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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissioni Riunite
(V-XIV Camera e 5a-14a Senato)
2.
Martedì 14 settembre 2010
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3

Audizione del Commissario europeo per la programmazione finanziaria e il bilancio, Janusz Lewandowski, sulla revisione del quadro finanziario dell'Unione europea dopo il 2013 e sul coordinamento tra bilancio comunitario e bilanci nazionali (ai sensi dell'articolo 127-ter, comma 2, del Regolamento della Camera dei deputati):

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3 6 9 11 20
Bitonci Massimo (LNP) ... 16
Boldi Rossana, Presidente della 14a Commissione del Senato della Repubblica ... 17
Borghesi Antonio (IdV) ... 13
Cambursano Renato (IdV) ... 14
Duilio Lino (PD) ... 7
Gozi Sandro (PD) ... 11
Lewandowski Janusz, Commissario europeo per la programmazione finanziaria e il bilancio ... 4 9 13 17
Nannicini Rolando (PD) ... 15
Pignedoli Leana (PD) ... 6
Simonetti Roberto (LNP) ... 16
Vannucci Massimo (PD) ... 17
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Futuro e Libertà per l’Italia: FLI; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l’Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud Libertà e Autonomia-Partito Liberale Italiano: Misto-Noi Sud LA-PLI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Repubblicani, Regionalisti, Popolari: Misto-RRP.

COMMISSIONI RIUNITE
V (BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE) - XIV (POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E
5A (PROGRAMMAZIONE ECONOMICA, BILANCIO) - 14A (POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di martedì 14 settembre 2010


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI GIANCARLO GIORGETTI

La seduta comincia alle 12,35.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Commissario europeo per la programmazione finanziaria e il bilancio, Janusz Lewandowski, sulla revisione del quadro finanziario dell'Unione europea dopo il 2013 e sul coordinamento tra bilancio comunitario e bilanci nazionali.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 127-ter, comma 2, del Regolamento della Camera dei deputati, l'audizione del Commissario europeo per la programmazione finanziaria e il bilancio, Janusz Lewandowski, sulla revisione del quadro finanziario dell'Unione europea dopo il 2013 e sul coordinamento tra bilancio comunitario e bilanci nazionali.
Do il benvenuto a tutti i presenti a questa audizione che coinvolge le Commissioni riunite 5a e 14a del Senato della Repubblica, della quale ultima è presente il presidente Boldi, e V e XIV della Camera dei deputati.
Do il benvenuto, in particolare, al commissario Lewandowski e ricordo che, come Commissione bilancio, lo abbiamo incontrato qualche anno fa a Bruxelles in veste di presidente della Commissione bilancio del Parlamento europeo, mentre attualmente è componente della Commissione europea.
Informerei il commissario Lewandowski che le nostre Commissioni si riuniscono per la prima volta oggi dopo la pausa estiva e i lavori ricominciano proprio con la sua presenza.
Lo ringrazio per averci dato la sua disponibilità a svolgere l'odierna audizione presso le Commissioni bilancio e politiche dell'Unione europea dei due rami del Parlamento.
Ritengo in linea generale di estrema importanza, a maggior ragione dopo il Trattato di Lisbona, intensificare i rapporti tra le istituzioni europee e le istituzioni nazionali, al fine di creare quel coordinamento e quella sintonia indispensabili per compiere concreti passi avanti nell'approfondimento delle politiche dell'Unione, ma anche per valorizzare le politiche nazionali facendole interagire con il quadro europeo.
In particolare, credo che i Parlamenti degli Stati membri possano svolgere un ruolo estremamente utile in sede di definizione delle politiche europee, contribuendo tra l'altro a chiarirne la portata presso le opinioni pubbliche nazionali. I Parlamenti nazionali più che tracciare limiti e confini dovrebbero, a mio avviso, cercare di offrire un contributo in positivo e non manifestare passività - magari anche per ragioni di opportunità politica - rispetto a quello che viene deciso a Bruxelles.


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Venendo ai contenuti dell'odierna audizione, desidero innanzitutto sottolinearne la forte attualità alla luce dell'agenda europea. L'impegno a una revisione del bilancio europeo previsto dall'accordo istituzionale del 2006 sul quadro finanziario dell'Unione europea per il 2007-2013 dovrà a breve produrre i primi risultati concreti. Dopo la consultazione svolta dalla Commissione europea nel 2008, che ha portato alla presentazione di circa 300 contributi, la nuova Commissione europea predisporrà infatti un apposito documento entro il 2010.
Dalle consultazioni sono emerse due grandi questioni: la prima concerne la necessità di concentrare le risorse su alcune priorità politiche europee (competitività, ambiente, energia, immigrazione, economia della conoscenza, modello sociale europeo); la seconda, l'esigenza di una riforma delle risorse proprie all'insegna della semplificazione, dell'efficacia e della trasparenza che, secondo molti, dovrebbe sviluppare il ricorso a risorse del reddito nazionale lordo, eliminando il ricorso all'IVA, ipotesi, quest'ultima, che sembrerebbe da valutare con estrema attenzione.
Credo che sarebbe estremamente interessante per le Commissioni parlamentari qui rappresentate conoscere dal commissario Lewandowski quali sono le principali ipotesi di riforma oggi sul tappeto e verso quale metodo di lavoro si sta orientando la Commissione europea.
Siamo inoltre interessati ad approfondire il tema delle modalità di coordinamento tra bilancio dell'Unione europea e bilanci nazionali, al fine di evidenziare il complesso delle risorse destinate alle diverse politiche.
Come sappiamo, gli interrogativi sul futuro sono tanti: riusciremo effettivamente a concentrarci su alcune grandi priorità? Sarà possibile valorizzare maggiormente la strategia di Lisbona, ora strategia Europa 2020? Saremo in grado di realizzare una riforma intelligente della politica agricola comune che approfondisca la possibilità di un cofinanziamento nazionale? Riusciremo finalmente a promuovere una politica comune europea in materia di immigrazione? È possibile immaginare l'introduzione di nuove risorse proprie come conseguenza dell'applicazione dell'acquis comunitario? L'attuale livello delle risorse comunitarie è all'altezza delle ambizioni?
Su queste e su altre questioni siamo desiderosi di conoscere l'opinione del Commissario al quale, ringraziandolo nuovamente per la disponibilità, do ora la parola.

JANUSZ LEWANDOWSKI, Commissario europeo per la programmazione finanziaria e il bilancio. Ringrazio il presidente e i membri della Commissione; siamo consapevoli di star rovinando le vostre vacanze, ma per noi della Commissione europea è chiaro che, ai sensi del Trattato di Lisbona, non è soltanto il Parlamento europeo, ma sono anche i Parlamenti nazionali ad assumere il ruolo di protagonisti. Al di là delle riunioni a livello ministeriale, abbiamo quindi inteso chiedere una possibilità di incontro con i parlamentari italiani.
Credo che sia il momento opportuno per avviare un confronto serio, anche perché stiamo entrando in una stagione di bilancio calda. Ovviamente, l'accento viene posto sulle misure anticrisi di rilancio e sulla governance economica in Europa; c'è inoltre il calendario di bilancio, in particolare, a ottobre, la revisione del bilancio, che farà tesoro delle conclusioni e degli insegnamenti tratti dalla prospettiva finanziaria in corso 2007-2013.
Uno degli insegnamenti è che abbiamo bisogno di maggiore flessibilità, vista la lunghezza temporale della prospettiva finanziaria stessa: per trovare i fondi per Galileo, per i programmi di rilancio, per l'assistenza alimentare ai Paesi bisognosi. Questo è stato uno degli insegnamenti principali, al di là del riorientamento e la ricalibratura di alcune politiche verso le nuove sfide, inclusa l'ambizione europea di parlare con una sola voce a livello internazionale.
Nel quadro della revisione finanziaria vi sono, però, aspetti anche più complessi:


