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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissioni Riunite
(V e XIV)
03.
Mercoledì 7 luglio 2010
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 2

Audizione del Ministro degli affari esteri, Franco Frattini, nell'ambito dell'esame congiunto della comunicazione della Commissione europea «Rafforzare il coordinamento delle politiche economiche» (COM(2010)250 def.) (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento)

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 2 5 9 11
Baretta Pier Paolo (PD) ... 5
Buttiglione Rocco (UdC) ... 8
Consiglio Nunziante (LNP) ... 8
Frattini Franco, Ministro degli affari esteri ... 2 9
Gozi Sandro (PD) ... 6
Pescante Mario, Presidente della XIV Commissione ... 11
Razzi Antonio (IdV) ... 8
Toccafondi Gabriele (PdL) ... 7
Vannucci Massimo (PD) ... 8

Audizione del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Maurizio Sacconi, nell'ambito dell'esame congiunto della comunicazione della Commissione europea «Rafforzare il coordinamento delle politiche economiche» (COM(2010)250 def.) (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento)

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 11 16 20 24
Baretta Pier Paolo (PD) ... 18
Buttiglione Rocco (UdC) ... 16
Gozi Sandro (PD) ... 19
Marini Cesare (PD) ... 19
Pescante Mario, Presidente della XIV Commissione ... 20
Razzi Antonio (IdV) ... 18
Sacconi Maurizio, Ministro del lavoro e delle politiche sociali ... 12 20
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud Libertà e Autonomia-Partito Liberale Italiano: Misto-Noi Sud LA-PLI.

COMMISSIONI RIUNITE
V (BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE) E XIV (UNIONE EUROPEA)

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 7 luglio 2010


Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE
GIANCARLO GIORGETTI

La seduta comincia alle 8,30.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del Ministro degli affari esteri, Franco Frattini, nell'ambito dell'esame congiunto della comunicazione della Commissione europea «Rafforzare il coordinamento delle politiche economiche» (COM(2010)250 def.).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del Ministro degli affari esteri, Franco Frattini, nell'ambito dell'esame della comunicazione della Commissione europea «Rafforzare il coordinamento delle politiche economiche» (COM(2010)250 def.).
Ringraziamo il Ministro, che ha voluto presenziare in quest'orario mattutino. Sapete, però, che il calendario dell'Aula non ci avrebbe permesso un'altra soluzione.
Do la parola al Ministro Frattini, che ringrazio ancora per la sua presenza.

FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Grazie molte, presidente. Certamente il tema dei vostri lavori interessa particolarmente il Governo e molti ministri.
Negli ultimi mesi abbiamo visto l'Unione europea attraversare uno dei passaggi forse più delicati della sua storia recente, dopo l'adozione del Trattato di Lisbona. Le fondamenta dell'edificio europeo sono state in pericolo e i meccanismi dell'Unione sono stati sollecitati fortemente, tanto che nei giorni più delicati della crisi greca qualcuno ha anche dubitato per le sorti della moneta unica.
Credo che si possa affermare che vi sono alcune lezioni da trarre da queste vicende, nonché, ovviamente, alcune proposte, che si stanno ora esaminando.
La prima lezione è certamente che la stabilità finanziaria, da un lato, e la crescita economica, dall'altro, sono beni collettivi, dell'Europa, e non possono essere di questo o quel Paese; gli errori e i passi falsi di uno Stato si ripercuotono, quindi, su tutti gli altri.
Questa prima lezione porta due conseguenze. La prima è che tutti i Paesi devono avere la possibilità di svolgere una supervisione generale sulla gestione delle faccende domestiche degli altri partner: l'idea di un monitoraggio generale di tutti su tutto è un principio fondamentale, perché nessuno Stato può sostenere che un affare sia solo suo interno. Siamo sulla stessa barca e, se uno Stato evidenzia imprecisioni, o peggio, sulla gestione dei propri conti, ciò ha ripercussioni su tutti gli altri.
La seconda conseguenza è che la solidarietà tra Paesi di cui tutti parlano oggi non è più solo una necessità morale, ma anche una necessità pratica. Evidentemente, se ci si rifiutasse di soccorrere i partner in difficoltà, ciascuno dei Paesi che non lo facesse si danneggerebbe da solo,


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perché prima o poi, come facemmo notare ad autorevoli partner europei, incerti sull'intervenire o meno, prima o poi le conseguenze della crisi si trasmettono a tutti.
La seconda lezione è che l'euro ha, in qualche modo, assunto una valenza politica e costituzionale, non solamente monetaria o finanziaria. Ci siamo resi conto che il collasso dell'Unione economica e monetaria avrebbe significato il collasso politico dell'Europa. Non si può tenere distinta la conseguenza finanziaria della crisi dell'euro dall'impatto politico e costituzionale che avrebbe coinvolto la credibilità della costruzione europea.
Per tale motivo i capi di Stato e di Governo hanno finalmente deciso di approvare un pacchetto ambizioso di misure, dando il segno di una reazione che non poteva e non doveva essere limitata solamente ai ministri delle finanze.
La terza lezione è l'evidenza di lacune nel sistema di governance economica europea. La crisi greca ha mostrato con grande chiarezza che l'edificio politico-costituzionale dell'Unione economica e monetaria è incompleto: mancano alcuni mattoni importanti e ve ne sono alcuni già rovinati, che vanno riparati.
Accanto al Governo europeo della moneta occorre costituire fortemente un Governo economico dell'Europa e avere, quindi, una politica economica dell'Europa accanto a quella monetaria.
Il primo Consiglio europeo che ha affrontato la crisi, il 7 maggio 2010, ha adottato misure di emergenza, ma ora siamo nella fase due, su cui mi esprimerò in seguito, che ha come obiettivo la scadenza di ottobre per il Consiglio europeo, il quale dovrà mettere a punto, cioè approvare, gli strumenti di governance.
Abbiamo attraversato, quindi, una prima fase, con un pacchetto di salvataggio per la Grecia e un'attenzione rinnovata sulla sostenibilità delle finanze pubbliche.
Sull'assistenza alla Grecia sapete sostanzialmente tutto. Abbiamo approvato un meccanismo che permette, nel caso in cui occorra, di attingere a un fondo largamente capiente - si parla complessivamente di oltre 700 miliardi di euro - per stabilizzare le finanze pubbliche di quel Paese o di altri che ne avessero necessità.
Proprio perché, in questo momento, si comprende che non ci può essere solo il soccorso a un Paese in crisi, si è in parallelo detto di rivedere i princìpi sulla sostenibilità delle finanze pubbliche, cioè le misure necessarie a evitare che nuove crisi appaiano all'orizzonte.
La fase due guarda, dunque, a colmare le lacune. Si è costituita una task force guidata dal presidente dell'Unione europea con i ministri dell'economia e delle finanze. Il 17 giugno scorso sono state adottate alcune misure e la Commissione, il 30 giugno, ha adottato una comunicazione sul rafforzamento delle politiche economiche.
I pilastri sono evidentemente due. Occorre rafforzare, innanzitutto, il Patto di stabilità e crescita, che - voglio sottolinearlo - con la parallela strategia Europa 2020, esalta l'aspetto della crescita accanto a quello della stabilità. Due sono, pertanto, le componenti del Patto.
Il secondo pilastro è il potenziamento degli strumenti di coordinamento delle politiche economiche.
Rafforzare il Patto di stabilità e crescita significa rafforzare il profilo correttivo e preventivo, ma anche quello sanzionatorio del Patto. Ciò comporta profili per il rientro accelerato del deficit - il 3 per cento - profili di riduzione rapida del debito, che evidentemente vede l'Italia tra i Paesi maggiormente esposti, nonché, un aspetto importante, un cambiamento dei criteri da tenere in considerazione per valutare se, e in che misura, i dati relativi al deficit e al debito vadano ritenuti eccessivi.
Quando si può sostenere che sia eccessivo il deficit e/o il debito di un Paese? Questo è il punto fondamentale su cui il 17 giugno 2010 l'Italia ha contribuito, con l'azione del Presidente del Consiglio, a ottenere un'integrazione dei parametri tradizionalmente indicati per l'eccessività e l'insostenibilità - o meno - della situazione di finanza pubblica di un Paese.
Oggi, siamo arrivati a considerare la dinamica del debito come un elemento


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importante, tanto quanto il livello del debito stesso. Guardiamo, quindi, alla dinamica, al trend di evoluzione del debito di un Paese, non solo alla fotografia statica. Osserviamo anche il concetto di sostenibilità complessiva delle finanze pubbliche, non più solo il debito pubblico, ma anche le componenti come il debito privato e, elemento altrettanto importante, eventuali passività implicite, che molti Paesi non dichiarano o che non evidenziavano fino a ieri. Pensate alle situazioni di sistemi pensionistici in condizione di squilibrio, che sono un'evidente passività implicita, ma finora non entravano nel concetto di sostenibilità complessiva delle finanze pubbliche.
La comunicazione della Commissione europea raccoglie in maniera importante queste nostre preoccupazioni, che saranno l'elemento su cui si baserà la valutazione nei prossimi mesi.
L'altro pilastro è rappresentato dal rafforzamento dell'impianto sanzionatorio. La Commissione, a mio avviso giustamente, parla, da un lato, di incentivi e, dall'altro, di penalità. Si parla di imposizione temporanea di depositi fruttiferi e di maggiore condizionalità sull'esborso dei fondi di coesione.
Se tali fondi debbono essere, come è giusto che sia, non più assistenzialismo a pioggia, vanno collegati all'attuazione di riforme strutturali e investimenti infrastrutturali stabili. Pensiamo addirittura di arrivare fino alla sospensione o anche alla cancellazione di alcune risorse, che, per esempio, potrebbero essere proprio quelle degli aiuti, dello sviluppo rurale, della coesione, in caso di reiterate inadempienze di uno dei Paesi.
Attenzione, dunque: con riferimento alle dinamiche della spesa pubblica in ciascun Paese, non vi sarà più un'azione senza conseguenze, se gli Stati membri mancheranno di attuare riforme di mitigazione e di risparmio. Vi potranno essere, invece, conseguenze gravissime, dalla sospensione alla cancellazione dei fondi strutturali, che vanno, come è noto, al territorio.
Vi è la possibilità di incidere addirittura in modo diretto sui bilanci nazionali. È già prevista dai trattati - mi permetto di affermare che è stata molto enfatizzata dagli osservatori, ma che esiste già - la possibilità di arrivare a un'ammenda diretta al Paese nella fase finale della procedura di deficit eccessivo. Tale aspetto esiste già, ma la Commissione lo sottolinea.
Su tale seconda parte, sia preventiva, sia sanzionatoria, a settembre avremo le proposte formali, che potremo approfondire in vista del Consiglio europeo di ottobre.
Questo meccanismo, così come proposto, tuttavia, rischia di avere alcuni effetti non equilibrati nei confronti degli Stati membri. Penso, per esempio, a uno squilibrio che penalizzerebbe i Paesi maggiormente beneficiari di alcune politiche che a noi interessano molto, come la politica agricola o quella di coesione.
Tale meccanismo verrebbe a incidere moltissimo su tali settori, mentre inciderebbe assai meno sui Paesi che ricevono risorse dai programmi in gestione diretta, i programmi cosiddetti della Rubrica 1. Come si è compreso, infatti, tali programmi sarebbero comunque esenti, indipendentemente dalla virtuosità dello Stato beneficiario, dalle sanzioni.
Più esplicitamente, non si comprende perché dalla virtuosità o meno di uno Stato derivino conseguenze solamente su alcuni programmi finanziari, che verrebbero decurtati, e non su altri. Noi, ovviamente, rischieremmo di essere penalizzati in modo particolare. È ovvio che dobbiamo non metterci nella condizione di essere colpiti, ma astrattamente il criterio non deve introdurre misure di squilibrio.
Il terzo e ultimo punto è il coordinamento delle politiche economiche. Abbiamo accompagnato la task force del presidente Van Rompuy e ascoltato le raccomandazioni dei capi di Stato e di Governo. Sono due gli ordini di proposte sul terreno: il primo è ridurre in modo permanente gli squilibri macroeconomici tra gli Stati membri; il secondo è stabilire


