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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissioni Riunite
(V e XIV)
1.
Mercoledì 3 dicembre 2008
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 2

Audizione del Ministro dell'economia e delle finanze, Giulio Tremonti, sulla comunicazione della Commissione europea al Consiglio europeo sul Piano europeo di ripresa economica (COM(2008)800) (ai sensi dell'articolo 126-bis del Regolamento):

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 2 9 11 13 15 19 20
Bersani Pier Luigi (PD) ... 11 14
Bitonci Massimo (LNP) ... 15
Borghesi Antonio (IdV) ... 15 18
Consiglio Nunziante (LNP) ... 19
D'Antoni Sergio Antonio (PD) ... 15
Gottardo Isidoro (PdL) ... 9
Gozi Sandro (PD) ... 19
Stracquadanio Giorgio Clelio (PdL) ... 19
Tabacci Bruno (UdC) ... 16
Tremonti Giulio, Ministro dell'economia e delle finanze ... 3 10 13 14 15 18 20
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-Repubblicani: Misto-LD-R.

COMMISSIONI RIUNITE
V (BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE) E XIV (UNIONE EUROPEA)

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 3 dicembre 2008


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE GIANCARLO GIORGETTI

La seduta comincia alle 14,10.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sul sito Internet della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro dell'economia e delle finanze, Giulio Tremonti, sulla comunicazione della Commissione europea al Consiglio europeo sul Piano europeo di ripresa economica (COM(2008)800).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 126-bis del Regolamento, l'audizione del Ministro dell'economia e delle finanze, Giulio Tremonti, sulla comunicazione della Commissione europea al Consiglio europeo sul Piano europeo di ripresa economica (COM(2008)800).
Desidero innanzitutto ringraziare il Ministro Tremonti per aver accolto l'invito a svolgere questa audizione. Il Ministro Tremonti ha partecipato ieri a una riunione dell'Ecofin in cui si è discusso del Piano, per cui potrà fornirci interessanti aggiornamenti anche in merito alle valutazioni degli altri Paesi rispetto a questa iniziativa della Commissione.
Desidero esprimere alcune considerazioni per introdurre l'argomento. L'obiettivo del Piano appare quello di restituire fiducia ai cittadini e alle imprese in merito alle prospettive dell'economia europea attraverso due fondamentali direttrici: stimolare la domanda attraverso l'incremento del potere di acquisto e, rifacendosi alla strategia di Lisbona, promuovere in tempi brevi una serie di investimenti mirati in settori quali l'efficienza energetica, le tecnologie pulite e le infrastrutture di interconnessione.
Sul piano del metodo, viene sottolineata la necessità di coordinare le politiche nazionali al fine di conseguire in parallelo obiettivi anche diversi. Emerge una prima questione relativa alla mobilizzazione di risorse nell'ordine di 200 miliardi di euro, di cui 170 su interventi coordinati ma a livello nazionale e 30 sotto forma di finanziamenti erogati attraverso la BEI o risorse dell'Unione europea.
Sotto questo aspetto, formulo due osservazioni. La prima è che l'ordine di grandezza di queste risorse risulta apparentemente un decimo rispetto alle risorse mobilizzate per contrastare gli effetti della crisi di carattere finanziario. Per quanto poi concerne i 15 miliardi di euro messi a disposizione dalla BEI, sarebbe interessante conoscere gli interventi che il Governo intenda adottare affinché il Paese sia pronto a sfruttare al meglio le disponibilità che la Banca europea per gli investimenti, di cui peraltro l'Italia è azionista al 16,17 per cento, metterà a disposizione.
Altro argomento di assoluto rilievo e interesse è la cosiddetta flessibilità offerta dal Patto di stabilità. È necessario capire - e ciò interesserà sicuramente la Commissione bilancio e la Commissione Politiche


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dell'Unione europea - in che termini essa si espliciti e come il Governo italiano intenda utilizzarla.
Insieme al presidente della XIV Commissione abbiamo individuato un metodo per ordinare i nostri lavori, in base al quale al termine dell'intervento del Ministro Tremonti interverrà per non più di cinque minuti un rappresentante di ciascun gruppo indicato dal rispettivo capogruppo. Al termine di questa prima serie di interventi, si proseguirà sulla base del medesimo criterio riservando al Ministro Tremonti la replica conclusiva, che ragionevolmente si situerà attorno alle 15,30, orario fissato in considerazione dei lavori di Commissione e di Aula precedentemente stabiliti.
Do la parola al Ministro dell'economia e delle finanze, Giulio Tremonti, che ringrazio ancora per la presenza.

GIULIO TREMONTI, Ministro dell'economia e delle finanze. Grazie. La mia esposizione sarà - com'è naturale in questi incontri - divisa tra esposizione e risposte. Credo che poi tutto possa integrarsi in un insieme il più organico possibile.
Se siete d'accordo, considero corretto dividere l'azione di politica economica di cui stiamo discutendo in due piani complementari: quello internazionale e quello nazionale. Inizierei quindi con l'esposizione dell'azione come si è sviluppata e si sta sviluppando sul piano internazionale, per poi affrontare il piano nazionale.
L'azione come si sta sviluppando sul piano internazionale può essere a sua volta metodologicamente divisa su due linee: la stabilità finanziaria e la sostenibilità economica. Sulla stabilità finanziaria, è opinione diffusa nelle sedi internazionali e certamente in sede europea che la reazione dei Governi sia stata comunque - come dicono in gergo - adeguata, compatibilmente con le complessità e le difficoltà. In effetti, a partire da ottobre, negli Stati Uniti d'America e in Europa si è sviluppata con un'accelerazione e un incremento dimensionale fortemente significativi un'azione mirata alla stabilità del sistema finanziario. In Europa, è stata operata con interventi progressivamente coordinati e tutti rispondenti a un disegno comune, laddove le varianti rispetto agli schemi applicati sono relativamente marginali.
In Europa, l'opinione è che la reazione da parte dei Governi, della Commissione e della Banca centrale europea sia stata ben disegnata e coordinata in modo da produrre risultati ritenuti appropriati.
È in atto una discussione sulla compatibilità tra gli interventi operati sul comparto finanziario e lo schema del mercato comune, per valutare se si siano manifestate forme di violazione delle regole tali da configurarsi come aiuti di Stato. In questi termini, la dialettica è ancora in atto, ma a partire dall'Ecofin di ieri è in fase di superamento in una logica di comune visione e di accordo su alcune soluzioni.
È ancora reputata oggetto di necessari interventi l'azione politica mirata alla sostenibilità economica, su cui il cantiere è ancora aperto. Il processo si è sviluppato in sede internazionale e si sta sviluppando su cinque passaggi rilevanti. Il primo è stato il G20 di Washington del 15 novembre; il secondo l'intervento fatto dalla Commissione europea il 26 novembre, che poi ha preso forma nell'Economic Recovery Plan, oggetto iniziale di questa discussione. Segue l'Eurogruppo-Ecofin di ieri, di lunedì e martedì, che si completerà con due passaggi ulteriori: il Consiglio dei Capi di Stato e di Governo europei, previsto per il 10 dicembre, e - a valle di quel Consiglio - un Ecofin-Eurogruppo straordinario entro la fine di dicembre.
Per quanto riguarda la valutazione di sintesi politica in ordine a questo meccanismo di azione mirato alla sostenibilità economica, in sede internazionale è diffusa e consolidata la valutazione secondo cui, poiché la crisi è globale, la reazione alla stessa debba essere a sua volta globale. Il compito dei singoli Stati è di coordinamento e coordinato rispetto a formule di soluzione che o sono globali o non sono ritenute efficaci. Poiché la crisi è globale, la giusta reazione alla crisi o è


