque una comunicazione, anche a posteriori, ma, se l'Italia ha contribuito a definire una nuova strategia, sarebbe stato il caso di discuterne in sede di Commissione o di Aula parlamentare. Il dubbio è che questa enfatica comunicazione non rispecchi necessariamente uno stato dell'arte effettivo. Mi limito semplicemente a citare le parole del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi a proposito dell'adesione italiana al piano di Obama: «L'Italia farà la sua parte», che significa che esiste un piano elaborato da altri, al quale un Paese contribuisce in modo più o meno passivo.
Spero che questo non succeda invece in occasione del percorso che ci separa dalla Conferenza di Londra. Mi unisco agli inviti già formulati, sperando che un dibattito sul contributo dell'Italia si svolga in sede parlamentare.
Temo invece che il nostro Governo si sia limitato a una tempestività nell'annuncio di un'adesione a progetti altrui. È stato citato il tempismo sulle decisioni, prendendo ad esempio la vicenda del Libano dell'ultimo Governo Prodi. Lì c'è la differenza: quella era un'iniziativa del Governo italiano annunciata in quanto tale, mentre qui si tratta invece di una tempestività nell'annunciare l'adesione a un'iniziativa altrui. Per me la differenza risiede non tanto nel tempo dell'annuncio, quanto nel protagonismo dell'iniziativa, di chi fa l'annuncio e di chi aderisce.
L'onorevole Fassino si chiedeva il motivo della corsa a dire di sì, non sfruttando l'opportunità della discussione in corso al Senato. Ci troviamo infatti nella paradossale situazione di discutere in queste settimane una legge finanziaria dalla quale era sparito il fondo per le missioni internazionali, oggi inserito nuovamente con 750 milioni, pari a meno della metà di quanto abbiamo speso quest'anno, con in parallelo la discussione sul rifinanziamento per due mesi delle missioni internazionali. È un'anomalia di questo momento, dovuta - ricordiamolo per evitare astrazioni che non si calano nella realtà di quanto dobbiamo comunicare ai cittadini militari o civili - a un contesto in cui mancano risorse sufficienti stanziate per la nostra presenza nelle missioni internazionali. Dobbiamo confrontarci con questa situazione.
Temo che la tempestività dell'annuncio dell'invio di 1.000 uomini in più nasconda una difficoltà nella realizzazione immediata di questo tipo di impegno. Lo stesso Ministro La Russa ha affermato in un'intervista che verranno rifinanziate le missioni


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per i primi sei mesi e che a giugno si vedrà, perché è evidente che 750 milioni ci consentiranno di coprire soltanto i primi sei mesi.

IGNAZIO LA RUSSA, Ministro della difesa. Si può fare qualunque critica politica però vi prego di documentarvi rispetto a una materia sensibile. I 750 milioni sono il finanziamento per il primo semestre. È esattamente identico a quello dell'anno scorso. In questo semestre, fra l'altro, non si registrerà un sostanziale aumento, anzi rispetto all'ultimo semestre si avrà una riduzione.
Rispondo solo a questo, rinviando il resto a dopo. Vi prego, però, di documentarvi prima di formulare talune affermazioni. Tutto è legittimo. L'unica cosa che non è legittimo sostenere, senza che sia suffragata da elementi reali, è che noi mandiamo i nostri militari senza supportarli di un adeguato bagaglio di risorse e di mezzi. Piuttosto che fare questo, mi dimetterei.
Lei ha detto testualmente che abbiamo allocato la metà delle risorse e che oggi non ci sono risorse sufficienti. La posso tranquillizzare: non è così. Nel secondo semestre naturalmente finanzieremo, se il Parlamento vorrà, l'aumento delle 1.000 persone di cui abbiamo appena parlato.

FEDERICA MOGHERINI REBESANI. Credo che il Ministro sia informato del fatto che la legge finanziaria è annuale e non semestrale, quindi immagino che quanto è previsto in finanziaria sia a copertura di tutto l'anno. Presumo che nel corso dell'anno possano essere trovati fondi aggiuntivi, ma la legge finanziaria copre un anno e non un semestre.
Nel primo semestre del 2009, comunque, abbiamo speso 800 milioni per le missioni internazionali. La decisione di votare sei mesi per sei mesi è stata assunta perché a gennaio mancavano risorse sufficienti per la copertura di tutto l'anno 2009. Il secondo semestre ha infatti conosciuto un decremento delle spese per le missioni militari, giacché si è passati da 808 a 700 milioni, e oggi abbiamo iniziato la discussione del rifinanziamento di questi ultimi due mesi, per i quali si è rilevato un decremento dei fondi sia sull'Afghanistan, sia sul Libano, sia sui Balcani.