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un coordinamento ex ante nella definizione delle manovre economiche nazionali.
Sotto il primo profilo, dobbiamo rafforzare i meccanismi che si chiamano di early warning, cioè di allerta precoce. Dobbiamo assumere meccanismi di allarme fondati su alcuni indicatori di pericolo-crisi, che siano più efficaci e formino oggetto di un atto importante, che potrebbe essere proprio una raccomandazione del Consiglio.
Siamo in una fase di riflessione preliminare, ma la Commissione, ancora una volta, entro settembre, dovrebbe presentare una proposta legislativa in questa materia. Il predetto tema si intreccia con la strategia di crescita per il rilancio della competitività.
L'altro aspetto, l'ultimo cui accennerò, è il coordinamento ex ante delle manovre di bilancio nazionali. Avete visto la comunicazione che parla di una sorta di semestre europeo, cioè di un periodo nel quale tutti gli Stati membri presenterebbero le loro proposte di manovra nazionale, in modo che esse siano conosciute da tutti gli altri, esaminate e sostanzialmente accompagnate dai Programmi di stabilità e convergenza e dai Programmi nazionali di riforma. Vi sarebbe, dunque, insieme, la presentazione dei progetti di manovra nazionale e una valutazione da parte delle istanze comunitarie per vedere se tali manovre sono o non sono coerenti con l'idea complessiva.
La prossima settimana, il Consiglio Ecofin avrà la possibilità, mi auguro, non solo di esaminare, ma anche di adottare tale proposta. Se così fosse, dal 2011 avremmo la possibilità di disporre di questo strumento e del citato semestre europeo di presentazione e di valutazione parallela delle manovre nazionali.
È ovvio che ciò richiede una precisazione da svolgere in modo molto chiaro: non possiamo immaginare che il suddetto meccanismo comporti un progetto compiuto di bilancio nazionale da presentare all'Europa prima che al Parlamento nazionale. Ciò è un punto chiaro, su cui saremo molto puntuali in sede di discussione e che abbiamo già dichiarato nelle sedi opportune. Al contrario, occorre - e questo si può fare - che i programmi nazionali includano le informazioni necessarie perché vi sia un coordinamento, cioè perché tutti conoscano il loro contenuto.
In tali termini credo che le proposte che verranno approfondite nei prossimi mesi vadano nella giusta direzione, senza modificare i trattati. Qualcuno ha domandato se non sia il caso di cambiare qualcosa, magari un paragrafo. Assolutamente no: se ci rimettiamo ad aprire il vaso di Pandora dei trattati europei, non finiremo più. Siamo stati 15 anni a negoziare su norme, istituzioni e cavilli e tale prospettiva è impensabile.
Un'altra considerazione è la seguente: tutti siamo felici quando sentiamo parlare di grandi temi, di governance economica europea, ma un'espressione inglese dice: «the devil is in the details», ossia il diavolo sta nei dettagli. Dopo avere parlato di grandi strategie, cioè, quando andiamo a precisare come si fa, lì si nascondono i problemi.
Saremo, dunque, molto attenti a sottoporre al Parlamento nazionale anche i dettagli. Non sarà immaginabile che ci assumeremo impegni di adottare misure senza che il Parlamento italiano ne sarà prima a conoscenza, tanto più che il Trattato di Lisbona attribuisce un ruolo maggiore, e non minore, ai Parlamenti nazionali, rispetto al passato.

PRESIDENTE. Grazie, Ministro Frattini. Do la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

PIER PAOLO BARETTA. Grazie, signor Ministro. Sulla fase due che ha prospettato, lei fa capire la possibilità, l'esigenza di un salto di qualità dell'Unione, derivato anche dalle vicende recenti che hanno scioccato i governanti e i popoli d'Europa, a fronte della drammaticità della crisi, in merito alla quale la Grecia è stata il testimone di un rischio più collettivo.
La questione che si pone è che il piano, di cui mi auguro discuteremo anche noi a ottobre, comporta due problemi, su cui volevo sentire la sua opinione.


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Uno è immediato e riguarda il rafforzamento non tanto della governance, quanto dell'autorità della Commissione e di chi opera a Bruxelles. È evidente che c'è un impegno di gestione degli effetti di queste misure che ne aumenta l'autorevolezza politica, con i problemi, però, che ciò comporta in termini di autorità non riconosciuta del tutto, non tanto formale, ma sostanziale. In che misura lei ritiene che tali norme siano accompagnate, se c'è la possibilità che lo siano, da un rafforzamento di autorità?
Il secondo punto è che tale questione emerge alle soglie di una vera e propria dimensione politica, in quanto lei afferma che bisogna passare dal Governo monetario a quello economico. Direi che l'esito inevitabile di tale processo è il Governo politico dell'Unione europea, che mi rendo conto essere più di medio che non di breve periodo. Anche su tale tema mi interesserebbe capire le preoccupazioni del Ministro degli affari esteri italiano.
Vengo all'ultima osservazione. Io sono convinto che, in prospettiva, sia necessario avere un welfare europeo e un fisco più europeo. A me sembra che la visione sociale dell'Europa, che è necessaria - lei ha portato l'esempio di porre il sistema previdenziale all'interno del quadro delle compatibilità europee - si stia attenuando, negli ultimi anni, rispetto alla tradizionale concezione forte, che l'Europa aveva e che faceva riferimento anche alla tradizione anglosassone. Anche su tale punto mi interesserebbe la sua opinione.

SANDRO GOZI. Signor Ministro, le chiedo alcuni approfondimenti.
Il primo è relativo agli strumenti di stabilità. C'è un rafforzamento della sorveglianza multilaterale, ma siamo ancora in una fase transitoria. Si era parlato, per alcuni mesi, di strumenti più permanenti di mantenimento della stabilità, come - per esempio - il Fondo monetario europeo. Volevo conoscere la posizione del nostro Governo in merito.
Il secondo punto, sempre per quanto riguarda il rafforzamento della sorveglianza, è che continuiamo a essere zoppi, perché le proposte della Commissione e anche quelle della scorsa settimana, rafforzano molto il lato stabilità, ma non a sufficienza il lato crescita. Mi sembra ancora un'Europa che parla molto tedesco.
Non rafforzare il lato della crescita e il coordinamento delle relative politiche economiche ci pone un duplice problema, a mio modo di vedere. Si pone, infatti, una questione di istituzioni di politica economica, perché rimaniamo in un'asimmetria: da una parte, vi sono moneta e stabilità, ma, dall'altra, non c'è sufficiente crescita, a livello sia di strumenti, sia di strategie.
Il secondo problema è che, a mio parere, coordinamento non dovrebbe significare comportarsi tutti nello stesso modo, ma concertare alcune strategie che a livello economico nazionale possano anche essere differenziate. È evidente che oggi le strategie interne della Germania sono diverse da quelle degli altri Paesi e che noi abbiamo bisogni diversi da quelli dell'economia tedesca. Purtroppo, però, a livello europeo, oggi, si impone una strategia tedesca. Stiamo compiendo manovre che, a nostro parere, non sono sufficienti proprio perché rispondono solo a un'esigenza, particolarmente cara e conforme agli obiettivi tedeschi, ma non altrettanto esattamente agli obiettivi di altre economie.
Tale tema rimane aperto. Ci sono alcuni passaggi, che lei ricordava, che possono essere utili: il passaggio dei lavori finali della task force di Van Rompuy, nonché il dibattito che si terrà in Consiglio e in Parlamento sulla base delle proposte legislative della Commissione. Avremmo bisogno di capire quale sarà la posizione del Governo italiano.
Passo a un altro punto, sempre relativo al coordinamento, di cui avevamo già parlato in una recente audizione. In queste proposte la Commissione tiene aperte due opzioni, o meglio, sembra indicare una via parallela: affrontare alcune tematiche a 27 Paesi e altre a 16. Prima o poi, però, se vogliamo compiere il salto di qualità in materia di governance, dovremo decidere se vogliamo approfondire attorno


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alla zona euro o rimanere in una legislazione del mercato e fare qualcosa di più a 27 Paesi. Anche su questo punto vorrei sentire la sua opinione.
Vengo alle ultime due rapide questioni.
In materia di debito pubblico e privato, a nome del mio gruppo, durante l'ultimo Consiglio europeo, quando si svolse l'audizione presso la Camera dei deputati il 17 giugno 2010, le riferii che sostenevamo pienamente la possibilità di considerare i debiti in maniera integrata, cioè non solo il debito pubblico, ma anche quello privato.
Nella comunicazione e nella proposta della Commissione non si riflette, però, esattamente questo elemento. Il debito privato è tra gli indicatori di cui si può tenere conto nella valutazione della procedura di deficit eccessivo, ma non vi è l'indicazione del debito integrato, che ci metterebbe in una posizione mediana rispetto ad altri Paesi. Ricordo che il debito integrale italiano era, secondo le prime proiezioni, attorno al 235 per cento, quindi in una posizione migliore rispetto ad altri Paesi. Mi sembra, dunque, che la Commissione abbia ripreso solo in maniera molto parziale la nostra posizione. Su tale tema vorrei sentire la sua valutazione.
L'ultimo punto riguarda l'imposizione sulle banche e sulle transazioni finanziarie. Abbiamo preso atto non del veto, ma dell'opposizione dichiarata, politica, del Presidente del Consiglio in materia di imposizione sulle banche e anche del fatto che non c'è stata una decisione - non so se vi sia stato un dibattito - in merito.
Vorrei ricordare che, in base ad alcuni studi recenti, un'imposizione sulle operazioni finanziarie dello 0,05 per cento su ogni operazione in Europa porterebbe un gettito di 200 miliardi di euro, pari a più dell'1 per cento del PIL, che potrebbero produrre 2 milioni di posti di lavoro.
Non sostengo che le proiezioni di alcuni economisti siano incontestabili, ma eseguendo i conti, qualsiasi servizio, anche di questa Commissione, può certificare che questi sono i volumi. Vorrei capire se il Governo italiano mantiene la sua opposizione a tale via e, in tal caso, le relative ragioni.

