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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissioni Riunite
(III-V-XIV Camera e 3a-5a-14a Senato)
9.
Mercoledì 17 ottobre 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Pescante Mario, Presidente ... 2

Comunicazioni del Governo sul Consiglio europeo del 18 ottobre 2012:

Pescante Mario, Presidente ... 2 9 15 20
Ciccanti Amedeo (UdCpTP) ... 14
Gozi Sandro (PD) ... 9
Livi Bacci Massimo (PD) ... 11
Maggioni Marco (LNP) ... 11
Mantica Alfredo (PdL) ... 10
Moavero Milanesi Enzo, Ministro per gli affari europei ... 2 15
Morando Enrico (PD) ... 13
Pini Gianluca (LNP) ... 13
Santini Giacomo (PdL) ... 12
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, Democrazia Cristiana): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA; Misto-Iniziativa Liberale: Misto-IL.

COMMISSIONI RIUNITE
III (AFFARI ESTERI E COMUNITARI) - V (BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE) - XIV (POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E 3A (AFFARI ESTERI, EMIGRAZIONE) - 5A (BILANCIO) - 14A (POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 17 ottobre 2012


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA XIV COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI MARIO PESCANTE

La seduta comincia alle 14,35.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Comunicazioni del Governo sul Consiglio europeo del 18 ottobre 2012.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca le comunicazioni del Governo sul Consiglio europeo del 18 ottobre 2012.
È presente a tal fine il Ministro per gli affari europei, Enzo Moavero Milanesi, che ringrazio a nome dei presidenti delle Commissioni politiche dell'Unione europea, bilancio e affari esteri di Camera e Senato, oggi qui riunite.
Do, quindi, la parola al Ministro Moavero Milanesi.

ENZO MOAVERO MILANESI, Ministro per gli affari europei. Signor presidente, onorevoli senatori e deputati, la nostra audizione di oggi è importante in quanto precede di circa ventiquattr'ore l'inizio dei lavori del Consiglio europeo di ottobre, un Consiglio europeo importante, primo di una sequenza di tre vertici europei. Il secondo di novembre a rigore sarà un vertice informale, mentre il terzo di dicembre sarà nuovamente un Consiglio europeo.
Si ripete quest'anno la sequenza che aveva già caratterizzato l'anno scorso l'attività al livello più alto degli Stati dell'Unione europea in seno all'istituzione Consiglio europeo, soprattutto per affrontare le questioni legate, da un lato, all'affinamento degli strumenti per superare la crisi economica e finanziaria tuttora in atto e, dall'altro, alla crescita.
I tre incontri di vertice a cui ho fatto riferimento hanno in linea di principio oggetto principale diverso. Quello di domani ha una funzione di incardinamento della sequenza dei tre e più in particolare ha all'esame il nuovo rapporto dei quattro Presidenti, Van Rompuy, Juncker, Barroso e Draghi, che, come ricorderete, erano stati incaricati dal Consiglio europeo di marzo di preparare un rapporto su varie misure per affrontare la crisi e favorire la stabilita nell'area dell'euro.
Questo nuovo rapporto, definito «rapporto interinale» perché ve ne sarà un terzo definitivo per il Consiglio europeo di dicembre, prevede una serie di elementi importanti e interessanti che oggi analizziamo insieme e sarà l'oggetto principale della due giorni dei capi di Stato e di governo a Bruxelles. Sono due giorni di calendario, ma in realtà si tratta di due mezze giornate: il pomeriggio di domani e la mattinata di venerdì.
Il vertice di novembre, invece, avrà come oggetto principale il quadro finanziario pluriennale e quindi l'inquadramento del bilancio dell'Unione europea per il periodo 2014-2020, di cui abbiamo più volte parlato, in formazioni diverse, qui in sede di Parlamento nazionale.


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Infine, il Consiglio europeo di dicembre riceverà dal Presidente Van Rompuy la versione finale del rapporto dei quattro Presidenti ed evidentemente si concentrerà su questo.
Naturalmente il fatto che questi summit europei siano focalizzati su tre argomenti non impedisce di discutere anche a tutto campo. Una caratteristica della presidenza di Herman Van Rompuy è però quella di essere molto precisa nel rispetto dell'ordine del giorno e dell'agenda specificamente prevista. A meno che, quindi, non ci siano elementi che, in mancanza di accordo, slittano al Consiglio successivo, penso che la sequenza sarà senz'altro quella per oggetto e per materia di cui vi ho appena detto.
Anche noi ci vediamo oggi all'interno di una sequenza di incontri. Ne abbiamo avuto uno precedente in analoga formazione al Senato il 19 settembre e ci vedremo, quindi, con la massima disponibilità da parte mia ogni qualvolta lo riteniate necessario, in particolare prima dei Consigli europei, ma forse anche con tappe intermedie per tenervi al corrente sia dell'evoluzione di queste importanti linee che scaturiscono dal rapporto dei quattro Presidenti nelle sue successive versioni sia dell'andamento del negoziato sul quadro finanziario pluriennale, che per l'Italia è particolarmente importante, come tutti sappiamo.
Oggi mi concentrerei in particolare sull'ordine del giorno del Consiglio europeo che inizia domani. L'ordine del giorno, visto anche in termini di sequenza di calendario, è il seguente. I capi di Stato e di governo si incontreranno nel pomeriggio e, a parte una serie di adempimenti formali, come la fotografia che verrà ampiamente pubblicata, inizieranno la discussione sul rapporto dei quattro Presidenti. Questa discussione continuerà durante la cena, con l'obiettivo di finalizzare la parte attinente delle conclusioni, cioè il documento formale che scaturisce dal Consiglio europeo, e con possibilità di discussione ulteriore dopo cena.
Rimane aperta l'eventualità, per il momento non prevista da Herman Van Rompuy, di convocare a un certo punto il cosiddetto Euro summit e continuare la discussione in presenza dei capi di Stato e di governo dei diciassette Paesi membri della zona euro. Diversamente, tutti i lavori si svolgeranno nel formato abituale a ventisette, anche perché il rapporto dei quattro Presidenti, pur riguardando in primis il funzionamento dell'area dell'euro, contiene però svariati punti che incidono anche su altri Paesi, a cominciare dai cosiddetti pre-in, cioè i Paesi che intendono aderire all'euro. Uno degli elementi base, d'altronde, è che gli eventuali avanzamenti o un'eventuale collaborazione più stretta fra i Paesi dell'area euro non pregiudichino l'unicità dell'Unione e tanto meno il buon funzionamento del mercato interno.
Il venerdì mattina, a supporre che queste questioni - si parlerà anche del Patto per la crescita e l'occupazione che, come ricorderete, è un allegato alle conclusioni del Consiglio europeo di giugno - siano tutte regolate nel corso della serata di giovedì 18, si dovrebbe discutere essenzialmente delle relazioni con i partner strategici, in particolare la Cina, e poi dei focolai di crisi in Siria, Iran e Mali.
La prima parte della discussione è la più importante e riguarda il Patto per la crescita e l'occupazione, il cosiddetto compact per la crescita e l'occupazione, per rendere il parallelismo con il fiscal compact. Per l'Italia questo è estremamente importante. Avevamo insistito perché fosse aperto il capitolo crescita e creazione di posti di lavoro. Lo si è ottenuto formalmente al Consiglio europeo di giugno e diventa, quindi, per noi molto importante che le varie misure che sono elencate abbiano un seguito puntuale e attento.
I capi di Stato e di governo passeranno in rassegna i progressi che sono stati compiuti da giugno a oggi, ma per alcuni provvedimenti anche nella fase antecedente alla formalizzazione di giugno. Si tratta in particolare delle misure che fanno parte del cosiddetto Atto del