MAURO DEL VECCHIO. Ringrazio i Ministri per questa completa comunicazione, che è avvenuta nella consapevolezza di una difficile situazione di crisi in Afghanistan, su cui tutti possiamo convenire, e nella consapevolezza espressa dai signori Ministri che questo incremento di militari non potrà essere determinante per la risoluzione della crisi.
Non saranno infatti determinanti i 100.000 uomini attuali, né i 140.000 a cui arriveremo entro il 2010, né i 400.000 che due anni fa il generale McNeill indicò come necessari per avere il controllo dell'Afghanistan, perché la situazione è estremamente difficile.
Il tema su cui incentrare la nostra discussione riguarda la strategia del Presidente Obama, che ricalca aspetti precedenti. Si è parlato di ricostruzione, ma già si parlava di ricostruzione, di progresso economico, di un approccio regionale. A tal proposito, ricordo che il Ministro D'Alema nel 2006, quando io ero comandante di ISAF, espresse l'auspicio di realizzare una conferenza internazionale per coinvolgere tutti i Paesi. Il Presidente Obama sollecita la riconciliazione nazionale, ma già se ne era parlato.
Vorrei sapere quindi come il Governo italiano possa spingere perché questa strategia crei le premesse che nel 2013 ci consentiranno di lasciare l'Afghanistan, come si intenda procedere.
Il secondo aspetto riguarda il Kosovo. Considero pericolosa questa repentina e forte riduzione nel Kosovo, ove la situazione non appare sostanzialmente modificata rispetto a qualche anno fa. Le enclave serbe sono circondate dai nostri soldati, i monasteri sono garantiti soltanto grazie ai nostri soldati. Ritengo quindi che questo orientamento debba essere rivisto.

PRESIDENTE. Avrei voluto fare un intervento compiuto, ma mi limito a ringraziare innanzitutto il Governo che nel


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2009 ha stanziato oltre 300 milioni di euro in più rispetto al 2008, dimostrando una particolare sensibilità per la sicurezza dei nostri militari.
La strategia messa in campo da Barack Obama, che si può sintetizzare «meno bombe, più soldati» è da anni chiesta con forza dagli alleati della NATO, dall'Italia in testa, per cui credo che Barack Obama abbia ascoltato il ragionamento del comprehensive approach che anche il Governo italiano, sia il precedente sia l'attuale, ha portato avanti.
La strategia significa inevitabilmente occupare zone del territorio, con un incremento degli scontri, ovviamente nel rispetto degli attuali caveat. Considero quindi opportuna una riflessione attenta e profonda sul problema delle risorse rispetto alle mutate strategie. Sono certo che il Ministero della difesa si sia occupato di questo, ma credo che il Governo nel suo complesso - approfittiamo della presenza del Ministro Frattini - debba porsi tale problema.
Do la parola ai Ministri Frattini e La Russa per la replica.

FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Riprendo subito le parole del presidente. Ringrazio con profonda convinzione tutti i colleghi della maggioranza e anche quelli dell'opposizione, che hanno dato un contributo importante.
Non risponderò a tutti individualmente, anche perché molti sono già andati via. Mi hanno sorpreso i pochi interventi, che hanno in sostanza sintetizzato la nostra decisione in questo modo: il Presidente Obama ha telefonato a Berlusconi, voi vi siete inchinati e avete mandato le truppe. Ho parlato ad addetti ai lavori, a gente che sa di che cosa stiamo parlando, quindi immagino si tratti di una polemica politica. Tutto è legittimo.
Al Consiglio europeo di ottobre, a seguito di numerose decisioni del Consiglio dei ministri degli esteri, del Consiglio dei ministri della difesa, di riunioni informali, i Capi di Stato e di Governo hanno approvato la strategia dell'Unione europea sull'Afghanistan. Questi sono i fatti.
A giugno 2009, la presidenza italiana del G8 ha organizzato a Trieste una conferenza con ventuno Paesi (gli otto del G8 più altri Paesi della regione), anticipando l'approccio regionale di cui ora tutti parlano, come se fosse stato inventato negli ultimi quindici giorni. È stato ricordato dal senatore Del Vecchio come due anni fa persino il Ministro D'Alema lo auspicasse. Oggi è diventato realtà, ma non ne stiamo parlando da ieri.
La NATO ha fatto della strategia in Afghanistan la principale applicazione dell'articolo 5 con operazioni fuori teatro. Non abbiamo inventato tutto questo.
Ritengo quindi sbagliato, ingeneroso e politicamente non corretto far credere a chi ci ascolta che l'impegno italiano sia nato da una telefonata di Obama al Presidente del Consiglio. È il risultato di una profonda condivisione dell'Italia di linee guida, che anzitutto l'Unione europea e la NATO hanno fatto proprie. Quando non il Presidente Obama, ma il segretario generale della NATO, Rasmussen, è venuto a Roma a chiedere che l'Italia facesse la sua parte, il Presidente del Consiglio ha ascoltato le motivazioni e le ragioni, e poi abbiamo deciso.
Questo è dunque il risultato di linee politiche che l'Italia ha sempre condiviso e che, come riconosco volentieri, sono state auspicate anche da chi ci ha preceduto in questo incarico.
Quanto all'ONU, che nessuno ha evocato, ricordo a me stesso e a chi non l'ha voluto ricordare che l'Italia è tra i primi dieci contributori al mondo dell'ONU per missioni di peacekeeping e nessun Paese europeo si annovera tra i primi dieci, salvo l'Italia. Questi sono dati di fatto, non opinioni.
Per il resto, condivido molto le costruttive considerazioni fatte. L'onorevole Fassino ha parlato di una riconciliazione nazionale, che condivido molto. Come altri colleghi europei, ho suggerito personalmente al Presidente Karzai la necessità che lo sfidante Abdullah sia coinvolto, in qualche modo, nel governo del Paese. Mi è stato detto che molto probabilmente Abdullah sarà investito della Presidenza


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della Commissione nazionale per le riforme, il che comporterebbe un forte coinvolgimento politico di un attore che ha ottenuto una buona percentuale di successo alle elezioni.
In questa riconciliazione, che molti hanno invocato, emerge il ruolo di quelle organizzazioni di talebani che non si sono piegate all'alleanza con Al Qaeda. Sono favorevole a esplorare la possibilità di un loro coinvolgimento, e abbiamo promosso azioni politiche a partire dal G8 di Trieste e dall'incontro ISAF del 4 dicembre scorso a Bruxelles: intorno al tavolo sedeva anche il Ministro degli esteri degli Emirati Arabi, che ha confermato per la prima volta la volontà di alcuni Paesi arabi - io ho parlato personalmente con l'Arabia Saudita e con gli Emirati - di impegnarsi per favorire un dialogo con alcune tribù di talebani non legate ad Al Qaeda. Tutto questo è non un auspicio, ma qualcosa che sta accadendo.
Lo stesso vale per l'impegno per la cooperazione e la ricostruzione civile. Abbiamo ascoltato il senatore Galioto e altri colleghi che hanno parlato di questo: certamente il tema deve coinvolgere tutti gli attori regionali e i Paesi arabi. Una delle proposte già avanzate dall'Italia è un'iniziativa di cooperazione trilaterale nella regione di Herat tra l'Italia e un Paese arabo che si è dichiarato disponibile e che sta studiando le nostre proposte concrete (Arabia Saudita o Emirati), per lavorare insieme per l'Afghanistan. Questo significherebbe per la prima volta il coinvolgimento sul terreno non militare, ma di ricostruzione civile, di due importanti attori del mondo arabo, che, tra l'altro, conoscono bene le tribù dei talebani.
Abbiamo parlato con il Presidente del Tagikistan in visita in Italia, che ha dichiarato di conoscere bene le organizzazioni dei talebani non legate ad Al Qaeda. Come qualcuno ha auspicato, abbiamo parlato di un'idea di collaborazione con il Tagikistan e altri stati dell'Asia centrale per capire come coinvolgere le organizzazioni di talebani disponibili a rientrare nella legalità.
Molti colleghi hanno parlato del Pakistan e dell'approccio regionale. Ricordo ancora una volta come l'Italia abbia fatto molto. Non parlerei, come qualcuno ha fatto, di una situazione di devastazione o di dissoluzione. Il Pakistan ha ancora un esercito molto forte, solido, con il quale credo si possa lavorare insieme.
L'Italia ha agito cancellando 100 milioni di euro di debito pachistano verso il nostro Paese. Solo a livello bilaterale mi sembra un buon risultato. Abbiamo altresì lavorato con l'Europa, che purtroppo non ha risposto unanimemente a favore, per realizzare un accordo di libero scambio Unione europea-Pakistan. Se questo si realizzasse, sarebbe un segnale politico di forte fiducia che il Pakistan sta aspettando da noi. Abbiamo quindi assolutamente ben presente il Pakistan nella nostra strategia regionale.
In molti interventi è stato chiesto quali siano le intenzioni per la Conferenza di Londra del gennaio 2010. Sono molto disponibile a illustrarvi innanzitutto cosa proporremo e sin d'ora vi anticipo i «titoli», per permettervi di riflettere. Avanzeremo proposte molto chiare sul contributo alla formazione delle pubbliche amministrazioni e della magistratura, alle azioni transfrontaliere, in particolare quella di controllo delle frontiere occidentali con l'Iran, con l'obiettivo di ridurre il traffico della droga, che per l'Iran è la principale piaga proveniente dall'Afghanistan, attraverso la sostituzione delle colture della droga con colture redditizie legali. A tal proposito, ho citato l'olio d'oliva perché abbiamo stanziato 2 milioni di euro per un progetto a Herat per coltivare l'olivo e produrre l'olio di oliva.
Si prevede infine un serio e importante progetto di lotta alla corruzione e di applicazione dei parametri anticorruzione dell'OCSE a un progetto di educazione delle amministrazioni afgane ad esempio sugli appalti pubblici, che non c'è mai stato. Abbiamo il precedente dei Balcani, dove l'Italia ha guidato progetti di esecuzione dei parametri OCSE. Considero opportuno farlo anche per un Paese con una democrazia «in via di sviluppo» come


