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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissioni Riunite (III Camera e 3a Senato)
3.
Martedì 26 agosto 2008
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Stefani Stefano, Presidente ... 3

Comunicazioni del Governo sulla situazione in Georgia:

Stefani Stefano, Presidente ... 3 8 21 26 28 31
Antonione Roberto (PdL) ... 27
Cabras Antonello (PD) ... 21 22
Casini Pier Ferdinando (UdC) ... 14
Colombo Furio (PD) ... 21 31
Contini Barbara (PdL) ... 26
Cota Roberto (LNP) ... 11
Dozzo Gianpaolo (LNP) ... 22
Fassino Piero (PD) ... 8
Frattini Franco, Ministro degli Affari esteri ... 3 26 28 31
Guzzanti Paolo (PdL) ... 15
Livi Bacci Massimo (PD) ... 26
Marini Franco (PD) ... 12
Nirenstein Fiamma (PdL) ... 19
Orlando Leoluca (IdV) ... 17
Perduca Marco (PD) ... 23
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-Repubblicani: Misto-LD-R.

COMMISSIONI RIUNITE
III (AFFARI ESTERI E COMUNITARI) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E 3a (AFFARI ESTERI, EMIGRAZIONE) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di martedì 26 agosto 2008


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA III COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI STEFANO STEFANI

La seduta comincia alle 11.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Comunicazioni del Governo sulla situazione in Georgia.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca le comunicazioni del Governo sulla situazione in Georgia.
Buongiorno e benvenuti. So che molti di voi hanno dovuto interrompere il giusto riposo e le giuste ferie, ma ci sono priorità e priorità!
A nome del Presidente Dini desidero ringraziare il Ministro degli affari esteri Franco Frattini per la disponibilità manifestata a riferire al Parlamento sulla crisi georgiana, e dargli atto che nelle ultime settimane ha assicurato un costante collegamento informativo con le presidenze delle competenti Commissioni parlamentari.
Ricordo altresì che i colleghi Antonione e Livi Bacci hanno preso parte, lo scorso 20 agosto, alla riunione straordinaria della Commissione esteri del Parlamento europeo, nell'ambito della quale ha riferito, per conto della presidenza francese dell'Unione, il Segretario di Stato Jouyet, a cui è intervenuto anche il Ministro degli esteri della Georgia.
L'odierna seduta acquista particolare rilievo anche per il fatto che la Presidenza Francese ha proceduto alla convocazione straordinaria, come voi ben sapete, del Consiglio europeo il prossimo primo settembre, nonché a seguito del voto del Parlamento russo per il riconoscimento dell'indipendenza dell'Ossezia del sud e dell'Abkhazia.
Invito il Ministro Frattini, che ringrazio della presenza, a svolgere la sua relazione.

FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Grazie molte, presidente. Ringrazio per la loro presenza anche i senatori e i deputati.
Certamente il grande tema di cui oggi ci occupiamo, la crisi che si è infiammata nelle scorse settimane, riguarda una materia che per l'Italia riveste un particolare interesse. È materia che ci interessa molto da vicino, per almeno due ragioni.
La prima ragione è che l'area dei cosiddetti «conflitti congelati», il Caucaso in particolare, dopo la fine della guerra fredda è diventata parte di quello che chiamiamo comunemente il vicinato europeo, cioè un'area politica ed economica con cui l'Unione europea, ma anche la comunità euro-atlantica, hanno stabilito un rapporto strutturato di dialogo e di cooperazione.
È un'area - credo che possiamo dirlo con certezza - di assoluta importanza strategica anche per la sicurezza. Intendo riferirmi a vari aspetti della sicurezza: dalla sicurezza in senso proprio, ossia la prevenzione delle pulsioni estremistiche e terroristiche, fino alla sicurezza degli approvvigionamenti energetici.


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La stabilità di questa area veniva in passato assicurata, secondo le regole della dittatura sovietica, dall'Unione Sovietica. Oggi è, invece, un diretto interesse di tutte le democrazie occidentali. Vorrei dire che quell'area oggi è una responsabilità comune - nostra, come Italia - dell'Europa, degli Stati Uniti, ma è anche, ovviamente, una responsabilità della Russia, con la quale ci troviamo a condividere questo «vicinato allargato», come l'Europa lo definisce.
È evidente, quindi, che una crisi che si dovesse espandere e aggravare avrebbe costi particolarmente immediati e alti, anche e soprattutto per la nostra sicurezza, come Italia e come Europa.
La seconda ragione di diretto interesse è che la dinamica dei conflitti congelati nell'area caucasica influisce direttamente sui rapporti tra l'Occidente e la Russia. Ed è evidente che questi rapporti sono e saranno cruciali per la stabilità internazionale complessiva.
Questa crisi georgiana, al di là del suo carattere specifico, di cui ovviamente dirò, assume un rilievo particolare perché mette a dura prova i rapporti fra Occidente e Russia, rischiando di comprometterli e di incrinarli, anche gravemente.
Io credo, onorevoli parlamentari, senatori e deputati, che questo rischio sia l'Occidente sia la Russia abbiano interesse comune ad evitarlo. Nessuno di noi può permettersi il lusso di una compromissione - ancor peggio se definitiva - nei rapporti tra il quadro strategico occidentale e la Federazione russa.
Mi preme sottolineare che Occidente e Russia hanno reciprocamente bisogno l'uno dell'altro per fronteggiare le grandi sfide che abbiamo cominciato ad affrontare insieme nel XXI secolo. Ho già accennato al terrorismo. Pensiamo inoltre alla proliferazione e, quindi, alla necessità di fermarla; pensiamo al dossier iraniano; pensiamo alle grandi crisi regionali, dall'Iraq all'Afghanistan.
L'Europa e la Russia sono strutturalmente interdipendenti, anche sul piano economico ed energetico. È evidente che questa dipendenza pesa ancora più nell'epoca della globalizzazione.
Ecco, questo è il legato che prendiamo dall'accordo di Pratica di Mare, con cui, nel 2002, grazie all'impegno dell'Italia, il Presidente Bush chiese al nostro Paese di svolgere un ruolo e di favorire l'inizio di un rapporto strutturato tra la NATO e la Russia. L'Italia svolse questo ruolo; il Presidente Bush e la NATO celebrarono a Pratica di Mare l'inaugurazione del Consiglio NATO-Russia. Ebbene, credo che questo legato, che oggi rischia di indebolirsi, noi abbiamo - come europei e come primi alleati degli Stati Uniti d'America - il dovere di mantenere.
I costi di una nuova guerra fredda sarebbero altissimi per entrambi. Tra questi costi dobbiamo includere, credo, anche l'acquis ormai consolidato dei rapporti tra la Federazione russa e le principali istituzioni europee e internazionali.
Questo è un rapporto che abbiamo faticosamente, ma con successo, costruito negli ultimi venti anni, e che dobbiamo difendere. Mi riferisco ai rapporti di partenariato strategico di Mosca con l'Unione europea, al Consiglio NATO-Russia, cui ho accennato, al ruolo della Russia nel Consiglio d'Europa, a cui spesso non si fa grande riferimento, e al ruolo dell'OSCE, il ruolo di una organizzazione internazionale che spesso dimentichiamo e sottovalutiamo. Quanti osservatori si stanno accorgendo soltanto ora, in queste settimane, che l'OSCE, con la missione che si allargherà per monitorare la situazione ai confini dell'Ossezia del sud, può e deve svolgere un ruolo importante! Solo ora ci accorgiamo che avremmo dovuto dare all'OSCE un ruolo più importante, anche nel recente passato.
È evidente, in questo quadro, che la decisione di Mosca - che abbiamo voluto scongiurare il 19 agosto scorso a Bruxelles, al Consiglio NATO - di interrompere su alcuni aspetti il rapporto di collaborazione militare con l'Alleanza atlantica è un segnale che preoccupa, rispetto a una traiettoria negativa che occorre immediatamente fermare.


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Abbiamo una collaborazione in ambito NATO che tocca, tra l'altro, il supporto alla missione ISAF in Afghanistan, i diritti di sorvolo sul territorio russo, il transito attraverso la Federazione russa. Forse qualcuno pensa di poter domani sorvolare l'Iran, per andare in Afghanistan? Questo è soltanto un esempio per chiarire quanto sia importante che questo legame non cada definitivamente.
Tutto questo, evidentemente, non riguarda solo la collaborazione con la NATO, ma anche la necessità che Occidente e Federazione russa affrontino insieme le minacce alla nostra sicurezza, che includono l'esame del dossier nucleare iraniano. La Russia che collabora è infatti un alleato potente per isolare le ambizioni iraniane di arricchimento dell'uranio, mentre una Russia che venga lasciata agire da sola, senza un solido quadro di legami con l'Occidente, può diventare un interlocutore preoccupante, a fronte delle sue importanti relazioni, evidenti dalle offerte siriane rivolte al Presidente russo durante la crisi di agosto.
Per quanto riguarda il Medio Oriente, mi annovero tra coloro che ritengono necessario cogliere al più presto un'opportunità per la pace, pur nella consapevolezza di come la pace in Medio Oriente contro la Russia non si raggiunga per l'elementare ragione che la Russia costituisce uno dei quattro membri del Quartetto.
Questi esempi consentono di concludere che ad essere interessati a una divisione all'interno dell'Occidente e tra l'Occidente e la Russia non siamo noi, bensì coloro che preferiscono un'Europa più debole, un'America più debole. Dobbiamo quindi contenere questi impulsi attraverso una politica estera equilibrata.
Come Italia, consideriamo gli Stati Uniti come il primo partner strategico, il primo alleato internazionale. In questi anni, però, indipendentemente dal colore dei Governi, abbiamo sviluppato con Mosca anche a livello bilaterale un rapporto di collaborazione politico, economico-industriale ed energetico. La crisi in corso tocca dunque anche i nostri interessi nazionali, oltre che gli interessi europei e della NATO.
La posta in gioco è quindi alta. Si deve registrare positivamente lo sforzo dei grandi attori internazionali: le organizzazioni come le Nazioni unite, l'Unione europea, che si è già espressa e si esprimerà a livello di Capi di Governo tra qualche giorno, l'OSCE, la NATO, il Consiglio d'Europa. Tutti sono al lavoro nell'ambito delle proprie responsabilità.
Per quanto riguarda la posizione italiana all'interno di queste organizzazioni e a livello bilaterale, ritengo che le ragioni di questa crisi partano da un'analisi che l'Italia ha il dovere di considerare, guardando a fondo a una regione che conosce e a un Paese come la Russia, che conosce meglio di altri in Europa.
Non possiamo ignorare che Mosca esprime con chiarezza la sua tesi, ovvero come gli attuali assetti di sicurezza europei non garantiscano sufficientemente i suoi specifici interessi nazionali, particolarmente nello spazio che apparteneva alla disciolta Unione Sovietica, e che quindi necessitino di revisione. All'inizio del suo mandato, il Presidente della Federazione russa ha espresso con grande chiarezza la sua visione anche al Presidente Napolitano e a me, che lo accompagnavo durante l'ultimo viaggio di alcune settimane fa a Mosca, ribadendo la necessità di una nuova architettura di sicurezza, che nella forma, e non più soltanto nella sostanza, riconosca alla Russia uno status e un ruolo adeguati alla sua riconquistata posizione di grande potenza.
L'Occidente ritiene che non si debbano destrutturare i pilastri su cui si è costruita la sicurezza dell'Europa, ovvero la NATO e la politica europea di sicurezza e di difesa, inclusi i nostri rapporti strategici con la Russia. Non destrutturare non significa però evitare di perseguire un'attiva strategia di partenariato rafforzato tra l'Unione europea e la Russia.
Ritengo che questo sia perfettamente compatibile con la conferma dei pilastri tradizionali della nostra sicurezza e che Alleanza atlantica e Russia debbano continuare


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a cooperare. Questa è la posizione dell'Unione europea, che nello scorso mese di giugno, con il nostro Consiglio dei Ministri degli esteri, ha dato via libera al negoziato per un nuovo trattato strategico tra Unione europea e Russia, nella consapevolezza unanime dei ventisette Paesi dell'esigenza di compiere un salto di qualità strutturato tra Unione europea e Russia sui quattro assi della nostra collaborazione strategica, che non si limitano soltanto alla politica energetica.
Come Italia, troviamo quindi confermata la nostra visione di equilibrio e di collaborazione rafforzata e strategica negli ultimi sviluppi che nei mesi scorsi hanno segnato l'evoluzione dell'Unione europea verso la Federazione russa.
Il dibattito sulla sicurezza europea, specialmente nell'area di vicinato, costituisce dunque un punto cruciale per capire la crisi di oggi, che si può affrontare solo estendendo la nostra riflessione a quella politica di sicurezza europea che non può più essere la stessa in un'Europa a ventisette. Questa ha infatti ormai confini lunghissimi e diretti con la Russia, giunge ad affacciarsi nel Mar Nero e quindi ha un interesse diretto in quell'area in passato di proiezione lontana, che oggi rappresenta invece il nostro diretto vicinato.
Per quanto riguarda l'azione diplomatica e il ruolo dell'Italia, malgrado una crisi che non accenna ad attenuarsi, valuto positivamente due aspetti: il ruolo dell'Unione europea, che ha mantenuto la sua coesione interna, e una complementarietà tra le iniziative perseguite dalle diverse istituzioni in questa settimana, in particolare dall'Unione europea, dalla NATO e dall'OSCE.
La Presidenza francese merita apprezzamento per gli sforzi compiuti. Nelle ultime settimane, l'Italia ha registrato una fortissima sintonia con la posizione francese, così come con quella tedesca, collaborando attivamente affinché la piattaforma presentata a Tbilisi e a Mosca dal Presidente Sarkozy, unitamente all'OSCE, con la collaborazione diretta degli Stati Uniti d'America, potesse avere successo.
Ritengo che quell'accordo in sei punti costituisca una base adeguata, del quale occorre perseguire l'immediata e piena attuazione attraverso il non ricorso alla forza, la cessazione permanente di tutte le ostilità, il libero accesso agli aiuti umanitari per la ricostruzione, il ritorno delle forze armate georgiane alle postazioni permanenti, ovvero alle rispettive caserme, il ritiro totale delle forze russe alle posizioni precedenti al conflitto.
Tutto questo è complementare al sesto punto: l'avvio di un dibattito internazionale sulle modalità di sicurezza e stabilità in Abkhazia e Ossezia del sud.
Queste decisioni sono state prese dal Presidente di turno dell'Unione europea, il quale ha firmato un documento a Mosca e a Tbilisi. I Ministri degli esteri hanno ratificato tali decisioni. Successivamente a ciò, si è avviato un dibattito in sede ONU, che è complementare all'azione dell'Europa.
In queste settimane, proprio per garantire la piena attuazione dei sei punti contenuti in un accordo politico che non ha un effetto legale vincolante, si è avviato il lavoro per arrivare a una risoluzione del Consiglio di sicurezza. A questa risoluzione l'Italia sta collaborando, come membro non permanente del Consiglio di sicurezza, e credo che essa potrà, da un lato, recepire i sei punti dell'accordo firmato a Mosca e a Tbilisi e, dall'altro, confermare che il quadro internazionale richiede che tale accordo abbia efficacia legale e vincolante. Questa sarà una delle condizioni per potere, nelle prossime settimane, non solo monitorare l'effettivo ritiro delle forze russe e l'effettivo rispetto da parte di entrambi i contendenti delle condizioni poste, ma anche per attribuire a questo monitoraggio e a questo impegno un'efficacia legale e vincolante, che può derivare unicamente da una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'ONU.
In questo quadro si inserisce, sempre sul fronte dell'Unione europea, il Consiglio europeo del 1o settembre. Sarà un Consiglio al quale, ovviamente, il Presidente Berlusconi parteciperà, da me accompagnato, e durante il quale faremo il punto