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mercato unico, più noto con la locuzione anglosassone Single Market Act I, presentato dal Commissario Barnier diverso tempo fa.
Il Presidente della Commissione, che è l'istituzione più direttamente in linea per le proposte legislative, darà conto dell'approvazione, avvenuta l'11 settembre scorso, del regolamento generale in materia di standardizzazione e di norme ed esaminerà poi le altre proposte. Ce ne sono alcune che sono sulla buona dirittura, quali il sistema per la risoluzione delle dispute attraverso la mediazione oppure on-line, le questioni legate alle norme relative al capitale a rischio, uno degli elementi su cui avevamo molto insistito perché può essere importante per le piccole e medie imprese del nostro Paese, il fondo legato all'imprenditoria sociale e il brevetto.
Ricordo che pur non facendo noi parte della cooperazione rafforzata che istituisce il brevetto europeo, abbiamo aderito al negoziato per l'istituzione della Corte sul brevetto. Per quanto riguarda la cooperazione rafforzata, era stato presentato dal precedente Governo un ricorso alla Corte di giustizia, di cui stiamo aspettando l'esito. Occorre infatti valutare se e come, in materia di norme del mercato unico, la cooperazione rafforzata sia uno strumento adeguato. In un settore che dovrebbe portare alla condivisione la cooperazione rafforzata favorisce, infatti, potenziali divisioni. Attenderemo il responso della Corte e in ogni modo non siamo minimamente un ostacolo per la piena entrata in vigore del sistema, che si è bloccato tra gli aderenti alla cooperazione rafforzata per altre ragioni che non rilevano del nostro ruolo.
Ci sono poi il pacchetto delle reti transeuropee dell'energia e la direttiva sulla contabilità, che è molto importante perché si collega alle norme di garanzia del buon funzionamento dei conti delle aziende e degli istituti di credito. Queste misure sono in buona dirittura d'arrivo.
Sono discretamente avanti anche le misure che faranno parte dell'iniziativa sulle grandi reti di telecomunicazioni, energia e trasporti, ribattezzata oggi Connecting Europe, che dovrebbe essere finanziata in maniera più forte attraverso il nuovo quadro finanziario pluriennale.
La meccanica dell'Unione europea è purtroppo in ritardo, un ritardo ripartito tra Commissione, Consiglio e Parlamento europeo, per quanto riguarda la normativa, per noi importantissima, sul riconoscimento delle qualifiche professionali e dei diplomi, che dovrebbe servire a rendere più fruibile ai nostri lavoratori specializzati, diplomati o laureati l'insieme del mercato europeo come orizzonte di lavoro. Sono anche in ritardo le nuove normative sugli appalti pubblici e in parte quelle relative al distacco dei lavoratori, entrambe facenti capo alla linea prioritaria, detta della coesione sociale.
Noi siamo dell'idea che questi lavori si debbano accelerare. Appoggiamo, quindi, lo sforzo della Commissione, del Parlamento e del Consiglio. Ci siamo espressi anche favorevolmente rispetto al Single Market Act II, la seconda fase presentata una decina di giorni fa dal Commissario Barnier e non ancora incardinata nel processo legislativo. Come ho ribadito ieri al Consiglio affari generali, vorremmo vedere più operativo il pacchetto di finanziamenti europei di circa 120 miliardi di euro che aveva fatto parte del Patto per la crescita, al quale si collega l'aumento di capitale della Banca europea per gli investimenti (BEI), che ci hanno spiegato essere in corso di completamento, nonché lo sviluppo ulteriore della fase pilota dei project bond, rispetto alla quale è già stato impegnato quasi il 50 per cento dei fondi previsti.
Inoltre insistiamo e insisteremo ulteriormente affinché sia mantenuta quell'apertura di flessibilità, ripresa nel compact per la crescita, che faceva riferimento alla golden rule, vale a dire la possibilità di non conteggiare gli investimenti pubblici diretti a produrre crescita e occupazione. Teniamo a che questo sia ulteriormente ribadito e rafforzato.
Durante il Consiglio europeo avremo un rapporto di tappa riguardo all'obiettivo


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di creare un mercato unico per l'energia nel 2014 e un mercato unico digitale per il 2015 e di dare piena operatività dell'area europea della ricerca nel 2014. Ci sono poi recenti iniziative a opera del Vicepresidente della Commissione europea, il nostro connazionale Antonio Tajani, che ha presentato un pacchetto di misure per il rafforzamento della competitività dell'industria.
Insistiamo molto affinché la Commissione si impegni nella riduzione degli oneri regolamentari, il che significa semplificazione del linguaggio e delle minuziosissime regole dei bandi di gara. Nel settore della ricerca, ad esempio, dove i bandi di gara sono direttamente gestiti dalla Commissione europea, l'Italia raccoglie all'incirca un 6-7 per cento, a fronte di una quota obiettivo che potrebbe essere tranquillamente del doppio.
Ci viene sovente spiegato - ne parlava recentemente anche il Ministro Profumo - che molti nostri piccoli centri di ricerca o piccole e medie imprese, benché abbiano delle eccellenze nella loro capacità di interfacciarsi con grandi progetti transazionali di ricerca, quando si trovano di fronte un programma estremamente complesso, per comprendere il quale e decidere se eventualmente partecipare devono ricorrere a consulenze, non affrontano questi costi preliminari. Il risultato è che la nostra partecipazione, anche per questo motivo, è inferiore al suo potenziale. Essendo le nostre piccole e medie imprese sovente centri di eccellenza, priviamo anche la ricerca europea di un contributo importante.
Per noi è altresì essenziale che tutte le misure collegate all'obiettivo occupazione, inclusione sociale ed Europa sociale siano molto velocemente tradotte in opera.
Sin qui stiamo ripercorrendo un aggiornamento su cose di cui da molto tempo sentiamo parlare, vuoi perché erano in progetto, vuoi perché sono state comunque iscritte all'ordine del giorno, vuoi perché è venuto il momento della loro attuazione. L'elemento di maggiore novità della discussione è invece il rapporto interinale dei quattro Presidenti. Si tratta senza dubbio di un documento interessante, che merita di essere letto. È già stato diffuso pubblicamente e credo faccia parte della vostra documentazione odierna. È un documento ambizioso e coraggioso, se consideriamo che tocca una serie di elementi che ancora non formano oggetto di consenso.
Questo documento mantiene la struttura del rapporto preliminare, vale a dire quattro blocchi di priorità. Il primo è legato al quadro finanziario integrato, quello che porta alla definizione più rapida, ma non esattamente raffigurativa, della cosiddetta unione bancaria. Il secondo è il quadro di bilancio integrato, chiamato anche unione fiscale. Il terzo è relativo all'unione economica, cioè al quadro integrato di politica economica. Infine, il quarto blocco riguarda la questione della responsabilità democratica, spesso tradotta con l'espressione unione politica, che forse ancora una volta non inquadra esattamente ciò di cui si sta discutendo in concreto.
Nella parte relativa alla cosiddetta unione bancaria, la Commissione ha presentato proposte che puntano a realizzare il primo dei tre elementi che compongono tale unione, vale a dire la creazione di un meccanismo di vigilanza unico - non comune - europeo, con un unico supervisore per l'intero sistema bancario dei Paesi dell'area euro e dei Paesi non di area euro che però decidano di aderirvi volontariamente. Sarebbe un'importante evoluzione che concentrerebbe in un unico sistema ciò che attualmente è fatto dalle varie autorità di vigilanza dei singoli Paesi.
Il nostro regolatore è la Banca d'Italia, ma non in tutti i Paesi la vigilanza spetta alla banca centrale. In Germania, per esempio, ed è parte delle discussioni che sono in atto, la vigilanza è effettuata dal Ministero delle finanze. La Commissione propone che spetti alla Banca centrale europea, che essa operi in articolazione con gli organismi di vigilanza nazionali e che abbia come soggetto da vigilare tutte le banche europee, quantificate in seimila,


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a prescindere dalla loro dimensione e dalla natura transazionale della loro attività. La Commissione propone anche che questo sistema sia operativo dal 1o gennaio 2013 per quelle banche che hanno ricevuto un aiuto di sostegno finanziario nel quadro della crisi. A scaglioni successivi, più o meno a un anno data, si aggiungerebbero poi le banche sistemiche per arrivare, a termine, a tutte le banche.
La posizione che abbiamo assunto come Governo italiano in base agli scambi che avevamo avuto con il Parlamento, e che spero sia sempre condivisa, è favorevole a che la Banca centrale europea diventi supervisore unico e che, con gli opportuni accordi di articolazione, operando con gli istituti di vigilanza nazionali, abbia competenza su tutte le banche.
Naturalmente, ci sono visioni diverse. Quella più nota, di cui hanno ampiamente parlato i giornali e dichiarata con grande chiarezza dal Paese interessato, è quella della Germania, la quale non è contraria all'idea della Banca centrale europea come vigilante unico, ma vuole comprendere bene in che modo questo si articolerà con il lavoro dei supervisori nazionali, mentre è contraria a sottoporvi tutte le banche. Ritiene, infatti, che le banche di dimensioni più piccole, non necessariamente transnazionali, debbano continuare a essere vigilate unicamente dall'organismo statale. La mia impressione è che si tratti comunque di una posizione aperta al confronto. Sarà quindi molto interessante vedere il risultato che la riunione che inizia domani produrrà su questo tema.
Noi pensiamo che sia importante dare un segnale di convergenza fra i capi di Stato e di governo per permettere a questo importante passo di diventare già operativo per la prima componente il 1o gennaio. Tra l'altro, l'operatività del supervisore unico europeo permetterebbe di sbloccare la ricapitalizzazione diretta degli istituti bancari, condizionata a questo fattore. Al di là degli ambienti politico-tecnici più direttamente legati alla questione, tutti gli osservatori e chi studia questi fenomeni lo considerano molto importante come rafforzamento e garanzia dell'area euro.
Il secondo e terzo elemento del trittico a cui facevo riferimento sono un sistema di risoluzione delle crisi bancarie europeo e un meccanismo europeo di garanzia dei depositi. Questo terzo aspetto è già oggetto di un'armonizzazione portata avanti fin da quando la crisi era ancora essenzialmente finanziaria e non economica. L'idea è di procedere su questa strada, ma con tempi differiti. La supervisione è ciò che si vuole più rapidamente mettere in vigore.
Si accelererebbero invece i lavori, sempre sub iudice delle decisioni di domani, per quanto riguarda il sistema di risoluzione unica delle crisi bancarie. Come sapete, l'Italia ha un sistema bancario che ha dato prova globalmente di una solidità superiore a quello di altri Paesi. Pensiamo, quindi, di sederci a questo tavolo di negoziato sull'unione bancaria con tutte le carte in regola per essere un interlocutore non solo credibile, come penso ci considerino abitualmente, ma anche forte delle sue best practice a differenza di altri Paesi, che hanno sofferto in modo importante e significativo per la crisi del loro sistema bancario e hanno dovuto intervenire massicciamente con gravi costi a carico del contribuente.
Vorrei che fosse chiaro fra noi che questo trittico di misure è concepito soprattutto a tutela del risparmio e, quindi, in ultima analisi del cittadino e di quanto tutti noi affidiamo alle banche. Non si tratta di un meccanismo che intende occuparsi unicamente dei soggetti attori del sistema bancario. Al contrario, ha a cuore il risparmio. Sono pertanto evidenti le affinità e le assonanze col nostro dettato costituzionale.
Il secondo blocco di priorità del rapporto dei quattro Presidenti riguarda la cosiddetta unione dei bilanci o unione fiscale. Qui gli elementi fondamentali sono due. Il primo è noto, ma è molto importante che sia ribadito nel modo in cui è ribadito. Il rapporto propone ai