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globale o ha effetti inferiori. Globale vorrebbe dire un'azione unica nel mondo, obiettivo impossibile data l'architettura geopolitica del mondo, non c'è infatti un governo unico del mondo. Coordinata significa una sede internazionale che disegna uno schema di azione che i singoli Governi mettono in campo, rispondendo a quell'unico schema. Questo è stato in forma globale al G20 di Washington, e, Europa su Europa, a partire dal documento della Commissione che oggi abbiamo come primo oggetto di discussione.
Si possono ipotizzare formule di azione più intense, non solo il coordinamento Europa su Europa, ma anche un'azione unica europea. Ma questo prende tempo e presuppone condizioni politiche che non sono ancora presenti. La proposta che è stata avanzata in varie sedi e dal 2003 da parte del Governo italiano, è stata una reazione comune attraverso l'emissione comune di Eurobond, in applicazione evoluta del piano Delors che, non accettata nel 2003, ancora adesso incontra alcune resistenze da parte di alcune sedi politiche. Per avere il paradigma di un'azione comune, si può immaginare un piano comune di emissioni di titoli europei a servizio di una politica anticrisi. Questo sarebbe ottimo, ma non è ancora possibile disegnare una politica di quel tipo, salvo un passaggio non privo di significato. L'Eurogruppo-Ecofin di ieri ha approvato la proposta italiana avanzata a Nizza di un fondo coordinato dalla Banca europea per gli investimenti e dalle Casse di deposito nazionali. Il fondo che prenderebbe un nome lusinghiero, «Margherita», è capitalizzato per una quota e poi può fare leva per interventi che vanno oltre quella quota. Attualmente, la dimensione non è macroeconomica ma, nella progressione dialettica delle azioni di politica economica in Europa, consideriamo un buon passaggio quello del consenso da parte del Consiglio economico su uno strumento di questo tipo.
Auspichiamo dunque che questo strumento si consolidi e si diffonda, ma consideriamo politicamente significativo averlo portato dalla proposta politica a una decisione comune in due mesi. Dovrà essere formalizzato dal Consiglio dei Capi di Stato e di Governo di dicembre, ma riteniamo che ormai ci sia un consenso di base su questo strumento che è comune: è uno strumento comune, europeo. Obiettivi più ambiziosi come emissioni di bond europei non riscuotono ancora un sufficiente grado di consenso politico.
La strategia europea consiste in azioni non comuni, ma coordinate insieme sulla base di un disegno comune, che dà mandato ai singoli Governi per sviluppare le azioni, gli interventi che sono parte di quel disegno comune.
L'Economic Recovery Plan elaborato giovedì scorso dalla Commissione è la base sulla quale i singoli Governi devono o possono sviluppare le loro politiche. L'accusa di aver fatto tardi è superata dalla considerazione che, in assenza di quel documento e in assenza di una valutazione di massima sull'andamento delle finanze pubbliche nei singoli Paesi, che è avvenuta trenta giorni fa al precedente Eurogruppo-Ecofin, era impossibile fare qualcosa. Solo da giovedì è possibile operare interventi in una logica anticrisi, sulla base del documento della Commissione come è stato analizzato e discusso nell'Eurogruppo-Ecofin di lunedì e martedì scorso.
Dalla lettura di quel testo e di quello di ieri emergono alcune considerazioni politiche, prima fra tutte il comune impegno al rispetto del Patto di stabilità e di crescita. Tutto il Piano è sviluppato all'interno del Patto di stabilità e di crescita, non fuori dal Patto, non in alternativa al Patto, ritenendo che elementi di flessibilità rispetto al Patto siano ampiamente contenuti nella sua revisione del 2004, che dava pieno spazio ai cosiddetti «stabilizzatori automatici».
Si conviene anche in ordine a una valutazione non specificamente analitica e matematica dei numeri di obiettivo dei piani di rientro dei programmi dei singoli Paesi. Tuttavia, fondamentalmente la base del documento è che il Patto esiste, funziona, viene rivisto in forma più flessibile nel 2004, ed è il termine di riferimento. Se notate, nel documento si fa riferimento,


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oltre che al Patto, al ciclo economico e alla sua condizione negativa. Il Patto è il termine di riferimento e il suo funzionamento è adattato in funzione del ciclo economico. Non c'è una parola diversa dal ciclo economico. Questo presuppone uno scenario di andamento fisiologico dell'economia tra cicli alti e bassi, non scenari diversi.
Viene fortemente rimarcato il differenziale di condizione in essere tra i diversi Paesi. Il Patto si applica a tutti e non tutti i Paesi hanno le stesse condizioni di finanza pubblica. Una lettura specifica di alcuni paragrafi del documento trasmette questa precisa valutazione. Si fa particolare riferimento alle grandezze di finanza pubblica considerate critiche a partire dai debiti pubblici.
L'applicazione dell'Economic Recovery Plan include all'interno del Patto, oltre alle valutazioni sul ciclo economico e sugli stabilizzatori automatici, che danno dei margini di correzione rispetto allo sviluppo lineare dei numeri assoluti, relativizzandoli rispetto al contesto economico, anche l'ammissibilità e la fattibilità di alcuni interventi che non vengono conteggiati nella logica dell'applicazione del Patto come rilevanti sul deficit e sul debito. Si tratta di interventi operati nel senso delle iniezioni di liquidità, delle prestazioni di garanzia e degli interventi sul capitale. Queste tre voci sono considerate economicamente rilevanti, ma non vengono conteggiate come voci che alterano i meccanismi di calcolo del deficit e del debito, sono quindi esterne rispetto ai meccanismi.
Questa è la «dottrina», il suggerimento e la prassi indicati dalla Commissione ed evidentemente condivisibili nell'economia politica del Patto. Altri possono fare valutazioni diverse, ma un termine di riferimento è questo.
Dato questo schema, l'ipotesi formulata dalla Commissione è per interventi tempestivi e temporanei articolati Paese per Paese - la tempestività è a valle, non a monte di giovedì, diversamente sarebbe stato critico - e mirati a finalità di tenuta dell'economia e del sistema sociale, con alcune indicazioni di priorità particolarmente rilevanti relative alle infrastrutture.
Conteggiando misure di deficit, misure che non si calcolano nel deficit, come le garanzie, le iniezioni di liquidità e gli interventi sul capitale, l'ipotesi fatta dalla Commissione è per interventi ipotizzabili intorno a un punto di prodotto interno lordo; in aggiunta vi sono interventi finanziati dal bilancio della Commissione, del sistema europeo o dal bilancio della Banca europea per gli investimenti.
La discussione, di cui peraltro vi è ampio riscontro sui giornali, riguarda il fatto che ciascun Paese all'interno di questo schema approvato in termini generali decida per suo conto, conservando la sua originaria autonomia di bilancio e di politica economica. Un inventario degli interventi fatti, sebbene incompleto, ci ha permesso di apprendere ieri che il Governo della Repubblica federale tedesca ha - grosso modo - dichiarato di aver fatto quanto si poteva o doveva fare e di aver intenzione di non fare molto di più rispetto a quanto fatto: fondamentalmente interventi di ricapitalizzazione bancaria.
Alcuni interventi di sostegno sociale sono previsti tra il 2009 e il 2010, ma, rispetto al prodotto interno lordo della Germania, si tratta di percentuali oggettivamente molto contenute.
La reazione della Francia è diversa rispetto a quella della Germania, giacché non abbiamo ancora notizia di interventi forti e specifici. Abbiamo notizia di forti interventi sul capitale delle banche e forti interventi mirati alla creazione di fondi tipo Cassa depositi e prestiti. È impreciso dire Cassa depositi e prestiti, ma usando la Caisse des Dépots o altri strumenti si realizzano interventi non diretti di spesa pubblica, di deficit, ma mirati al sostegno dell'economia attraverso finanziamenti o capitalizzazioni.
La Gran Bretagna ha effettuato numerosi interventi fortemente significativi sul capitale delle banche e operato un intervento fondamentale - dal loro punto di vista - sul lato dell'economia reale e della società, ovvero la riduzione di un punto dell'Iva, e ha in programma alcuni interventi


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di minore dimensione. Altri Paesi hanno in prospettiva o in atto interventi, tutti dimensionati in termini di deficit largamente sotto 1 punto di prodotto interno lordo. Si arriva a più di 1 punto di prodotto interno lordo aggiungendo le voci che non fanno deficit, ovvero quelle di intervento su capitale, di garanzia, di finanziamento.
In base alle informazioni che abbiamo oggi, quindi, abbiamo l'impressione che, pur previsto un margine di maggior deficit Europa su Europa intorno a 1 punto, in realtà quel punto di prodotto interno lordo di ciascun Paese sia fatto in parte minore con interventi di deficit e in parte maggiore con interventi non di spesa pubblica in deficit. Dobbiamo raccogliere informazioni, giacché ieri non c'erano ancora dati precisi di comparazione e di consolidamento della somma. Leggendo la stampa estera tuttavia, si ha l'impressione che il Piano nell'insieme sia stato approvato e venga attuato attraverso una serie eterogenea di interventi.
Dal lato italiano, è fortemente significativa la particolare posizione della nostra finanza pubblica, che è costituita dal terzo debito pubblico del mondo e che, oltre a restare tale per un po', sarà in competizione con emissioni di debito pubblico fatte da altri Paesi al servizio delle operazioni di capitalizzazione o di sostegno del sistema finanziario. Considero evidente la differenza tra il conteggio del Patto in termini lineari, la flessibilità sul patto e un altro piano non meno rilevante - anzi più rilevante -, quello del mercato finanziario, un mercato sul quale si devono collocare i titoli italiani.
Su questo il nostro intervento e comunque il ragionamento, che credo sia di interesse, consiste nel trarre una lezione dalle conseguenze economiche di questa crisi. Questo potrà forse essere oggetto di seminari e di riflessioni in Parlamento e in sede tecnica o culturale. Lunedì notte, ho sottolineato all'Eurogruppo l'indicazione che ci trasmette questa crisi. Sono entrato in quel gruppo nel 2001, ne sono poi uscito un paio di volte, ma da allora ho sempre e solo sentito parlare di debito pubblico, mai di debito privato. Il debito pubblico era oggetto di una considerazione e di un livello di controllo molto forti sull'assunzione che fosse la grandezza politicamente ed economicamente più rilevante e, in certi termini, anche la più critica e pericolosa. Da questa crisi emerge la lezione che il debito pubblico sia rilevante, ma altrettanto rilevante sia il debito privato.
Gli interventi operati per gestire la crisi sono configurati in termini di colossali trasferimenti, di colossali swap dal debito privato in condizioni critiche al debito pubblico. Il rigido confine di un tempo tra debito pubblico e debito privato viene in qualche modo superato. L'attenzione va riservata anche al debito privato e forse, data l'osmosi che si sta determinando tra debito pubblico e debito privato, sostenendo il pubblico i limiti del debito privato, la valutazione di un Paese deve essere effettuata consolidando le voci di debito, considerando non solo i debiti pubblici, ma anche quelli privati.
In questi termini, il rating di un Paese potrebbe essere rideterminato considerando anche i fattori di attivo o di minor debito privato di ciascun Paese. La nostra posizione consolidata dovrebbe quindi essere valutata come diversa da quella di altri Paesi, nei quali magari il debito pubblico sia più basso, ma il debito privato sia enormemente più alto.
Finché non si consoliderà una prassi, una dottrina, una tecnica anche di reputazione di mercato in questi termini, obiettivo per cui occorrerà sicuramente tempo, la nostra grandezza critica di riferimento assoluta sarà il debito pubblico; non solo è rilevante in senso assoluto e in senso comparativo con quello degli altri Paesi, ma ad esso si aggiunge un ulteriore fattore di criticità laddove, ferma la magnitudine del nostro debito, in futuro lo scenario competitivo sarà con altre crescenti emissioni di altri Paesi. Per tale ragione l'impegno - non solo la raccomandazione che è stata formulata in sede europea - della Repubblica italiana nel suo insieme, non solo di questo Governo, deve quindi attenersi