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- questa è l'agenda dei lavori - sull'attuazione dell'accordo in sei punti presentato, a nome dell'Europa, dal Presidente Sarkozy e sottoscritto dal Presidente russo e dal Presidente georgiano. Parleremo dell'assistenza immediata alle popolazioni vittime del conflitto e della ricostruzione delle zone colpite dagli eventi militari.
L'Unione europea sta ancora riflettendo - non ne discuteremo in via definitiva il 1o settembre, bensì nel Consiglio informale dei Ministri degli esteri il 5-6 settembre - sulle modalità per contribuire direttamente alla stabilizzazione. Si intende non solo rafforzare la presenza di monitoraggio, ma successivamente - questo è il punto - con il consenso delle parti e in presenza di una risoluzione del Consiglio di sicurezza, partecipare con una missione europea alle operazioni di peacekeeping.
Come Unione europea, stiamo convogliando aiuti di primo soccorso, che ammontano finora ad un milione di euro, ma nei prossimi giorni arriveranno a cinque milioni di euro.
Oltre all'Europa si è mossa anche la NATO, che il 19 agosto scorso ha svolto un consiglio ministeriale, al quale ho partecipato, anche per consolidare, come NATO, un messaggio equilibrato di solidarietà alla Georgia e alla sua integrità territoriale, decidendo quindi la creazione di una Commissione NATO-Georgia - che, come sapete, ha un precedente nell'esistente Commissione NATO-Ucraina - per sottolineare un dialogo permanente anche con uno Stato che non è ancora formalmente candidato, senza tuttavia congelare il formato della collaborazione esistente nel Consiglio NATO-Russia. Si è trattato di uno sforzo dell'Italia, che ha avuto successo, sostenuto da molti dei principali partner europei, condiviso dal Segretario generale Jaap de Hoop Scheffer, che ha portato a conclusioni in base alle quali la Russia è stata invitata, con forza, al ritiro completo e a dimostrare, nei fatti, la propria volontà di collaborare con la NATO. A ciò ha fatto seguito, purtroppo, una dichiarazione di parziale disimpegno, della quale ho già parlato.
Si è mosso, poi, l'OSCE, attualmente sotto la Presidenza finlandese. Con il collega Stubb, Ministro degli esteri finlandese, abbiamo avuto in queste settimane un contatto permanente, anche perché sono stato richiesto personalmente di numerosi interventi nei confronti del Governo russo, al fine di ottenere quel «via libera» all'espansione della missione OSCE, che infine è arrivato. Si tratta di un negoziato che prevede subito la presenza di 20 esperti e l'ampliamento, nelle prossime settimane, fino a 100 esperti. L'Italia parteciperà a tale missione OSCE di osservazione. Nel primo contingente dei nuovi 20 esperti, l'Europa avrà 12 osservatori, dei quali uno sarà italiano. Ci sarà un tedesco, ci saranno esperti di altri Paesi che hanno dato la disponibilità. Noi abbiamo offerto una disponibilità fino a 7 uomini, su un totale di 100, per dimostrare una particolare sensibilità a questo impegno.
Vengo infine ad illustrare la posizione bilaterale. Cosa fa l'Italia? Come ho già detto, abbiamo tenuto contatti non solo con i colleghi europei, ma abbiamo anche mobilitato un contatto, direi permanente, con il gruppo G7. Io stesso, in più occasioni, ho partecipato a conversazioni con colleghi che, essendo membri del G7, spaziano dal Giappone al Canada (Stati Uniti d'America, ovviamente, inclusi), raccogliendo alcune linee condivise capaci di sostenere la posizione di equilibrio dell'Italia e che, debbo dire, i colleghi del G7, come anche i colleghi europei (e non solo) hanno apprezzato.
Avrete registrato probabilmente, quasi in contemporanea, le parole di apprezzamento del Governo di Mosca e della mia collega Ministro degli esteri della Georgia verso la posizione che l'Italia sta tenendo. Abbiamo quindi esplorato e utilizzato i nostri canali con Mosca e Tbilisi. Abbiamo ribadito pubblicamente - e lo faccio ancora oggi - che l'integrità territoriale della Georgia rappresenta un principio incontestabile. Abbiamo partecipato, tra i primi, all'assistenza umanitaria. Oggi siamo a oltre 1 milione 700 mila euro di assistenza già erogata (più di quella che l'intera Europa ha finora erogato) attraverso canali


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bilaterali, attraverso la Croce rossa e l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati.
La posizione italiana, quindi, continuerà ad essere di sostegno alla Presidenza francese, di piena solidarietà con la NATO e con l'Unione europea.
Sono personalmente impegnato su queste linee. Ho avuto ieri un colloquio telefonico con il Ministro Lavrov, al quale ho segnalato, ancora una volta, la grande preoccupazione e la grande complicazione che deriverebbero da una dichiarazione d'indipendenza unilaterale dell'Ossezia del sud e dell'Abkhazia. Ho rivolto un invito alla cautela nel rispetto, ovviamente, delle decisioni che verranno prese.
Ieri il Parlamento russo, come sapete, ha deciso. Personalmente mi auguro, ma non sono ottimista, che il Presidente russo non voglia seguire - anche lui - questa strada. Esprimo il mio pessimismo: temo che il Presidente russo adotterà un decreto di riconoscimento. È chiaro che ciò crea una complicazione in sé, per un semplice ragionamento: uno dei sei punti della dichiarazione firmata a Mosca e a Tbilisi parla di un dialogo futuro internazionale sullo status. È chiaro che anticipare i termini di quel dialogo futuro sullo status con una dichiarazione bilaterale, anche se priva di valore legale internazionale, è un fattore di complicazione in più.
Mi recherò la settimana prossima a Tbilisi e poi a Mosca, dopo l'invito sia del Governo russo sia del Governo georgiano, un invito che mi ha fatto particolarmente piacere. Lo farò prima del 5 settembre, in quanto per quella data, come sapete, è convocato il Consiglio informale dei Ministri degli esteri. Di ritorno da Mosca, dunque, avrò la possibilità di riferire sugli ultimissimi sviluppi ai colleghi Ministri degli esteri ad Avignone, nella riunione prevista per la mattinata del 5 settembre.
Proporrò ad entrambe le parti l'offerta di Roma di ospitare una Conferenza internazionale di dialogo e di riconciliazione per la regione del Caucaso. Abbiamo indicato il mese di novembre, ma siamo flessibili sulla data. Lo faremo in collaborazione con la Presidenza francese, alla quale chiederemo di copatrocinare la conferenza di Roma. Intendiamo utilizzare questo foro come occasione di dialogo con tutti gli attori interessati, compresi gli Stati Uniti d'America, ovviamente, per una riflessione strategica sul piano umanitario, economico, politico e di sicurezza.
Questo è il futuro in cui noi crediamo sul vicinato con la regione del Caucaso. Noi non possiamo immaginare una logica di competizione, ma una logica di cooperazione tra la Russia e l'Occidente. Non possiamo avere una gestione con logica a somma zero, in cui diamo qualcosa e togliamo qualcosa; dobbiamo lavorare insieme, altrimenti siamo tutti più deboli.
Questa è la nostra volontà. Non pensiamo che «antagonizzare» Mosca sia nell'interesse dell'Italia, dell'Europa e della NATO. Non pensiamo che un futuro da guerra fredda ci aiuti e ci permetta, al di là della necessità di circoscrivere ora la crisi, di guardare a un quadro regionale di sicurezza con più ottimismo. Noi cerchiamo, dunque, la posizione più equilibrata.

PRESIDENTE. Grazie, Ministro Frattini.
Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

PIERO FASSINO. Ringrazio il Ministro e i presidenti delle Commissioni, sebbene ritengo che questa riunione avrebbe potuto essere più tempestiva, data la gravità della situazione.
Credo che il quadro che ci ha offerto il Ministro Frattini sia ampio e caratterizzato da molti aspetti di dettaglio condivisibili. A mio parere, è corretto quanto è stato fatto fin qui dall'Unione europea e sostenuto dall'Italia, per cercare di svolgere un ruolo di mediazione politica che evitasse di far precipitare quel conflitto in modo più drammatico di quanto già non sia avvenuto.
Noi abbiamo uno scenario caratterizzato oggi da una fragile tregua. Il problema, a mio avviso, è capire come si passi dalla tregua alla pace, sapendo che la pace - questo è un principio che vale sempre,


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anche per il Caucaso - per essere stabile deve essere condivisa e, per essere condivisa, non può che essere frutto di un'azione negoziale che coinvolga tutti i soggetti interessati per determinare un assetto del Caucaso stabile e condiviso, che impedisca in futuro il verificarsi di crisi analoghe a quella fin qui conosciuta.
Ora, per costruire una pace stabile e condivisa credo che sia necessario non eludere tre nodi che ci consegna la storia di questi anni. In questa crisi precipitano tre eredità. La prima, che affonda le radici in un tempo molto lontano, ma arriva fino a noi, è la strategia che a lungo è stata perseguita dall'Unione Sovietica di inserimento di comunità russofone nei Paesi del Caucaso, il che ha prodotto una situazione che oggi dobbiamo gestire. Difatti, fino a quando esisteva l'Unione Sovietica, quelle comunità russofone erano parte della maggioranza russa della popolazione dell'Unione Sovietica. Con la creazione dei nuovi Stati, esse sono diventate minoranze in Stati nazionali distinti, autonomi e indipendenti.
Il problema è aperto, tant'è vero che una delle questioni più delicate è quella del futuro dell'Ossezia e dell'Abkhazia. Il punto sesto della piattaforma indica l'apertura di un dibattito internazione sullo status, e tutto questo ha una ragione.
La seconda questione riguarda il modo caotico e convulso, anch'esso figlio della storia e del precipitare degli eventi, con cui nel 1991 sono nate le Repubbliche caucasiche, in un momento in cui l'Unione Sovietica si è dissolta, senza che questo avvenisse attraverso una pratica negoziale.
Al di là degli accordi sottoscritti, di fatto gli Stati che sono nati in quel periodo sono sorti sulla base di una dichiarazione unilaterale di indipendenza, a cui un'Unione Sovietica debole e in disfacimento si adeguò, ma senza che ci fosse un negoziato che definisse le relazioni tra ciò che nasceva e ciò che esisteva. I rapporti tra Russia e Stati caucasici hanno conosciuto - in questi venti anni che ci separano dalla caduta del muro di Berlino e nei diciotto che ci separano dalla dissoluzione dell'Unione Sovietica - momenti di crisi periodici e costanti. Penso alla crisi del Nagorno-Karabakh, del Dagestan, della Cecenia, e naturalmente dell'Ossezia e dell'Abkhazia.
Insomma, esiste un problema non risolto di assetto del Caucaso, che anche questa volta è precipitato.
La terza eredità in realtà non ci viene dall'universo russo bensì da un universo più vicino, ma oggi precipita lì. Si tratta di un'eredità che ci viene consegnata dalla crisi dei Balcani degli anni Novanta. La dissoluzione della Iugoslavia ha portato alla nascita di nuovi Stati, e probabilmente quel processo era del tutto inevitabile, essendo la Iugoslavia una formazione politico-istituzionale figlia di un equilibrio bipolare che è venuto meno e che faceva venir meno anche le condizioni politiche perchè la Iugoslavia potesse esistere. Tuttavia, al posto della Iugoslavia sono nati Stati fondati su un principio che fino a quel momento non era stato assunto come principio prevalente della comunità internazionale, vale a dire l'omogeneità etnica come fondamento della nascita degli Stati. Noi abbiamo accettato quel principio, e l'abbiamo fatto fino alla nascita del Kosovo. Ed ecco che ce lo ritroviamo.
Se non affrontiamo seriamente questo tema, comincia un gioco del domino alla fine del quale nessuna delle 204 Nazioni che vivono oggi nel mondo resiste. Quelle 204 Nazioni sono state tutte fondate, negli ultimi tre secoli, non sul principio dell'omogeneità etnica, ma sul principio della cittadinanza. Questo è il tema, ed è molto complicato.
Va benissimo, quindi, che si apra un dibattito internazionale, ma al centro dello stesso occorre inserire questo tema: qual è il fondamento, oggi, delle formazioni statali e nazionali? Se passa il principio, addirittura assunto come fondamento di un nuovo ordine internazionale, dell'omogeneità etnica degli Stati, temo che ci infiliamo in una strada alla fine della quale nessuno sa che mondo ci ritroviamo fra le mani.
I temi che abbiamo di fronte sono spessi, al di là dell'ovvia urgenza di dare soluzione a un conflitto che non vogliamo


