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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissione VI
10.
Martedì 17 marzo 2009
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Conte Gianfranco, Presidente ... 3

Audizione del Governatore della Banca d'Italia, sulle tematiche relative al sistema bancario e finanziario (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):

Conte Gianfranco, Presidente ... 3 15 19 23 25 26 28 31
Barbato Francesco (IdV) ... 18
Bernardo Maurizio (PdL) ... 16 23
Bersani Pier Luigi (PD) ... 16 24
Borghesi Antonio (IdV) ... 15
Bragantini Matteo (LNP) ... 27
Causi Marco (PD) ... 26
Ceccuzzi Franco (PD) ... 27
D'Antoni Sergio Antonio (PD) ... 23 30
Draghi Mario, Governatore della Banca d'Italia ... 3 19 23 25 28 30 31
Duilio Lino (PD) ... 27
Fugatti Maurizio (LNP) ... 17
Pugliese Marco (PdL) ... 26
Strizzolo Ivano (PD) ... 18
Versace Santo Domenico (PdL) ... 24 25 27
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-Repubblicani: Misto-LD-R.

COMMISSIONE VI
FINANZE

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di martedì 17 marzo 2009


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO CONTE

La seduta comincia alle 12.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori sarà assicurata oltre che attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso anche mediante la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del Governatore della Banca d'Italia, sulle tematiche relative al sistema bancario e finanziario.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, sulle tematiche relative al sistema bancario e finanziario.
Sono presenti la dottoressa Ansuini e il dottor Signorini.
Do la parola al Governatore della Banca d'Italia, professor Mario Draghi.

MARIO DRAGHI, Governatore della Banca d'Italia. Grazie presidente. Come di consueto leggerò un testo e dopo risponderò alle domande che gli onorevoli commissari riterranno opportuno rivolgermi.
Tutte le principali economie avanzate hanno registrato una forte contrazione del prodotto nel quarto trimestre del 2008. La domanda per consumi e investimenti si abbassa per il rapido e generale peggioramento del clima di fiducia tra famiglie e imprese; per l'aumento della disoccupazione; per la caduta delle quotazioni azionarie e del valore degli immobili; per le più restrittive condizioni di accesso al credito.
La recessione si è trasmessa alle economie emergenti, colpite dalla caduta delle esportazioni verso quelle avanzate, dal calo dei prezzi delle materie prime e dalla repentina inversione dei flussi di capitale. Particolarmente vulnerabili sono le economie più dipendenti dai finanziamenti esteri, come quelle dell'Europa centrale e orientale.
Il Fondo monetario internazionale e altri previsori ufficiali e privati hanno progressivamente corretto al ribasso le stime di crescita dell'economia mondiale. A gennaio il Fondo monetario internazionale prevedeva una caduta degli scambi commerciali di quasi il 3 per cento nel 2009 e un calo del prodotto interno lordo dell'1,6 per cento negli Stati Uniti, del 2 per cento nell'area dell'euro e del 2,6 per cento in Giappone; inoltre ha già annunciato che le stime sono di nuovo in corso di revisione alla luce dei dati più recenti. La crescita del prodotto mondiale risulterà probabilmente negativa nella media dell'anno.
Le autorità di politica economica hanno agito con prontezza per contenere il diffondersi della crisi finanziaria e contrastarne gli effetti sull'economia reale. Le banche centrali hanno fornito, con interventi senza precedenti per dimensione e per intensità del coordinamento internazionale, ampia liquidità al sistema finanziario. Le autorità di governo hanno introdotto o rafforzato le garanzie sui depositi e i titoli bancari, hanno effettuato o predisposto interventi di ricapitalizzazione delle istituzioni finanziarie.