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al limite costituito e al non superamento della grandezza strategica del debito pubblico.
L'attenzione a questi numeri non è data soltanto da una visione ragionieristica e rétro delle cose, dei meccanismi, ma da questo scenario che è oggettivamente estremamente rilevante e significativo.
È poi tutto relativo e competitivo. Se infatti la Germania, che ha un debito pubblico molto basso e che ha il pareggio di bilancio, sceglie di non spingere sul deficit, voi pensate che noi possiamo fare i fenomeni? Io sconsiglierei una politica differenziale di questo tipo.
Il termine di riferimento per tutti in Europa è la Germania, per cui, se la Germania sceglie quella politica, è difficile che l'Italia possa adottare una politica diversa. Si può sindacare il merito di quella politica, organizzare un convegno, scrivere libri o fondi di giornale, ma la realtà politica deve tener conto anche di queste grandezze, di questi fattori di scenario, che spingono al più assoluto possibile grado di prudenza, proprio perché c'è questo scenario in movimento.
È un movimento che apparentemente dà dei margini, sostanzialmente fa crescere i vincoli. Più gli altri hanno margini e guadagnano, più noi asimmetricamente dobbiamo essere prudenti e attenti. Abbiamo dei margini, ma sono molto limitati e possono essere solo oggetto di un consenso e di un'approvazione comune. Non c'è spazio per iniziative atipiche e unilaterali. Se c'è un margine, quello può essere solo consentito - e questo crea un consenso - in sede comune, europea, e su quella base può essere relativamente gestibile una posizione di mercato.
Il nostro termine di riferimento, il nostro vincolo non è il Patto, come tante volte leggo sui giornali e ascolto nei dibattiti. Il nostro vincolo è uno solo: il mercato finanziario.
Questo è lo scenario generale. Per quanto riguarda il livello nazionale, vorrei iniziare con la rilettura di un documento. La nostra azione di politica economica inizia con l'incontro necessario con le parti sociali, poi replicato in Parlamento. Questa è una risposta ad alcune critiche che ci sono venute, critiche legittime, ma non credo giuste, che ci accusavano di non aver capito cosa stesse succedendo o di non aver agito all'altezza di quello che stava succedendo. Mi permetto però di leggere il testo del documento ufficiale del 20 maggio che abbiamo presentato alle parti sociali e poi in Parlamento: «Crediamo di avere una visione culturale e politica sufficientemente vasta e sufficientemente approfondita per vedere e valutare cosa sta succedendo nell'economia globale. Per vedere e valutare quali forze sono in campo, quali dinamiche sono in atto nel mondo e quale impatto hanno per questa via le crisi che stanno investendo l'Europa e l'Italia: la crisi alimentare, la crisi energetica, la crisi finanziaria, le crescenti tensioni geo-politiche. Un impatto che, derivando dallo spostamento globale di enormi stock e flussi di ricchezza, è in Europa e in Italia quasi sempre regressivo ed erosivo, fino ad essere potenzialmente distruttivo delle nostre strutture sociali: dalla sofferenza nella povertà, alla disoccupazione, all'impoverimento, alla divisione del Paese tra nord e sud».
Questo è il testo sul quale abbiamo basato la nostra politica economica a partire dal 20 maggio. Credo che in quel momento questa visione non fosse così genericamente condivisa e che, per trascinamento e derivazione da ipotesi e sensazioni maturate nel 2007 e nella prima parte del 2008, questo approccio fosse considerato pessimistico, come testimonia l'ampia letteratura di citazioni in materia, di dichiarazioni politiche e culturali in tal senso. Era semplicemente realistico e su questa base abbiamo impostato la nostra politica economica, definendo una legge finanziaria anticipata a luglio e proiettata su tre anni. Lo abbiamo fatto sul presupposto - contestabile - che fosse fondamentale mettere nel maggiore grado di sicurezza possibile la voce più critica del nostro Paese, ovvero la finanza pubblica. L'abbiamo anticipata a luglio e proiettata su tre anni per dare un senso di stabilità e di affidabilità. L'ho detto in Aula e lo


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ripeto in quest'aula: immaginate cosa sarebbe se, nel pieno della crisi, si fosse coi saldi aperti della finanziaria! È su questa base che la Repubblica italiana ha acquistato un margine di credibilità internazionale.
Alcuni provvedimenti mirati all'economia reale - collegati alla legge finanziaria - c'erano e ci sono. Si può essere in disaccordo sul nucleare, ma non affermare che il nucleare non sia economia reale. Si può essere in disaccordo sulla riforma del processo civile, che ne velocizza i tempi, eliminando un fattore competitivo che ci spiazzava, ma oggettivamente l'attivazione di molti strumenti di radicale semplificazione e il disegno di federalismo fiscale sono scelte compiute nella logica dell'economia reale. Da maggio a luglio, c'era non solo una visione finanziaria, ma anche una visione generale che perseguiva la messa in sicurezza del bilancio pubblico e le necessarie riforme strutturali, a partire dal nucleare.
I fatti hanno dato ragione alla nostra valutazione, laddove era già in atto una fortissima speculazione su valori finanziari, su commodity, su alimentari, su materie prime. Voi ricordate la dinamica del prezzo del petrolio - per esempio - che era a 80 ed è salito a 140. Alcuni future andavano a 200 e poi sono scesi. Se dunque in sei mesi avviene un'escursione di questa dimensione, i fondamentali non c'entrano e l'ipotesi più probabile è che ci fossero dietro meccaniche speculative che hanno poi divorato esse stesse determinando la recessione o per eccesso si sono «autodivorate». Credo comunque che adesso sia difficile sostenere che fosse sbagliata la nostra valutazione in ordine ai fenomeni che a giugno e luglio si stavano sviluppando sui mercati e che avevano la sola evidenza della speculazione. Tanti si sono esercitati nella negazione di questa evidente realtà, per riconoscere la quale è sufficiente analizzare un grafico. I fondamentali occupano anni e anni, la longue durée, mentre dinamiche così violente di questo tipo hanno un nome e una causa diversi.
La crisi si manifesta nella sua intensità finanziaria in ottobre e un Governo non avrebbe potuto fare altro che quanto è stato fatto dal Governo italiano. Come ho detto in premessa, ditemi che cosa abbiano fatto gli altri Governi di diverso o in precedenza, e chiedetevi perché nessun altro Governo abbia agito diversamente dal Governo italiano.
In ottobre e novembre si sono sviluppati interventi di sostenibilità della struttura finanziaria e bancaria. Si tratta di interventi diffusi su tutto il continente, dal Baltico al Mediterraneo, da est a ovest nell'area della Comunità europea, uguali o fortemente simili, con differenziali abbastanza marginali.
Gli interventi di recovery presupponevano la definizione condivisa dei conti pubblici, che è avvenuta un mese fa nell'altro Eurogruppo, e, poi, a valle della scelta operata nel G20 dall'Europa, la scelta di aspettare la formulazione del Recovery plan che è venuto fuori giovedì scorso. Venerdì abbiamo adottato un decreto.
Prima di chiudere, lasciando spazio a domande per cui nutro molto interesse, cerco di rappresentare la logica di quel decreto. Non è detto che gli interventi di sostegno all'economia debbano o possano essere fatti tutti in deficit. Alcuni interventi in deficit producono un effetto di sostegno all'economia, alle famiglie; altri interventi in deficit non lo producono e ci sono interventi che non sono in deficit ma producono effetti di sostegno all'economia.
La logica del decreto che abbiamo adottato è di sostegno a situazioni che noi valutiamo di bisogno, ma è anche tesa a trasmettere quanto più possibile un effetto di fiducia e di velocizzazione degli interventi. Ritengo che queste caratteristiche siano tutte presenti nei primi tre articoli del decreto-legge.
L'articolo che introduce il bonus è evidentemente articolato nella logica del finanziamento, via bilancio pubblico, a famiglie e situazioni di bisogno. Si tratta quindi di deficit fatto per sostenere le famiglie.