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capi di Stato e di governo di dare anzitutto piena attuazione alle novità normative che sono state introdotte in questi ultimi mesi. Prima di pensare di introdurre nuove norme e nuove regole di disciplina, si suggerisce di dare attuazione a quelle che in questi ultimi mesi, con tanto dibattito e con intensa partecipazione, abbiamo approvato.
Il riferimento è ai regolamenti che fanno parte del six-pack, adottati a valle del Consiglio europeo dell'ottobre 2011 e comprendenti i vincoli per il deficit, i vincoli per il debito e l'impegno per gli Stati con un debito eccedente il 60 per cento del PIL di ridurlo un ventesimo l'anno. In secondo luogo, ci si riferisce alle disposizioni che insieme abbiamo discusso nel quadro sia di preparazione del negoziato che di ratifica del fiscal compact, il quale ricodifica, innovandolo molto parzialmente, quanto è già parte del six-pack.
Infine, ci sono le importanti disposizioni che fanno parte di due atti normativi dell'Unione europea, ribattezzati inevitabilmente two-pack, che sono ancora all'esame del Parlamento europeo. Tali atti prevedono ulteriori elementi di disciplina, soprattutto legati al rafforzamento dei meccanismi del ciclo del semestre europeo; raccomandazioni specifiche per Paese e quant'altro.
Come è stato ribadito più volte, questa panoplia di norme intense, approvate più o meno nell'arco di dodici mesi, deve essere pienamente messa in grado di operare. In termini più politici, non si vuole dare ai cittadini e ai mercati l'impressione che continuamente ce ne inventiamo una nuova perché questo vorrebbe anche dire che non siamo sicuri di ciò che abbiamo appena fatto. Siccome invece si è sicuri di aver introdotto una serie di norme importanti, si vuole dare a queste norme modo di espletare al meglio i propri effetti.
Il secondo elemento di questo concetto di unione dei bilanci è un'idea parzialmente nuova perché se ne è già sentito parlare, ma non ancora messa nero su bianco. Si tratta di arrivare a stipulare quelli che in inglese vengono definiti contractual arrangement, cioè dei memorandum con forza quasi contrattuale tra Unione europea - non è specificato quale sia il punto di riferimento istituzionale in quanto l'idea è ancora allo stato embrionale - e ciascuno Stato. La nostra comprensione, per ora solo deduttiva, di questa idea è che potrebbe trattarsi di un meccanismo per dare maggiore forza vincolante alle raccomandazioni specifiche per Paese. Pur restando raccomandazioni, se ne potrebbero, per esempio, estrapolare alcuni punti di più concreta fattibilità in tempi brevi e riportarli nell'ambito di questa sorta di patto tra Unione europea e Stato membro.
Per lo Stato membro l'attore è chiaramente il governo, con il sostegno del Parlamento. Ricordo tra l'altro che, attraverso un emendamento introdotto in sede di Commissione XIV della Camera nella legge comunitaria 2012, abbiamo reso il rapporto Governo-Parlamento molto più stringente. Con l'emendamento presentato dalla relatrice, presidente Boldi, alla proposta di modifica della legge n. 11 del 2005, la cosiddetta legge Buttiglione, lo renderemo molto rapidamente operativo. Uno degli elementi di questa ulteriore interfaccia potrebbe essere la concreta discussione e l'impegno più corale, fra Parlamento e Governo, nell'assolvere a taluni adempimenti che potrebbero a quel punto costituire una forte garanzia e il riconoscimento del percorso che un Paese decide autonomamente di compiere.
Come dicevo, dell'Unione europea non si sa bene quale sarà il riferimento. Naturalmente potrebbe trattarsi della Commissione oppure dell'Eurogruppo, ma si potrebbe anche immaginare una miscela fra le due istanze. Di certo non si inventerebbe niente di nuovo. Sottolineo che queste spiegazioni rilevano della mia personale responsabilità come tentativo di interpretazione deduttiva di qualcosa che ancora non ha formato oggetto di discussione o di chiarimento.
L'unione fiscale è legata a un'unione economica meglio funzionante perché


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unione di bilancio e unione economica meglio funzionante sono inanellate fra loro. Viene allora sottolineata ancora una volta l'importanza del ciclo del semestre e viene evocata anche una seconda idea, che insieme a quella dei contractual arrangement rappresenta l'altra maggiore novità di questo rapporto interinale dei quattro Presidenti. Mi riferisco alla possibilità di avere, a livello di zona euro, una capacità di bilancio, nella dizione inglese una fiscal capacity. Detto in termini ancora più correnti, i Paesi della zona dell'euro e la zona euro stessa si potrebbero dotare di una propria capacità di bilancio.
È un'idea interessante e indubbiamente innovativa, ma dobbiamo comprendere meglio cosa sottintenda un bilancio per i Paesi della zona dell'euro. Come sappiamo, c'è un bilancio dell'Unione europea, che il quadro finanziario pluriennale è volto a finanziare e che coinvolge tutti i ventisette. Quest'altro bilancio invece riguarderebbe esclusivamente i diciassette Paesi dell'area euro. Lo spunto offerto dal rapporto interinale dei quattro Presidenti è che questo bilancio sia separato da quello dell'Unione europea e che venga discusso al di fuori dall'attuale negoziato di bilancio.
Questo pone - ma qui introduco una mia personale considerazione - un elemento di forte attenzione da parte del Parlamento europeo, che rispetto al bilancio dell'Unione svolge un ruolo importantissimo come autorità di controllo. Immaginando che, nel caso di un bilancio dei diciassette, il Parlamento europeo mantenga un suo ruolo, la questione è in quale formato. Come detto, però, il terreno deve essere ulteriormente tastato.
Ciò che appare interessantissimo sono i due esempi proposti di come questo bilancio potrebbe essere utilizzato. Questa idea relativamente recente si manifesta per la prima volta in due elementi esemplificativi. L'eventuale bilancio della zona dell'euro potrebbe servire per affrontare i cosiddetti choc asimmetrici. È un dato importante perché le asimmetrie affliggono, come ben sappiamo, la solidità e la stabilità della zona euro. Una seconda idea è quella di utilizzare questo bilancio per incentivare le riforme strutturali negli Stati membri. Incentivare significa stimolare, premiare e parzialmente compensare i costi che possono derivare da queste riforme.
Naturalmente, essendo questo bilancio formato inevitabilmente anche da contributi dei Paesi che ne fanno parte, a meno che non si identifichino - ma non c'è ancora nulla di questo nelle carte - possibili fonti in grado di garantire entrate proprie alla zona dell'euro, è evidente che nella compensazione dei costi si deve sempre considerare che, come accade regolarmente nel bilancio dell'Unione a ventisette, da una parte uno Stato contribuisce e dall'altra parte può ricevere.
La filosofia di questo eventuale nuovo bilancio per i Paesi della zona dell'euro è quella di dotarli di risorse finanziarie per affrontare i due problemi che vengono esemplificati, ma si potrebbe pensare anche ad altro. Noi intenderemmo riflettere e sono benvenuti i suggerimenti sul modo di alimentare questo bilancio. Dotandosi di una capacità di bilancio - ma sono sempre considerazioni fuori documento -, si potrebbe immaginare che i diciassette si dotino anche di una capacità tributaria, decidendo quindi di introdurre all'unanimità, attraverso i meccanismi con cui si forma il consenso di un singolo Paese, misure di questo tipo. Nulla di tutto ciò è però ancora sul tavolo. Ne sapremo di più a valle del Consiglio europeo e a quel punto sarà parimenti importante rivederci quanto prima.
L'ultimo blocco di priorità del rapporto dei quattro, come detto, riguarda la legittimità democratica. Già di per sé è un elemento importantissimo perché comporta la stretta associazione del Parlamento europeo e dei Parlamenti nazionali in questo processo di riflessione, discussione, dibattito e un domani di presa di posizione e decisione.
Non per nulla questo quarto capitolo di priorità viene spesso ribattezzato


