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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissioni Riunite
(V Camera e 5a Senato)
2.
Martedì 23 ottobre 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 2

Audizione di rappresentanti di R.ETE Imprese Italia e di rappresentanti di Alleanza delle Cooperative italiane (Attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2013-2015, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera):

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 2 4 7 8
Baretta Pier Paolo (PD) ... 7
Belli Ermanno, Rappresentante di Alleanza delle Cooperative italiane ... 3
Brunetta Renato (PdL) ... 7
Busacca Bruno, Rappresentante diAlleanza delle Cooperative italiane ... 8
Fumagalli Cesare, Segretario generale di Confartigianato imprese - R.ETE Imprese Italia ... 5 8
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, Democrazia Cristiana): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA; Misto-Iniziativa Liberale: Misto-IL.

COMMISSIONI RIUNITE
V (BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E
5a (PROGRAMMAZIONE ECONOMICA, BILANCIO) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta pomeridiana di martedì 23 ottobre 2012


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI GIANCARLO GIORGETTI

La seduta comincia alle 20.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti di R.ETE Imprese Italia e di rappresentanti di Alleanza delle Cooperative italiane.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2013-2015, l'audizione, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera, di rappresentanti di R.ETE Imprese Italia e di rappresentanti di Alleanza delle Cooperative italiane.
Do, quindi, la parola ai rappresentanti di Alleanza delle Cooperative italiane.

BRUNO BUSACCA, Rappresentante di Alleanza delle Cooperative italiane. Vorrei fare alcune valutazioni generali. La manovra viene presentata nel suo complesso come inizio di un disegno che comincia ad abbozzare misure finalizzate a sostenere la crescita, superando i limiti di una politica di mero contenimento della spesa.
A questo proposito, è necessaria una premessa. Siamo consapevoli della situazione non solo dei conti pubblici, ma dell'intero sistema Italia, e, quindi, della necessità di politiche di rigore. Tuttavia, questo è il momento di cominciare con più decisione anche delle politiche di incentivazione dell'economia. Sotto questo profilo, appare senz'altro condivisibile l'intenzione di incoraggiare i consumi, di venire incontro ai redditi più bassi con l'abbassamento della prima e della seconda aliquota dell'IRPEF e anche l'avere previsto nel disegno di legge di stabilità - sia pure subordinatamente a un accordo tra le parti sociali, per il quale si sta lavorando - delle risorse per sostenere aumenti salariali legati alla produttività.
Ciò nonostante, resta il fatto che una parte di queste risorse - almeno per quanto riguarda l'IRPEF - siano tratte da misure tributarie che vanno in senso contrario, come la limitazione per le detrazioni e le deduzioni e l'aumento di un punto percentuale, sia pure in riduzione rispetto all'aumento di 2 punti previsto a legislazione vigente, delle aliquote IVA dal 1o luglio 2013 al 31 dicembre 2013, cosa che può rendere non reale l'effetto di stimolo delle misure di riduzione dell'IRPEF.
Probabilmente, occorrerebbe aggredire con più decisione forme di spreco che ancora si annidano nel sistema. In termini di riduzione della spesa si può fare di più, ma non puntando soltanto o soprattutto sulla spesa sanitaria e sociale, bensì aggiungendo qualcosa sul piano delle dismissioni patrimoniali, non solo degli immobili.
Da questo punto di vista, è necessario andare avanti anche con una riforma del funzionamento delle istituzioni e del loro assetto. Il fatto che il Governo abbia presentato un disegno di legge che