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Reputiamo che l'articolo sui mutui possa avere un costo molto limitato, ma un positivo effetto di fiducia. Una posizione migliore viene garantita non solo dall'attribuzione di un vantaggio, ma anche dall'eliminazione di uno svantaggio. Riteniamo quindi che la sicurezza sulle rate che non possono superare il 4 per cento sia una scelta corretta nel senso della fiducia.
La norma sulle tariffe è a costo pubblico zero, ma necessita di un chiarimento, perché si è generata confusione. C'è la norma che blocca le tariffe che vengono addebitate dalle pubbliche amministrazioni come contropartita dei servizi pubblici erogati, per esempio la motorizzazione. Dal 1o gennaio, quelle voci sono «congelate» e non possono salire rispetto al 2008.
Riguardo all'altro universo, i pedaggi, è prevista una sospensione del loro aumento in funzione della definizione di un piano industriale. Le bollette devono scendere e abbiamo quindi attivato dei meccanismi per farle scendere interni alle authority, che, identificando aree di inefficienza e spingendo in una logica di trasparenza, faranno scendere le tariffe. Se avessimo bloccato le tariffe, avremmo prodotto un effetto negativo, perché comunque, cadendo il costo delle materie prime, sarebbero scese. Noi vogliamo che scendano di più o diversamente anche in dipendenza di una diversa azione delle authority, rimuovendo delle realtà che abbiamo notato essere poco efficienti e poco corrette nei confronti dei consumatori.
Attribuiamo grande rilevanza a una norma che rappresenta l'architettura del provvedimento. Riteniamo che in un anno di crisi come quello che ci aspetta la concentrazione delle risorse debba essere prioritariamente su due voci, per cui nel bilancio sono attivati un fondo sociale e un fondo infrastrutturale. A fronte della crisi sociale che si sta manifestando, il fondo sociale è mirato a raccogliere la maggiore quantità di risorse in una logica di coesione sociale. Il fondo infrastrutturale è mirato a finanziare non solo le grandi, ma anche le piccole infrastrutture, a partire da un piano di rimessa in sicurezza delle nostre scuole, nella consapevolezza di come il finanziamento alle piccole opere produca anche un effetto di sostegno alla piccola economia, che è una parte essenziale dell'economia ed è rappresentata da falegnami, elettricisti, piastrellisti.
Riteniamo che l'attivazione del fondo sociale debba e possa essere fatta compatibilmente con le competenze delle regioni, utilizzando in questa direzione - nei termini in cui è possibile - i fondi di coesione europei. Ieri, pertanto, il Governo italiano ha discusso questa materia con la Commissione europea.
L'altra voce è quella infrastrutturale, dietro la quale c'è una scelta politica, giacché è finito il mondo in cui sembrava che il paradigma fosse quello dei consumi, magari superflui, a debito. Oggi, un importante quotidiano italiano pubblica un bellissimo articolo di Pietro Citati sui consumi. Riteniamo che un paradigma di tenuta e sviluppo possa ormai essere quello della domanda pubblica per beni collettivi di interesse generale. Questa è la voce delle grandi e delle piccole infrastrutture. Sappiamo che ci sono dei diritti quesiti che devono essere rispettati, delle competenze europee e delle competenze regionali, dei criteri che condividiamo sulla divisione delle risorse per aree territoriali, ma occorre fare il massimo possibile per la coesione sociale e per lo sviluppo infrastrutturale. Grazie.

PRESIDENTE. Ministro Tremonti, la ringrazio per l'ampio intervento.
Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni. I tempi per gli interventi sono quelli che sono, per cui fermo restando il periodo di cinque minuti per il primo giro di interventi, i tempi successivi saranno rimodulati.

ISIDORO GOTTARDO. Signor Ministro, la sua relazione è molto chiara ed esaustiva. Vorrei svolgere brevemente due considerazioni, rispettando i limiti di tempo.
Credo che lei abbia toccato il punto di come questo Paese possa rimettersi in


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moto, rimuovendo tutti gli ostacoli che frenano l'impresa e le famiglie. In questo Paese, la politica di sussidiarietà non ha mai avuto un avvio reale, soprattutto mettendo al centro tutte le potenzialità della famiglia, delle persone e anche delle imprese nell'interesse di carattere pubblico. A mio giudizio, questo andrebbe introdotto come dinamica.
Per quanto riguarda le questioni da lei indicate, riguardo le norme di grande rilevanza all'interno del decreto sulla politica sociale, condivido con lei che vi sia il problema di trovare la sinergia più adeguata per le risorse da mettere a disposizione fra ciò che il decreto prevede come fondi dello Stato e ciò che le regioni hanno a disposizione, pensando ai fondi europei, laddove spesso ciascuna regione si inventa un suo welfare, una sua politica e così via.
Ritengo che anche la social card possa diventare uno strumento che somma più misure, e quindi integrarsi, facendo diventare talune misure a sostegno della coesione davvero importanti e caratterizzate rispetto ad alcuni fattori particolari.
Per quanto concerne la questione infrastrutturale, condividendo le sue considerazioni per quanto riguarda sia le grandi infrastrutture che le piccole, mi pare che una dinamica riguardo al risparmio energetico sia stata attivata soprattutto in questo momento di crisi relativamente al 55 per cento di abbattimento, che consentiva da un lato a un lavoro sommerso di emergere e dall'altro alle piccole imprese artigiane di idraulici e falegnami di svolgere un lavoro molto sentito dalle famiglie, che avvertono l'esigenza di risparmiare sul piano energetico e di migliorare le proprie condizioni di vita.
Credo che sul decreto queste questioni debbano essere ripristinate.

GIULIO TREMONTI, Ministro dell'economia e delle finanze. In deroga ai criteri di accumulo degli argomenti, se il presidente consente, vorrei dare risposte in tempo reale a ogni quesito.
Ringrazio l'onorevole Gottardo, che credo abbia colto lo spirito della nostra azione politica.
Quanto all'ultimo punto, ho fatto prima una correzione non di un errore legislativo, ma di un meccanismo di disinformazione, temo anche strumentale.
Ribadisco che tutto ciò che riguarda aumenti pubblici da parte dello Stato per diritti e varie voci viene bloccato. Non c'è più nessun aumento.
Per quanto riguarda il resto, da gennaio le autostrade non aumentano per qualche mese, le bollette della luce e del gas devono scendere e scenderanno per effetto del mercato e dei provvedimenti che abbiamo identificato nei meccanismi di calcolo. Le bollette quindi non sono ferme, ma scendono attraverso un meccanismo compatibile con le authority. Gli attuali criteri ci inducono a ritenere che le bollette della luce e del gas scenderanno in modo significativo.
Per quanto riguarda i lavori citati, considero doveroso riconoscere una scrittura che ha prodotto un errato effetto retroattivo di quella norma. La retroattività è un errore, del quale dobbiamo farci carico in sede di correzione. Il provvedimento è molto complesso, è stato sviluppato con grande velocità, perché abbiamo avuto la base del ragionamento giovedì dalla Commissione europea. La retroattività non ci può essere, però sul futuro devo ribadire un criterio di civiltà di questo Paese: i crediti d'imposta non sono e non possono essere un bancomat. Troppe volte sono stati organizzati come bancomat creando effetti di illusione, di slealtà fiscale da parte dei Governi e degli Stati nei confronti dei beneficiari. Si affermava l'intento di coprire il credito in bilancio per 82 milioni e poi si leggeva sui giornali che l'impatto era stato di 1 miliardo e 800 milioni, naturalmente da nettizzare a 55, ma comunque enormemente superiore alla copertura in bilancio.
Questo è incivile e con questo Governo non potrà ripetersi. Alcuni meccanismi saranno in grado di allineare i crediti alle coperture. Se si ritiene giusto il credito, si fa la corretta copertura, senza prendere in


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giro la gente convincendola di avere un bancomat, che poi si scopre essere fasullo, di quelli montati sul muro e poi dietro non c'è niente. Abbiamo scoperto questo nei crediti d'imposta nel 2001 e in questo passaggio e non si ripeterà più. Non è giusto che quegli interventi siano retroattivi, aspetto che sarà corretto per iniziativa del Parlamento, ma da qui in avanti tutto dovrà essere leale e civile, e non un meccanismo che organizza un bancomat per di più finto. Sono necessarie una stima e una copertura. Nei limiti della copertura è un meccanismo trasparente, che garantisce sicurezza, altrimenti crea solo illusioni sbagliate.

PRESIDENTE. Grazie, Ministro, le assicuro che il Parlamento collaborerà alla correzione di questa norma retroattiva.