GABRIELE TOCCAFONDI. Ringrazio il Ministro. Sottolineo un passaggio, due righe, che leggerò, della comunicazione della Commissione europea sulla fotografia della situazione attuale della Grecia, che forse danno molte risposte a domande che ci poniamo tutti, maggioranza e opposizione.
Alcuni passaggi della comunicazione magari non piacciono, come i controlli ex ante e il semestre europeo. A nessuna nazione piace essere controllata prima, durante e dopo, però la fotografia della realtà aiuta.
Leggo la comunicazione: «In Grecia l'eccezionale combinazione di una politica di bilancio poco rigorosa, una risposta non adeguata all'aggravarsi degli squilibri, debolezze strutturali e segnalazioni statistiche non corrette ha portato a una crisi del debito sovrano senza precedenti.» È vero che è senza precedenti e che si tratta di un'eccezionale combinazione, ma ciò arriva nonostante tutti gli strumenti che l'Europa mette già in atto per la verifica e il controllo dei bilanci nazionali.
Se ciò è accaduto, in questa Europa sono necessari strumenti nuovi. Questo va da sé. Riconfermo che anche nella relazione del sottoscritto e in quella del collega Gozi, nonché nella discussione che abbiamo già tenuto e che terremo, è già emerso - forse la parola non è esatta - un certo «fastidio» nel pensare a nuove azioni di controllo e verifica sui bilanci nazionali, nonché a nuove sanzioni, più stringenti, come ha sottolineato il Ministro.
Abbiamo parlato di elementi controversi, però indubbiamente necessari. Chiedo, quindi, una conferma al Ministro, vista l'occasione.
Sul debito aggregato penso che, forse, «aggregato» non è nemmeno la parola giusta, a questo punto. Intendiamo per debito aggregato la sommatoria del debito pubblico e dei debiti privati, di famiglie e imprese. Il Ministro ha parlato addirittura


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di passività. Forse è necessario parlare di debito globale; saranno altri a indicarci come chiamarlo.
Sottolineo, però, che alcuni membri di queste Commissioni riunite hanno evidenziato quasi la non vittoria politica del nostro Governo, in quanto saremo non più costretti ad abbattere il nostro debito nazionale: se siamo in posizione migliore di altri con il debito globale, ci sentiamo più sicuri, ma la percentuale del debito sul PIL non ci deve far dormire sonni tranquilli.
Penso, ma ne chiedo conferma al Ministro, che la migliore risposta sia proprio la manovra dolorosissima di tagli che questo Governo sta mettendo in campo proprio per abbattere il nostro debito nazionale.

MASSIMO VANNUCCI. Il Ministro ha posto - se ne è parlato anche in questa audizione - il tema del debito complessivo a livello europeo. Credo che l'area euro in questa fase non abbia espresso la massima convinzione. L'abbiamo visto con riferimento ai dati della Grecia.
Il tema del debito «aggregato» - chiamiamolo ancora così - secondo me andrebbe posto a livello globale, perché l'euro trovi la sua «convinzione». Se raffrontiamo l'area euro con quella del dollaro o della sterlina, vediamo che i nostri fondamentali sono migliori. Andrebbe, quindi, posta più nel quadro globale.
Nel caso della Grecia, non so - lo chiedo a lei, signor Ministro - se ci sia stato un cinico calcolo a ritardare l'intervento. Non posso pensare che una moneta sia legata alle elezioni regionali in un singolo Stato. Se c'è stato un calcolo cinico, perché l'euro aveva bisogno di essere svalutato un po', forse la ragione è questa, ma l'immagine che abbiamo comunicato francamente non è delle migliori.
L'Europa deve trovare la convinzione della sua forza. Nel tema che l'Italia ha posto del debito aggregato esiste anche tale elemento, che può rafforzare l'euro, in quanto esso ha i fondamentali migliori rispetto alle altre monete.

NUNZIANTE CONSIGLIO. Il Ministro Frattini ha ricordato i rischi per l'Italia dell'applicazione di meccanismi di condizionalità anticipata ai fondi strutturali. Mi chiedo, anche alla luce di questi meccanismi, se non sia il caso di ripensare la nostra posizione sulla distribuzione dei fondi tra gli attuali obiettivi di convergenza e competitività.
Ricordo che il Trattato di Lisbona introduce la coesione territoriale e attribuisce maggiore rilievo alle regioni in transizione economica, alle regioni di montagna e a quelle insulari. Non è nell'interesse dell'Italia superare la distinzione tra convergenza e competitività per aumentare la capacità di spesa dei fondi? Credo che proprio ieri il Parlamento europeo abbia approvato una risoluzione che andava esattamente in questo senso.

ANTONIO RAZZI. Signor Ministro, visto che si sta creando la polizia europea, perché non si fa anche la tessera sanitaria europea? Al presidente della mia Commissione, Pescante, l'ho chiesto diverse volte in Commissione politiche dell'Unione europea.
Inoltre, visto che è stato approvato un ordine del giorno sulla televisione europea, come mai nei 27 Paesi dell'Unione non si stipula un accordo per vedere tutti i programmi europei? Ciò comporta anche integrazione europea, visto che esiste la libera circolazione.
A proposito di banche europee, come mai non vi è un trattamento uniforme? Per avere meno esportazione di valuta bisogna stipulare un trattato tra tutti gli Stati europei e avere gli stessi trattamenti in tutte le banche europee.
Infine, perché, nonostante siamo stati tra i primi a fondare l'Unione europea, la lingua italiana non è compresa tra le lingue di lavoro della Commissione europea a Bruxelles? È arrivato lo spagnolo e condivido ciò, perché è la seconda lingua parlata al mondo, però, perché si parla il tedesco e non l'italiano?

ROCCO BUTTIGLIONE. Il Governo italiano prevede di appoggiare la proposta


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del Cancelliere tedesco Angela Merkel per una tassa sulle transazioni bancarie? È una proposta che il Presidente della Commissione europea Barroso ha rilanciato recentemente e che vuole tagliare le unghie alla speculazione, ma anche mettere a disposizione grandi risorse, che andrebbero investite in un progetto per l'occupazione, lo sviluppo e il miglioramento della posizione concorrenziale dell'Europa nel mondo.

PRESIDENTE. Do la parola al Ministro Frattini per la replica.

FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Il primo tema è il salto di qualità europeo. Credo che oggettivamente la visione sociale complessiva dell'Europa si stia attenuando. Concordo con quella che l'onorevole Baretta indica, immagino, come una preoccupazione, che è anche la mia. Credo che ciò che manca sia davvero la capacità di una visione verso il Governo politico dell'Unione europea.
Stiamo procedendo per tappe. Abbiamo affermato che occorre passare dall'Unione monetaria al Governo economico, ma ci stiamo rendendo conto che, quando, ad esempio, parliamo nel G20, il semplice coordinamento delle posizioni degli Stati europei - membri del G20 - non basta a fare dell'Europa l'attore che fa la differenza.
Manca, probabilmente, la dimensione di Governo politico dell'Europa che, come lei sa, onorevole Baretta, peraltro, avevamo cercato di costruire con il Trattato costituzionale che firmammo a Roma e che, però, non fu ratificato dai francesi e dagli olandesi e che, oggettivamente, non è presente nel Trattato di Lisbona. Quest'ultimo risolve il problema della stabilità dell'istituzione, ma non il contenuto. L'unica materia che resta soggetta al voto all'unanimità è la politica estera, che dovrebbe essere evidentemente l'espressione del Governo politico dell'Unione, ma che non esiste.
Lei ricorderà, ma lo ricordo anche io dai banchi della Commissione europea, le difficoltà affrontate per ottenere l'approvazione della direttiva sui servizi privati e sui servizi messi sul mercato, che partì come una proposta realmente europea. A forza di contrasti e di reazioni che venivano da entrambe le parti, ovviamente in direzioni opposte, il testo fu diluito e diventò il minimo comune denominatore, finalmente adottato sia dal Consiglio, sia dal Parlamento.
Se in una materia come quella, che è economica ma certamente politica, è successo ciò che è successo, il nodo è quello indicato: nei prossimi 20 anni, oltre alla competitività, ci dovremo preoccupare di conferire una caratura politica all'Europa in quanto tale e non alla sommatoria dei suoi leader.
L'onorevole Gozi pone numerose questioni. Certamente il tema della crescita deve stare accanto a quello della stabilità. Credo che lo si potrà realizzare prevedendo, accanto alle discussioni autunnali sulle misure per la stabilità, una vera e propria sessione europea - Consiglio, Commissione e Parlamento - dedicata alla strategia Europa 2020, accanto alla discussione sulle misure di stabilità.
Riterrei francamente inopportuno rinviare, per esempio, al Consiglio di marzo 2011 la strategia Europa 2020 e cominciare ora, in autunno, a parlare solo di come rafforzare la parte di stabilità. La mia idea è che potremmo proporre una vera e propria sessione europea autunnale, che riveda l'una e l'altra delle componenti, la stabilità, da un lato, e la crescita, dall'altro. Credo che si possa fare e che ci sarebbe consenso. Ciò varrebbe anche per avviare la sessione europea o il semestre europeo in cui le misure di bilancio di ogni Stato vengano esaminate alla luce dei due parametri: quanto ciascuno Stato fa per la stabilità e quanto per la crescita. Credo che ciò sarebbe opportuno.
Onorevole Gozi, ritengo che per ora dovremo continuare ad affrontare alcune tematiche a 16 Paesi e altre a 27. I primi passi non sono stati, infatti, molto promettenti. Quando pensiamo di portare a 27 Stati, con il principio del consenso, il rafforzamento anche solo del monitoraggio