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modifica le disposizioni contenute nel Titolo V della parte seconda della Costituzione, sulla base dell'esperienza condotta in questi dieci anni, ci pare apprezzabile e ci auguriamo che il Parlamento, nella sua autonomia, segua questa strada.
Siamo convinti che le manovre di bilancio dei prossimi anni debbano incoraggiare misure di ristrutturazione della spesa amministrativa e di efficientamento delle istituzioni, in modo tale che si possano liberare risorse per il sostegno dell'economia reale.
È per questo che la manovra, così com'è scritta, ci pare dissonante e poco coerente rispetto all'ispirazione di fondo dichiarata dal Governo che cercavamo di tratteggiare poc'anzi. Questo finisce per penalizzare maggiormente proprio quei redditi più bassi, ai quali, viceversa, dovrebbe essere rivolta principalmente la diminuzione fiscale.
Insomma, serve un disegno complessivo di riforma del sistema delle deduzioni e delle detrazioni, che richiede maggiori approfondimenti. Tuttavia, diminuire la detrazione sui mutui nel momento in cui l'edilizia sta soffrendo tanto o le detrazioni per la spesa sanitaria e socio-sanitaria non ci pare una misura coerente con le premesse. Pertanto, chiediamo che il Parlamento, pur nel rispetto dei saldi complessivi, intervenga su questo aspetto.
Vorrei, poi, sollevare alcuni punti specifici, di cui parlerà con più competenza tecnica l'avvocato Belli. Mi limito a tratteggiare alcune norme che riguardano la cooperazione sociale, il terzo settore e alcune misure di correzione della spending review.
Il primo punto riguarda un tema che, come abbiamo visto, è stato sollevato da più parti - siamo lieti di questa sensibilità nella comprensione del problema - e che riguarda l'aumento dell'IVA per le cooperative sociali. È vero che c'è una richiesta di chiarimenti da parte della Commissione europea, ma siamo ancora nella fase iniziale. Per ragioni che pure vi sono e che ci sembra non siano state pienamente colte dal Ministero dell'economia e delle finanze, sarebbe opportuno soprassedere, in questa sede, alla correzione e aprire un serio negoziato con la Commissione europea. Questo è stato fatto in passato su un tema che non era fiscale, ma che riguardava le convenzioni in deroga ai pubblici appalti. Quando il Governo negoziò - siamo nel lontano 1995 - la Commissione europea lo fece anch'essa. Dunque, probabilmente vi sono i margini per un negoziato, ragion per cui, sotto questo profilo, chiederemmo qualcosa in più, cioè che non solo il Parlamento correggesse la norma, ma sollecitasse il Governo a chiedere alla Commissione di aprire un tavolo di confronto. Dico questo perché gli effetti della misura sono pesanti.
Il secondo punto concerne la spending review e, in particolare, la correzione prevista che riguarda l'aumento al 10 per cento del taglio lineare della spesa degli enti sanitari per l'acquisto di beni e servizi. Ora, siamo coscienti anche noi che vi siano sprechi, quindi c'è senz'altro la necessità di intervenire. Anche per questo argomento, però, il taglio lineare non è la soluzione, perché punirà le imprese più serie e soprattutto, nel campo dei servizi tradizionali e socio-sanitari, quelle più regolari e quelle che hanno più manodopera.
È vero che la norma prevede la contestuale riduzione dei compensi e delle prestazioni. Tuttavia, vi diciamo che le aziende sanitarie locali sono state celerissime, anche perché glielo imponeva la norma, a tagliare fino al 5 per cento, ma sono lente, restie o indisponibili a procedere anche ai tagli delle prestazioni, che, peraltro, si riflettono sui cittadini. Quindi, su questo punto, chiederemmo un approfondimento.
Mi fermerei qui e, con il permesso del presidente, chiederei al collega Belli, che ha maggiore competenza, di chiarire alcuni punti. Ovviamente, vi lasceremo un documento scritto e delle proposte emendative, riservandoci di aggiungerne delle altre sulle quali stiamo ancora lavorando.

ERMANNO BELLI, Rappresentante di Alleanza delle Cooperative italiane. Vi ringraziamo per aver accolto la nostra richiesta di audizione. Sarò molto breve.


