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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissioni Riunite
(III Camera e 3a Senato)
20.
Mercoledì 7 settembre 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Stefani Stefano, Presidente ... 3

Audizione del Ministro degli affari esteri, Franco Frattini, sugli sviluppi della situazione in Libia (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento della Camera dei deputati):

Stefani Stefano, Presidente ... 3 9 10 22 26
Boniver Margherita (PdL) ... 12
Colombo Furio (PD) ... 12 14
Compagna Luigi (PdL) ... 11
Dini Lamberto, Presidente della 3a Commissione del Senato della Repubblica ... 22
Farina Gianni (PD) ... 21
Frattini Franco, Ministro degli affari esteri ... 4 9 22
Livi Bacci Massimo (PD) ... 17
Marcenaro Pietro (PD) ... 9 14
Mecacci Matteo (PD) ... 18 22
Narducci Franco (PD) ... 16
Parisi Arturo Mario Luigi (PD) ... 20
Perduca Marco (PD) ... 19
Pianetta Enrico (PdL) ... 16
Pistelli Lapo (PD) ... 10
Tempestini Francesco (PD) ... 12
Tonini Giorgio (PD) ... 10
Vernetti Gianni (Misto-ApI) ... 13
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Italia dei Valori: IdV; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A.

COMMISSIONI RIUNITE
III (AFFARI ESTERI E COMUNITARI) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
E 3a (AFFARI ESTERI, EMIGRAZIONE) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 7 settembre 2011


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA III COMMISSIONE
DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
STEFANO STEFANI

La seduta comincia alle 14,10.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro degli affari esteri, Franco Frattini, sugli sviluppi della situazione in Libia.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del Ministro degli affari esteri, Franco Frattini, sugli sviluppi della situazione in Libia.
Saluto il collega presidente della Commissione esteri del Senato, senatore Dini, tutti i colleghi presenti, tutti i senatori. Ringrazio il Ministro Frattini per la consueta disponibilità a tenere aggiornato il Parlamento, in generale, sulle materie di sua competenza e in particolare sull'evolvere della crisi libica.
Gli eventi di agosto che hanno portato alla caduta del regime di Gheddafi, ma soprattutto gli importanti appuntamenti multilaterali di questi ultimi giorni rendono urgenti l'audizione odierna e un dibattito politico qualificato e chiarificatore.
L'opinione pubblica internazionale assiste in questi giorni sgomenta al susseguirsi di notizie sulla violazione dei diritti umani di cittadini libici. Inoltre, nella presente situazione di crisi economica internazionale, non hanno certamente giovato al clima generale e ai mercati le polemiche sul tema dell'approvvigionamento energetico e la sensazione di un'affannosa competizione tra Paesi europei per il primato sul gas libico, e direi non solo sul gas.
Le nostre Commissioni sono molto attente, consci come siamo che l'approvvigionamento libico è di primaria importanza per il nostro Paese. Non vorrei che dopo quanto è successo, per come ci siamo esposti e per come abbiamo reagito, il nostro Paese dovesse averne più nocumento degli altri per l'evolversi della situazione. Sappiamo che il Ministro Frattini è attentissimo a questo e sappiamo anche di essere in buone mani.
Per quanto concerne gli aspetti di sicurezza e di controllo dei confini occorre fare chiarezza sul ruolo avuto dal colonnello Gheddafi sul flusso straordinario di clandestini verso le coste italiane, con le conseguenze drammatiche note a tutti. Si è mormorato, infatti, che una ritorsione verso l'Italia del colonnello Gheddafi, precedente a questi ultimi giorni, sia stata proprio implementare il flusso in Italia dei clandestini. Per questo dobbiamo avere la massima attenzione su questo punto.
Esprimo nuovamente un riconoscimento al Ministro Frattini per avere validamente contribuito, con le sue dichiarazioni, a difendere il prestigio del nostro Paese alla luce dello straordinario impegno profuso dall'Italia durante la crisi.
Ringrazio il Ministro per aver consentito in tempi assai rapidi la riapertura


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della nostra ambasciata a Tripoli. Credo che sia un segnale di massima importanza per i nostri operatori, per coloro che stanno ancora proseguendo il loro lavoro e anche per coloro che, purtroppo, la situazione ha fatto sì che ci stessero rimettendo non poco a livello economico per la loro presenza in Libia. Pertanto credo che questo sia un passaggio che dobbiamo tenere nella massima considerazione.
Prego, quindi, il Ministro Frattini di svolgere la sua relazione.

FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Ringrazio i presidenti e tutti i colleghi per questa ulteriore occasione di incontro con il Parlamento, dopo le molte che abbiamo già avuto negli scorsi mesi.
Tutti conoscete gli aspetti generali degli sviluppi della crisi libica, con la caduta del regime e di Tripoli, con gli arresti e le defezioni. Ci sono stati arresti di militari e importanti defezioni da parte dei lealisti, in particolare, da ultimo, del Primo ministro Al-Mahmoudi e del Ministro degli esteri, Al-Obeidi. Stamani il vice ministro degli esteri è stato arrestato anche lui a Tripoli. Soprattutto importanti esponenti militari e dell'intelligence si sono in gran parte arresi e altri sono stati catturati.
Contiamo di avere entro la metà di questo mese, entro due settimane, il Governo provvisorio del CNT. Vi è stato già il trasferimento del CNT da Bengasi a Tripoli, il che conferma, quindi, la determinazione di considerare Tripoli come città capitale, come sempre era stato affermato. Una parte dei componenti del Governo libico di transizione si è già stabilita a Tripoli e nell'arco di un paio di settimane l'intero CNT dovrebbe formalmente insediare un governo di unità nazionale presieduto naturalmente dall'attuale Primo ministro Mahmoud Jibril.
Sul terreno si riscontrano elementi di forte criticità per quanto riguarda la popolazione civile. Abbiamo fatto fronte, a Tripoli e in altre città, alla mancanza di acqua. Ci è stato rappresentato già a Milano, nell'incontro degli scorsi giorni tra il Primo ministro Jibril e il Presidente Berlusconi, come le forze del regime avessero chiuso e sigillato i rubinetti dei pozzi estrattivi di acqua potabile nel sud della Libia. Noi siamo intervenuti rapidamente anche con nostri tecnici per contribuire alla loro immediata riattivazione. Fortunatamente le condutture di acqua potabile non sono danneggiate, ma i carburanti e l'acqua hanno scarseggiato per molte settimane e continuano a scarseggiare anche dopo la caduta di Tripoli e di altre città.
Ci sono poi problemi con i medicinali negli ospedali. In merito è stato chiesto all'Italia di assumere un ruolo importante, rafforzando il centro operativo delle Nazioni Unite presso la base aerea di Brindisi. Oggi, quindi, Brindisi funge da centro di raccolta, di smistamento e di invio degli aiuti verso le città della Libia, approfittando anche della riapertura parziale, ma sufficiente dell'aeroporto militare di Tripoli, che permette ai nostri aerei e agli aiuti forniti anche direttamente dalle Nazioni Unite di raggiungere, attraverso Brindisi, la destinazione.
L'obiettivo di queste settimane - degli ultimi come dei prossimi giorni - è evitare ulteriori spargimenti di sangue. In questo senso, ho parlato più volte con il Primo ministro Jibril. Abbiamo, inoltre, interloquito con il Presidente Abdel Jalil. Il messaggio, in entrambi i casi, è stato di evitare vendette, rappresaglie e bagni di sangue nei confronti di coloro che hanno lavorato per il regime. Pertanto, in occasione degli arresti non vogliamo vedere giustizia sommaria e vendette personali.
Abbiamo anche detto che sosteniamo gli sforzi affinché non si ripeta l'errore della «debaathizzazione» forzosa e immediata dell'Iraq, dove in pochi giorni fu smantellata l'intera struttura dello Stato, con le conseguenze della ricostruzione da zero che tutti conosciamo. Pensiamo, invece, che negli apparati libici ci siano persone - dai dipendenti dei ministeri, agli appartenenti alla polizia - che non hanno le mani sporche di sangue e che non sono colpevoli di gravi delitti e che, quindi, debbano e possano essere reintegrati


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dal CNT nella prospettiva di un forte rinnovamento e di un'evoluzione democratica di questi stessi apparati.
I segnali che ci arrivano sono piuttosto positivi. Vorrei richiamare, in particolare, il fatto che si sta cercando di ottenere la resa di Bani Walid, che è sostanzialmente assediata, con trattative in corso da giorni proprio per evitare un'irruzione con la forza. Sapete, peraltro, che le trattative sono state sospese ieri e che stanno riprendendo in queste ore, dopo che alcuni miliziani del regime avevano aperto il fuoco contro i negoziatori e pertanto, boicottando il negoziato, avevano costretto alla sua sospensione. A ogni modo, il negoziato sta procedendo.
L'Italia sostiene, con tutti gli strumenti possibili, i tentativi in corso al fine di ottenere una resa pacifica, negoziando con le tribù locali. Questo vale per Bani Walid, ma anche e soprattutto per Sirte, che è divenuta una città simbolo, in relazione alla quale è stato rivolto l'appello della comunità internazionale, anche al recente vertice di Parigi, di evitare un bagno di sangue e di avviare, invece, un negoziato per la resa pacifica.
Non sappiamo ancora dove sia il colonnello Gheddafi. A questo proposito, molte voci si sono rincorse. Abbiamo la notizia, diffusa dal portavoce delle forze armate del CNT, secondo la quale avrebbero circondato un'area di 60 chilometri all'interno della quale il colonnello Gheddafi si sarebbe rifugiato. Si tratterebbe di una zona desertica, che non hanno voluto rivelare, affermando di averla localizzata con sistemi di tracciatura elettronica e con l'intelligence. Vediamo che cosa succederà. D'altra parte, siamo abituati ad annunci a cui rapidamente segue un nulla di fatto.
A proposito dell'Italia, sapete già che abbiamo riaperto l'ambasciata. Si tratta di una riapertura effettiva; non c'è - come potrebbe essere qualche volta sembrato - solo la bandiera, ma c'è anche il personale e una sede, quella dell'Istituto italiano di cultura che era utilizzabile. Come sapete, l'ambasciatore è già stato nominato. Pertanto, il 15 mattina l'ambasciatore Buccino sarà a Tripoli, dove il contingente di sicurezza e protezione dell'ambasciata è stato già spiegato e il personale, inclusi i contrattisti, è già operativo.
Com'è evidente, tutto ciò è necessario per prendere rapidamente contatto con le amministrazioni del Governo transitorio libico, una volta che questo si stabilirà definitivamente a Tripoli e i ministeri, come sta accadendo, riapriranno.
Il CNT ci ha già assicurato comunque la disponibilità a soddisfare ulteriori esigenze logistiche, perché la nostra intenzione è ovviamente quella di ripristinare i locali dell'ambasciata esistente, che è proprietà dello Stato italiano, e della residenza dell'ambasciatore, che, come sapete, sono state devastate dai miliziani del regime.
La missione NATO sta continuando la sua attività di monitoraggio e protezione dei civili in difficoltà. L'idea che l'ultima riunione del Consiglio Atlantico ha ventilato e su cui l'Italia si trova evidentemente d'accordo è che il futuro della NATO in Libia sarà quello di sostegno allo sforzo delle Nazioni Unite, che avranno, come da decisione unanimemente adottata a Parigi, il ruolo guida nel coordinamento del rilancio politico e della ricostruzione della Libia.
Sarà evidentemente escluso soltanto - ma lo era già in passato - un dispiegamento di forze combattenti, quindi un'azione sul terreno di forze con compiti militari. Esclusa quindi la possibilità di questo impegno, si parlerà semmai di addestramento, ma in ogni caso di un sostegno alle Nazioni Unite, che avranno compiti non militari, ma di sostegno all'attuazione della road map politica e alla ricostruzione civile ed economica della Libia.
Anche nel futuro noi ci aspettiamo che il coordinamento stretto con la Lega Araba e con i Paesi dell'Unione africana venga confermato e mantenuto. Certamente lo sarà, e non a caso il Gruppo internazionale di contatto si è trasformato, nel vertice del 1o settembre, in un gruppo di «Amici della Libia», per marcare la differenza e la discontinuità tra una fase di intervento militare, che era caratterizzata