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europeo, alcuni Paesi - sapete tutti quali sono - si oppongono e ci dobbiamo bloccare.
Credo, allora, che alcune materie dovranno continuare, almeno per un bel po' di tempo, a essere affrontate a 16 Paesi, se vorremo davvero creare un nucleo sufficientemente ambizioso per dare l'esempio agli altri. Altrimenti, francamente, agiremo come per la direttiva sui servizi: se dobbiamo raggiungere l'unanimità, diluiremo tutte le misure per venire incontro ai legittimi interessi nazionali di alcuni Paesi.
Un successivo tema da affrontare è il debito nazionale. Rispondo a tutti i colleghi che hanno sollevato l'argomento e non a caso ho parlato di sostenibilità complessiva della situazione Paese e non di debito integrato.
Come l'onorevole Toccafondi ha ricordato, non credo che si debba compiere la sommatoria algebrica del debito pubblico e di quello privato: bisogna guardare, invece, se questo Stato ha i fondamentali sostenibili. Ritengo che tale sia il criterio. C'è un sistema pensionistico che tiene, oppure che sta per esplodere? Come facciamo a non tenere conto di questa componente? Non basta la somma algebrica di debito pubblico e debito privato; ci sono molti altri elementi da considerare.
Parlerei, dunque, sempre della sostenibilità complessiva del sistema economico-finanziario di un Paese, un concetto nuovo, che l'OCSE ha accolto in pieno, come voi sapete, che io credo che dovremo rafforzare nella comunicazione della Commissione europea, che pure ne tratta.
In merito all'imposizione sulle banche e sulle transazioni finanziarie, non ci sono oggi argomenti per cambiare idea a livello di Governo italiano. Il Presidente del Consiglio ha spiegato già prima del recente G8/G20 il perché della sua posizione, che poi è stata confermata dalla riunione del G20.
Poiché siamo in una cittadella globale, non possiamo immaginare di imporre una tassazione obbligatoria sulle banche europee, quando tutti gli altri attori globali non lo fanno. Come sapete, uno dei risultati politici è stato il non accordo su questo tema al G8 e al G20.
Lo stesso discorso vale sulle transazioni finanziarie: rischieremmo di veicolare i flussi di investimento verso questo o quel Paese, verso questa o quella regione del mondo. Lo si dovrebbe fare con una politica concertata e l'Europa non ha avuto la forza per imporre una visione, che oggettivamente non esiste, perché anche al nostro interno non vi è una visione condivisa, né a 27 Paesi, né a 16. Vi è una proposta autorevole del Cancelliere Merkel, in parte sostenuta dalla Commissione. Non vi è consenso a livello europeo, né, per ciò che mi interessa, soprattutto, globale.
Se ci sarà un framework europeo sulla tassazione sulle banche, la situazione sarà diversa. È un altro principio ed è chiaro che gli Stati nazionali saranno liberi di compiere le loro scelte. Non possiamo accettare la vincolatività, ma l'esistenza di un eventuale framework europeo è tutta un'altra questione, sulla quale siamo aperti a contribuire al lavoro.
L'onorevole Toccafondi ha parlato di strumenti nuovi. Sono molto d'accordo. La Grecia, purtroppo, non aveva soltanto ignorato gli early warning, ma si era comportata peggio. Le parole gentili che lei ha letto nascondono una realtà diversa. Vi erano conti difformi dalla realtà, il che è stato accertato, malgrado gli strumenti esistenti.
L'onorevole Consiglio ha parlato della condizionalità sui fondi strutturali. Credo che la decisione del Parlamento europeo sia un indirizzo. Quando i fondi strutturali diventeranno più scarsi e incerti, perché collegati alla virtuosità o meno di uno Stato, aumentare la capacità di spesa nazionale sarà un imperativo categorico. Lo sarà comunque, anche senza minacce, e quindi tra convergenza e competitività ci sarà sempre una differenza; sarà, però, importante far sì che gli Stati spendano tali soldi. Il fatto che uno Stato si permetta il lusso di non spendere i fondi strutturali in una percentuale enorme, come accade in Italia, è un lusso che non


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ci potremo più permettere. I criteri saranno improntati, dunque, a come migliorare la capacità di spesa e non a come effettuare la distinzione col pallottoliere tra fondi per la competitività e fondi per la convergenza.
Passo agli ultimi temi sollevati dall'onorevole Razzi.
La tessera sanitaria europea per ora non c'è, perché gli Stati non riconoscono le politiche sanitarie l'uno dell'altro. Come ricorderete, la materia sanitaria del welfare è una di quelle gelosamente mantenute all'unanimità. È difficile spiegare ai colleghi irlandesi che debbono riconoscere il sistema sanitario greco o cipriota e quindi riconoscere le spese definite in un Paese rispetto all'altro. Ci sono differenze troppo forti.
Lo stesso discorso vale per gli accordi intertelevisivi. Francamente, non conosco la risposta al quesito sulla televisione europea. Quando ero a Bruxelles, nemmeno io vedevo la televisione e avevo lo stesso problema dell'onorevole Razzi, tanto che mi sono dovuto dotare di collegamento satellitare.
I temi seri sono, invero, quelli della lingua italiana, che noi difenderemo. Le lingue di lavoro in Commissione, come sapete, sono due: l'inglese e il francese. Vi sono stato tre anni e mezzo e - mi permetto di dire - lo so.
Non possiamo accettare che vi siano alcuni bandi della Commissione in tre lingue e non in due. O sono in cinque lingue, con lo spagnolo e l'italiano, oppure blocchiamo i provvedimenti. A noi dispiace molto bloccare la normativa sul brevetto europeo, ma se tale normativa prevederà il trilinguismo, poiché la materia richiede l'unanimità, non daremo il nostro consenso.
Alcuni ci hanno chiesto se preferiamo il monolinguismo, con l'inglese, per il brevetto europeo. Rispondo di sì: meglio solo l'inglese che non violare le regole e accettare francese, tedesco e inglese e basta. Questo è un punto molto chiaro. Il Governo lo ha già sostenuto ieri e lo confermo oggi.
All'onorevole Buttiglione ho già risposto. Una tassa obbligatoria non è immaginabile. La proposta del Cancelliere Merkel potrà portare semmai a un framework europeo con una volontarietà, attraverso l'imposizione sugli istituti bancari; non riteniamo, per esempio, che gli istituti bancari italiani debbano essere penalizzati unilateralmente, quando le banche in ogni altro Paese del mondo non lo sono.

PRESIDENTE. Anche a nome del Presidente Pescante e credo di tutti i componenti delle Commissioni riunite bilancio e politiche dell'Unione europea, ringrazio il Ministro Frattini per quest'interessantissima audizione.
Aggiungo una mia considerazione personale. Non capisco perché tali tematiche di enorme importanza non abbiano la dignità di uno spazio adeguato in Aula. L'Aula perde giornate su provvedimenti che francamente potrebbero essere risolti in Commissione, mentre non approfondisce mai temi come questi, che mi sembrano di assoluta priorità. Siamo, invece, costretti a tenere audizioni di questo tipo tra di noi, di mattina presto.

MARIO PESCANTE, Presidente della XIV Commissione. La prossima settimana sarò in Aula come relatore per il programma dell'Unione europea 2020.

PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro Frattini e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta, sospesa alle 9,20, è ripresa alle 9,25.

Audizione del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Maurizio Sacconi, nell'ambito dell'esame congiunto della comunicazione della Commissione europea «Rafforzare il coordinamento delle politiche economiche» (COM(2010)250 def.).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del Ministro del


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lavoro e delle politiche sociali, Maurizio Sacconi, nell'ambito dell'esame della comunicazione della Commissione europea «Rafforzare il coordinamento delle politiche economiche» (COM(2010)250 def.).
Do la parola al Ministro Sacconi, ringraziandolo per la disponibilità ad intervenire innanzi alle Commissioni riunite.

MAURIZIO SACCONI, Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Ringrazio le Commissioni riunite per l'opportunità che offrono anche a me di poter illustrare in questa sede l'attività svolta e le posizioni assunte dal Governo italiano nella dimensione europea e internazionale, con riferimento ai temi dell'occupazione e delle politiche sociali, con particolare riguardo alla strategia Europa 2020.
Fra alcune ore mi recherò a Bruxelles per partecipare al Consiglio informale dei ministri del lavoro e delle politiche sociali che apre la presidenza belga e che sarà dedicato, tra l'altro, alla discussione sulla governance europea e al ruolo che essa può assumere in un rafforzato coordinamento delle politiche economiche, al Consiglio occupazione, politica sociale, salute e consumatori (EPSCO) e alla rinnovata strategia europea per l'occupazione.
Oltre a rappresentare l'Italia, ho anche l'incarico di coordinare i ministri del lavoro del Partito popolare europeo. Si tratta di un incarico politico, ma che costituisce un'utilità anche ai fini delle politiche - che vengo qui a descrivere - sostenute dal Governo italiano.
Vorrei sottolineare, innanzitutto, che il Governo italiano ha in questi anni svolto in Europa e nei vertici internazionali, anche sotto la diretta guida del Presidente Berlusconi, un importante ruolo nella definizione delle politiche e delle strategie economiche, atte a contrastare la grave crisi economica mondiale apertasi nel 2008.
Per quel che riguarda l'occupazione e la coesione sociale, l'Italia è il primo Paese ad avere promosso a Roma, nel marzo 2009, nell'ambito della presidenza del G8, un cosiddetto social summit, nella formula G8/G14, partito ciò a 8 e poi allargato a 14 Paesi, dedicato ad affrontare l'impatto della crisi finanziaria sul mercato del lavoro e sulla dimensione umana.
Si è prodotto, poi, un percorso che dal social summit di Roma è passato a una conferenza interministeriale dell'OCSE, presieduta non a caso dall'Italia, proprio come conseguenza del primo evento, e, in seguito, al G20 di Washington, dedicato ai temi sociali, cioè all'impatto della crisi finanziaria sulle società, nel tentativo di individuare un minimo coordinamento tra le politiche rivolte ad assorbire tale impatto.
Nella sede del summit di Roma si è concordato sulla necessità di sostenere il reddito delle famiglie, di salvaguardare il capitale umano, preferendo le politiche che mantengono il legame tra l'impresa e il lavoratore - mi riferisco a strumenti quali quelli che noi abbiamo utilizzato, ossia la cassa integrazione guadagni e i contratti di solidarietà - e di rafforzare le politiche per una rapida transizione verso un nuovo rapporto di lavoro, sostenendo, soprattutto, un approccio alla formazione per competenze.
Si è concordato, inoltre, che tali orientamenti, pur nelle declinazioni nazionali più appropriate, fossero comuni a tutti i Paesi industrializzati, emergenti, in via di sviluppo e che vi fosse uno sforzo coordinato in tale direzione.
L'elaborazione dei documenti successivi da parte dell'OCSE e dell'Organizzazione internazionale del lavoro ne è poi stata la chiara testimonianza.
Infine, si è affermata anche la necessità che l'attività di valutazione degli organismi internazionali sulle politiche economiche, in primo luogo quella condotta dal Fondo monetario internazionale, debba unire gli elementi della sostenibilità finanziaria - ossia il debito e il disavanzo - con quelli della sostenibilità sociale - ovvero l'andamento del mercato del lavoro, la sostenibilità del sistema previdenziale e quella dei sistemi di protezione della salute - per garantire un adeguato equilibrio tra crescita, competitività e inclusione sociale.
Il tema del rafforzamento della governance globale è stato ricorrentemente sostenuto