PIER LUIGI BERSANI. Premetto che in questa fase non siamo interessati a fare polemiche ballando sul Titanic, ma non vorremmo neanche subirne, per cui apro una breve parentesi. È in discussione non quanto il Ministro del tesoro aveva scritto in dieci o in quindici righe, ma quello che è avvenuto di fatto. Nei mesi scorsi, abbiamo avuto quattro o cinque provvedimenti significativi dal punto di vista della dimensione: l'ICI, l'Alitalia (io conto anche questo), gli straordinari, le norme di attenuazione a proposito di evasione fiscale e i tagli in comparti sociali quali la scuola, che presuppongono riduzione dei posti di lavoro, e la sospensione dei crediti di imposta per il Mezzogiorno sui quali ritornerò.
A prescindere dalla valutazione su ogni singola misura, vorrei capire per quale logica anche una sola di queste proposte presupponesse una situazione recessiva. Non vedo la logica, sebbene stiamo facendo una cubatura che fa quasi un punto di PIL, se mettiamo assieme tutto. Il problema non è se uno ci ha sempre preso o meno, perché quel che è successo dopo non c'entra nulla con quelle dieci righe, e questo è indiscutibile, Ministro. Non so se vogliamo ancora tornare a discutere di questo. Poiché non volevo discuterne, chiudo la parentesi e arrivo al dunque.
Dobbiamo darci una piattaforma concettuale condivisa fra Governo e opposizione, perché la situazione è veramente seria. Possiamo essere d'accordo nell'analisi secondo cui l'atterraggio di questo castello del debito sta determinando una ritirata dei corsi azionari, degli investimenti, dei consumi, mentre la produzione si sta fermando come un treno in campagna, addirittura con prospettive - come qualcuno teme - di deflazione, considerando la rapidità della caduta dei prezzi delle materie prime. Di fronte a tutto questo - siccome non sì è ancora vista la fine di tutto ciò - si può assumere un atteggiamento fatalista: tutto quello che posso fare non serve! Propongo invece di ragionare con il seguente metodo: fin dove ho la visibilità faccio, non sto fermo e mi prendo anche un «filino» di azzardo.
La ricetta universale in casi del genere è mettere vero carburante nell'economia, quindi risorse spendibili rapidamente dal lato degli investimenti e dal lato del potere d'acquisto con interventi prevalentemente temporanei. Ogni Paese avrà poi i suoi problemi strutturali, che con l'occasione può aggiustare. Si potrà farlo secondo schemi più o meno in deficit, comunque secondo schemi che non escludano il deficit e soprattutto la temporaneità degli interventi; questi sono volti a far sì che si produca reddito e PIL e che nei rapporti fra PIL e debito si mantenga un equilibrio (naturalmente l'attenzione, come sappiamo, sarà maggiore da parte di chi ha un debito più rilevante).
Di fronte a questo universo di problemi e di possibilità d'intervento, la vecchia Europa non mostra brillantezza, laddove si rileva invece la notevole reattività dei programmi americani o cinesi, universi totalmente diversi. Questa vecchia Europa ha preziosissime regole da tutelare, ma è necessario evitare che abbia anche un'ortodossia, che può imprigionare. Benissimo le regole, dunque, ma attenzione all'ortodossia. Avevamo salutato con favore anche questo impulso francese, cui l'Italia stava dando un contributo su questi temi; questi piani di investimenti vanno benissimo, ma non si è andati avanti sufficientemente.


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La Germania ha avuto risultati eclatanti con l'ortodossia, perché è una società abituata ad avere un surplus commerciale, a spaventarsi dell'inflazione, ma, attenzione, nonostante i collegamenti, non siamo diventati un Land tedesco. Esistono anche la Gran Bretagna, la Francia, la Spagna, altri Paesi.
In Europa, prevalgono effettivamente riflessi difensivi: qualcuno forse non vuole pagare per altri, qualcun altro spera che si muovano gli altri aggiustando anche la propria situazione. Tutto questo non va e non si deve ritenere che nelle crisi accadono le cose positive, sicché ora si farebbe l'Europa che non si è voluto costruire in precedenza; in realtà le cose si realizzano quando c'è bel tempo, per cui tutti gli euroscetticismi di questi anni fanno sì che, adesso che ci vorrebbe l'ombrello, questo non si apra.
Per quanto riguarda il nostro Paese, ritengo che le misure che stiamo adottando, quando sono accettabili, siano pleonastiche e molto deboli, in molti casi siano sbagliate anche perché qui c'è di tutto e di più, tanto che abbiamo scoperto che il Ministro Calderoli è diventato ministro dell'energia. Non lo sapevo. Se qualcuno diventa ministro dell'energia, è necessario riflettere quarantotto ore su quanto si sta introducendo, perché stiamo arrivando a un capovolgimento del sistema della riforma, aspetto piuttosto delicato. Sui mutui c'è una telenovela tale che potrei dilungarmi per mezz'ora. Capisco che a livello di comunicazione possa essere comodo, ma tra un mese e mezzo vedremo cosa significa. Non voglio però entrare nel dettaglio, perché avremo tempo e modo di farlo.
Chiederemo che si metta più coraggio e più decisione in questa operazione. Non siamo matti, conosciamo il quadro delle compatibilità, però non c'è bisogno di essere economisti per capire quello che andrebbe fatto. Dobbiamo rafforzare due operazioni: quella di sostegno immediato ai redditi per i consumi e quella di sostegno e accelerazione degli investimenti. Possiamo farlo con misure prevalentemente temporanee, ma talvolta anche strutturali. Per i redditi, dobbiamo fare un'operazione forte sugli ammortizzatori, ed eventualmente introdurvi anche un pezzo di riforma del sistema, e un'operazione di detrazione fiscale sugli stipendi. Si potrà obiettare che tutte e due non ci stanno e che è meglio farne una temporanea e l'altra strutturale; ragioniamoci, però questo ci vuole.
Sugli investimenti dobbiamo fare da sponda alla piccola impresa. Alcuni strumenti sono indicati nel decreto - è necessario valutare se vanno bene - e c'è anche un aspetto di pagamenti della pubblica amministrazione, laddove, se la piccola impresa non prende soldi dalle banche, sarebbe opportuno darne subito a quelle che sono in bilico, perché questo entrerebbe subito nel sistema.
Sugli investimenti, non esclusivamente ma prevalentemente il vostro ragionamento s'impernia su riprogrammazione e centralizzazione, il nostro ragionamento su decentramento e interventi nelle cose programmate e progettate, quindi soldi nuovi su cose vecchie e pronte e non soldi vecchi su cose nuove che non arrivano mai. Questo significa fare una bella riunione con regioni e comuni non solo sulle scuole.
Sulla questione degli automatismi, poiché sto parlando con il Ministro Tremonti, il Ministro delle leggi Tremonti, anche in quel caso leggi procicliche, non capisco perché, adesso che c'è la misura minimamente anticiclica dell'ambiente, delle ristrutturazioni, si voglia eliminarla. Abbiamo un'esperienza del 36 per cento che dura da anni e che ha dimostrato la sua sostenibilità e la capacità di far emergere il sommerso. È indubbiamente necessario controllare meglio e aggiustare, evitando però di rovinare un meccanismo di questo genere, così come i crediti d'imposta per la ricerca. Se il primo anno si spenderà troppo per la ricerca, si potrà aggiustare e stringere, ma non si possono complicare gli unici meccanismi in grado di tirare.
Questo comporta una limitata elasticità temporanea sul deficit e un modo di considerare il debito in modo serio, senza allontanarsene significativamente. Questo


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è compatibile con un'operazione che possa avere una copertura dell'Unione europea e una comprensione del mercato, laddove ci chiediamo se questo mercato ci giudichi meglio se stiamo fermi o se facciamo qualcosa di ragionevole. Comunque, Ministro, si mettano i paletti di finanza pubblica dove si vuole, però abbiamo un acuto problema sociale e quindi i soldi si vanno a prendere dove sono. Le chiediamo quindi di portarci i dati sulle entrate, perché se risulta vero che negli ultimi mesi incassiamo più IRPEF per ragioni di fiscal drag e ancora meno di quanto dovevamo incassare per la crisi dalle altre voci, questo non va.
Per quanto riguarda i mercati che ci guardano, sulle banche, mi sembra che in questo ragionamento c'è un convitato di pietra. Nelle ultime settimane, c'è una sorta di comma 22, in base al quale non si può né fare, né non fare e continuiamo a fare norme che alludono alle banche e poi non facciamo. Quindi, a proposito di mercati, dobbiamo prendere velocemente una decisione: o diciamo che in Italia non serve nulla, perché siamo a posto, o facciamo qualcosa. Poiché nel relativo siamo già al debito più alto, se stiamo fermi, siamo già in svantaggio. Solo muovendoci, infatti, abbiamo forse la possibilità di cambiare qualcosa.

PRESIDENTE. Avverto i componenti del gruppo del Partito Democratico che lo sforamento dei tempi si «autocopre» per così dire.

