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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissioni Riunite
(III-IV Camera e 3a-4a Senato)
8.
Mercoledì 13 luglio 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Stefani Stefano, Presidente ... 3

Comunicazioni del Governo sugli sviluppi relativi alle missioni internazionali:

Stefani Stefano, Presidente ... 3 8 14 26 30
Antonione Roberto (PdL) ... 15
Boniver Margherita (PdL) ... 20
Bosi Francesco (UdCpTP) ... 18
Evangelisti Fabio (IdV) ... 16
Frattini Franco, Ministro degli affari esteri ... 3 26 27
La Russa Ignazio, Ministro della difesa ... 8 25 28 29
Maran Alessandro (PD) ... 21
Mogherini Rebesani Federica (PD) ... 24 25 29
Nirenstein Fiamma (PdL) ... 23
Parisi Arturo Mario Luigi (PD) ... 19 27
Rugghia Antonio (PD) ... 22
Tempestini Francesco (PD) ... 14 27
Torri Giovanni (LNP) ... 17
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Italia dei Valori: IdV; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A.

COMMISSIONI RIUNITE
III (AFFARI ESTERI E COMUNITARI) - IV (DIFESA) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E
3a (AFFARI ESTERI, EMIGRAZIONE) - 4a (DIFESA) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 13 luglio 2011


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA III COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI STEFANO STEFANI

La seduta comincia alle 12,10.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Comunicazioni del Governo sugli sviluppi relativi alle missioni internazionali.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca le comunicazioni del Governo sugli sviluppi relativi alle missioni internazionali.
Saluto il senatore Cantoni, presidente della Commissione difesa del Senato, il presidente della Commissione difesa della Camera onorevole Cirielli, i ministri e tutti i colleghi presenti.
Ringrazio i ministri per la consueta disponibilità a tenere sempre aggiornato il Parlamento su tale materia, in particolare alla luce dell'avvio dell'esame del decreto-legge di proroga per il secondo semestre dell'anno della partecipazione italiana alle missioni internazionali.
Credo di interpretare il sentimento di tutti i colleghi nell'associarci idealmente al minuto di silenzio che l'Assemblea della Camera ha reso ieri alla memoria del caporal maggiore Roberto Marchini, il quarantesimo militare italiano caduto in Afghanistan. La sua perdita si aggiunge a quella del caporal maggiore Gaetano Tuccillo, morto il 2 luglio scorso.
Prima di dare la parola al Ministro Frattini per la sua relazione, avverto i colleghi che si iscriveranno a parlare che, d'accordo con il presidente Cirielli, intendiamo contingentare i tempi nell'ordine di tre minuti per intervento.
Do la parola al Ministro Frattini.

FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Ringrazio il presidente e tutti i colleghi presenti. L'occasione di oggi credo che sia utile in primo luogo per chiarire in modo ancor più preciso anzitutto le motivazioni sulla base delle quali le missioni internazionali dell'Italia si svolgono e l'impegno dei nostri militari e dei nostri civili all'estero si sta dispiegando.
Ovviamente le motivazioni sono proprio quelle che il Presidente della Repubblica e il Governo hanno sempre sottolineato, anche quando - l'ha ricordato il presidente Stefani - come oggi piangiamo un altro caduto italiano.
L'Italia partecipa con i militari e con il personale civile della cooperazione per corrispondere anzitutto a un interesse nazionale, nel quadro costituzionale di missioni che sono decise dalle Nazioni unite, dalla NATO, dall'Unione europea. È evidente che l'Italia ha in proposito un dovere di serietà, di credibilità e di lealtà. È un dovere cui nelle relazioni internazionali si può venire meno solamente pagando un altissimo e ingiustificabile prezzo, sotto molti aspetti.
Il primo motivo, quindi, alla base delle missioni internazionali è che la nostra presenza contribuisce alla nostra sicurezza. Le pur opportune riflessioni che stiamo conducendo in Parlamento su come razionalizzare il nostro sforzo militare


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all'estero non possono prescindere da questa prima constatazione. Dieci anni dopo l'attentato alle Torri Gemelle, non possiamo non tener conto di come tali minacce siano portate, nella realtà globalizzata in cui viviamo, contro i cittadini e gli interessi italiani, ovunque essi siano. Le frontiere della sicurezza internazionale si sono molto allontanate rispetto ai confini nazionali e questo richiede un impegno a tutto campo, un impegno fuori area, fuori dai tradizionali confini dell'Italia e dell'Europa.
Come sapete bene, è proprio questo alla base del nuovo concetto strategico della NATO. La NATO oggi non limita più le sue azioni di prevenzione e di sicurezza allo spazio continentale europeo, ma opera in taluni casi, anzitutto in Afghanistan, fuori area. Evidentemente il terrorismo, se non è colpito laddove nasce e si alimenta, finisce per consolidare la propria capacità offensiva e l'obiettivo dei terroristi resta l'attacco al cuore della civiltà occidentale, cioè a noi. Si tratta, quindi, di un motivo di sicurezza innanzitutto.
Vi è poi una seconda ragione, quella a cui accennavo, ossia i doveri cui siamo tenuti in virtù delle alleanze che abbiamo sottoscritto. Questa partecipazione nelle aree di crisi è oggi, lo sappiamo, anche il prisma attraverso cui viene costantemente letta la capacità di un Paese di rispondere con serietà agli imperativi di stabilità e di sicurezza che la comunità internazionale deve fronteggiare.
L'Italia è e rimarrà un partner credibile e affidabile, attento a che le decisioni sovrane prese dal Parlamento vengano applicate in un quadro di collaborazione internazionale coerente con l'azione delle nostre alleanze di riferimento. Così è stato finora e credo che debba continuare a essere.
Vi è un terzo punto da non dimenticare: grazie alla serietà, alla professionalità e alla dedizione dei nostri contingenti militari e dei nostri operatori civili, il cui elevatissimo contributo è unanimemente apprezzato, l'Italia acquisisce anche, come Paese, vantaggi politici in termini di prestigio e di influenza, con ricadute positive per il nostro Paese. Devo affermarlo con grande chiarezza: chi con la bandiera italiana porta nel mondo un contributo alla pace e alla stabilità è parte di quell'Italia migliore di cui dobbiamo essere fieri.
Colgo l'occasione proprio in questo giorno per rilevare che siamo ancora una volta fieri dell'operato di un altro caduto italiano, il primo caporal maggiore Marchini, che ha unito il suo sacrificio a quello di altri 39 italiani caduti, purtroppo, in Afghanistan per una causa nobile, quella di accompagnare il popolo afgano verso un futuro di stabilità e di pace, contribuendo anche in questo modo a rafforzare la nostra sicurezza, quella dell'Italia e quella dell'Europa.
Vi è poi un quarto motivo, altrettanto importante, per il nostro intervento a livello internazionale. Si tratta di ragioni geostrategiche proprie di ogni Paese, in questo caso dell'Italia. È evidente che l'Italia è un Paese più esposto di altri alle minacce che giungono dalla sponda meridionale del Mediterraneo e, più in generale, dal Sud-est. È la geografia in questo caso a dettare un ulteriore argomento forte per il nostro impegno internazionale.
Come tutti voi sapete, lo scorso 6 luglio il Consiglio supremo di difesa si è riunito sotto la presidenza del Capo dello Stato e ha delineato una sintesi tra due esigenze che segnano oggi la riflessione del Governo sulle missioni: la lealtà agli impegni internazionali e l'opportunità di procedere, di concerto con le istituzioni internazionali, a ogni possibile ridefinizione dei nostri contingenti, in un'ottica di ottimizzazione delle risorse finanziarie disponibili.
Questa sintesi corrisponde al processo virtuoso che il Governo ha responsabilmente avviato ormai da tempo e che si è concretizzato nel decreto legge che con il Ministro La Russa abbiamo predisposto, illustrato al Consiglio dei ministri e poi presentato al Parlamento.
È un impegno, lo ripeto ancora una volta, di serietà che fa leva su alcuni princìpi cardine. Il primo è il ruolo cruciale del nostro Paese come contributore e produttore di sicurezza e di stabilità internazionale;


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il secondo è la ricerca di rimodulazioni che, concordate con i partner internazionali, prevedano l'esclusione di ipotesi unilaterali e tengano conto ovviamente dell'evoluzione del terreno; il terzo è la valorizzazione della qualità degli interventi rispetto alla quantità, sottolineando quindi i contributi di primissimo piano assicurati dai nostri militari e dai nostri operatori civili; il quarto è l'approfondimento, nell'ambito della cooperazione in materia di sicurezza e difesa - penso in particolare al quadro europeo - di possibili economie di scala, di economie strutturali per fronteggiare il rilevante aumento dei costi.
È un nodo che interessa non solo noi, ma tutti i principali alleati, e in questo mi auguro che durante la presidenza della Polonia, che abbiamo fortemente incoraggiato, venga presentato un documento propositivo per il quadro di difesa europea, che da tempo l'Italia sta sollecitando.
Illustreremo l'azione dell'Italia nei principali teatri di crisi. Mi soffermerò molto brevemente sugli aspetti politici di questi scenari, e il Ministro La Russa darà nel suo intervento le valutazioni di propria competenza.
Per quanto mi riguarda comincerei dalla Libia per dire evidentemente che il gruppo di contatto sulla Libia, che l'Italia ha presieduto per un mese e mezzo, sta confermando la validità della linea politica seguita dall'Italia: protezione dei civili, sostegno umanitario al popolo libico, sostegno alle legittime aspirazioni di democrazia e libertà nel rispetto della legalità internazionale e ovviamente nell'ambito di una missione NATO, che l'Italia si è battuta per ottenere preferendola di gran lunga a una missione di alcuni singoli Stati, che non avrebbe corrisposto al quadro tradizionale dell'impegno italiano nelle missioni internazionali.
Accanto a questa missione della NATO, la comunità internazionale e quindi le Nazioni unite, l'Europa, l'Unione africana, la Lega araba, i Paesi che come l'Italia hanno un ruolo di primo piano stanno oggi operando per favorire il passaggio a una transizione politica in Libia. Questo è il punto che oggi abbiamo in agenda.
Abbiamo tre presupposti che debbono realizzarsi: in primo luogo, una fine del conflitto immediata e una prospettiva politica parallela, collegata all'uscita di scena di Gheddafi, ormai privo di legittimità e colpito tra l'altro da un mandato di arresto internazionale; in secondo luogo, l'avvio di un processo di riconciliazione nazionale, per evitare l'ipotesi di una spartizione della Libia, che veda il ruolo di primo piano del Consiglio nazionale di transizione (CNT), oggi unico legittimo rappresentante del proprio popolo; in terzo luogo, il processo di democratizzazione che includa tutte le istanze regionali, locali e tribali della società libica.
Ecco allora che dopodomani, al gruppo di contatto che si terrà a Istanbul, io proporrò alcune riflessioni che si inseriranno nel punto in agenda che ho appena accennato: come intensificare la pressione sul regime per accelerarne l'uscita di scena, come rafforzare il ruolo dell'inviato speciale del Segretario generale dell'ONU, Ministro al-Khatib, e come garantire che possa svolgere la guida e il coordinamento delle iniziative negoziali necessari per avviare un processo politico.
Discuteremo anche del rafforzamento dello status e del sostegno economico e finanziario al Consiglio nazionale libico. L'Italia lavorerà affinché venerdì sia adottato un piano politico, si autorizzi l'inviato del Segretario generale dell'ONU a formulare alle due parti un'offerta di negoziato, che includa il cessate il fuoco immediato, la designazione di interlocutori per ciascuna parte reciprocamente accettabili, la costituzione di un Governo di transizione panlibico, che apra la strada con tempi certi, anch'essi da definire in quella sede, ad elezioni libere e democratiche.
Questa realtà su cui stiamo lavorando conforta, tra l'altro, la nostra decisione di appoggiare gli amici di Bengasi. Con loro siamo in costante contatto; vi è un rapporto di collaborazione privilegiata e abbiamo firmato congiuntamente un importante memorandum per il contrasto ai traffici di esseri umani che include la