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dal Gruppo di contatto con il suo indirizzo politico, e una fase di sostegno al progresso politico e alla ricostruzione, che è marcata dal gruppo che si chiama «Amici della Libia», che comprende esattamente coloro che facevano parte del Gruppo di contatto con l'auspicata adesione di altri partner internazionali. Pensiamo innanzitutto alla Russia, che era presente a Parigi, alla Cina e ad altri.
Noi sosteniamo quella road map che è stata presentata i primi di agosto dal CNT all'Italia e agli altri partner più stretti di questa coalizione internazionale. È per la prima volta una road map con delle date stringenti: entro trenta giorni dalla caduta del regime trasferimento a Tripoli del CNT e nomina di un governo transitorio (questa è la prima tappa che è già in corso di attuazione e che ci aspettiamo sia mantenuta); entro otto mesi elezione di un'assemblea nazionale libica, che dovrà nominare l'organo costituente, che sarà probabilmente una commissione nazionale costituente, che predisporrà un progetto di costituzione da sottoporre poi al referendum popolare diretto, come fatto in Egitto; a quattro mesi dal referendum le prime elezioni legislative, a cui seguiranno in tempi successivi le elezioni presidenziali.
Questo è un punto piuttosto importante, perché dal momento della caduta del regime noi immaginiamo che nove mesi di tempo potranno essere adeguati per arrivare all'elezione di un'assemblea nazionale, che sarà il momento, che noi avevamo auspicato, della riconciliazione e della conferma dell'unità nazionale libica. Assemblea nazionale costituente vuol dire unità del territorio, unità del Paese, partecipazione di tutte le componenti della società e della realtà libica.
Nella stessa road map sono state indicate le priorità sotto il profilo dell'avvio di una risposta alle esigenze più urgenti della popolazione: scongelamento dei fondi libici all'estero, ricostruzione delle forze di polizia, disarmo della popolazione. Ci sono numerose armi leggere che circolano senza alcun controllo. Disarmo controllato vuol dire ricondurre l'uso delle armi sotto l'esclusiva egida delle forze di polizia e delle forze armate.
In questa road map si fa riferimento - ed è tema che a me interessa molto - al controllo delle frontiere, alla lotta contro i traffici illegali, dal traffico di armi al traffico di esseri umani, e poi vi è un programma di urgente ricostruzione. Vi è un grande piano strategico di ricostruzione, ma vi è un piano di ricostruzione urgente: le scuole, gli alloggi, i centri di riabilitazione, gli ospedali, specialmente nella zona di Misurata, per garantire (particolare non secondario) ad esempio che i ragazzi possano tornare a scuola a metà ottobre. A questo fine servono delle scuole subito, magari anche prefabbricate.
La Conferenza di Parigi ha condiviso unanimemente la road map libica. È positivo che il programma sia venuto dai libici e che gli «Amici della Libia» - chiamiamoli così - lo abbiano condiviso, impegnandosi a contribuire a realizzarlo. Questo è molto positivo. La prima riunione di sviluppo di questo piano l'avremo a New York il 20 settembre e sarà presieduta dal Segretario generale delle Nazioni Unite, il quale ha comunicato di aderire all'invito degli «Amici della Libia» affinché l'ONU assuma il controllo e il coordinamento delle fasi di sviluppo politico e di ricostruzione infrastrutturale e civile del Paese. Questo è l'obiettivo che noi avevamo sempre indicato e che è stato formalmente, per iscritto, confermato dal Segretario generale dell'ONU Ban Ki-Moon al Presidente Berlusconi lo scorso 30 agosto, con una lettera piuttosto articolata.
Il Segretario generale vorrà raccomandare, nelle prossime settimane, al Consiglio di Sicurezza una risoluzione per il dispiegamento di quella che lui definisce una missione politica integrata delle Nazioni Unite in Libia. Vi sarebbe il coordinamento di un rappresentante speciale - io credo che potrà essere lo stesso Alto Rappresentante attuale, l'ex ministro giordano che sta assistendo in modo brillante il Segretario generale. Questa missione politica integrata avrebbe il compito di


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assistere le autorità transitorie nello sviluppare quei due punti della road map, ossia elezione dell'assemblea nazionale per la nomina dell'organo costituente e organizzazione delle elezioni legislative.
Le Nazioni Unite pensano a una seconda tappa, ossia, appena le condizioni sul terreno lo consentiranno, una missione di osservatori militari non armati. È un modello che è stato seguito in altre circostanze. Si tratterebbe di osservatori che avrebbero il compito di sostenere una missione formativa, di monitoraggio e di addestramento delle forze di polizia locali. Chiaramente il fatto che il coordinamento delle iniziative post-regime sia affidato alle Nazioni Unite implica l'assunzione da parte dell'Italia, con la base di Brindisi, di un ruolo chiave, essendo quella la base logistica operativa sia per le operazioni attuali, sia per le operazioni di ricostruzione successive, anche di medio e lungo termine, per la raccolta e l'invio degli aiuti e per l'indicazione da parte delle Nazioni Unite di compiti di tipo logistico.
Anche l'Unione europea sta partecipando a questo sforzo. Si è deciso dieci giorni fa l'invio a Tripoli, ancora una volta con il sostegno logistico italiano, di una delegazione dell'Unione europea guidata dal Direttore generale europeo per la risposta alle crisi, Agostino Miozzo, che è in teatro per la valutazione delle necessità più urgenti.
Il passo successivo, che auspico da parte dell'Europa, è la nomina di un capo delegazione europeo, di un rappresentante-ambasciatore dell'Unione europea, che possa coordinare sul campo gli sforzi di pertinenza europea. Auspicherei anche che a ciò fosse affiancata la ripresa del negoziato, interrotto ovviamente a gennaio, dell'accordo di associazione tra l'Unione europea e la Libia. Sarebbe un segnale politico molto forte, ma con due evidenti condizioni: l'esistenza di una domanda libica e la disponibilità libica a proseguire secondo le linee guida degli accordi di associazione che l'Unione europea ha negoziato, con modelli e contenuti già sperimentati.
La parte di assistenza vede l'Italia certamente in testa o in un ruolo quanto meno di grande rilevanza rispetto a molti altri Paesi. Noi siamo stabilmente presenti in Libia da alcuni mesi, dall'inizio del mese di maggio, e abbiamo agito su più fronti.
Sapete perfettamente quante missioni siano state compiute sin dalle primissime settimane con le navi italiane arrivate a Bengasi in un momento difficilissimo, con decine e decine di feriti portati in Italia e riaccompagnati dopo le cure in Libia. Stiamo lavorando ora per pianificare nuovi trasporti umanitari, sia a Bengasi, ma anche, finalmente, a Tripoli, con medicinali e con la disponibilità di équipe mediche volontarie. Si è verificata una vera e propria gara di generosità da parte dei medici italiani in questo senso.
Gli altri due temi su cui ci concentreremo sono il ripristino dei sistemi idrici - vi ho già parlato della riattivazione dei pompaggi per l'acqua potabile - e un'attività estremamente importante, lo sminamento, ossia la rimozione di ordigni dal territorio, in cui l'Italia ha sempre dato un grande contributo.
È evidente che il futuro dei rapporti bilaterali con la Libia parte dalla riattivazione del Trattato italo-libico di amicizia. Si tratta di un trattato per cui il CNT ha chiesto all'Italia la riattivazione appena le condizioni sussisteranno. Evidentemente gli organismi misti dovranno subito tenere alcune riunioni tecniche per vedere se tale Trattato contiene tutto ciò che è necessario o se occorrano aggiornamenti.
Ovviamente, provvederemo a ciò con i libici, quando vi sarà una richiesta in questo senso. Tuttavia, in preparazione di questo, abbiamo costituito - come sapete - un Comitato congiunto italo-libico che coordinerò per la parte italiana, mentre, per la parte libica, il Primo ministro indicherà il suo rappresentante per il coordinamento. Abbiamo riunito questo Comitato per la prima volta il 31 agosto per mettere a punto, a livello tecnico, i diversi terreni sui quali la collaborazione tra l'Italia e la nuova Libia deve e può ripartire. I punti prioritari già emersi


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comprendono la formazione in molti settori, come l'ordine pubblico, la guardia costiera, gli esperti nel controllo delle frontiere doganali, lo sminamento, gli esperti del settore della giustizia e le attività in favore dei minori vittime del conflitto. Quest'ultimo è un tema su cui l'Italia è particolarmente sensibile, ivi incluso il tragico problema dei bambini soldato reclutati dal regime di Gheddafi come mercenari e arrestati. Si tratta di bambini di quattordici, quindici o sedici anni terrorizzati, che certamente avranno bisogno di un'azione di recupero anche psicologico rispetto alla quale il nostro Paese non si sottrarrà dallo svolgere un ruolo.
Inoltre, a noi interessa molto l'azione in vista del rilancio della collaborazione economica. In questa direzione, abbiamo già offerto degli stage di formazione presso le aziende italiane a giovani laureati libici per permettere una nuova partenza dei rapporti diretti tra popoli e classi dirigenti, che include anche corsi di formazione per giovani diplomatici libici, che siamo disponibili a realizzare.
Voglio dire al Parlamento che, per attuare queste priorità, intendiamo destinare quei fondi che, con un impegno del Parlamento stesso e del Ministero dell'economia e delle finanze, dovranno essere ripristinati. Si tratta di 8 milioni in assestamento e di ulteriori 8 milioni con la legge di stabilità che, come ricorderete, furono decurtati dal decreto missioni e che il Parlamento e il Ministero dell'economia ripristineranno. Con questi fondi, già entro l'anno, avvieremo queste iniziative di collaborazione.
In merito ai settori dell'economia e dell'energia, vorrei dire con grande chiarezza che - ha detto bene il Presidente Stefani - non siamo in competizione con nessuno: eravamo e resteremo il primo partner economico bilaterale della Libia. Nel settore dell'energia abbiamo affermato questo principio con un fatto molto concreto e molto impegnativo, ovvero la firma - il 29 agosto - dell'accordo tra il direttore generale dell'ENI, Paolo Scaroni, e il CNT per riattivare già entro metà ottobre il gasdotto Greenstream e per riprendere, quindi, la produzione energetica e confermare tutti i contratti pregressi che avevamo con il regime.
Non stiamo facendo, quindi, nessuna corsa; non stiamo compiendo nessuna azione surrettizia. Per contro, siamo stati molto fermi; abbiamo lavorato per la Libia perché il popolo libico lo chiedeva, ma evidentemente gli interessi strategici ed energetici in Libia non potevano assolutamente essere compromessi. Al contrario, li abbiamo pienamente garantiti.
Lo stesso vale per i contratti con aziende italiane. Difatti, stiamo già approntando la lista delle imprese italiane che hanno contratti in essere con la Libia; metteremo insieme queste aziende e rapidamente vi sarà una missione a Tripoli con il nostro ambasciatore Buccino.
Alcune aziende italiane sono già state messe nelle condizioni di ripensare e di riaprire addirittura i cantieri. Il dottor Ponzellini mi ha detto, ad esempio, che Impregilo sta già riaprendo fisicamente dei cantieri che aveva, e lo stesso accadrà in altri casi perché anche in questo settore i contratti italiani non solo non saranno toccati e saranno tutti confermati, ma abbiamo l'aspettativa di partecipare alla importante ricostruzione del Paese, che passerà anche che per infrastrutture, per forniture tecniche, per ogni tipo di supporto allo sviluppo portuale della Libia e quant'altro.
La ripresa della Libia evidentemente avrà delle grandi ripercussioni anche per tornare indietro rispetto alla drammatica fuga dalla Libia, perché l'avvio della ricostruzione libica potrà offrire almeno 200-300.000 posti di lavoro a cittadini di Paesi vicini, con particolare riferimento ai tunisini. Avrà quindi un grande impatto positivo anche sulla Tunisia, perché circa 200.000 persone che hanno perso il lavoro lo riacquisteranno con la ripresa delle attività economiche.
Sappiamo e sapete quasi tutto dei fondi congelati. Abbiamo chiesto lo scongelamento di 2,5 miliardi di fondi che stanno in Italia, ma nel frattempo abbiamo anticipato, usando i fondi come garanzie, 500