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Con riferimento all'IVA per le cooperative sociali, si tratta di aumentare un onere soprattutto per i comuni e per le aziende sanitarie locali. Infatti, portarla dal 4 al 10 per cento, quando il comune e l'azienda sanitaria locale non possono detrarre l'IVA, significa ridurre ancora i corrispettivi delle cooperative sociali, i cui lavoratori già ricevono un terzo dello stipendio rispetto ai loro colleghi assunti da un ente pubblico. In pratica, se il comune ha un milione di euro, mentre prima a quel milione si sottraeva il 4 per cento, domani si sottrarrà il 10 per cento. È vero che quel 10 per cento ritornerà allo Stato, ma è anche vero che le prestazioni che dovranno erogare ai comuni in convenzione saranno inferiori, quindi anche la base imponibile si ridurrà di conseguenza. Non è detto che il gettito stimato nella relazione tecnica del disegno di legge di stabilità sia quello effettivo perché, a un certo punto, diminuiscono le prestazioni, quindi anche la base imponibile a cui si applica l'IVA non è più quella che si può ipotizzare.
Passando al procedimento di infrazione, si tratta più propriamente di una richiesta di informazione. Pertanto, c'è tutto il tempo per discutere, anche perché, da contatti che abbiamo avuto con la Commissione europea, si potrebbe anche sostenere - cosa su cui abbiamo qualche chance - che l'aliquota IVA del 4 per cento potrebbe resistere anche alle direttive comunitarie in materia.
C'è, però, un fatto nuovo che si è imposto qualche giorno fa, il 19 ottobre, per cui è ancora sconosciuto ai più. La Commissione europea ha aperto una consultazione sulle aliquote IVA ridotte in campo comunitario, che terminerà il 4 gennaio 2013. Pertanto, solo dopo si faranno delle valutazioni per decidere se mantenerle o meno. È scritto anche che la consultazione è finalizzata a costruire un ecosistema per promuovere le imprese sociali.
Quindi - ripeto - solo a seguito di questa consultazione e trattando in modo adeguato con la Commissione europea si potrà vedere se l'IVA al 4 per cento può restare o meno. Farlo oggi, in modo prematuro, senza esplorare tutte le altre strade, ci sembra un intervento che non porta risultati al Paese.
C'è anche da dire che in tutto il mondo del sociale l'aumento dell'IVA produrrebbe - in base a stime specifiche fatte su ogni regione, come mostra il documento che vi lasceremo - una diminuzione di occupazione di circa 20.000 unità. Se a questo si aggiungono la spending review e le altre misure, con la spesa sociale che diminuisce, si arriva intorno alle 40.000 unità in meno.
L'altro aspetto sul quale vorremmo richiamare la vostra attenzione riguarda l'imposta municipale unica (IMU) sulle cooperative sociali. Infatti, l'articolo 21 del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460, recante il riordino della disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale, prevede che l'ente locale possa ridurre o azzerare l'aliquota. All'epoca si riferiva all'imposta comunale sugli immobili (ICI), oggi all'IMU.
Tuttavia, per delle discrepanze presenti nel decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, se il comune rinuncia o diminuisce la propria aliquota, la quota prevista per lo Stato, cioè il 50 per cento, rimane invariata. Si tratterebbe, dunque, di fare un aggiustamento perché se il comune decide di ridurre l'IMU sugli immobili utilizzati dalle cooperative sociali per fini istituzionali - così come previsto per altri soggetti non commerciali - questa riduzione dovrebbe andare a scapito sia del comune che rinuncia, sia dello Stato, altrimenti una parte rimane intera e l'altra si elimina del tutto.
Insomma, insistiamo su questi due aspetti in particolare. Poi, vi invieremo osservazioni su altri punti. Vi lasceremo, comunque, un documento con i due emendamenti già formulati.

PRESIDENTE. Do la parola a Cesare Fumagalli, segretario generale di Confartigianato imprese - R.ETE Imprese Italia.