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unione politica. È quello che infatti apre la strada a possibili proposte di emendamento del Trattato che innovino il Trattato stesso sia sotto il profilo urgente del miglior funzionamento dell'unione economica e monetaria in senso stretto, sia sotto quello di prospettiva dell'unione politica.
Questo è quanto mi sembrava importante portare alla vostra attenzione. Le due giornate di giovedì e venerdì penso che saranno molto interessanti. Mi auguro che i capi di Stato e di governo, al di là dell'indubbia importanza dell'occasione che avranno per discutere su temi incardinati, a mio avviso, in modo molto concreto, possano arrivare a punti di accordo politico che rappresenterebbero un risultato molto importante soprattutto in vista dell'ulteriore appuntamento di fine anno.
Per quanto mi riguarda resto a disposizione per rispondere adesso alle vostre domande, ma anche per un'ulteriore audizione, se e quando lo riteniate opportuno, a valle del Consiglio europeo così da potervi riferire dei risultati.

PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro Moavero e do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

SANDRO GOZI. Signor Ministro, vorrei verificare e condividere con lei alcune informazioni e impressioni partendo dalla parte quarta del rapporto Van Rompuy, vale a dire la dimensione politica dell'Unione.
Mi è sembrato che in queste settimane ci sia stato un certo raffreddamento da parte di alcuni Paesi verso la riapertura del processo politico. Mi riferisco più al vertice di dicembre che a questo di ottobre, ma credo che siano strettamente legati. Questo raffreddamento mi pare preoccupante. Non vorrei che a dicembre la questione si risolvesse in una serie di dichiarazioni abbastanza vaghe da non essere vincolanti. Vorrei sapere se anche lei ha le stesse impressioni o se ci sono altri elementi che potrebbe aggiungere alla discussione.
Il secondo punto da lei evocato è la questione dell'unione bancaria. Mi sembra che soprattutto il Regno Unito e la Polonia stiano tentando di annacquarla e che a Londra e Varsavia ci sia una forte preoccupazione circa il ruolo della Banca centrale europea. È evidente che per noi, come lei giustamente ha sottolineato, è fondamentale assicurare il ruolo di autorità di vigilanza unica alla Banca centrale europea. Vorrei capire come si svolge il negoziato, anche perché mi preoccupa il fatto che ciò si leghi all'entrata in operatività, in tutti i suoi aspetti, del meccanismo europeo di stabilità.
Per quanto riguarda la platea di banche a cui estendere la vigilanza unica, io credo che la proposta di Barnier sia giustamente ambiziosa e non so se riuscirà ad arrivare in porto. Conosciamo le resistenze della Germania, probabilmente spalleggiata dagli olandesi, e sappiamo che c'è una doppia proposta per la tutela dei risparmi: una relativa a un fondo di risoluzione europeo e una relativa a un fondo di risoluzione nazionale.
Se concedessimo ai tedeschi una distinzione tra banche transnazionali a rischio sistemico, da sottoporre alla vigilanza della Banca centrale europea, e banche piccole e locali, svincolate da questo potere unico di vigilanza, non correremmo il rischio che le piccole banche siano considerate poco affidabili perché sottoposte a meccanismi di vigilanza meno rassicuranti per i mercati? Vorrei sapere, anche dal punto di vista del nostro interesse nazionale, cosa secondo lei convenga di più sostenere nel negoziato con la Germania.
Il terzo punto riguarda il rafforzamento della convergenza delle politiche economiche. Questi accordi contrattuali sembrano rispondere alla logica del bastone e la carota e ci può stare. Ma i parametri che dovrebbero ispirare i contenuti di questi accordi bilaterali sarebbero il patto Europlus e i suoi sviluppi o ve ne sono altri, oltre alla valutazione del Paese?
Da ultimo, con riferimento al bilancio dell'Unione europea, vorrei soffermarmi


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sul Consiglio straordinario di novembre. Io sono piuttosto preoccupato per la politica di coesione perché, se non sbaglio, l'Italia rischia di perdere tra 800 e 900 milioni di euro. Evidentemente dobbiamo tutelare il saldo netto italiano, ma per farlo forse dovremmo valutare un'impostazione parzialmente diversa del pacchetto di bilancio globale.
Se accettassimo una riduzione del pacchetto globale, diversamente da spagnoli e portoghesi, faremmo fatica a garantire le risorse all'interno dei capitoli della politica di coesione, a meno che non siano in corso negoziati su meccanismi di compensazione che ci assicurerebbero di ottenere lo stesso obiettivo in un quadro di bilancio diminuito.

ALFREDO MANTICA. Signor Ministro, la ringrazio del puntuale aggiornamento sulle complesse vicende che riguardano l'Unione europea. Io avrei solo alcuni chiarimenti e osservazioni di carattere politico da sottoporle.
In primo luogo, il nostro Paese è particolarmente interessato alla crescita. Mi pare ovvio ed evidente. È quindi anche particolarmente interessato al problema relativo agli investimenti infrastrutturali e così via. Lei ha parlato di 120 miliardi: se saranno noccioline o fondi importanti, dipenderà da molte questioni. Le chiederei di essere più preciso al fine di capire se questi 120 miliardi rappresentano un meccanismo che ne mette in molto altri, se sono finanziamenti dell'Unione europea e in quanti anni sarebbero erogati. Vorrei avere contezza per poter esprimere un giudizio.
Le successive osservazioni sono di carattere più strettamente politico e riguardano un tema che lei ha sollevato, quasi rimandando a noi la domanda, quando ha affermato che bisognerà vedere come il Parlamento europeo deciderà per i diciassette, rappresentando i ventisette. Qui credo si apra un tema non indifferente. Non penso che questa Unione europea possa andare avanti integrandosi come zona euro, da un lato, e allentandosi come Europa a ventisette, dall'altro. Anche le posizioni inglese e polacca risentono di questo atteggiamento.
Tale questione si pone oggi ancora in maniera molto informale, ma potrebbe diventare un elemento dirompente e di debolezza anche per la zona euro. Quando parliamo di unione bancaria e fiscale, tutto ha attinenza con la zona euro e chi non è nella zona euro tenta di sfuggire, di ammorbidire o di allentare pesantemente le decisioni che invece chi è coinvolto nell'euro sente di prendere.
Io mi auguro che questo tema cominci a essere sviluppato, magari in sede di Parlamento europeo. Non credo che si possa fare un Parlamento europeo a due istanze, dove qualcuno lavora a ventisette e qualcuno lavora a diciassette. Mi sembra abbastanza ridicolo che un Parlamento a ventisette possa decidere qualcosa che riguarda solo diciassette membri. Il tema l'ha evocato lei giustamente, ma credo di poterle dire che sia un dibattito che bisogna cominciare ad aprire. I molti rallentamenti rispetto alle scadenze che ci siamo dati sui vari argomenti e le difficoltà che incontriamo spesso passano da qui.
Proprio per questo motivo si sente ventilare un principio di cooperazione rafforzata relativa alla tassa sulle transazioni finanziarie. Io ho un'opinione molto precisa di cosa sia la cooperazione rafforzata e degli argomenti a cui debba essere applicata e mi pare che nemmeno lei la sponsorizzi. Voglio ricordare ai colleghi che un conto è la cooperazione rafforzata su temi in cui ogni Stato è libero di scegliere come comportarsi, pur in presenza di un indirizzo europeo. Quando si parla di transazioni finanziarie o di brevetto il discorso è diverso.
È vero che ci vogliono nove Paesi richiedenti. Senza fare polemica, ma i Paesi del «rattrappimento» baltico fanno presto a diventare nove. Se in quell'area si vuole la cooperazione rafforzata, la cooperazione rafforzata c'è. Io credo che in Europa si debba aprire un dibattito. La cooperazione rafforzata non può applicarsi a tutti gli argomenti e a tutti i


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temi che riguardano l'Unione europea. Vanno definiti i limiti e gli ambiti perché non diventi uno strumento di parcellizzazione dell'Unione o quantomeno di creazione di contrasti.