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sulla base delle chiare indicazioni del mandato conferito alla Commissione, ci eravamo impegnati a esaminare non soltanto il versante della spesa, ma anche quello delle entrate, in cui abbiamo incluso lo «sconto britannico», un po' una provocazione, alla quale già abbiamo le prime reazioni di Londra. Tuttavia, è ovvio che la nostra ottica è neutrale: si tratterà di uno studio di fattibilità su come risolvere il problema della riduzione dei contributi nazionali al bilancio.
Molti ministri delle finanze, incluso Tremonti, che vedremo nel pomeriggio, sono sottoposti a forti pressioni per consolidare le finanze pubbliche: dobbiamo, quantomeno, quantificare ciò che è fattibile senza pregiudicare le conclusioni. Le conclusioni politiche sono, infatti, una fase ulteriore; adesso serve uno studio di fattibilità per accrescere le risorse proprie del bilancio europeo, capire quanto costerebbe l'attività di esazione di queste risorse e realizzare una valutazione dell'efficienza, dell'idoneità politico-giuridica di eventuali provvedimenti e della misura in cui gli eventuali interventi inciderebbero sulle posizioni nette degli Stati membri. Dobbiamo, quindi, quantificare una serie di variabili per avere una base solida per la nostra discussione, senza pregiudicare in alcun modo le conclusioni politiche. Sarà questo, dunque, il contenuto della revisione del bilancio a ottobre.
Avevamo anche promesso due documenti orientati al futuro sulla politica agricola comune e sulle politiche di coesione, due settori di spesa molto cospicui: a metà 2011, quando la presidenza passerà dall'Ungheria alla Polonia, pubblicheremo la prospettiva per il quadro finanziario futuro.
Nel quadro attuale abbiamo, quindi, un'Europa che esce dalla crisi, che lotta disperatamente per consolidare i propri disavanzi di bilancio, il proprio indebitamento; questa è una sfida comune a tutti i Paesi ed è in questo clima politico che usciranno le nostre proposte. Desideriamo che esse siano realistiche e ambiziose, come ha sottolineato anche il Ministro Frattini: ambiziose anche di fronte alle nuove sfide, quali la politica dell'immigrazione e le ambizioni globali dell'Unione europea; ma debbono essere realistiche, visto il contesto in cui si collocherebbero in Europa, un quadro di austerità e di consolidamento finanziario.
A metà del 2011 inizierà la presidenza polacca, ci saranno negoziati e consultazioni e poi la presidenza passerà alla Danimarca: sarebbe straordinario - questo è il mio sogno - addivenire a un accordo entro la fine della presidenza danese, cioè entro la prima metà del 2012; a quel punto non saremmo in ritardo per la programmazione delle politiche di coesione, che potrebbero essere concretamente avviate nel 2014. Si tratta di una prospettiva realistica? Vedremo.
Il calendario politico è importante: abbiamo le elezioni presidenziali in Francia nel maggio 2012, e anche quello è un fattore significativo. Le elezioni politiche o presidenziali nei grandi Stati membri in realtà hanno sempre un impatto sul negoziato. Non siamo ingenui, le discussioni sui fondi in genere tendono a dividere l'Europa purtroppo, non a unificarla, a compattarla, e ce ne rammarichiamo, ma è un dato di fatto anche a livello nazionale. Cercherò, quindi, di essere un intermediario onesto tra diverse visioni, tra un pluralismo di posizioni con un ruolo forte dei Parlamenti nazionali nel dibattito e anche del Parlamento europeo, che è uscito rafforzato in quest'ultima tornata, più di quanto non lo fosse quando ero presidente della Commissione bilancio del Parlamento europeo nel 2005-2006.
Partiamo, quindi, dalla constatazione che anche il Parlamento europeo avrà un ruolo da protagonista. Quali possono essere i maggiori problemi sul versante della spesa e dell'entrata, ivi incluso lo sconto britannico? Possiamo parlarne, ho appreso molte cose dagli incontri con il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta e con i Ministri Frattini e Tremonti, anche in materia di politica regionale, ma ovviamente a me interessa sentire il polso dei parlamentari italiani in questa splendida sede, capire qual è il pluralismo delle posizioni nel dibattito


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politico italiano e quali sono le sensibilità che in conseguenza incidono in qualche maniera sul dibattito.
Non voglio fare una lunga introduzione, il presidente è stato molto conciso, e quindi anche io concludo qui il mio intervento. Sono accompagnato dal collega lussemburghese Lemaître - il Lussemburgo è un Paese molto importante nel quadro europeo - Capo di gabinetto, la collega portoghese Maria José Sousa Fialho, che fa, in un certo senso, da trait d'union con Barroso, Andreas Schwarz, consigliere speciale tedesco ereditato dal gabinetto di Verheugen, Lucio Battistotti e Elisabetta Olivi, due persone importanti della nostra delegazione. Sono pronto, anzi ansioso di avviare il dibattito, scusandomi ancora una volta di aver interrotto le vacanze parlamentari.

PRESIDENTE. Ringrazio il commissario Lewandowski. È un onore per noi iniziare i nostri lavori con la sua presenza.
Alcuni colleghi hanno già chiesto di intervenire. Per dare la possibilità di rispondere a tutti penso che sia opportuno non rivolgere troppe domande e svolgere due interventi per volta, in modo che la discussione possa ragionevolmente esaurire tutte le questioni poste.
Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

LEANA PIGNEDOLI. Sono contenta dell'odierna possibilità di ragionare su una delle fasi più interessanti e anche complesse del bilancio europeo e anche del dialogo tra l'Europa e gli Stati nazionali.
Pongo una questione alla sua attenzione, che è quella del budget agricolo: lei ha fatto riferimento, giustamente, al settore delle politiche agricole come a uno dei settori più importanti e credo che sia così. Per consistenza di risorse è sempre stato, infatti, una delle parti più rilevanti anche del bilancio europeo. Io ritengo che oggi si debba ragionare su quanto e come potrà essere mantenuto il budget attuale o se ci saranno risorse finanziarie minori. Credo anche, però, che tale riflessione non possa riguardare solo i numeri, ma porti con sé davvero una riflessione e una ristrutturazione del settore per i problemi che in questi anni abbiamo visto nel nostro Paese, ma anche in tutti gli Stati europei. Tali problemi concernono il tema della diminuzione dell'occupazione, del dato allarmante del reddito per quanto riguarda i nostri imprenditori agricoli, o il tema - che è diventato una emergenza - della volatilità dei prezzi, soprattutto in questi ultimi anni, e che ha determinato in qualche caso la chiusura di aziende, assieme al tema della tenuta del nostro sistema alimentare e di perdita di competitività del nostro sistema agroalimentare.
Altra questione, che dovrebbe essere quella di fondo, è l'emergenza dell'invecchiamento degli addetti: in Italia abbiamo un dato allarmante, ma credo che anche negli altri Paesi europei sia un problema enorme inquadrato nella cornice più ampia delle dinamiche globali dei mercati, del tema delle regole e delle emergenze climatiche; questioni che stanno diventando di enorme criticità.
Penso che ciò non possa farci separare il tema dei numeri dalle scelte, e più che dalle scelte direi proprio da un approccio che forse deve rappresentare una sorta di piccola rivoluzione nelle politiche agricole. Sta avvenendo, infatti, un cambiamento di fondo, epocale. Le politiche agricole non possono essere più considerate un settore separato dal resto delle politiche, perché dire agricoltura equivale a dire coesione sociale, salute, ambiente, e quindi si pone anche la questione di definire e capire cosa intendiamo per servizio pubblico reso dall'agricoltura, per valenza dei beni pubblici che essa garantisce.
L'altro grande tema è quello dei fattori di competitività che stanno cambiando, che devono indurre sempre di più a ragionare in base alla differenza delle tipologie di imprese. Noi andiamo dalle grandi alle piccolissime imprese: quali sono i fattori di competitività che fanno reggere anche le piccole imprese rispetto ai dati delle dinamiche globali? Si tratta di fattori che oggi devono comprendere il tema della


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sicurezza, ma anche dell'eticità del lavoro e del percorso e della tracciabilità delle condizioni di lavoro, dell'innovazione del prodotto per reggere il confronto sui mercati internazionali.
Ciò che chiedo, dunque, è proprio questo: è in corso una discussione anche abbastanza radicale su tali temi oppure continua a prevalere un'idea di continuità? Io credo che noi siamo di fronte a una scelta e mi auguro che il nostro Governo e i nostri Parlamenti comincino la relativa discussione anche nelle nostre Aule parlamentari. Trovo grave che nelle nostre Assemblee parlamentari non sia stato ancora posto tale tema. Noi, come Partito democratico, abbiamo depositato una mozione sul tema della politica agricola comune e ci auguriamo che la stessa possa essere calendarizzata.
Siamo di fronte alla scelta se continuare con la logica storica - che qualche volta è segnata da inerzie e da qualche segnale di assistenzialismo - o se invece vogliamo premiare e darci nuovi comportamenti e nuovi obiettivi.