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prospettiva di un'azione comune per la prevenzione e per l'assistenza nella lotta all'immigrazione illegale. Questo testimonia quanto il CNT sia pronto ad agire nel rispetto dei trattati e della legalità internazionale.
Occorre, però, ulteriormente contribuire al rafforzamento del CNT. Abbiamo condiviso, definendolo a Roma e approvandolo ad Abu Dhabi, un meccanismo di finanziamento temporaneo che è operativo per fornire i generi umanitari di cui il CNT ha bisogno per la grande parte del territorio libico che è oggi sotto il suo controllo. Stiamo studiando a livello internazionale le modalità tecniche per lo scongelamento dei beni, che appartengono alla Libia e non al regime. Sotto questo aspetto, l'Italia ha voluto anticipare i tempi, in linea con la strategia di soluzioni nazionali realistiche che ho esposto ad Abu Dhabi e che prima gli Stati Uniti d'America e poi la Francia, la Turchia e altri Paesi stanno adottando o hanno già adottato. Ecco perché proprio nel decreto missioni abbiamo introdotto una norma di fondamentale importanza. Essa, infatti, utilizzerà parte dei beni pubblici libici congelati non come assetti disponibili, ma come garanzia affinché vi possa essere l'apertura di linee di credito per il finanziamento di spese umanitarie per la popolazione libica. A questo scopo, mi sto adoperando in prima persona e porterò dopodomani a Istanbul l'indicazione dei gruppi privati italiani, anzitutto bancari e petroliferi, affinché, in applicazione di questa norma, possano anticipare forniture indispensabili per la vita quotidiana della popolazione libica.
Inoltre, un aspetto non indifferente per l'Italia è la conferma, da parte di chi presumibilmente guiderà almeno la prima fase della costruzione democratica libica, degli impegni contrattuali e delle relazioni economiche preesistenti con l'Italia. Questo è un punto molto importante per rassicurare le molte centinaia di imprese italiane, grandi, medie e piccole, che hanno in Libia interessi di speciale rilievo e che il Governo italiano è obbligato a proteggere di fronte all'incertezza e al rischio di risoluzioni contrattuali che potrebbero rivelarsi devastanti per i nostri imprenditori.
In questo quadro ancora fluido si sta discutendo anche del giorno dopo, che sarà al centro dei lavori del gruppo di contatto di Istanbul. Ovviamente, noi ci avviamo verso la fase post-Gheddafi con attività di stabilizzazione e di cooperazione. Non si tratta solo di iniziative umanitarie - su cui permettetemi di dire che l'Italia è sul podio a livello mondiale per qualità e quantità di interventi umanitari d'emergenza in questo periodo - ma anche di attività di medio e lungo periodo, come l'assistenza tecnica per puntellare l'ossatura della nuova Libia che, come sapete, non ha neanche una Costituzione. Si punta, quindi, alla creazione di uno Stato, al consolidamento istituzionale, al controllo delle frontiere, alla formazione dei giovani libici. Su questo l'Italia si propone come interlocutore privilegiato.
Abbiamo compiuto una missione multinazionale importante, a cui l'Italia ha partecipato con alcuni esperti, che riferirà su quello che è stato accertato come necessità nel breve, medio e lungo periodo. Insomma l'Italia vuole giocare un ruolo decisivo nella Libia di domani, per il ruolo che ci è riconosciuto di conoscenza del territorio, per la collaborazione che già abbiamo instaurato con le autorità del CNT e certamente per la fiducia che i libici nutrono nella nostra volontà di collaborare e di cooperare.
Per questo motivo il decreto missioni ha giustamente riflettuto anche queste esigenze di accompagnare il processo di riconciliazione nazionale e di stabilizzazione con alcuni interventi importanti.
Vengo rapidamente al quadro mediorientale, al Libano e alla Siria. È chiaro che, quando parliamo di Libano, pensiamo al contingente italiano e alla missione UNIFIL. Essa ha certamente contribuito in modo determinante a garantire il successo della stabilizzazione dell'area. Ricordo che l'Italia è stata il Paese ideatore della missione, di cui ha avuto la guida fino allo scorso anno, per cedere poi, nell'avvicendamento, il comando alla Spagna.


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A livello politico l'Italia sta fortemente sostenendo anche il Tribunale speciale per il Libano, creato e fortemente voluto per fare piena luce sull'omicidio dell'ex premier Hariri.
Voi sapete che sono stati consegnati alle autorità libanesi alcuni mandati di arresto per quattro esponenti di Hezbollah ritenuti responsabili dei fatti. Noi ci attendiamo che la sentenza contribuirà a fare giustizia e a porre un argine alle future interferenze esterne in quel Paese.
La presenza di Hezbollah all'interno del nuovo Governo potrebbe paradossalmente ridurre i rischi di instabilità in Libano. Un'eventuale rimodulazione e riduzione del nostro contingente si inquadrerebbe in questo nuovo scenario di maggiore stabilità e stabilizzazione, che ancora, peraltro, non si è realizzata. Evidentemente questa presenza, sia pure rimodulata sul piano militare, ma rafforzata sul piano civile, deve tener conto di un quadro regionale.
La crisi in Siria può certamente avere una ripercussione sulla stabilità del Libano nel prossimo futuro. Abbiamo visto l'ostinazione del Presidente Assad nel seguire la strada della repressione piuttosto che delle riforme e abbiamo visto le sanzioni europee che l'Italia ha chiesto e che altri Paesi hanno sostenuto e che sono state poi decise.
Io credo che, di fronte al tragico bilancio di oltre 1.000 vittime, 10.000 arresti, 12.000 rifugiati verso la Turchia, sia il momento che anche il Consiglio di sicurezza esprima la propria voce relativamente alla grande repressione siriana. Chiediamo l'accesso senza condizioni alle agenzie umanitarie e internazionali, la scarcerazione dei prigionieri politici, l'avvio di un processo di dialogo nazionale.
Passo brevemente all'Afghanistan, perché ne abbiamo parlato molte volte. Vi è un piano già deciso dalla NATO, da oggi al 2014, di un progressivo ridimensionamento della presenza della NATO. Il processo di transizione sta iniziando. Solo tra pochi giorni, il 20 luglio, esso sarà avviato, coinvolgendo nel gruppo di testa delle aree dell'Afghanistan interessate la città di Herat dentro la provincia affidata alla guida del nostro Paese. Questa è anche un'ulteriore prova dell'eccellente lavoro svolto dall'Italia e dagli italiani nella provincia di Herat.
Noi ovviamente proseguiremo il nostro impegno, innanzitutto sul piano della formazione delle forze di sicurezza afgane, della ricostruzione civile, del rafforzamento istituzionale e socio-economico. A fine anno terremo la Conferenza sull'Afghanistan, che si svolgerà a Bonn dieci anni dopo la precedente, un evento che riunirà la comunità internazionale per fare il punto sulla stabilizzazione del Paese.
In altri termini, onorevoli colleghi, dobbiamo affermare con chiarezza che ridimensionamento e transizione, che sono già una realtà, non potranno significare abbandono da parte italiana per la ricostruzione istituzionale, per la formazione, per la crescita economica e per lo sviluppo locale, per rendere, quindi, irreversibile, come sta avvenendo in Iraq, il processo di transizione.
Non vi è oggi il tempo per affrontare a fondo il tema regionale Afghanistan-Pakistan, ma è evidente che senza una stabilità del Pakistan sarebbe illusorio pensare a una stabilità duratura dell'Afghanistan. Dobbiamo, quindi, continuare ad aiutare anche il Pakistan a livello politico, a livello diplomatico e con la cooperazione economica, incoraggiando il Paese a continuare in una strada di riconoscimento dei diritti fondamentali delle persone.
Mi sono battuto personalmente perché il Ministero delle minoranze religiose pakistano non fosse chiuso dopo l'assassinio del Ministro Bhatti e apprendo con grande soddisfazione che il presidente del Pakistan si sarebbe impegnato a ricostituirlo - noi pensiamo ovviamente innanzitutto ai cristiani del Pakistan - in tempi brevi.
Vi è un altro tema a cui bisogna accennare, quello della pirateria e della Somalia. Questo tema non si affronta innanzitutto in mare, con le pur lodevoli iniziative di partecipazione alle operazioni navali, che sono un elemento importante della strategia internazionale, ma a terra,


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affrontando le radici dell'instabilità e della gravissima povertà e della debolezza istituzionale che affliggono attualmente la Somalia.
Lo si affronta anche, come questo Parlamento ha deciso di fare, consentendo ai nostri equipaggi e ai navigli italiani di avere a bordo un'adeguata protezione. Noi sosteniamo il consolidamento del Governo federale transitorio, diamo aiuti diretti a quel Governo, il cui collasso porterebbe gli Al-Shabaab, i terroristi di Al Qaeda in Somalia, a impadronirsi definitivamente dello Stato. Sarebbe un rischio troppo grave, per il quale i nostri investimenti finanziari, mi permetto di rilevarlo, sono davvero ben spesi.
Promuoveremo poi un gruppo internazionale di contatto sulla Somalia e cercheremo di realizzare un incontro a livello ministeriale. L'Italia e l'Uganda si stanno adoperando affinché a settembre, a margine dell'Assemblea generale dell'ONU, tutti gli attori regionali si riuniscano per fare il punto sulla situazione generale del Corno d'Africa. Abbiamo chiesto, come sapete, e stiamo fortemente insistendo, che l'Unione europea nomini con urgenza un rappresentante speciale dell'Europa per il Corno d'Africa.
In conclusione, svolgo una rapida panoramica sulle motivazioni che hanno indotto a includere, sempre nei decreti missioni, gli obiettivi di cooperazione e di aiuto alle popolazioni nelle regioni di crisi.
È una dimensione civile, fondamentale, che definirei un imperativo etico e un investimento strategico per l'Italia. L'Italia, mi permetto di osservarlo, ha un valore aggiunto rispetto a molti altri Paesi, perché militari e civili sono insieme, legati da un obiettivo di stabilità, di pacificazione, di aiuto alle popolazioni più povere, di prevenzione dei fenomeni criminali.
Io credo che il contributo dell'attività di cooperazione nelle missioni sia essenziale. Solo l'8 per cento della spesa complessiva per le missioni è destinato alle operazioni di cooperazione, ma è un 8 per cento significativo, una piccola quota che è stata sinora adeguata. Ovviamente, se fosse aumentata, sarebbe meglio, ma è chiaro che quella partecipazione, quella presenza rende evidente come rispetto a molti altri Paesi noi andiamo sul posto per una missione di pace, di stabilità, per alleviare le sofferenze della popolazione.
Questa è la motivazione politica su cui mi auguro che il Parlamento converga con una larghissima maggioranza.

PRESIDENTE. Ringraziamo il Ministro Frattini.
Do la parola al Ministro La Russa.

IGNAZIO LA RUSSA, Ministro della difesa. Grazie, presidente. Ringrazio i presidenti delle Commissioni esteri e difesa di Camera e Senato, che oggi si riuniscono in seduta comune, per l'opportunità che ci è stata data di potere riferire sugli sviluppi relativi alle missioni internazionali.
Come sapete, avremo presto nelle aule parlamentari anche il decreto di rifinanziamento, ma nell'occasione, anche se non era la ragione per cui questa riunione si tiene, credo sia corretto fornirvi alcuni elementi con riferimento alla morte del Primo caporal maggiore Roberto Marchini, rinnovando il senso di massimo cordoglio espresso dal Ministro Frattini e da tutti ieri alla Camera e la vicinanza di tutti noi e mia, in particolare, alla famiglia del caduto.
Cercherò di essere estremamente sintetico, dichiarando e vi dico subito che il caporal maggiore Marchini è morto per un ordigno improvvisato (IED) ed è il ventiquattresimo dei nostri militari che perde la vita ad opera di uno di questi ordigni. Complessivamente il numero dei caduti durante la missione ISAF in Afghanistan è di quaranta italiani, di cui trenta sono stati vittime di atti ostili e dieci sono morti per incidenti, per malattia o per malore. Il numero sicuramente molto doloroso va comunque rapportato al numero complessivo delle perdite anche degli altri contingenti, a volte assai più doloroso del nostro. Ma è difficile fare una graduatoria perché ogni soldato che perde la vita ha per noi un valore non paragonabile a nient'altro.
Nella giornata del 12 luglio, cioè ieri, nella zona tra Bakwra e Farah (la rotabile


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515) era in movimento una colonna composta da 56 militari italiani e 30 afgani, con 15 Lince e due altri mezzi (un Cougar e un Buffalo, che sono quelli che precedono la colonna). Aveva l'obiettivo di individuare un'area per una nuova base permanente che sarebbe stata affidata agli afgani. Sottolineo questo fatto perché, come dirò dopo quando parleremo della condizione delle nostre missioni, è evidente questa capacità della missione di controllare il territorio in maniera assai diversa che in passato e di accrescerlo ogni giorno.
L'azione in questa occasione era tesa appunto ad andare a controllare un territorio tra i più difficili e tra i finora meno controllati, tanto che dalla base di Farah sono stati costruiti degli accorgimenti come un pallone con telecamere che individuano la zona che sicuramente ha messo in difficoltà i terroristi e gli insurgent che in questa zona stanno operando fortemente per rallentare questa azione di controllo del territorio. Questo luogo non è distante da quello in cui non molto tempo fa ha perso la vita un altro militare italiano.
La colonna ha individuato il punto a rischio, ha visto che ci potevano essere degli IED, ha chiamato la squadra composta anche da unità cinofile che avrebbe dovuto bonificare l'area, che è arrivata e ha individuato tre IED. L'unità cinofila andava avanti e il caporal maggiore Marchini, che era un paracadutista guastatore che seguiva l'unità cinofila in funzione di copertura militare, è stato comunque colpito da un'esplosione - si presume di una mina antiuomo, ma non abbiamo ancora gli elementi per dire con certezza la natura dell'ordigno esploso - ed è morto sul colpo.
La sua salma arriverà domani mattina e domani pomeriggio vi saranno i funerali. Rinnovo il dolore, la solidarietà e la vicinanza a tutte le Forze armate e ai familiari del caporal maggiore Marchini.
Tuttavia, il motivo per cui oggi ci avete chiesto la nostra presenza è per riferirvi sugli sviluppi relativi a tutte le missioni internazionali. Credo che l'intervento svolto dal Ministro Frattini mi esima dal dilungarmi molto sulle ragioni generali, anche se qualcosa vorrei dire.
Innanzitutto vorrei ricordare a tutti che il ruolo italiano ci consente di essere parte attiva nei consessi in cui si elaborano e si attuano le scelte più importanti in materia di sicurezza e che hanno riflessi diretti e concreti sugli interessi nazionali, in termini non solo di immagine o di prestigio, ma, appunto, di concretezza. Solo con questa partecipazione possiamo influire sulle scelte della comunità internazionale il più coerentemente possibile con le nostre attese. Del resto, abbiamo svolto un ruolo responsabile all'interno delle maggiori organizzazioni internazionali, dalle quali abbiamo sempre avuto un apprezzamento molto alto.
In termini di posizionamento del nostro Paese sulla scena mondiale, le missioni internazionali hanno consentito di svolgere, quindi, un ruolo importante - come ha detto poc'anzi il Ministro Frattini - ed è indubbio che le Forze armate ormai costituiscono uno strumento essenziale della politica estera italiana. Vorrei, però, sottolineare, come Ministro della difesa, che è altrettanto vero che attraverso la partecipazione alle missioni internazionali è possibile condividere con i Paesi amici e alleati lo sforzo per garantire stabilità e sicurezza, inclusa la difesa dal terrorismo internazionale, con rilevanti ricadute dirette sul nostro territorio nazionale e indirette per la nazione, anche in termini di economia delle risorse.
A me piace sempre sottolineare e non mi stanco di ripetere che la questione delle missioni all'estero non può essere mai inteso come un problema della difesa. Le missioni non possono e non devono essere percepite come un onere di uno specifico dicastero. Sono, al contrario, un impegno che deve essere responsabilmente assunto dal Paese e dalle sue istituzioni - Governo e Parlamento - nella loro interezza.
Proprio per questo, il Governo nell'approvare il decreto di finanziamento delle missioni relative al secondo semestre si è mosso in riferimento a due precisi principi. Il primo è stato continuare ad assicurare