MARCO MAGGIONI. Signor Ministro, lei ha toccato moltissimi temi. Sul meccanismo unico di vigilanza bancaria dobbiamo stare molto attenti. Introdurre un sistema di vigilanza così stretto, che operi su tutte le tipologie di istituti bancari presenti nell'Europa che ha adottato la moneta unica, senza farvi aderire obbligatoriamente gli istituti della Gran Bretagna, significa creare, a livello di sistema bancario europeo, asimmetrie pericolose, che rischiano di andare nella direzione contraria a quella che si intende percorrere con questa proposta. Se si vuole rafforzare il controllo, è necessario porre maggiormente l'attenzione sugli istituti britannici perché da lì proviene la maggior parte di quegli strumenti finanziari derivati che hanno generato i problemi che conosciamo.
Per quanto concerne il meccanismo di risoluzione delle crisi, già al Senato avevo fatto presente che sarebbe necessario valutare l'opportunità per la dirigenza di un istituto bancario che sia entrato in crisi e si sia avvalso dell'aiuto delle istituzioni di farsi da parte e lasciare il posto a tecnici di quelle stesse istituzioni perché aiutino l'istituto a risanarsi.
Mi sembra che si dia moltissima attenzione alla stabilità finanziaria, partendo dall'assunto che la stabilità finanziaria mette le banche in condizione di erogare opportunamente credito alle imprese, che potranno così competere sui mercati. Lei ha citato i prossimi incontri con i partner strategici, tra cui ha menzionato espressamente la Cina. Ebbene, io penso che occorra fare una riflessione sul mercato unico e l'Unione di oggi. In questo mercato le imprese europee non stanno operando a sufficienza. Oggi il mercato unico europeo è a disposizione delle merci provenienti dalla Cina, mentre le nostre imprese non riescono a sviluppare adeguate quote di mercato perché surclassate dalla concorrenza cinese. A essere particolarmente colpito è il settore manifatturiero del nostro Paese, che era molto forte e potrebbe ancora creare quei posti di lavoro oggi quanto mai necessari.
Per quanto riguarda i patti tra l'Unione europea e i Paesi membri sulle politiche di bilancio, già il fiscal compact fissa criteri precisi, come quello del deficit pari a zero, e crediamo che sia più che sufficiente. Se l'Unione europea dovesse dirci anche come dobbiamo raggiungere il pareggio, i ministri delle finanze dei vari Paesi membri non servirebbero più.
Tanto varrebbe che governi l'Europa, perché i Paesi membri non avrebbero più ragione di esistere.

MASSIMO LIVI BACCI. Ringrazio il signor Ministro. Vorrei toccare un argomento che forse andrebbe collocato tra le varie ed eventuali, visto che i fari sono tutti giustamente puntati sull'Unione economica e monetaria. Poiché nella relazione provvisoria sulle conclusioni del Consiglio europeo si cita un patto per la crescita e l'occupazione, il discorso è però a tutto campo. Alla lettera i) si parla, infatti, di occupazione, di inclusione sociale, di mobilità dei lavoratori e via discorrendo.
Forse non è un argomento da prima pagina, ma è ugualmente fondante per l'Unione europea e per il suo futuro. Un punto di grave debolezza non sta solamente nell'area finanziaria, bensì nel fatto che non abbiamo un vero e proprio mercato del lavoro integrato. Abbiamo ventisette mercati del lavoro che comunicano con grande difficoltà tra loro. Ricordo che la mobilità tra i Paesi europei è scarsissima. Non c'è confronto rispetto alla mobilità interna di altri grandi Paesi. Ci si sposta con enorme difficoltà. Anche da questo deriva il fatto che abbiamo aree con disoccupazione al 4 per cento e aree con disoccupazione al 35 per cento. La completa mobilità non cancellerebbe queste disparità, ma forse le ridurrebbe.


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Lei ha trattato la questione del riconoscimento dei diplomi. Certamente questo può aiutare, ma ci sono forse aspetti ancora più importanti. In primo luogo, c'è ad esempio la questione degli immigrati lungo-soggiornanti, che hanno diritto a muoversi nell'ambito europeo, ma ancora con parecchi ostacoli. La concessione della carta di lungo soggiorno avviene con il contagocce in molti Paesi dell'Europa, che quindi si priva di un bacino di forza lavoro potenzialmente molto mobile e che invece rimane intrappolato nei Paesi dove è residente. Si tratta, in prospettiva, forse di due decine di milioni di lavoratori europei.
Altrettanto importante è rafforzare l'accordo di Schengen anziché porre delle limitazioni che lo mantengano nella sua struttura attuale, cercando di rendere minime le sospensioni in caso di eventuali emergenze. Altro punto è quello relativo ai maggiori sforzi per l'eliminazione delle barriere burocratiche che impediscono ai residenti dei vari Paesi di impiantare una propria attività professionale negli altri Paesi o di muoversi da un Paese all'altro. Queste barriere sono state in parte abbassate, ma mi sembra che non si compia uno sforzo prioritario per diminuirle al massimo e in modo compatibile.
C'è poi la crisi di uno dei pochi sistemi per lo scambio di studenti che hanno funzionato bene e cioè il programma Erasmus. È vero che c'è un programma Erasmus for Europe che rafforza i finanziamenti, ma faccio presente che la Spagna ha dimezzato i fondi destinati all'Erasmus, il che è molto grave se si pensa che la mobilità Erasmus è una frazione di quella sperata. Ci si augurava, infatti, che ogni anno almeno l'1 per cento degli studenti universitari si muovesse da un Paese all'altro e invece così non è. Siamo molto lontani, benché questo rappresenti la base comune dell'Europa.
A monte e al di là del Consiglio europeo, ci sono inoltre le barriere linguistiche, per abbattere le quali facciamo davvero poco. La conoscenza di altre lingue in Europa è bassissima, salvo che in alcuni fortunati Paesi del nord. Ma come si fa a comunicare e a spostarsi se non si conosce la lingua? Quali sforzi si fanno in questa direzione?
Questi sono appunti anche per il futuro che mi premeva fare in questo contesto. Aggiungo solo che in uno di questi documenti si parla di «triloghi», che immagino sia un neologismo per definire dei dialoghi a tre.
Devo dire che la cosa mi preoccupa.

GIACOMO SANTINI. Faccio appello alla mia esperienza europea innanzitutto per essere confortato dal quadro come sempre completo e molto tecnico del ministro.
Prendo spunto da un passaggio iniziale e da uno finale, che secondo me sono connettibili. Il primo passaggio è quello relativo ai Paesi in phasing in per quanto riguarda sia l'ingresso nell'euro sia l'ingresso nell'Unione. Il passaggio finale, che altri hanno ricordato, è quello della realizzazione dell'unione politica, rispolverata in questo momento come il principale degli obiettivi. Una volta si parlava di raggiungimento delle comuni istituzioni politiche, ma credo sia la stessa cosa.
Per realizzare l'unione politica occorrono dei presupposti che in questo momento, a differenza che in passato, sembrano vacillare. L'Unione discende, per esempio, da politiche di coesione, così come l'unione economica e monetaria deriva dall'accettazione di comuni parametri, oltre che economici, bancari. Occorre però anche un passaggio non tecnico, ma socio-politico rappresentato dalla convinzione dei cittadini che sia utile e importante aderire a queste due realtà, soprattutto per il futuro. Questo fattore comune implica senso di appartenenza e la volontà di partecipare alle politiche comunitarie.
Faccio questo preambolo perché questa settimana, da convinto europeista quale sono, ho ricevuto due smacchi da due Paesi diversi. In Stiria, una regione dell'Austria, i giovani hanno affermato


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che, potendo, uscirebbero sia dall'Unione europea sia dall'euro. La Stiria equivale in Austria al Trentino-Alto Adige in Italia e quindi c'è un forte senso autonomistico. Tuttavia, è un'affermazione molto serena. A Belgrado in Serbia, Paese che io credevo anelasse a entrare in Europa, i giovani hanno detto di sperare che il loro governo non accetti quest'idea e tanto meno chieda di aderire all'euro.
Il Consiglio europeo, signor Ministro, ha la percezione del fatto che negli ultimi vent'anni lo scenario a livello di convinzione, di persuasione e di coesione è cambiato?