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dal Governo italiano. Come sapete e come ricordavo, lo strumento principe dovrebbe essere proprio un Fondo monetario riformato. Oggi il Fondo monetario, quando realizza un country assessment, ossia una valutazione circa la stabilità di un sistema Paese, guarda anche ad alcuni indicatori che potremmo far rientrare nel concetto di sostenibilità sociale. Sono, tuttavia, indicatori ancora molto limitati, tra cui, in primo luogo, la sostenibilità dei sistemi previdenziali. In ogni caso, la finalità di questa analisi è strettamente rivolta alla sostenibilità della finanza pubblica. A nostro avviso, invece, occorrerebbe per il Fondo monetario un set di indicatori dedicati proprio alla sostenibilità sociale come elemento intrinseco della stabilità economica e, in ultima istanza, anche politica.
Il Fondo monetario non appare ostile ad assumere un ruolo di tale genere. Fu invitato al summit di Roma, ha partecipato al G20 di Washington e possiede obiettivamente le capacità di svolgere questa funzione, tanto più se collabora con l'Organizzazione internazionale del lavoro.
Abbiamo incontrato anche le organizzazioni internazionali del sindacato, che ovviamente sono molto favorevoli a tale tesi e vedo, quindi, ragionevolmente possibile un percorso di questo tipo.
La crisi economica di questo biennio e i suoi effetti sul mercato del lavoro hanno dimostrato quanto le economie europee siano interdipendenti e quanto sia necessario un loro maggiore coordinamento, pur nel rispetto del principio di sussidiarietà.
Il Presidente Berlusconi ha più volte sostenuto tale tesi nei vertici europei, ove ha affrontato, ad esempio, il tema delle politiche pensionistiche. Un maggiore coordinamento di tali politiche risponde alle fondamentali sfide che tutti i Paesi membri devono affrontare: declino demografico e bassa partecipazione al mercato del lavoro.
Nello stesso tempo, la sostenibilità del sistema pensionistico rappresenta un elemento decisivo per la stabilità della finanza pubblica, ma anche di quella privata, nei Paesi dell'area dell'euro.
La Commissione europea ha prodotto in questi giorni un Libro verde sul predetto tema, ponendo a tutti gli Stati membri la domanda se sia necessario un maggiore coordinamento a livello europeo. Il processo del Libro verde, che abbiamo adottato anche noi, rappresenta la base per una consultazione, che poi dovrà consentire una sintesi, alla luce dei pareri espressi dai Paesi membri.
L'Italia risponderà positivamente a tale domanda, nella convinzione che il maggiore coordinamento tra i Paesi - con riferimento ai sistemi previdenziali - costituisca una prima occasione importante per rafforzare politiche economiche condivise.
Occorre ricordare che il coordinamento delle politiche non è sempre stato ritenuto necessario per l'occupazione e il welfare, sulla base della convinzione, ancora largamente presente, che queste materie siano inesorabilmente di competenza nazionale, in quanto parte dello specifico contratto sociale che regola ogni Stato.
Anche per tale ragione la strategia di Lisbona aveva adottato il cosiddetto metodo del coordinamento aperto, utile per scambiare informazioni sulle cosiddette buone pratiche, ma poco adatto per coordinare le scelte concrete.
I limiti di tale linea sono oggi chiaramente evidenti: la crescita della disoccupazione, che ha superato la barriera del 10 per cento, un tasso di occupazione insufficiente per sostenere la crescita, una bassa partecipazione al mercato del lavoro, il declino demografico persistente, il peso crescente delle spese previdenziali e sanitarie sono squilibri e criticità comuni - ove più e ove meno - a tutti i Paesi europei, che possono essere affrontati in modo più efficiente attraverso politiche coordinate e condivise.
La nuova strategia Europa 2020, il cui merito principale è stata la semplificazione rispetto a una strategia di Lisbona che, come ho ricordato, si è rivelata poco flessibile e incapace di adattarsi alle esigenze


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di un quadro internazionale che mutava, sottolinea l'opportunità che le politiche dell'occupazione e del welfare si coordinino con le politiche macroeconomiche e di bilancio.
I lavori della task force sul Patto di stabilità e crescita, guidata dal presidente Van Rompuy, e la comunicazione della Commissione - oggetto della vostra attenzione - confermano tale indirizzo.
Per tale motivo, anche nella veste di coordinatore dei ministri del lavoro del Partito popolare europeo, ho suggerito alla Presidenza belga l'opportunità, in questo semestre, di un Consiglio congiunto tra ministri dell'economia e delle finanze e ministri del welfare, che possa diventare un appuntamento costante nel semestre europeo.
Nel colloquio che terrò, a margine del Consiglio EPSCO, domani, con il presidente Van Rompuy, ribadirò tale richiesta. Si tratta di una sorta di jumbo meeting, come viene definito in gergo per la dimensione che assume. Esso, però, avrebbe l'evidente significato di lanciare un messaggio di coordinamento anche interno, tra i singoli Paesi, tra le politiche macroeconomiche di bilancio e quelle di cosiddetta sostenibilità sociale.
Nel momento in cui l'Europa rivede la sua strategia di crescita e di competitività, riesamina il Patto di stabilità e crescita e avvia la discussione del bilancio comunitario, si impone anche un nuovo ruolo per i ministri del lavoro e delle politiche sociali, nonché un più stretto coordinamento tra strategia dell'occupazione e nuova governance della politica economica.
Non si tratta di inventare iniziative nuove, ma è sufficiente far funzionare pienamente i processi in corso, basati sulle linee guida dell'occupazione e su quelle delle politiche economiche. Queste ultime devono tenere conto delle scelte adottate in tema di mercato del lavoro e di welfare e assumere obiettivi macroeconomici coerenti con quelli specifici previsti dalla strategia europea per l'occupazione.
Lo sviluppo di un adeguato quadro di controllo, come sostiene la comunicazione della Commissione europea, per identificare possibili squilibri macroeconomici, deve contemplare efficaci e solidi indicatori di welfare, capaci di identificare il superamento di soglie critiche di sostenibilità sociale e di innescare sistemi di early warning - di allarme tempestivo - e, più in generale, di monitoraggio.
La strategia Europa 2020 permette di sviluppare un appropriato quadro di valutazione degli andamenti del mercato del lavoro e del welfare. I target adottati - tasso di occupazione, formazione continua, abbandono scolastico, povertà - mettono il Consiglio dei ministri del lavoro nella condizione di indicare - in modo tempestivo e appropriato - eventuali criticità nel mercato del lavoro e nella coesione sociale.
Il tasso di occupazione da raggiungere nel 2020, in Europa, è stato indicato nel 75 per cento medio. L'Italia si è prefissata un obiettivo pari al 67 per cento. Sapete, infatti, che ciascun Paese è abilitato a declinare il suo obiettivo, che concorre al 75 per cento medio. Si tratta di uno sforzo importante, ma non impossibile, per il raggiungimento del quale si rende necessario un insieme di politiche volte a liberare il lavoro dai troppi condizionamenti e vincoli ancora esistenti.
Nei prossimi giorni illustrerò alle parti sociali un piano triennale dedicato proprio all'intensità occupazionale della ripresa, con il quale indicherò anche le vie con cui concorrere al conseguimento dell'obiettivo del 67 per cento.
In tale quadro vorrei sottolineare quanto sia stata condivisa la posizione italiana sul tema dell'inclusione sociale, con particolare riferimento all'obiettivo di ridurre la povertà in Europa e alla conseguente adozione di un obiettivo non più centrato solo sulla povertà relativa.
Il Consiglio europeo ha, infatti, deciso di utilizzare un obiettivo rappresentato dalla combinazione di povertà relativa, mancanza di lavoro e povertà assoluta, espressa come indice di deprivazione materiale. Si tratta di un importante risultato verso la definizione di un obiettivo di inclusione sociale, fondato essenzialmente sulla povertà assoluta, come l'Italia ha


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chiesto in questi mesi. Per il nostro Paese, infatti, è la povertà assoluta a indicare la parte della popolazione che vive al di sotto del minimo vitale e perciò l'Italia sollecita interventi tempestivi e diretti per rimuoverla. È importante che la Commissione europea abbia assunto un impegno a sviluppare la misurazione di tale indicatore entro il 2015.
Sapete che il concetto di povertà relativa, che l'ISTAT misura in Italia periodicamente, è molto diverso da quello di povertà assoluta, che pure viene misurato. È, anzi, in corso un rafforzamento di questa capacità di misurazione.
La povertà relativa non ci indica quanta parte della popolazione vive al di sotto di una soglia vitale, ma quali siano la forbice dei redditi e il grado di ineguaglianza nella nostra società. È un indicatore importante ai fini di una più generale coesione sociale, ma non è utile a identificare la minoranza di persone che si trova in una condizione di bisogno estremo, verso le quali occorrono politiche di tempestivo intervento per sottrarle a tale condizione.
L'Unione europea purtroppo non aveva, prima di questa discussione, strumenti di misurazione della povertà assoluta. Non aveva adottato tale concetto. Siamo stati tra i Paesi che hanno sollecitato la suddetta misurazione. Si è deciso, dunque, di sviluppare una strumentazione tesa a questo scopo e l'obiettivo della strategia di Lisbona è stato corretto nel senso che ho indicato, con un indicatore complesso, nel quale prevale, considerati gli elementi, l'indice di deprivazione materiale, che però non rappresenta del tutto la condizione di bisogno assoluto. Essa, a nostro avviso, va spesso individuata in termini relativi. La stessa deprivazione materiale può, infatti, essere ben diversa nei differenti contesti familiari o territoriali nei quali si realizza. Una piccola comunità solidale, una grande metropoli o un quartiere molto particolare con determinate caratteristiche di una grande città, evidentemente rappresentano condizioni diverse, nelle quali si esprime o meno una condizione di bisogno assoluto.
Il rafforzamento del coordinamento delle politiche economiche non può essere disgiunto da un più efficace utilizzo delle risorse comunitarie, in particolare di quelle derivanti dal Fondo sociale europeo.
La crisi economica ha messo in evidenza le difficoltà che tutti i Paesi membri incontrano nell'utilizzo di tali risorse, nonché l'approccio estremamente burocratico e rigido che la Commissione europea ha assunto nella sua amministrazione. Ciò ha determinato un sottoutilizzo di tali risorse, con la conseguenza che sono state perse importanti fonti di finanziamento per interventi a favore delle persone colpite dalla crisi.
L'Italia si è, dunque, fatta promotrice - in tale caso è stata davvero all'inizio un'esclusiva italiana - di un'iniziativa presso la Commissione, che ha raccolto ampio consenso, affinché si possa rendere l'utilizzo del Fondo sociale europeo più flessibile, più rapido e più attento alle esigenze del momento. La Commissione europea, nel giudicare fondata la nostra iniziativa, sta esaminando le modalità con cui adeguare il funzionamento del predetto fondo.
A questo proposito, quando sollevai il problema, mi avvalsi di un indicatore molto semplice: nel 2009, anno di evidente crisi occupazionale, il Fondo sociale europeo è stato impiegato in una misura del 20 per cento inferiore all'anno precedente. Il Fondo vive, dunque, di vita propria ed è autoreferenziale, perché ha una programmazione per gli anni 2007-2013, che è molto rigida. Il 2007 era un altro mondo, vicino apparentemente, ma lontano sostanzialmente. È difficile riprogrammare tali risorse e ne è complessa la rendicontazione.
Ho spiegato ai colleghi che la rendicontazione esasperatamente formalistica non ha impedito gli abusi, anzi mi permetto di ritenere che spesso proprio coloro che più sono orientati al cattivo utilizzo di tali risorse appaiono, secondo me, molto abili nella rendicontazione formale. Sono forse proprio i più esperti in tal senso.