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milioni e una fornitura di carburante, gasolio e benzina, che l'ENI ha già messo a disposizione con l'accordo del 29 agosto.
Ultimo tema: i flussi migratori. Il presidente Stefani ha toccato il tema, noi abbiamo le prove, ormai, che nei mesi tra febbraio e maggio le ondate di disperati che non a caso arrivavano ogni quindici giorni, puntualmente a gruppi di 20-25 barche, erano organizzate dal regime. Abbiamo le dichiarazioni di esponenti del regime che hanno defezionato, abbiamo la conferma dell'ambasciatore Gaddur, abbiamo soprattutto elementi di prova raccolti dal CNT, di cui mi ha parlato il Primo ministro Jibril, che nelle contestazioni di crimini a Gheddafi evidentemente saranno offerte come prove ancora più concrete, ma uno degli elementi di prova è che con la caduta del regime i flussi di profughi sono terminati.
Qui ovviamente non ci fermiamo: l'Italia ha già detto con grande chiarezza che la tutela dei profughi è garantita. Abbiamo contribuito al lavoro dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni e continueremo a farlo, ma abbiamo firmato anche con il Primo ministro Jibril un Memorandum - l'ho firmato io - sul contrasto all'immigrazione clandestina. Il Ministro Maroni mi ha dato la disponibilità non solo per la formazione della guardia costiera, ma anche per contribuire con la messa a disposizione di pattugliatori, così come abbiamo fatto con la Tunisia, in modo che al momento opportuno si ripristini un normale meccanismo di controllo e di contrasto al traffico degli esseri umani.
In conclusione, facendo un primo bilancio di questi mesi devo esprimere la profonda gratitudine, mia personale ma certamente - non ho tema di sbagliare - dell'intero Governo. Per il comportamento con cui il Parlamento ha sostenuto l'impegno del Governo italiano, in momenti in cui non era facile assumere quell'impegno, nelle varie fasi del dibattito parlamentare, e un mio personale, assolutamente pieno sentimento di gratitudine al Capo dello Stato, che non ha mai fatto mancare il sostegno e l'incoraggiamento in questa direzione.
Voi immaginate perfettamente cosa sarebbe accaduto, se non avessimo assunto la decisione di onorare gli impegni con le Nazioni Unite e con la NATO. L'Italia oggi sarebbe un Paese «paria» nel Mediterraneo, non saremmo neanche ammessi ai tavoli di consultazione. Sarebbe stato molto facile, per la nuova Libia, cancellare con un tratto di penna i contratti petroliferi e colpire gli interessi di migliaia di aziende italiane.
Noi abbiamo fatto bene a non farlo, abbiamo garantito lealtà atlantica, lealtà alle Nazioni Unite, e credo che gli eventi ci abbiano dato ragione.
Vi ringrazio.

PRESIDENTE. Grazie, signor Ministro.
Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni, pregandoli di contenere i propri interventi in tre minuti di tempo.

PIETRO MARCENARO. Chiedo che vi sia una sproporzione tra l'intervento del relatore e gli interventi dei parlamentari. Non può stabilirsi che lo spazio per gli interventi sia di pochi minuti, dopo una relazione di quaranta minuti.

PRESIDENTE. Collega, il problema è legato ai tempi. Per quanto mi riguarda, potrei anche concedervi venti minuti a testa. Abbiamo sempre deciso di contingentare i tempi in base al numero degli iscritti a parlare. Sono le 14,55 e dobbiamo considerare mezz'ora per la replica del Ministro.

FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Mi dispiace, ma io parlo quaranta minuti perché è spiacevole sentirsi dire che il Governo non ha parlato di un determinato tema.

PRESIDENTE. Colleghi, io e il presidente Dini, con il vostro consenso e la vostra approvazione, avevamo deciso di


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contingentare i tempi. Se non volete più farlo, ditemi come vogliamo procedere.

GIORGIO TONINI. Vorrei avanzare una proposta sull'ordine dei lavori. Si consenta a ogni gruppo almeno un intervento un po' più disteso e poi interventi di durata minore. Per noi parlerà l'onorevole Pistelli qualche minuto in più e ci impegniamo che gli altri contengano i propri interventi in un tempo di tre minuti. È bene che si consenta almeno un intervento per gruppo che possa sviluppare un ragionamento, altrimenti è una conferenza stampa.

PRESIDENTE. Lei ha ragione. Non era mai emersa questa esigenza e ci eravamo contenuti nei tempi. Per carità, gestirò i lavori come meglio crediamo, ma vi prego - nessuno intende obbligarvi - di contenere i tempi.

LAPO PISTELLI. Grazie, signor presidente. Faremo tutti del nostro meglio, ma è ovvio che serve anche il buonsenso in una riflessione che avviene dopo gli eventi che sono accaduti e che ci permette di fare il punto su una vicenda non ordinaria. Per questo penso che il Parlamento possa permettersi il tempo di una discussione più distesa.
Inizio aderendo alle parole con cui il Ministro degli esteri ha chiuso il suo intervento: credo che l'Italia abbia fatto la sua parte e abbia fatto bene a farla. Noi non avevamo dubbi, fin dall'inizio, che si trattasse di stare con la comunità internazionale, e che la geopolitica prima ancora che la politica ci imponesse questo atteggiamento in Libia.
Siamo convinti di quello che abbiamo fatto, il che non ci porta a dire «mission accomplished», nel senso che la qualità del lavoro che in questi mesi la comunità internazionale svolgerà in Libia dirà molto, per un verso, del futuro di questo Paese, rispetto al quale conviene non dimenticare mai che più di un analista aveva temuto fino ad agosto un futuro somalo - sappiamo quanto è delicato l'equilibrio in quella terra - e, per l'altro verso, questo lavoro dirà molto, nel metodo che noi seguiremo, del messaggio che la comunità internazionale intende mandare agli altri Paesi arabi.
È di tutta evidenza che alcune primavere stanno diventando estati e altre stanno invece precocemente virando verso l'autunno, senza passare nemmeno dall'estate, quindi il modo con cui lavoreremo in Libia come comunità internazionale può influenzare gli eventi nel resto della regione.
Mentre lei parlava mi sono venuti in mente due punti di un intervento che Martti Ahtisaari faceva qualche tempo fa rispetto ad alcune regole auree che aveva imparato nel suo lavoro internazionale su come stare nei conflitti e nelle missioni internazionali: il primo, che serve un insieme e un ammontare di risorse, di intelligenza, di denaro e di politica nel post-conflitto pari almeno a quello che si pone nel conflitto - mi verrebbe da dire in questo caso che forse ne occorre di più - e il secondo, che non si deve pensare mai che la democrazia si concluda nel giorno delle elezioni.
Questi due princìpi aurei mi paiono ancora più forti nel caso della Libia, perché non vi è consuetudine letterale da più di quarant'anni. Soprattutto noi abbiamo parlato in altri anni dell'originalità del modello della Giamahiria, ma, se usciamo dalla categoria dell'originalità, ci rendiamo conto che la Libia non va ricostruita, ma costruita, nel senso che non esiste nulla di ciò che in altri contesti nazionali costituisce l'ossatura di un Paese: ceto medio, ordini, pluralismo dell'informazione, sistema delle garanzie, tutela dei diritti umani e via elencando.
Pongo alcune rapidissime domande, direi solo alcuni flash. Signor Ministro, lei ha fatto riferimento a missioni di polizia internazionale, o comunque variamente denominate, sia in sede di Nazioni Unite, sia forse in sede di Unione europea. Che rilievo, che seguito, che fondamento ha l'idea che tali missioni possano essere composte non prevalentemente ma sostanzialmente in modo esclusivo dai Paesi


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arabi africani, il che sarebbe un modo per segnare anche il messaggio negli altri Paesi?
La seconda domanda è quali garanzie o indicazioni avete avuto nei vostri colloqui a Parigi e dintorni rispetto alle intenzioni del CNT di consegnare, quando e come verrà preso, il colonnello Gheddafi alla giustizia della Corte penale internazionale e non alla giustizia libica, considerando che questo è stato uno dei punti che sono alla base dell'intervento, questione che è alla base delle risoluzioni n. 1970 e n. 1973?
In terzo luogo, Lei ha fatto riferimento alla questione dell'energia e anche all'operatività imminente di alcuni contratti già in essere, come, per esempio, quello di Impregilo. Non le sfuggirà che operavano in Libia numerosissime aziende molto più piccole, le quali non hanno i polmoni finanziari né di ENI, né di Impregilo e per le quali la garanzia dei pagamenti per le opere già compiute e sospese dall'intervento militare è condizione di sopravvivenza e non di sviluppo di nuovi portafogli. Chiedo se può esprimersi maggiormente in merito.
Da ultimo chiedo una sua valutazione politica sul ruolo giocato fino a oggi dal movimento islamista armato. Il fatto che anche un importante quotidiano nazionale abbia dato spazio a un'intervista ad Abdel Hakim Belhaj detto «l'afgano» e che si discuta del ruolo che nel post-conflitto costui possa giocare, è un tema di grande interesse per capire chi rappresenta il popolo libico e vedere come si vada a organizzare.
Concludo, presidente, pensando di non aver sforato di molto il tempo a mia disposizione, asserendo che condivido interamente il ragionamento che il Ministro ha svolto sull'utilizzo strumentale dei flussi migratori, ma mi dispiace dover sottolineare che diverse volte in questa sede si era ascoltato da parte dei colleghi del Governo l'esatto contrario, cioè che proprio l'intervento della comunità internazionale in Libia avrebbe scatenato esodi biblici. La realtà era disponibile già in quei mesi, la si è voluta cavalcare in modo strumentale e la replica dei fatti è molto più dura delle parole della propaganda.
Infine, rivolgo un saluto anche da questi banchi all'ambasciatore Buccino Grimaldi, che lascia il Quirinale e si reca a Tripoli, segno che la garanzia offerta dal Colle non vale soltanto per le tempeste finanziarie che attraversano l'Europa, ma anche per questa presenza sugli scenari internazionali.

LUIGI COMPAGNA. Nella ricognizione del Ministro Frattini è stato anche ripercorso il sentiero costituzionale che ha davanti la nuova Libia. Mi pare che il Ministro abbia affermato che il Governo la considera una sorta di road map che gli è stata illustrata ai primi di agosto e che essa prevede alcuni passaggi per commissioni. A un dato punto, non so se a proposito dei tempi, il Ministro si è lasciato sfuggire l'espressione «come in Egitto».
Da questo punto di vista, riprendendo sotto il profilo del sentiero costituzionale le preoccupazioni dell'onorevole Pistelli sul tasso di islamismo della nuova Libia, mi veniva da pensare che in fondo - come ha accennato in parte l'onorevole Pistelli - la Libia, nella storia del costituzionalismo «islamico», ha una posizione singolare perché il testo della Giamahiria - peraltro molto apprezzato per il suo «verdismo» (non leghista né ecologista) anche in Italia - conteneva un tasso di islamismo già esasperato. Nella vicenda, poi, l'alqaedismo ci ha dato tassi di islamismo ancora più esasperato.
Il riferimento all'Egitto mi pare, quindi, scivoloso perché un nuovo costituente, che potremmo definire della «fratellanza musulmana», con orientamenti islamistici antioccidentali, nel senso inteso dal collega Pistelli, è il vero nemico che incombe su questa road map costituzionale.
Facendo un passo indietro, vengo a un'altra considerazione del Ministro Frattini, che ha detto che l'Italia - non da sola - ha suggerito, per quanto possibile, la più ferma e rigorosa astensione da vendette e rappresaglie, riprendendo l'esempio della cattiva «debaathizzazione» irachena. A


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questo proposito, il Ministro ha anche detto di aver riscontrato, in questo senso, segnali moderatamente positivi. Ecco, vorrei che nella replica approfondisse questo aspetto. Difatti, anche senza la coloritura enfatica degli articoli di Bernard Henry Lévy, si attribuisce molto rilievo agli aspetti più segnant di queste giornate di dopoguerra.
Prevalgono per lo più gli entusiasmi dei ribelli arrivati a Tripoli, che registrano il disperdersi dei cosiddetti legittimisti, mentre proprio in Italia ci aveva molto colpito - mi pare tra il 24 e il 25 agosto - la vicenda, di tutt'altro segno, dei giornalisti italiani, peraltro conclusasi molto positivamente. Tuttavia, la narrazione dell'uccisione e della morte di quell'autista è stata di una ferocia degna delle peggiori cronache di islamismo armato. Grazie.