GIANLUCA PINI. La riflessione del senatore Santini è sicuramente interessante, come interessante sarà sentire la risposta del Ministro, che ringrazio per la sua presenza.
Vorrei ritornare molto brevemente sul tema sollevato sia dal nostro capogruppo Maggioni sia dal collega Gozi, cioè la supervisione unica in materia bancaria. Io la vedo in maniera molto asettica. Quello che è successo all'interno dei grandi gruppi bancari che operano in maniera transfrontaliera ci insegna che occorre porre in essere una vigilanza diversa da quella che è stata esercitata finora. Non c'è il minimo dubbio. Tuttavia, come segnalava correttamente il collega Maggioni, ciò non può trasformarsi in un ulteriore fardello sulle spalle delle piccole banche locali, che in questo momento rimangono le uniche a fare davvero raccolta, anziché esercizi finanziari arditi per sostenersi, e a concedere credito a famiglie e imprese.
Oltre allo spread legato ai differenziali con i bund tedeschi, che le televisioni ci propinano tutti i giorni, c'è anche uno spread, molto più pesante per le famiglie, tra il tasso interbancario ufficiale e il tasso applicato al credito. Una buona fetta di questo spread sugli interessi passivi che le famiglie e le aziende pagano è dovuta alla eccessiva burocrazia dei meccanismi di controllo imposti anche alle piccole banche, spesso enormemente sovradimensionati rispetto all'operatività che queste hanno sul territorio.
La mia vuole essere semplicemente una riflessione. Non credo che ci si debba tenere molto distanti dalla posizione della Germania, che sostiene un meccanismo duale di verifica e supervisione del sistema bancario, forte sulle banche transnazionali che operano, come si sa, con meccanismi speculativi e più snello per le banche locali sulla base di un indirizzo generale fornito dalla Banca centrale europea e applicato su scala nazionale. Si parla molto di semplificazione, ma la semplificazione deve essere reale, non solo sulla carta.
L'emergente contrapposizione tra la Germania, l'Inghilterra o altri Paesi potrebbe anche essere un'opportunità per definire finalmente un meccanismo duale di controllo per le grandi banche e le piccole banche, sgravando queste ultime dalle procedure ridondanti e non necessarie che si riverberano sui costi per aziende e famiglie.
A proposito della capacità tributaria propria dell'Unione europea, mi auguro che lei intendesse dire che sarebbe sostitutiva della capacità tributaria degli Stati membri. Le chiedo di chiarire questo punto.
Riguardo invece alla partecipazione democratica, condivido i timori del collega Maggioni. Benché non sarà oggetto di discussione del Consiglio, vorremmo che la norma che sancisce un obbligo politico di indirizzo al Governo quando questi rappresenta il Paese in sede di Consiglio, già approvata in Commissione, sia accolta anche nell'ambito della riforma della legge n. 11 del 2005.
Le chiedo formalmente di esplicitare questo impegno già assunto in sede di Commissione.

ENRICO MORANDO. Signor Ministro, poiché siamo in una fase di discussione sul futuro dell'Unione europea, le chiedo di chiarire perché, a proposito di unione bancaria e di sistema di regolazione della finanza europea, non è possibile aprire in


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Europa una discussione sull'ipotesi di tornare a qualche seria forma di segregazione tra banca commerciale e banca d'investimento, questione che, a mio parere, è alla base delle difficoltà che abbiamo conosciuto nel recente passato.
Premetto che, secondo me, se dobbiamo creare un sistema di vigilanza diverso per banche cosiddette grandi e banche cosiddette piccole, è meglio che non facciamo niente. Una tale distinzione ci renderebbe incapaci di gestire il sistema. È fondamentale che si difenda il sistema bancario in una fase di transizione in progresso, ma non certamente affermando una distinzione circa la qualità della vigilanza tra banche grandi e banche piccole. Ricordo che l'unica vera crisi finanziaria del sistema del credito europeo è stata determinata dalla crisi delle cosiddette piccole casse di risparmio, in particolare tedesche.
Io ritengo che, così come nel mondo anglosassone, che ha un sistema finanziario più complesso di quello dell'Europa continentale, questa discussione è aperta, si debba avere il coraggio, dibattendo di unione bancaria, di sollevare questo tema, proponendo soluzioni anche parzialmente diverse da quelle elaborate altrove.
Continuare a ignorarlo significa, secondo me, ignorare una parte fondamentale del problema che abbiamo di fronte.

AMEDEO CICCANTI. Signor Ministro, vorrei dire qualcosa sul Patto per l'occupazione e la crescita. La lettera dei dodici capi di governo aveva già aperto una riflessione in una parte dell'Europa su questo tema che ci sta particolarmente a cuore.
Nel Consiglio del 28 e 29 giugno ci siamo trovati di fronte alla novità del pacchetto finanziario da 120 miliardi della BEI, con la previsione di un aumento del capitale di 10 miliardi, che porterebbe a circa 60 miliardi di euro le risorse disponibili per i prestiti, per una somma complessiva di 180 miliardi di euro da destinare al sistema. Questi fondi dovrebbero essere investiti nei prossimi tre anni. Vorrei sapere in base a quali criteri. C'è una finalizzazione o il tutto è lasciato al caso?
Si dice anche che i fondi strutturali devono essere riprogrammati. Chi beneficerà di tale riprogrammazione, al di là della questione italiana dei fondi non utilizzati al sud, che credo debba essere considerata per quella che è? È pensabile una finalizzazione dei fondi strutturali a settori orizzontali come la ricerca e l'innovazione per migliorare il nostro livello di competitività e rafforzarci nei confronti dei Paesi emergenti, se, come previsto, tra il 2013 e il 2015 ci sarà la ripresa del commercio e dell'economia? È questa la strategia sui fondi BEI e sui fondi strutturali che l'Italia porterà nel dibattito europeo?
Vengo a una considerazione sul nuovo bilancio dell'area euro. Lei ha detto che è tutto da definire, ma si sta tenendo conto del fatto che procederebbe in parallelo con il fondo di stabilità permanente, cioè l'ESM, che allo stesso modo potrebbe finanziare la crescita e gli investimenti? Questo nuovo bilancio sarà destinato a un settore specifico o lavorerà insieme agli altri strumenti finanziari?
Chiudo con una domanda sulla direttiva servizi e sul mercato unico. C'è la questione aperta del decreto legislativo riguardante le concessioni marittime, che dovrebbe arrivare alle Camere. Lo Small Business Act e la legge che abbiamo approvato sullo statuto delle imprese, potrebbero giocare un ruolo all'interno della direttiva servizi?
La direttiva servizi dice che dobbiamo innalzare il nostro livello di concorrenza per migliorare la competitività complessiva europea e noi abbiamo interesse a rafforzare quella italiana. C'è però anche la necessità di sostenere e privilegiare la piccola e media impresa, non in quanto tale, ma per l'apporto che può dare alla competitività. Non ne abbiamo per niente tenuto conto nella direttiva servizi sulle concessioni marittime.
Lei cosa ne pensa? È un'occasione per parlarne nell'ambito del mercato unico?


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PRESIDENTE. Ringrazio i colleghi. A livello di curiosità, il Ministro Schaeuble avrebbe parlato di un commissario unico dell'euro con poteri sui bilanci degli Stati simili a quelli del temuto commissario europeo alla concorrenza nelle pratiche antitrust.
Do ora la parola al ministro Moavero per la replica.

ENZO MOAVERO MILANESI, Ministro per gli affari europei. Ringrazio per tutte queste domande, che permettono di chiarire reciprocamente alcuni punti importanti.
Mi permetto di iniziare, anche per sottopormi a un test di apprendistato politico a quasi un anno dalla mia entrata in funzione, dall'importante punto sollevato dal senatore Santini, vale a dire la questione del senso d'appartenenza e della percezione dei cittadini.
Facevo delle riflessioni su questa lunghezza d'onda quando, a valle dell'inatteso conferimento del premio Nobel per la pace all'Unione europea, come Ministro per gli affari europei ho ricevuto una serie di domande tutte sottese a capire, da un lato, per cosa era stato attribuito questo premio e in che cosa ci possiamo riconoscere come cittadini nel riceverlo e, dall'altro, chi andrà materialmente a ritirarlo. Alla seconda questione non rispondo perché è in corso una fitta rete di contatti interistituzionali nella struttura a tre, da cui il terribile neologismo «trilogo» a cui veniva fatto riferimento.
Questo «trilogo» indicherebbe il dialogo a tre e forse in italiano sarebbe dovuto essere «trialogo». Fatto sta che il bravo traduttore italiano, probabilmente partendo dal francese trilogue, ha tradotto trilogo, così come troviamo il francesismo «consultativo» accanto all'aggettivo consultivo. Purtroppo la nostra lingua, se non adeguatamente preservata da chi la parla, da chi la scrive o da chi la traduce, finisce per danneggiarsi. Io tento di usare l'italiano quanto più possibile.
Venendo al punto importante, credo che sul tappeto ci sia la questione dell'identificazione del cittadino europeo nel progetto europeo e nella realtà europea. È così in tutti i Paesi, tant'è che in svariati Stati, quando ci sono gli appuntamenti elettorali, non sono poche le forze politiche che concorrono per il Parlamento europeo sotto insegne euroscettiche o dichiaratamente antieuropee.
Personalmente credo che, finché l'Europa ha costruito quel grande spazio di libera circolazione che interessa tanto le merci, i capitali e i servizi quanto le persone, i cittadini abbiano compreso e seguito il progetto europeo anche dopo i primi anni in cui l'Europa aveva perseguito la pace. È indubitato che negli anni Cinquanta il ricordo della guerra era così vicino da rendere fondamentale la fine delle ostilità sul Reno tra Francia e Germania. Credo che il percorso che ha portato a uno spazio di libera circolazione per le persone e a un mercato di scala continentale sia stato compreso. Noi tutti ricordiamo che certi prodotti che si trovavano solo in determinati Paesi sono via via arrivati anche sugli scaffali dei nostri negozi.
Probabilmente il percorso verso la moneta unica è stato più complesso. Nel frattempo si è affermata la presenza di un'Europa amministrativa, non del tutto percepita e quindi facilmente dileggiabile come burocratica o eurocratica. La frequente abitudine di parlare dell'Europa in terza persona è sovente peggiorativa. Se l'Europa ci impone qualcosa, in genere è qualcosa di poco piacevole, e chiamiamo in causa l'elemento terzo. Se la cosa è buona, siamo noi ad averla ottenuta in Europa. Questo indubbiamente ha creato una difficoltà.
Io penso che il problema non sia dissimile da quello scollamento tra le istituzioni e il cittadino elettore che sovente si verifica nelle democrazie e pertanto andrebbe affrontato nella stessa maniera. Non penso che il processo di integrazione europea sia reversibile, anche se, mettendosi d'impegno, tutto è smantellabile. L'Unione europea è senz'altro fragile, ma a rigor di logica non credo che tornare indietro sia immaginabile