GIULIO TREMONTI, Ministro dell'economia e delle finanze. Non rispondo ai rilievi fatti in retrospettiva, perché non mancheranno spazi e tempi. Non corriamo il rischio di diventare un Land della Repubblica federale tedesca e non credo che da parte loro ci sia ansia a entrare in un Paese governato come finanza pubblica con il coraggio da lei rilevato.
Cerco di essere costruttivo. Ho letto con grande interesse le proposte avanzate dal Partito Democratico nel documento Economia, le misure anticrisi del 16 ottobre 2008. Le scorro senza pretesa di riscontrare assolute identità, solo per verificare punti relativamente comuni, laddove poi naturalmente la proposta del vicino è sempre più bella o viceversa. Mi ha interessato che queste undici proposte siano esaustive, perché in quel momento erano le proposte prevalenti. «Parere obbligatorio vincolante a maggioranza della Commissione e istituzione di un Comitato ad hoc per i provvedimenti in materia bancaria». Per quanto concerne questa ipotesi, che pure è molto interessante, ci sembrava inopportuno costituire un nuovo Comitato parlamentare o misto, ma era fondamentale rispondere al messaggio della trasparenza. Nel decreto, si prevede dunque l'obbligo di riferire al Parlamento con cadenze temporali, disaggregazioni regionali e dimensionali sull'utilizzo delle risorse pubbliche provvedute al sistema bancario attraverso gli strumenti di obbligazione contenuti nel decreto.
Monitoraggio e trasparenza. Ha perfettamente ragione nel rilevare che i tempi sono lunghi, ma non nell'imputarli al Governo. In Europa, siamo ancora tutti impegnati in discussioni estremamente complicate con la Commissione e con la BCE. Abbiamo un meccanismo istituzionale di grande complessità. Chi ha emesso obbligazioni prima di noi viene contestato, mentre noi abbiamo scelto di fare il prima possibile, ma in linea, per evitare ricadute negative. Stiamo lavorando molto intensamente con la Banca d'Italia, con la Commissione europea, con la BCE, per attivare questi strumenti. Il ritardo non è dovuto a inerzie o a scelte, ma è una materia estremamente complicata, nuova e governata da varie entità, non è sovranità nazionale esclusiva.
Per le famiglie c'è l'ipotesi di una detrazione da configurare in tredicesima di 400 euro l'anno per famiglia. Per molte famiglie sono più di 400 euro. Naturalmente, si può sostenere che in un caso sono solo 300, che nell'altro mille sono troppi, si può dire che la distribuzione da noi scelta non è la più giusta e ne parleremo in Parlamento, ma rispetto alla domanda


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che fate relativa alla detrazione di 400 euro per famiglia, la risposta è nel decreto.
In un sistema anche informativo che configura come elemosina tre o quattro euro al giorno, credo che nelle situazioni di difficoltà che ci sono, che si stanno estendendo, quattro euro al giorno non siano inutili. Nei salotti e in taluni ambienti quattro euro al giorno sono certamente considerati un'elemosina, ma non credo sia giusto dirlo.

PIER LUIGI BERSANI. La forma è dell'elemosina, non la sostanza.

GIULIO TREMONTI, Ministro dell'economia e delle finanze. Non è solo quello. Il bonus è sulla pensione e riguarda una platea di milioni di soggetti. In aggiunta, c'è la carta che è totalmente anonima e che è replicata dagli strumenti introdotti a partire dal 1961 dal presidente Kennedy, che non mi sembra fosse ansioso di ghettizzare o colpevolizzare le situazioni di bisogno. Le stanno sperimentando in tutta Europa, per cui credo debbano essere oggetto di un dibattito sereno.
Sui mutui fate un'ipotesi di sostituzione dell'Euribor con il tasso BCE in modo autoritativo, obbligatorio, noi facciamo un'ipotesi diversa. Anche sui mutui, però, se non conta più l'Euribor, perché non è più significativo come parametro, possiamo parlarne, ma non mi sembra che siamo così lontani.
Nel decreto sono poi previsti aiuti per le piccole e medie imprese. Al Confidi abbiamo aggiunto la garanzia di Stato, che è uno strumento non privo di significato. Nel decreto ipotizziamo un uso attivo in questi termini della SACE. Credo possa essere oggetto di una discussione comune il fatto che sia potenziato il medio credito Confidi con l'aggiunta della garanzia di Stato e l'utilizzo della SACE. Non mi sembra così diverso rispetto alle vostre proposte.
Per quanto riguarda l'accelerazione dei pagamenti, tentiamo di operare su questa linea, sapendo di definire pagamenti da accelerare uno stock di debito non evidenziato nel bilancio che deve essere progressivamente smaltito. Non andiamo a verificare chi sia responsabile di questo, ma cerchiamo di velocizzarli anche con forme di «sconto e garanzia».
Riteniamo che la politica da fare per l'anno prossimo sia quella dei fondi e degli ammortizzatori sociali. È una fortuna conservare il posto di lavoro, ma chi lo ha perso necessita di interventi fondamentali. Lei ci ha accusato di centralizzare i fondi, ma non è vero. Abbiamo fatto un ragionamento diverso, nel quale la nominavamo. Abbiamo ereditato un sistema di interventi, in parte anche disegnato dal suo Ministero, e l'abbiamo lavorato nei Ministeri, convinti che fosse la cosa giusta. Il livello di crisi raggiunto ci ha poi spinto a fare time out, come si rileva nel documento della Commissione europea e nel nostro decreto-legge. Ci chiedevamo se quello che era stato pianificato in un mondo ormai mutato dovesse essere conservato o a sua volta essere cambiato. La Commissione europea e noi come Governo abbiamo detto time out per verificare se quei fondi avessero ancora la giusta finalizzazione o fosse subentrata una finalizzazione diversa, ad esempio gli ammortizzatori, ancora più giusta. Non vogliamo centralizzare nulla, sapendo bene che se ti metti di traverso si blocca tutto, bensì tentare di utilizzare su questa logica le politiche attive, i fondi di coesione europea, lavorando con le regioni.
Per quanto riguarda le infrastrutture, lei ha perfettamente ragione e quella contenuta nel vostro documento è anche la nostra logica. Considero molto importante - ne dobbiamo discutere e sperimentarla - la norma secondo la quale ogni progetto inserito nel quadro strategico nazionale (fondi di coesione e FAS) può - se l'autorità competente sceglie - essere messo nella competenza di un commissario, che non è più solo ad acta per la legittimità degli atti, ma anche responsabile per la tempistica dell'attività. Ogni progetto deve avere infatti un cronoprogramma. Se questo cronoprogramma non viene rispettato, ci sono le ordinanze in deroga e i ricorsi al TAR, in linea con la direttiva gare, non


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bloccano più i cantieri. Chi ritiene di aver subìto una lesione di un interesse legittimo può fare ricorso per chiedere il risarcimento del danno, senza però bloccare il cantiere, perché prevale un interesse pubblico superiore. Questo non ci sembra privo di significato.
Siamo d'accordo che i crediti d'imposta siano la cosa giusta e, poiché pensiamo che c'è spazio nei fondi europei o nei fondi nazionali e abbiamo riconosciuto che i fondi erano già in bilancio per cifre superiori a 100 miliardi di euro ancora da spendere, potremmo verificare - time out - se le finalizzazioni del 2007 siano ancora giuste o debbano essere cambiate, verificando se esistono diritti quesiti e dei progetti avviati senza fermarli, per non produrre un danno, ma utilizzando il margine di scelta. La Commissione europea ieri ci ha esortato - time out - a rivedere tutto insieme, senza bloccare niente e dimostrandosi aperti su tutto quanto è compatibile, con le regioni, per cui faremo quella scelta. Se sui fondi c'è spazio per finanziare dei crediti di imposta ad esempio sul Mezzogiorno, siamo assolutamente a favore, però con un solo criterio e vincolo: basta con il bancomat. Se c'è un credito di imposta...

SERGIO ANTONIO D'ANTONI. Il bancomat è il FAS!

GIULIO TREMONTI, Ministro dell'economia e delle finanze. Onorevole D'Antoni, le confesso che non abbiamo interesse a polemiche in questo momento.
Se c'è spazio, lo riteniamo un modo giusto di utilizzare i fondi europei e nazionali, ma con un criterio di calcolo che non trasformi il credito di imposta in un'illusione. Se vuoi dare credito, lo devi coprire, e fino a copertura hai credito. Non si può dare un credito non controllato e non coperto e poi deludere la gente, dovendo recuperare.
Poi si chiude con la proposta di emissione di Eurobond, su cui ci trova assolutamente d'accordo, ma non basta il nostro consenso.

ANTONIO BORGHESI. Desidero intervenire sull'ordine dei lavori, presidente, poiché credo che il metodo che abbiamo instaurato non funzioni troppo bene. Si rischia che qualcuno non riesca neanche a...

PRESIDENTE. No, funziona. Prego onorevole Bitonci.