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Gli interventi hanno evitato un collasso del sistema, ma non hanno ancora portato chiarezza nei bilanci di quelle banche che più hanno investito in titoli che oggi chiamiamo «tossici»: permane l'incertezza sull'entità e la distribuzione delle perdite nei bilanci di quelle che erano le più grandi banche mondiali. Inoltre è prevedibile che la recessione deteriorerà gli attivi bancari.
Ristabilire la fiducia nelle istituzioni finanziarie e ripristinare il buon funzionamento dei mercati del credito è indispensabile, insieme con il sostegno alla domanda proveniente dalle politiche monetarie e fiscali, al fine di riavviare la crescita.
Nelle principali economie i tassi di interesse ufficiali si collocano ora a livelli minimi. I margini per l'azione della leva monetaria sono limitati; sono tuttavia possibili, e in parte si stanno attuando, misure non convenzionali di politica monetaria; in alcuni casi, in particolare negli Stati Uniti, la banca centrale si è messa in condizione di intervenire direttamente - quindi non attraverso il settore bancario, ma direttamente sull'economia - per assicurare liquidità al settore privato su particolari segmenti del mercato del credito.
I principali Governi hanno deciso misure di stimolo fiscale per contrastare la contrazione del reddito e dell'occupazione. Negli Stati Uniti è stato varato un piano di misure di spesa e tagli fiscali, che sfiora gli 800 miliardi di dollari, con un impatto complessivo sul disavanzo del triennio 2009-2011 pari a circa il 5 per cento del prodotto interno lordo annuale. L'entità delle misure di sostegno è minore, ma cospicua, nei Paesi europei e in Giappone, riflettendo in parte anche le diverse condizioni iniziali delle finanze pubbliche e il diverso operare degli stabilizzatori automatici. Anche in Cina il Governo ha annunciato un ampio programma di spese straordinarie per sostenere la domanda.
L'importanza della cooperazione internazionale per il ritorno a una stabile crescita economica globale e il rafforzamento del sistema finanziario internazionale è stata sottolineata con convinzione nell'incontro dei ministri e governatori del G20 tenutosi a Brighton in questo fine settimana.
In Italia, come nel resto dell'area, la recessione aggravatasi a metà del 2008 dovrebbe proseguire nel corso dell'anno. Tutti gli indicatori (produzione, ordinativi e giacenze di magazzino) continuano a segnalare ritmi produttivi molto bassi. Nel primo trimestre di quest'anno il prodotto interno lordo si contrarrebbe per la quarta volta consecutiva; è verosimile che l'intero 2009 si chiuda con un nuovo, significativo calo dell'attività economica, concentrato soprattutto nel settore privato.
Le difficoltà dei principali mercati di sbocco hanno inciso sulle esportazioni, che erano state per noi il più importante sostegno della domanda nel 2006-07. In gennaio le esportazioni italiane verso i mercati esterni all'Unione europea sono scese a minimi storici. I piani di investimento delle imprese sono stati drasticamente ridotti a causa degli ampi margini inutilizzati di capacità produttiva.
L'inflazione al consumo, in discesa dallo scorso autunno, era pari in febbraio all'1,6 per cento; dovrebbe continuare a scendere sino alla prossima estate, grazie soprattutto all'andamento dei prezzi dei prodotti energetici e alimentari. Nonostante la contrazione dei livelli di attività, i maggiori organismi internazionali e gli analisti non prevedono l'avvio di una spirale deflazionistica. Quindi, i prezzi stanno decelerando, ma non si prevede deflazione (in altre parole non si prevede che i prezzi diminuiscano in valore assoluto).
L'importo delle maggiori spese e delle riduzioni di entrate approvate in Italia per finalità anticicliche è di circa mezzo punto percentuale del prodotto interno lordo; queste azioni sono finanziate da interventi di segno opposto. Ulteriori misure hanno indirizzato risorse già stanziate verso impieghi più efficaci a stimolare la domanda aggregata.
La scelta delle forme che assumono gli interventi pubblici a sostegno della domanda non è meno importante della loro dimensione. Essi devono sostenere il consumo