FRANCESCO TEMPESTINI. Vorrei porre una domanda molto asciutta e semplice al Ministro, senza neanche commentare la questione, visto che ne abbiamo parlato tante volte anche in sedi assembleari.
Lei ha accennato a una possibile revisione del Trattato italo-libico; potrebbe darci qualche informazione più di dettaglio, senza entrare ovviamente nel particolare?

FURIO COLOMBO. Il Ministro ha detto «riattivazione», non «revisione».

FRANCESCO TEMPESTINI. Cerchi di non interrompermi, per cortesia.
Signor Ministro, lei ha parlato di una rimessa in campo del Trattato e di una possibile revisione di alcuni punti. Potrebbe fornirci, senza scendere nel dettaglio, il senso di questa affermazione? Penso, per esempio, a tutto l'impianto finanziario del Trattato, alla questione con cui era regolato il rapporto tra immigrazione clandestina, stabilimento sul territorio libico, ai termini e alle forme delle garanzie internazionali a tutela dei migranti. Vorrei chiederle se su tali punti essenziali ci possa dire qualcosa di più.

MARGHERITA BONIVER. Signor presidente, ascoltando con molta attenzione la relazione del Ministro Frattini si capisce molto chiaramente anche dalle sue caute considerazioni che siamo all'anticamera - speriamo - della conclusione della prima fase della cosiddetta «guerra di Libia», una guerra umanitaria come voluta dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU, alla quale credo l'Italia abbia partecipato giustamente, magari non convintamente nella primissima fase, ma in modo determinante offrendo la base NATO.
Siamo anche convinti che la vera guerra di Libia inizia adesso: siamo ai primi passi di una complessa operazione di nation building, in cui evidentemente i libici dovranno giocare un ruolo assolutamente preponderante e determinante. Qui cominciano però anche interrogativi, perché abbiamo visto e anche conosciuto un rappresentante del Consiglio nazionale transitorio e ovviamente, così come spesso succede alla caduta dei regimi totalitari, la stragrande maggioranza di coloro che si affacciano adesso e parlano di democrazia e libertà per la Libia in realtà erano sodali di Gheddafi fino a cinque minuti prima.
A questo punto interrogativo naturalmente non possiamo dare risposte, ma ci induce alla necessaria, molto attenta cautela proprio perché la road map di cui abbiamo appreso in questi mesi e che è stata confermata adesso dal Ministro degli esteri è particolarmente complessa in un Paese che in quarantadue anni di regime di Gheddafi non si era mai dotato di vero e proprie istituzioni.
L'esercizio primario della comunità internazionale, quel nation building che ci ha visti impegnati negli anni passati sia in Iraq - ed è sacrosanto l'appello a non commettere i gravissimi errori commessi in Iraq - e ci vede quotidianamente impegnati con un pesantissimo tributo di sangue in Afghanistan, in Libia avrà un tracciato similare dal punto di vista della presenza e dell'attenta mappatura delle istituzioni internazionali dell'Unione europea, di quella «Commissione di Venezia» indispensabile non soltanto per redigere costituzioni degne di questo nome, come è


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stata offerta sia in Tunisia che in altri Paesi del Medio Oriente, ma in Libia avrà presumibilmente una vita più complessa.
Anche l'interventismo anglo-francese ha lasciato inevitabilmente delle tracce, che dovranno essere cancellate al più presto, perché non si può giocare un ruolo delle parti così ingiusto, come è stato iniziato, dopo l'approvazione della risoluzione n. 1973, il 17 marzo di quest'anno. Rimane impresso non tanto l'immediato interventismo militare dei bombardieri francesi e inglesi quanto il fatto che vi sia stato poi un allineamento più lento e tardivo da parte della comunità internazionale, in cui l'Italia ha giocato un ruolo di piena dignità e di pieno significato.
Considero un dovere la riattivazione del Trattato di amicizia e cooperazione italo-libica, perché questo Trattato, come tutti i colleghi sanno fino alla nausea, era stato considerato come minimo vent'anni prima, ha coinvolto governi di ogni colore politico nel nostro Paese e aveva cominciato a dare frutti anche molto positivi, che dovranno essere al più presto riattivati, in un'ottica non soltanto di interesse nazionale, ma anche geopolitica. In tal ottica l'Italia è e rimane non soltanto il primo partner commerciale con la Libia, ma certamente il Paese che più ha a cuore la sua rinascita su basi democratiche e, quindi, tutto l'aiuto, sia umanitario, sia tecnico, che l'Italia dovrà e potrà fornire sarà assolutamente doveroso e necessario.

GIANNI VERNETTI. Anch'io ringrazio il Ministro per la relazione. Svolgo due brevi considerazioni e pongo una domanda.
Io penso che l'Italia abbia fatto ciò che era giusto. Credo che questo sia anche il motivo per il quale c'è stata un'ampia convergenza in Parlamento a fronte di una gravissima emergenza umanitaria, di rischi enormi per la popolazione civile e di una risoluzione storica, come è stata la n. 1973, che forse per la prima volta in modo così esplicito ha messo in cantiere l'applicazione della dottrina della «responsabilità di proteggere» e ha dato il via a quella che potremmo definire un'azione bellica umanitaria preventiva, che ha evitato certamente disastri e conseguenze ben peggiori.
Io sono stato molto positivamente impressionato dal documento del CNT libico, che è il prodromo della road map presentata al gruppo degli Amici. È un documento che, date le condizioni, come altri colleghi hanno rilevato, in un Paese nel quale di certo non c'è una vibrante società civile con la quale interloquire, a me pare essere politicamente rilevante: traccia un percorso complesso, ma articolato verso la costruzione e la stabilizzazione di una società democratica, aperta, libera e multipartitica. Io credo che questa sia la vera grande sfida che oggi noi abbiamo di fronte. Oggi per l'Italia comincia una fase di responsabilità importante, un enorme lavoro di nation building, come si è rilevato.
In questo contesto il lavoro da svolgere da parte nostra è certamente quello di riattivare il riposizionarsi dal punto di vista economico-commerciale. Su questo non c'è dubbio. Io sono convinto che l'Italia continuerà a essere il primo partner commerciale della Libia, ma forse oggi c'è bisogno, accanto al protagonismo economico-commerciale, di un ulteriore salto di qualità dal punto di vista della presenza politica. Penso che, oltre al ruolo che abbiamo avuto in questi mesi, a noi sia richiesto un impegno fortissimo di consolidamento delle nuove istituzioni libiche e di costruzione della nazione libica, con una presenza e un lavoro che credo andranno rafforzati e finanziati in modo significativo nei prossimi mesi.
Concludo con le considerazioni e passo a una domanda specifica. Vorrei sapere, signor Ministro, se lei ritiene possibile una missione NATO e un'eventuale partecipazione italiana a una possibile missione NATO per la formazione dell'esercito, della polizia e del sistema di sicurezza del futuro governo libico. La riterrei una possibilità peraltro pienamente compatibile anche con quanto fin ora disposto dalle risoluzioni, le quali escludevano l'utilizzo di truppe di forze di terra nel contesto


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bellico. Il contesto post-bellico di stabilizzazione, però, è profondamente differente.

PIETRO MARCENARO. Grazie, signor Ministro. Ci sono molte questioni da affrontare. A una accennava l'onorevole Boniver, parlando di Francia e Inghilterra. Naturalmente Francia e Inghilterra hanno occupato questo spazio nel vuoto totale, nella scomparsa in questa vicenda dell'Europa, del suo Alto Rappresentante e del suo servizio diplomatico. Sarebbe una questione che richiederebbe una discussione a sé, perché è un problema molto serio e l'unica via per pensare a ridiscutere quel ruolo sarebbe a livello europeo.
Come altri hanno osservato, anch'io concordo sul fatto che siamo a un primo approdo positivo, un risultato forse al di sopra di molte aspettative per alcuni aspetti. Lei, però, signor Ministro, sa che alla fine la comunità internazionale sarà giudicata sulla base della qualità del risultato, anche se naturalmente l'aver impedito una degenerazione della situazione è di per sé già un fatto molto importante.
Voglio solo svolgere due osservazioni. Anch'io ho visto il documento cui faceva riferimento l'onorevole Vernetti, però so anche che coloro che hanno scritto quel documento non sono ragazzi appena arrivati. Sono professionisti che sanno che cosa gli europei vogliono sentirsi dire e sono in grado di scriverlo. La prova va compiuta in un altro modo, naturalmente sul campo, verificando che cosa accadrà.
Io sollevo tre questioni. Della prima ha parlato anche il collega Lapo Pistelli e riguarda la questione di Gheddafi. Il fatto che ci sia da parte della comunità internazionale e del nostro Governo un pronunciamento perché non si ripeta l'atroce spettacolo che abbiamo visto con Saddam Hussein, ossia che si escluda qualsiasi forma di condanna a morte nel caso in cui il colonnello sia catturato e che o il Tribunale internazionale o nel caso di un giudizio in Libia, ciò avvenga con garanzia internazionale a me pare una questione che non costituisce un fatto isolato. È una questione politica di oggi che segnerà il futuro.
Il secondo punto, che a me pare determinante, è ripetere con forza che adesso è l'ora di una politica di riconciliazione, perché solo nel quadro di una politica di riconciliazione è possibile ridurre al minimo gli elementi di violenza che comunque per una lunga fase resteranno in una società tanto profondamente segnata. A me pare una questione sulla quale noi dobbiamo esprimerci e, dopo quanto è capitato e dopo ciò che la comunità internazionale ha fatto, spero che nessuno invochi un principio di non interferenza.
Passo all'ultima considerazione. Signor Ministro, c'è la questione dell'immigrazione, ma c'è anche il problema che in Libia si trovavano, a seconda delle stime, 1,5 ovvero 2,5 milioni di immigrati, fra regolari e irregolari, su 6 milioni di abitanti. Si valuta - ho visto i dati forniti dalle agenzie che si occupano del tema - che circa 800-900 mila di essi siano uscite per la maggioranza verso la Tunisia, ma anche che ce ne siano ancora circa un milione, esprimendosi naturalmente in cifre orientative, e Amnesty International ha cominciato a denunciare persecuzioni che sarebbero avvenute. Queste persone sarebbero identificate come eventuali mercenari e sarebbero sottoposte ad altre accuse. La questione di come sarà gestito questo aspetto tanto rilevante non è l'ultimo dei problemi e io penso che sarebbe bene se il Governo italiano mettesse tale punto nell'agenda dei problemi che considera e sui quali può impegnarsi e spendere un po' del suo ruolo.