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CESARE FUMAGALLI, Segretario generale di Confartigianato imprese - R.ETE Imprese Italia. Grazie, presidente. La nostra valutazione sul disegno di legge di stabilità non può che partire dalla riduzione delle prime due aliquote nominali dell'IRPEF e dal contestuale incremento di un punto percentuale dell'IVA a decorrere dal 1o luglio 2013. Ci siamo fatti illudere dalle rassicurazioni del Governo circa le azioni che stava compiendo per evitare l'aumento di 2 punti percentuali dell'IVA.
È vero, come direbbe Bertoldo, che un punto di aumento è meglio di 2, tuttavia, la riduzione nominale delle aliquote IRPEF - una misura positiva finalmente adottata e che forse avviene per la prima volta in maniera diretta, cioè non attraverso una rimodulazione - avrà effetti che si esplicheranno soprattutto sull'anno corrente, che saranno, però, contrappesati dall'aumento di un punto delle aliquote IVA ridotta e ordinaria, che passano dal 10 all'11 per cento e dal 21 al 22 per cento. Si ottiene, quindi, un effetto che vede un saldo positivo solo per il primo anno, mentre negli altri due anni del triennio 2013-2015 è totalmente negativo.
Questo desta grande preoccupazione per il mondo delle imprese che R.ETE Imprese Italia associa perché gli effetti sui consumi, di fronte a un calo che è già potentemente intervenuto e di cui vi diamo conto con un'analisi dettagliata nel documento che depositiamo agli atti, innescano una dinamica ulteriormente negativa, che andrà a deprimere inevitabilmente i consumi.
Tale effetto, abbinato alla contemporanea revisione delle possibilità di detrazione e di deduzione, con l'introduzione della franchigia e del tetto, si combina in maniera perversa con l'effetto nell'immediato, tale da produrre, in un momento nel quale occorrerebbero stimoli alla domanda interna, un'ulteriore contrazione della stessa.
Inoltre, non possiamo sottacere che per l'ennesima volta - spiace doverlo rimarcare perché avremmo sperato di non dover più evidenziare questi aspetti - le disposizioni sulle franchigie e sui limiti massimi degli oneri detraibili derogano alle disposizioni dello Statuto del contribuente, che ormai è davvero carta straccia, perché si applicano a decorre dal periodo d'imposta in corso, come espressamente vietato - anche se questo termine è ormai improprio - dallo Statuto stesso.
Al di là delle versioni fornite dal Ministro dell'economia e delle finanze che abbiamo letto, le quali non evidenzierebbero un saldo negativo, ripercorrendo e adottando le metodiche fatte proprie dallo stesso Ministero dell'economia e delle finanze, ci risulta un saldo che solo per il 2013 è positivo per 1,1 miliardi di euro, ma diventa negativo nel 2014 per 2,2 miliardi di euro per gli effetti combinati della riduzione delle aliquote nominali IRPEF, dell'aumento delle aliquote IVA e per l'introduzione della franchigia e del tetto agli oneri detraibili.
Voglio sottolineare la nostra opinione, sperando che il Parlamento tenga conto degli effetti di una manovra da noi condivisa nelle finalità, ma contraddetta negli esiti che i singoli provvedimenti determinano. Infatti, essa vede in una posizione particolarmente perdente quelle attività di produzione, di servizio, di commercio e di turismo che fanno riferimento ai milioni di piccole imprese che ci sono nel Paese.
Speravamo di poter salutare la possibilità di realizzare, per la prima volta, una riduzione delle aliquote nominali dell'IRPEF come l'apertura di un nuovo percorso, che tenda a far rientrare l'anomalo livello che ha raggiunto la pressione fiscale, che per tutti e tre gli anni sarà superiore al 44,5 per cento. Questa, peraltro, sarà la pressione nominale, ma sappiamo bene che c'è un differenziale che ci porta abbondantemente sopra il 50 per cento, come documentiamo nel testo che vi lasciamo. Ciò è talmente evidente da scoraggiare tutte le attività economiche, in particolare quelle di piccole dimensioni.
Ripercorrendo l'articolato del disegno di legge di stabilità, torno rapidamente su alcuni punti di nostro interesse.
In relazione al primo, che si riferisce alla riduzione delle spese rimodulabili e ad ulteriori interventi correttivi per i singoli ministeri recata dall'articolo 3, vorrei denunciare


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che viene impropriamente introdotta una riduzione del finanziamento agli istituti di patronato per ulteriori 30 milioni di euro annui a partire dal 2014, includendo erroneamente la spesa per i patronati nella riduzione di spesa dei ministeri.
Voglio ricordare che il fondo per i patronati non concorre alla spesa del Ministero del lavoro e delle politiche sociali perché la legge 30 marzo 2001, n. 152, prevede che al finanziamento dei patronati si provveda mediante prelievo di una determinata aliquota sul gettito dei contributi previdenziali obbligatori incassati da tutte le gestioni amministrate dall'INPS, dall'INPDAP, dall'INAIL e dall'IPSEMA. È, quindi, un errore l'inclusione tra le spese del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
D'altra parte, l'imputazione di questa parte del monte contributivo è già stata dichiarata costituzionalmente legittima dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 42 del 2000, che definisce i patronati come strutture operanti nel campo previdenziale, direttamente riconducibili a quelle previste dall'articolo 38, quarto comma, della Costituzione. Insomma, se quell'imputazione legittima prevista dalla legge n. 152 del 2001 non è parte della spesa del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, crediamo che la riduzione della spesa per i patronati non possa trovare spazio tra le misure di attuazione del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, qualificandosi come riduzione impropria di spesa del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
Ancora, nelle disposizioni dell'articolo 5 vi è un aspetto di forte rilevanza per il sistema delle piccole imprese. È, infatti, prevista una partecipazione delle regioni e degli enti locali alla riduzione della spesa pubblica attraverso la rideterminazione degli obiettivi del Patto di stabilità interno per un altro miliardo di euro a partire dal 2013. Anche in questo caso, è di immediata comprensione che regioni ed enti locali sono soggetti nei confronti dei quali operano, con contratti, moltissime piccole imprese come fornitori di servizi, per cui ridurre ulteriormente la capacità degli enti territoriali di far fronte ai pagamenti ha una traduzione diretta nei confronti dei soggetti che rappresentiamo, specie in un momento in cui abbiamo a più riprese denunciato, ma finora senza effetti per le imprese, lo «scandalo» della quantità dei pagamenti sospesi dalla pubblica amministrazione.
Ugualmente, riterremmo che in questo articolo 5 occorrerebbe consentire - come abbiamo detto in diverse occasioni - agli enti territoriali virtuosi che dispongono delle risorse necessarie di far fronte agli impegni assunti. Un'altra nostra posizione più volte dichiarata è che dal Patto di stabilità interno vengano escluse le spese relative agli investimenti per favorire la ripresa dell'economia dei territori.
Vi è, poi, all'articolo 6 - laddove si parla di razionalizzazione e riduzione della spesa nel settore sanitario - una previsione, a valere dal gennaio 2013 e per tutta la durata dei contratti, di una riduzione del 10 per cento degli importi e delle connesse prestazioni relative a contratti in essere. Alla preoccupazione che genera questa norma, si aggiunge quella prevista dal decreto-legge n. 95 del 2012, che aveva previsto l'analogo meccanismo con una riduzione, però, del 5 per cento.
Siamo preoccupati perché stiamo constatando un'interpretazione scorretta e illegittima di questa previsione da parte degli enti del settore sanitario, per cui si procede alla riduzione del 5 per cento del corrispettivo, ma non alla riduzione delle corrispondenti prestazioni sanitarie, come pure recitava il decreto-legge n. 95. In tal modo, si aggiungerebbe al danno la beffa di vedere decurtati solamente i prezzi e non ridotte le corrispondenti prestazioni in costanza di un contratto sottoscritto fra le parti.
Sull'articolo 7, concernente la riduzione di spese delle pubbliche amministrazioni, dico sinteticamente che le disposizioni previste continuano un balletto che dura da dieci anni, in un andirivieni fra centri di spesa dei singoli enti centrali o territoriali e successiva concentrazione all'interno dello strumento della Consip realizzato dal Ministero dell'economia e delle finanze. Si ha, insomma, un andamento caratterizzato da