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al Paese il mantenimento del ruolo e degli impegni assunti in ambito internazionale; in caso contrario sarebbe venuta meno la credibilità e l'affidabilità che ci siamo guadagnati in questi anni, anche con il contributo di sangue molto oneroso dei nostri militari. Il secondo principio, alla luce della complessa e difficile situazione economico-finanziaria internazionale che il nostro Paese è chiamato ad affrontare, è stato quello di procedere a una revisione e a un'ottimizzazione del nostro impegno per pervenire a una riduzione dell'impegno finanziario.
Ci tengo anche qui a precisare che si è trattato di una revisione che non rappresenta certamente una novità. Infatti, anche in occasione dei precedenti rinnovi semestrali, ho sempre chiesto e ottenuto dai vertici militari una costante e attenta valutazione in termini di costo-efficacia del dimensionamento dei nostri contingenti, che io stesso ho puntualmente verificato, anche in loco, in funzione degli obiettivi politico-militari prefissati e di un oculato utilizzo delle risorse finanziarie. Nelle occasioni precedenti - come mi è stato ricordato da alcuni - il valore delle missioni aumentava. È ovvio che, se a livello politico noi decidiamo di partecipare a nuove missioni o di aumentare il numero dei militari, come è avvenuto in Afghanistan, il valore aumenta. Ma, questo non vuol dire che in passato - a parità di missioni - non si siano già realizzate importanti riduzioni di risorse.
Ad ogni modo, voglio dire che questa volta è stato compiuto il massimo sforzo, proprio per la peculiarità della situazione generale. Il bilanciamento tra le due esigenze è stato, dunque, trovato confermando il nostro impegno e il nostro contributo alle missioni internazionali in termini qualitativi, senza che si perdesse efficacia anche in termini quantitativi, nel rispetto degli impegni assunti e procedendo a una razionalizzazione riduttiva dei contingenti da attuare sempre in accordo con gli alleati.
Consentitemi di ringraziare i vertici delle Forze armate e tutto lo staff che ha operato, perché in silenzio e con riservatezza, per settimane, hanno preparato - certo, su mia indicazione, ma l'hanno preparato loro - un piano che riuscisse a bilanciare questi due princìpi, cioè a far costare meno all'Italia le missioni senza venir meno di una sola virgola agli impegni assunti a livello internazionale, senza rinunciare al principio together in, together out e, soprattutto, senza diminuire, anzi accrescendo ulteriormente, le risorse destinate alla sicurezza dei militari.
Perché su questo credo che nessuno di noi voglia transigere. Si può discutere, sotto qualunque forma, del numero delle missioni, delle modalità, delle risorse, ma se le missioni ci sono allora le risorse destinate alla sicurezza dei militari non solo non debbono diminuire ma, come è avvenuto anche in questo decreto-legge, sia pure marginalmente, debbono aumentare per fare fronte alle nuove possibilità che offre la tecnologia di migliorare gli equipaggiamenti e tutto ciò che attiene alla sicurezza dei militari.
I numeri parlano chiaro: noi passeremo da 9.250 militari, comprendenti quelli impiegati nei mesi di massimo impegno operativo per le operazioni in Libia, per un onere complessivo per il primo semestre 2011, riferito solo alla Difesa, di 803 milioni di euro, a una presenza media di circa 7.000 militari nel secondo semestre, in perfetta attuazione dell'articolo 9 del decreto-legge, che determina una riduzione di almeno 2.070 unità, con un onere complessivo, a fronte degli 803 milioni di euro del primo semestre, di 694 milioni di euro per l'intero secondo semestre, con una riduzione che voi stessi potete verificare essere intorno ai 110 milioni di euro.
È un risultato che si è potuto conseguire - ve lo dico senza leggere la nota scritta - attraverso dei meccanismi che non hanno intaccato l'operatività e l'efficacia della nostra azione, né tanto meno fatto venir meno gli impegni. In particolare - lo dico a memoria, ma poi leggerò se dimentico qualcosa - abbiamo ritenuto non fosse più necessario in Libia mantenere l'impiego della nave Garibaldi, necessaria nella prima fase perché allora l'operazione no fly zone non aveva annullato la


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minaccia aerea di Gheddafi; venuta meno questa minaccia aerea e completata l'operazione no fly zone (adesso noi interveniamo per contrastare le forze di Gheddafi che via terra possono creare minaccia ai cittadini) non è stato più necessario mantenere la nave Garibaldi, che viene sostituita da una nave più piccola. Questo comporta una forte riduzione sia in termini di uomini sia in termini di risorse in assoluto.
Abbiamo inoltre potuto ridurre il numero degli uomini nelle varie missioni minori (se volete, dopo le elencherò). Abbiamo ridotto, in accordo con l'organismo internazionale da cui dipende, la missione nei Balcani, che da 600 uomini passerà, entro la fine del 2012, a poco più di 300 uomini. Abbiamo immaginato di ridurre di 700 uomini la nostra missione in Libano, che è composta oggi da 1.800 uomini, subordinando naturalmente all'accordo con l'ONU, che per ora è solo informale, ma che nel decreto-legge abbiamo già previsto come effettivo, portando la forza del nostro contingente a livello identico a quello spagnolo che ne ha il comando. Ci siamo assicurati prima, in via del tutto informale, che dal punto di vista militare questo non costituisca un venir meno dell'efficacia della missione.
Peraltro, i nostri soldati possono essere sostituiti da altri contingenti. Vi riferisco una notizia che non viene mai data: l'ONU conferisce dei rimborsi per questa missione; il rimborso nel nostro caso costituisce il 30 per cento, mentre per altri Paesi (dell'Africa, per esempio) copre quasi interamente e a volte integralmente, e per altri ancora più che integralmente il costo della partecipazione. Non è difficile, dunque, farsi sostituire, tenuto conto che alcuni Paesi già partecipano con buoni risultati. Deciderà poi l'ONU se vorrà fare così: noi l'abbiamo aiutata prendendo contatti con alcuni di questi Paesi, ma la decisione è dell'ONU, che può anche immaginare di ridurre il numero del contingente in relazione ai successi conseguiti sul territorio.
Non abbiamo toccato di un solo uomo la composizione del contingente in Afghanistan, e anzi abbiamo aumentato di 15 milioni di euro le risorse destinate prevalentemente a nuove misure ed equipaggiamenti, che garantiscono maggior sicurezza ai militari in Afghanistan e anche nelle altre missioni.
Per quanto riguarda la forza militare che l'Italia oggi ha in Afghanistan, mi fermo riguardo a quanto abbiamo fatto per determinare l'abbassamento di risorse che vi ho appena detto, confermandovi di aver parlato con il ministro inglese e con il responsabile della NATO, che non hanno rilevato nulla di anomalo nella nostra manovra, perché tutti gli impegni vengono rispettati e le riduzioni sono solo in funzione - voglio dirlo con chiarezza - dei risultati raggiunti.
Questo avviene in Libia, nei Balcani, nelle missioni minori e anche in Libano, dove è cambiato il fatto che non siamo più al comando, anche se lì la situazione rimane statica dal punto di vista politico-militare.
Tornando all'Afghanistan, il Presidente Obama ha detto, e io non posso che concordare, che la situazione è di generale miglioramento. Questo non vuol dire che non vi siano pericoli, anzi come dicevo prima i pericoli possono localmente anche accrescersi in determinante zone. Dove andiamo a conquistare nuovi spazi, nuovi territori ci può essere, anzi c'è, un tentativo forte di impedire che questo avvenga sul piano militare ma anche sul piano psicologico.
Riteniamo che uno degli obiettivi dei terroristi e degli insorti non sia tanto quello di infliggere un danno tattico e strategico alla forza militare, quanto di indurre l'opinione pubblica attraverso un'azione terroristica che ha colpito per l'Italia trenta uomini (sono trenta morti dolorose) a fare pressioni per farci interrompere, proprio quando lo stiamo completando, un lavoro che è costato fatica, lavoro, lutti.
Si tratta quindi di un effetto psicologico a cui rispondo dicendo che proprio in queste occasioni non bisogna a mio avviso mettere in discussione gli obiettivi e le ragioni della missione. Vi sono luoghi


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deputati (questo è uno di quelli), ma non cadrò nella trappola, ogni volta che drammaticamente dovessero verificarsi lutti, di fare il gioco dei terroristi facendo conseguire a un lutto la possibilità di mettere in discussione le ragioni della nostra presenza nelle missioni.
Se quelle ci sono, vengono discusse a prescindere, sapendo che i nostri militari lì corrono dei rischi che loro accettano. Non consento che si dica che i nostri ragazzi sono contenti allorquando decidiamo di rimpatriarli: i nostri ragazzi sono contenti di svolgere bene il loro lavoro, accettano i rischi e certo ritornano volentieri alle loro famiglie, ma dopo aver compiuto fino in fondo il loro dovere. Parlate con loro: a chi - non solo della maggioranza, ma anche dell'opposizione - è capitato di avere l'onore e la fortuna di stare per qualche ora o per qualche giorno insieme a loro, questo convincimento è apparso così chiaro, così ineluttabile da non poter essere messo da alcuno mai in discussione.
La progressiva assunzione di responsabilità da parte afgana nel campo della sicurezza ci dovrebbe consentire come pianificato di avviare a partire dal 2012 la rimodulazione del nostro contingente, per giungere verosimilmente nel 2014, in coincidenza con la piena assunzione di responsabilità della sicurezza da parte delle autorità afgane, al disimpegno delle componenti di prima linea dei nostri contingenti. Ricordo che a oggi noi contribuiamo con 4.200 unità e che di queste circa 600 sono addestratori. Non pensiamo che nel 2014 abbandoneremo l'Afghanistan, ma non saremo più in prima linea. Potremo semmai essere a fianco degli afgani in funzioni di addestramento o di aiuto in altre forme.
È di tutta evidenza che il processo di revisione potrà avvenire e avverrà anche in questo caso solo in ragione degli obiettivi raggiunti dalla coalizione e dalla situazione sul terreno, fermo restando il vincolo irrinunciabile della salvaguardia della sicurezza dei nostri soldati.
Noi pensiamo di potere rispettare questa tempistica. Non a caso, l'unica voce in aumento, lo ripeto, è proprio quella sull'Afghanistan, perché sappiamo che per rispettare quella tempistica bisognerà continuare a essere presenti.
Si è molto parlato del ritiro di uomini di altri contingenti, non già avvenuto, programmato. Avverrà dal 2012. Giunge, per esempio, un segnale importante dai partner statunitensi, britannici e francesi. Gli Stati Uniti hanno annunciato il ritiro di 10.000 uomini entro la fine di quest'anno e di altri 23.000 entro il settembre del 2012. I britannici e i francesi hanno seguito con analoghi annunci, ma con aliquote naturalmente molto più ridotte.
Voglio che sia ben chiaro, però, di cosa stiamo parlando. Dopo questi ritiri, per un totale di 33.000 uomini, gli Stati Uniti alla fine del 2012 avranno un contingente di circa 68.000 uomini, cioè il doppio di quando Obama si insediò alla Casa bianca.
Anche noi immaginiamo un graduale rientro. Non è ancora oggi il momento di graduarlo, perché vogliamo verificare la situazione sul terreno, trattandosi di numeri molto più piccoli. Credo che in questa occasione non serva fissare scadenze che possano magari incoraggiare, essendo il nostro un contingente più piccolo e avendo noi la responsabilità da soli di un'area, ma dire da stabilire che dal 2014 il nostro impegno è di arrivare, compatibilmente con i risultati raggiunti, ad aver zero uomini in prima linea.
Mi pare che sull'Afghanistan vi abbia ragguagliato abbastanza e vorrei, quindi, accennare alla Libia. A oggi 11 nazioni partecipano con proprie forze navali all'embargo. Sono 16, invece, le nazioni che contribuiscono con un totale di 200 aerei, ad ala fissa e rotante, alle operazioni aeree. Fra questi ci sono anche quattro Paesi non NATO (Svezia e tre Paesi arabi: Emirati Arabi, Qatar e Giordania) la cui partecipazione, come è evidente, ha un rilievo notevole.
L'Italia in particolare ha concesso in uso sette basi aeree per il rischieramento degli aerei dei Paesi partner e la necessaria assistenza logistica per la condotta delle operazioni. I nostri velivoli sono impiegati nella campagna aerea sia per l'imposizione