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delle fasce più deboli e rafforzare la capacità di crescita dell'economia con investimenti pubblici caratterizzati da un elevato tasso di rendimento e da una pronta capacità di spesa.
Il Governo ha esteso temporaneamente a gran parte delle tipologie di lavoratori atipici la possibilità di accedere agli ammortizzatori sociali; ulteriori miglioramenti sono stati definiti la scorsa settimana. Il finanziamento di questi interventi è stato di recente ampliato grazie all'intesa tra Stato e regioni. Questi provvedimenti sono opportuni. Resta però l'esigenza di impostare fin da ora una riforma complessiva.
Il Governo ha anche annunciato di avere allo studio provvedimenti per facilitare l'ampliamento degli edifici residenziali e ridurre i contributi di costruzione. Modalità, contenuti e tempi di eventuali interventi non sono ancora noti. Una semplificazione degli adempimenti e una riduzione degli oneri potrebbe avere effetti di stimolo. La complessità della materia, la presenza di competenze concorrenti fra Stato e regioni, la necessità di congegnare l'intervento in modo da preservare ambiente naturale ed equilibrio urbanistico ne rendono però incerta la portata da un punto di vista congiunturale.
I crediti commerciali che le imprese vantano nei confronti delle amministrazioni pubbliche, connessi con dilazioni e ritardi nel pagamento di beni e servizi, sono molto elevati: circa il 2,5 per cento del prodotto interno lordo, oltre il 30 per cento della spesa annua delle amministrazioni per consumi e investimenti. Un'accelerazione dei pagamenti darebbe sostegno alle imprese senza appesantire strutturalmente i conti pubblici (infatti sono debiti che esistono già; non è che poi il debito aumenta di fatto, aumenta contabilmente).
In Paesi come l'Italia, dove è alto il debito pubblico, interventi di breve periodo ampi e incisivi vanno compensati da misure strutturali che diano subito la certezza del riequilibrio del bilancio nel medio periodo. Allungare lo sguardo è essenziale: la sostenibilità dei conti pubblici nel lungo periodo è fondamentale anche per assicurare l'efficacia delle politiche di breve. In altre parole le stesse politiche di breve verrebbero ad essere indebolite da un bilancio pubblico che si avviasse verso l'instabilità, perché i tassi di interesse aumenterebbero immediatamente e quindi verrebbero, in un certo senso, ad indebolire le azioni di eventuale sostegno della congiuntura nel breve periodo.
Il credito delle banche italiane ha decelerato nettamente. A gennaio il tasso di crescita su tre mesi dei prestiti erogati al settore privato è sceso al 2,3 per cento su base annua (correggendo per l'effetto contabile delle cartolarizzazioni), dall'8,6 per cento di settembre; sulla base di dati parziali, si può stimare che in febbraio gli impieghi siano leggermente diminuiti sul mese precedente.
Il rallentamento ha interessato tutte le categorie di debitori. Per le imprese il tasso di crescita sui tre mesi è stato in gennaio pari al 5,5 per cento, circa tre punti in meno che a settembre; diminuivano però i prestiti alle imprese con meno di 20 addetti e all'industria manifatturiera. La caduta dell'attività produttiva e l'incertezza sull'andamento futuro dell'economia hanno ridotto la domanda di credito per investimenti e per il finanziamento delle scorte e del capitale circolante.
Per le famiglie la crescita era del 3,3 per cento in gennaio, contro il 4,7 per cento di settembre. La dinamica del credito alle famiglie, assai sostenuta qualche anno fa, si era già moderata prima dell'inizio della crisi finanziaria; la flessione delle transazioni immobiliari e la caduta dei consumi di beni durevoli hanno provocato un'altra frenata. Per quanto riguarda i mutui per l'acquisto di abitazioni, che costituiscono il 68 per cento del credito alle famiglie consumatrici, nel quarto trimestre dell'anno le nuove erogazioni di prestiti si sono ridotte del 20 per cento rispetto allo stesso periodo del 2007. Il credito al consumo finalizzato all'acquisto di beni e servizi - che è pari al 6 per cento