MASSIMO BITONCI. Grazie presidente. Signor Ministro, l'Unione europea ha dato il via libera al piano anticrisi per 200 miliardi di euro, pari all'1,5 per cento del prodotto interno lordo europeo. Questo piano si basa su dieci azioni prioritarie basate sulla strategia di Lisbona, con l'obiettivo di effettuare riforme di carattere strutturale a sostegno dell'economia reale.
Considero innanzitutto necessario riflettere sulla politica economica e monetaria finora svolta dall'Unione europea e sul ruolo e sugli obiettivi della Banca centrale europea, il cui operato, strettamente orientato all'obiettivo della stabilità dei prezzi, si è rivelato non sempre adeguato a un sistema economico che avrebbe avuto bisogno di una maggiore immissione di liquidità anche per favorire la ripresa economica.
Il taglio dei tassi dello 0,5 per cento è parso subito una misura direi «tiepida», in considerazione della grave crisi e del più consistente taglio dei tassi operato dalla FED. In effetti, la risposta dei mercati è risultata poi negativa. Abbiamo anche molti dubbi sull'efficacia dell'attività della BCE anche al fine della stabilità dei prezzi, elemento su cui incidono ormai fattori esogeni alla Comunità e quindi non governabili dalla Banca stessa. Anche sul piano della tutela dei prodotti, diventa fondamentale l'esigenza di liberalizzare il commercio solo laddove ci siano effettive garanzie di tutela della proprietà intellettuale delle nostre aziende, dell'attuazione di normative a tutela dell'ambiente, dei lavoratori, dei consumatori sullo stesso livello di quelle europee. In caso contrario, l'utilizzo delle barriere doganali non è certamente un ritorno al passato, ma una


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tutela necessaria per le nostre aziende. Se infatti il processo produttivo in Europa è aggravato dalla volontà di produrre in modo sostenibile e le aziende si accollano i costi dei maggiori controlli, questo deve essere parimenti sostenuto penalizzando ed estromettendo i produttori extraeuropei che non fanno altrettanto.
Riteniamo che un obiettivo da perseguire sia una deroga temporanea ai criteri di Maastricht, come il congelamento del Patto di stabilità e l'invito alla Banca centrale europea a un ulteriore e più coraggioso taglio dei tassi di interesse, misure straordinarie, ma necessarie per affrontare una crisi gravissima, al fine di restituire fiducia ai mercati. In questo contesto, si inserisce - come lei ha precisato - la manovra approvata la scorsa settimana dal Governo, con importanti misure a favore delle famiglie e delle imprese, a sostegno della domanda e dell'offerta. Auspichiamo che il Governo non abbandoni quella politica europea sull'aumento dell'efficienza energetica, come la citata misura del 55 per cento, compiendo in tal caso un grave errore, anche perché molte famiglie hanno già effettuato la spesa.
Con il decreto sulle banche, approvato alla Camera, si è voluto garantire il credito e le istituzioni finanziarie per assicurare il buon funzionamento dell'economia con la garanzia di ricapitalizzazione degli istituti di credito in difficoltà, garanzia che però non risulta al momento sufficiente a liberare le risorse finanziarie fondamentali per le nostre piccole e medie imprese in grave difficoltà. Purtroppo, nonostante le garanzie del Governo, le banche hanno chiuso i rubinetti. Chiediamo quindi, signor Ministro, un suo intervento forte e determinato perché le banche continuino a erogare prestiti e finanziamenti alle nostre imprese.
Ma il problema più sentito, riguarda la rigidità del Patto di stabilità, cui devono sottostare i nostri enti locali, che spesso sono gli unici enti virtuosi. Nonostante la recente modifica dell'articolo 77, tale Patto di stabilità non ha risolto il problema dei pagamenti dei comuni per opere già completate o in corso di esecuzione. I comuni non possono pagare le imprese non per mancanza di fondi disponibili in cassa, ma perché devono sottostare in maniera rigida ai criteri del Patto. Risulta quindi urgente una revisione, laddove gli 8 mila comuni d'Italia - io sono sindaco di un comune di 20 mila abitanti - potrebbero svolgere quell'importante ruolo di sostegno dell'offerta, continuando a investire in opere pubbliche, in scuole, in infrastrutture, con un innegabile contributo volto al rilancio del Paese. Bloccando gli investimenti di questi enti, signor Ministro, rischiamo di bloccare interamente il Paese.
Dobbiamo anche considerare lo stato di grave crisi finanziaria che ha investito il mercato finanziario e che sta per ripercuotersi gravemente sull'economia reale. È dunque necessario assumere urgenti provvedimenti a sostegno delle nostre imprese, intervenendo sulla pressione fiscale e conseguentemente sugli studi di settore. Attualmente, ci troviamo in una fase in cui le associazioni di categoria sono state chiamate ai tavoli nazionali di revisione degli studi di settore. In tali sedi, hanno ripetutamente evidenziato come l'impatto dei nuovi studi stia diventando eccessivamente oneroso per i contribuenti, laddove il numero di soggetti non congrui è passato dal 15 per cento nel 2006 al 50 per cento nel 2007. Spesso, i fattori su cui si basa la determinazione dei ricavi congrui per le diverse tipologie di attività restano lontani dall'attuale realtà del mercato e devono essere rivisti alla luce della recessione economica in atto.
La Lega Nord le chiede dunque - signor Ministro - di valutare l'opportunità di adottare provvedimenti a sostegno delle imprese, operando una sterilizzazione degli studi di settore almeno per il periodo congiunturale in atto e valutando l'opportunità di modificarli tenendo conto della specificità degli importanti distretti produttivi che sono legati soprattutto al nord Italia.

BRUNO TABACCI. Signor Ministro, ho valutato positivamente il tono con cui lei oggi si è rivolto alla Commissione. La


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consapevolezza delle difficoltà e l'atteggiamento rispetto alle prospettive di un Governo europeo mi hanno fatto evidenziare la lontananza da atteggiamenti di euroscetticismo letti in un passato non molto lontano e riecheggiati nell'intervento del collega della Lega Nord. Auspico dunque che nelle prossime settimane lei riesca a ricostruire in sede europea una trama di rapporti, che consenta di adottare un atteggiamento più coraggioso, laddove mi sembra che all'Europa manchi la forza delle grandi decisioni, che pure in un passato non troppo lontano ha saputo assumere. Ritengo quindi che l'indicazione di un fondo europeo anche utilizzando le riserve delle banche centrali con l'emissione di titoli di debito pubblico possa essere ripresa e che comunque resti traccia di un'azione europeista dell'Italia, che in un tempo non molto lontano diventerà comunque necessaria.
Credo che la Banca centrale europea avrebbe dovuto azionare una discesa dei tassi più rapida verso quel 2 per cento sul quale si poteva attestare, alla luce delle decisioni assunte - ad esempio - dalla Banca d'Inghilterra piuttosto che dalla Banca federale americana.
Per quanto riguarda il rispetto del Patto di stabilità, credo che lei abbia ragione nel rilevare l'esigenza di guardare alle emissioni di titoli nei prossimi mesi, perché si determinerà una concorrenza molto forte con altri soggetti che hanno la stessa necessità che abbiamo noi di collocare titoli. Ritengo che si possa anche andare a un superamento del 3 per cento, anche se le stime desumibili sulla base degli andamenti dell'economia ci portano già al di fuori di quel tetto al netto delle decisioni che andremo ad assumere, ma penso che un intervento da riprendere sul tema dell'assetto della previdenza - tenendo conto del fatto che non si tratta di decidere che fare dal 1o gennaio, ma quali assicurazioni dare in una prospettiva di medio termine - possa dare la garanzia che anche un superamento del 3 per cento sia controbilanciato dalla decisione di finanza pubblica che tocca - ad esempio - il limite dell'età pensionabile, entrando dentro una condizione oggettiva della struttura del mercato del lavoro. Abbinerei ovviamente ciò ad una seria politica degli ammortizzatori sociali.
Con riferimento al vostro decreto, avrei ritenuto opportuno, più che polverizzare l'intervento in molte direzioni, alcune delle quali apparentemente legate più a un effetto di comunicazione che ad aspetti reali, concentrarsi sul tema degli ammortizzatori sociali. Credo infatti che le previsioni di Bonanni, che pure non possiede la sfera di vetro e non prevede i numeri, siano molto vicine alla realtà e, poiché nel mirino ci sono i lavoratori con meno professionalità, quelli meno giovani e i precari con contratti a termine, un intervento stabilizzatore in materia di ammortizzatori sociali accende quella speranza.
Nell'ultimo mese, ho l'impressione che si sia accresciuta la propensione a risparmiare. Si assiste infatti a una compressione dei consumi da parte delle famiglie, che ignorano cosa capiterà loro e quindi hanno l'esigenza di avere una certezza sul punto, soprattutto se fortemente legate al reddito da lavoro. Poiché il problema dell'adeguamento dell'attività produttiva comporterà inevitabilmente un adeguamento della massa lavorativa, un intervento di garanzia su questo punto vale più di qualsiasi card che si riesca ad inventare, a parte le difficoltà di individuare in un'economia con il 30 per cento di nero chi effettivamente meriti la carta. Alcuni evasori fiscali potrebbero infatti avere il coraggio di richiedere l'intervento speciale della social card.
Queste misure esigerebbero un atteggiamento politico di grande comprensione. Oggi, lei ha fatto un discorso accettabile nel metodo e nel tono, ma il comportamento del suo Governo in questi mesi è stato caratterizzato da una sensibilità del tutto diversa. Questo lo devo registrare, perché se per poter dialogare noi dovremo rincorrere gli scampoli di qualche dibattito in Commissione o le sue rare presenze in Aula, senza avere poi la possibilità di tradurlo in atti concreti, laddove l'attività legislativa si svolge attraverso la produzione di leggi e di emendamenti; se ci