FURIO COLOMBO. Io vorrei svolgere un'osservazione. Il Ministro Frattini, appartenendo anche psicologicamente, nello slancio psicologico che ha spesso caratterizzato il suo intervento, a un Governo fortemente ornamentale, che mette i festoni ai balconi, ma non permette di vedere l'interno delle stanze, ci ha descritto una Libia molto simile alla rappresentazione delle condizioni economiche


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dell'Italia quando ci raccontavano che eravamo fuori dal tunnel, che tutto il peggio era alle nostre spalle ed era passato, ma purtroppo è risultato che non era vero.
Basta la consuetudine con le immagini serali che le diverse televisioni ci mostrano sulla Libia e sullo stato della città di Tripoli e del cosiddetto assedio nel luogo in cui si troverebbe o non si troverebbe Gheddafi per mostrarci la rozzezza, l'incompletezza, il pericolo, l'instabilità, la non definizione, la mancanza di autorità e di coerenza in una situazione decisamente meno positiva rispetto alle condizioni che ci sono state descritte dal Ministro. Inoltre, va osservato che dalla stampa internazionale non risulta metà della metà del ruolo dell'Italia che il Ministro con tanta contentezza ci ha fatto notare; in più, dobbiamo renderci conto che un gruppo come quello degli Amici della Libia è un gruppo piuttosto affollato, nel quale ovviamente dobbiamo immaginare una proporzionale - basterebbe una proiezione su computer - diminuzione e riduzione di un ruolo dell'Italia che, quando lo abbiamo lasciato nelle mani di Gheddafi, fino a quando Gheddafi era ancora il grande amico dell'Italia e la controparte del Trattato, era un ruolo esclusivo. La parola che lei ha usato, Ministro, è «riattivazione»: l'idea che il Trattato Italo-libico possa riattivarsi in un'orchestra al completo di tutti i suoi elementi, ossia il gruppo degli Amici della Libia, è di per sé un pensiero non realistico.
Inoltre, permetta almeno a coloro che si sono opposti a quel Trattato in questo Parlamento di osservare che se entrano le Nazioni Unite come garante e supervisore non c'è un solo articolo di quel Trattato che potrebbe ottenere l'approvazione e l'omologazione dal punto di vista del Segretario generale e di qualunque organo delle Nazioni Unite, prima di tutto l'Agenzia per i rifugiati. Basterebbe un'audizione con il rappresentante italiano dell'Agenzia dei rifugiati per sentirci dire che cosa le Nazioni Unite pensano di quel Trattato.
Mi permetta, Ministro, ma ricordare il fatto che Gheddafi ci avrebbe coperto di un'ondata di immigrazione fa pensare a uno dei più brutti errori della sua, per fortuna migliore, carriera durante il periodo del conflitto, quando lei ci ha annunciato che si sarebbe potuti arrivare a un milione di profughi. Lei chiama «traffico di esseri umani» l'esodo di popoli da fame, guerre, rivoluzioni, torture, distruzioni, purtroppo cedendo al linguaggio di un suo partner di governo. Credo che non sarebbe il suo linguaggio, ma lo ha adottato per quieto vivere e probabilmente per ottenere un «sì» sulle pensioni. Resta il fatto che non ricordare in questa sede i tanti morti che ci sono stati durante questi mesi nel Mediterraneo, intendo dire coloro che sono morti affogati, o coloro che non hanno avuto soccorso neanche da navi della NATO, il non ricordarli almeno come si fa in Aula quando si ricorda un collega defunto, mi sembra grave e moralmente da ripensare.
Infine, vorrei confermare, ma anche sostenere e approfondire, ciò che il collega Tempestini ha detto in quest'Aula: bisogna ritornare sul Trattato, dal punto di vista del dedicare più tempo. Ecco, lei sa che io sto parlando dal punto di vista di chi ha un'opinione personale negativa; lei sa che avevo firmato e sostenuto il 9 novembre la mozione del collega Mecacci nell'Aula della Camera, che contiene ventuno domande senza risposta, motivate, precise, tutte conosciute dall'opinione pubblica internazionale su quel Trattato e sull'uso di quel Trattato nei confronti dei migranti.
Credo di interpretare in questo senso cioè che l'onorevole Tempestini ha detto come capogruppo del PD nella Commissione esteri, chiedendole, signor Ministro, di darci l'occasione di esaminare con lei, con la Camera ed il Senato riuniti in una situazione come questa, il Trattato prima di usare la parola «riattivazione». Dico questo dal punto di vista non di chi ha votato contro e lo ha rifiutato, ma da quello più oggettivo - non dirò più sereno perché non è tipico del mio modo di intervenire e delle cose che ho detto finora - di chi intende valutare come il Trattato così com'era si potrebbe ambientare in una situazione che è definita dal gruppo degli Amici della Libia in proporzioni,


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misure ed equilibri radicalmente diversi da quelli in cui il Trattato è stato votato da questo Parlamento. Grazie.

ENRICO PIANETTA. Signor presidente, esprimo una considerazione generale perché mi sembra che la questione libica dal punto di vista della gestione da parte della comunità internazionale possa essere riconsiderata con moderata soddisfazione. In fin dei conti, non sono stati commessi errori come in altre circostanze, e credo che questo sia un fatto positivo da rimarcare sia a livello di comunità internazionale sia per quanto riguarda il comportamento dell'Italia.
Sottolineo e condivido anch'io le conclusioni del Ministro a questo riguardo: l'Italia si è comportata lealmente a livello atlantico e anche per quanto attiene la questione della risoluzione delle Nazioni Unite, tutto questo con il grande supporto e la condivisione del Parlamento. Credo che grazie a questo comportamento sia possibile condividere le considerazioni del Ministro in relazione al fatto che l'Italia potrà continuare ad essere in pole position nei confronti della Libia. Prima l'Italia ha messo a disposizione le basi NATO, oggi mette a disposizione, per tutta la futura attività logistica e per quanto riguarda tutta la prospettiva, le basi logistiche di Brindisi.
Credo che questi siano i fondamentali punti politici che hanno caratterizzato l'aspetto della gestione da parte della comunità internazionale e la gestione da parte dell'Italia. Credo inoltre che la presa di posizione e la proposta da parte libica della Road map debba essere considerata con particolare favore, perché rappresenta un'assunzione di responsabilità per quanto attiene lo sviluppo futuro nel proprio Paese da parte degli attuali responsabili.
In questo contesto credo che debba essere valutata in maniera molto positiva l'assunzione di responsabilità, nel quadro generale, da parte delle Nazioni Unite attraverso la missione politica integrata, ma al tempo stesso, signor Ministro, ritengo che l'accordo con l'Unione europea, anche se deve essere oggetto di richiesta esplicita da parte libica, debba essere auspicato con molta determinazione. Pur lasciando all'autonomia della Libia questa decisione, credo che dovremmo mettere in atto tutti gli sforzi necessari perché questa azione possa essere avanzata da parte libica.
Sono anche convinto che per continuare ad essere in pole position dobbiamo riattivare - uso questo verbo perché mi sembra molto adeguato - il nostro Trattato di amicizia con la Libia, con quegli eventuali aggiornamenti che possono essere discussi e concordati con le nuove autorità libiche.
Concludo con una preoccupazione. Indubbiamente si è trattato di una guerra civile, che ha già determinato molto sangue in terra libica, e io credo che l'Italia e la comunità internazionale debbano mettere in atto, in questo momento, la cautela e l'attenzione necessarie per evitare che ci possano essere vendette e ulteriori bagni di sangue. I possibili colpi di coda da parte di un regime che dobbiamo auspicare possa essere negli ultimi giorni della sua esistenza possono avvenire: ritengo quindi che la comunità internazionale debba in questo momento con particolare attenzione mettere in atto tutta l'assistenza possibile e proporre, come elemento prioritario, la cura dei feriti, la distribuzione di medicinali e tutto ciò che riguarda il ripristino delle infrastrutture, della distribuzione dell' acqua potabile e lo sminamento del territorio. Soprattutto, ripeto, ci deve essere molta attenzione, perché non dobbiamo assistere, sull'altra sponda del Mediterraneo ad un ulteriore bagno di sangue che metterebbe a rischio tutto il buon esito dell'azione internazionale in corso nei confronti della Libia.

FRANCO NARDUCCI. A me pare che a gennaio le rivolte arabe suscitassero veramente simpatia in tutto l'Occidente, mentre oggi ci sono molte preoccupazioni soprattutto in Europa, perché si cominciano a evidenziare le conseguenze negative principali.
Per esempio, durante i mesi della guerra dall'Europa sono state vendute grandi quantità di armi che ora stanno finendo in Medio Oriente. Anche nella recente Conferenza delle Commissioni affari


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esteri dell'Unione europea a Varsavia si è registrato uno smarrimento dei partner europei, un'inquietudine dei Parlamenti nazionali di fronte a un vuoto che definirei quasi pneumatico dell'iniziativa diplomatica europea e alla preoccupante afasia dell'Alto Rappresentante - come il presidente Dini ha sottolineato nel suo intervento in quella sede - con una serie di cacofonie anche a livello di piccoli Paesi europei.
Credo che bisogna veramente smorzare sul nascere il rischio di ulteriori frammentazioni tra gli alleati, che si rifletterebbero inevitabilmente sul terreno della transizione post-bellica, rendendola ancora più difficile. Si fa in fretta a sostenere che dobbiamo costruire la democrazia in Paesi che sono molto lontani dalla democrazia stessa. Se si comincia a ragionare in termini di Realpolitik, credo che sia assolutamente necessario che l'Italia, e in questo il Ministro mi pare sia stato chiaro, sappia fornire un suo contributo forte alla politica estera europea, un contributo che vada oltre la sola questione libica. L'Unione europea si deve riappropriare o appropriare dell'intero dossier che riguarda l'Africa del Nord e di quanto sta accadendo in quei Paesi con un disegno di prospettiva, di lungo termine.
Ultimamente l'Europa ha formulato diverse proposte, come quella dell'appoggio di un partenariato per la democrazia e per la prosperità condivisa. Più recentemente si è espressa anche attraverso proposte di revisione della Politica europea di vicinato e la creazione di una nuova task force per il Mediterraneo del Sud.
In questa prospettiva, signor Ministro, lei ha citato molti punti in cui bisognerebbe intervenire con la formazione. Le chiedo anche qual è la posizione del Governo in ordine al progettato Fondo europeo per la democrazia, che è stato proposto nell'ambito della Politica europea di vicinato.
Per quanto riguarda lo sfruttamento delle ingenti risorse energetiche della Libia, mi pare che la Conferenza di Parigi sia arrivata a un punto di svolta. Le chiedo se risponda a verità che, come riportato dalla stampa francese, ci sia già un impegno del CNT affinché un terzo delle risorse energetiche libiche venga sfruttato dalla Francia. E da ultimo vorrei conoscere la sua opinione rispetto alla notizia di agenzia di oggi secondo cui, nel piano della road map, l'amministrazione della giustizia secondo il CNT in attesa di riforma sarà ispirata alla sharia.
Credo che questo sia un pericolo e un rischio anche per i futuri rapporti internazionali di lungo termine.