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si riaccenda. Tuttavia, per dare soluzione a questo conflitto, bisogna assolutamente affrontare nodi di questa natura, altrimenti non ce la faremo.
Questa è la prima questione che dobbiamo avere ben chiara. Innanzitutto, nei sei punti richiamati vi sono due aspetti sui quali riflettere. Si riafferma il riconoscimento della piena sovranità degli Stati caucasici, ed è giusto. Penso che l'Italia debba essere chiara in questo: Georgia, Azerbaigian e Armenia vanno riconosciuti nella loro piena sovranità, che vale su tutti i territori che compongono quegli Stati. Inoltre, il sesto punto parla dell'apertura di un dibattito sullo status di Ossezia e Abkhazia. Questo significa costruire una relazione tra la piena sovranità di quegli Stati e il riconoscimento dei diritti e delle tutele delle minoranze russofone che vi vivono, tema più delicato della crisi, che deve essere affrontato.
In secondo luogo, considero condivisibili le considerazioni del Ministro sul rapporto che va costruito con la Russia, nella consapevolezza dell'esistenza di un serio problema, laddove la Russia aspiri a essere un attore globale, ne possiede le ragioni (le dimensioni demografiche e territoriali, il ruolo mondiale, il crescente peso economico non soltanto in campo energetico), però manifesta due grandi temi critici: i tratti autocratici e autoritari che appartengono alla sua storia e segnano anche l'evoluzione democratica di questi anni, e il tema dei diritti riconosciuti in particolare alle comunità e alle popolazioni, che rivendicano principi di autonomia sulla base della storia e di identità culturali, nazionali ed etniche.
Per evitare che ogni autonomia si traduca in richiesta di autodeterminazione, con le già citate conseguenze, si deve affrontare questo tema con la Russia con l'approccio qui opportunamente indicato. Ritengo che la miglior strategia per favorire in Russia un'evoluzione del suo sistema democratico e dei riconoscimenti non contempli una logica di accerchiamento, che rischierebbe di congelare ogni possibile evoluzione.
Abbiamo invece interesse a perseguire una strategia in grado di ancorare la Russia a un'evoluzione politica, che le consenta di essere parte del sistema di governance multilaterale del mondo.
Come ricordava il Ministro Frattini, la Russia si confronta con temi riguardanti il futuro non diversi dai nostri. Ai confini della Russia e spesso al suo interno preme un integralismo islamico che rappresenta un problema di quel Paese come del resto del mondo.
La Russia ha un problema di rapporto con gli altri grandi Paesi emergenti, quali la Cina, tema strategico decisivo che ci riguarda, ed è coinvolta nella costruzione di un sistema di sicurezza in Europa, altro tema comune.
Ritengo opportuno considerare le molte relazioni che legano la Russia alla comunità internazionale e in particolare gli interessi comuni, sui quali fare leva per definire una strategia, che costruisca un partenariato affidabile e credibile, non per accettare ogni posizione russa, ma per far evolvere le posizioni spesso non condivisibili di Mosca attraverso appunto un partenariato, che aiuti la Russia a uscire dalle condizioni di autoisolamento in cui spesso è portata a rinchiudersi.
Anche il tema dei diritti umani, che costituisce una priorità dell'agenda politica internazionale, potrebbe difficilmente evolvere in termini positivi attraverso una politica fondata sull'accerchiamento o sui diktat, laddove invece soltanto sulla base di un affidabile e credibile rapporto di partenariato si potrà ottenere un'evoluzione politica che consenta la tutela dei diritti in quel Paese.
Considero quindi corretto l'approccio scelto dall'Unione europea; ritengo che l'Italia debba sostenerlo e che sia giusto guardare con preoccupazione al rischio di una rottura dei rapporti tra Russia e NATO, lavorando invece per tornare alla collaborazione avviata in questi anni. Penso che intorno a questo ruolo debba imperniarsi l'azione dell'Unione europea, che l'Italia deve sostenere con forza.
Deve essere riconosciuto alla Presidenza francese il merito di essersi mossa


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con molta tempestività e determinazione, dimostrando come l'Unione europea non sia un soggetto debole, se chi la dirige ha la capacità di mettere in campo le azioni politiche necessarie. Ritengo che la Presidenza francese si sia mossa con tempestività nelle settimane scorse e che opportunamente abbia convocato un Consiglio europeo straordinario, per discutere le modalità con cui affrontare i problemi. Credo quindi che l'Italia debba accordare pieno sostegno all'azione della presidenza.
Considero doveroso lavorare per costruire le condizioni per una Conferenza regionale per la stabilità del Caucaso. Tra le molte proposte formulate in questa direzione, desidero richiamare quella approvata con voto unanime all'inizio di quest'anno dal Parlamento, ovvero una Conferenza «tre più tre», che con l'assistenza dell'OSCE, dell'ONU e dell'Unione europea possa riunire intorno a un tavolo tutti gli attori.
Ritengo che il Governo italiano dovrebbe caratterizzarsi per spingere in tale direzione secondo questa scadenza, anche offrendo Roma come sede per una Conferenza regionale per la stabilità. Dobbiamo mettere in rilievo come in questo momento l'Unione europea possa assolvere a un ruolo di particolare importanza. L'esperienza di questi anni dimostra come l'allargamento della NATO sia stato meno traumatico da parte della Russia perché contemporaneo all'allargamento dell'Unione europea.
Ritengo che questa bussola non debba essere smarrita in futuro e che la politica di vicinato che l'Unione europea è in grado di costruire con la Russia e con i Paesi caucasici sia una delle modalità con cui rendere meno traumatico anche il tema dell'espansione e dell'estensione della NATO nei prossimi anni.
Per quanto riguarda il tema dei diritti delle minoranze, si constata come l'Unione europea con i suoi standard abbia già prodotto evoluzioni significative. Prima che i Paesi baltici entrassero nell'Unione europea, le minoranze russe non avevano status di cittadinanza, giacché i russi erano definiti «non cittadini». Una delle condizioni poste ai Paesi baltici per il loro ingresso nell'Unione europea è il riconoscimento dell'acquis communautaire in termini di diritti, per cui oggi le minoranze russofone in quei Paesi vedono riconosciuti i loro diritti di cittadinanza.
Si tratta di un importante punto di riferimento anche per il Caucaso. Oggi, quindi, far giocare all'Unione europea un ruolo fino in fondo rappresenta la carta decisiva. In una fase in cui, come dimostrano le travagliate vicende del Trattato di Lisbona, l'Europa si interroga sulla propria identità e capacità di essere un attore globale, questa crisi è l'occasione per dimostrare che l'Europa possiede le risorse per farlo.
Ritengo che in questo l'Italia debba svolgere un ruolo da protagonista, forte anche della possibilità di mettere a disposizione dell'Unione europea e delle sue istituzioni le relazioni storicamente costruite con la Russia e con le Nazioni caucasiche, un patrimonio di rapporti che può concorrere positivamente a dare una soluzione a questa crisi.

ROBERTO COTA. Ringrazio innanzitutto il Ministro per essere intervenuto, per le notizie che ci ha dato, per quanto il Governo sta facendo e per la posizione che ha assunto.
Esprimo alcune riflessioni, rimandando poi all'intervento più articolato dell'onorevole Dozzo. La posizione assunta dal Governo è apprezzabile e ovviamente devono essere incoraggiate tutte le iniziative messe in campo per assicurare che il cessate il fuoco venga mantenuto e che - concordo con l'onorevole Fassino a questo riguardo - si passi dalla tregua alla pace, che rappresenta l'obiettivo finale.
Quando si effettuano delle analisi, tuttavia, bisogna anche assicurare una certa coerenza di ragionamento. Quando si parla dell'Ossezia del sud e dell'Abkhazia, oggi, non si può dimenticare il Kosovo di ieri. Del resto, non si tratta soltanto di un problema di coerenza politica, bensì, evidentemente, anche di dinamiche a livello internazionale. Quando dico ciò, faccio anche riferimento a certe battaglie che


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oggi si sentono portare avanti sui diritti umani, per esempio in Cina. Battaglie giuste e riflessioni anche interessanti, però desidero far notare che quando, per esempio, la Lega Nord Padania sollevava la questione del rispetto dei diritti umani in quel Paese, nella regione del Tibet, è avvenuta una generale levata di scudi. Si diceva, infatti, che la Cina rappresentava un'opportunità da cogliere a tutti i costi. A tal riguardo, ricordo le tante discussioni che si sono sviluppate sul rispetto delle regole, anche nei confronti delle nostre imprese. Si dice troppo spesso che questi argomenti non c'entrano niente: in politica estera, invece, ogni elemento è sempre collegato a tutto il resto.
Ebbene, oggi succede che lo strappo determinatosi tra NATO e Russia è molto pericoloso. Sono d'accordo con le riflessioni svolte al riguardo dal Ministro. È molto pericoloso perché, come è stato detto in maniera un po' velata, mentre io voglio dichiararlo in maniera aperta, la Russia rappresenta un importante cuscinetto nei confronti del mondo islamico e, quindi, può frenare una preoccupante avanzata di quest'ultimo e un'islamizzazione dell'Europa che va evitata a tutti i costi. Altro che allargamento facile dell'Unione europea! Anche in questo caso, le posizioni hanno un proprio peso. La Russia, inoltre, rappresenta un importante cuscinetto nei confronti della Cina, tanto più importante oggi che parliamo dell'esigenza che vengano rispettati i diritti umani e che qualcuno si accorge di quanto sta succedendo in Cina e delle preoccupazioni che da ciò possono derivare.
Oltretutto, l'interlocuzione tra Russia e NATO è molto importante anche per le questioni collegate alla lotta al terrorismo internazionale e alla vicenda dell'Iran. Non possiamo pensare che una guerra fredda oggi sia uguale alla guerra fredda che si è verificata nel recente passato. Infatti, il mondo attuale non è più quello di trenta o quaranta anni fa. Gli scenari sono profondamente cambiati.
Nel concludere questo mio brevissimo intervento, desidero ribadire che siamo preoccupati di questa situazione, come è giusto che sia, perché rileviamo tutta una serie di conseguenze possibili anche per il nostro territorio. Ad ogni modo, siamo perfettamente consapevoli che la linea da seguire deve essere quella tracciata dal Ministro.

FRANCO MARINI. Signor presidente, sarò molto breve, essendo stato aiutato dal completo intervento svolto dall'onorevole Fassino.
Se giocassimo a fare i docenti e mi fosse chiesto un giudizio sulla relazione del Ministro, promuoverei quest'ultimo per la prudenza che ha manifestato e che in politica internazionale rappresenta sempre un dato di serietà - lo è stato per il passato, lo è oggi e lo sarà per il futuro - nonché per le informazioni precise che ci ha fornito. Tuttavia, un «segnaccio blu» lo traccerei, riguardo a un punto che non è stato toccato dal collega Fassino e in relazione al quale ho chiesto la parola. Si tratta di un punto che riguarda noi, l'Europa. Sul giudizio assolutamente positivo fornito dal Ministro (che entro certi limiti capisco, giacché il Ministro opera per il nostro Paese e ha responsabilità da esercitare), dal mio punto di vista, sarebbe necessario apportare una certa correzione, guardando al futuro.
Stanno cambiando i rapporti internazionali e si prefigurano situazioni che non abbiamo nemmeno preso in considerazione. La ripresa politica della Russia (che nessuno avrebbe mai immaginato così veloce) legata all'economia e alla struttura interna un po' dura e autoritaria di quel Paese, è un dato che rischia di cambiare i rapporti nel mondo. L'Italia non può certo impedirla, quindi teniamola presente. Non riesco a capire la ragione del primo colpo partito in Georgia. Ho incontrato ieri un personaggio georgiano e nemmeno lui la conosceva. Questa amichevole chiacchierata è finita con le mie dure prese di posizione contro il Presidente georgiano e lui, invece, lo difendeva, senza peraltro addurre argomenti, dal momento che non conosceva affatto la situazione reale.


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La reazione c'era, era preparata, c'è ancora. Non si è rispettato fino in fondo il tentativo condotto dal Presidente di turno dell'Unione europea. Non so, oggi, a che punto sia il ritiro, ma a preoccuparmi è la prospettiva. Siamo in presenza di un attore che ritorna, con una potenzialità economica e di condizionamento e che può determinare anche alleanze nuove, oggi inimmaginabili sullo scenario mondiale. Si tratta di una cosa forte, dura, che non può essere trascurata. Un singolo Paese come il nostro non ha grandi strumenti per poter agire.
Questo è il «segnaccio blu»: l'Europa, a maggior ragione dentro questo scenario nuovo, che può portare cambiamenti di sostanza, ha nella NATO il punto di riferimento preciso. Oggi gli americani sono deboli, a causa della loro situazione interna, delle elezioni e di tanti altri problemi. Mi è sembrato, in un primo momento, di riscontrare difficoltà oggettive, poiché la NATO forse non ha risposto con precisione assoluta e non poteva farlo con gli Stati Uniti che si trovano nelle attuali condizioni. Guai, allora, se per il futuro questa nostra posizione suggerisse l'idea che l'Occidente sta diventando fragile. L'Europa, che - ahimè - ha grandi potenzialità, non sta facendo nulla in questi ultimi anni per mettersi in condizioni di esercitarle. La politica di difesa è un'espressione cancellata dal vocabolario europeo!
Chi ha partecipato a qualche riunione della Commissione esteri del Parlamento europeo conosce il fastidio di cui parlo, nei confronti di un preteso realismo. In realtà, abbiamo le condizioni di potenzialità economica, di popolazione, di posizione strategica, quindi di forza, per poter svolgere un ruolo maggiore. Non possiamo svolgere un grande ruolo, se non scaldiamo i ferri! Abbiamo una forza economica, ebbene, facciamola pesare.
A proposito dei momenti di crisi nei rapporti internazionali, uno studioso ricordava in un articolo giorni fa, citando un libro che ho letto anch'io negli ultimi mesi, come avvennero le guerre del Peloponneso: Sparta e Atene, nel IV secolo avanti Cristo, si scontravano guardando alle alleanze che l'una o l'altra stringeva con le singole città. Solo dopo, veniva la guerra.
Contano i rapporti di forza. L'Europa deve porsi almeno il problema di cominciare ad affrontare questo ritardo drammatico, rispetto alle proprie ambizioni e possibilità riguardo al ruolo che può giocare. So bene che un problema di questo genere non si può risolvere con facilità, con la Gran Bretagna che coltiva i propri legami, fa il discorso che sto introducendo io, lo fa per conto suo, senza nessuna esitazione. Lì sta la garanzia, nella NATO. Noi dobbiamo almeno cominciare ad avere qualche strumento in più per pesare nelle crisi internazionali. Ed è un sacrificio, perché chiama in causa il bilancio della Difesa. Guardando le percentuali del 4,2 degli Stati Uniti, del 3,5 della Russia, e paragonandolo con il dato nostro e degli altri Paesi europei, ci rendiamo conto che la difesa e la sicurezza sono pagate dagli altri. Noi dobbiamo muoverci in questa direzione.
Mi pare, peraltro, che il Ministro della difesa non la pensi diversamente. L'Italia è uno dei Paesi importanti dell'Europa. Questo è un punto sul quale bisogna cominciare a muoversi. La fortuna - o il buon cuore - nei rapporti internazionali, fin dall'antichità, ha sempre portato ai disastri più grandi.
Con l'onorevole Cota parlerei volentieri della Turchia. È vero che la Russia non può essere chiusa in un angolo, come ha detto il Ministro; l'interesse a raggiungere un equilibrio in quell'area è degli Stati Uniti, dell'Italia, dell'Europa, ma anche - come il Ministro ha aggiunto giustamente - della Russia. A mio avviso, invece, l'interesse è innanzitutto della Russia, e dobbiamo riconoscere questo aspetto.
Allora, dobbiamo trovare il modo di fissare almeno questo punto, visto che non abbiamo gli strumenti per essere noi a muovere direttamente la situazione dei rapporti di forza in questo scenario. L'Alleanza atlantica esiste, e questo è il punto di riferimento forte, che non viene messo in discussione dall'Europa, e


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quindi dall'Italia. Abbiamo la visione della difficoltà e della complessità della situazione, e del diritto della Russia, ma anche del nostro interesse, a che ci sia un punto di equilibrio.
Cerchiamo in Europa di tenere questa linea e di far compiere qualche piccolo passo avanti. Da questo punto di vista sono minimalista. Inoltre, credo che dovremmo chiudere - capisco che è un problema che merita un approfondimento molto più grande - il discorso della Turchia, rispetto al retroterra islamico, che non è di per sé necessariamente il nemico. Questa sarebbe una chiusura forte per l'Europa e costituirebbe un passo avanti per mettere l'Europa stessa nella condizione di avere strumenti di difesa più forti di quelli che ha oggi.
La ringrazio, signor Ministro, per l'impegno che ha profuso nella sua relazione.