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ponete davanti solo l'utilizzo di decreti-legge con già preannunciati voti di fiducia, giustamente lei dice che potremo scrivere libri e articoli e dedicarci a conferenze, attività cui certo ci dedicheremo, ma questo appare in contrasto con il tono, lo stile e l'atteggiamento da lei assunti. Se infatti oggi lei dialoga e poi domani annuncia il voto di fiducia, verrò a illustrare un ordine del giorno, perché ho il senso dell'umorismo, discuterò con lei un ordine del giorno e poi magari il sottosegretario mi dirà che, se lo correggo - magari in qualche aggettivo - lo potrà anche accogliere. A questo si riduce l'attività parlamentare e il rapporto politico di oggi. È un po' poco! Mi permetto quindi di suggerirle una coerenza tra il tono, che io apprezzo, e gli atteggiamenti concreti.
Le chiederei anche di riferire al Presidente del Consiglio che non mi sono piaciute le spiegazioni date anche questa mattina in chiave di risposta europea al tema dell'adeguamento dell'Iva sulla questione di Sky, e che quando toccano nervi scoperti emerge il tema che lo accompagna nella sua esperienza politica: un conflitto di interessi di proporzioni gigantesche. È inutile che si agiti, le cose non stanno così. Quando un problema lo riguarda o sul piano giudiziario o sul piano dei suoi interessi particolari, si incrocia sempre qualcosa che non può poi essere affrontato a viso aperto.
È quindi inutile che si inalberi, che si affermi - si ricorre anche a questa giustificazione - che quanto stiamo gestendo sia causa del Governo precedente. Per favore, basta! Prodi mi sembra che si occupi di altre cose; noi cerchiamo di occuparci delle nostre cose.
Non voglio aggiungere nulla sulle previsioni del 20 di maggio che lei ha fatto, perché ho già avuto modo di esprimere la mia opinione a suo tempo. Mi permetto però di evidenziare che, mentre in passato noi sollevavamo i limiti dell'accordo con l'ABI a proposito dei mutui, adesso con questo aggiustamento voi riconoscete l'inutilità di quell'accordo o che comunque fosse fumo negli occhi. Il fatto che solo meno dell'1 per cento lo abbia utilizzato, significa che era sbagliato, come avevamo detto, e come era sostanzialmente sbagliato anche l'atteggiamento da Robin Hood. Sul piano del tendenziale gli effetti ci saranno, perché dai petrolieri e dai banchieri non arriverà nulla.
Per metterci a lavorare, sarebbe sufficiente riconoscere che in quel decreto n. 112 c'erano delle cose che non c'entravano nulla con quello che ci sarebbe capitato, questo dovrebbe essere riconosciuto; invece puntigliosamente si richiama il fatto che qualcuno l'aveva previsto, in più ci date i decreti-legge, ci imponete la fiducia e poi proponete di collaborare in questo momento di difficoltà. Daremo una mano, scrivendo su qualche rivista.

GIULIO TREMONTI, Ministro dell'economia e delle finanze. Onorevole Tabacci, ho preso naturalmente atto di tutto.
Non so se le mie presenze in Parlamento siano tante o poche, però propongo questo patto: una simmetria tra maggiori presenze del Governo, del Ministro in Parlamento e minori presenze di altri in televisione. Grazie.

ANTONIO BORGHESI. Mi aspettavo che oggi si parlasse delle azioni concrete fatte dal Governo più che dei massimi sistemi europei, perché alcune nazioni come la Germania sono state caute, altre non hanno avuto paura di abbassare del 2 per cento l'Iva e ritengo che in questa situazione, considerati anche i dati sul sistema turismo che in nove mesi ha fatturato il 15 per cento in meno ed è una risorsa importante per il mercato interno, il sostegno del mercato interno sia l'unica arma per impedire di entrare in una spirale dalla quale difficilmente si esce.
Nutro qualche dubbio sul fatto che i provvedimenti vadano in questo senso, signor Ministro, perché affermare di dare alle famiglie da 200 a 1.000 euro è un bello spot promozionale e pubblicitario, mentre vedendo bene si rileva che 1.000 euro toccheranno al 10 per cento delle famiglie, mentre l'80 per cento avrà 200 o forse 300 euro. Quindi andiamo esattamente in senso contrario.


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Vorrei sapere se lei, signor Ministro, abbia chiesto quale sia il costo industriale di emissione della carta dei poveri in rapporto al valore che conterrà e se possa spiegarci quale sia la grande idea liberale contenuta nello spendere in esercizi convenzionati a prezzi prefissati, probabilmente talvolta superiori a quelli che la povera gente trova nei mercatini o nei discount. Non è attraverso l'aumento dei prestiti con la banca per i bebè che si risolve il problema, facendo aumentare i debiti dei privati, né con l'istituzione del «porno ispettore» di Stato, perché la pornografia deve essere tassata, ma, considerando come l'avete affrontata nel decreto, dovremmo istituire il corpo dei «porno ispettori» presenti su i tutti i set per accertare se ci siano o meno i requisiti.
Lei ha dichiarato che andremo a rimettere i bonus nel settore delle ristrutturazioni almeno per il passato senza cambiare le regole del gioco, ma il credito d'imposta non è un bancomat, ed è doveroso fare meglio i conti, ma invito a fare i conti anche degli effetti positivi in termini di emersione del sommerso. In ogni caso sono meglio dei bancomat al rovescio che si sono rivelati i condoni, nei quali qualcuno per non pagare e per salvarsi ha versato una rata e poi ha lasciato lì cinque miliardi di euro. Interveniamo su quelli, in modo da incassarli immediatamente (notizie di stampa riportano invece una cifra di riferimento di recupero da lei calcolata di 300 milioni l'anno).
Il nucleare, signor Ministro, non è economia reale, è un future dell'economia reale: passeranno dieci-quindici anni prima che sia effettivamente economia reale. Avete tolto 3,5 miliardi da un anno all'altro ai contributi agli investimenti degli enti pubblici. Si poteva sospendere per due anni per i comuni virtuosi il Patto di stabilità per i soli investimenti, e questo avrebbe permesso di attivare immediatamente dei meccanismi che potevano permettere di investire e di sostenere il reddito delle famiglie. Credo che soltanto 3 miliardi di contributi in più per questi investimenti e 5 miliardi di quanto non incassato dai condoni avrebbero permesso, accanto a una lotta all'evasione fiscale che francamente non vedo più come prima, di investire 15 miliardi di euro nel sostegno delle famiglie a basso reddito.

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Borghesi. Mancano sei minuti, perché alle 16 dovremmo chiudere. L'onorevole Marinello, che avrebbe diritto ad un minuto per il suo intervento, vi rinuncia. Do allora la parola per un minuto all'onorevole Stracquadanio.

GIORGIO CLELIO STRACQUADANIO. La ringrazio per diversi motivi, signor Ministro. Circa la questione del 55 per cento sulle ristrutturazioni immobiliari il suo chiarimento è stato prezioso; sui quattro euro ad adiuvandum, questa cifra può assumere valori simbolici diversi, perché se sono dati al giorno a persone con difficoltà di reddito sono un'elemosina, ma presi al mese sul mio abbonamento Sky diventano una cifra immensa. Dobbiamo quindi considerarli sotto diversa luce.
L'aspetto più importante della carta acquisti non è il suo valore o gli esercizi convenzionati, ma il fatto che, sotto la regia pubblica, in città come Milano stiamo allargando l'ambito delle convenzioni per farne una vera leva a favore di chi ne ha bisogno.

SANDRO GOZI. Signor Ministro, mi sembra che il Piano della Commissione sia un'ammissione di impotenza e vorrei che voi ministri all'Ecofin lo sottolineaste. Si rileva un disallineamento totale tra il ruolo di coordinamento che la Commissione vuole svolgere e le risorse che non utilizza. Chiede risorse aggiuntive agli Stati membri, ma non utilizza risorse aggiuntive del bilancio comunitario. In vista della revisione del bilancio, vorrei conoscere la sua posizione sul bilancio comunitario.

NUNZIANTE CONSIGLIO. Vorrei focalizzare l'attenzione sulla questione delle azioni prioritarie previste dal Piano, che mira a migliorare l'efficienza energetica degli edifici. Credo che in numerose audizioni


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della Commissione europea sia stato riconosciuto da tutti che questo è un ottimo investimento per il futuro ed una leva per l'economia.
Il 13 novembre scorso è stato presentato un piano che intende lanciare con la BEI e le varie banche di sviluppo nazionale un fondo 20-20-20 per l'energia, il cambiamento climatico e le infrastrutture, che finanzi progetti azionari e quasi azionari. Vorrei conoscere la sua posizione in merito.

PRESIDENTE. Do la parola al Ministro per le conclusioni.

GIULIO TREMONTI, Ministro dell'economia e delle finanze. Ho cercato di rappresentare la posizione della Repubblica italiana in Europa: facciamo valere i nostri diritti in tutte le sedi senza azioni stravaganti.
È stata posta una questione interessante, che possiamo forse non risolvere, ma gestire. Abbiamo un'asimmetria: nei comuni c'è cassa ma non c'è competenza, in molti fondi c'è competenza ma non cassa. In mezzo c'è una grandezza, che dobbiamo considerare, perché è strategica, contabile ma anche politica verso l'Europa e i mercati: l'indebitamento. Se troviamo la quadra - in parte, forse si può trovare - abbiamo in parte risolto il problema che è stato sollevato. Grazie.

PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro e tutti i commissari. Naturalmente, riprenderemo questi temi in occasione dell'esame del decreto-legge.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,55.

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