MASSIMO LIVI BACCI. Desidero esprimere due considerazioni. La prima riguarda il Trattato di amicizia con la Libia e l'eventuale revisione di alcune sue parti o clausole. Ritengo che il quadro finanziario probabilmente dovrà rimanere quello che è, ma inviterei a riflettere sulla possibilità di rivedere i tipi di intervento.
Il Trattato di amicizia prevede interventi molto pesanti in grandi infrastrutture, ma forse non sempre l'investimento in grandi infrastrutture è la via migliore per sostenere lo sviluppo di un Paese come la Libia, che manca di piccola e media impresa, di artigianato, di un'agricoltura moderna. Forse occorrerebbe non sottostare alla pressione dei grandi potentati economici, che giustamente dal loro punto di vista tendono a convogliare le risorse e gli interventi in grandi progetti, ed essere ricettivi nei riguardi di eventuali richieste da parte del Governo libico di interventi più o diversamente orientati allo sviluppo.
La seconda considerazione è già stata sollevata. Come tutti i Paesi produttori di petrolio, la Libia dipende dal lavoro straniero. I Paesi arabi che producono petrolio hanno dal 30 per cento dell'Arabia Saudita al 90 per cento dell'Oman della loro popolazione costituito da immigrati. La Libia un po' meno, ma, come prima evidenziato dal senatore Marcenaro, ha 1,5-2 milioni di immigrati. Di questi l'UNHCR ha enumerato, a tutta la prima settimana di agosto, quasi 1,5 milioni di transiti dai confini libici in uscita, di cui una buona fetta costituita da libici, ma una buona


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quantità da tunisini, egiziani, ma anche nigeriani, abitanti dell'Africa sahariana e subsahariana.
Questi rientreranno sicuramente se ci sarà ricostruzione, e quanto più veloce sarà la ricostruzione tanto maggiore sarà il bisogno di rientro degli immigrati. Credo che questa sia un'occasione per l'Italia, anche di fronte all'Europa, di rimettere su un piano umano e legale tutta la questione dei flussi migratori e del loro controllo. In maniera più specifica mi domando se non sia il momento di realizzare in Libia, con l'aiuto degli altri Paesi europei ed eventualmente di altri, per i profughi che volessero fare domanda di asilo presidi che siano abilitati a ricevere ed esaminarne le domande con tutte le garanzie disponibili.
Credo che questo sarebbe un progresso di grandissima importanza e che questo sia il momento di fare pressione perché questo avvenga. Invito quindi a riflettere su questo punto e credo che le organizzazioni internazionali come l'UNHCR debbano rimettere piede con piena forza in territorio libico e si debba sostenere questo tipo di azione.

MATTEO MECACCI. Ringrazio anch'io il Ministro per averci dato molte informazioni in questa relazione e credo sia stato politicamente abile nel cogliere alcuni elementi di fatto che ci sono stati in queste ultime settimane, a partire dalla presa di Tripoli e dall'avanzata dei ribelli per delineare un quadro della situazione in Libia che però a me appare eccessivamente ottimistico come - per usare un eufemismo - eccessivamente ottimistiche erano state alcune valutazioni del Ministro relative al regime di Gheddafi.
Dico questo non per amore di polemica, ma per cercare di evitare che il nostro Paese compia alcuni gravi errori politici commessi in passato, che rischia di commettere anche in questo nuovo scenario libico. Non sono state citate, però nei giorni precedenti alla Conferenza di Parigi ci sono state dichiarazioni di esponenti del Consiglio nazionale transitorio, che credo avrebbero dovuto avere risposta sia dalla Conferenza di Parigi che dai Paesi che sono stati più impegnati in questo intervento della NATO, che a mio avviso sono molto preoccupanti.
La prima riguarda il diritto/dovere delle autorità libiche di processare Gheddafi. Queste sono state le dichiarazioni degli esponenti del Governo libico non contestate da nessuno, mentre anzi il Presidente Sarkozy in sede di convocazione della Conferenza di Parigi ha ribadito il diritto dei libici di processare Gheddafi.
Se noi al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite diamo mandato alla Corte penale internazionale di avviare le indagini, con tutto quello che poi è accaduto, le richieste di arresto e quant'altro, e di fronte alla situazione ricordata da tanti colleghi in cui da 40 anni in Libia non esiste alcun sistema giudiziario che possa essere ritenuto minimamente credibile per il rispetto degli standard internazionali, ancora a conflitto in corso si dice che spetta ai libici processare Gheddafi, ci si mette nella situazione che lei stesso, signor Ministro, e la Conferenza di Parigi ha detto di voler evitare, una situazione di stampo iracheno in cui, se il dittatore non viene ucciso prima, come è probabile che accada, verrà processato nelle piazze, stabilendo un record per nulla positivo per un intervento a protezione umanitaria da parte delle Nazioni Unite e della NATO.
Altra dichiarazione: no assoluto a presenza di peacekeeper delle Nazione Unite sul territorio libico. Questi esponenti del Consiglio nazionale transitorio di libico forse sono arrivati a Tripoli anche grazie a un qualche contributo della comunità internazionale e di truppe internazionali. Immaginare - conosco le obiezioni: forze di occupazione straniera sul territorio, giammai - però una presenza di peacekeeper delle Nazioni Unite che possano garantire, ad esempio, le centinaia di migliaia di migranti che, come si è letto due giorni fa sul New York Times e ieri sul Corriere della Sera, sono oggetto di caccia all'uomo in alcune zone del Paese perché ritenuti mercenari al servizio di Gheddafi.
È infatti necessaria una forza di monitoraggio e di presenza internazionale


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anche in grado di difendersi sul territorio libico, visto che le Nazioni Unite sono presenti in 20-25 scenari internazionali con presenze di peacekeeper civili e militari che però garantiscono anche che questi processi di transizione non sfocino in guerre civili. Non farlo in Libia dove c'è una missione NATO con autorizzazione del Consiglio di sicurezza dell'ONU sarebbe un grande errore.
Ci chiediamo allora cosa si possa fare anche a livello bilaterale. Lei, signor Ministro, ci ha detto che entro due settimane ci si aspetta di avere un nuovo Governo a Tripoli, con un processo inclusivo anche di alcuni settori non compromessi con il vecchio regime, che possano garantire anche alla parte di Tripoli una qualche forma di rappresentanza.
Credo che immediatamente vada chiesto al nuovo Governo libico di ratificare, come ha fatto il Governo transitorio tunisino, tutti gli strumenti internazionali in materia di diritti umani: convenzione sui diritti civili e politici, convenzione ONU sui rifugiati e tutte le altre norme che ben conosciamo, che sono il quadro di riferimento da cui si può partire per fare la ricostruzione. Se non ci sono queste norme di riferimento, dare mandato a una nuova Costituente di immaginare una nuova interpretazione dei diritti umani in base alle identità culturali di Paesi di nuova democrazia credo che sarebbe un errore.
È inoltre giusto sostenere questa road map, però credo che vada chiesto - anche in un ambito di necessità che queste autorità hanno, da un lato di scongelamento dei beni libici all'estero, parliamo di molte decine di miliardi di euro, dall'altro per i fondi che a livello bilaterale il nostro Paese, come altri, si è impegnato a versare - di garantire che ci siano forme di monitoraggio, non di colonizzazione, dei processi politici.
Che cosa significa ciò? In Egitto il referendum che si è tenuto e le prossime elezioni si svolgeranno senza la presenza di osservatori internazionali per il rifiuto delle autorità egiziane di avere questo tipo di presenza. Credo che sia un elemento di preoccupazione molto forte che si aggiunge a quelli che si sono già evidenziati. Giustamente il senatore Compagna osserva che invece in Tunisia saremo presenti come Assemblea parlamentare dell'OSCE il 23 ottobre. Questa presenza ci sarà perché vi è stata anche un'insistenza dal livello europeo a quello politico internazionale; bisogna far sì che nel sostegno a questi processi di transizione non si diano nuovi assegni in bianco. Come abbiamo imparato dal passato e anche dalla vicenda del Trattato di amicizia con la Libia, quando si danno assegni in bianco a regimi che non hanno garanzie di tipo burocratico, si rischia molto.
Chiudo brevemente sul trattato. Io credo che nei mesi scorsi sia stato commesso un errore dal Governo, quando il Parlamento l'aveva chiesto e ci si è rifiutati di denunciare formalmente l'applicazione del trattato. La riattivazione di un trattato - non sto a insegnare nulla a nessuno - non esiste come termine giuridico. Un trattato o esiste o non esiste. Noi non lo stiamo applicando, perché abbiamo scelto di non applicarlo a livello politico, pur essendo vincolati a farlo.
In quel trattato non vi sono le stesse garanzie che la comunità internazionale normalmente chiede per i Paesi che si avviano a un processo di transizione democratica e in termini di rispetto di tali trattati internazionali. Accolgo positivamente la disponibilità del Ministro e l'annuncio di riunioni di queste commissioni miste e auspico che si inseriscano all'interno del trattato condizioni vincolanti anche per l'esborso dei tanti soldi che il nostro Paese si è impegnato a erogare, perché si parla di 200 milioni di euro l'anno per venti anni in opere pubbliche sul territorio libico, e che ci sia una garanzia che ciò possa avvenire in un contesto in cui i diritti e lo Stato di diritto di quel Paese possano essere rispettati.

MARCO PERDUCA. Si è parlato di riconciliazione. Se esistono processi di riconciliazione che hanno potuto portare a un contesto socio-politico e istituzionale migliore, questi si sono sempre basati sulla


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ricerca della verità per arrivare alla riconciliazione. Non vorrei che, laddove si parlasse di riconciliazione, si facesse l'economia della ricerca della verità, sia per quanto riguarda tutti i nuovi amici del popolo libico (Italia, Francia e Inghilterra in prima posizione, e si potrebbero scoprire alcune verità un po' scomode), sia per quanto riguarda chi oggi si ritiene essere il «legittimo» e «legale» rappresentante del popolo libico, cioè questo fantomatico CNT, che solo dieci giorni fa ha reso nota la lista di tutti i propri componenti.
Speriamo tutti che, visto e considerato che per quanto riguarda la Libia c'è un atteggiamento di assestamento per fasi successive relativamente a ciò che si riteneva giusto e a ciò che il giorno dopo si ritiene ancora più giusto, da parte dell'Italia in modo particolare, quando si passerà al Consiglio di sicurezza, la verità venga prima della necessità di riconciliazione, perché si possano stipulare patti chiari, non come quelli del Trattato che si è ratificato tre anni fa, e un'amicizia veramente lunga e sicuramente una volta per tutte con il popolo e non con le nuove oligarchie.
Ricordo soltanto, come primo esempio in cui la comunità internazionale si è fatta carico della ricostruzione di una nazione, cioè la Cambogia, che molto probabilmente anche in quel caso la verità non è stata tutta scavata, tant'è vero che ci siamo trovati a trent'anni di distanza dai fatti a dover costituire un tribunale speciale per trovare le responsabilità dei Khmer rossi. Oggi ci troviamo con lo stesso signore, allora salutato come liberatore della Cambogia da Pol Pot, cioè Hun Sen, che continua a trattare i propri cittadini magari come li trattiamo anche noi in Italia, ma sicuramente non rispettando i loro diritti civili, politici, economici, sociali e culturali.
Tutta questa ricerca di verità, che poi si potrà ampliare anche sul ruolo di Gheddafi in altri conflitti della regione, a partire da quello dell'Iraq, secondo me va nella direzione auspicata dall'onorevole Mecacci e dall'onorevole Colombo: si deve rivedere il trattato e anche imporre la ratifica degli strumenti internazionali dei diritti umani. Altrimenti, come non abbiamo fatto - ahimè - in Afghanistan, ci troviamo il giorno dopo una bellissima Assemblea costituente che crea la Repubblica islamica di Libia e siamo punto a capo a tentare di trovare un'exit strategy che duri altri dieci anni, ma che non porta a casa nulla per il popolo libico, di cui siamo sempre stati tutti tanto amici.