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uno stop and go fra attribuzione diretta della capacità di spesa ai singoli enti e contrazione e riduzione ad unità all'interno di un'unica centrale d'acquisti.
Mi limito qui a sottolineare come il continuo variare tra l'obbligatorietà e la facoltatività di queste disposizioni sui centri di spesa crei un affetto di disorientamento che si produce soprattutto nei soggetti di minori dimensioni, favorendo, di fatto, lo strumento della convenzione che favorisce, a sua volta, la formazione di posizioni di «fornitura dominante» in capo a determinati soggetti, nella cui catena stanno in scia i subfornitori, cioè aziende di piccole dimensioni, che ne fanno le spese finali, subendo i maggiori effetti.
Un'ultima annotazione riguarda la questione delle detrazioni e delle deduzioni. Infatti, lamentiamo di vedere vanificata una collaborazione che ci era stata chiesta dal precedente Governo, continuata anche con quello in carica, di concorrere ai lavori della commissione sulle tax expenditures, su cui si è fatto, anche con il nostro contributo, un significativo lavoro di cernita e di interventi mirati, attraverso proposte che abbiamo formulato. Ora, invece, ci ritroviamo di fronte all'ennesimo taglio lineare, con una previsione - sostanzialmente generalizzata - di una franchigia di 250 euro e di un tetto massimo per le detrazioni di 3.000 euro.
Salutiamo con altrettanta negatività anche gli ulteriori interventi previsti, dopo quelli che nel tempo si sono già succeduti, sulla deducibilità dei costi delle autovetture. Se questo provvedimento diventasse legge, con una deducibilità nominale pari al 20 per cento - quella effettiva è addirittura più bassa perché c'è il tetto al prezzo d'acquisto di 18.075 euro - sarebbero, di fatto, ormai quasi totalmente indeducibili i costi di acquisto e di utilizzo delle autovetture.
Positiva, infine, è la nostra valutazione sugli interventi in materia di imposta di bollo sulle transazioni finanziarie. Da sempre sosteniamo, infatti, la necessità di differenziare le operazioni fatte con intento speculativo dalle altre operazioni di credito.
Ho concluso.