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l'Afghanistan. Ne ho accennato informalmente a molti colleghi che erano davvero colpiti, perché sono proposte nuove che finora nessuno ha fatto. Ve le racconterò nel dettaglio prima del 28 gennaio, perché non c'è niente di segreto, ma è qualcosa che l'Italia sta già facendo, non semplicemente auspicando.

IGNAZIO LA RUSSA, Ministro della difesa. Molte delle risposte sono state già fornite. Mi permetto di dare qualche ulteriore elemento rispetto alle domande più critiche. Una è quella rivolta dall'onorevole Fassino, che mi spiace non sia più presente. Avrebbe fatto piacere anche a me, benché non ve ne fosse alcun obbligo normativo - per una sensibilità che a me e al Ministro Frattini in questi mesi è stata sempre presente - cercare di dare con la massima tempestività le notizie su ciò che stava avvenendo.
Naturalmente. dopo l'incontro Rasmussen si aspettava una risposta, che abbiamo dato esattamente con la frase del Presidente Berlusconi: «dobbiamo ovviamente avere l'OK del Parlamento, ma le assicuro che la disponibilità del nostro Governo è di guardare con grande attenzione alla richiesta». Richiesta che veniva non da Obama, ma da Rasmussen che, come tutti sappiamo, è il rappresentante non degli Stati Uniti, ma della NATO.
Avevo parlato anche con la senatrice Pinotti cercando di anticipare, ma mi ha informato che mi avreste chiesto di venire a riferire in Commissione o in Aula. La richiesta non è stata per la verità formalizzata. Certo, potevo farlo motu proprio...

ROBERTA PINOTTI. Credo che la richiesta sia stata formulata dai capigruppo del Senato.