ARTURO MARIO LUIGI PARISI. Col suo tradizionale approccio analitico, signor Ministro, lei ha messo a disposizione nostra per oggi e per domani un numero consistente di elementi che ci chiamano ad approfondire la riflessione. Sono molti, direi forse troppi. Tuttavia, di uno sento ancora la mancanza ed è un tema che ho avuto occasione di sottoporre nel corso dei nostri incontri: mi riferisco a un giudizio o comunque a informazioni più articolate e nitide per quanto riguarda il Consiglio nazionale di transizione.
Come mi è capitato di osservare, di Gheddafi sappiamo molto, ma del Consiglio nazionale di transizione sappiamo troppo poco. Poiché immaginiamo che esso sarà il nostro interlocutore per quanto riguarda il futuro, mi avrebbe fatto piacere sapere qualcosa di più di alcuni eventi, di alcune figure, di alcuni nomi nei quali ci siamo imbattuti nella stampa nel corso degli ultimi mesi. Mi riferisco all'episodio dell'uccisione del responsabile delle forze armate del Consiglio nazionale di transizione, all'assunzione della responsabilità da parte di un esponente che ha una nitida, ancorché esposta a ripensamenti, estrazione islamista e alla dichiarata presenza di componenti islamiche all'interno di questo interlocutore collettivo.
Sono costretto naturalmente a chiederle, per una prossima riunione nel corso del nostro ulteriore percorso, di disporre di più elementi, perché come minimo ritengo che in questa interlocuzione noi dobbiamo mettere in campo un atteggiamento più rigoroso ed esigente di quello che ha connotato i rapporti tra noi e


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l'autorità libica del passato ai tempi del Governo, per così dire, di Gheddafi. Non possiamo in alcun modo permetterci di ripetere gli stessi errori.
Anche dagli elementi che lei ci ha offerto purtroppo noi non siamo in condizione di tirare le somme e purtroppo gli elementi mettono capo ad alcune combinazioni. L'assenza di un giudizio sintetico mi impedisce sostanzialmente di alleggerirmi di un termine che nel fascicolo delle relazioni italo-libiche e tra Europa e Libia vede una parola superare le altre, ossia «imbarazzo» e persino «vergogna», imbarazzo e vergogna per le modalità con cui si è sviluppato il nostro rapporto passato con la Libia e per alcuni passaggi di questa vicenda recente e, non vorrei, anche per quello che ci attende in futuro.
Partendo da questa ignoranza e da questa sensazione, mi permetto di rivolgerle una domanda semplicissima. Lei ha affermato, con una punta di orgoglio, pensando al futuro, che noi siamo stati e siamo i primi partner della Libia sul piano commerciale. Prendo atto di ciò, anche se è assolutamente compatibile con una ridefinizione dei rapporti che vede altri soggetti, che sarebbero in seconda posizione, crescere enormemente nel loro peso. Ad ogni modo, la domanda è se si sentirebbe di dire la stessa cosa per quanto riguarda il versante politico. Potremmo dire che l'Italia, ancorché in un'interlocuzione dialettica e critica nei riguardi della Libia, occupa la stessa posizione nella graduatoria che lei ha rivendicato dal punto di vista economico?
Se per caso fossero sfasate queste due graduatorie - quella economica e quella politica - mi potrebbe aiutare a capire a che cosa attribuisce questa sfasatura per il passato e in che modo questo divario può essere recuperato per il futuro?

GIANNI FARINA. Vorrei formulare alcune considerazioni, anche per capire chiaramente il ruolo che può avere l'Italia in un contesto tanto difficile e persino drammatico.
Leggo oggi su Le Monde che, attualmente, il problema della Libia sono i ragazzi del Paese che hanno lavorato per il regime e che non vogliono lasciare il potere. Dico questo perché non ci sono dubbi che Gheddafi fosse un dittatore sanguinario. Mi sembra evidente e concreto. Tuttavia, anche che la Libia non abbia mai conosciuto la democrazia in tutta la sua storia, prima e con Gheddafi, mi sembra una realtà di cui dobbiamo tener conto. Si parla tanto di processo di riappacificazione. Vorrei, però, capire come deve avvenire questo processo e quale sarà lo strumento con il quale si opererà nel Paese per consultare le tribù, che sono una realtà fondamentale del Paese da cui non possiamo prescindere se vogliamo costruire una Libia moderna.
Vengo a un'altra considerazione. Quanto successo in Libia è totalmente diverso da quanto è accaduto nel resto del Maghreb, ovvero dalle rivoluzioni egiziana, tunisina e, in parte, anche se guidata dalla monarchia e con un processo democratico in atto, marocchina. Queste sono state vere e proprie rivoluzioni democratiche popolari, di cui, oltretutto, non abbiamo tenuto sufficientemente conto. Invece in Libia è stato diverso. Allora chiedo chi sono gli esponenti del CNT, che è passato hanno e che ruolo possono avere nella costruzione di una Libia moderna.
L'ultima considerazione è che dobbiamo pensare a un ruolo dell'Europa, che non c'è stato. La divisione dell'Europa, in questa circostanza, è stata drammatica, evidenziando ancora una volta una crisi che perdura e che va superata. A parte questo, mi chiedo quale possa essere il ruolo dell'Unione africana. Questo è un aspetto interessante.
Per parte mia, sono convinto che l'Africa del Nord seguirà l'Egitto, per cui dovremmo fare tutto il possibile per aiutare questo Paese, che ha una tradizione millenaria, a recuperare un ruolo importante nel contesto del Maghreb. Tuttavia, è evidente che il ruolo dell'Unione africana può e deve essere fondamentale per la costruzione di una nuova democrazia per quanto riguarda la Libia e tutti i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo.


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Del resto, qui risiede anche il ruolo specifico dell'Italia. Difatti, abbiamo una grande e forte tradizione di politica mediterranea e dobbiamo fare in modo che in Europa si persegua questo obiettivo, che non è di recuperare solo la Libia a una storia moderna e democratica, ma di avviare tutto il Maghreb a un modo nuovo di concepire i rapporti tra l'Europa e l'altra sponda del Mediterraneo.
Su questa questione vorrei avere alcuni chiarimenti dal Ministro.

LAMBERTO DINI, Presidente della 3a Commissione del Senato della Repubblica. Molto brevemente, a me pare che dalla relazione svolta dall'onorevole Ministro e in particolare dalle osservazioni fatte dai colleghi emerga la vastità dei problemi e le difficoltà che i nuovi dirigenti libici dovranno affrontare per la costruzione o la ricostruzione del Paese.
A questo riguardo non dobbiamo farci illusioni: questa transizione sarà lunga e i problemi che dovranno essere affrontati richiederanno tempo. Si parla di una nuova Costituzione fra nove mesi e poi prima dell'applicazione passerà ancora tempo, ma intanto sarebbe opportuno fare qualcosa di forte per la riattivazione dell'economia. A questo riguardo, signor Ministro, lei ha detto che sono stati scongelati 2,5 miliardi che saranno messi a disposizione del Consiglio nazionale transitorio e possono servire per le opere più urgenti (la riattivazione dei trasporti, lo sminamento). C'è poi da sperare che l'Unione europea come l'Italia possa prestare aiuti umanitari e assistenza, ma la Libia avrà bisogno di soldi per le sue importazioni.
A questo riguardo, per riattivare l'economia non sono sufficienti il Greenstream o la riattivazione del flusso di petrolio: è necessaria la costruzione di un Governo. Chi ricostruisce le istituzioni, chi avrà l'autorità di fare i pagamenti, onorevole Pistelli? Oggi non ci sono i ministeri, non ci sono le autorità per garantire i pagamenti né per le grandi né per le piccole imprese: ci vorrà molto tempo e di questo dobbiamo essere tutti coscienti.
Più colleghi hanno sottolineato i problemi umanitari, i flussi migratori, gli stranieri in Libia, ma sono sorpreso che nessuno abbia fatto cenno con riprovazione a quanto per lungo tempo abbiano fatto la CIA e l'M16 inglese nel riconsegnare a Gheddafi cittadini libici che erano oppositori del regime e che sono stati torturati. Due giorni fa, il Primo ministro inglese ha ordinato un'inchiesta per valutare dal punto di vista morale ma anche politico quanto hanno fatto gli inglesi a questo riguardo, mentre ora si presentano come grandi paladini...

MATTEO MECACCI. Vogliamo fare anche noi un'inchiesta sui rapporti in Italia? Sarebbe una buona proposta...

LAMBERTO DINI, Presidente della 3a Commissione del Senato della Repubblica. A mia conoscenza noi non siamo stati coinvolti in operazioni del genere: sarebbero venute fuori come oggi è emerso che il capo militare dei ribelli è stato torturato da Gheddafi dopo essere stato consegnato dagli inglesi. Mi sorprende quindi che tra tutte le questioni militari nessuno abbia fatto riferimento a questo aspetto che io ritengo riprovevole e sul quale dovrà essere fatta luce.
Ci dobbiamo preparare dunque a una lunga transizione, in cui certamente l'Italia e l'Europa dovranno avere un ruolo importante. In Libia elementi islamisti ci sono e probabilmente avranno un ruolo e un peso anche nella scrittura della nuova Costituzione, di cui abbiamo visto le prime bozze.
C'è da aspettarsi che in questi Paesi dopo oltre quaranta anni di regime emerga un sistema democratico probabilmente più radicale dei predecessori.

PRESIDENTE. Do la parola al Ministro Frattini per la replica.

FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Grazie. Inizierei dalle parole del presidente Dini. Certamente avremo una fase di transizione lunga, complessa, certamente non facile, in cui evidentemente


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l'obiettivo, come comunità internazionale, quindi innanzitutto come Unione europea e Nazioni Unite, è di aiutare la nuova Libia a costruire un sistema di potere, un sistema di governo che possa coniugare il riconoscimento delle libertà civili, dei diritti delle persone, che è stato alla base di questa rivoluzione libica, con il contrasto di quelle infiltrazioni estremiste che preoccupano voi tanto quanto preoccupano me.
È chiaro che la comunità internazionale dovrà svolgere un esercizio molto difficile, quello di interrogarsi oggi sul come riuscire a conciliare due interessi altrettanto importanti: il ripudio di ogni forma di estremismo, che sarebbe in fondo un'altra forma di violazione dei diritti umani, e al tempo stesso il rispetto per la ownership libica.
È un po' curioso che i popoli occidentali, dopo avere, per ragioni di convenienza, tenuto per decenni grandi alleanze con dittatori che garantivano la sicurezza, oggi di colpo si sveglino proponendo soluzioni e ricette.
È ovvio che oggi abbiamo una grande sfida: da un lato, siamo convinti che l'estremismo islamista sarebbe ancora una volta la negazione dei diritti delle persone, dall'altro però dobbiamo accompagnare senza rimpiazzare, suggerire senza imporre. Questa sarà la sfida politica. Come ha detto il presidente Dini, sarà una sfida lunga e complessa, che non si esaurirà in poche settimane.
Anche io guardo con attenzione e con qualche preoccupazione a cosa sta accadendo in Egitto, ma se il Governo egiziano ha rifiutato non solo gli osservatori alle future elezioni, ma anche il prestito del Fondo monetario internazionale, quindi denaro di assoluta necessità per il popolo egiziano, lo ha fatto perché ha trovato nelle condizioni e nelle clausole proposte un qualcosa che offendeva il sentimento di ownership del popolo egiziano. A queste nuove sensibilità dobbiamo abituarci con la politica.
A livello di Unione europea, quando abbiamo deciso quel piano per l'aiuto e sostegno alla democrazia, che è stato ricordato da un collega, un programma della Commissione europea, lo abbiamo intitolato «Una condizionalità intelligente»: non possiamo passare dal tollerare ogni forma di non democrazia a una forma di condizionalità piena, nel senso che se quei modelli non saranno esattamente come piacciono a noi neanche un euro dei fondi europei sarà attribuito. Occorre gradualità e tempo. È più difficile, molto più difficile, ma credo che la Commissione europea abbia fatto bene a dire, ad esempio, «noi non poniamo precondizioni, né dovete assolutamente seguire modelli costituzionali come vi suggeriamo, ma siamo disposti ad aiutarvi se lo volete». La Tunisia ha detto di sì e la Commissione di Venezia del Consiglio d'Europa, come sapete, sta aiutando la Tunisia a costruire un sistema elettorale e costituzionale che probabilmente sarà un buon esempio anche per altri Paesi. Lo dico perché è molto facile passare da un estremo all'altro e quindi la difficoltà e la lunghezza del processo politico sono davanti a noi.
Risponderò ad alcune domande puntuali. Onorevole Pistelli, effettivamente si parla di una missione sul terreno di peacekeeping formata essenzialmente di Paesi arabi africani. Non abbiamo ancora il draft, il testo, però si parte dall'idea che una presenza sul territorio è più utile e più condivisa se proviene dallo stesso mondo e dallo stesso sistema in cui cresce la società libica.
Parlando di Paesi africani, anche in questo caso occorre un distinguo. Non parlerei di Paesi africani subsahariani, con cui c'è una tradizione di inimicizie, di mercenari, una tradizione per cui il popolo libico oggi, sbagliando, tende a vedere molti neri come mercenari, mentre non lo sono, ma sono semplicemente profughi o immigrati da altri Paesi. L'equilibrio che dovrà trovare l'ONU in questo senso sarà molto difficile.
Per quanto riguarda la consegna di Gheddafi alla Corte penale internazionale, credo che molti colleghi non abbiano, per ragioni che non conosco, letto le mie numerosissime dichiarazioni in questo senso. Non ci può essere dubbio su quale