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della no fly zone, sia per la neutralizzazione delle capacità militari ostili che rappresentino una minaccia per i civili in piena aderenza col mandato delle Nazioni unite.
Una volta neutralizzato il potenziale aereo del regime di Gheddafi, cosa già avvenuta, si è passati a contrastarne le capacità offensive sul terreno, adottando tutte le cautele possibili nella pianificazione e nella condotta delle operazioni, impiegando armamenti di estrema precisione ed evitando di condurre attacchi, se non con la ragionevole certezza di ridurre pressoché a zero il rischio di danni collaterali.
Vi ricordo che l'unica piccola condizione che abbiamo posto, che per me è grande e che io stesso ho voluto, è quella di avere un nostro ufficiale nel comando che possa alzare un cartellino rosso e decidere che a una data operazione, assolutamente legittima, noi italiani preferiamo, in ottemperanza al mandato avuto dal Parlamento, non partecipare, perché il rischio di danni collaterali, anche se marginale, per noi supera il livello che vogliamo accettare.
È già capitato più di una volta e, anche se non voglio fornire ulteriori informazioni al riguardo, in un'occasione avevamo visto giusto, perché danni collaterali purtroppo ci sono stati senza la nostra partecipazione.
A me preme sottolineare che, grazie a ciò che abbiamo fatto e che stiamo facendo in Libia, gran parte della popolazione libica è oggi sostanzialmente al sicuro in aree non toccate dagli scontri, proprio grazie all'azione della NATO. Si può ritenere che, in assenza dell'intervento militare internazionale, i principali centri urbani della Cirenaica, Bengasi, Derna e Tobruk, sarebbero stati coinvolti direttamente dall'azione delle forze governative, mentre la città di Misurata sarebbe stata sottoposta ad azioni ben più devastanti.
L'azione della coalizione ha circoscritto le aree teatro degli scontri e ha contenuto il livello di violenza, distruzione e conseguenza per la popolazione civile. Non solo abbiamo impedito veri e propri massacri, ma abbiamo anche lasciato immuni dagli scontri alcune città, paesi e villaggi. È evidente - vi prego di prestare grande attenzione a questa parte - che una diversa evoluzione della crisi si sarebbe, a mio avviso, riverberata pesantemente sulla popolazione, provocando con tutta probabilità un esodo verso le nostre coste ben più massiccio di quello che abbiamo dovuto fronteggiare.
Non è, quindi, esatto affermare che è la presenza della missione internazionale a causare flussi migratori o di rifugiati. A mio avviso, è esattamente il contrario. Se non ci fosse stata la guerra civile in Libia, non ci sarebbero stati, ma, una volta in corso la guerra, se non fossimo intervenuti, gli sfollati provocati dall'azione di Gheddafi sarebbero stati in numero dieci volte superiore.
Noi dobbiamo essere pronti a ottemperare all'impegno assunto. Ricordo che l'impegno della NATO ha come scadenza il 30 settembre 2011 e che noi a quella data abbiamo commisurato le risorse necessarie, facendole passare da circa 134 milioni a 60 milioni soltanto. È uno dei motivi per cui rinnovo veramente il ringraziamento alle Forze armate per il piano di ridimensionamento compatibile con le esigenze. Molto, naturalmente, è dovuto al ritiro della nave Garibaldi.
Io penso che noi dobbiamo prepararci anche a una fase post-conflittuale. Non possiamo immaginare che anche nella fase post-conflittuale l'Italia non sia a fianco dell'ONU e delle organizzazioni regionali responsabili proprio per orientare l'evoluzione a tutela degli interessi nazionali. Credo che il Ministro Frattini vi abbia dato al riguardo ampie indicazioni.
Dal punto di vista operativo, poiché sulla Garibaldi erano impegnati tre aerei - voglio fornirvi anche questa informazione - e quei tre aerei non svolgeranno più missioni, abbiamo assicurato alla NATO che le missioni che svolgevano tali aerei potranno essere svolte, senza aumento di velivoli, dagli aerei che sono nelle basi, sostituendo eventualmente quelli che non servono più per la no fly zone con aerei


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adatti e più flessibili agli impieghi che prima erano riservati agli aerei sulle navi.
Non abbiamo ridimensionato, dunque, il nostro impiego, ma in termini di costi da 134 milioni siamo passati a 60, con una diminuzione di circa 900 marinai.
Sul Libano si è già parlato molto, ne ho accennato anche prima e, quindi, mi pare che la rilevanza strategica non sia venuta meno. L'ONU continua a rimpiangere il nostro comando UNIFIL e a chiedere che il prossimo sia di nuovo italiano. Ci penseremo, oppure accetteremo, come hanno fatto gli spagnoli, ma senza che ciò comporti o possa comportare, ve l'anticipo adesso nella mia valutazione, un aumento di risorse. In proposito vi avevo già anticipato la nostra previsione, da confermare con l'organizzazione internazionale, di riduzione di uomini.
Dei Balcani vi ho detto. In Iraq ritireremo tredici unità dalla Training Mission, abbiamo ritirato unità dalla Georgia, dal Congo (vi erano quattro unità, oggi non ce ne sono più); in Uganda continua la missione dell'Unione europea di addestramento delle forze di sicurezza.
Abbiamo ritirato una nave dalla missione Active Endeavour perché in questo momento una nave che fa azione antiterrorismo, con tutte le navi che ci sono nel Mediterraneo, non serve assolutamente.
Voglio darvi una notizia che riguarda l'antipirateria. Come sapete, ora agli armatori è consentito di imbarcare sulle navi o militari o anche contractor delle polizie private per garantire la sicurezza; questo comporterà, mi auguro, anche una diminuzione delle risorse necessarie a un controllo generale. Mi complimento per il vostro lavoro, di Camera e Senato, per questa importante innovazione.
Signori presidenti, onorevoli senatori, onorevoli colleghi, nel concludere voglio cogliere l'occasione per rinnovare nei confronti dei nostri militari tutto l'apprezzamento del Governo e mio personale, nel fermo convincimento dell'importanza dell'impegno dei nostri militari in tutti i teatri operativi a sostegno degli interessi del Paese, per contribuire al mantenimento della stabilità, della sicurezza e della pace.
Spero di essere stato esauriente. Rimango ovviamente a vostra disposizione per ogni ulteriore chiarimento. Grazie.

PRESIDENTE. Grazie a lei, onorevole Ministro.
Colleghi, vi prego di tenere in considerazione i tempi che di comune accordo abbiamo stabilito, cioè tre minuti per intervento. Prioritariamente darò la parola a un componente per gruppo e poi, a seguire, in base all'ordine di iscrizione.
Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

FRANCESCO TEMPESTINI. Naturalmente nelle prossime occasioni dovremo organizzare meglio i nostri lavori. Io ho aderito alla proposta del presidente di stabilire un tempo di tre minuti, ma naturalmente bisognerà valutare la proporzione tra gli interventi dei parlamentari e quelli del Governo, altrimenti non riusciamo a garantire un minimo di equilibrio, in questa sede, tra le due parti, come credo invece sia utile e necessario che accada.
Prendo atto dell'ordinato e composto argomentare dei due ministri, i quali ci hanno fatto un po' dimenticare le polemiche delle settimane scorse, all'interno del Governo, sulle missioni, anche se naturalmente qualche diplomatico assaggio di questi contrasti lo abbiamo potuto cogliere tutti dal dialogo serrato tra il Ministro La Russa e il non presente ma evocato Ministro Maroni sulla questione dell'utilità della missione in Libia per ridurre il numero di possibili rifugiati da quel Paese in Italia.
Al di là di ogni coloritura polemica, anche se tenuta sotto tono, penso che questo argomentare comunque risponda anche a qualcosa di più, a una positiva influenza - non scopriamo niente di particolare, perché è pubblica, ed è un elemento che è utile sottolineare - che nel corso di queste settimane e di questi mesi il Presidente della Repubblica ha esercitato per rendere costruttivo, innanzitutto nella maggioranza, il clima nel quale queste


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discussioni e questi approfondimenti si svolgevano. Questo è un elemento di cui dobbiamo dare atto al Presidente della Repubblica. Ci sarebbe tanto da dire sul merito, ma mi fermo perché i tre minuti sono una tagliola per me come per tutti.
Quello che mi sembra mancare nella disamina dei due ministri - so che potrei avere una risposta anche a questo, ma voglio dirlo senza polemica - è il complesso delle novità che si sono determinate nei grandi scacchieri internazionali, nei quali peraltro siamo impegnati. Penso che un riferimento a ciò che è accaduto e sta accadendo nel Mediterraneo vada fatto, perché non è senza influenza sulle missioni nelle quali siamo impegnati in Libia e Libano lo sviluppo di ciò che accadrà nel rapporto tra Israele e Palestina. Siamo in una fase diplomaticamente assai importante e ci auguriamo che il negoziato possa fare un passo avanti almeno su alcuni punti principali, sulla linea dei due Stati e due popoli.
Abbiamo una scadenza, quella di settembre alle Nazioni Unite, che non potrà non essere guardata come un punto di snodo della situazione non solo mediorientale, ma in generale in tutto il Mediterraneo.
Da questo punto di vista, il Governo risolve la questione libica dicendo che entro settembre c'è una scadenza NATO e quindi entro settembre questa missione deve giungere a conclusione. Sappiamo però che questa scadenza NATO lascia un punto interrogativo aperto. Noi ci auguriamo come tutti che in queste settimane, in questo tempo residuo la trattativa vada avanti. Vorremmo sapere qualcosa di più dal ministro - non c'è nulla di recondito o di polemico - perché sulla stampa c'è una forte accentuazione dell'iniziativa francese, di una Francia che come sappiamo ha giocato un ruolo tutto particolare che non ci appartiene.
La Francia oggi sarebbe la prima a intestarsi una trattativa avanzata con Gheddafi e con il suo Governo, per cui vorremmo sapere qualcosa di più e come questa iniziativa si collochi dentro il contesto, che peraltro noi condividiamo, di un rapporto con il CNT per rafforzarlo come elemento basilare per la decisiva fase di riconciliazione nazionale, alla quale ci auguriamo di giungere al più presto.
Questo rafforzamento del ruolo del CNT porta con sé l'altro dato di un'attiva iniziativa italiana per la successiva fase di transizione. Il ministro ha detto alcune cose, ma vorremmo sapere qualcosa di più, perché notizie di stampa hanno evidenziato la presenza di un gruppo franco-libico, per riscrivere la Costituzione. Vorremmo sapere se siano solo notizie giornalistiche.
Anche questo rientra nel modo con cui la presenza italiana, stando dentro all'iniziativa NATO e rispettandone la filosofia, lavora per accelerare l'avvio della fase di transizione.
Mi limito a esprimere un'ultima considerazione: ben diverso è lo scenario internazionale che riguarda l'Afghanistan. Siamo stretti dentro le considerazioni sulle scadenze, ma il ministro ci ha fatto un accenno troppo rapido e troppo sintetico su ciò che sta accadendo per esempio nei rapporti americano-pakistani. La questione delle prospettive per la stabilizzazione apre molte incognite, per cui vorremmo un dibattito più approfondito, che non mette certo in discussione ciò che stiamo facendo in Afghanistan. Del resto, anche il décalage ha un suo senso. Tuttavia, il contesto politico nel quale tutto ciò accade solleva molte perplessità e molti dubbi, per cui credo ci si debba richiamare a un'iniziativa coerente.

ROBERTO ANTONIONE. Vorrei ringraziare i ministri che ci hanno presentato una relazione molto precisa e puntuale.
Devo dire che ho ascoltato con una certa perplessità alcune affermazioni del collega Tempestini che, da una parte, accusa i ministri di aver parlato troppo a lungo e, dall'altra, di non aver toccato o approfondito alcuni argomenti. Ecco, è del tutto evidente che oggi ci occupiamo del decreto legge. Questo è il punto all'ordine del giorno, all'interno del quale la posizione del Governo emerge con chiarezza. Pertanto, anche le polemiche - che, come


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sappiamo, qualche volta sono strumentalmente spinte dai mezzi di informazione - lasciano il tempo che trovano.
Mi riconosco perfettamente nelle vostre relazioni. Certamente le motivazioni generali che sostengono questo decreto sono quelle che da sempre caratterizzano la politica estera del nostro Paese e quindi ricalcano la nostra tradizionale posizione. Peraltro, lo sono ancora di più in questi momenti in cui - com'è stato ricordato giustamente - dare segnali in controtendenza comporterebbe certamente cadere nella trappola costruita ad arte proprio per fare leva sull'emotività insita in certe situazioni.
Rispetto a questi temi, nel poco tempo a mia disposizione, vorrei accennare una riflessione che funga da stimolo per il Ministro Frattini, anche se non ne ha certamente bisogno. Credo, infatti, che sulla questione dei Balcani dovremmo fare qualche ulteriore considerazione a livello europeo, anche alla luce degli ultimi accadimenti. Per fortuna, la situazione della Croazia sembra migliorata molto e la possibilità che questo Paese entri nell'Unione europea, con una data certa, è un elemento ulteriore di stabilizzazione. Peraltro, anche la Serbia ha fatto dei passi avanti notevoli. Quindi, anche su questo versante - che oggi, forse, è trascurato proprio perché i risultati che abbiamo ottenuto sono molto positivi - sembra possibile potersi concentrare su una soluzione che determini non solo il dimezzamento della nostra presenza, ma in qualche modo la fuoriuscita complessiva dei nostri militari. Ciò potrebbe aiutarci ad avere strumenti e uomini da utilizzare in altri scenari.
È chiaro, però, che questo processo va intrapreso all'interno del contesto internazionale, in particolare dell'Unione europea. In questo senso, la nostra azione, che è sempre stata molto puntuale e precisa, potrebbe aiutarci anche a dare un contributo maggiore.