PIER FERDINANDO CASINI. Signor presidente, devo dire che sono un po' imbarazzato nell'intervenire, perché di solito non faccio il guastafeste, e anche in questo caso non vorrei rovinare questa liaison tra Governo vero e Governo ombra. Tuttavia, vedo le cose da un punto di vista diverso e poiché la Commissione esteri è un organismo parlamentare, il Parlamento ha un suo ruolo, il Governo ne ha un altro e naturalmente ciascuno di noi è affezionato a dare il proprio contributo, vorrei provare ad esprimere un'opinione che probabilmente in questa sede è minoritaria.
Innanzitutto, Ministro Frattini, togliamo dal tavolo le cose ovvie: la pace è meglio della guerra, vogliamo tutti che l'Europa dialoghi con gli Stati Uniti, non vogliamo tornare alla guerra fredda, la Russia è un'amica storica. Tutte cose che sappiamo benissimo. Sarebbe difficile, d'altra parte, sostenere che la guerra è meglio della pace, per chiunque di noi, al di là delle posizioni politiche.
È anche vero - eliminiamo dal tavolo anche questo - che si tratta di una vicenda costellata da errori commessi da parte di tutti. Primo tra tutti, forse, l'imperizia e l'avventurosità di Saakashvili, che ha dato alla Russia (perlomeno così sembra, ma magari ci sono delle ragioni più recondite) la ragione per intervenire.
Gli errori, se vogliamo parlare di precedenti, ci sono anche da parte americana. Pensiamo alla vicenda del Kosovo: chi di Kosovo colpisce, di Kosovo...
Si vede che oggi i russi partono verso un riconoscimento che lei - è una notizia importantissima - dà quasi per scontato, altrimenti non sarebbe venuto a dirci queste cose in sede di Commissioni riunite. Questo è un fatto ipereclatante. Ebbene, è chiaro che paghiamo anche il precedente del Kosovo. In politica internazionale due più due fa quattro, non si possono fare furbate.
Condivido con il senatore Marini una grande preoccupazione sul ruolo dell'Europa. Capisco che il Ministro degli affari esteri italiano debba dire le cose che lei ha detto e, probabilmente, chiunque di noi occupasse il suo posto dovrebbe dire le stesse cose, dunque non me la prendo certo con lei. Tuttavia, noi membri di queste Commissioni siamo più liberi, non abbiamo gli obblighi che ha lei. Diciamo la verità, dunque: l'Europa è stata del tutto inconsistente.
Quando il Presidente francese, al quale si deve riconoscere il merito enorme della tempestività dei viaggi, è atterrato a Mosca, qualche ora prima la parte principale dei sei punti era stata già annunciata dal Presidente russo. Di fatto, era la Russia, in quel momento, a dettare le condizioni e l'Europa ha salvato la faccia, forse anche per procura degli Stati Uniti. Ma nulla di più. Tutto quello che è capitato nei giorni passati va nella direzione opposta a quello che anche lei, Ministro Frattini, auspicava. Infatti, mentre lei evidenzia, in sede di Consiglio NATO, il ruolo, che l'Europa ha svolto, di mediazione tra la posizione russa e quella americana, tutte le posizioni russe - compresa quella del possibile clamoroso riconoscimento delle due Repubbliche - vanno nella direzione opposta. Insomma, noi ci sforziamo di tenere la porta della NATO aperta e il giorno dopo la Russia la chiude, sospendendo la collaborazione con la NATO, e poi va avanti


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con l'atto clamoroso che si profila del riconoscimento delle due Repubbliche.
Colleghi, ci rendiamo conto ormai che tutti in Occidente si pongono il problema di mettersi nei panni della Russia? Noi dovremmo pensare a quello che l'Occidente ha fatto per la Russia, e ha fatto bene a farlo. Ma quanti compromessi di carattere anche morale e ideale noi abbiamo fatto sui temi fondamentali rispetto al corso che la Russia aveva intrapreso? Vorrei farvi notare che della Cecenia non parliamo più; non ne parla più nessuno, non ne parla più il mondo per la complicità dell'Occidente. Abbiamo introdotto questa sorta di silenzio per una ragione di Stato, perché era fondamentale il rapporto con la Russia. Pertanto, i poveri ceceni, che sono stati ad un angolo della storia, nel punto sbagliato e nel momento sbagliato, contrariamente ad altri che avevano ricevuto la solidarietà internazionale, sono stati dimenticati. La ragione di Stato ci ha resi complici nel dimenticare la Cecenia.
Ancora, penso all'elezione del Presidente russo, agli standard democratici nelle elezioni presidenziali russe: è bene stendere un velo pietoso, ma anche questo è un riconoscimento democratico che l'Occidente ha dato alla Russia. Oggi la Russia torna in una condizione di forza, soprattutto per il profilo energetico, che in modo spregiudicato sta utilizzando. Lei incontra, insieme al Presidente della Repubblica, il Presidente russo, il quale spiega che gli spazi di sicurezza vitali nelle Repubbliche sovietiche - cito le sue parole - non sono garantiti. Questo avrebbe detto il Presidente russo al nostro Presidente della Repubblica e al Ministro Frattini in visita qualche mese fa.
Insomma, c'è un chiaro ed esplicito riconoscimento di come sia insufficiente quanto si è fatto sinora e di come l'equilibrio salti a causa di una precisa volontà politica - questa è politica, l'economia è sottesa - di stabilire una partnership con regole diverse. Questo è il punto.
Qualcuno ha ricordato come la Russia sia un partner indispensabile riguardo all'Iran, al terrorismo, all'Iraq e all'Afghanistan, ma coltivare questa partnership è interesse anche di questo Paese, perché il fanatismo religioso islamico destabilizza almeno metà dei territori russi. La Russia sceglie dunque questa collaborazione non per i buoni sentimenti nei confronti dell'Occidente impegnato a combattere il fanatismo islamico, ma perché esiste un preciso interesse comune dell'Occidente e della stessa Russia.
Nessuno vuole tornare alla guerra fredda e tutti abbiamo la consapevolezza dei limiti che l'Italia può avere, perché non si può far carico al Ministro Frattini del problema del sistema Italia, della nostra fragilità, della nostra difficoltà a essere realmente incidenti in partite come queste.
Ritengo tuttavia che l'Occidente e Paesi come il nostro, più che svolgere funzioni mediatorie nei confronti della Russia, dovrebbero porsi il problema di ricostruire una seria politica di partnership con gli Stati Uniti d'America in primo luogo nel rapporto con la Russia.
Oggi, la situazione americana rende questo molto difficile, dato che l'amministrazione appare zoppa perché «in chiusura», in attesa del prossimo Presidente americano. Il primo impegno della nuova amministrazione americana dovrà però essere un lavoro comune per ridefinire i contorni, perché questa vicenda purtroppo dimostra come non siano infondati i miei timori di assistere a un'escalation, legata ad una sorta di squilibrio, cui sarà molto difficile porre rimedio negli anni prossimi. Questa è la mia profonda preoccupazione.
Considero importante trattare con un grande Paese come la Russia non solo armati da buona volontà o da relazioni private, ma secondo la logica della politica e la consapevolezza dell'indispensabile apporto garantito dall'Occidente al processo di sviluppo della Russia.
Se non avessimo creato un nuovo canale di rapporti, oggi la Russia non si troverebbe nelle attuali condizioni economiche espansive.

PAOLO GUZZANTI. Signor presidente, desidero rendere omaggio alla relazione del Ministro Frattini e al Ministro stesso non solo per la cortesia che si usa in


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Parlamento nei confronti dei Ministri che si sforzano di lavorare al meglio, ma perché nei suoi confronti provo un senso di pena. Constato, infatti, come il nostro Governo sia protagonista di una trattativa accettata da entrambe le parti, esito di una tessitura, lavoro sul quale il Ministro deve porre l'accento perché si tratta del mestiere che svolge quotidianamente, laddove però a mio parere questa parte non occupa nemmeno il 15 per cento del piano della realtà.
Tra il 2002 e il 2006, Ministro Frattini, cari colleghi, ho avuto l'avventura-sventura di presiedere la famigerata Commissione Mitrokhin, sulla quale presto si faranno dei conti sul piano della verità e su cui ora non voglio entrare. Nel corso di quel lavoro, che nessun altro ha mai fatto prima, se non in America e in Inghilterra, mi imbattei in una novità che mi sembrava ridicola prima che assurda, ovvero il ritorno del KGB, spesso citato magari ricordando i film di James Bond.
Quel che accadde con l'omicidio Litvinenko a Londra fu l'inizio della nuova guerra fredda. In questa nostra sessione, spunta talvolta l'espressione «guerra fredda», immediatamente accompagnata dal mantra ovvio secondo cui naturalmente nessuno vuole una nuova guerra fredda, che sarebbe un disastro. Noi certamente non la vogliamo, ma mi chiedo quanti non la vogliano. Ricordo alcuni dettagli forse sfuggiti al Parlamento e anche a questa Commissione mentre si svolgevano i fatti. Quando la Procura della Corona britannica emise il mandato di cattura contro il probabile assassino del mio collaboratore, Alexander Litvinenko, avvelenato a Londra il 1o novembre 2006, la Russia in cui era al Governo il Presidente Putin rispose in maniera scomposta, «bullista» e violenta, facendo levare in volo, per la prima volta dal 1991, dagli hangar in cui giacevano arrugginiti, i tupolev atomici, per compiere quell'azione ai bordi degli spazi aerei, contro cui il Governo di Tony Blair dovette levare più volte i caccia typhoon britannici.
Al recente G8 di Tokyo c'è stato uno scontro molto violento tra il Primo ministro britannico e il Presidente russo su questo punto. Nel frattempo, come abbiamo letto nelle cronache di questi giorni, la Russia ammette di armare sia Hamas che Hezbollah, continua ad armare Chavez in Venezuela, vuole mettere bombardieri nell'isola di Cuba, ha promesso un bombardamento atomico alla Polonia, qualora firmasse un trattato per un sistema antimissile che la protegga, come ha fatto. Con l'Iran intrattiene una politica ambigua, del «va e vieni», che, come dimostrano le cronache quotidiane, è fatta di aiuti tecnologici e militari riversati sull'Iraq, sulla Siria, sul Medio Oriente. Si tratta di atti di bullismo. Per la storia della Georgia, poi, non ci dobbiamo porre il problema delle enclaves. Certo, come si legge in un articolo di Sergio Romano, gli Stati sono stati disegnati da Stalin, che si mise a tavolino su ordine di Lenin avendo cura di mettere in ciascuno di essi una enclave russofona attraverso deportazioni di massa, per rendere quei Paesi instabili in partenza.
Oggi, da quanto riferito dal Ministro Frattini, quando la Russia parla dell'adeguamento al suo nuovo ruolo, al suo nuovo status, chiede l'adeguamento addirittura allo status di superpotenza. Dalla fine della guerra fredda, magari con rammarico, abbiamo constatato l'esistenza di un'unica superpotenza mondiale, gli Stati Uniti d'America, cosa che personalmente mi piace moltissimo per un fattore di pace, contrario alla destabilizzazione.
Oggi ci viene detto che la Russia rivendica il proprio ruolo di superpotenza. Tutto il discorso che abbiamo ascoltato significa che essa rivendica per sé gli spazi che furono dell'ex Unione Sovietica, improvvidamente sparsi al vento da Eltsin e che oggi vengono ricomposti con un atteggiamento bellicosissimo.
Se seguite la stampa russa e leggete l'opinione pubblica dei cittadini russi, saprete che si rileva una febbre guerriera, nei bar, nelle strade. La gente parla di guerra e vuole la guerra, come nella Germania del 1938. Mi torna alla memoria la frase che Churchill pronunciò a Monaco:


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hanno svenduto l'onore per evitare la guerra e avranno sia il disonore che la guerra.
Non è vero che la storia si ripete. Però, è indubbio che la storia insegna qualcosa. L'Europa oggi è debolissima, di fronte al bullismo russo. Dunque, non possiamo permetterci il lusso, per inseguire il desiderio di condizionare la Russia, di rompere con gli Stati Uniti d'America. Non sappiamo chi sarà il prossimo presidente, se McCain, oppure Obama. Ma se sarà McCain, la sua sarà una politica di fortissimo contenimento nei confronti della Russia. Si parla già di allontanamento dal G8 e di un contenimento forte. A quel punto, il Governo italiano non potrà più rimanere in mezzo al guado, appoggiando contemporaneamente i russi e gli americani. Saremo costretti, di qui a pochi mesi, a dover compiere una scelta.
Vorrei, signor Ministro degli affari esteri, che, oltre ai pregevoli sforzi suoi e di tutto il Governo, si tenesse conto di un forte atteggiamento che è nato in Polonia, nella Repubblica Ceca e negli Stati baltici. Già si parla di una futura alleanza delle nazioni dei forti e dei volenterosi contro coloro che «sbracano». Vorremmo che l'Italia, grazie ai suoi legami così intensi con la Russia (compreso quello che lega due leader come Berlusconi e Putin), facesse sentire con forza non il suo «ma», bensì il suo «no» all'atteggiamento russo.
Se non faremo sentire il «no», falliremo e porteremo l'Europa verso una situazione sempre più pericolosa.