IGNAZIO LA RUSSA, Ministro della difesa. A me non è stata comunicata e nemmeno al Ministro Frattini, ma comunque avevamo intenzione di farlo.
Come capita persino nelle più ristrette riunioni di partito, la notizia ha cominciato a circolare su alcuni giornali, ma né io né Frattini l'abbiamo confermata. È stata confermata dai giornalisti, facendo riferimento a notizie che venivano da altri Paesi o da ambasciatori di altri Paesi in Italia. A quel punto, abbiamo ritenuto opportuno annunciarlo al Consiglio dei Ministri, per evitare una serie di continue illazioni giornalistiche, che sostenevano ora 1.500 ora 500, precisando l'orientamento in quella occasione - vi prego di ascoltare la registrazione - e facendo esplicito riferimento al fatto che dovessimo comunque avere l'OK del Parlamento.
Non abbiamo detto che si sarebbe proceduto fra sei mesi o un anno, ma subito, dichiarandoci pronti a venire immediatamente in Parlamento. Ho aggiunto che mi dispiaceva averlo dovuto dire in quella occasione, ma che ero pronto ad andare anche il giorno dopo in Parlamento. Riconosco quindi come fondata l'obiezione mossa dall'onorevole Fassino e dalla senatrice Pinotti, ma credo che possiate considerare fondata l'argomentazione che vi ho appena esposto.
Come anche il Ministro Frattini, tengo molto al rapporto di massima trasparenza e di massima condivisione o non condivisione, ma comunque di reciproca informazione, che abbiamo stabilito. Su questo vi prego veramente di credermi.
Per quanto riguarda il Kosovo, posso tranquillizzare quanti raccomandavano di fare attenzione: non stiamo copiando il sistema Spagna. La Spagna ha deciso di ridurre autonomamente e unilateralmente la propria presenza nei Balcani. I numeri citati sono numeri della NATO, non numeri decisi da noi per andare in Afghanistan. Il programma della NATO addirittura prevede quattro mesi come minimo: primo step gennaio, secondo step dopo quattro mesi, terzo step dopo altri quattro mesi. Poiché affermano quattro o otto mesi, ho calcolato prudentemente gli otto mesi, non i quattro che la NATO impone come minimo.
Quei numeri non sono frutto della nostra necessità di trovare un pendant all'aumento di truppe in Afghanistan, ma rappresentano una previsione della NATO. Qualora la NATO non rispettasse quella


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previsione, non siamo intenzionati a decrescere unilateralmente, come ha fatto la Spagna. Questo è un modo per tranquillizzarvi.
La stessa cosa riguarda il Libano: al di là del decremento di duecento unità, perché non avremo più il comando, l'altra è una mia ipotesi del tutto eventuale, per verificare se per numeri ridottissimi altri Stati vogliano intervenire a sostegno di quella importante missione.
Talvolta rimango perplesso, perché gli scudi umani, senatore Pedica, sono i civili che alcuni guerriglieri utilizzano nascondendosi nei centri abitati per evitare di essere bombardati. L'utilizzo delle nostre Forze armate, che ho spiegato molto succintamente evitando di fare un trattato di arte militare, significa che esse non sono impegnate ad esempio a snidare un covo di Al Qaeda: hanno un compito non di scudi umani, ma al contrario, almeno teoricamente, meno pericoloso.
Ricordo che le nostre perdite sono avvenute in attentati. Non vorrei andare troppo indietro nel tempo, perché potrei commettere errori, ma sicuramente da quando sono Ministro non si è mai verificata una perdita umana nella fase che lei definisce «scudi umani». Immaginare o affermare in una sede importante come questa che usiamo i nostri soldati in questo modo non è improprio, ma è peggio.
I fondi sono allocati. In passato - ma non c'è niente di male -, un precedente Governo ha dovuto reperire i fondi andando ad attingere a fondi esistenti, addirittura del «fondo terremotati», come l'onorevole Parisi può testimoniare, ma questo non è scandaloso. Se si ha bisogno di soldi, si vanno a cercare nei fondi esistenti. I fondi adesso sono allocati in finanziaria nella tabella A (accantonamento del Ministero della difesa). Vengono dai fondi accantonati a questo scopo, non sono presi da altri fondi come invece legittimamente è avvenuto in un passato, senza che questo peraltro abbia costituito motivo di polemica o di contestazione da parte dell'allora opposizione, che oggi è maggioranza.
Al senatore Perduca rispondo che non sono 1.500 uomini per quell'area e neanche 1.500 uomini in più. Fermo restando che, senza contare gli aumenti, sono più di 6.000 uomini - non dimentichiamo che ci sono gli spagnoli, i lituani e anche gli americani - la strategia che già esiste, ma che deve essere amplificata è quella dell'utilizzo delle truppe afgane.
Se volessimo controllare con i soli nostri uomini quel territorio, avrebbe perfettamente ragione il senatore Perduca: non ce la potremmo mai fare. L'obiettivo è addestrare e utilizzare sempre meglio - già oggi lo facciamo - le truppe delle Forze armate afgane, che dovranno sempre più avere il compito del controllo del territorio.
Alla collega Mogherini dico «meglio che niente», non «bugie», meglio che niente o forse il massimo che potesse avere oggi, dicendo che abbiamo fortemente contribuito al percorso di questa nuova strategia. Non è la prima volta che ne parliamo: basta guardare tutte le volte in cui il Ministro degli esteri, non dico nei consessi internazionali, che non avete il dovere di seguire, ma con riferimento al Parlamento e all'informazione diretta, come se per il resto foste ciechi e sordi, ha parlato della nostra comune volontà di intensificare la fase della ricostruzione rispetto alla fase militare, di impedire un esercizio di forza muscolare con maggiore rischio per i civili rispetto a interventi militari mirati.
Quando abbiamo detto che non mettevano le bombe nei nostri Tornado, seguivamo la strategia di cui oggi parla Obama. Non abbiamo aderito adesso: non voglio essere così presuntuoso da affermare che è stato Obama ad aderire alla nostra strategia, ma mi permetto di dire che non ha senso sminuire disperatamente e necessariamente un contributo importante, che il Governo italiano ha dato in ogni sede e quello che voi stessi avete dato ai ministri che poi lo portavano all'esterno.
Vi assicuro che quanto abbiamo sempre discusso è stata la rotta che abbiamo seguito nelle missioni internazionali. Per una volta che abbiamo avuto una confluenza