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e nemmeno salutare per un Paese come il nostro e per tutti gli altri ventisei Paesi dell'Unione. Questo mosaico di colori che vediamo sulla carta geografica quando guardiamo l'Europa, comparato ad altri insiemi, come gli Stati Uniti, l'India, la Cina, la Russia, il Canada o il Brasile, ci sembra molto meno omogeneo, ma ritengo che l'Europa non possa non essere il nostro avvenire.
La vera questione è che bisogna riallacciare un dialogo attuale con i cittadini. Bisogna, per esempio, che le elezioni a suffragio universale del Parlamento europeo, l'unico organo che ha piena legittimità democratica, non siano vissute in quasi tutti i Paesi, per non dire in tutti, come un test di medio periodo preparatorio alle elezioni legislative nazionali, ma siano viste come il momento in cui si inviano effettivamente dei deputati nazionali in un organo importante.
La percezione dell'Europa, a mio avviso, ha anche una discriminante generazionale. I giovani o si sentono più europei dei meno giovani o, viceversa, sono decisamente lontani perché non hanno vissuto la fase più pionieristica della sua costruzione. Questo impone una rivisitazione di tanti fattori, a cominciare dalle scuole, da certi modi di studiare la storia, dallo studio dell'educazione civica, che potrebbe essere anche inquadrata in una prospettiva più europea.
Indubbiamente la questione è sul tavolo, riguarda tutti i Paesi ed è percepita a livello di ministri, ma anche di parlamentari europei e di chiunque si interessi seriamente all'Europa. Non tanto e non solo per non rinnegare il mio lungo impegno professionale e civico, ma penso che non sia concepibile un futuro di un Paese europeo al di fuori del contesto europeo. Certo è che bisogna migliorarlo e riportarlo vicino ai cittadini nei modi in cui le istituzioni democratiche consentono di farlo.
Questo mi permette di fare ponte sulla questione sollevata dal senatore Mantica e che io stesso evocavo. Il Parlamento europeo è rappresentativo dei ventisette, come peraltro lo è anche il Consiglio. Quando si riunisce il Consiglio Ecofin, siedono insieme i ventisette ministri - come sappiamo a luglio saranno ventotto - dei ventisette Paesi membri dell'Unione. In seno all'Ecofin esiste la formazione dell'Eurogruppo, che peraltro è codificata dal Trattato stesso attraverso un protocollo e riunisce solo i ministri dell'area dell'euro. Come ripeto, niente di tutto ciò è sul tavolo e non sono certamente demandato io a parlarne perché la competenza è del Parlamento stesso e non voglio invadere il terreno, ma, riflettendo da cittadino, per mantenere il Parlamento nel circuito si potrebbero immaginare sessioni solo con gli eurodeputati rappresentativi dei Paesi dell'area dell'euro.
Credo che occorra non soltanto un dibattito, ma anche una riflessione approfondita nelle sedi politiche e in particolare in Parlamento. È però insindacabile che il Parlamento europeo e le sue componenti debbano avere una indispensabile voce in capitolo in qualsiasi decisione riguardi il bilancio. Un'eventuale capacità di bilancio dell'area euro è un libro aperto con moltissime pagine bianche. Come Italia siamo attori di questa discussione. Che si svolga in seno al Parlamento europeo o che si svolga nell'ambito dei rapporti fra i governi e i rispettivi Parlamenti nazionali dobbiamo esserne protagonisti.
Un nuovo bilancio potrebbe servire agli esempi fatti nel rapporto, ma anche ad altro. Ricollegandomi alle osservazioni formulate sull'agenda sociale, sul mercato del lavoro e quant'altro, penso che potrebbe anche servire a creare incentivi sociali che consentano una mobilità più effettiva dei lavoratori o sistemi pensionistici complementari per i lavoratori che passano la maggior parte della loro vita lavorativa in Paesi diversi da quello d'origine.
Potrebbe altresì consentire un'elasticità superiore a quella del bilancio dell'Unione, che, come sapete, ha acquisito negli anni una sua struttura. Il 45 per cento - prima erano addirittura due terzi - va al finanziamento della politica


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agricola comune. C'è poi un'altra percentuale rilevante che va alle politiche di coesione e così via. Un bilancio dell'area dell'euro potrebbe essere più al servizio di meccanismi di stabilità, di crescita e di creazione di posti di lavoro. Come ripeto, è un libro dalle pagine tutte da scrivere. Ogni riflessione, ogni spunto, ogni documento è benvenuto, soprattutto da parte dei membri del Parlamento o del Parlamento stesso.
Per quanto riguarda la capacità tributaria, un test interessante riguarda la tassa sulle transazioni finanziarie. A parte le teorizzazioni del professor Tobin e quant'altro, questa tassa era stata esplicitamente evocata in un documento della Commissione europea con riguardo a possibili nuove risorse proprie del bilancio dell'Unione nel contesto dell'esercizio finanziario pluriennale, ma non si è raccolto il consenso. Poiché il bilancio dell'Unione europea richiede l'unanimità, quando si comprende che su certi argomenti il consenso proprio non c'è, si smette anche di coltivarli.
Successivamente la Commissione europea, su stimolo di alcuni Paesi, tra cui in particolare Francia e Germania, ha aperto la possibilità di arrivare a una cooperazione rafforzata. Il numero minimo dei nove Paesi richiedenti è stato raggiunto la settimana scorsa e attualmente sono undici. Dovrebbe, quindi, iniziare una discussione, che richiederà l'unanimità, trattandosi comunque di tributi, tra tutti i governi che hanno aderito alla cooperazione rafforzata.
Il nostro Governo, dopo riflessione più che approfondita, ha deciso di aderire. Bisogna ancora comprendere come concretamente si delineerà questa tassa e quali transazioni finanziarie saranno toccate. L'idea è che non coinvolga prelievi o bonifici fra privati, ma che debba riguardare transazioni di importanza maggiore. Per rispondere alla domanda dell'onorevole Pini, siamo certamente più su un piano di complementarità che non di stretta addizionalità.
Tasse di questo genere, qualora fossero ritenute utili e appropriate, potrebbero essere prese in considerazione per alimentare questo bilancio, a patto che si raggiunga l'unanimità dei governi degli Stati membri, come pure può darsi che si trovino altri sistemi. Un esempio di tassa immaginata nell'arco degli ultimi dieci o quindici anni ed evocata ogni tanto a livello europeo è la tassa ambientale che colpirebbe i grandi produttori di emissioni potenzialmente nocive, ma non se n'è mai fatto nulla.
Rispetto alla possibilità che dall'Europa - che metteremmo in terza persona perché sarebbe un'Europa tassatrice - arrivino tasse o tributi, ci deve rassicurare il fatto che, a termini di Trattato, cooperazione rafforzata o meno occorre l'unanimità. Inoltre, l'emendamento della presidente Boldi al progetto di modifica della legge n. 11 del 2005 - ora all'esame del Senato e che dovrà tornare alla Camera per una terza lettura -, che vi anticipo il Governo accetterà, dovrebbe rendere cogenti le modifiche introdotte nella legge comunitaria 2012. Vi sarà, quindi, un dialogo stretto tra Parlamento e Governo, quale che esso sia, soprattutto su argomenti di questo genere.
Stiamo parlando di termini fortemente evocativi e quindi anche potenzialmente allarmanti. È bene chiarire però che stiamo facendo un esercizio di riflessione a voce alta. Non c'è nulla di concreto. Per ora l'unico elemento concreto è questa tassa sulle transazioni finanziarie, concreta in quanto lancio di cooperazione rafforzata, ma non ancora in quanto decisione da prendere. Il Governo italiano, quando sarà il momento di decidere, dovrà unire il suo consenso a un'indispensabile unanimità e potrà farlo unicamente avendo ricevuto un atto di indirizzo dal Parlamento. Il sistema mi pare estremamente garantito quanto alla opportunità di prendere le decisioni più sagge.
Sulla cooperazione rafforzata sarei anch'io dell'idea che occorra una riflessione. Per quel che può contare la mia opinione personale, credo che la cooperazione rafforzata sia preziosa per consentire di avanzare in componenti importanti