LEOLUCA ORLANDO. Signor Ministro, intendo certamente darle atto di aver svolto una relazione assolutamente corretta, che fotografa la realtà della posizione italiana per quella che è (e che non potrebbe essere diversa) nonché della posizione europea.
La domanda che sorge, legata al senso di questa audizione nelle Commissioni esteri di Camera e Senato, è se la realtà che lei ha correttamente descritto non possa in qualche modo essere modificata.
Mi chiedo, insomma, se sia possibile immaginare un ruolo diverso, da parte dell'Italia e dell'Europa, rispetto a quello attuale che è certamente positivo, ma che appare in qualche modo ottriato. Si tratta di un ruolo concesso dalle Nazioni Unite, che sono incapaci di intervenire, o dalla Russia e dagli Stati Uniti e che si evidenzia in quell'immagine della tempistica evocata dal presidente Casini, il quale ha ricordato il valore simbolico della decisione del Presidente russo, qualche ora prima che atterrasse il Presidente Sarkozy a Mosca, come a significare che la Russia non ha bisogno della nostra mediazione e che ci concede la parte residuale di una mediazione possibile.
Svolgo questo ragionamento, perché quello che è accaduto era prevedibile e scontato. Per essere più precisi, si è svelata una condizione che dura ormai da anni. Ebbene, la colpa più grave dell'Unione europea in questa vicenda è quella di aver passivamente accettato che la Georgia venisse trasformata in un mero territorio di interesse militare e che non venisse riconosciuto lo sforzo di quest'ultima di essere riconosciuto come Paese che cerca di essere democratico e che vuole essere europeo. Credo che sia questa la colpa storica più grave dell'Unione europea: l'avere trasformato la Georgia in un territorio militare ha fatto sì che questa piccola Repubblica venisse in qualche modo sottoposta a tensioni troppo più grandi della propria dimensione e forza politica, soggetta ad equilibri militari, internazionali ed energetici troppo grandi per la sua dimensione. Credo che questo dato lasci comprendere, se non giustificare, l'intervento del Presidente Saakashvili, il quale si è comportato da soldato che va alla guerra, perché non gli è stato dato altro spazio che questo, per far sentire la propria voce.
Il tema vero è che l'intervento del Presidente Saakashvili viene dopo quattro anni di silenzio da parte della comunità europea. Non dimenticherò mai l'immagine - ero presente a quella cerimonia - del presidente Saakashvili che fa innalzare la bandiera europea accanto a quella georgiana e, rivolto a Ivanov e a Colin Powell, dice con chiarezza che il sogno della Georgia non è essere sottoposta


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alla Russia o all'America, bensì di far parte integrante dell'Europa, della quale si sente parte.
Da questo punto di vista, il Presidente Saakashvili ha cercato di compiere uno sforzo di mediazione, con successo, nei confronti dell'Ajaria, regione il cui Presidente non era certamente meno arrogante e forte di quanto non siano i presidenti di Abkhazia e di Ossezia del sud, ma con la differenza che l'Ajaria confina con la Turchia e non con la Russia e quindi è stato facile per il presidente Saakashvili far vincere la logica della mediazione rispetto al «leone di Batumi». Ha tentato in tutti i modi di governare quel Paese, subendo una violentissima opposizione. È cronaca dei mesi scorsi di come egli abbia cercato, dimettendosi un anno prima del tempo e provocando le elezioni anticipate, di ottenere la riconferma del consenso e proponendo al Presidente Bagapsh, l'attuale Presidente dell'Abkhazia, il ruolo di vicepresidente della Repubblica di Georgia, cioè la seconda carica della Repubblica georgiana, come riconoscimento, da una parte, dell'esigenza autonomista e dall'altra dell'unità della Georgia.
Nonostante tutto ciò, l'unica risposta che si dà alla Georgia è di ascoltare la sua richiesta (del resto, sacrosanta e legittima) di aderire alla NATO.
Riprendo in parte l'intervento del presidente Marini nonché l'analisi e la proposta del presidente Casini: credo che il tema di fondo interpelli l'Europa.
Riteniamo che l'Europa possa continuare a svolgere un ruolo ottriato, con la conseguenza di identificare i 27 Stati che la compongono, in tutto e per tutto, con la NATO? Si tratta di un tragico errore. Personalmente sono a favore della NATO e, se occorre ripeterlo dieci volte, ebbene lo farò. Ma all'Unione europea compete anche un altro ruolo, ossia quello di garantire - certamente in forma militare - la difesa dell'inviolabilità del territorio georgiano.
Costituirebbe un terribile precedente se un eventuale atto non prudente - uso un'espressione assolutamente sottotono - di un Capo di Stato legittimasse un secondo Stato confinante ad intervenire militarmente, violando i confini del primo. Un tale precedente, lo vorrei ricordare, se ritenuto valido allora si applicherebbe anche all'Europa, poiché la Georgia è - e si considera - un Paese europeo.
Se continueremo a disconoscere questa realtà, è facile profezia prevedere che la prossima Ossezia del sud sarà il Nagorno Karabakh. Non è complicato immaginarlo, essendo evidente che, in una logica di scontro, alla Russia a questo punto interessa Baku molto più di quanto non possa interessare la Georgia, interessa cioè il punto d'ingresso, piuttosto che il punto di passaggio delle risorse energetiche.
È noto a tutti che l'Armenia mantiene rapporti con la Russia assolutamente forti, solidi e che essa rivendica la critica, la censura e l'intervento internazionale nei confronti dell'Azerbaijan, riguardo al Nagorno-Karabakh.
Se non fermiamo questa escalation, credo che ci troveremo ridotti a giocare non il mestiere della politica, bensì quello di delegare alla difesa militare le ragioni della politica.
Questa lunga premessa serve come introduzione alla sola proposta che vorrei fare al Governo italiano, perché esso dia un contributo, senza velleitarismi, al cambiamento della realtà europea. Nella riunione di lunedì a Bruxelles, il Governo italiano proponga ai 27 Stati europei di considerare la Georgia, a tutti gli effetti, partner del processo euro-mediterraneo; proponga cioè che la Georgia sia considerata a tutti gli effetti parte di un processo di cooperazione euro-mediterranea, che non si comprende per quale ragione debba prevedere Algeria e Libano e non la Georgia, che si considera, per ragioni anche di radici, parte integrante della realtà europea, confina con la Turchia e si affaccia su quel Mar Nero che sempre più appare a tutti essere parte del Mediterraneo e non una sorta di lago sottoposto all'influenza sovietica, come era negli anni della guerra fredda.
Se questo non dovesse accadere, credo che le ragioni saranno soltanto militari, e in questo caso a mio avviso dovremo tutti


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augurarci che in Georgia ci sia finalmente un muro di Tbilisi e la guerra fredda. Non vorrei infatti che quest'ultima diventasse, nella logica militare, il male minore rispetto al caos che potrebbe esplodere nel Caucaso senza alcun controllo.
Siccome non vorrei auspicare la guerra fredda e, al posto del muro di Berlino, il muro di Tbilisi, credo sia importante che l'Europa dispieghi fino in fondo tutta la propria capacità diplomatica, utilizzando le risorse proprie, in questo modo dimostrando di essere capace - e anche l'Italia, facendo parte dell'Europa - di svolgere un ruolo non soltanto concesso, ma anche conquistato con l'utilizzo delle proprie prerogative.

FIAMMA NIRENSTEIN. Ringrazio il Ministro per l'accurata relazione, ma soprattutto per aver tentato di dare delle risposte a una crisi di dimensioni colossali, pari soltanto, forse, a quella che il mondo ha affrontato in questi anni trovandosi di fronte un nemico come la jihad islamica, inaspettato e fortissimo, rispetto al quale si è ancora alla ricerca di risposte e soluzioni adeguate. Così è per questa nuova crisi. Non ho inteso, con queste parole, caratterizzare la Russia come un nemico. Volevo solo dire che in questo episodio c'è una novità di portata gigantesca.
Ringrazio inoltre il Ministro per quei punti di partenza che sembrano disegnare risposte positive. Mi riferisco, ad esempio, alla Commissione NATO-Georgia, che mi sembra il punto più promettente, ma anche al discorso sull'OSCE e sul G7. Tuttavia, la dimensione tentativa che colgo in questi aspetti non ci sottrae al grande problema di fondo che l'intera cultura europea e occidentale è chiamata oggi a fronteggiare. L'Europa non pensava di dover affrontare una simile sfida, dal momento che essa - con la fiducia che la caratterizza e che è data dalla propria storia, dalla propria cultura, e dalla propria pretesa postmoderna di un mondo buono e giusto - pensava che una volta imboccata la strada del liberalismo e della libertà non fosse più possibile per la Russia coltivare di nuovo ambizioni egemoniche e di potere, intraprendere di nuovo il grande gioco strategico che l'ha caratterizzata dai tempi dello zar. Ma questo fa parte della sua natura.
Ci sono vicende che vanno affrontate con gli occhi antichi e con gli strumenti nuovi, ed è questa la situazione in cui oggi ci troviamo.
Personalmente ho un osservatorio molto privilegiato per guardare a quella che è stata in questi anni, ancor prima di questa ultima crisi, la posizione effettiva della Russia. Un Paese che, pur avviandosi, da una parte, verso un tentativo di democratizzazione complessiva, seguitava dall'altra a coltivare il suo sogno egemonico. L'osservatorio è quello del Medio Oriente. Potrei descrivervi dozzine di tentativi della Russia di coltivare la sua grande dimensione imperiale in un rapporto che non è mai stato cancellato. Non è un caso se oggi in Iran si costruisce il reattore nucleare di Bushehr, se c'è già un accordo per costruirne un secondo e se i missili di cui è pieno tutto il Medio Oriente - quelli in Siria, come quelli degli Hezbollah in Libano, come quelli che Hamas sta mettendo in piedi in questo periodo di tregua - sono in gran parte di fabbricazione russa. Inoltre, durante la guerra del 2006 con gli Hezbollah, questi si servivano di un servizio di informazione telematica di provenienza russa. Così è successo anche con la Siria.
Badate, chi in questi giorni non ha avuto i propri tavoli invasi, come è capitato a me, dai giornali arabi, non ha idea di quello è successo, a livello di eccitazione e di desiderio. Si è detto che nessuno vuole la guerra fredda, ma non è vero. Da Al Ahram fino al giornale giordano Al Ghad, ai giornali kuwaitiani e a tutta una serie di giornali del Golfo, la speranza di vedere di nuovo la guerra fredda prendere piede è molto diffusa, espressa in termini quanto mai chiari. Finalmente, con questa vicenda georgiana, agli occhi di quasi l'intero mondo arabo (per non parlare di quello iraniano) si è disegnata una situazione nella quale si ristabiliscono dinamiche di poteri ed equilibri diversi, a fronte dell'egemonia


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americana (sebbene i Paesi arabi, soprattutto quelli moderati, se ne siano giovati grandemente in questi anni).
Secondo gli editorialisti e gli intellettuali del mondo arabo - non parlo dei politici, i quali naturalmente stanno un passo indietro e conservano un elemento di riserbo, se non per due casi, che citerò a breve -, se non fosse per la paura che l'alleanza ormai stabilizzata tra Russia e Iran possa portare a una situazione di estremo pericolo, soprattutto per i Paesi sunniti, esiste un grande desiderio e una grande disponibilità a riproporre se stessi a questa strana ombra dell'orso che si proietta di nuovo sui deserti mediorientali.
Nei giorni passati sono successi alcuni episodi fondamentali. Il Presidente siriano Bashar al-Assad è andato subito in visita da Medvedev e da Putin, per ottenere la vendita di armi, dopo la cancellazione di gran parte del debito altissimo contratto negli anni passati. A seguito di questa visita si è probabilmente stabilito un accordo per una larghissima vendita d'armi. Come ormai si apprende da diverse fonti, si è mossa dalla Russia una flotta guidata dall'unica portaerei russa disponibile - credo si tratti della Admiral Kuznetsov -, che comprenderebbe anche quattro sottomarini nucleari, verso il porto di Tartus. Questo è quello che ripetono non soltanto i giornali occidentali, ma anche i giornali arabi.
Nel contempo, anche il re Abdallah, che è uno dei più pacifici, si è recato in visita a Mosca, in questo Paese che promette una nuova espansione egemonica, e a sua volta, dopo aver visitato diverse fabbriche d'armi, ha chiesto di diventare un cliente favorito, oltre alla cancellazione del debito.
Questo significa che quella famosa formula che veniva usata ai tempi della guerra fredda, che non ci piace e di cui conosciamo le differenze rispetto alla situazione attuale, ma che rappresenta l'effetto domino, per cui ciò che capita in un'arena diventa fomentatore di eventi in altre arene, sta diventando una realtà. Noi cerchiamo il dialogo, vogliamo costruire un rapporto, ma possiamo anche ritrovarci con tante porte sbattute in faccia, dunque dobbiamo prepararci, come diceva anche il senatore Marini, a questa ipotesi. Nella situazione attuale nulla ci promette che porgendo la mano aperta in segno di pace si ottenga dall'altra parte un segno altrettanto esplicito in questa direzione.
La Siria sta comprando armi come i Pantsyr, gli S300, sistemi importanti, noti agli esperti di armi, che non servono solo ad armarla, ma si trovano in una situazione di collegamento con varie forze di ribellione limitrofa o pertinente alla jihad, armando un fronte vastissimo, di cui la Russia si trova apparentemente a capo.
La differenza fondamentale con la guerra fredda e con l'effetto domino è legata al fatto che il terzo attore, ovvero la jihad, è importante quanto la Russia. Niente assicura che la Russia possa svolgere una funzione egemone, altrimenti si potrebbe, almeno per un certo periodo, prevedere un eventuale balance. Le forze, che hanno la loro testa in Iran, ma proseguono con la Siria, con Hezbollah, con Hamas, presenze ampiamente diffuse, e con questa situazione di grossa instabilità del Pakistan dove ci sono 80-90 bombe atomiche, configurano una situazione per la quale è necessario rivolgersi alla Russia in modo estremamente chiaro, senza limitarsi alla questione georgiana. A noi è proibito farlo, perché abbiamo la necessità di considerare nel suo insieme l'ambizione egemonica russa, che si è presentata e che ha radici lontane nel tempo.
Non dobbiamo farci illudere da balenii di pace. Non dimentichiamo che Bashar al-Assad ha chiesto armi legando esplicitamente la cosa alla questione georgiana, affermando «Israele ha aiutato la Georgia, adesso bisogna che voi aiutiate i Paesi nemici d'Israele». Non illudiamoci, dunque, se per tenere le acque quiete questa mattina Walid Moallem, il suo Ministro degli esteri, afferma che le trattative vanno avanti. Le trattative sono il proscenio di un ben più profondo retroscena, con caratteristiche che l'Europa non si aspettava. L'Europa deve cambiare.