LINO DUILIO. Ringrazio il Commissario Lewandowski per questo suo intervento. Non abbia preoccupazione, non ci ha rovinato le vacanze, è tempo di riprendere a lavorare. Peraltro, ricordo anche occasioni precedenti, a Bruxelles, in cui il presidente Lewandowski ci ha intrattenuto con grande passione e competenza sui temi che stiamo affrontando, in relazione ai quali vorrei innanzitutto chiedere una sua opinione.
Personalmente ritengo, infatti, che l'approccio alle politiche comunitarie, in particolare per quanto riguarda il versante delle entrate e la destinazione delle risorse comunitarie ai livelli nazionali, sostanzialmente venga impostato da un po' di tempo, forse da sempre, in modo un poco erroneo. I diversi Stati nazionali, infatti, vedono l'Europa fondamentalmente come una sorta di stanza di compensazione dalla quale ricavare delle risorse facendo il raffronto tra quanto versa l'Europa e quanto ritorna negli Stati nazionali. Ne deriva una lamentazione, osservandosi che si ottiene meno di quello che si versa.
Questo, però, è un discorso che io credo sia da correggere. Se, infatti, vogliamo creare un'Europa che anche da un punto di vista finanziario non sia semplicemente una sommatoria di cifre che poi debbono essere restituite agli Stati nazionali, l'elemento cosiddetto della solidarietà, più che essere evocato semplicemente in modo retorico, deve portare a una qualche correzione circa la modalità di distribuzione di tali risorse, peraltro molto scarse, come dirò tra poco. Questo è il primo punto. Oltretutto, non si tratta solo di un'opinione personale, perché alla Camera dei deputati, in occasione dell'approvazione di diverse risoluzioni, in questi anni abbiamo affermato all'unanimità un principio opposto a quello che prima evocavo per il quale per noi il punto di partenza per una riflessione sulla riforma del bilancio è l'esigenza di dotare l'Unione europea dei mezzi finanziari necessari per esercitare adeguatamente le sue competenze e per cercare di realizzare un quadro di maggiore uniformità tra i diversi Stati nazionali.
Credo che quello della adeguatezza delle risorse finanziarie sia anch'esso un tema assolutamente drammatico: la crisi che si è verificata recentemente ha mostrato l'assoluta inadeguatezza del livello comunitario per fronteggiare la crisi, anche per il fatto che, come si dice in Italia con un proverbio popolare «senza soldi non si cantano messe», cioè se non ci sono le risorse adeguate per fronteggiare alcune difficoltà bisogna arrangiarsi in qualche modo. Ci siamo rivolti al Fondo monetario internazionale, ma comunque - complessivamente - abbiamo dimostrato che non eravamo all'altezza come Europa per un intervento significativo, come è successo per altri Stati. Non a caso parlo di Stati perché penso agli Stati Uniti d'America.
Dovendo essere breve mi limito a due o tre considerazioni brevi sui due fronti. Una è in relazione a come reperire le risorse necessarie - credo che dobbiamo affrontare in modo possibilmente concreto ed efficace questo problema - per uscire da tale situazione. Peraltro, ho letto una


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notizia di agenzia di circa una settimana fa in cui lei - a livello personale - esprimeva alcune osservazioni circa la condizione privilegiata del Regno Unito: altrettanto a livello personale dico che condivido pienamente e anzi esprimo la mia assoluta solidarietà rispetto alle considerazioni che lei ha fatto riguardo l'opportunità che alcune differenze dello sconto di cui gode il Regno Unito siano oramai eliminate perché non hanno più alcuna ragione di essere.
Tornando, però, al tema di carattere generale, nelle nostre risoluzioni alla Camera dei deputati abbiamo cercato di evidenziare innanzitutto il legame tra le priorità politiche e la spesa dell'Unione europea e affermato, come dicevo, il principio di solidarietà: abbiamo sottolineato che forse sarebbe opportuno concentrarsi a livello comunitario per quanto riguarda la spesa su obiettivi ad alto valore aggiunto europeo, come la competitività e l'innovazione, soprattutto per le piccole e medie imprese, le infrastrutture, la regolazione dei flussi migratori e la gestione del fenomeno dell'immigrazione clandestina da affrontare con il concorso comunitario. Non è solo, infatti, un discorso interessato quello dell'Italia che si trova sulla frontiera meridionale dell'Europa e da sola non può evidentemente essere in grado di fronteggiare il fenomeno; inoltre, secondo queste stesse risoluzioni l'intervento dell'Unione europea deve essere oltre che efficace anche riconoscibile da parte dei cittadini. Devono cioè essere realizzati da parte comunitaria degli interventi per cui i cittadini si rendano conto che più Europa è qualcosa di tangibile, di concreto: abbiamo così ipotizzato, per esempio, l'esigenza di privilegiare l'attribuzione di risorse significative a progetti e prodotti europei ad altissimo valore aggiunto, che sarebbe forse opportuno creare - penso a centri di eccellenza nel campo della sanità, della ricerca, delle infrastrutture - in grado di dimostrare concretamente quali sono i vantaggi della spesa europea.
Inoltre, abbiamo anche richiamato l'esigenza di ricorrere in modo obbligatorio allo strumento del cofinanziamento, in particolare per quanto riguarda il settore agricolo, di cui sentivo parlare in precedenza. Ribadisco che noi riteniamo, e lo abbiamo ufficialmente inserito nei nostri documenti, nelle nostre risoluzioni, che si debba estendere lo strumento del cofinanziamento anche a settori a cui attualmente esso non si applica e, in particolare, mi riferisco proprio all'agricoltura, che di fatto è l'unica tra le grandi componenti della spesa europea a esserne esclusa. Credo, infatti, che il cofinanziamento possa produrre - e mi piacerebbe sentire la sua opinione - un effetto virtuoso in termini di responsabilizzazione degli Stati membri e di un più efficiente utilizzo delle risorse a disposizione.
Chiudo con un riferimento all'annosa questione sul versante delle entrate del parametro di riferimento da assumere. Mi pare, anche dall'indagine svolta dalla Commissione europea, che il riferimento al reddito nazionale lordo sia considerato il più condiviso. Ciò, peraltro, sarebbe in linea con quell'esigenza di una più importante presenza dell'elemento solidaristico e perequativo delle fonti di finanziamento di cui parlavo all'inizio. Lei converrà, ovviamente - credo che questo lo pensiamo tutti - che tale obiettivo non si possa che perseguire con una qualche gradualità, soprattutto per evitare che alcuni Stati non riescano a utilizzare questo strumento. Personalmente, sono anche interessato, almeno in prospettiva - anche su tale aspetto mi piacerebbe sapere cosa ne pensa - al fatto che si crei un tributo proprio dell'Europa, che vada direttamente all'Europa, ovviamente a condizione di neutralità fiscale per quanto riguarda gli Stati. Se, ad esempio, nel mio Paese esistesse una fattura con indicata un'IVA del 20 per cento che rimane tale, ma di cui il 18 per cento fosse destinato a livello nazionale e il 2 per cento a livello comunitario, a me non dispiacerebbe perché credo che anche attraverso queste forme concrete - ho già detto di neutralità fiscale, senza produrre evidentemente altri costi - l'Europa si presenterebbe, oltre che sul versante dei prodotti di eccellenza,


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anche sul versante della pratica quotidiana della vita comunitaria all'interno degli Stati membri.
Noi abbiamo anche fatto cenno alla possibilità di ricorrere all'emissione di titoli di debito europei, eurobond per intenderci, per quanto riguarda i prodotti ad altissimo valore aggiunto in campi di eccellenza.
Vado alle conclusioni: siamo stati a Bruxelles in alcune occasioni, adesso stiamo andando verso l'opportuna previsione di un semestre europeo che realizzi maggiori sinergie e convergenze anche se mi sembra che vi sia una discrasia tra gli strumenti di coordinamento delle politiche economiche nazionali - che si vogliono realizzare anche attraverso lo strumento del semestre europeo - e il livello comunitario. Mi pare, cioè, che da una parte si chieda che gli Stati nazionali debbano in qualche modo uniformarsi a tali linee di coordinamento da realizzare, dall'altra parte però il bilancio comunitario non è formalmente, ma ahimè nemmeno sostanzialmente, tenuto a concorrere ai medesimi obiettivi, ma risponde solo all'esigenza di compromesso tra gli Stati. Bisognerebbe, quindi, forse superare anche questa discrasia. Chiedo scusa se sono stato prolisso, ma l'occasione di averla qui è preziosa e quindi la ringrazio sin d'ora della risposta.

PRESIDENTE. Do la parola al commissario Lewandowski per le prime repliche.