FABIO EVANGELISTI. L'onorevole Tempestini non ha certo bisogno di difese d'ufficio. Nondimeno, onorevole Antonione, vorrei fare un'annotazione di metodo. Infatti, si può parlare molto senza dire niente; non è necessario avere tanto tempo a disposizione.
Dalle relazioni proposte - per le quali ringrazio i ministri - emerge un ruolo marginale della nostra politica estera. Insomma, siamo più comparse che protagonisti.
Ecco, su questo aspetto vorrei citare alcuni riferimenti precisi. Il 6 maggio il Ministro Frattini sosteneva che in tre o quattro settimane, un mese al massimo, la partita con Gheddafi sarebbe stata chiusa. Ebbene, oggi siamo ancora qui e c'è qualcuno che dopo averci anticipato con le bombe, ci anticipa con la politica. Infatti, mentre noi magnifichiamo le progressive sorti della vicenda NATO, qualcuno - mi riferisco a Sarkozy - sta prendendo l'iniziativa di interloquire direttamente con Gheddafi per cercare una soluzione politica, in linea con il mandato dell'ONU che prevedeva prima di tutto il cessate il fuoco e un'azione di protezione.
Vorrei sottolineare un altro aspetto. Come gruppo, come forza politica, ma anche personalmente, sapete che non abbiamo votato gli ultimi decreti, il rifinanziamento delle ultime missioni. Però, francamente, fa un po' specie sentire parlare oggi di una riduzione delle nostre missioni per problemi di soldi, di budget. Se era vero che erano una missioni di pace, missioni per la democrazia, come affermava un fortunato slogan, ci sono cose che non hanno prezzo. La democrazia e la pace non dovrebbero avere prezzo e, invece, siamo a questo punto. Evidentemente il calcolo costo-beneficio viene svolto con riferimento ad altri valori di fondo che non siano la democrazia e la pace.
Capisco anche che siamo in una situazione politica del tutto particolare. Ci sono accenti diversi dentro la stessa compagine di Governo, siamo alle prese con una manovra molto impegnativa dal punto di vista economico-finanziario e, quindi, neanche le missioni potevano uscire indenni da questo tipo di riferimento. Tuttavia, è davvero un ragionamento sui generis.


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Chiudo con il riferimento alla pirateria in mare. Nei giorni scorsi io stesso ho presentato un'interrogazione in Commissione da cui è emersa una situazione imbarazzante.
Noi abbiamo abdicato al nostro ruolo. Avevamo una nave della classe Maestrale - gli esperti spiegheranno meglio di che cosa si tratta - per cercare di salvaguardare la vita di alcuni nostri connazionali che sono stati rapiti. Abbiamo appreso che l'armatore, attraverso la mediazione di uno studio professionale inglese, portava avanti le trattative a terra, come ha ricordato il Ministro Frattini.
Forse sarebbe il caso che tornassimo ad avere una nostra presenza, una nostra azione e non abdicassimo al nostro compito. Il fatto che le protezioni a bordo siano pagate dagli stessi armatori non è proprio il migliore dei biglietti da visita per un'iniziativa politica e per la stessa azione di difesa.

GIOVANNI TORRI. Saluto i ministri e ringrazio per le relazioni.
Vorrei partire dal discorso del decreto missioni. Io sono convinto che sia stato compiuto un passo avanti e che quanto è stato deciso nel Consiglio dei ministri venga assolutamente incontro alle esigenze che anche il mio Gruppo politico ha posto, ma ciò non ci esime dallo svolgere alcune riflessioni.
Sulla Somalia, ha ragione il Ministro La Russa, si è lavorato bene al Senato, contribuendo a svolgere un ragionamento serio. Ciò, però, non ci esime dal fatto, come abbiamo indicato anche noi, di chiedere alla Farnesina di lavorare molto sul discorso del tribunale internazionale, impresa difficile e ardua, ma secondo noi importante.
Sull'Afghanistan anch'io mi unisco al cordoglio per l'ennesima vittima. Credo che dobbiamo svolgere un ragionamento serio. È vero che ci dobbiamo assumere la responsabilità. Non è agevole stabilire che veniamo via, dopo tutto quello che è stato fatto, però dobbiamo essere anche molto onesti. Dobbiamo fare in modo che chi governa quella nazione, ossia Karzai, si assuma tutte le responsabilità della transizione, lavorando anche lui alacremente. Lo possiamo aiutare per un po', ma non per un tempo infinito.
Credo che si debba svolgere un ragionamento di approfondimento serio anche su un'altra questione. Quando sono stato a un recente seminario dell'Assemblea parlamentare della NATO, ho ascoltato alcune persone, nella fattispecie l'onorevole Boucheron, affermare che la Francia, rimanendo in Afghanistan, avrebbe problemi a giustificare i morti. Io credo che non sia propriamente così, che per la democrazia ci sia sempre una giustificazione se succede un incidente. Credo che noi dobbiamo essere estremamente chiari e che dobbiamo fare in modo di avere tempi più certi.
La morte di Bin Laden non ha chiuso il problema. È morto un tiranno, un matto, ma non abbiamo sconfitto definitivamente la logica di Al Qaeda. Credo che in tale Paese non ci sia solo Al Qaeda, ma che ci sia anche il problema dei talebani.
Credo, però, che vada svolto un ragionamento di tempistica. Se il Governo non funziona, e Karzai è sempre stato molto criticato, io spero che riesca a mettere una famosa marcia in più per andare meglio, altrimenti si può verificare veramente che diverse nazioni, e non solo l'Italia, si spazientiscano.
Sulla Libia noi siamo stati chiari. Ho letto su un giornale che il Presidente del Consiglio sostiene che non ci voleva andare. Io ero il senatore che è uscito dall'aula prima del voto sulla risoluzione relativa alla risoluzione 1973 dell'ONU. Noi siamo stati chiari e già all'inizio sostenevamo che forse c'era la logica della NATO. Poi siamo andati avanti e siamo arrivati a oggi. Il problema qual è? Dobbiamo essere onesti con noi stessi.
Come l'onorevole Parisi, vengo anch'io da un seminario sul Mediterraneo in cui un generale americano ci ha spiegato che probabilmente non tutti hanno capito la situazione, anche a livello visivo. Molta gente è convinta che noi siamo sul posto per far svolgere la transizione governativa dal regime di Gheddafi agli altri, ma il


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mandato NATO non è quello. Ci chiede di essere a tutela dei cittadini e della sovranità dei cittadini, che è un'altra questione. Prendo atto del fatto che adesso noi cerchiamo di svolgere una buona operazione e abbiamo diminuito le spese, ma deve essere chiaro anche questo punto.
Credo purtroppo che la Libia, essendo un Paese tribale, non sia facile da gestire, ma credo anche che dobbiamo svolgere un ragionamento molto più ampio e molto diplomatico, più che di bombardamento.
Caro Ministro Frattini, forse la diplomazia deve portare a termine una logica di transizione. Sono preoccupato quando lei riferisce che noi dovremmo essere vicini a quelli che forse effettueranno la transizione. Il «forse» mi lascia un po' preoccupato. Speriamo che siano quelli che effettuano la transizione, perché dopo questi mesi siamo ancora un po' in blocco.
Passo all'ultima analisi. Poiché noi stiamo esaminando la manovra, stamattina in Commissione ne abbiamo parlato anche noi. I tagli alla difesa vengono purtroppo effettuati anche stavolta. Io credo che sia un valore aggiunto quello delle missioni, però bisogna essere onesti. Se noi siamo la settima potenza mondiale, non possiamo andare in giro per il mondo a fare i primi della classe nelle missioni, quando qualcuno che è più avanti di noi ha molti meno uomini e si impegna molto meno. Credo che i francesi spesso e volentieri siano bravi solo a mettere il cappello.
Non mi è piaciuto l'atteggiamento, e non credo sia un parallelismo giusto, caro Ministro La Russa, relativo al numero degli americani. L'America è l'America e l'Italia è l'Italia. Non è facile compiere un parallelismo. Credo, però, che con serietà, se noi abbiamo sottoscritto accordi internazionali e la nostra nazione è nella NATO, dobbiamo tenere fede ad alcune questioni, ma anche chiarire che alcune situazioni, per un motivo economico, non sono sostenibili. È vero che la democrazia ha dei costi ma non si può lasciar fallire uno Stato, come è accaduto alla Grecia, perché vogliamo essere sempre i primi della classe, quando forse non è il caso.

FRANCESCO BOSI. Mi associo alle espressioni di cordoglio usate dal Ministro La Russa per il caporal maggiore Marchini e all'encomio alle nostre Forze armate per ciò che rappresentano, tanto nelle missioni, quanto nell'immagine positiva che danno dell'Italia.
Magari su questo fronte ci sarà occasione di riparlarne. Mi ha un po' preoccupato il calo progressivo in rapporto al PIL di quanto noi impegniamo per la difesa, soprattutto andando a colpire spese di esercizio che stressano notevolmente le nostre Forze armate e producono spreco. Quando interi settori vengono tenuti fermi, si tratta di sprechi, a fronte dei quali c'è una diminuzione della funzionalità delle Forze armate.
È chiaro che il momento induce a esigenze di contenimento della spesa, però si dovrebbe avviare una riorganizzazione anche da parte delle Commissioni competenti della Camera e del Senato.
Ciò detto, credo che abbiamo avuto e abbiamo una presenza importante in tutti i teatri, nei quali si manifestano le tensioni a livello internazionale, e questo è importante. Sono d'accordo con il Ministro La Russa quando dice che le Forze armate sono uno strumento indispensabile per la nostra politica estera.
A causa dello scarso tempo a disposizione mi limito a dire che gli indirizzi e le impostazioni che sono state date nel Consiglio supremo di difesa sono da me e dal Gruppo dell'UDC assolutamente condivisi, così come concordo in larghissima parte con le informazioni forniteci dal Ministro Frattini in merito alle linee sulle quali si muove la nostra politica estera. L'unico appunto che, come ho già fatto in una simile occasione, mi riservo di rivolgere al ministro riguarda la posizione italiana sulla Libia.
Abbiamo avuto un ruolo abbastanza contraddittorio e a tratti difficilmente comprensibile. Bisogna dare atto al Ministro Frattini di aver sempre tenuto una linea, però purtroppo a volte non è sembrata condivisa da tutto il Governo. Anche oggi il passaggio del ministro sulla Libia è parso un po' contraddittorio, laddove da


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una parte si afferma la totale rappresentanza da parte del CNT e dall'altra si parla di parti in causa. Chi conosce la Libia sa che una cosa è la Cirenaica, altra la Tripolitania.
Dobbiamo tener conto di questo, perché la fusione è intervenuta per opera dell'Italia, unendo nel periodo della colonizzazione la Tripolitania con la Cirenaica, che oggi sono distinte. Dobbiamo prenderne atto e procedere con questa valutazione.

ARTURO MARIO LUIGI PARISI. Tre minuti sono tre minuti, presidente, ma l'oggetto che dobbiamo discutere è un provvedimento. Lo dico esprimendo un ringraziamento ai rappresentanti del Governo perché gli stimoli che ci hanno offerto sono di gran lunga superiori a quello che richiederebbe l'esame del testo, e aggiungo giustamente perché evidentemente il provvedimento è la conclusione di un ragionamento di cui oggi ci hanno dato conto.
Cercando di essere telegrafico, vorrei innanzitutto rinnovare la condivisione di quelle che sono le linee di fondo illustrate dal Ministro Frattini, le categorie fondamentali che, ricordando il documento del Consiglio supremo di difesa, hanno ribadito la linea di condotta del Paese per quanto riguarda le relazioni internazionali. Anche se gli accenti fossero diversi, non sarebbe comunque questo il luogo in cui discuterne: i contenuti sono formulati in modo tale che è possibile riconoscersi in essi, e degli accenti parleremo altrove anche perché i nostri sono discorsi pubblici, ascoltati dai nostri soldati, dai nostri avversari, dai nostri alleati, e quindi abbiamo il dovere di misurare le parole.
Detto questo in merito alla condivisione dei criteri ispiratori di fondo, che ci chiamano a un massimo di convergenza possibile, lo stesso non vale riguardo né al metodo né alla condotta (non certo quella militare). Non posso che associarmi - anche per esperienza diretta - alla testimonianza del Ministro La Russa circa l'assoluta competenza efficienza, lealtà, generosità e passione delle nostre Forze armate, delle nostre donne e dei nostri uomini coinvolti nelle varie missioni. Viceversa, biasimo la condotta politica. E, prima ancora della condotta politica, mi sia consentito di lasciare a verbale un dissenso sul metodo, ovvero sulla tendenza del Governo - ho presenti alcune dichiarazioni del Presidente del Consiglio - a rifugiarsi in una certa deresponsabilizzazione.
A questo proposito, penso che non possiamo accettare, come Parlamento, ma anche come cittadini, alcune proposizioni ricondotte al Presidente del Consiglio - come mi è capitato di leggere e sentire - che, a proposito della fase iniziale della Libia, ha sostenuto che, se fosse stato per lui, non avremmo proceduto come stiamo facendo e, se fosse stato per lui, non avrebbe che preso atto delle decisioni espresse dal Parlamento, alle quali si è sentito impegnato a dare esecuzione. Questa è una proposizione, onestamente, eccessiva sia quando parla al Parlamento, sia quando parla al Paese, coprendosi - mi sia consentito - dietro i deliberati e i documenti condivisi in sede di Consiglio supremo della difesa, organo che si trova attribuite responsabilità che la Costituzione non prevede.
Ecco, credo che questa linea debba essere interrotta. Noi dobbiamo essere sicuri di avere di fronte un Governo che riconosce nelle proprie decisioni e nella propria responsabilità il fondamento delle linee che stiamo esaminando.
Non sono d'accordo sul metodo perché - peraltro, è stato detto anche a me quando ero dall'altra parte - siamo costretti ad assistere a divisioni di orientamento tra membri del Governo. Non li elenco, li cito semplicemente per dire che è un punto che non possiamo affrontare solo attraverso i media e le agenzie. Non posso, quindi, dichiararmi d'accordo; meno che mai quando negli stessi membri del Governo vedo in conflitto la funzione di governo e la funzione di rappresentanza politica. È a tutti evidente, per esempio, che in occasione di ogni morte dei nostri soldati assistiamo a una rappresentazione - lo dico nella forma più neutra possibile