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FURIO COLOMBO. Signor presidente, sull'ordine dei lavori. Nell'apprezzabile relazione del Ministro degli esteri, non c'è traccia dei 40 minuti di conversazione del Presidente del Consiglio con il Presidente Putin, di cui credo che noi parlamentari dovremmo essere messi dettagliatamente al corrente.

PRESIDENTE. Credo che questo non abbia molto a che fare con l'ordine dei lavori, ma il Ministro terrà presente la sua richiesta nella replica.

ANTONELLO CABRAS. Dopo aver ascoltato il dibattito fino a questo momento, registro una curiosa applicazione di una politica bipartisan in politica estera.
Davanti a una relazione ricca di puntualizzazioni sulla vicenda georgiana e sulla complessità che ci ha rappresentato, assistiamo infatti a un parlare d'altro. In molti interventi si è discusso di Medio Oriente, di Kosovo, di una serie di altri argomenti, aspetti emersi prevalentemente per un contributo attivo da parte dei colleghi della maggioranza.
Per quanto abbiamo ascoltato fino a questo momento ritengo opportuno - e chiedo al Ministro una sua valutazione nell'intervento conclusivo - affrontare un dibattito parlamentare in materia di politica estera, introdotto dal Governo sulla base di linee precise, proprio alla luce della varietà di posizioni espresse dagli esponenti della maggioranza in questa discussione, cogliendo questa opportunità.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE DELLA 3a COMMISSIONE DEL SENATO DELLA REPUBBLICA SERGIO DIVINA

ANTONELLO CABRAS. A nome del mio gruppo, quindi, avanzo formalmente questa richiesta. Il Governo valuterà se farlo al Senato o alla Camera, ma mi pare che questa esigenza stia emergendo in maniera molto evidente per i contributi di autorevoli colleghi della maggioranza.
Vorrei soffermarmi solo su due punti. Innanzitutto, considero del tutto fuori luogo continuare a ripetere l'espressione «guerra fredda», quando nella situazione nuova in cui ci troviamo, il «freddo» si può determinare solo qualora il principale fornitore di combustibile e di energia chiudesse i rubinetti. Parlare di guerra fredda con occhi antichi ma con strumenti nuovi mi sembra assolutamente fuori luogo.
Ritengo che uno degli errori commessi da noi occidentali, qualcuno forse con più responsabilità di altri, consista nell'aver immaginato che la Russia post 1990 potesse essere esclusivamente una sorta di distributore di carburante per l'Occidente e che accettasse questo ruolo. In molte delle scelte e delle politiche attuate in campo occidentale nei confronti della Russia in quasi venti anni, colgo infatti questa considerazione.
Questo è uno degli errori ai quali dobbiamo porre rimedio, non solo perché ci stiamo accorgendo che non è così, ma perché chi si allarma in questi giorni ha trascurato i segnali che negli ultimi due anni, a proposito di un cambiamento in termini di politica globale, la Russia stava manifestando in sedi sia di carattere multilaterale, che di rapporti bilaterali.
L'atteggiamento nuovo che la Russia sta determinando nello scacchiere planetario non è registrabile solo in questi ultimi mesi. Da questo punto di vista, ritengo che l'altro tema sul quale effettuare una riflessione sia quello dell'allargamento della NATO. Nel corso di questi ultimi dieci anni, abbiamo affrontato con eccessiva superficialità questo tema dell'allargamento della NATO senza mai discutere del ruolo nuovo che la NATO deve svolgere in questa mutata situazione. Stiamo infatti ancora viaggiando con trattati che hanno una data precisa, con un unico aggiornamento avvenuto nel 1999, che introdusse come elemento di novità la lotta al terrorismo, senza affrontare però i grandi cambiamenti nel frattempo intervenuti nell'assetto globale.


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In assenza di una visione nuova, assolutamente indispensabile, abbiamo spinto verso l'allargamento, sul quale invece, per il ruolo che l'Italia svolge dentro la NATO, ha svolto anche in questa occasione e può svolgere in prospettiva, sarebbe opportuna una riflessione. L'idea che la NATO possa diventare il poliziotto del mondo, infatti, non è unanimemente condivisa. Alcuni hanno ipotizzato che questo potesse essere il suo ruolo, ma da questo punto di vista è opportuno effettuare una valutazione nuova.
La Georgia è un Paese candidato, ma, come è noto a coloro che hanno partecipato alla discussione preliminare e a quella in corso, anche dentro l'Assemblea parlamentare della NATO, che non è identica al Consiglio NATO, vengono espresse posizioni più equilibrate, che guardano a questa prospettiva con più attenzione, concedendole una temporalità non così stringente come invece viene propugnato da altri. Penso che occorra seguire una linea di prudenza. Proviamo a immaginare in quale situazione ci saremmo trovati in una vicenda come questa, se avessimo accelerato l'ingresso della Georgia all'interno della NATO. Sarebbe scattato inevitabilmente l'articolo 5, che, come tutti sappiamo, avrebbe fatto diventare immediatamente la Russia nostro nemico militare.
Penso che, da questo punto di vista, dobbiamo guardare agli appuntamenti futuri tenendo conto di questi due elementi. La Russia sviluppa una linea politica profondamente diversa da quella che ci eravamo immaginati immediatamente dopo la caduta del muro di Berlino. Però, come è ovvio, i russi si scelgono la propria politica attraverso i meccanismi interni al loro Paese e diventano attori internazionali sulla base delle proprie valutazioni. È con questa realtà che dobbiamo evidentemente misurarci e confrontarci, usando una linea di equilibrio, che personalmente trovo nella posizione che l'Italia ha storicamente seguito sinora e che il Governo italiano ha mantenuto anche nella vicenda specifica della crisi georgiana.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA III COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
STEFANO STEFANI

ANTONELLO CABRAS. Da questo punto di vista, con tutti questi elementi di chiarimento (che forse è opportuno affrontare anche in sede parlamentare più larga) che impegnano il Governo in vista delle novità emerse, importanti e delicate, in questa vicenda, riconfermo la richiesta che il Governo promuova in Parlamento un dibattito sulla politica estera che abbia come focus gli elementi che sono emersi anche in questa discussione.

GIANPAOLO DOZZO. Signor Presidente, vorrei innanzitutto ringraziare il Ministro per l'ampia esposizione dei fatti e naturalmente ribadire, come precedentemente sottolineato dal collega Cota, che il gruppo della Lega Nord Padania è molto preoccupato per la crisi profonda in cui ci troviamo, in relazione alle posizioni di conflittualità che implicano una ricaduta verso scenari di «guerra fredda» o «guerra calda», richiamando la battuta del collega che mi ha preceduto.
Considero che l'attacco della Georgia all'Ossezia sia stato sconsiderato. E come faceva notare prima il collega Orlando, che riferiva di una sua partecipazione ad una manifestazione in Georgia, quando il Presidente Saakashvili diceva «né con gli americani né con i russi, ma con l'Unione europea», ho la netta sensazione che questo Presidente non abbia tenuto in considerazione, sferrando questo attacco proditorio, cosa significhi far parte dell'Unione europea e della NATO. Certamente, la reazione della Russia è stata spropositata, ma è altrettanto certo che la situazione è molto particolare. Come faceva notare oggi, in un'intervista, lo stesso Presidente georgiano, loro si aspettavano un attacco in Abkhazia e di conseguenza hanno attaccato in Ossezia. Se questa è la ratio che guida tali personaggi, ho la netta sensazione che ci troveremo di fronte a situazioni veramente paradossali.


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Occorre inoltre svolgere una riflessione sul perché la Russia abbia avuto questa reazione pesante e sul perché la Russia si senta così accerchiata. Innanzitutto, bisogna ricordare la politica miope - lo sottolineo: miope - di due amministrazioni americane, quella di Clinton e quella di Bush, per quanto riguarda l'allargamento della NATO nonché l'installazione delle basi per lo scudo spaziale.
Del resto, se gli americani stessi (e, in parte, anche gli europei) hanno pensato che la Russia sarebbe rimasta isolata e quasi «intontita» dopo il disfacimento dell'impero sovietico, senza valutare le immense potenzialità che questo Paese detiene, qualche errore è stato indubbiamente commesso. Questa politica miope ha portato la Russia a sentirsi accerchiata. La colpa dell'Unione europea è stata di aver dato una mano ad accreditare questo accerchiamento.
È da notare che, negli ultimi tempi, è stato favorito, da parte dell'Unione europea, attraverso tutti quei passaggi cui faceva riferimento il Ministro Frattini, un allargamento e un avvicinamento ulteriore alla Russia, ma tutto ciò non è bastato.
Non capisco - e vorrei che mi si spiegasse - se in questo momento valga la pena, come ho sentito accennare in qualcuno degli interventi, di riconsiderare il nostro bilancio della difesa in ambito NATO. Forse un tale segnale, in questo momento, è assolutamente da non dare. Forse ho capito male io, ma l'intervento del collega Marini andava verso questa ipotesi, che io ritengo - in questo momento - completamente sbagliata.
Concordo con il Ministro Frattini quando dichiara di temere che il Presidente adotterà un provvedimento di riconoscimento sia dell'Ossezia del sud che dell'Abkhazia. Naturalmente, la risoluzione del Parlamento russo aveva questo scopo, ossia di dare al Presidente e al Primo ministro questa indicazione, proprio da essi richiesta.
Chiedo al Ministro come si possa coniugare questo provvedimento di riconoscimento con l'integrità territoriale della Georgia, che è uno dei presupposti dell'impegno che l'Unione europea si è data. Questo è il punto fondamentale, in questo momento, da sviluppare.
Concordo anche sul fatto che il Governo italiano si faccia carico di ospitare a Roma, o in altro luogo, una conferenza per riannodare, se possibile, un dialogo. Lo vedo come un obiettivo molto difficile da raggiungere, però si devono espletare tutti i tentativi possibili e immaginabili.
Signor Ministro, concludo con un'indicazione rivolta ai colleghi presenti: occorrerebbe che ognuno di noi andasse a rivedere le dichiarazioni che sono state fatte in aula, a suo tempo, da parte dei gruppi parlamentari riguardo l'indipendenza del Kosovo. Forse, vedendo quelle dichiarazioni, una riflessione significativa andrebbe oggi svolta: ricordo le varie posizioni e ricordo che solamente la Lega Nord Padania tenne una posizione contraria, richiamando anche gli strali di chi ci rinfacciava di dichiararci favorevoli all'autodeterminazione dei popoli, ma in questo caso contrari all'indipendenza del Kosovo. Eravamo allora contrari, in quanto conoscevamo le implicazioni negative che questa dichiarazione di indipendenza unilaterale potevano sortire su altre situazioni in zone territoriali molto delicate.
Questo è l'invito che rivolgo ai colleghi, per far sì che non si ponga di nuovo l'Italia in una posizione indifendibile.

MARCO PERDUCA. Signor presidente, ringrazio il Ministro per la relazione onnicomprensiva. Il problema, oltre al «segno blu» del presidente Marini, è che essa perviene a 17 giorni dal primo colpo. Il 7 di agosto, quando lei era in viaggio verso Pechino, è stato infatti sparato il primo colpo.
Più volte è emerso, ahimè, un riconoscimento che va ben oltre la reale azione svolta dall'Unione europea in quanto tale (non dalla presidenza di turno dell'Unione europea). Se vogliamo porre l'Unione europea come attore regionale o internazionale, occorre che lo si faccia muovere immediatamente in quanto tale e non che si deleghi all'attivismo del Presidente di