JANUSZ LEWANDOWSKI, Commissario europeo per la programmazione finanziaria e il bilancio. Siamo entrati nel cuore del dibattito, in medias res.
Senatrice Pignedoli - chiedo la vostra indulgenza sull'eventuale pronuncia scorretta - lei ha sollevato un quesito di fondo sul futuro della politica agricola comune, cioè se ci sarà piuttosto continuità ovvero uno iato, una cesura. Ovviamente, la regola del gioco principale nell'Unione europea è il compromesso, è sempre stato così perché la decisione comunitaria richiede l'unanimità, ci vogliono ventisette Paesi che dicano sì per arrivare a un accordo. Questa è la regola del gioco e di questo dobbiamo essere consapevoli. Nella nuova procedura annuale prevista per il 2011 ci sarà una sola lettura al Consiglio, poi una lettura al Parlamento e le posizioni sono ben lontane, quindi ci sarà la conciliazione a novembre.
Se si ascoltano gli opinionisti, i centri di ricerca, si potrebbe dedurre che la politica agricola comune ormai è obsoleta, fuori moda; è stata una politica importante perché il bilancio europeo è iniziato proprio con la PAC, per rigenerare l'Europa dopo la guerra, per non avere più carenze alimentari: all'epoca si parlava di sicurezza alimentare, nell'Europa di oggi si parla di sicurezza energetica.
Ciò premesso, credo che la politica agricola abbia bisogno di essere rilegittimata nella nuova Europa, perché rimarrà uno dei pilastri del bilancio europeo. Ci sarà una forte difesa politica della politica agricola comune. Non citerò i Paesi che scenderanno in campo, ma anche i Presidenti stessi di questi Paesi indicano che questa politica è prioritaria, ad esempio un grande paese vicino dell'Italia. Se ci fosse, appunto, un invito da Parigi, 23 su 27 ministri dell'agricoltura parteciperebbero subito all'invito. Ovviamente, all'agricoltura bisogna guardare non soltanto come a una mera fornitura di prodotti alimentari, ma anche come a un settore che può fornire biomassa, energie rinnovabili o che anche va visto nel quadro della imminente liberalizzazione degli scambi - Mercosur per l'America latina - anche a vantaggio dell'industria italo-tedesca. Questo significa anche importazione di prodotti argentini a basso costo, e quindi la carne irlandese diventa subito un prodotto un po' in pericolo, minacciato, ma non soltanto la carne irlandese. Ricordo anche la tornata negoziale di Doha sulla liberalizzazione dei commerci.
Dobbiamo, quindi, forgiare una politica agricola appropriata per l'Europa del XXI secolo, riorientarla quindi verso la crescita verde, verso la liberalizzazione commerciale degli scambi anche con quei Paesi che forniscono prodotti alimentari a prezzi più bassi. Parliamo, dunque, di


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un'agricoltura non soltanto come produzione di alimenti, ma anche come quota manifatturiera: il 15 per cento della manodopera è addetta alla lavorazione dei prodotti agricoli, addirittura quasi allo stesso livello dell'industria automobilistica.
La politica agricola comune deve quindi rilegittimarsi e riorientarsi, cambiare, andare verso la crescita verde, la liberalizzazione, e forse un maggiore equilibrio per quanto riguarda i pagamenti diretti; non dico un'uguaglianza totale, che non sarebbe fattibile - adesso abbiamo 80 euro all'ettaro per la Lituania e 500 euro all'ettaro per la Grecia, quindi vi è un'enorme sperequazione - ma stiamo cercando di introdurre gradualmente un approccio più equilibrato. Ci sono ovviamente tante variabili, differenziale dei poteri di acquisto, differenziale dei costi di produzione, una serie di variabili che devono essere tenute presenti per l'accordo che poi emergerà. Io sono favorevole a una politica agricola comune, e comunque a un approccio più paritario.
Mi rifaccio alla domanda dell'onorevole Duilio se ci sarà un cofinanziamento nella politica agricola comune. I nuovi Stati membri possono cofinanziare: hanno iniziato al 25 per cento del tasso europeo e pian piano arriveranno al 100 per cento entro la fine del 2013. Io sono contrario alla rinazionalizzazione della politica agricola comune. In che misura può esserci cofinanziamento? Se si parla di fondi strutturali, il cofinanziamento è una questione aperta. Conosco bene la posizione italiana al riguardo. L'Italia è favorevole al cofinanziamento - ce l'ho ben chiaro anche nel mio dossier - ma questa non è la posizione universale a livello europeo.
Per quanto concerne il futuro della PAC, non sarà il 70 per cento del bilancio, come ai tempi della Thatcher, quando quest'ultima lottava per lo sconto britannico; andremo piuttosto verso un terzo, ma non voglio adesso fare uscire titoli in prima pagina per quanto riguarda le proporzioni o i volumi. Comunque, c'è una linea di tendenza, che è iniziata nel 2002, per cui dal 40 per cento circa si dovrebbe andare verso il 33 per cento, visti i due pilastri. Questo in proporzione, ma poi dobbiamo trovare anche la quota per l'innovazione, per le ambizioni globali dell'Unione europea.
Mi sembra, comunque, una linea di tendenza valida, positiva, che dovrebbe rafforzare la legittimità della PAC e proteggere l'Europa dall'esodo dalle campagne, che non è una buona soluzione, visti anche gli andamenti demografici in Europa.
Onorevole Duilio, adesso passiamo alla questione più controversa, quella delle risorse, le entrate. Ci sono pressioni informali da diversi Paesi, laddove i ministri finanziari si sono impegnati a ridurre al 3 per cento i disavanzi, ovunque con la ricerca di soluzioni creative. Sarebbe positivo essere aiutati, in questo, da una riduzione del contributo nazionale su base RNL. Adesso, è il 76 per cento delle entrate europee, in contraddizione con il Trattato europeo. Per i padri fondatori, infatti, l'Europa doveva avere risorse proprie. Questo tipo di finanziamento, tuttavia, causa instabilità, come quella che abbiamo avuto negli anni '80.
Lei ha ragione riguardo al fatto che i contributi nazionali rendono stabile, prevedibile e programmabile il bilancio, in particolare nel quadro di una prospettiva settennale, anche se qui siamo in contraddizione con lo spirito dei Trattati di Roma.
Cosa è fattibile? Noi presenteremo al riguardo questo studio. Non sono molto ottimista sul fatto che non ci saranno delle piccole sostituzioni, piuttosto che il ritorno alla filosofia originaria delle risorse proprie. Non mi sembra fattibile. Noi cerchiamo di trovare un modo con il quale i ministri delle finanze, compreso Tremonti, possano essere sollevati in qualche misura dal contributo europeo per poter risollevare le finanze nazionali.
Le soluzioni non sono perfette. Possiamo enumerare tutte le possibili nuove risorse, ma è meglio evitarlo, perché ogni volta che faccio una lista delle possibili nuove risorse proprie si solleva subito molto rumore nei media.
Tuttavia, è difficile attenersi al principio della neutralità fiscale: o assorbiamo


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una piccola proporzione, una quota del gettito nazionale di un Paese, oppure elaboriamo qualcosa di nuovo, che rientrerà comunque tra gli oneri per i cittadini, ma non voglio dire quali siano le soluzioni possibili.
Si tratta di un circolo vizioso. Comunque, l'obiettivo è contribuire al consolidamento di bilancio riducendo i contributi nazionali. Una risorsa nuova sarebbe un nuovo onere per i cittadini e questo ovviamente entrerebbe in contrasto con il principio della neutralità fiscale. Quindi, sulla base della mia esperienza posso dire che non c'è spazio per l'ingenuità. Tuttavia, so che il Parlamento europeo affronterà molto seriamente questa questione nell'ultima tornata negoziale, su quello che verrà dopo il 2014.
Il Parlamento europeo, con Lamassoure - un caro amico, presidente della Commissione bilancio, che anche lei, presidente, conosce - riaprirà e metterà sul tappeto la questione delle risorse proprie. Quindi, dobbiamo essere pronti con le necessarie quantificazioni, con i dati, con gli studi di fattibilità. Questo è il nostro obiettivo.
Sono d'accordo con lei sul fatto che è meglio collocare il dibattito sulla spesa nel contesto degli obiettivi, le finalità dell'Unione nel XXI secolo. Il bilancio è politica in cifre, altrimenti ci riduciamo a livello di slogan nazionali e slogan europei.
Ovviamente alla fine, al di là delle politiche, ci sarà anche il contenzioso sui soldi. Ho imparato molto dalla tornata negoziale del periodo 2005-2006: tutti parlavano di un'Europa dell'innovazione, ma poi ci sono stati grossi tagli alla parte del bilancio destinata proprio alle nuove politiche, mentre c'è stata una difesa dei settori tradizionali, come l'agricoltura. Tutti gli osservatori e gli opinionisti ci dicono che la politica agricola comune è obsoleta, tuttavia essa viene difesa perché rientra negli interessi vitali di molti Paesi. Dunque, l'insegnamento dei negoziati precedenti non deve essere dimenticato.
Passo ora a un'altra questione cui lei ha fatto riferimento: come far rispettare i Patti di stabilità in considerazione di quelli che sono gli strumenti di bilancio. Il nostro bilancio svolge anche una funzione di garanzia per i Paesi dell'eurozona, per quanto riguarda appunto eventuali garanzie o prestiti; qualcosa di nuovo, sulla base di un'interpretazione molto flessibile del Trattato. Finora il bilancio era una garanzia soltanto per i Paesi non-euro: 14,6 miliardi di euro per l'Ungheria, la Romania e la Lettonia, con la garanzia sul bilancio europeo. Adesso ne abbiamo altri 60 per quanto riguarda il meccanismo di stabilizzazione: abbiamo, quindi, un bilancio con degli stabilizzatori finanziari. Dunque, anche un bilancio che prevede sanzioni.
Olli Rehn, il mio collega che dovrà presentare entro il 29 settembre delle proposte concrete, sta riflettendo su come utilizzare concretamente il bilancio come il bastone e la carota: non si tratta di penalizzare gli agricoltori, che sono i beneficiari finali, poiché anche i beneficiari della coesione debbono ricevere finanziamenti; debbono essere penalizzati invece gli Stati che non rispettano il Patto di stabilità. Vediamo cosa succederà; abbiamo avuto alcune esperienze in passato dove le cose non hanno funzionato benissimo.
Dunque, il bilancio per il futuro - questo è un argomento importante per me e per i Parlamenti nazionali - in che misura deve essere garanzia di eventuali prestiti nel caso in cui un Paese (adesso soltanto la Grecia ha chiesto assistenza e l'ha ottenuta) chiede assistenza? Come ho detto, incentivo e penalizzazione, ossia il bastone e la carota, ma si tratta di proposte che verranno discusse al vertice europeo e che saranno presentate entro il 29 settembre.