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Abbiamo bisogno di forme di rendicontazione semplificate. La posizione tenuta dall'Italia è stata sostenuta da un accordo unanime tra Stato, regioni e parti sociali: il documento che abbiamo sottoscritto insieme formula proprio una richiesta alla Commissione europea di rendere più duttile la gestione del Fondo sociale europeo e di realizzare una politica di formazione diversa da quella tradizionalmente praticata, che definisco, per sintesi, una formazione per materie in ambito scolastico, anche per gli adulti, e i giovani in transizione dalla scuola al lavoro. Oggi, invece, riteniamo tutti di far prevalere una formazione per competenze in ambito lavorativo.
È chiaro che il sistema di rendicontazione, per esempio, è molto diverso: può essere molto più analitico in un caso e molto più sintetico in un altro, quello verso il quale abbiamo unanimemente deciso - Stato, regioni e parti sociali - di orientarci.
La Commissione aveva semplificato in qualche modo il regolamento, ma noi abbiamo lamentato che la burocrazia europea poi gestiva le stesse innovazioni semplificanti, in quanto innovazioni, in termini particolarmente rigidi - ciascuno ha paura di qualcun altro, in questo caso del sistema di auditing che si realizza - mentre noi viviamo in un tempo nel quale abbiamo bisogno di approcci molto più sostanziali e molto meno formalistici.
L'iniziativa in questione è un anticipo del confronto con la Commissione europea e con gli altri Stati membri, che si svolgerà in occasione del prossimo bilancio comunitario. Il nostro obiettivo dovrà essere quello di mantenere gli attuali stanziamenti e, soprattutto, di ottenere metodi di programmazione più flessibili e adeguati agli obiettivi da conseguire, semplificando le modalità e i livelli di controllo e, al tempo stesso, rendendoli più tempestivi ed efficaci.
Per l'Europa, così come per l'Italia, incrementare il tasso di crescita e soprattutto assicurare una crescita con occupazione è l'obiettivo dei prossimi anni. Il livello dei vincoli che frenano tale risultato è ancora elevato. Essenziale è innalzare il livello di partecipazione al mercato del lavoro, migliorando e integrando i percorsi formativi con quelli lavorativi. L'integrazione fra apprendimento e lavoro, fra percorsi di apprendimento e percorsi lavorativi, è una linea fondamentale che sosteniamo in ogni sede.
Le condizioni di stabilità macroeconomica devono essere salvaguardate e rappresentano un presupposto essenziale per ogni politica occupazionale. Il coordinamento delle politiche del welfare deve essere coerente con quello delle politiche di bilancio. L'Italia auspica tale sviluppo e si adopererà affinché, nel pieno rispetto del principio di sussidiarietà, le politiche europee si coordinino nel modo più efficace.
Questo nuovo indirizzo europeo necessita di un reale cambio di passo, di un'effettiva volontà di razionalizzare e semplificare i processi decisionali per promuovere più posti di lavoro, maggiore equità e più forte inclusione sociale in una società attiva.
Il Consiglio dei ministri del lavoro e delle politiche sociali di domani sarà la prima occasione per l'Italia di ribadire tale esigenza, che, a questo punto, costituisce per tutti un'opportunità.

PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro Sacconi e do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

ROCCO BUTTIGLIONE. Il documento del 30 giugno 2010 di cui stiamo discutendo porta il titolo «Rafforzare il coordinamento delle politiche economiche per la stabilità, la crescita e i posti di lavoro. Strumenti per una governance economica più forte in ambito UE».
Quando l'ho letto, mi è venuto in mente il Corso di linguistica generale di Ferdinand de Saussure, il quale spiega che il significato delle parole è meramente convenzionale. Il segno linguistico è legato al suo referente da una convenzione e le convenzioni possono cambiare.
Ricordo che, quando ero ragazzo, la prima volta in cui sono stato negli Stati


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Uniti, la parola escort indicava il bravo ragazzo, non il fidanzato, che accompagnava l'amica di famiglia a una festa e, in qualche modo, ne aveva cura. Potete vedere quanto, nel frattempo, in alcuni anni - non voglio specificare quanti - il significato della parola sia cambiato.
Credo che tra il titolo e il contenuto di questo documento ci sia un salto potente. Di stabilità si parla senza dubbio, ma ho trovato pochissimo in relazione a crescita e posti di lavoro. Credo che il Ministro Sacconi, che è intelligente, capace e competente, la pensi come me, ma sia un po' impacciato, se non altro perché lui è al Governo, mentre io sono all'opposizione.
In questo documento la parola «produttività» non si trova. È possibile che appartengano alla medesima area economica e monetaria Paesi con forti differenziali di competitività? La prima politica sociale non è forse il lavoro? Esiste possibilità di lavoro senza un incremento della competitività del sistema Europa all'interno del mondo di oggi? È possibile un simile cambiamento senza introdurre un minimo di politica keynesiana dentro una struttura che è stata pensata radicalmente in funzione anti-keynesiana?
Occorre un minimo programma per l'occupazione e lo sviluppo volto ad aumentare la capacità competitiva dell'Unione europea attraverso investimenti adeguati, dando denti al processo di Lisbona, che lo stesso Ministro sosteneva esserne privo. Dall'opposizione posso essere un po' più esplicito di quanto sia stato lui, ma penso che concordi. Abbiamo bisogno di un metodo di coordinamento chiuso e non aperto.
Vi è un passo in avanti, in effetti, perché si va verso il metodo di coordinamento chiuso per quanto riguarda la stabilità. Per la produttività, invece, non c'è niente e c'è poco - anche se il Ministro Sacconi ha un po' forzato la realtà, secondo la linea delle sue speranze, che sono anche le mie - anche per il tema della sostenibilità sociale. Si può elaborare un programma di stabilità senza domandarsi se le misure che si impongono siano socialmente sostenibili? Se si elabora un programma di stabilità che non considera la sostenibilità sociale, esso non funzionerà.
Incontriamo il limite economicistico dell'Unione esistente, la quale è nata per garantire un mercato comune e una parità di condizioni sul mercato. La stabilità fa parte di tale parità di condizioni. Abbiamo bisogno di un salto politico che ci porti, per esempio, a identificare un tasso di crescita desiderato, ritenuto plausibile, e a costruire le nostre politiche complessive, anche di stabilità, in funzione anche di tale tasso di crescita e di occupazione. Si fuoriesce qui dall'ambito meramente economicistico e si chiede un salto in avanti di carattere politico. Mi sembra che questo sia un obiettivo che per il momento non si vede.
Mi pare che tale analisi sia confermata da un dato. È stata pensata un'audizione con il Ministro dello sviluppo economico? Non è stata pensata perché non c'è il Ministro o perché il tema delle attività produttive non compare nel documento? Perché nel documento il tema delle attività produttive non lo trovate. Che cosa verrebbe a fare qui il Ministro dello sviluppo economico? Non c'è nulla da chiedergli.
Chiudo ribadendo che c'è bisogno di un salto in avanti, che l'Europa sta compiendo, verso una governance comune, verso un governo comune dell'economia, ma in modo unilaterale, senza fuoriuscire da un'ottica troppo economicistica, in cui non c'è sostenibilità sociale, ma, soprattutto, il tema di una politica industriale da reintrodurre in Europa. Tale questione richiede uno sforzo di fantasia per trovare le risorse adeguate, per esempio un debito pubblico europeo, che potrebbe essere finanziato dalla tassa sulle transazioni bancarie, un tema che non credo sia chiuso. Il presidente della Commissione europea Barroso l'ha rilanciato di recente e penso che tornerà a essere attuale. Naturalmente non riguarderà solo l'Italia, ma l'Europa, coinvolgendo anche gli Stati Uniti.
Tale tema rimane attuale, da un lato, per mobilitare le risorse che consentono di finanziare, attraverso il debito pubblico


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europeo, un programma di crescita e, dall'altro, per tagliare le unghie alla speculazione.
Quanto alle procedure interne, signor ministro, dopo quello che è successo in Europa e dopo i comportamenti dell'auditing europeo negli ultimi anni, è ben comprensibile che le autorità europee tentino di difendersi da possibili conseguenze negative. Bisognerebbe anche andare a indagare i criteri e le modalità con cui l'auditing è stato svolto, nonché alcuni comportamenti irresponsabili del Parlamento europeo in questo ambito.

PIER PAOLO BARETTA. Svolgo due osservazioni. È evidente lo scarto esistente tra la strategia di Lisbona e la situazione nella quale ci troviamo attualmente, anche in ordine ai due aspetti fondamentali dell'occupazione e della sostenibilità del welfare.
Non mi dilungo sull'analisi e vengo alla domanda. Ritiene il Ministro che la strategia Europa 2020 sarà un onesto processo di aggiustamento di gestione, oppure che gli shock che abbiamo alle spalle e la sfida che deriva dall'obiettivo del 75 per cento possano comportare anche un salto di qualità politica nel Governo dell'Unione europea?
Sulla tensione sociale avverto un allentamento, negli ultimi anni, e mi chiedo se non siamo alle soglie della necessità anche di una maggiore dimensione politica del problema. In quest'ottica, appoggio del tutto la richiesta avanzata dal Ministro ai suoi colleghi per un incontro congiunto tra i ministri del welfare e quelli dell'economia e delle finanze, perché francamente non è più sostenibile la dicotomia che ancora si avverte, a mio avviso, anche nelle politiche nazionali.
Passo alla seconda osservazione. Recentemente abbiamo avuto un'interessante audizione informale con il professor Fitoussi, che ci ha raccontato l'operato della Commissione istituita dal presidente francese Sarkozy al fine di rivedere i criteri di misurazione degli andamenti e sulla definizione dei parametri di riferimento per la revisione del PIL.
Trovo un'assonanza su due punti dell'audizione di questa mattina, quello relativo al set di indicatori sociali e quello relativo al concetto di povertà assoluta in rapporto a quella relativa.
La raccomandazione, che posso anche formulare in termini di domanda, è la seguente: raccomanderei al Governo italiano, ma anche al Parlamento, presidente Giorgetti, di compiere un passo in avanti in tale direzione. Se anche il Governo italiano e il Parlamento italiano, magari prendendo a riferimento le considerazioni di questa mattina, senza arrivare a Parigi, avessero un proprio piano di ridefinizione di alcuni parametri di riferimento nella valutazione del quadro di riferimento sociale - inserisco in quest'ottica anche le questioni della produttività, perché è difficile ridistribuire, se non si accumula - penso che potremmo compiere anche un salto di qualità nazionale, di cui si sente la necessità.