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di motivazioni, lasciate che tutti se ne vantino in questa sede: non è necessario sminuirli.
All'onorevole Evangelisti rispondo che faremo sapere a Obama che non meritava il premio Nobel.
Continueremo a seguire gli obiettivi della missione ISAF così come stabiliti, senza alcuna variazione, neanche di una virgola. Considero corretto precisare come si stabiliscano le date. È necessario fare un progetto, un piano, una strategia. Se la strategia funzionerà, quelle sono le date, altrimenti riconosceremo che quella strategia non ha funzionato. Non fare una previsione non spiega la strategia: lo sforzo che si vuole sostenere è finalizzato a ottenere risultati in una previsione ragionevole di tempo che si indica. La previsione ragionevole è di iniziare il rientro nel 2011. Noi, più moderati, abbiamo precisato comunque non oltre il 2013. Credo che, se non l'avessimo precisato, avremmo mancato a un nostro dovere e non viceversa.
Sono finite le cose critiche. Ringrazio i componenti dell'opposizione per gli aspetti positivi che hanno segnalato e ringrazio in particolare il collega Vernetti, che ha parlato dei mezzi, che sono in parte già partiti nella fase elettorale e in parte stanno arrivando. Ringrazio i componenti della maggioranza come l'onorevole Cicu, per l'importante richiamo ai codici, anche se qualcosa è stata già inserito nel decreto. Voi Commissione e voi Parlamento avete inserito un anticipo dei nuovi codici. Il collega Ramponi ha ricordato l'importanza delle adeguate risorse e del Pakistan. Non vorrei dimenticare gli altri, ma tutti hanno avuto parole di apprezzamento, delle quali li ringrazio.
Desidero finire con una notizia che mi sono tenuto appositamente come ultimo elemento. Non ci è stato richiesto ma abbiamo ritenuto che assieme a più uomini fosse importante - ringrazio il generale Camporini, capo di Stato maggiore della difesa e gli altri militari - la previsione di un accrescimento delle capacità sanitarie nazionali in Afghanistan e quindi la decisione di schierare un assetto ROL 2 con capacità chirurgiche, ortopediche e di degenza nella provincia di Baghdis, area nord della regione ovest, nonché assetti per assicurare l'evacuazione medica di urgenza, nell'ottica non solo di porci sempre come primo obiettivo la massima sicurezza possibile in un contesto operativo difficile per i nostri militari, ma anche di offrire alla martoriata popolazione afgana il massimo sostegno possibile anche in questo prezioso settore.
Credo che questo annuncio sia, tra tutti quelli che abbiamo avuto il dovere di illustrare, quello che sicuramente suscita più consenso e più soddisfazione non solo mia, ma delle Commissioni riunite.

PRESIDENTE. Ringrazio i Ministri Frattini e La Russa e dichiaro concluse le comunicazioni del Governo.

La seduta termina alle 16,15.

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