PRESIDENTE. Prego i colleghi di sintetizzare al massimo i loro interventi, così riusciamo a dare spazio a tutti.

SANDRO GOZI. Signor presidente, anch'io volevo innanzitutto complimentarmi con il Commissario Lewandowski per la battaglia che ha annunciato sul cosiddetto British rebate. Certamente avrà su questo il nostro sostegno.


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Io ritengo che ci siano altri meccanismi di compensazione che debbono essere eliminati. In realtà, nel nuovo bilancio dovremo eliminare tutti i meccanismi di compensazione. Ce n'è uno macroscopico, quello britannico, ma ce ne sono altri per i tedeschi, gli svedesi, gli austriaci e gli olandesi. È evidente che si tratta di una logica ben lontana da quella che dobbiamo introdurre nel nuovo bilancio. Quindi, inviterei il Commissario ad esprimersi a riguardo, per sapere cosa pensi dell'argomento dei meccanismi di compensazione, al di là della questione britannica, che è quella più importante.
In questo periodo varie voci, Commissario Lewandowski, si sono levate contro l'abolizione della risorsa IVA. Obiettivamente non ne ho capito le ragioni. Vorrei sapere cosa pensa la Commissione delle ipotesi di eliminare la risorsa IVA, e quali sarebbero i vantaggi e gli svantaggi che potrebbero derivare dall'abolizione di questa risorsa.
Non so se all'inizio della sua presentazione ha parlato di una sua preferenza sulla nuova durata del bilancio, delle prospettive finanziarie. Io credo che una durata di cinque anni anziché di sette - ovvero legata al ciclo politico di Commissione e Parlamento europeo - sia assolutamente la via da privilegiare, ma vorrei sapere qual è la posizione della Commissione.
Inoltre, nel dibattito - cito dalla stampa, non ho seguito direttamente il discorso - sullo stato dell'Unione al Parlamento europeo, risulterebbe che il Presidente Barroso avrebbe confermato l'intenzione della Commissione di portare avanti la proposta di una imposizione sulle operazioni finanziarie più speculative. Credo che tale linea debba essere assolutamente incoraggiata. Vorrei sapere dal Commissario se conferma ciò e quali proposte legislative o quali iniziative politiche verranno assunte dalla Commissione a tale riguardo.
L'ultima questione, che già il collega Duilio aveva sollevato, ma sulla quale devo ammettere di non essere stato pienamente soddisfatto dalla risposta del Commissario, riguarda le dimensioni attuali del bilancio. È evidente a tutti - e lei, Commissario, che è un grande esperto e ha presieduto la Commissione bilancio del Parlamento europeo, lo sa benissimo - che non possiamo, come europei, fissare nuovi e ambiziosi obiettivi politici con il nuovo Trattato di Lisbona, che si parli di lotta contro il cambiamento climatico, politiche dell'immigrazione, politiche dell'integrazione, coesione territoriale e coesione sociale. Non possiamo fissare obiettivi ulteriormente ambiziosi con la strategia Europa 2020 - e non li cito, ma rimando ai vari flagship dell'Europa 2020 - e poi dire che, dato che dal punto di vista delle finanze pubbliche la linea europea al momento è quella del rigore, non è assolutamente possibile aumentare il bilancio comunitario. Al momento, abbiamo un bilancio che è utilizzato a meno dell'1 per cento del reddito nazionale lordo.
Non è assolutamente credibile ciò. L'Europa e la Commissione europea continueranno a non essere credibili agli occhi dei cittadini se non si affronta una battaglia sulla questione del bilancio. È impensabile che noi, come europei, riusciremo a raggiungere i nuovi obiettivi politici che ci siamo dati con un ammontare di bilancio che è identico a quando l'Unione europea aveva dodici Stati membri.
Dato che il prossimo anno, probabilmente, raggiungeremo i ventotto Stati, con la Croazia, non è pensabile che possiamo essere credibili dicendo che con le stesse somme con cui gestivamo un po' di Europa a dodici, possiamo raggiungere gli obiettivi che ci prefiggiamo con l'Europa a ventotto.
Ai Ministri dell'economia e delle finanze la Commissione - a mio parere lo sta facendo, ma forse dovreste farlo ancora di più - dovrebbe dimostrare, ed è facile, che un euro speso insieme, in base a strategie comuni, a livello europeo è di gran lunga più efficace di quattro centesimi spesi in ognuno dei ventisette Stati membri.
Io credo che dovreste condurre un'azione di sensibilizzazione dell'opinione


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pubblica sul valore aggiunto del bilancio comunitario. A mio parere, il ragionamento dell'Ecofin deve essere invertito. Infatti, proprio perché dobbiamo seguire politiche di rigore a livello nazionale, andrebbe in parte aumentato il bilancio comunitario, per potere a livello europeo avviare delle nuove politiche di investimenti, di crescita economica, per le infrastrutture al livello per cui tali politiche sono efficaci.
Sostenere invece che, poiché dobbiamo tirare la corda e restringere i fondi a livello nazionale, anche il bilancio comunitario, già insufficiente, deve essere ridotto, a mio parere è una contraddizione in termini e l'Unione europea rischia di fare una pessima figura agli occhi dell'opinione pubblica, nel momento in cui si verifichi che quegli obiettivi non sono stati raggiunti.

ANTONIO BORGHESI. Signor Commissario, lei ha già dichiarato un certo scetticismo riguardo all'ipotesi di una risorsa fiscale propria da parte dell'Unione europea. Tuttavia, potrebbe essere una buona soluzione, ma a condizione che fosse strettamente collegata all'armonizzazione delle politiche fiscali dei Paesi dell'Unione, la cui mancanza credo oggi sia una delle fonti di maggior distorsione all'interno dell'Unione stessa.
Vorrei sapere cosa pensa su tale tema e anche sul fatto che un'altra armonizzazione ancora più stretta sarebbe necessaria a livello dei singoli bilanci nazionali. Infatti, immaginare di poter seguire il coordinamento delle politiche europee all'interno dei bilanci nazionali senza armonizzazione, diventa assolutamente improponibile e difficile.

JANUSZ LEWANDOWSKI, Commissario europeo per la programmazione finanziaria e il bilancio. Onorevole Gozi, la ringrazio per le sue parole di incoraggiamento per l'iniziativa sullo sconto britannico e le altre questioni. Abbiamo bisogno di incoraggiamento.
Secondo me, il dibattito deve essere aperto, senza tabù. Dobbiamo discutere seriamente del futuro, e il futuro non è quello che era l'Europa negli anni Ottanta.
Per quanto riguarda l'IVA, adesso il suo contributo statistico è artificioso, in realtà non dà molto al bilancio. Pertanto, secondo me l'IVA andrebbe abolita nella sua attuale configurazione, per rendere il sistema più trasparente. L'attuale configurazione, per cui l'IVA non costituisce una vera risorsa propria dell'Unione, secondo me dovrebbe essere abolita, ma questa è una mia opinione personale.
Per quanto riguarda la durata della prospettiva, il Parlamento europeo vorrebbe cinque anni, per armonizzarlo con la legislatura, mentre ora abbiamo sette anni (dal 1993 abbiamo avuto prospettive finanziarie settennali). Potremmo adeguarlo nell'altro modo, ovvero prolungando la durata della legislatura europea a sette anni: questa è stata la mia proposta.
Il Presidente Barroso, nel discorso sullo stato dell'Unione, ha parlato della possibilità di cinque anni per due volte, ovvero dieci anni, con una revisione di medio periodo molto seria. Non sono favorevole ad abbreviare questo periodo, perché so che ci attendono tempi di polemiche e di divisioni. Con cinque anni, praticamente dopo due anni dovremmo ripartire con una nuova tornata negoziale, e questo non va bene per lo spirito di unità europeo. Vediamo come vanno avanti le cose fino al 2012-2013. Tuttavia, ripeto, questa fase secondo me non compatterà l'Europa. C'è una vera battaglia sugli interessi e le posizioni nette, con reazioni francamente egoistiche, piuttosto che solidali o unitarie.
Per questo motivo, sarei favorevole ad avere un periodo più lungo rispetto ai cinque anni, che è la durata minima indicata nel Trattato. Comunque, se ne discuterà, non abbiamo posizioni dogmatiche. Ovviamente, diamo massimo peso alla posizione del Parlamento europeo.
Per quanto riguarda le transazioni finanziarie, se n'è parlato tanto, però nel settore finanziario - forse anche per gli insegnamenti appresi dalla crisi - ho visto un certo attivismo politico. I politici nazionali hanno successo se tuonano contro