ANTONIO RAZZI. Signor Ministro, prima di tutto le porgo i complimenti per l'ottimo lavoro che sta svolgendo.
Spero sempre, visto che lei è il ministro competente, in una tessera sanitaria europea. Oggi ci sono centinaia, anzi migliaia, di giovani che girano per tutta l'Europa e credo che la tessera sanitaria europea sia indispensabile. Siamo o non siamo in Europa? Questa è la prima domanda.
Inoltre, signor Ministro, lo scorso settembre ho presentato un'interrogazione a risposta scritta - lei lo sa benissimo, ne abbiamo anche parlato - per quanto riguarda il patronato INCA di Zurigo. Ho ricevuto in merito una risposta non precisa. Ci sono, infatti, circa un centinaio di famiglie che hanno ottenuto la Pension Kasse, ossia una buonuscita dal lavoro. Quando arrivano a 65 anni, i lavoratori ottengono somme che per un operaio sono pari a circa 300 mila euro; si tratta di gente che ha lavorato negli anni Sessanta, le cui rimesse hanno contribuito anche alla rinascita dell'Italia.
Il patronato INCA, che fa riferimento alla CGIL, ha assunto un certo signor


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Antonio Giacchetta, un impiegato che si è appropriato di tutti i soldi delle famiglie che si sono rivolte al patronato. Credo che tali famiglie non possano andare a chiedere l'elemosina. Ormai non lavorano più e avevano diritto alla Pension Kasse con cui vivere o da regalare ai loro figli o nipoti.
Non so se sia compito del Fondo sociale europeo occuparsene e se tali somme si possano detrarre da esso. Immagino di no. Non so se può curarsene lei, che è il ministro competente, o se debba farlo il patronato, ma bisogna risarcire queste famiglie, considerato che non si sa che cosa il signor Giacchetta abbia fatto del denaro.

SANDRO GOZI. Concordo con le osservazioni degli onorevoli Buttiglione e Baretta, quindi non le riprendo, salvo per precisare che, se nella precedente audizione, svolta dal Ministro Frattini, avevo parlato di asimmetria tra moneta ed economia, guardando al rapporto tra politica monetaria e sociale, rilevo che non vi è un'asimmetria, ma un vero e proprio abisso.
Ritengo assolutamente insufficiente il coordinamento attuale europeo in materia di politica sociale. Sono sempre stato molto scettico sul metodo di coordinamento aperto in materia sociale e concordo con il Ministro nel momento in cui ci riferisce che non funziona.
Gli chiedo, allora, se non ritenga che, anche in materia di coordinamento delle politiche sociali, non sia il caso di utilizzare strumenti come la possibilità di indirizzare delle raccomandazioni agli Stati della zona euro in materia sociale o, addirittura, di dar luogo a cooperazioni rafforzate per quanto riguarda le politiche sociali. Se ritiene insufficiente il metodo di coordinamento aperto, chiedo quali sono i metodi alternativi a cui lei pensa per rafforzare le politiche sociali.
Passo ad un altro punto, ossia all'attuazione della strategia Europa 2020 e al post Lisbona. I suoi predecessori non hanno mai partecipato all'attività di attuazione della strategia di Lisbona, nella quale erano coinvolti il Ministero dell'economia e delle finanze, quello delle attività produttive e il Dipartimento delle politiche comunitarie della Presidenza del Consiglio dei ministri.
Le chiedo se lei intenda, invece, partecipare, come Ministro del lavoro e delle politiche sociali, all'attuazione in Italia e, quindi, prendere parte insieme ai suddetti soggetti statali al gruppo che auspico e che credo che il Governo dovrà creare per l'attuazione della strategia Europa 2020.
L'ultimo punto riguarda la povertà assoluta e la povertà relativa. In Italia e in Europa si pone il problema allarmante delle crescenti disparità di reddito. Anche di recente alcune statistiche indicano che quasi la metà della ricchezza nazionale - in Italia - è nelle mani del 10 per cento degli italiani e che deteniamo un triste primato in Europa, per cui siamo, insieme a Polonia e Portogallo, il Paese in cui crescono di più le disparità di reddito.
È evidente che si tratta di un problema italiano e di buona parte dei Paesi europei, con l'eccezione - non so fino a che punto ciò continuerà a essere vero - dei Paesi nordici. Mi chiedo se lei intenda porre questa questione a livello europeo, nell'ambito del coordinamento delle politiche sociali e dell'attuazione della strategia Europa 2020 e, soprattutto, se nell'attuazione italiana di tale strategia si tiene conto di tale elemento, purtroppo strutturale, a mio parere, una delle principali cause dei problemi sociali ed economici del nostro Paese.

CESARE MARINI. Signor Ministro, le sue osservazioni e la sua esposizione rispetto alle politiche europee mi sembrano positive e, quindi, da apprezzare.
Vorrei, però, porle una domanda. Le politiche europee, siano esse sociali o di coesione, possono sortire effetti positivi se camminano di pari passo con le politiche di bilancio nazionali dei diversi Stati. È difficile immaginare politiche europee in sostituzione di quelle nazionali.
In Italia esiste una situazione molto difficile, dovuta al fatto che il tentativo di affrontare il problema generale del debito


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attraverso un contenimento generalizzato della spesa pubblica fa sì che, in realtà, nell'attuale situazione, che lei conosce, di una riduzione delle attività produttive e pertanto di un aumento della disoccupazione - lei sa che aumenta se non la povertà, quanto meno l'area entro la quale si è ai limiti di quella che viene chiamata povertà, secondo i criteri di indagine che si usano oggi - la riduzione della spesa pubblica può danneggiare enormemente una politica sociale diretta proprio a far fronte alle situazioni di maggiore difficoltà ed emergenza.
Capisco e mi rendo conto che il Ministro dell'economia e delle finanze è portato a condurre un certo tipo di politica economica e comprendo le sue esigenze, non solo nazionali, ma generali. Contemporaneamente, però, se riduciamo l'impegno finanziario del bilancio dello Stato e, quindi, la spesa pubblica, indeboliamo anche le politiche europee. Da ciò nasce un problema serio e ci avviciniamo alla deflazione, senza voler drammatizzare troppo.
Nei prossimi anni, quindi, si verificherà probabilmente una riduzione delle entrate dello Stato. Come si può far fronte a una politica incisiva di coesione sociale, che tenda a ridurre le disuguaglianze?
In una bellissima conferenza l'economista Roubini ha comunicato che anche quando il PIL aumenta di poco, lo fa in realtà solo per alcune fasce, perché le disuguaglianze aumentano, la forbice si allarga e, quindi, sarebbero necessarie politiche mirate a risolvere tale problema.

MARIO PESCANTE, Presidente della XIV Commissione. Voglio ricordare ai colleghi, nonché al Ministro, anche al fine di allargare la base di audience, per ora circoscritta a quattro o cinque cari amici che assisteranno alla mia relazione sul programma di lavoro della Commissione europea per il 2010, che daremo - mi auguro - grande spazio alla questione del coordinamento delle politiche sociali e dell'occupazione. Su questi temi abbiamo audito anche i sindacati e completeremo le loro audizioni oggi con l'audizione di rappresentanti della UGL.
Sicuramente l'odierna audizione del Ministro ha fornito indicazioni ulteriori e circostanziate, che saranno utili anche ai fini della predisposizione della risoluzione da approvare in Aula.
La Camera dei deputati, inoltre, intende seguire con grande attenzione anche la predisposizione del Programma nazionale di riforma, che dovrà attuare la strategia Europa 2020 in Italia, anche con riferimento agli obiettivi dell'occupazione e agli obiettivi sociali.
A tale scopo, voglio anche informarvi, per concludere, che la legge comunitaria 2009 (legge 4 giugno 2010, n. 96) ha introdotto, grazie a una modifica della legge n. 11 del 2005, inserita dalla Camera dei deputati, un'apposita procedura di raccordo tra Governo e Parlamento.

PRESIDENTE. Do la parola al Ministro Sacconi per la replica.

MAURIZIO SACCONI, Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Vorrei cogliere in tutti gli interventi un contenuto prevalente, che ha come riferimento il rapporto fra stabilità e crescita, il quale implica, poi, anche il rapporto specifico fra i ministri dedicati prevalentemente alla stabilità e quelli dedicati quanto meno al profilo dell'intensità occupazionale, della crescita o della crescita attraverso l'investimento in una buona dotazione di capitale umano.
Come sapete, tale tema si sviluppa anche nella dimensione globale e vede, da una parte, l'amministrazione americana, preoccupata dei possibili effetti depressivi di troppo incisive politiche di stabilità, e, dall'altra, un'Europa nella quale tende a prevalere la preoccupazione per la stabilità, non voglio affermare né sperare a detrimento della crescita, ma come presupposto fondamentale, non condizionabile da esigenze di crescita.
Credo che il dibattito che si svolge nella dimensione globale del rapporto intorno a stabilità e crescita e le caratteristiche delle


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risposte a tale dibattito che prevalgono in Europa siano legati alle diverse condizioni di partenza dei Paesi.
La vecchia Europa possiede modelli di protezione sociale molto più robusti di quelli che possono essere individuati in tutte le altre aree del mondo. Gli Stati Uniti si sono recentemente posti, - sapete con quale tipo di tensioni, tutt'altro che risolte, nella stessa società - il tema dell'allargamento del sistema di protezione sociale pubblica, o comunque garantita dal pubblico: in fondo, ciò che hanno prodotto rappresenta pur sempre un allargamento di una forma di assicurazione obbligatoria.
In Paesi emergenti si stanno ponendo un problema di sostenibilità sociale. Ho avviato rapporti con il Governo cinese - e loro con noi - a proposito di alcuni profili della sostenibilità sociale, che i cinesi avvertono molto, perché incidono direttamente sul livello dei consumi e del risparmio. La debole dotazione di un sistema di protezione sanitaria produce certamente tale effetto, come anche la debole organizzazione del sistema previdenziale.
Il mondo tende a convergere, probabilmente, verso modelli di protezione sociale più responsabili e più efficaci in quei Paesi che oggi li hanno in una dimensione che essi stessi ritengono insufficiente e modelli che hanno realizzato sistemi di protezione, come in Europa - ove più e ove meno -, che hanno comportato anche profili di deresponsabilizzazione e, soprattutto, di mancato controllo delle dinamiche di spesa.
L'Europa vive, quindi, l'angoscia dell'instabilità legata, innanzitutto, al fattore demografico. Altri Paesi emergenti non hanno e non avvertono tale timore. L'Europa vive l'ansietà del declino demografico; si è accorta di quanto determinante sia il fattore demografico, di quanto esso incida sulla dinamica di alcuni grandi aggregati della spesa sociale, come la previdenza e la sanità, e di quanto, quindi, il profilo della stabilità sia assolutamente prevalente - insisto - date le condizioni di partenza.
Ciò non significa sottovalutare gli aspetti della coesione sociale, ma essere consapevoli che il punto di partenza dell'Europa è diverso da quello non solo della Cina, del Brasile o della Russia, ma da quello degli stessi Stati Uniti nel «resettare» le economie pubbliche e i modelli di carattere sociale.
È evidente che occorre una forte integrazione, anche nella dimensione della governance, tra le politiche di stabilità e di coesione sociale, anche per le ragioni che ho specificato poco fa, nonché per le stesse esigenze di stabilità, né i ministri dell'economia pretendono di occuparsi direttamente, in tutto e per tutto, dei sistemi previdenziali o sanitari.
Posso affermare che nel nostro Paese - piaccia o non piaccia - si è fortemente prodotta una tendenza a lavorare insieme. Non mi aspetto un giudizio unanimemente favorevole, ma la manovra è stata il prodotto di una forte integrazione fra il Ministro dell'economia e delle finanze e quello del lavoro e delle politiche sociali, con riferimento anche ad aspetti come l'aggiustamento del sistema previdenziale o ad altri profili.
La stessa operazione di federalismo fiscale, come voi sapete, ha il suo contenuto fondamentale nel servizio sanitario e nella definizione dei costi standard ai quali esso deve uniformarsi, in quanto le spese in materia rappresentano una quota determinante, l'83 per cento, della spesa corrente delle regioni.
Questo esempio, onorevole Marini, mi riconduce al suo ragionamento sul timore che le politiche di stabilità possano andare a detrimento della coesione sociale. Il servizio sociosanitario è, per molti aspetti, un esempio di ciò che stiamo illustrando, ma è un problema che, seppure in forme diverse, tutti i Paesi stanno affrontando in Europa.
Ci preoccupa non solo per il livello di spesa cui siamo oggi pervenuti, ma per le dinamiche, in parte indotte da fattori inesorabili e inevitabili, come le tecnologie e l'innovazione, che operano drammaticamente nella dinamica di spesa del servizio sanitario, in parte derivanti dalla demografia,