PRESIDENTE. Grazie. Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

PIER PAOLO BARETTA. Chiedo un approfondimento riguardo a un'informazione sulla quale mi pare vi sia una discordanza. Le motivazioni con le quali il Governo ha presentato l'aumento dell'IVA per le cooperative sociali dal 4 al 10 per cento fanno riferimento a una procedura di infrazione. Invece, dalla vostra presentazione risulterebbe non essere così. Chiedo, quindi, un chiarimento perché non so se quanto contenuto nelle vostre documentazioni sia già sufficiente.
Per quanto riguarda le osservazioni che ha fatto il dottor Fumagalli in merito all'effetto preoccupante del combinato disposto dell'aumento dell'IVA e delle franchigie, devo dire che questo punto è emerso anche nelle altre audizioni, a partire da quella dell'ISTAT, che ci ha dato gli elementi sugli effetti della manovra, dai quali emerge con chiarezza che il combinato di queste misure finisce per annullare il vantaggio dell'effetto IRPEF, che pure avrebbe un significato. Inoltre, si rimarca soprattutto che ci sono fasce di reddito più basse che sono totalmente escluse dai benefici di questa manovra.
Pertanto, se dobbiamo ricavare un bilancio dalle audizioni di oggi è che il disegno di legge di stabilità può e deve essere cambiato.

RENATO BRUNETTA. Ricordo a me stesso e ai colleghi di R.ETE Imprese Italia che l'incremento dell'IVA, in questa particolare congiuntura economica di recessione, ma anche di tensione inflazionistica - rammento che la media dell'inflazione in Italia è già superiore a quella europea di almeno 1-1,5 punti - rischia di produrre quella che in economia viene chiamata «stagflazione», vale a dire stagnazione più inflazione.
Stanti le difficoltà di mercato, la caduta dei consumi e, dal punto di vista del mercato del lavoro, il blocco della dinamica contrattuale, come ci ha detto l'ISTAT, un ulteriore incremento dell'IVA


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potrebbe portare - com'è stato nel passato - quasi a un corrispondente aumento dell'inflazione (si parla dello 0,8 per cento), per cui, con un aumento inflazionistico che dovesse andare oltre l'attuale 3-3,2 per cento, l'anno prossimo ci ritroveremo con un tasso di inflazione attorno al 4 per cento. Questo sarebbe distruttivo nei confronti del potere d'acquisto e quindi porterebbe a un'ulteriore caduta dei consumi.
In sostanza, in questa fase, giocare in maniera astratta su IRPEF e IVA è perdente nei confronti dell'intero sistema economico, non portando, con la diminuzione dell'IRPEF, a grandi risultati dal punto di vista del reddito disponibile, bensì, con l'aumento dell'IVA, a una fortissima caduta del potere d'acquisto.
Questa riflessione ci mette in sintonia. Pertanto, dovremmo riflettere su questo doppio gioco, senza contare deduzioni e detrazioni e la loro retroattività, che comporta un vero e proprio vulnus al rapporto tra Stato e contribuente.

PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

BRUNO BUSACCA, Rappresentante di Alleanza delle Cooperative italiane. La Commissione europea ha ricevuto un esposto in cui si sollevava il problema dell'IVA. A giugno ha scritto al Governo italiano, il quale ha risposto in maniera, per la verità, un po' burocratica. Dopodiché, la Commissione ha scritto di nuovo per chiedere come il Governo intendesse procedere. Peraltro, nella relazione di accompagnamento al disegno di legge di stabilità si dice «al fine di evitare una procedura di infrazione», cioè lo stesso Governo dice che non c'è ancora la procedura di infrazione, a meno che il problema non sia, invece, di volerne approfittare per fare un po' di cassa. In quel caso, il discorso cambia.
Comunque, a parte questo cattivo pensiero, insistiamo nel domandare che il Governo chieda alla Commissione di aprire un tavolo di approfondimento. Inoltre, pronti a fornire delle ragioni che riteniamo valide, desidereremmo che il Parlamento sollecitasse in questo senso il Governo, proprio sulla base della delicatezza sociale della questione.

CESARE FUMAGALLI, Segretario generale di Confartigianato imprese - R.ETE Imprese Italia. Intervengo solo per ribadire che l'effetto modesto del saldo tra la riduzione dell'IRPEF e l'aumento dell'IVA, che abbiamo stimato pari allo 0,1 per cento del reddito delle famiglie consumatrici, non compensa minimamente quello 0,8 per cento di aumento dell'inflazione. La mia è una sottolineatura per dire che, a fronte di un modestissimo 0,1 per cento di aumento di capacità determinata da quel saldo positivo fra riduzione dell'IRPEF e aumento dell'IVA nel primo anno, abbiamo - come evidenziamo nel documento - uno 0,8 per cento che annulla questo effetto e peggiora la situazione.

PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti e i colleghi presenti e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 20,40.

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