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gli speculatori, ma occorre un impegno maggiore; non bastano le dichiarazioni roboanti, ma occorrono anche azioni armonizzate tra i Paesi. Direi, anzi, non solo tra i Paesi membri, perché un prelievo sulle transazioni finanziarie richiede un accordo anche con gli altri continenti, affinché non si vada a intaccare la competitività delle piazze finanziarie europee. Quindi, non può trattarsi di una tassazione soltanto a livello nazionale, anche se i ministri delle finanze vorrebbero averlo come cespite a livello nazionale.
Dunque, se ne discute seriamente anche a livello europeo. Schäuble e Lagarde insistono sul fatto che noi dovremmo presentare proposte in tal senso. C'è un Paese che si oppone fortemente, ed è facile indovinare quali siano i centri in cui si concentrano le operazioni finanziarie. Sarebbe comunque necessario un confronto approfondito anche con gli Stati Uniti. Non possiamo ergerci a campioni del mondo in un certo settore, senza allargare lo sguardo agli altri continenti, per evitare di far sostituire le nostre piazze finanziarie da quelle di altri Paesi. Comunque, se ne parlerà. Politicamente sarà fattibile, anzi popolare introdurre questo tipo di imposta. Il problema è renderla europea, ovvero anche qualcosa di più.
Per quanto riguarda le ambizioni future del bilancio, l'ampliamento alla Croazia non avrà un impatto forte, essendo questo un piccolo Paese. Se anche l'Islanda si aggiungesse, sarebbe un contribuente netto per molti anni. Sarebbe, dunque, un fattore di equilibrio, ma lo vedremo.
In termini più concreti, c'è un clima di austerità e di rigore in molti Stati membri, che cercano disperatamente il pareggio di bilancio. C'è una frustrazione della classe politica - perché ci sono congelamenti degli stipendi, tagli al pubblico impiego - anche a livello europeo. Per questo motivo il dibattito sul bilancio europeo è difficile. Per me è importante sottolineare che l'1 per cento del PIL in un'Europa in recessione rappresenta un volume diverso dall'1 per cento in un'Europa dinamica e in espansione.
Quando studiamo il bilancio in termini relativi rispetto al PIL o al RNL, uno dei problemi è rappresentato dal fatto che in una fase recessiva l'1 per cento diventa l'1,10 per cento, mentre in una fase di espansione può essere lo 0,95, proprio a causa delle dinamiche congiunturali. Quindi, occorrono proposte ambiziose, ma realistiche. Non è una situazione facile.
Onorevole Borghesi, lei ha ragione. Per poter riflettere sulle risorse proprie ovviamente è necessaria almeno un'armonizzazione delle basi di calcolo, delle basi imponibili. Ora, l'aliquota più armonizzata è l'IVA, anche se non lo è ancora totalmente. Se pensiamo all'IVA futura, c'è sempre il problema dei prodotti ad aliquota zero in molti Paesi.
Per quanto riguarda l'imposta sul reddito delle società, manca veramente lo «zoccolo» dell'armonizzazione. L'armonizzazione della base imponibile è il prerequisito, la condicio sine qua non per poter avviare il dibattito su questa questione. Sono pienamente d'accordo con lei.

RENATO CAMBURSANO. La ringrazio, Commissario, per la sua disponibilità. Io credo che o l'Europa, nei prossimi anni, sarà capace, senza più perdere tanto tempo, di fare un salto di qualità - e per fare questo naturalmente i Paesi membri devono crederci per davvero - oppure saremo sempre più residuali nella grande competizione mondiale che è in atto soprattutto nei confronti di alcuni Paesi che una volta venivano definiti emergenti - Cina e India - e che adesso non sono più tali. Ritornerò in seguito su questo punto.
Concordo totalmente su quanto ha detto in precedenza l'onorevole Gozi circa la necessità di un bilancio europeo che sia davvero tale e che, quindi, gli Stati convengano sulla scelta di dotarlo di risorse ben più cospicue, per politiche che rilancino l'Europa.
Intanto bisogna evitare che succeda quello che è accaduto nella nostra vicina Grecia, e cioè che i bilanci dei singoli Paesi siano sottoposti a verifiche, magari a posteriori, senza riscontrare ciò che è avvenuto. Di qui la necessità di armonizzare il


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bilancio europeo col bilancio dei vari Stati membri e, all'interno degli Stati membri, di armonizzare bilancio statale, bilancio regionale e bilancio degli enti locali.
Come è facile immaginare, le cose da fare sono tante, onde evitare, per esempio, nell'ambito dei nostri enti locali, di trovare prodotti finanziari che vengono nascosti sotto il tavolo e che quando «scoppiano» ci rivelano sorprese amare.
Vorrei affrontare due questioni che riguardano le risorse e la spesa. Quanto alle risorse, è già stato fatto cenno alla questione degli eurobond. Io avevo partecipato, ovviamente come tutti i colleghi, alla predisposizione della risoluzione che è stata inviata prima al Governo e poi al Parlamento europeo. Avevo insistito molto - i colleghi, bontà loro, l'avevano anche fatta propria - sulla possibilità di procedere assai speditamente all'emissione di titoli comunitari. Tuttavia, in un momento in cui tutti ricorrono al debito, questi titoli europei diventano concorrenti con l'enorme massa di titoli statali. Mi chiedo, dunque, come sia possibile rendere compatibili le due esigenze, quella dei singoli Paesi e quella dell'Europa.
Sul fronte delle spese, leggevo recentemente - non è sfuggito a nessuno - quello che sta avvenendo sia in Cina sia, in particolare, in India, sulla formazione scientifica di altissimo livello. Ebbene, o noi saremo in grado, oltre alle infrastrutture, alla ricerca, all'innovazione, di puntare molto sull'alta formazione europea scientifica, oppure perderemo la sfida fra pochissimi anni e diventeremo residuali rispetto al resto del mondo.
Vorrei sapere cosa pensa il commissario a riguardo.

ROLANDO NANNICINI. La ringrazio, Commissario, della sua presenza e dell'attenzione che manifesta al Parlamento italiano e alle Commissioni bilancio e politiche dell'Unione europea del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati.
Noi siamo in una fase mondiale in cui l'Europa giustamente soffre più di altri rispetto al prodotto interno lordo, perché abbiamo avuto una forte riduzione della nostra presenza nel commercio mondiale, con i nostri prodotti. Quindi, è chiaro che il tema dell'innovazione del prodotto è un tema che riguarda tutti i Paesi europei.
Ad un'analisi del bilancio europeo, il saldo netto negativo tra gli stanziamenti ricevuti dal bilancio comunitario e il contributo alle risorse proprie, che per l'Italia è pari allo 0,30 per cento del reddito nazionale lordo nel 2008 e allo 0,35 per cento per il periodo 2007-2013, ed è stato accompagnato dal saldo negativo della Germania, della Francia e dell'Inghilterra, dimostra che la politica di incentivazione di livello comunitario sta nei settori tradizionali, di cui avremmo dovuto occuparci, perché si tratta di un'esigenza da tutti condivisa. Mi riferisco a un'agricoltura più attenta ai temi paesaggistici, alla qualità del prodotto, con un'attenzione maggiore verso quei Paesi con un gap strutturale, ovvero all'esigenza di una politica che ha portato la presenza dell'Europa nei nostri Paesi.
Oggi c'è bisogno di un salto di qualità, perché se il prodotto europeo non regge nel mercato internazionale anche il nostro bilancio, il suo bilancio e quello degli enti locali avranno delle serie difficoltà.
Sono deluso dal meccanismo dell'autonomia finanziaria degli enti locali. In Italia c'è un trasferimento attuale dello Stato ai comuni di 15 miliardi e 50 milioni di euro. Con il processo dell'autonomia finanziaria arriveremo forse a 9 miliardi. L'ultimo decreto introduce la cedolare secca sugli affitti, che pagheranno gli enti locali, perché sono in riduzione del finanziamento nei confronti degli enti locali, altrimenti non c'è copertura finanziaria.
Quindi, non mi piace tanto parlare di finanza propria o di autonomia, perché penso sia un mito, in un tale periodo di regressione. Pertanto, nei limiti delle risorse del bilancio europeo, dell'1,1 per cento del prodotto interno lordo, quali sono i settori reali da incentivare perché l'Europa sia protagonista nella globalizzazione dell'economia? È un'esigenza che lei condivide, avendo letto ciò che lei propone.