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che possiamo attenuare, sebbene con percorsi non brevi, in parte dovute anche alla determinante amministrativa, sulla quale possiamo, invece, operare. Il nostro Paese evidenzia plasticamente che dove si spende di più si dà di meno.
Nei prossimi giorni presenterò un rapporto sulla non autosufficienza in Italia. Vedrete che, scorrendo la carta geografica, più ci sono ospedali, meno c'è protezione della non autosufficienza; più ci sono ospedali, più si spende e meno c'è non autosufficienza. La non autosufficienza è il paradigma della situazione, perché una persona non autosufficiente impropriamente protetta in un ospedale per malati acuti, come accade diffusamente in molte parti d'Italia, costa sette volte di più che in caso di appropriata protezione con l'assistenza domiciliare. Questa è una spiegazione fondamentale del fatto per cui nelle regioni del Mezzogiorno si spende molto di più e si dà molto di meno.
Potremmo svolgere lo stesso ragionamento anche a proposito del fatto che dove ci sono molti ospedali c'è forte assenza di prevenzione ed è poco diffusa la diagnosi precoce.
Ci sono, dunque, in Italia, spazi di razionalizzazione, oltre al fatto che in Europa sta evidenziandosi un'idea che mi fa molto piacere, perché l'abbiamo declinata nel Libro bianco sul futuro del modello sociale, che non a caso abbiamo prodotto contemporaneamente alla prima manovra di bilancio del 2008. Nel giugno del 2008 realizzammo una manovra che volle indicare la discontinuità rispetto alla fase precedente, non una discontinuità politica, ma determinata dall'emergere di una grande crisi internazionale, che partiva dal debito privato, ma che intuivamo avrebbe raggiunto presto il debito sovrano e le economie reali: non si intendeva razionare le prestazioni sociali, ma razionalizzarle, descrivendo un modello nuovo.
Sotto diverse latitudini geografiche e politiche in Europa sta evidenziandosi molto quella che noi chiamiamo sussidiarietà, che in parte può essere anche sospinta dalla necessità di «disintermediare» il bilancio pubblico, ma in parte corrisponde ad aspetti valoriali che non appartengono solo alla cultura cristiana.
Per esempio, nel Regno Unito si verifica lo sviluppo di un nuovo comunitarismo, come lo chiamano loro, che è sussidiarietà, che è il ritorno alla riscoperta delle charity e di una storia sussidiaria che nel modello e nella storia di tale Paese nondimeno esisteva.
Ho portato questi due esempi, senza parlare di pensioni - un tema che in tutti i Paesi, per quanto in modi diversi, sollecita esigenze di maggiore sostenibilità dei relativi conti - per mostrare che i modelli sociali in Europa sono stati fortemente generosi, talora pericolosamente deresponsabilizzanti - in alcuni Paesi si sta riflettendo su ciò, soprattutto se guardiamo in alto sulla carta geografica - e che si stanno adottando misure di razionalizzazione, utili non solo a contenere il livello attuale delle spese, ma anche le dinamiche future legate all'invecchiamento.
Emerge, ovunque, il tema della famiglia e della natalità. Pensate ai francesi e alle politiche che hanno adottato. Emergono insomma esigenze tendenzialmente convergenti, anche rispetto a caratteristiche diverse, pur nella generosità comune dei modelli sociali.
Tale riflessione ci può portare ad andare oltre il coordinamento aperto, gli indicatori, il benchmark condiviso, che almeno consente il cosiddetto early warning, ossia l'avvertimento che la coesione sociale di un Paese sta entrando in frizione?
Oggi la resistenza al passaggio a forme più stringenti di coordinamento è molto forte. Credo che un momento importante sarà quello della discussione sulla revisione del Patto di stabilità e crescita. In modo particolare, un tema che potrebbe essere oggetto di più forte coordinamento - lo ricordavo alla luce anche della non casuale iniziativa del Libro verde della Commissione - è quello del sistema previdenziale, che ha un impatto diretto sulla finanza pubblica, quanto meno per la parte di previdenza obbligatoria.
Tale indicatore potrebbe entrare molto più direttamente anche nei parametri di


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stabilità. Per parte nostra, spingeremo molto in questa direzione. Come ho riferito, lo stesso Presidente del Consiglio si è speso in più sedi, invocando un coordinamento, non per sé, ma anzi anche per gli altri, ritenendo che l'Italia abbia compiuto passi avanti significativi, che ci vengono riconosciuti dalla Commissione. Essa anche nei giorni scorsi si è, infatti, pronunciata, sostenendo che abbiamo promosso importanti riforme ed esortandoci a monitorarle e a verificare con continuità se non ne occorrano altre.
Passare a raccomandazioni o a forme di cooperazione rafforzata allo stato della situazione non trova molta disponibilità nei colleghi. Conoscete più o meno l'ambiente e sapete che non è ancora tanto disponibile a tali iniziative.
Vedo comunque un clima diverso dal passato, determinato dal cambiamento del mondo e dal fatto che la vecchia Europa sa di dover recuperare un divario di capacità di crescita, in parte legato anche a questi temi. Su questo elemento dobbiamo cercare di fare leva.
Sul set di indicatori, credo che sia molto importante disporre di indicatori di monitoraggio un po' più efficaci.
Porto un esempio: nella strategia Europa 2020 si continua a considerare come indicatore il tasso di abbandono scolastico. È un indicatore importante, come, per converso, il tasso di partecipazione scolastica, ma lo è davvero? Noi conosciamo un'altra patologia, il disadattamento scolastico, cioè il fatto che si possono compiere percorsi scolastici anche lunghissimi, ma poi, come ci mostra il metodo PISA (Programme for International Student Assessment) dell'OCSE, i nostri giovani sanno meno di quello che sanno gli altri.
Disponiamo di indicatori, come il citato metodo PISA o il PIAAC (Programma per la valutazione internazionale delle competenze degli adulti), anch'esso dell'OCSE, che possono essere molto più utili. Sono indicatori su base campionaria di effettiva conoscenza, che ci rivelano che cosa sanno i nostri giovani e i nostri adulti.
Abbiamo bisogno di benchmark - credo - molto più sostanzialistici e molto meno formalistici di quelli limitati ai tassi di occupazione o di mera scolarizzazione e partecipazione alle attività educative.
Per quanto riguarda il divario dei redditi, le discussioni sono sempre molto aperte, ma ricordo due aspetti, di cui parlava prima il Ministro Frattini.
Perché l'Italia ha un debito sostenibile? Una delle considerazioni che si svolgono è legata alla ricchezza finanziaria netta delle famiglie. Potrei aggiungere la ricchezza patrimoniale delle famiglie, visto che oltre l'80 per cento possiede almeno la casa di abitazione.
La ricchezza finanziaria netta delle famiglie è talmente buona che il rapporto fra debito pubblico e la ricchezza finanziaria netta delle famiglie è solo del 68 per cento, mentre in Grecia è del 220 per cento, il che la dice lunga sulla diversa sostenibilità del debito.
L'aspetto significativo, però, è che è buona la ricchezza mediana: la media si presterebbe all'obiezione di Trilussa, mentre la mediana mostra che vi è una buona distribuzione anche della ricchezza finanziaria netta, oltre che del patrimonio immobiliare.
Secondo la Banca d'Italia, la situazione nel nostro Paese è rimasta sostanzialmente statica negli ultimi anni, seppure esiste un divario sul quale certamente ha un'influenza molto forte il sistema fiscale, con le debolezze che lo caratterizzano, da cui derivano le esigenze di riforma segnalate dal Ministro dell'economia e delle finanze e dal Governo nel suo complesso.
In risposta all'onorevole Razzi sulla tessera sanitaria europea, abbiamo una libera circolazione sanitaria che, come sapete, ci crea anche alcuni problemi con i newcomer dell'Unione, tant'è che vi è un turismo sanitario che ha comportato oneri particolari per il nostro Paese, il quale è molto attractive da questo punto di vista.
Penso che dobbiamo certamente lavorare per un complessivo salto politico dell'Unione, che poi potrà dar vita a strumenti molto più condivisi.
Sul salto politico descritto nell'intervento dell'onorevole Baretta, mi limito a rispondere - non dovrei dirlo; credo che


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l'abbiano già fatto il Ministro Frattini o altri - che ritengo che il salto politico sia stato realizzato nel giorno in cui tutti hanno accettato l'idea di un veicolo condiviso per la stabilità dei Paesi membri dell'eurozona. Credo che quello sia stato il salto politico, il passaggio a una dimensione politica dietro la moneta, faticoso e ancora, se volete, embrionale, ma comunque significativo.
Non siamo, invece, al passaggio politico verso, per esempio, l'uso di strumenti finanziari condivisi per sostenere la crescita. L'idea dei bond europei sostenuta dal Ministro Tremonti vede ostili alcuni Paesi, che però sono molto importanti, in quanto sono preoccupati che accanto a quello dei singoli Paesi membri si formi anche un debito europeo, anche se noi continuiamo a sostenere che quest'ultimo debba essere funzionale a specifici programmi di sviluppo infrastrutturale.
Chiedo scusa se non ho considerato altre questioni. Per l'INCA di Zurigo assumerò ulteriori informazioni e mi riservo di fornire una risposta più precisa, oltre a quelle che abbiamo già dato nel merito di tale vicenda.
Al relatore riferisco che apprezzo il fatto che abbia sottolineato la volontà di includere fortemente i temi della coesione sociale nell'ambito delle politiche di coordinamento. Sono convinto che, oggettivamente, questi temi siano condivisi e avvertiti da tutti i Paesi.

PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro Sacconi - da parte delle Commissioni riunite - per questa interessantissima audizione.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 10,30.

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