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turno o del Ministro degli esteri del Paese che la presiede in quel momento la ricerca di un cessate il fuoco. Un Consiglio straordinario doveva essere eventualmente convocato l'8 o il 9, perché si trattava di una guerra, magari anche fuori dai confini dell'Unione europea, per esempio nella Georgia stessa: la mera presenza di 27 Paesi membri non era sufficiente. Vedo che ride, Ministro, ma la politica si fa anche in questo modo, possibilmente recuperando ciò che di politico realmente oggi è praticabile, piuttosto che assuefarsi a ragionamenti che continuano ad appartenere al passato e alla cosiddetta guerra fredda, che tutti noi cerchiamo di evitare come futuro, ma che invece, come mi pare emerga anche dal dibattito di oggi, è ancora presente.
Se non in Georgia, si poteva convocare un CAGRE straordinario dovunque, in Francia, a Bruxelles, nei giorni immediatamente successivi al primo sparo, che probabilmente avrebbe bloccato l'avanzata dei carri armati russi. La verifica del contrario si potrà ottenere la prossima volta, perché temo che potrà esserci una prossima volta.
L'onorevole Orlando ricordava il Nagorno-Karabakh. Ieri, in un incontro del Presidente russo e del Presidente moldavo, è stata la sollevata la questione della Transnistria, che si trova dall'altra parte del Mar Nero, ma che sicuramente ha le stesse potenzialità esplosive del Nagorno-Karabakh, dell'Ossezia del sud o dell'Abkhazia, letteralmente esplosive.
Rilevo ancora grosse preoccupazioni per il fondamentalismo islamico, a sette anni dal lancio di questo nuovo spauracchio, mentre ciò che entra ed esce in Europa, nel Mar Rosso o nel Medio Oriente nessuno lo sa o lo vuole sapere, perché nessuno vuole porre la questione politica di chi esercita una giurisdizione su quel pezzo di terra che si trova tra la Moldavia, Paese che potrebbe un domani entrare nell'Unione europea, e l'Ucraina, ex Repubblica sovietica, che aspira a entrare tanto nella NATO quanto nell'Unione europea.
Se quel CAGRE ci fosse stato, oggi si potrebbe parlare di un ruolo dell'Unione europea pienamente politico in questo conflitto. Dobbiamo invece sentire le notizie positive portate a casa da Sarkozy e da Kouchner, mentre, come lamentava l'onorevole Colombo, non abbiamo saputo quanto si sono detti Putin e Berlusconi. Più di questo, però, non credo che l'Europa possa vantare di aver fatto.
Il problema qui è fondamentale. Come è stato ricordato più volte, i georgiani non solo sono, ma vogliono essere europei nel senso politico del termine, non nel senso geostrategico, perché possono garantire stabilità e sicurezza, concetti che erano i pilastri della guerra fredda in quella parte del mondo, e da una decina d'anni anche un canale di approvvigionamento di gas e petrolio dal Mar Caspio, ma vogliono essere parte di una unione politica europea, che negli ultimi cinquant'anni ha reso gli Stati che ne hanno fatto parte una zona di pace.
La presenza militare russa in Georgia risale non agli ultimi due anni, ma all'immediata disintegrazione dell'Unione Sovietica. Ci sono state guerre civili in Georgia, con una presenza, in ruoli diretti ed indiretti di militari russi, tanto in Abkhazia, quanto in Ossezia del sud, dove non ci sono però comunità russofone deportate o importate, ma esistono due o tre gruppi etnolinguistici, religiosi e culturali completamente indipendenti, che poco hanno a che vedere con i russi, come esistono in tutto il Caucaso meridionale e settentrionale, che da sempre è stata una delle regioni più infuocate prima dell'impero russo e poi dell'Unione Sovietica.
L'intervento militare russo giustificato dalla difesa non di comunità russofone, ma di individui dotati di passaporto russo rappresenta una forte manipolazione dell'ignoranza che caratterizza l'Occidente relativamente a quella parte del mondo, perché, per consentire un minimo di mobilità a quelle popolazioni, i russi hanno dato dei passaporti a ex cittadini georgiani tanto in Abkhazia quanto in Ossezia del sud. Mi sono recato in Abkhazia l'anno scorso ad ottobre, mi è stato fatto un visto


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di cortesia per entrare e gli abkhazi che mi accompagnavano avevano il passaporto russo, una volta entrati in Abkhazia avevano un passaporto abkhazo. Non credo quindi che si possano definire cittadini russi coloro che abitavano in Abkhazia o in Ossezia del sud.
Un altro aspetto non citato nella relazione del Ministro è quanto in effetti, a leggere le agenzie e ascoltare la relazione del Ministro degli esteri georgiano al Parlamento europeo, cui ho partecipato perché con gli eurodeputati radicali avevamo presentato un documento preparato dalla Unrepresented Nations and Peoples Organisation relativamente ad altri focolai. Nel rispondere alle mie domande, il Ministro degli esteri georgiano ha affermato che la Georgia ha già deciso di attivare tutte e tre le giurisdizioni competenti relative a violazione dei diritti umani e violazione del diritto umanitario internazionale, ovvero Corte europea dei diritti umani, Corte di giustizia internazionale e Corte penale internazionale.
Se uno dei lodevoli obiettivi della politica estera italiana consiste nella riconciliazione e nella ricerca della pace, compiendo quindi un passo ulteriore rispetto alla ricerca della stabilità, credo che la ricerca di una pace nel totale disinteresse della giustizia internazionale non possa portare a nulla nel medio e lungo periodo. Sicuramente si può rafforzare un cessate il fuoco, una tregua sempre più solida nelle prossime settimane, però nel medio e lungo periodo non prendere in considerazione le violazioni dei diritti umani e il diritto umanitario internazionale non ci aiuterà.
L'altra domanda che avevo posto al Ministro georgiano, che però, forse memore di altri tipi di dibattiti, ha tralasciato, riguardava i diritti individuali delle popolazioni che vivono in Abkhazia e in Ossezia del sud.
Personalmente, non sono particolarmente favorevole alla già menzionata autodeterminazione dei popoli, che è stata la rovina dei diritti civili e politici nel mondo nel processo di decolonizzazione tanto in Africa, quanto in buona parte dell'Asia centrale e del sud-est, ma, potendo aver goduto di trenta anni ulteriori di sviluppo dei meccanismi internazionali, ci potevano essere altri modelli di risoluzione di quel tipo di richieste, che in effetti il Ministro georgiano ha affermato essere stati proposti anche da consulenti o Governi italiani relativamente all'Ossezia del sud proponendo il Trentino-Alto Adige come possibile modello di autonomia da applicare. Quello è un ruolo pienamente politico che l'Italia e l'Europa devono giocare, senza invece preoccuparsi di mantenere una stabilità fatta tra accordi di Governi o governatori rarissimamente liberamente, legalmente e trasparentemente eletti in quella parte del mondo - mi piacerebbe poter avere lo stesso entusiasmo dell'onorevole Orlando relativamente al Presidente Saakashvili -, pur riconoscendo i passi avanti compiuti, ma ponendosi il problema dei diritti individuali di chi vive in Georgia o nella parte settentrionale del Caucaso. Si tratta di milioni di persone.
L'esempio dell'indipendenza del Kosovo spesso viene evocato senza citare le altre possibilità che dagli anni Ottanta si erano profilate per la gestione di quella situazione, che non era esplosiva nel 1991, all'arrivo di Milosevic. Era una situazione difficilmente mantenuta insieme da una bandiera con una stella rossa. La proposta dei radicali consisteva nell'adottare la Jugoslavia all'interno dell'Unione europea per cercare di gestire politicamente un processo di frammentazione, disintegrazione o creazione di altre zone dove far godere ancora una volta i diritti individuali.
Invece di ricordare sempre il Kosovo, relativamente all'Abkhazia e all'Ossezia, l'onorevole Casini ha colto l'altro paragone opportuno, ovvero quello delle due guerre cecene che hanno portato, lì per lì, il mondo e l'opinione pubblica ad avere una reazione sdegnata, ma sicuramente non militare. Esse sono molto più simili al caso in esame, dal punto di vista del conflitto e delle soluzioni da ricercare, che non invece il Kosovo. Quest'ultimo scontro è avvenuto alla presenza della giurisdizione di un tribunale ad hoc e a seguito di un


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intervento militare della NATO non sanzionato dalle Nazioni Unite: tutte cose che bisognerebbe tenere sempre presente, quando si operano certi tipi di paralleli.
Mi scuso per la lunghezza, ma avendo visitato la Georgia, oltre che le altre Repubbliche locali, ho il cuore là. Invito anzi, appena la situazione si tranquillizza, ad andare a visitare un luogo che è non soltanto pienamente Europa, ma addirittura molto più simile all'Italia di quanto non possano esserlo altri Paesi del nord Europa.
Riguardo alla proposta fatta poc'anzi, non so se l'Italia coltivi il desiderio, in questa sua ricerca di equilibrio tra i vari attori, di convocare una conferenza che rischia, ancora una volta, di portare a casa la stabilità, perché ciò andrebbe contro a quanto, invece, uno degli Stati fondatori dell'Unione europea dovrebbe insistere a tentare di praticare, cioè una ricerca di soluzione politica per i cittadini e non per i Governi.
Quindi, forse, vista la flessibilità che è stata annunciata dal Ministro, è preferibile lavorare affinché in campo neutro - chiamiamolo così - all'interno delle istituzioni europee, venga convocata una conferenza non solo aperta agli altri Governi (la Turchia è sicuramente uno degli Stati da convocare, visto e considerato che è molto vicina a un altro possibile fronte, almeno quanto l'Ucraina e la Moldavia), ma in cui si dia anche la voce ai popoli che fino ad oggi - in virtù della ricerca di una stabilità, di una sicurezza e di una pace geopolitica che ci permettano di avere sempre le case calde d'inverno - sono stati sistematicamente ridotti al silenzio.
Nel rapporto che abbiamo commissionato, che è stato inviato per posta elettronica a tutti i membri della Commissione e che consegneremo anche a lei, sono elencate almeno altre 15 situazioni di possibile conflitto, più o meno congelato, o in fase di scongelamento. Escludere questi popoli, ancora una volta, non credo che possa portare a raggiungere il futuro migliore che, invece, tutti vogliamo vedere realizzato nelle prossime settimane.

FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Interrompo per un breve annuncio: come temevo, il riconoscimento è stato appena annunciato dal Cremlino.

PRESIDENTE. L'agenzia è appena arrivata.

BARBARA CONTINI. Signor presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, intervengo brevemente per dare la mia disponibilità, in caso fosse necessario, essendo stata per anni direttore dell'OSCE nei Balcani e in tutti questi Paesi di transizione, quindi conosco molto bene la macchina dall'interno. Non mi metto a parlare di grandi fatti di politica internazionale, perché li ho sempre vissuti sul luogo e non sapevo di avere tanti colleghi statisti, esperti in politica internazionale. Adesso lo so e ne sono lieta.
Confermo la mia disponibilità a fornire un contributo nel caso occorresse dare, tecnicamente, più forza all'OSCE, cioè a una grandissima macchina, splendida, che l'Italia non ha mai usato.

MASSIMO LIVI BACCI. Signor presidente, ringrazio il Ministro Frattini per la sua relazione così circostanziata. Sono d'accordo con quanto affermato dall'onorevole Fassino e vorrei riprendere un aspetto generale, per poi porre una domanda precisa.
L'aspetto generale che deve preoccupare tutti noi riguarda la ricerca dell'integrità tecnica, nella costituzione o ricostituzione e ridisegno degli Stati. Credo che questo sia uno dei pericoli più gravi che corriamo, tanto più in un'area come quella dell'ex Unione Sovietica, dove la numerosità delle minoranze e delle lingue parlate è sterminata.
Vorrei ricordare a tutti il censimento zarista del 1897, venti volumi in francese e in russo, che descrive minuziosamente la geografia di tutte le minoranze, delle lingue parlate e delle religioni, nello sterminato impero russo, poi ulteriormente «frullate» in epoca staliniana, con deportazioni, mutamenti geografici e dislocazioni enormi. Si tratta di un mix assolutamente intricato.


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Occorre cercare di costruire una politica internazionale che superi il riconoscimento di quella purezza etnica, pericolosissima, che del resto nessuno sa bene cosa sia, anche perché le etnie si stratificano nel tempo, cambiano e quant'altro.
Detto questo, vorrei porre una domanda un po' più precisa al Ministro, al quale chiedo quali siano le possibili prospettive di un avvicinamento della Georgia alla NATO. Credo, effettivamente, che i gesti compiuti dal Governo georgiano, soprattutto il 7 e 8 agosto, debbano suscitarci qualche preoccupazione circa le credenziali di democraticità di quel Paese.
Certamente, non vogliamo accogliere nella NATO Paesi le cui credenziali siano dubbie. Questa è una legittima preoccupazione che non solo ogni rappresentante politico, ma anche ogni cittadino deve nutrire.
Vorrei porre una questione ancor più precisa: mi ha stupito, nel ricercare notizie e informazioni su ciò che è successo attraverso la grande rete, la povertà dei dati riguardanti le conseguenze dell'attacco del 7 e 8 agosto, conseguenze che, stando alle fonti russe, ci parlano di un numero di duemila morti, poi ridimensionato a 1492 (e forse alla fine saranno un quarto di questa cifra). Ricordo che anche le vittime della tragedia delle due torri gemelle negli Stati Uniti, all'inizio, erano diecimila, per poi calare a cinquemila e infine a poco più di duemila. Non voglio fare paragoni, per carità, solo ricordare come, su questi dati, occorra procedere con cautela.
Certamente, una qualche catastrofe è successa. Mi domando che cosa avrebbe detto l'Europa - mi scuso per questo altro esempio evidentemente paradossale - se Roma avesse bombardato Bolzano negli anni Quaranta o Cinquanta, mietendo magari qualche decina di vittime (Commenti dell'onorevole Leoluca Orlando).
Per prendere posizioni e per sostenerle, bisogna anche conoscere le situazioni. Mi domando, quindi, se non si possa sapere qualcosa di più sulla vicenda. Ho l'impressione che qualcosa venga celato, non dico di proposito, ma in un mondo di aerei spia, di satelliti e di telefoni satellitari, le informazioni circolano. Mi chiedo perché si sappia così poco sull'entità delle conseguenze dell'attacco sconsiderato, come viene chiamato da qualcuno, quasi si fosse trattato di un tiro birbone giocato da Saakashvili all'Ossezia del sud. Si tratta di qualcosa di più che un atto sconsiderato. Inoltre, anche in merito all'aggettivo «sproporzionato», occorre chiedersi cosa sia sproporzionato, e rispetto a cosa. Se effettivamente i morti fossero stati 1.500, sicuramente sarebbe stato sproporzionato l'attacco della Georgia (o la difesa, dipende dai punti di vista).
Chi è l'agnello e chi il lupo? Su questo, come cittadino, vorrei che si cercasse il massimo di informazione, anche perché noi tutti vogliamo certamente che la Georgia entri più saldamente nell'area occidentale ed europea: come diceva bene il senatore Perduca, si tratta di una terra che è molto più affine all'Italia di tanti altri Paesi dell'Unione europea. Tuttavia, vogliamo un Paese che abbia le credenziali in ordine. Mi faccio pertanto latore di questa preoccupazione, che ritengo non sia unicamente personale.