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Il debito degli Stati nazionali è un macigno per le economie reali. Qualche cosa, al di là del Patto di stabilità, in modo concreto si può fare a livello europeo. Questo è il tema principale: risorse dal debito pubblico a imprese, lavoro e alla fiscalità che grava sui cittadini.
Infine, le chiedo se può anticiparci qualche linea del suo pensiero nei confronti del Patto di stabilità, che deve ripartire da gennaio, dopo le misure urgenti della manovra appena varate, decise a livello di Governo e di Commissione. Ne abbiamo visto i risultati negativi nei confronti dello stato sociale italiano, degli enti locali: 4 miliardi di euro ai Comuni in due anni, 8 miliardi alle regioni, questo è il dato, ma potrei riportare altri elementi. Ebbene, le chiedo quali sono gli indirizzi, dal 1o gennaio al 30 giugno, che almeno lei può portare, per dare all'Europa scelte più chiare sui soldi che abbiamo per l'innovazione tecnologica, l'università, e per conservare politiche di coesione sociale.

MASSIMO BITONCI. Innanzitutto rivolgo al Commissario Lewandowski un ringraziamento particolare e un benvenuto dal gruppo parlamentare Lega Nord Padania. Per la sua collocazione geografica e strategica al centro del Mediterraneo, l'Italia è esposta a una forte pressione di carattere migratorio e demografico da parte dei Paesi del nord Africa, ma anche dei Paesi dell'est europeo.
Il nostro Paese ha chiuso - come lei sa - un importante accordo con la Libia per il contrasto all'immigrazione clandestina. Tale accordo ha visto ridurre notevolmente gli sbarchi sulle coste italiane. Per noi è stato un grande successo, che soprattutto ha salvato molte vite umane. Tuttavia, il nostro Paese - glielo dico sinceramente - si è sentito solo nel contrasto all'immigrazione clandestina: l'Europa non ha capito che non si possono lasciare soli i Paesi che hanno uno sbocco naturale sul Mediterraneo e che fanno da ponte verso il continente europeo.
A mio avviso, si deve pensare non solo a un potenziamento dell'Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne (FRONTEX) - che ha funzionato, ma non in Italia - ma forse a una frontiera comune contro l'immigrazione clandestina, per il contrasto alla criminalità organizzata, alle nuove mafie che vengono dall'estero e al terrorismo di matrice religiosa.
Inoltre - non la prenda come una provocazione - credo che occorra rivedere anche la libera circolazione dei cittadini dell'est europeo, che sta creando gravissimi problemi nelle nostre città, con la creazione di veri e propri ghetti e un forte degrado.
Si tratta di un problema di cui l'Europa deve farsi carico e noi non vogliamo essere lasciati soli.

ROBERTO SIMONETTI. Ringrazio il Commissario Lewandowski della sua presenza e della volontà di ascoltare i Parlamenti nazionali, per la finalità della definizione delle politiche di bilancio dell'Unione europea.
È stato ricordato da lei e dai colleghi che le difficoltà dell'Europa riguardano soprattutto la mancanza di un PIL adeguato rispetto alle spese degli Stati membri. È chiaro che le politiche economiche che noi intravediamo come finalità primaria sono quelle legate agli incentivi alle imprese, al manifatturiero, alla difesa della produzione, piuttosto che al terziario o alla finanza creativa, che purtroppo hanno creato problemi finanziari internazionali.
L'Europa deve essere quindi maggiormente competitiva e più «sburocratizzata». Oltre ai problemi evidenziati dal collega Nannicini, posso ricordare anche le molte nostre regole interne, che non riescono a competere con le poche regole esterne di alcune economie che, quindi, ci colonializzano, facendo del nostro mercato la loro terra di conquista.
Occorre una politica a sostegno dell'impresa e del credito. Le nostre imprese hanno difficoltà nell'accesso al credito, quindi sarebbe bene rivedere alcune posizioni e le griglie degli Accordi di Basilea 1, 2 e 3 che influenzano il mercato. Lei ha chiesto delle idee riferite a nuove politiche


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di bilancio e alle nuove entrate dell'Unione europea. Chiedere una fiscalità propria o maggiore partecipazione agli Stati membri senza perseguire e privilegiare politiche di settore piuttosto che di area, penso che sia molto impopolare.

MASSIMO VANNUCCI. Anch'io ringrazio il Commissario. Personalmente ritengo che una politica di eccessivo rigore possa essere rappresentata come incompatibile con gli obiettivi ambiziosi della strategia Europa 2020 e, soprattutto, con la priorità fondamentale che credo l'Europa debba avere, ovvero creare occupazione. Noi registriamo nel nostro Paese un tasso di disoccupazione al di sotto delle medie europee, tuttavia siamo molto preoccupati, perché dentro tale dato c'è quello allarmante dell'occupazione giovanile: il 30 per cento dei nostri giovani non ha lavoro.
L'ossessione dell'Europa - secondo me - dovrebbe essere quella di creare lavoro, lavoro buono; poiché non possiamo nemmeno pensare di crescere all'infinito, possiamo crescere solo se miglioriamo il nostro pianeta. È necessario dirottare le attuali politiche anche coerentemente con la strategia per la crescita e l'occupazione che ci siamo dati. Per fare ciò dobbiamo tornare al tema delle risorse proprie.
Lei non ha voluto, nel rispondere ai colleghi, dare giudizi o anticipare decisioni. Le chiedo, allora, quali possibilità di successo potrebbe avere la scelta di affrontare il tema delle risorse proprie collegandolo con i temi delle politiche di tutela dell'ambiente e dei cambiamenti climatici. In altri termini, rispettando l'autonomia fiscale dei Paesi, si tratterebbe di rimandare all'Europa tutta la materia ambientale, quindi sia la tassazione delle emissioni eccessive di CO2 e delle macchine inquinanti, sia le imposte sulle energie, per reinvestire poi queste risorse in politiche per migliorare il pianeta e per corrispondere agli obiettivi della strategia europea 20-20-20.
Infine, un'ultima questione riguarda l'Europa nel mondo, il tema della cooperazione allo sviluppo, qui ripreso dall'onorevole Gozi. Lei ha correttamente risposto che una tassazione delle transazioni finanziarie non può essere fatta solo da una parte dei Paesi. Un'iniziativa politica forte dell'Europa - mi rifaccio alla Tobin-tax e a iniziative di questo tipo - finalizzata alle politiche di cooperazione nel mondo per lei è possibile? È negli impegni dell'Europa e della Commissione europea?

ROSSANA BOLDI, Presidente della 14a Commissione del Senato della Repubblica. Ringrazio il Commissario Lewandowski. In una sua recente dichiarazione ho letto che lei vede la possibilità di aumentare le risorse riducendo le spese amministrative non solo dei singoli Paesi europei. Credo che lei intenda riferirsi anche alle spese amministrative dell'Europa; può spiegarci meglio cosa intende? Grazie.

JANUSZ LEWANDOWSKI, Commissario europeo per la programmazione finanziaria e il bilancio. È veramente un amplissimo spettro di argomenti.
Onorevole Cambursano, ho scoperto qualcuno che è favorevole agli eurobond. Barroso ha parlato di eurobond nello stato dell'Unione e lei ha ragione: in realtà gli eurobond si trovano a competere con l'emissione di titoli del debito nazionali perché sarebbero, ovviamente, molto competitivi proprio per il loro rating, per la loro credibilità. Stiamo esplorando tutte le possibilità di finanziare i grandi progetti europei nei limiti del bilancio. Gli eurobond potrebbero essere uno di questi strumenti; la Commissione non ricorrerebbe al mercato in maniera attiva, ma in qualche modo il bilancio sarebbe una garanzia degli eurobond, il che significherebbe un'ulteriore esposizione del bilancio europeo, esposto anche per quanto riguarda la garanzia rispetto ai prestiti nel quadro dei meccanismi di stabilizzazione. Bisogna, quindi, capire in che misura e sotto quanti punti di vista il bilancio europeo è già interpellato come garanzia.
In ogni caso, in cooperazione con la Banca europea per gli Investimenti abbiamo visto che un euro investito congiuntamente dalla BEI e da capitali privati produce a livello europeo circa quaranta