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- in cui i membri del Governo si sentono caricati delle due funzioni, non riuscendo a portarle a sintesi. Infatti, quello che si dice al momento della decisione non coincide con quanto si esprime al momento della rappresentazione.
Ancor meno - ripeto - sono d'accordo sulla condotta politica. Da questo punto di vista, molte indicazioni relative al decreto meriterebbero di essere approfondite e riconsiderate puntualmente.
Il campo dalla difesa e della sicurezza è un settore in cui la variabile indipendente è la minaccia. I casi sono due, o la minaccia c'è, e allora la risposta deve essere commisurata alla minaccia; o la minaccia non c'è, e allora la risposta deve essere ridefinita radicalmente, muovendo dal riconoscimento del ridursi della minaccia. Allora, in ognuna di queste situazioni, avremmo bisogno di un'indicazione più puntuale.
Nell'intervento del Ministro La Russa ho visto evocata, a proposito dell'Afghanistan, una certificazione del ridursi della minaccia, quindi di un miglioramento della situazione. Purtroppo, queste non sono le cifre messe a nostra disposizione, la contabilità delle morti degli undici anni nei quali la comunità internazionale è impegnata in Afghanistan. Già a metà dell'anno abbiamo avuto, come comunità internazionale, più morti che nei primi otto anni e, proiettando il dato alla fine dell'anno, più morti che nel nono anno. Onestamente, se di miglioramento dovessimo parlare, dovremmo farlo in riferimento al decimo anno, neppure al nono.
Siamo in una situazione molto delicata, a partire dalla quale dobbiamo prendere le nostre decisioni.
Rispetto alla Libia non so cosa succederà e cosa il futuro ci riserva. So certamente che le date che il Ministro Frattini ha nel tempo riformulato sono state ridefinite con esiti inevitabilmente deprimenti. Non voglio infierire perché, sebbene sia stato il Governo a doversi fare carico di questa proiezione, sarebbe come infierire su tutti noi.
La sera guardiamo la televisione e le immagini che giungono a noi e ai nostri rappresentati - parlo come membro del Parlamento - non corrispondono agli obiettivi per i quali diciamo di essere in Libia. Il collega Torri ha ricordato che abbiamo posto questo problema in sede di Assemblea parlamentare NATO, ma ci è stato risposto che la forza dei media è nelle mani del colonnello. Meno male, ho detto a me stesso, se consideriamo che Al Jazeera e altri sono contro il colonnello; figuriamoci se li avesse a disposizione!
Noi sappiamo che se il tempo si allunga il consenso dei nostri cittadini, che è abbondantemente minoritario, è difficile da rinnovare, estendere e difendere, quindi anche le risorse che dal consenso derivano. Vorrei che fosse chiaro al Governo che se per il perseguimento dell'obiettivo dovessimo mettere il piede in terra, cioè dovessimo dar seguito a formule che mi capita di leggere quale un intervento di terra in difesa di un'iniziativa umanitaria, noi avremmo problemi serissimi.
Altro «telegramma» sulla Francia. Noi nella prima fase abbiamo scommesso tutto su Gheddafi, nella seconda abbiamo scommesso troppo o direi tutto sul Consiglio nazionale di transizione di Bengasi. Il Consiglio, come è stato ricordato, è l'unico referente legittimo che noi riconosciamo. So che al momento è stato riconosciuto da diciassette, anzi mi dicono venti Paesi. Mi sentirei tranquillo se sapessi che almeno i Paesi che condividono l'iniziativa militare con noi l'hanno riconosciuto, e vorrei essere rassicurato al riguardo, a cominciare dagli Stati Uniti.
Noi abbiamo detto no all'unilateralismo e sì all'Europa. Ho qualche difficoltà a riconoscere un comportamento non unilaterale nella Francia, che conduce una guerra parallela, e a riconoscere in quel Paese quel senso di corresponsabilità europea alla quale il ministro ci ha richiamato.
Mi fermo qui, sebbene avrei altro da dire.

MARGHERITA BONIVER. Mi concentrerò soltanto su un aspetto delle due relazioni dei ministri di cui sono molto


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soddisfatta e anche grata, soprattutto con riferimento alla premessa con la quale il Ministro Frattini ha voluto, in questa riunione, ribadire il prestigio della presenza italiana, la serietà, la credibilità, la lealtà che il nostro Paese sta dimostrando, confermandosi fra i primi Paesi contribuenti a queste missioni militari di pace.
Mi concentro soltanto sulla questione dell'Afghanistan anche in seguito alle notizie che abbiamo ricevuto oggi: non soltanto l'ennesima, atroce perdita di un nostro militare, ma anche l'attentato a cui è recentemente scampato il Governatore di Helmand, regione assolutamente cruciale per la presenza militare internazionale, nonché l'assassinio ieri di Ahmad Wali Karzai, che rappresentava il pilastro del potere del Governo transitorio di Karzai. Dopo le contestatissime elezioni del Parlamento afgano dello scorso anno, ancora non è stato possibile costituire un Governo approvato da questo Parlamento.
Si constata quindi una situazione di crescente fragilità e drammaticità dal punto di vista politico, e non è soltanto la campagna di primavera scatenata come ogni anno dai talebani, che mettono a punto con successo non soltanto l'uccisione dei soldati occidentali, ma anche l'eliminazione di quegli elementi pashtun del clan Popalzai a loro non graditi, né i ritardi con i quali per ovvi motivi ci troviamo a fronteggiare la nascita di un esercito nazionale afgano in un Paese dove non c'è mai stato.
Non voglio sottolineare troppo gli elementi assolutamente negativi, ma semplicemente esortare noi stessi, il Governo e la comunità internazionale ad adottare una disamina più onesta di quello che la nostra presenza collettiva rappresenta in quel Paese, una presenza che non sia necessariamente e soltanto cadenzata dalle elezioni politiche negli Stati Uniti, perché anche questo abbiamo visto negli ultimi due anni con la questione del surge voluto da Obama e in seguito anche il ridimensionamento.
Ho ascoltato con molta attenzione le vostre relazioni, e credo che i termini «ottimizzazione» e «ridimensionamento» per quanto riguarda le nostre missioni debbano essere la nostra stella polare.
A questo aggiungerei anche un elemento non critico, ma sempre di onesta disamina, che è il meccanismo di autoperpetuazione citato dall'onorevole Antonione, che spesso si insedia all'interno di queste missioni militari e che rappresenta un pericolo.
È quindi necessario utilizzare al meglio la nostra presenza in tutti i teatri di guerra, ma anche essere molto attivi e cercare di prevenire il rischio che Kabul possa diventare un'altra Saigon, come purtroppo credo debba essere messo in conto.

ALESSANDRO MARAN. Mi concentro rapidamente, ponendo alcune domande, sullo scenario proposto dal Ministro degli esteri Frattini.
Ovviamente non sono mutate le condizioni critiche permanenti, cioè la collocazione geopolitica del nostro Paese, la sua vulnerabilità, anzi semmai sono accresciute dal mancato o debole assestamento dei due versanti tradizionali, i Balcani e la sponda sud del Mediterraneo. Per quanto ci riguarda non è in discussione neppure l'opzione multilaterale e i suoi pilastri, la NATO e l'Unione europea, né la partecipazione dell'Italia alle missioni internazionali, con gli oneri e i vantaggi che questo ha comportato e comporterà.
Il punto è chiedersi - forse qui varrebbe la pena di porsi una serie di domande - che cosa è cambiato. Lo scenario che noi abbiamo ereditato dal dopoguerra tra qualche anno probabilmente sarà irriconoscibile: sta mutando l'assetto complessivo, per cui ogni tanto dovremmo chiederci di cosa abbiamo bisogno anche in relazione alla riproposizione delle missioni.
Procedo in maniera molto schematica. A dieci anni dall'intervento internazionale in Afghanistan, il Paese rimane fragile e insicuro, nonostante i progressi. Il disimpegno militare internazionale apre una fase fatalmente estremamente delicata. I problemi che il Paese dovrà affrontare con l'avvio del ritiro delle forze saranno comunque la capacità di gestire la sicurezza,


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la riconciliazione nazionale, la società civile e il suo ruolo molto debole, la coltivazione dell'oppio e il narcotraffico.
Il punto è: qual è la nostra posizione? Noi non dobbiamo chiedere e non abbiamo bisogno soltanto di tempi certi, ma anche di obiettivi certi, che non possono essere demandati unicamente alle Conferenze internazionali e a ciò che deciderà di fare l'America.
La seconda questione, rapidissima, riguarda la Libia. I giornali di oggi titolano «Tripoli tratta l'uscita di Gheddafi con la Francia», non con l'Italia.
Ieri in Parlamento a Parigi è stato fatto il punto della situazione, confermando l'avvicinarsi di una soluzione politica e oggi leggo che il ministro della difesa francese afferma testualmente: «Se i negoziati hanno successo, Gheddafi si trasferirà in un'altra ala del palazzo, con un altro titolo». Si annuncia oggi un importante incarico africano per Gheddafi. Qual è la nostra posizione? Siamo d'accordo o attendiamo anche in questo caso la Conferenza?
Vengo a un'ultima questione telegrafica, che è forse la più importante. Il debito e il deficit, che non riguardano soltanto l'Italia, obbligheranno gli Stati Uniti a un'agenda internazionale più modesta, da cui la loro necessità di condividere la responsabilità e i costi con gli alleati, a cominciare da quelli della NATO.
Per l'Europa è l'occasione a lungo attesa per accelerare il decollo della difesa comune, senza contare che oggi la sfida dell'Unione è quella di impostare una politica di sicurezza e di cooperazione diretta verso sud che, pur nella diversità degli strumenti, punti a essere altrettanto efficace di quella condotta con lo strumento dell'allargamento verso est. Su queste questioni, che sono di scenario, abbiamo qualcosa da dire o aspettiamo che altri lo facciano per noi?

ANTONIO RUGGHIA. Anch'io apprezzo l'informativa del Governo sulla situazione delle missioni internazionali. Avremmo voluto, però, che questa informativa fosse avvenuta prima dell'emanazione del decreto-legge di finanziamento delle missioni, considerando il ruolo di indirizzo del Parlamento e la possibilità che avremmo avuto di esprimere opinioni utili.
Come forza di opposizione noi abbiamo sempre dimostrato senso di responsabilità per i militari impegnati nelle missioni internazionali e abbiamo sempre lavorato nell'interesse comune del nostro Paese, quando si è trattato di discutere di missioni internazionali. Avremmo dunque voluto che questa informativa fosse stata resa prima.
Ciò non è stato possibile e il dibattito è stato soprattutto interno alle forze di maggioranza. Non si è spenta del tutto l'eco delle - chiamiamole con un eufemismo - polemiche fra i diversi ministri e fra i rappresentanti della maggioranza. Ora che il decreto c'è, però, vorremmo perlomeno svolgere un'altra funzione propria del Parlamento, ossia quella di controllo.
Nel mio intervento vorrei capire meglio gli effetti di questo decreto, che è stato utilizzato come uno strumento di composizione fra le diverse opinioni della maggioranza. Alla fine, dopo tante polemiche, tutti si sono dichiarati soddisfatti. La Lega si è dichiarata soddisfatta dell'esito della approvazione del decreto e il Ministro La Russa, che abbiamo sentito, conferma la qualità e la quantità del risultato, raggiunto naturalmente in accordo con i nostri alleati.
La sintesi sarebbe rappresentata dalle famose dichiarazioni, che sono state rese anche qui, riguardo alle minori spese e all'aumento del numero di militari che torneranno a casa. Vorrei approfondire questi punti, e lo faccio veramente con spirito positivo, per comprendere se le cose stiano effettivamente così.
Viene detto che passiamo da 9.250 militari a circa 7.000 nel secondo semestre del 2011, ma vorrei capire a cosa sia imputabile questa diminuzione. Nei 9.250 militari sono compresi anche i militari presenti nelle basi a sostegno delle missioni internazionali, ma nel nostro Paese? Sembrerebbe di sì, sulla base dei dati forniti dagli uffici sulle presenze medie e


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autorizzazioni di spesa indicate. Ne uscirebbe un dato secondo cui per il 2010 - pare esagerato e poi spiego perché - sarebbero impiegati 8.338 uomini, e non 9.250.
È un dato esagerato perché fa riferimento al dato medio in funzione della spesa e non delle persone che effettivamente svolgono il servizio. È un dato statistico che, se è esagerato nel 2010, lo è anche nel 2011. Nel 2011, alla fine, avremo un impegno di 8.871 militari nelle missioni internazionali e, quindi, non di 7.000 come affermato dalle dichiarazioni del Ministro La Russa.
Su questo punto c'è bisogno di fare chiarezza. Secondo tali dati non apparirebbe una riduzione di personale nelle missioni internazionali perché, rispetto al 2010, il risultato sarebbe sostanzialmente lo stesso, anche con le riduzioni che sono state rappresentate dal Ministro La Russa, su cui tornerò fra un minuto.
Riguardo alla spesa viene affermato che c'è un risparmio di 110 milioni. Non utilizzerei tale dato come un argomento di propaganda per affermare che abbiamo risparmiato in funzione della congiuntura economica e che, quindi, abbiamo ottenuto un grande risultato. Si tratta di poca cosa rispetto agli 1,5 miliardi che spendiamo per le missioni internazionali, anche se ogni risparmio naturalmente è apprezzabile.
Se guardiamo la spesa autorizzata che tiene conto dei Ministeri degli affari esteri e della difesa, complessivamente nel 2010 avevamo una spesa di 1 miliardo e 521 milioni di euro. Nel 2011 - pur togliendo la spesa della Libia, i citati 134 milioni - se sommiamo ai 736 del decreto attuale i 750 milioni del decreto che finanziava il primo semestre arriviamo a 1 miliardo e 590 milioni.
Non mi pare che sia giusto rappresentare come un grande risultato che ha portato all'improvviso assopimento delle frizioni della maggioranza queste cifre rappresentate nel decreto. Mi fido naturalmente dell'intervento del Ministro La Russa, però ci sembra di dover registrare i dati con quelli scritti in funzione dell'anno precedente.
Rispetto al 2010 spendiamo la stessa cifra, anzi un po' di più, e impegniamo gli stessi uomini. Io sono naturalmente a favore di qualsiasi risparmio e intervengo per affermare che ho apprezzato molto la scelta del Ministro La Russa di arrivare a una riduzione attraverso il ritorno della Garibaldi dalle coste della Libia, una riduzione di uomini e mezzi, e di sostituire la Garibaldi con navi che da questo punto di vista sono probabilmente più funzionali.
Mi domando, però, per quale motivo ciò non sia stato fatto prima. Si poteva fare anche all'inizio della missione riducendo costi, che evidentemente, sono stati eccessivi. Se quella è la funzione che ci è stata demandata dalla comunità internazionale, potevamo arrivare prima a tale scelta.
Concludo affermando che il tema è quello della credibilità della politica. Le cifre rappresentano anche la credibilità della maggioranza e abbiamo visto in questa situazione di congiuntura economica come la credibilità di una classe dirigente e della politica siano anche la credibilità del Paese e come questa costi anche nei rapporti internazionali.