ROBERTO ANTONIONE. Signor presidente, voglio ringraziare il Ministro Frattini per questa sua relazione, puntuale come sempre. Abbiamo molto apprezzato anche il sentimento che ha ispirato l'azione del Ministro e del Governo italiano nell'approccio a una crisi importante, dagli effetti ancora non facilmente prevedibili, ma indubbiamente preoccupanti. Riuscire a esercitare un ruolo di grande prudenza e mediazione, espletando una serie di iniziative che il Ministro ha annunciato, rappresenta un elemento da valorizzare.
Considero quindi giusto sottolineare l'importanza del viaggio che il Ministro intraprenderà nei prossimi giorni su invito esplicito dei Governi della Georgia e della Russia, testimoniando quanto il nostro Paese sia considerato importante proprio in un momento di generale crisi, legata ai rapporti tra le superpotenze, o tra quella considerata l'unica e una potenza importante


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che vuole tornare a esercitare un proprio ruolo.
Dobbiamo fare quanto rientra nelle nostre possibilità, investendo anche la credibilità costruita in questi anni nei confronti della Russia e degli altri partner interessati, per raffreddare questa situazione. Si tratta dell'opportunità di favorire un dialogo tra le parti in causa, della possibilità offerta dal nostro Paese di tenere una Conferenza sul Caucaso nei prossimi mesi, della possibilità di guidare, eventualmente assieme agli altri partner dell'Unione europea, una missione di peacekeeping. Credo che questo sia il ruolo che possiamo giocare.
Non possiamo essere risolutivi, ma possiamo indubbiamente apportare il nostro contributo perché questa crisi non abbia sviluppi negativi, anche se, come il Ministro prevedeva, i segnali attuali non sono incoraggianti. Proprio per questo, quindi, ritengo necessario evitare toni esacerbati, evitare di mettere all'angolo i Paesi interessati e di criminalizzare situazioni che giudichiamo non positive su un piano generale.
In politica estera, solo questo atteggiamento può portare a risultati positivi. Rivolgo quindi una lode al Governo e al Ministro, ma anche ai membri dell'opposizione che hanno espresso assenso all'azione promossa dal nostro Paese, grazie anche all'operato svolto in passato.
Da parte del nostro gruppo, il Ministro potrà godere di un sostegno dichiarato. La nostra richiesta è di continuare ad aggiornare il Parlamento, come lei ha voluto fare anche in un mese notoriamente disinteressato a simili vicende, ma in cui tuttavia, come ricordato dal presidente Stefani, si deve far fronte ad alcune priorità.

PRESIDENTE. Do la parola al Ministro Frattini per la non facile replica.

FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Grazie, presidente. Mi preme innanzitutto sottolineare che, mentre eravamo tutti impegnati in questo estremamente importante e utile dibattito, è intervenuta la decisione del Presidente della Federazione russa, che accolgo con rammarico e che con un'espressione francese definirei regrettable. La complicazione di questo nuovo elemento si aggiunge a un quadro già complicato, anche se si tratta di una decisione di riconoscimento unilaterale che non ha evidentemente alle spalle un quadro di legalità internazionale.
Come evidenziato dai colleghi della maggioranza e dell'opposizione, che ringrazio tutti, questo ci impone tuttavia di mantenere nella nostra agenda una riflessione con il Parlamento su un nuovo quadro strategico di sicurezza e di stabilità per la regione del Caucaso, per le ragioni espresse nella mia introduzione, per le buone ragioni citate da molti di voi e certamente per la necessità unanimemente condivisa anche da coloro che hanno eccessivamente marcato la debolezza dell'Europa.
Credo invece che l'Europa abbia giocato un suo ruolo. Tutti condividono che un quadro di sicurezza e di stabilità imponga una collaborazione tra Occidente, cioè Stati Uniti ed Europa, e la Federazione russa.
Considero un grande pericolo per tutti una balcanizzazione della regione caucasica su base etnica, come ribadito da tutti coloro che hanno preso la parola su questo tema, a cominciare dall'onorevole Fassino, giacché si cambierebbe uno dei pilastri del diritto internazionale, quello della cittadinanza, sostituendolo con la base etnica.
Alcuni interventi hanno toccato il tema dei rapporti della Georgia con l'Europa e con la NATO, laddove trattando però di Georgia non si può evitare di parlare di Ucraina. Credo che per confrontarci o per contrastare la Russia non si possa scavalcare il percorso che a Copenaghen stabilimmo per l'allargamento dell'Unione europea, che non sia opportuno accelerare ad altri quattro, cinque o sei Stati il percorso di allargamento solamente a causa del problema con la Russia, mentre alcuni Stati dei Balcani per quelle regole ancora non riescono a presentare la domanda di candidatura, come nel caso della Serbia. La reazione deve essere prudente.


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Ringrazio l'onorevole Antonione per aver richiamato l'impossibilità di far entrare tutti dentro l'Unione europea, dentro la NATO. Dobbiamo lavorare per avvicinare i Paesi che hanno una vocazione europea agli strumenti che l'Europa ha già messo a loro disposizione.
L'Europa ha messo a disposizione della Georgia come dell'Ucraina accordi di partenariato che all'interno della politica di vicinato danno sostegno politico, economico e interventi operativi non indifferenti.
La Georgia è già membro del Partnership of peace, strumento del quadro NATO, tanto che la NATO al Consiglio del 19 agosto ha deciso di dispiegare gli interventi nell'ambito del partenariato per la pace, non come se quel Paese fosse già membro, ma sulla base degli strumenti che esistono. Gli strumenti ci sono già. L'Europa esiste, la NATO esiste. La Commissione NATO-Georgia non ce la siamo inventata, ma abbiamo seguito il modello che esiste con l'Ucraina nato non sotto un conflitto, ma con l'esigenza di avvicinare l'Ucraina, quando il vertice NATO di Bucarest del dicembre 2007 aveva deciso non sull'adesione, ma sul rafforzamento dei rapporti. Non abbiamo inventato cose.
Non trarrei dunque dalle preoccupazioni la conclusione di fare subito un'Europa con altri 5-6 Paesi membri per contrastare la Russia, errore ancora peggiore del non adottare misure serie invocate dal Presidente Casini, dal Presidente Marini e da altri sulla necessità di rafforzare ad esempio la difesa europea come strumento autonomo per esercitare un ruolo nella politica internazionale.
A questo sono assolutamente favorevole, ma sappiamo che il rafforzamento nella difesa europea è una delle priorità della Presidenza francese, non più la primissima, a seguito dell'esplosione di questa crisi. Tuttavia lo era, e tutti eravamo concordi sul fatto che l'Europa diventasse finalmente produttore di sicurezza e non solo consumatore, insieme agli americani.
Al senatore Cabras, che cita alcune analisi che riguardano il passato, devo rispondere con franchezza, condividendo una sua analisi, che l'Occidente ha commesso l'errore di umiliare la Russia per almeno dieci anni, dal 1991 all'inizio degli anni 2000, chiedendole di essere grande fornitore di energia, di costituire una grande opportunità di business per le nostre imprese, senza giocare un ruolo politico. Questo è stato un errore. Dovevamo prevedere che la Russia covasse una frustrazione che adesso sta esplodendo. Si è trattato di un errore di valutazione, che abbiamo commesso tutti insieme.
Ce ne siamo accorti al vertice di Bucarest, nel dicembre 2007, quando per la prima volta la Russia ha reagito in termini di provocazione frontale all'ipotesi di fare entrare l'Ucraina e la Georgia nella NATO. È stato quello il punto di svolta, in cui la NATO e l'Europa si sono rese conto che, dopo dieci anni di partenariato, la Russia cominciava a rivendicare un ruolo, che non credo, onorevole Guzzanti, debba essere da superpotenza, antagonista degli Stati Uniti d'America.
Ritengo che gli Stati Uniti resteranno l'unica superpotenza globale, e che non sia sbagliato. Non posso immaginare, però, che il ruolo che svolge la Federazione russa in tutti gli scacchieri citati, compreso il ruolo di contenimento del fondamentalismo islamico, facciano della Russia una potenza secondaria, aspetto non condivisibile.
Gli argomenti dell'onorevole Nirenstein dell'eccitazione jihadista e dell'estremismo islamico inducono a chiedersi se sia opportuno lasciare la Russia nelle braccia dell'eccitazione jihadista, al solo scopo di indebolire gli Stati Uniti d'America. Questo non è il nostro gioco. Dobbiamo tenere collegata all'Occidente la Federazione russa per non indebolire l'Alleanza atlantica, gli Stati Uniti e l'Europa a favore del fondamentalismo islamico. Si tratta di un ulteriore argomento per non lasciarla alla deriva rompendo il rapporto con la NATO, che abbiamo faticosamente iniziato a costruire.
Il 19 agosto la NATO ha tenuto presente questi argomenti. Quando colleghi particolarmente duri nei confronti della Russia, come il collega polacco o il lituano, prendendo la parola hanno detto di non voler sopprimere il Consiglio NATO-Russia, mi sono complimentato, perché avevano


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capito come non fosse interesse dei Paesi più esposti rompere il rapporto NATO-Russia, sebbene soffrano più di altri la presenza forte e invadente nei loro confini della Federazione russa.
Il Consiglio NATO ha dunque maturato unanimemente questa proposta, che l'Italia aveva caldeggiato fin dal primo momento. Personalmente, avevo spiegato alla signora Rice le buone ragioni di alcuni Paesi europei, e quella è stata la decisione. Non banalizziamo quindi un discorso importante e profondo.
Onorevole Orlando, comprendo le sue preoccupazioni e le condivido per quanto riguarda la difesa europea, come ho già detto riferendomi all'intervento del Presidente Marini. Non vedo però un'Unione europea distinta dalla NATO nel garantire la sicurezza, ma credo che la difesa europea e la difesa della NATO debbano essere indissolubilmente legate, quanto meno per evitare sovrapposizioni e per dispiegare i nostri interventi nel modo migliore.
Ecco perché (come avevo detto, magari troppo rapidamente) il 5 e 6 settembre valuteremo l'ipotesi che una missione di peacekeeping europea, proprio una missione PESD europea, possa intervenire in quell'area. Ne cominceremo a discutere su una relazione che Javier Solana ci farà ad Avignone il 5 e 6 settembre. Tuttavia, c'è un piccolo particolare, onorevoli colleghi: per fare questo e per inviare soldati è necessaria una risoluzione delle Nazioni unite. E come è possibile ottenerla se la Russia pone il veto? Ecco che torniamo al punto che queste cose non si possano fare contro, ma si debbano fare con la Federazione russa. Vogliamo un peacekeeping che non sia solo russo, perché è ovvio che la Russia è parte interessata direttamente e non può essere peacekeeper. O meglio, essa può essere anche peacekeeper, ma non come lo è stato fino al 5 agosto scorso.
È evidente, tuttavia, che con un peacekeeping assistito da una risoluzione del Consiglio di sicurezza in presenza del veto della Russia non andiamo da nessuna parte. Questo - scusate la brutalità - vuol dire che dobbiamo lavorare insieme. Non possiamo immaginare grandi idee di difesa europea, se poi non abbiamo lo strumento di legalità internazionale.
Noi accelereremo per la Georgia i programmi europei. Non credo che la struttura dell'Unione euromediterranea possa accogliere la Georgia, ma certamente abbiamo una dimensione della strategia di vicinato ad est, e questo è l'altro obiettivo che entro dicembre presenteremo con la Presidenza francese. In quella dimensione - la dimensione del Mar Nero, la dimensione caucasica - certamente la Georgia si può e si deve inserire.
Ecco perché l'idea della Conferenza di Roma non riguarda solo la Georgia. Abbiamo pensato anche all'Armenia e all'Azerbaigian. Georgia, Armenia e Azerbaigian sono i tre grandi Stati caucasici. Abbiamo già contattato - l'ho fatto io, rivolgendomi al Ministro Babacan - la Turchia, che deve essere parte di quella Conferenza. Le grandi frontiere della Turchia sul Mar Nero ci permettono di dire che o questo Paese gioca con noi oppure un quadro di stabilità - pensate ai rapporti tra Turchia e Armenia - non si potrà realizzare.
Ancora una volta non si può, con un colpo di sciabola, dire che la ragione sta da una parte o dall'altra. L'Armenia avrebbe probabilmente difficoltà a partecipare a una conferenza in cui non si tocchino alcuni temi che le stanno a cuore, con riferimento alla Turchia, ma noi abbiamo bisogno della Turchia perché un quadro di stabilità del Caucaso senza la Turchia è difficile realizzarlo.
Credo che a Roma tutti questi Paesi verranno senza difficoltà, perché l'Italia ha sostenuto - anche se qualcuno nutre dei dubbi - la necessità di un percorso della Turchia e l'importanza di un equilibrio nel Caucaso, ragion per cui l'Italia rappresenta una sede in cui tutti si possono ritrovare.
Il tema toccato dal senatore Perduca, relativo alle giurisdizioni internazionali, è un tema serio. Io parlerò di questo a Tbilisi con la mia collega, ma lei sa perfettamente, come lo sanno molti dei colleghi presenti, che il ricorso alle giurisdizioni


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internazionali l'ha già deciso la Serbia per contestare l'indipendenza del Kosovo. Ecco che diventa una bella partita: la Serbia contesta l'indipendenza del Kosovo, la Georgia contesta l'indipendenza dell'Abkhazia. Andiamo avanti con le giurisdizioni o facciamo la politica?
Io non sono tra coloro che hanno invitato il collega serbo a ritirare il ricorso, mentre altri colleghi lo hanno fatto. Personalmente credo che il ricorso alle giurisdizioni internazionali sia segno di rispetto per le giurisdizioni medesime, ma, fermo restando il rispetto, non è così che risolveremo i nostri problemi.
Ovviamente non conoscevo questo aspetto, ma lo approfondirò. Posso assicurare che la nostra posizione sarà sempre di rispetto per l'accesso a una giurisdizione internazionale. Se, dunque, uno Stato ritiene di rivolgersi a tale giurisdizione, noi non lo contrasteremo, ma sta già accadendo che la Serbia chieda la stessa cosa per l'indipendenza del Kosovo.

FURIO COLOMBO. Non ha detto niente dei 40 minuti di conversazione del Presidente del Consiglio con Vladimir Putin, cui ha fatto seguito un ringraziamento del Presidente Bush per la mediazione del Presidente Berlusconi. Che cosa si sono detti? Può saperlo il Parlamento?

FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Quello che ho detto oggi al Parlamento è la posizione espressa dal Presidente del Consiglio con tutti i suoi interlocutori. Io non esprimo una mia posizione personale. I termini del colloquio non li conosco perché non ero presente, ma la sostanza politica è esattamente quella che ci ha portato a un riconoscimento e a un apprezzamento della Russia, degli Stati Uniti e della Georgia. Questa è la situazione.

PRESIDENTE. Grazie, signor Ministro. Voglio assicurare a tutti i colleghi che le Commissioni continueranno a seguire l'evolversi della situazione in stretto contatto con il Ministero, come abbiamo fatto finora e, ove necessario, signor Ministro, la chiameremo ancora.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 13,45.

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