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euro di spesa potenziale, quindi riusciamo a coprire anche dei progetti interessanti e l'effetto leva sarebbe molto forte. Ovviamente, stiamo esaminando - questa è una parte importante - tutti i sistemi di condivisione dei rischi, partnership pubblico-privato in cooperazione con la Banca europea per gli Investimenti, e questo funzionerebbe bene anche rispetto alla cultura post-comunista dei Paesi dell'est europeo. Questo riguarda anche il mio Paese che non ha ereditato una burocrazia di qualità.
In ogni caso, tutte queste possibilità debbono essere tenute presenti. Abbiamo troppi vincoli e troppe ambizioni. In che misura - ne parlava anche l'onorevole Nannicini e anche l'onorevole Duilio - la spesa pubblica potrebbe promuovere un'Europa dell'innovazione? Parlo di grandi progetti, progetti a grandissimo valore aggiunto.
A mio avviso, l'esperienza di Airbus, del TGV è sì positiva, ma non basta. L'innovazione non è contare il numero delle pubblicazioni scientifiche, ma piuttosto il numero delle richieste di brevetto, la commercializzazione delle invenzioni. L'Europa è a un alto livello per quanto riguarda le pubblicazioni accademiche, ma molto meno competitiva nel numero delle richieste di brevetto, ovvero innovazioni orientate veramente al mondo delle aziende. Non basta quindi soltanto la ricerca accademica in ambito scientifico, serve anche una cultura del rischio, imprenditoriale, del capitale di rischio, non bastano i fondi pubblici per stimolare.
All'Europa manca forse questo spirito di impresa, questo spirito dell'assunzione del rischio che caratterizza, ad esempio, l'America o la Corea del Sud, che attualmente ha più richieste di brevetto della Germania. Questo è quindi il problema: non soltanto la ricerca, ma filoni di ricerca che possano essere tradotti immediatamente nell'innovazione commerciale e tecnica e non basta la spesa pubblica a innescare questo.
Abbiamo programmi ambiziosi: Galileo, le ambizioni spaziali, l'energia basata sulla fusione, il progetto ITER. Ho qualche difficoltà, però, rispetto alla comunità scientifica: se dicono che la fase operativa per ITER costa 5 miliardi di euro e successivamente si arriva a 15, servono 10 miliardi di euro in più, allora c'è qualcosa che non va a livello di gestione. I grandi progetti hanno bisogno di una gestione che sia anche solida dal punto di vista commerciale, non soltanto scientifico, perché, appunto, avremo sempre i nostri amici della comunità scientifica che partono con 2 milioni di euro e arrivano a chiederne 5. È necessaria anche una solidità gestionale.
L'onorevole Nannicini ci ha parlato, cosa che sapevo - ci siamo incontrati più volte - della posizione netta dell'Italia e mi congratulo poiché, visto il vostro PIL pro capite, avete negoziato con successo le prospettive 2007-2013. In termini relativi non è andata male; sì, lo sconto britannico va bene, ma come posizione netta fino al 2013 i negoziati a nome dell'Italia sono stati condotti con grande abilità e qui chiudo i miei commenti su questo.
So che l'Italia oggi non è pronta a vedere deteriorarsi la propria posizione e tutti i Paesi sono molto sensibili alle proprie posizioni nette; oggi lo 0,25 non è niente male visto il PIL pro capite italiano e alla fine verrà calcolato questo dato da ogni attore al tavolo, perché nessun leader europeo potrebbe giustificare il bilancio futuro se fosse un peggioramento della posizione netta del proprio Paese. Alla fine questo è il dato fondamentale per quanto riguarda il tavolo del negoziato.
Non voglio soffermarmi troppo sulla stabilità europea e sulle prognosi macroeconomiche. Certo, Bruxelles non diventa molto popolare presso i Parlamenti nazionali con le richieste di un «semestre europeo», perché viene visto come un attentato ai diritti della sovranità; il calendario di bilancio è diverso nei diversi Paesi europei ed è difficile conciliare i tempi. Tuttavia, a livello del dibattito intergovernativo, c'è una sorta di accordo sulla base degli insegnamenti della crisi: dobbiamo andare in questa direzione anche se magari avremo resistenze da parte dei Parlamenti nazionali. Non apriamo però adesso la discussione sulla situazione


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macroeconomica europea; riserviamo questo dibattito a Olli Rehn e ad altri colleghi.
Onorevole Bitonci, FRONTEX è stata un'ambizione polacca per l'appunto, quella di avere almeno un'agenzia. Si parla sempre - c'era anche una domanda - della riduzione delle spese amministrative, ma quando poi si tratta delle agenzie ogni Paese membro vorrebbe averne una. Il sogno polacco era FRONTEX, l'agenzia che si occupa dell'immigrazione, della protezione delle frontiere, con sede a Varsavia. A Varsavia si ipotizzava che il pericolo maggiore per l'Europa, visto l'accordo Schengen, venisse dai confini orientali, la lunga frontiera polacca con l'Ucraina, la Bielorussia, Paesi che venivano visti come problematici anche alla luce degli accordi di Schengen.
In realtà, la dimensione forte è quella mediterranea. Contrariamente a quanto si pensasse, non ci sono grossi problemi sulle frontiere orientali dell'Europa. Il problema sono il Mediterraneo, la Libia, l'immigrazione illegale attraverso Malta e Lampedusa, quindi la battaglia per la protezione è nel Mediterraneo; l'Agenzia è a Varsavia, ma il teatro operativo in realtà è il Mediterraneo. Ogni anno FRONTEX riceve un maggiore sostegno, ma ha bisogno di strumenti operativi nel Mediterraneo, di navi, di risorse umane, e non soltanto soldi per la sede di Varsavia.
Onorevole Simonetti, siamo sulla stessa lunghezza d'onda, ossia come trovare un punto di equilibrio tra regolazione e concorrenzialità con riferimento al bilancio europeo! Abbiamo bisogno di posti di lavoro e non soltanto di norme, non dobbiamo normare e regolare tutto. In alcuni campi forse c'è troppa regolamentazione: nella protezione alimentare trattiamo i nostri consumatori come idioti. In alcuni settori questo, a mio avviso, inficia la posizione concorrenziale dell'industria europea, che è più oberata di regole rispetto ai propri competitori. Trovare il punto di equilibrio tra competitività e regolazione è imperativo. Adesso abbiamo questa valutazione di impatto delle nuove norme: Stoiber, bavarese, ha una delega ancora per altri due anni per eliminare la sovra-regolamentazione europea. A volte questo eccesso di burocrazia compromette la posizione competitiva globale dell'Europa, perché l'industria europea non è un'isola: concorriamo con dei competitori molto efficienti e che producono a basso costo dall'Asia.
Onorevole Vannucci, quanto alle risorse proprie, non volevo enumerarle, ma ovviamente la questione che lei ha sollevato ha a che fare con il sistema di scambio delle quote di emissione di CO2. Sì, dal 2005 questo sistema esiste; sì, faremo riferimento a questo aspetto nel nostro studio, sta funzionando, è qualcosa di tipicamente europeo e ci conduce verso la filosofia della crescita ecosostenibile. Il Consiglio aveva deciso di individuare in qualche modo i fondi provenienti da questo sistema, fondi già promessi ai Paesi membri e ai Paesi del terzo mondo; se vogliamo andare in questa direzione dobbiamo modificare le decisioni già assunte per quanto riguarda la ridistribuzione dei proventi di questo sistema di scambio di quote.
Per non parlare dei problemi legati all'energia derivata dal carbone: il carbone in Germania è problematico, in parte anche in Italia, forse soprattutto al nord. Il saldo potrebbe essere quindi negativo per alcuni Paesi se andiamo in questa direzione, cioè se prendiamo il sistema di scambio di quote di emissione di CO2 come cespite principale emergerebbero dei problemi, però sicuramente da un punto vista filosofico è molto sano, anche per quanto riguarda l'ambiente.
Onorevole presidente, quanto alle spese amministrative, il modo più facile di attaccare l'Unione europea è attaccare la burocrazia. Io dico, magari i miei colleghi non saranno d'accordo con me, che se istituiamo un nuovo organismo nell'Unione europea, questo richiederà per forza automaticamente nuove risorse e un nuovo organico, quindi dobbiamo bloccare lo sviluppo istituzionale dell'Unione europea, altrimenti avremo sempre nuove richieste.
È veramente vantaggioso avere il servizio di azione esterna per l'Europa, ma


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ovviamente costerà; è un vantaggio parlare con una sola voce, però costerà, non è neutrale dal punto di vista del bilancio. Abbiamo diplomatici di carriera di alto livello pronti a entrare in questo servizio, ma sono diplomatici con una notevole anzianità di servizio; ci sono ovviamente interessanti conversazioni con la baronessa Ashton per quanto riguarda l'utilità di questo servizio: sicuramente è molto utile, ma costerà. Una prima cosa, quindi, è dirsi che bisogna bloccare l'istituzione di nuovi organismi.

PRESIDENTE. Ringraziamo il signor Commissario per questa interessantissima audizione che è durata anche più del previsto.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 14,05.

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