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sia l'opinione del Governo italiano: la giustizia della Corte penale deve avere la priorità. È evidente che ciò significa non solo che si terrà un processo dinanzi alla Corte, ma anche che non si esclude poi un processo libico, perché i crimini contro l'umanità contestati da un lato non escludono la processabilità per altri crimini con giudizio e con tribunali libici. Gheddafi non si sottrarrà alla giustizia della Libia per determinate categorie di crimini.
Ho anche aggiunto che il processo a Gheddafi, quando sarà preso, a suo figlio e al capo dei servizi, dovrà rispettare la dignità dell'accusato. Non ho affermato solo che auspico che non accada come a Saddam Hussein, ma mi sono permesso di auspicare che non accada nemmeno come a Mubarak, il quale viene portato in una barella dentro una gabbia nell'aula del tribunale. Auspico un processo dignitoso e non soltanto secondo le regole, perché si tratta di persone umane, che vanno processate, anche se per crimini straordinariamente gravi.
In merito alle aziende italiane, abbiamo pensato al tema della garanzia economica per le aziende. È uno dei primi temi che affrontiamo nel Comitato bilaterale misto Italia-Libia, perché lo svincolo delle somme fa affluire un flusso di denaro e noi ci auguriamo che con esso si tenga conto di una sorta di indennizzo economico alle piccole imprese per questo periodo di sospensione completa per impossibilità. Ci sono poi le fatture arretrate da pagare e questo è un altro aspetto estremamente importante, che ha ovviamente priorità anche rispetto all'indennizzo e al cosiddetto lucro cessante.
Molti hanno parlato di quale sia il ruolo di un eventuale movimento islamista in Libia. Il capo della sicurezza di Tripoli, come sapete, ha svolto alcune dichiarazioni. A tutti è noto il suo passato, ma probabilmente ai colleghi è sfuggito - spero di no - che, proprio per ovviare alle preoccupazioni che anche l'Italia aveva sollevato, è stata decisa la costituzione di un Consiglio nazionale di sicurezza libico. Questo Consiglio nazionale di sicurezza sarà coordinato dal ministro Tarhuni, che, come sapete, ha un profilo certamente non legato al regime di Gheddafi. È ministro dell'energia del CNT, persona certamente rassicurante sotto questo aspetto.
La preoccupazione esiste anche presso i libici. Occorrerà del tempo anche per spiegare un po' più in dettaglio chi sono i membri del CNT. L'hanno chiesto l'onorevole Parisi e anche altri. Ci sono figure nel CNT - ho citato il ministro Tarhuni e aggiungo anzitutto il Primo ministro Jibril - che non hanno collusioni con il sistema del regime, se non perché hanno vissuto in Libia. Molti di loro, in particolare, vivevano fuori dalla Libia e hanno una formazione certamente più incline alla visione occidentale che a quella di tipo tribale libico. Chi ha conosciuto Jibril sa che è persona che si inserisce perfettamente nel tessuto delle relazioni internazionali per come parla le lingue, per come ha vissuto fuori dalla Libia, per come non ha avuto legami, tantomeno illeciti, con il Governo libico. Si tratta certamente di persona su cui l'intera comunità internazionale può realmente fare affidamento, anche se effettivamente molti componenti del CNT sono stati finora tenuti uniti assai riservati nella loro identità, anche per ragioni di sicurezza, ossia per le semplici ragioni che alcuni di loro vengono da Misurata, altri da Tripoli e da Sirte e, quindi, prima della caduta del regime, la loro incolumità fisica era assolutamente a rischio.
Io credo che comunque dovremo lavorare affinché quello che è stato chiamato «un tasso di islamismo» sia il più lontano possibile dall'islamismo estremista. Non possiamo immaginare che un Paese come la Libia, così come tutti gli altri Paesi del Nord Africa, non abbia un riferimento alla tradizione islamica. Dobbiamo pensare, invece, a quale sia l'attuazione concreta di tale riferimento, se, per esempio, come ha recentemente sostenuto l'università di Al-Azhar al Cairo, la Costituzione egiziana dovrà riconoscere i diritti delle donne nella società e la piena libertà di tutte le religioni o se, invece, si tendesse a scivolare verso una dimensione di tipo proibizionista.


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In questo caso ovviamente la nostra attenzione e la nostra reazione non dovrebbero mancare.
Vi è un discrimine tra ciò che noi occidentali possiamo consigliare o desiderare e ciò che risponde agli interessi del popolo libico; occorre rispetto senza pensare che noi esportiamo il nostro modello e che questo modello si possa calare nella società libica. Non è possibile.
Io ho parlato dell'Egitto, senatore Compagna, non per svolgere alcun riferimento scivoloso, né di alcun altro genere, ma perché in Egitto è stato deciso il referendum popolare sulla Costituzione e anche in Libia si terrà un medesimo referendum.
Ho parlato di segnali moderatamente positivi sulla non esistenza di una vendetta su larga scala perché effettivamente non ci sono rappresaglie sanguinose su larga scala, ma, poiché, purtroppo, alcuni episodi si sono verificati, è chiaro che la mia valutazione non può essere entusiastica e che dobbiamo lavorare perché nessun tipo di vendetta sanguinosa si compia, a cominciare da Bani Walid e da Sirte, dove davvero, se ci fosse una presa con le armi, si potrebbe scatenare una sanguinosa carneficina tra le fazioni dei lealisti e le forze dell'opposizione.
Per quanto riguarda l'uccisione dell'autista dei giornalisti italiani, lei sa bene, senatore Compagna, che questo atto orribile non è stato compiuto dall'opposizione del CNT, ma dalle forze di Gheddafi. È l'ennesimo omicidio compiuto dal regime. Non ce ne meravigliamo: è un orrore in più che si somma agli altri.
Sul Trattato di amicizia io ho affermato con grande chiarezza che riattivare significa far riprendere il funzionamento di quel Trattato, ma anche che chiederemo ai libici se loro ritengano - e poi valuteremo se lo riterremo noi - che vi sia, essendo stato quel Trattato negoziato da molti anni, la necessità di un'integrazione, di una revisione.
Ho detto esattamente «revisione», onorevole Tempestini. L'onorevole Colombo forse non aveva ascoltato queste mie parole. Ho parlato di revisione intendendo alcune modifiche. Io credo che sul terreno della ratifica da parte del nuovo Governo libico, quando si costituirà, di tutti gli strumenti internazionali, così come ha fatto il Governo transitorio tunisino, ci sarà da parte dell'Italia, ma non solo, un'azione molto precisa. Questo potrebbe portare ovviamente a una corrispondente revisione di alcune parti del Trattato per tenere conto della nuova realtà, se, come auspichiamo, il CNT facesse esattamente quello che ha fatto il Governo tunisino dopo alcune settimane dal suo insediamento.
È un lavoro su cui ci concentreremo come su quello di aiutare nella formazione, nella ricostruzione, o meglio, costruzione istituzionale della Libia, compresa, onorevole Vernetti, una missione NATO di formazione. Ci sta tutta: il sistema di formazione per la sicurezza è stato lodevolmente realizzato dalla NATO in altri Paesi e potrà esserlo anche in Libia, ovviamente se ci sarà una domanda libica.
Il tema dell'Unione europea è un tema delicato, serio. Credo che l'Unione europea avrebbe dovuto essere e dovrebbe essere ancora il primo partner politico della nuova Libia. Io non faccio, onorevole Parisi, graduatorie tra gli Stati nazionali. La mia risposta su chi stia in testa è che dovrebbe stare in testa l'Europa. Fermi i partenariati economici che sono bilaterali - e l'Italia sarà il primo partner - il partenariato politico dovrebbe vedere in testa l'Europa.
Così non è stato e, se noi riuscissimo a riprendere il negoziato per l'accordo di associazione Europa-Libia, credo che l'Europa potrebbe diventare il primo partner politico della Libia. Personalmente, lavorerò in questa direzione: non mi entusiasmano le gare a chi arriva primo. Ritengo che debba arrivare prima l'Europa, che purtroppo in questa fase è rimasta un po' indietro.
La situazione degli immigrati è stato un tema sollevato da alcuni di voi. Noi sosteniamo già ora l'OIM e anche l'UNHCR. Credo che la situazione degli immigrati africani, come anche dei profughi debba non solo essere affrontata al livello di


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organizzazioni internazionali, ma che certamente la nuova Libia - ne ho parlato con il Primo ministro Jibril - sia matura per fare quello che Gheddafi non aveva fatto, quello che il senatore Livi Bacci ha definito presidi sul territorio, in cui valutare e anche processare le domande degli eventuali richiedenti asilo, farlo lì ovviamente sotto la garanzia dell'UNHCR che ha sempre chiesto di poterlo fare con la Libia del regime di Gheddafi, ma non è riuscito a farlo e potremmo farlo ora.
Sulla questione umanitaria e sulla sorte degli immigrati debbo ricordare a chi non lo ricorda o non lo sa che sono stato molte volte anche di fronte a questo Parlamento in rappresentanza del Governo italiano a sollevare il tema della morte in mare di profughi o di immigrati messi sui barconi dal regime di Gheddafi e ho adombrato, con il sostegno di alcune forze politiche (ricordo la mozione Rutelli), il fatto che questi atti potessero configurare un crimine contro l'umanità con una nuova imputazione internazionale a carico di Gheddafi, che aveva ordinato questi traffici e queste orribili.
Per quanto riguarda le persone morte in mare, quindi, ho formulato non solo una condanna ma anche una proposta politica di trattare questi atti come crimini contro l'umanità, ed è sfuggito nell'impeto della polemica politica che sul mancato soccorso delle navi della NATO io ho sollevato alla NATO formalmente la necessità di un'inchiesta esplicita, che ha avuto una reazione non certo di entusiasmo da parte della NATO, ma ritenevo e ritengo che un'inchiesta su quel fatto, se mancato soccorso vi fu, dovesse essere fatta. L'ho fatto io, l'ha fatto l'Italia.
Da ultimo, onorevole Narducci, il partenariato per la democrazia è uno strumento importante. L'Unione europea ha lanciato il tema, ma io credo che non sia sufficiente. Credo che occorra, invece, un grande piano, non solo un Fondo per la democrazia, ma un Fondo per il rilancio economico. Parlai di Piano Marshall nel lontano mese di febbraio. Oggi il Piano Marshall serve a far capire che i giovani che chiedevano il cambiamento chiedevano dignità, pane e lavoro. Se noi non diamo accanto ai diritti anche pane e lavoro, prima o poi questi giovani si rivolteranno contro i capi della rivoluzione, perché non hanno avuto ciò che chiedevano. Il Piano Marshall europeo, quindi, è un provvedimento che va assolutamente varato, insieme al programma per la democrazia, perché accanto alla dimensione politica c'è la dimensione del rilancio dello sviluppo economico.
Questi sono i punti su cui noi lavoreremo nelle prossime settimane. Il versante politico è quello più importante, ma non dimentichiamo, come ha osservato l'onorevole Farina, che accanto alle Nazioni Unite e all'Unione europea ci deve essere anche un'Unione africana. Io ne sono convinto dal primo momento. Certamente in questa lunga e difficile transizione soltanto se Africa, Europa e Nazioni Unite lavoreranno insieme, noi potremo guidare e accompagnare questo Paese, rispettandone la storia, la tradizione e anche la cultura che legano il popolo italiano a quello libico.

PRESIDENTE. Ringraziando l'onorevole Ministro Frattini e tutti i colleghi, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16,30.

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