FIAMMA NIRENSTEIN. Anch'io ringrazio sentitamente i due ministri per la chiarezza e la definizione delle considerazioni che hanno svolto e che chiariscono molte idee.
Mi soffermerò soltanto su un punto per cercare di restare fedele alla richiesta, a vantaggio di tutti, di mantenersi all'interno dei tempi prestabiliti e, quindi, parlerò di un aspetto particolare che è stato sollevato dal Ministro Frattini, non prima però di avere ringraziato il ministro per aver sollevato con grande chiarezza il tema della Siria.
Questo aspetto è di grande importanza, anche perché oggi stesso in Parlamento voteremo una mozione presentata proprio sulle stesse linee concordate in maniera bipartisan e firmata da tutti i gruppi, eccetto l'Italia dei Valori, affinché cessi la


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strage e la prepotenza del regime di Bashar Assad.
Detto questo, a me sembra fondamentale che l'Italia mantenga il timone di stabilità e di presenza, in un momento di estrema instabilità internazionale, procurata soprattutto da quella che viene chiamata, in maniera alquanto impropria, «primavera araba». Questo è un movimento assai interessante perché potrebbe condurre nella direzione di grandi miglioramenti sociali ed economici che a noi interessano per le popolazioni che ne sono investite, ma che, al contempo, comporta giganteschi sommovimenti di carattere geopolitico.
Mi voglio riferire soltanto a uno di questi, lasciando da parte gli altri, ovvero allo spostamento dell'asse sciita e sunnita su orientamenti diversi rispetto ai precedenti, che richiedono, quindi, da parte nostra, una presa di posizione diversa, cosa che, fino a questo momento, solo la Turchia ha compreso fino in fondo, abbandonando l'alleanza contratta nei mesi scorsi con i siriani e quindi, per interposta persona e poi anche in maniera diversa, con l'Iran.
In una parola, questo asse sciita tra Iran, Siria e Libano (per quello che riguarda gli Hezbollah) è profondamente modificato e questo ci deve spingere a una riflessione molto precisa sulla nostra presenza sul confine fra Israele e Libano e indurci a un atteggiamento estremamente cauto.
Nell'area soprattutto libanese - mentre in Siria la situazione già tocca le fondamenta del regime - si va nella direzione di un turbamento profondo della zona. Gli Hezbollah accusati dell'assassinio di Rafic Hariri - proprio a questo proposito, il Ministro Frattini ha auspicato una giusta conclusione della vicenda presso il tribunale internazionale - sono in grande difficoltà. Infatti, questa mattina Saad Hariri - da Parigi, dove ha dovuto riparare perché nelle settimane scorse nel Paese si è formato un governo molto lontano dalle sue intenzioni e dagli interessi sunniti - ha detto che il vero problema del Libano è che gli Hezbollah sono armati fino ai denti. Questo è un vero problema, che rischia di avviare una sedizione interna simile a quella del 2008, la quale prossimamente si potrebbe anche trasformare in un conflitto di area.
Ciò significa che prima di muovere il nostro contingente, di ridurlo nel numero o di chiedere all'ONU la modifica delle regole di ingaggio, dobbiamo pensare molto bene a cosa ci conviene fare in uno scenario così modificato.
Peraltro, anche tutta la parte sunnita è in grande ambascia e trasformazione. Vediamo, per esempio, giorno dopo giorno, che in Egitto la rivoluzione non è affatto conclusa, mentre l'Arabia Saudita si arrangia per mantenere una certa stabilità, che, tuttavia, viene minacciata.
Insomma, in una parola, guai all'Occidente se in questo momento desse segni di restrizione della propria presenza internazionale, sul terreno sia delle idee, sia militare. Siamo in un momento in cui, a fronte di queste profonde modificazioni, la linea giusta da seguire è, basilarmente, quella indicata in questa sede, ovvero perseguire la stabilita tramite una presenza che non trema né dal punto di vista ideologico, né dal punto di vista militare.

FEDERICA MOGHERINI REBESANI. Condivido pienamente quanto affermato dall'onorevole Parisi sulla condivisione dell'impostazione generale e anche sulla preoccupazione per alcuni approcci di metodo e di comportamento, per cui non mi soffermerò su quella parte.
Condivido anche le parole del Ministro La Russa, secondo cui non è concepibile fare polemica sull'utilità delle missioni militari nel momento in cui perde la vita un nostro militare, e spero che questo sia anche fatto presente a ministri, ex ministri e Presidenti di Regione. Sono contenta di avere questa rassicurazione, che spero produca qualche effetto nelle prossime dichiarazioni di questi ministri ed ex ministri.
Nutro però qualche perplessità di dettaglio, di accento in alcuni casi. Il Ministro Frattini ci ricordava giustamente che la NATO opera fuori area. Noi, forse, stiamo


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scegliendo di operare troppo fuori area, disinvestendo nei teatri più vicini. Disinvestiamo di più nei Balcani, in Libano e in Libia (devo dire che mi sarei aspettata una diversa conclusione dopo aver ascoltato l'intervento dell'onorevole Nirenstein), ovvero nel cortile di casa nostra, nel Mediterraneo.
Capisco che questo possa essere dettato in alcuni casi da novità sul terreno, ma in altri casi invece mi sembra di no. Sul Libano entrambi i ministri hanno dichiarato che, nonostante il successo della missione - condivido la valutazione -, nell'area la stabilità non è maggiore, basti ricordare cosa succede in Siria. Forse questo dovrebbe portare a una valutazione più attenta della riduzione del nostro contingente in Libano.
Soprattutto mi preoccupa apprendere oggi dal Ministro La Russa che nel decreto si opera una sua riduzione senza che ciò sia stato preceduto da un accordo formale nelle sedi multilaterali. Questo forse spiega l'atteggiamento che ho visto assumere...

IGNAZIO LA RUSSA, Ministro della difesa. La interrompo subito: il decreto parla di risorse. Noi decidiamo di mettere meno risorse, non ...

FEDERICA MOGHERINI REBESANI. Il decreto parla di riduzione di spesa massima, come lei mi ha insegnato molte volte, il che significa che più di quello non possiamo spendere, quindi comunque la riduzione c'è, a prescindere da quello che ha fermamente stabilito l'ONU.
Questo significa che stiamo operando sul Libano una riduzione delle nostre risorse senza che le Nazioni Unite abbiano ancora formalmente concordato sulla cosa. Credo che ciò sia istituzionalmente complicato.
Altro punto: credo che sulla Libia il Ministro La Russa ci abbia dato una notizia importante e abbastanza grave dal mio punto di vista. Egli, infatti, ha dichiarato che l'Italia ha avuto percezione in alcuni casi di rischi troppo alti, legati a raid aerei, rispetto alla possibilità di provocare vittime civili, e che in base a queste valutazioni ha forse giustamente deciso di non partecipare ad alcune operazioni.
Forse il nostro ruolo potrebbe anche essere diverso da una semplice non partecipazione, e, nel momento in cui abbiamo una percezione di valutazioni dell'alleanza che possono portare ad «incidenti» di questo genere, potrebbe spingersi ben oltre a un semplice passo indietro rispetto alla partecipazione. Credo che questo sia un elemento da valutare molto seriamente per la riuscita politica della missione.
Il Ministro Frattini ci ha ricordato che la cooperazione è «un imperativo etico e un interesse strategico» (cito testualmente perché la considero una definizione perfetta), ma non ho trovato quell'8 per cento delle risorse nel decreto. Ho letto velocemente il testo che abbiamo avuto solo da poco, ma vi ho trovato solo 12 milioni sulla cooperazione in tutti i teatri, di cui 6,8 sull'Afghanistan, la cifra più bassa nella serie storica di finanziamenti dal 2001 al 2011.
Se è un imperativo etico e un interesse strategico, forse in questo decreto si dovrebbe investire di più sulla cooperazione e in generale vi si dovrebbe investire qualcosa anche al di fuori di questo decreto.
Vorrei rivolgere infine una domanda al Ministro La Russa. Il Ministro Frattini ha citato l'iniziativa italiana per spingere di più sulla difesa in sede di Unione europea. Vorrei sapere se il Ministro della difesa condivida questa iniziativa e questo investimento italiano sulla difesa europea, che consideriamo strategica.
Esprimo un'ultima perplessità, manifestata anche in parte dall'onorevole Rugghia, sul fatto che un Governo che obiettivamente mostra difficoltà politiche al suo interno e di credibilità all'esterno riesca nel settore della difesa e della politica estera ad esercitare quell'autorevolezza e quella credibilità nelle sedi internazionali proprie, per contribuire attivamente alla definizione di alcune scelte strategiche.
I nostri alleati e i Paesi nei quali operiamo avrebbero un grande vantaggio


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da una presenza più credibile, più autorevole e più solida di quanto questo Governo oggi possa offrire.

PRESIDENTE. Do la parola ai Ministri Frattini e La Russa per la replica.

FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri Mi scuso davvero con tutti i colleghi che, come l'onorevole Tempestini, hanno giustamente rilevato che avrei dovuto dire molto di più sull'Afghanistan e sui rapporti tra Stati Uniti, Pakistan e Afghanistan. Mi auguro che ci sia un'audizione ad hoc in cui parlarvi solo di questo per mezz'ora, ma non è serio parlare in tre minuti delle ragioni che stanno portando a una determinata situazione in Pakistan, perciò ho preferito non farlo e me ne scuso.
Lo scenario mediterraneo, onorevole Tempestini, richiede un'altra audizione ad hoc: non può immaginare che in pochi minuti parli di questo. Non mi permetto di dire al Parlamento quale sia il metodo giusto, ma forse sarebbe più utile fare più frequentemente audizioni.

PRESIDENTE. Questo non è in effetti il metodo giusto.

FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Lo dice il presidente e mi permetto di condividere la sua valutazione.
Mi concentro su punti specifici. Un punto che mi ha colpito nelle osservazioni di alcuni parlamentari è il tema della Libia e la questione evocata di una iniziativa francese. In particolare mi rivolgo all'onorevole Maran, che si è rivolto al Governo dicendo «dobbiamo farci raccontare dai francesi», ma forse è arrivato dopo il mio intervento, perché ho dettagliato tutti e quattro i punti della proposta che formulerò ad Istanbul, che non né generica, né francese: è una proposta italiana, è chiara e c'è. Abbiamo soltanto un problema: che ci sono stati contatti più o meno diretti - lo dico in termini generici - da molte parti.
Non so se i francesi abbiano - lo hanno smentito - promosso contatti diretti o indiretti, non sono stati i soli a promuovere contatti: solo che gli altri non vanno sui giornali a farsi belli. Il problema è che è sbagliato promuovere contatti segreti: quando il Gruppo di contatto conferisce all'ONU il compito di coordinare la promozione dell'incontro tra le due parti, mi meraviglio che vi siano parlamentari che plaudono quasi rammaricandosi che non l'abbia fatto l'Italia.
L'Italia non lo fa, e io dirò questo a Istanbul: se ci fosse un contatto francese, io sarei contrario a prescindere; se questa diventasse la proposta di negoziato delle Nazioni Unite, io sarei comunque a favore, contribuendo alla discussione. Francamente, su questo tema credo che qualche rara volta la dignità nazionale ci debba soccorrere: i francesi hanno detto di non averlo fatto, ma, se lo avessero fatto, non avrebbero fatto una cosa utile al negoziato internazionale.
Credo sinceramente che non lo abbiano fatto e che i contatti siano stati non a livello di esponenti governativi, ma di persone della diaspora libica che vivono in Francia. Forse è possibile, ma non lo so. Se vi fosse stato - è stato smentito - un coinvolgimento da parte del Governo francese sarebbe stato sbagliato, e l'Italia non segue una cosa sbagliata perché la fa qualcun altro. Su questo punto mi permetto di essere chiarissimo. Sembra che noi avremmo dovuto impegnarci, dopo essere stati prima coloro che hanno sostenuto che la missione doveva essere NATO e non franco-britannica. È anche grazie a noi, innanzitutto grazie all'Italia, se essa è diventata missione NATO. Non è certamente franco-britannica, come lo era all'inizio.
In secondo luogo, siamo stati promotori dell'investitura al rappresentante dell'ONU dell'onere di trattare insieme all'Unione africana e adesso dovremmo rivendicare l'idea di compiere una trattativa segreta? Su questo mi permetto di essere particolarmente netto.


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FRANCESCO TEMPESTINI. Mi può dare una spiegazione sulla questione della presenza di truppe francesi su territorio libico?

FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Non ne ho conoscenza diretta, ma sarebbe contraria allo spirito della risoluzione 1973. Se fosse vera, sarebbe contraria, ma non lo so.
L'altro aspetto riguarda il riconoscimento del CNT. Io credo che effettivamente sia un tema molto serio quello posto dall'onorevole Parisi. Io credo che su questo tema noi dobbiamo lavorare.
Ho parlato di venti Paesi, perché oggi sono arrivati Belgio, Olanda e Lussemburgo, i tre Paesi del Benelux, ma credo che gli ultimi tre Paesi che hanno dato un riconoscimento significativo al CNT siano Turchia e Canada, da un lato, e Stati Uniti che, al di là della formula, hanno affermato con chiarezza che riconoscono il CNT come interlocutore legittimo, tanto è vero che hanno presentato al Congresso una legge speciale per scongelare parte dei fondi a favore del CNT. Che questo riconoscimento comprenda oggi i principali Paesi - Regno Unito, Francia, Danimarca, Norvegia, Turchia, Canada - che stanno lavorando con noi è un fatto su cui dobbiamo lavorare.

ARTURO MARIO LUIGI PARISI. Al di là della formula che cosa significa?

FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Significa che nelle prospettive per una soluzione politica noi riteniamo che la promozione dello sviluppo democratico debba essere guidata dal CNT in Libia e che non possa essere guidata dal Governo di Gheddafi. Significa, però, anche, ed è un altro punto toccato da alcuni interventi, che l'inclusività del processo politico libico implica che si debbano trovare interlocutori a Tripoli. Il CNT sta già compiendo tale operazione. A noi ha indicato con esattezza di essere in grado di individuare interlocutori che gravitano nell'ambito del regime di Tripoli, con i quali sarebbe possibile un dialogo. Se ci si siede intorno al tavolo, qualcuno lo deve condurre.
Questi interlocutori non sono né il colonnello Gheddafi, né la sua famiglia, ma persone che il CNT di Bengasi ritiene interlocutori possibili per esplorare un Governo di unità nazionale per avviare l'Assemblea costituzionale e il processo elettorale.
È un meccanismo in cui mi permetto di affermare che è bene che i Paesi della coalizione non si sostituiscano ai libici. Se il CNT sostiene, per esempio, che una frase del tipo «Gheddafi si sposta da una stanza all'altra del palazzo» non è accettabile, io sostengo che non è accettabile, perché sono i libici a stabilire quale debba essere la prospettiva politica del loro Paese.
Poiché noi riconosciamo il CNT, se esso suggerisce una prospettiva politica, noi dobbiamo accompagnarla e non insegnare loro chi siano gli interlocutori. Questo è il metodo su cui il gruppo di contatto dovrà, come proporrò a Istanbul, investire il rappresentante speciale dell'ONU. Avrà il compito di fare l'offerta alle due parti, sulla base però di una richiesta dei libici, non di una richiesta nostra, altrimenti entriamo in un approccio paternalistico che dovremmo cercare di evitare.
Non rispondo all'onorevole Evangelisti, perché se ne è andato, ma potrà trovare nella risposta scritta all'interrogazione la replica alla sua non vera affermazione che la nave Zefiro abbia abbandonato la nave italiana sequestrata. È stata semplicemente sostituita con altre navi della missione Atalanta che stavano in teatro.
Questa è la semplice ragione per cui la Zefiro se ne è andata. La nave sequestrata non è stata abbandonata nelle mani di un strana società di intermediazione, di cui non conosco l'esistenza, a meno che l'onorevole Evangelisti non suggerisse al Governo di ingerirsi nella trattativa, quando si parla di riscatto. Spero che non osi chiederlo al Governo italiano, perché non lo farebbe in ogni caso.
Il tema Balcani è molto serio, onorevole Antonione e onorevole Mogherini. I Balcani


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stanno andando verso la strada dell'Europa e questa è la ragione per cui sostanzialmente noi effettuiamo un disinvestimento a livello NATO, ma compiamo un investimento che, a mio avviso, oggi vale di più in prospettiva, che è quello dell'Europa.
Quando, per esempio, in Bosnia asseriamo che, in luogo delle strutture che l'accordo di Dayton ha delineato, occorre un rappresentante dell'Europa investito di pieni poteri, ciò significa non sbarazzarsi di un passato, ma stabilire che in questi teatri ormai europei più è presente l'Europa, meno sono presenti strutture militari e meglio è. Questa è la ragione per questa linea, che non è dell'Italia, ma è di tutta la NATO.
Vengo al tema evocato della Somalia e del tribunale internazionale. Ho menzionato un'iniziativa, che assumerò, di riunire un gruppo di contatto internazionale, se riusciamo, a settembre, a margine dell'Assemblea dell'ONU proprio per creare un accordo sul tribunale internazionale. L'onorevole Boniver, come mio inviato speciale, ha visitato recentemente la regione. È stata anche a Gibuti, in teatro, come si suol dire, e l'idea di un tribunale, più che internazionale somalo, ma sotto la vigilanza internazionale, dislocato magari in Puntland, potrebbe riscuotere un certo consenso, perché i Paesi rivieraschi, come sapete, tendono a evitare di farsi carico dei pirati arrestati, mentre un tribunale somalo sotto vigilanza internazionale lo potrebbe fare.
L'ultima considerazione che volevo svolgere riguarda il tema dello scenario mediterraneo, che però richiederebbe un discorso molto più complesso. Forse meriterebbe un piccolo esame approfondito anche la situazione del Pakistan, che a sua volta richiederebbe moltissimo tempo.
La situazione del Pakistan è una situazione di fragilità, proprio perché, a seguito dell'uccisione di Osama Bin Laden, stanno emergendo situazioni, sopite per molto tempo, di ebollizione sotterranea, in particolare sul ruolo dei servizi segreti pakistani, che sono argomento su cui la diplomazia internazionale dovrà inevitabilmente lavorare.
Se non sciogliamo il nodo del considerare o meno il Pakistan un partner, come io credo ancora che si debba considerare, nella lotta internazionale al terrorismo, se non sciogliamo questo nodo, che gli americani ancora non hanno sciolto in queste ultime settimane, abbiamo un quadro di stabilità regionale in cui c'è un'ombra, che noi dovremmo dissipare. Anche su questo sarebbe importantissimo avere l'occasione di poterne parlare con il Parlamento in modo più approfondito.

IGNAZIO LA RUSSA, Ministro della difesa. Anch'io proverò a sintetizzare al massimo, spero ancor di più dell'ottimo intervento del Ministro Frattini, che ha dimostrato come effettivamente - hanno ragione coloro che lo hanno sollecitato - se volessimo approfondire tutto, come pure è giusto, avremmo bisogno di più tempo.
Noi siamo assolutamente a disposizione. Io ritengo seriamente e sinceramente molto importanti queste audizioni, perché sono un momento di confronto importante. Grazie a Dio il Parlamento ha saputo dimostrare in questa legislatura, pur con alcune sbavature, che generalmente su questi temi abbiamo fatto tutti un ottimo lavoro. È uno dei motivi di orgoglio vedere che su tanti temi connessi all'immagine delle nostre missioni internazionali e al nostro ruolo anche di politica estera si è trovata una condivisione più ampia di quella della normale maggioranza.
Parto invece dalle note che chiariscono bene che non ci possono essere equivoci. Uno degli equivoci che voglio cortesemente chiarire all'onorevole Mogherini riguarda il nostro eventuale ruolo sul cartellino rosso che abbiamo inserito.
Quando siamo entrati nella fase di maggiore flessibilità dei nostri velivoli abbiamo detto di voler operare in condizioni di ulteriore sicurezza rispetto a quella che per Voi è considerata una situazione di sicurezza ultra sufficiente. Pertanto, diverse


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volte non abbiamo partecipato a operazioni, perché secondo la nostra valutazione andavano oltre il mandato che avevamo avuto dal Parlamento. Non che fossero sbagliate, ma abbiamo avuto l'indicazione di stare particolarmente attenti.
Nove volte su dieci, novantanove su cento - il numero delle percentuali magari non è questo - hanno avuto ragione i nostri alleati, e in una sola occasione si è verificato un incidente, ma quella sola occasione mi fa dire che abbiamo fatto bene a sbagliare novantanove volte e a dire che ci poteva essere un pericolo che poi non c'era. Questo però non ci può far assumere il ruolo dei «maestrini» con la matita rossa. Si tratta della necessità di assumere le scelte che altri paesi stanno facendo con la consapevolezza che c'è sempre un minimo di rischio quando si usano armi per quanto siano di precisione, ci sarà sempre una percentuale di 0,0001 di rischio.
Abbiamo non eliminato, ma ridotto ulteriormente questa minima probabilità di rischio, ma non possiamo ergerci a giudici del comportamento altrui, anche perché uno dei motivi per cui in Libia la situazione, procede con una certa lentezza, e considero giusta e inevitabile tale situazione, è che da parte non solo nostra, ma di tutta la NATO e di tutti i Paesi, si proceda con estrema cautela, per evitare di far correre ai civili rischi che andrebbero contro la risoluzione ONU.
Se si fosse più larghi nell'accettare i rischi, probabilmente i risultati sarebbero maggiori. Certo senza bisogno di arrivare alla bomba H della seconda guerra mondiale sganciata su una città inerme del Giappone, perché questo era qualche anno fa il metro dei bombardamenti americani in Italia. Noi non vogliamo assumerci questo rischio, ma non lo sta assumendo neanche la NATO.
L'altro argomento era come imputare un minor costo per la missione in Libano senza aver ancora avuto il via libera dell'ONU. Prima di tutto abbiamo assunto dei contatti informali, la riduzione avviene dal mese di dicembre, per cui il risparmio partirà solo dal mese di dicembre proprio per consentire all'ONU di pronunciarsi, da ora a novembre.
Se non fosse così, cosa che considero improbabile, avremmo tutto il tempo di rimediare sottoponendo al Parlamento l'esigenza di un aumento dei costi e il Parlamento deciderebbe, ma non credo che questo succederà.

FEDERICA MOGHERINI REBESANI. Quindi fino a fine novembre restano i soldati che ci sono adesso.

IGNAZIO LA RUSSA, Ministro della difesa. Certo. Questo dovrebbe evincersi dal decreto-legge e, comunque, glielo dico io: fino a novembre restano esattamente gli stessi soldati. Il risparmio è contabilizzato solo per il mese di dicembre, anche perché nessuno può immaginare che operiamo riduzioni facendoli tornare in treno dal Libano, il che è un po' difficile.
Ringrazio l'onorevole Rugghia per la domanda. Ho letto su un giornale - evidentemente lei deve avere attinto la sua curiosità da quella notizia - che sarebbero state ritoccate le cifre dei militari in missione e che nelle cifre relative ai rimpatri vi sarebbero compresi anche gli uomini che stanno nelle basi. Neanche uno dei soldati che vengono ritirati è nelle basi. Sono le fantasie di un giornale che a tutti i costi pensa sempre di riuscire a fare sensazione.
I numeri sono semplici: 900 uomini vengono rimpatriati - li vado a incontrare fra pochissimi giorni - perché sono l'equipaggio della nave. I 700, come abbiamo appena detto, sia pure nell'ultimo mese, sono quelli del Libano. Non le so riferire il numero preciso nei Balcani. Sono 650. Saranno circa 300 nei Balcani, 60 della missione EULEX. Poi ci sono tutti quelli, in numero di 33, nelle missioni minori, Iraq, Georgia, Congo, oltre all'equipaggio della Active Endeavour, l'altra nave che ritiriamo. Il totale è esattamente di 2.000 uomini.
Sono conteggiate nelle 9.250 unità persone che sono in Italia? La risposta è sì: esistono circa 550 uomini, che sono gli


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equipaggi degli aerei nelle basi che operano in Libia, coloro che svolgono la manutenzione e coloro che vi lavorano, ma nessuno di essi viene diminuito. Seguendo il suo ragionamento, noi dovremmo affermare che all'estero ci sono 7.000 uomini, meno questi 550, ma io non seguo questo ragionamento, perché per me, sia che operino nella base italiana, sia che operino nella base della Georgia, sono sempre in missione e soprattutto in termini di risorse computo sempre il costo commisurato alle indennità. Credo che questo ragionamento abbia potuto chiarire la sua curiosità, ma anche l'errore che un giornale in base a indagini segrete aveva commesso, facendomi, per la verità, sorridere.
A questo punto, invece, per due minuti mi consentirete di ringraziare il tenore generale degli interventi, sia della maggioranza, che ringrazio, sia dei responsabili dell'opposizione, dall'ex Ministro Parisi a Francesco Tempestini, nessuno escluso.
Compio una piccola eccezione per l'onorevole Evangelisti. Se avesse almeno la bontà di rimanere, lo si potrebbe forse aiutare a comprendere meglio. Il Ministro Frattini ha già risposto sulla pirateria. Mi è sembrato strano che occorresse un intervento armato per liberare gli ostaggi, un intervento che noi siamo in grado di effettuare, ma che effettueremmo solo in caso di imminente pericolo di vita delle persone sequestrate, non mettendo a rischio la loro vita con un'azione che ha sempre un quid di imponderabilità.
Nonostante l'assenza di Evangelisti, ripeto anche a lui che noi abbiamo cercato di trovare un punto di equilibrio tra le due esigenze. La prima esigenza, perfettamente raggiunta e soddisfatta, era quella di non venir meno al principio together in, together out né di venir a qualunque impegno assunto nei confronti delle organizzazioni internazionali. Nel secondo semestre non veniamo meno di una sola virgola agli impegni internazionali.
Avevamo l'altra esigenza era quella di ridurre i costi. Con grande capacità abbiamo studiato la possibilità di riduzione dei costi in modo tale che non diminuisse di una sola frazione minima la capacità e l'efficienza dei nostri militari che operano nelle diverse missioni. Siamo riusciti in questo equilibrio e vi abbiamo illustrato come. Io sono contento di aver potuto notare un generale, sia pur generico, apprezzamento da parte di tutti per questa operazione.

PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro La Russa e il Ministro Frattini, nonché tutti i colleghi, e dichiaro concluse le comunicazioni del Governo.

La seduta termina alle 14,40.

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