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della costruzione europea laddove manchi il consenso maggioritario o unanime eventualmente richiesto dal Trattato. Bisogna però distinguere i settori.
Nell'ambito del funzionamento del mercato unico, a mio parere, la cooperazione è più criticabile. Vedremo come si pronuncerà la Corte di giustizia, ma dal punto di vista politico rimarrà comunque criticabile perché il mercato interno deve tendere a unire. Il fatto che alcuni partano in cooperazione rafforzata sul brevetto, come sta avvenendo oggi, può essere anche a fin di bene, ma domani con la cooperazione rafforzata si potrebbe decidere uno standard normativo, scegliendo, ad esempio, il sistema PAL invece del SECAM per la televisione a colori, e sorgerebbero dubbi sul mercato che stiamo costruendo. Ho utilizzato espressamente un riferimento oramai vecchio di qualche decennio per non compromette questioni di attualità.
Per quanto riguarda le questioni legate al quadro di bilancio e le relative conseguenze, è vero che c'è qualche motivo di insoddisfazione con riguardo alla politica di coesione e soprattutto all'attuale chiave di ripartizione della politica agricola. Questi fattori attualmente condizionano il consenso del Governo italiano alla necessaria unanimità sul bilancio. La Commissione propone di mantenere il medesimo livello del bilancio 2007-2013, salvo un'attualizzazione in termini reali agli anni dal 2014 al 2020. Non risulta alle nostre valutazioni che una riduzione di questa proposta della Commissione ci porterebbe vantaggio, motivo per il quale il nostro Governo, dall'inizio della sua entrata in funzione, si è pronunciato a favore della proposta della Commissione.
Come siamo soliti ribadire con forza, siamo l'unico fra i Paesi contributori netti a sostenere la proposta della Commissione. Abbiamo constatato con piacere che il nuovo Governo francese con costanza, ma non ancora definitivamente, si sta spostando dalla posizione favorevole alla riduzione e abbiamo notato con interesse una serie di posizioni più sfumate da parte del Governo tedesco. Rimangono ben chiare a favore della riduzione della proposta della Commissione le posizioni britannica, olandese e svedese in modo particolare, ma noi siamo molto fermi.
Nell'ambito della discussione sulla coesione, però, come Italia ci presentiamo in maniera non proprio impeccabile perché siamo il Paese che persevera da svariati anni e con diverse formazioni di governo e maggioranze nel non riuscire a spendere interamente i fondi a noi attribuiti in modo cartolare. Il sistema europeo prevede il doppio elemento dei fondi impegnati e dei fondi effettivamente pagati. Noi siamo in ritardo su entrambi, ma ciò che pesa è l'effettivo pagamento.
Una delle questioni più delicate, che sovente ci viene messa davanti, riguarda i cosiddetti RAL, acronimo dell'espressione francese, non tradotta, reste à liquider. Lì abbiamo l'ammontare maggiore. Con riferimento alla domanda dell'onorevole Ciccanti, quando si parla di mobilitare più fondi, anche esistenti, a livello europeo, sovente si fa riferimento a questi fondi non utilizzati, alla stregua dei conti dormienti. Il problema è che dietro i fondi non utilizzati ci sono i Paesi che non li hanno utilizzati e il primo per quantità è proprio l'Italia.
Ho sempre considerato fino a oggi mio dovere, come Ministro, sostenere che questa per noi è una strada da abbandonare. Sul piano giuridico riteniamo di avere ragione perché è il sistema che fisiologicamente può produrre i fondi non utilizzati. Detto questo, è una sfida fondamentale per il sistema Paese, sfida che riguarda il Governo, il Parlamento, i governi locali nonché la capacità del mondo delle imprese di utilizzare questi fondi e di farlo al meglio.
Quando si parla riprogrammazione, in realtà ci si riferisce sempre ai fondi esistenti, non ancora impegnati e non ancora spesi. Di conseguenza i parametri e i criteri sono quelli dei fondi esistenti. Mutatis mutandis, questo è anche il meccanismo attraverso il quale vengono evocati i 120 miliardi, o 180 se si aggiungono


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i dieci di aumento di capitale, mobilitabili dalla BEI. Sono focalizzazioni di risorse finanziarie già esistenti utilizzabili o attribuibili secondo i criteri già in atto.
L'ultimo gruppo di domande riguarda più propriamente il rapporto interinale dei quattro Presidenti. La prima, più politica, concerne il raffreddamento rispetto alla prospettiva dell'unione politica. Io non lo definirei tale. Direi che, da un lato, è arrivata, com'era inevitabile, una precisazione sull'urgenza maggiore, cioè garantire la piena legittimità e il rafforzamento del meccanismo democratico nelle decisioni. Dall'altro, oggi si parla di unione politica con una disinvoltura anche fin troppo ampia, ma non dimentichiamo che fino a poco tempo fa era difficilissimo parlarne e che addirittura, all'indomani della firma del Trattato di Lisbona, si era detto di non toccare più l'argomento per dieci o quindici anni.
Io continuo a ritenere che sia un tema caldo e che vada discusso nelle forze politiche, sui media, fra i cittadini, negli ambienti intellettuali in cui si riflette su queste cose e naturalmente nei circuiti operativi di governo. Come abbiamo detto tante volte, il Governo è estremamente motivato ad avanzare in quella direzione. Quello che ci viene fatto osservare da parte di altri governi è che in questo momento il cittadino, più che grandi disegni federalisti, si aspetta forse grandi risposte per superare la crisi economica. Le due cose riteniamo però che possano andare ampiamente di pari passo.
In materia di unione bancaria, faccio innanzitutto osservare che il sorvegliante unico interagirebbe inevitabilmente con gli incaricati della vigilanza a livello nazionale. La questione è se sottoporre o meno la banca locale all'ombrello della supervisione unica europea. Materialmente l'attività concreta di vigilanza presso la banca locale sarebbe sempre condotta da chi l'ha fatta in questi anni.
L'elemento parallelo riguarda le regole che verrebbero applicate ed è in questo che il rapporto dei quattro, in linea di principio diretto ai Paesi dell'area euro, guarda al di là dell'area euro. Si vorrebbe, infatti, che le regole di vigilanza unica applicate a livello di zona euro fossero le medesime che gli organismi di vigilanza dei Paesi non appartenenti a tale zona applicano al loro interno. Qui potrebbe avere un ruolo importante la non sempre amatissima Autorità bancaria europea (EBA) in qualità di emanatore delle regole che sarebbero poi applicate.
Lo schema ideale sarebbe quello di avere un supervisore unico a livello dell'area dell'euro che applica però regole e parametri condivisi anche da Paesi non di area euro e che opera in stretta interfaccia con le autorità di vigilanza bancaria di ciascuno Stato, soprattutto via via che le banche hanno natura e portata più locale.
In alcuni documenti della Commissione si comincia a parlare anche della questione che veniva sollevata dal senatore Morando, vale a dire la separazione tra banca commerciale e banca di investimento. Più che ragionare di mono-attività, sta venendo avanti l'idea di una contabilità separata e dell'impossibilità di praticare quella che poeticamente viene chiamata cross fertilization. In altri termini non si potrebbero utilizzare risparmi raccolti con la classica gestione del risparmio per fare azioni di tipo speculativo o viceversa premiare eccessivamente un normale risparmio con gettiti da attività di tipo speculativo. Il tema è sul tavolo e la discussione è aperta.
Per quanto riguarda i dirigenti delle banche in crisi, potrebbe essere un elemento di cui tenere conto nell'ambito di queste varie discussioni. Per ora, non essendo ancora delineato in nessuna proposta di risoluzione delle crisi bancarie, non si legge in alcun tipo di atto operativo.
Per quanto riguarda invece gli aspetti relativi all'unione economica, ripetendo ancora una volta e sottolineando che questa idea degli impegni contrattuali è ancora tutta da strutturare, non si tratterebbe di patti dettagliati a tal punto da concordare o, nella visione pessimistica, dettare un'agenda a uno Stato. L'idea è


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che si parli sempre di obiettivi e di livelli, mentre resterebbe totalmente nelle mani dello Stato, e quindi del Parlamento e del governo nazionale, decidere come raggiungerli. L'esempio più banale è quello del pareggio del bilancio. È lo Stato a stabilire se arrivarci con tagli di spesa oppure con pressione tributaria o altro.
La scelta degli strumenti non sarebbe comunque prevista da questi eventuali contratti, che servirebbero solo a rendere più vincolanti alcuni elementi delle pubbliche raccomandazioni specifiche per Paese, che io invito sempre a leggere. Le raccomandazioni specifiche per Paese infatti non si fermano a parametri generali, ma scendono abbastanza nel dettaglio. Si potrebbe restare su quello stesso livello di dettaglio o addirittura optare per una maggiore genericità.
Credo e spero, salvo immediata correzione da parte vostra, di aver risposto a tutte le domande. Vi ringrazio ancora una volta. Sono formalmente e sostanzialmente a vostra completa disposizione perché considero queste audizioni assai arricchenti per il rappresentante del governo.

PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro Moavero e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16,20.

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