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del credito alle famiglie concesso dalle banche - ha segnato anch'esso un forte rallentamento.
Sull'intero anno 2008 le nuove erogazioni a tasso fisso sono state pari a 36 miliardi, il 64 per cento del totale dei mutui concessi alle famiglie, contro 32 miliardi (cioè il 51 per cento) nel 2007. Il forte differenziale che esisteva tra l'Italia e la media dell'area dell'euro nel costo dei nuovi mutui a tasso fisso (da noi i mutui costavano un punto percentuale in più della media della zona dell'euro) si è oggi ridotto fin quasi ad annullarsi. Negli ultimi mesi la quota delle nuove erogazioni a tasso fisso è leggermente diminuita, pur restando ancora elevata rispetto al passato. A questa riduzione ha contribuito sicuramente il calo dei tassi d'interesse sui mutui a tasso variabile, che ha reso questi ultimi più appetibili per le famiglie; dal lato dell'offerta, probabilmente le banche incontrano difficoltà negli ultimi mesi nel reperire fondi a lungo termine che normalmente sono quelli tipici che si danno nei mutui a tasso fisso e, quindi, queste difficoltà possono averle indotte a limitare l'offerta di questi mutui.
Al ristagno del credito contribuisce anche una politica più cauta delle banche nella concessione di prestiti a famiglie e imprese. Secondo le banche italiane partecipanti alla Bank Lending Survey (una rassegna statistica fatta a livello di Banca centrale europea per tutte le banche che appartengono al sistema delle banche centrali europee) nel quarto trimestre del 2008 le condizioni di credito sarebbero state moderatamente ristrette, mentre la domanda di credito delle imprese sarebbe stata sostanzialmente stagnante. Tra settembre e dicembre le linee di credito esistenti si sono ridotte dell'1 per cento, a fronte di una sostanziale stasi delle effettive erogazioni.
La maggiore cautela delle banche nell'erogazione di credito deriva dalle difficoltà sui mercati della provvista e anche dal deterioramento del merito di credito della clientela. È chiaro che quando le esportazioni e le vendite cadono, i clienti non pagano e gli insoluti salgono, anche il merito di credito della clientela viene ad esserne influenzato negativamente.
Nel 2008 la raccolta delle banche italiane presso intermediari non residenti si è ridotta di quasi il 10 per cento. All'inaridimento dei flussi di provvista dall'estero le banche hanno però fatto fronte ricorrendo alla raccolta presso le famiglie, soprattutto tramite il collocamento di obbligazioni. Questo ha consentito alla raccolta complessiva di continuare ad espandersi, ma non ne ha impedito un deciso rallentamento (quindi si espande, ma a una velocità minore di prima); il tasso di crescita medio è sceso dall'11 per cento del 2007 al 5 per cento del 2008; in gennaio si è confermato lo stesso valore.
Nello stesso anno i prestiti al settore privato sono cresciuti a un tasso superiore (7,3 per cento). I finanziamenti concessi dalle banche di grandi dimensioni, che fanno maggiore affidamento sulla raccolta estera e sono più esposte alle pressioni dei mercati, hanno subito una frenata più intensa. Quindi vediamo diminuire il credito più nelle grandi banche che nelle piccole. Le banche locali hanno invece mantenuto flussi di credito analoghi a quelli precedenti la crisi, anche grazie a un maggiore afflusso di fondi.
La recessione sta incidendo sulla qualità del credito e questo è un indice particolarmente preoccupante. Il rapporto tra nuove sofferenze e impieghi alle imprese è in rapido aumento (ossia, la percentuale dei crediti che comincia a mostrare segni di sofferenza rispetto al totale degli impieghi è in rapido aumento per le imprese): alla fine del 2008 esso ha raggiunto il 2 per cento, il valore più alto dal 1999 se si esclude il picco toccato nel 2003 con il fallimento del gruppo Parmalat. Secondo informazioni preliminari, nei primi due mesi del 2009 il numero dei clienti segnalati in sofferenza per la prima volta è ancora cresciuto; l'esposizione verso il sistema creditizio di questa categoria di debitori è più che raddoppiata rispetto allo stesso periodo del 2008.


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Sul fronte invece più positivo, la qualità del credito delle famiglie, pur con un lieve peggioramento, resta elevata.
L'indebitamento privato è in Italia considerevolmente inferiore a quello di altri Paesi. Per le famiglie, i debiti finanziari, benché cresciuti rispetto al passato, sono il 49 per cento del reddito disponibile, contro oltre il 90 per cento della media dell'area dell'euro, il 150 per cento del Regno Unito e degli Stati Uniti. Per le imprese il rapporto fra debiti finanziari e prodotto è pari al 75 per cento, rispetto a una media dell'area più elevata di circa 13 punti; negli Stati Uniti e nel Regno Unito il rapporto è prossimo, rispettivamente, al 77 per cento e al 113 per cento. Nel confronto con gli anni precedenti la recessione del 1993 la condizione finanziaria delle imprese italiane appare oggi più solida. Alla fine del 2007 il rapporto tra indebitamento e capitale proprio, calcolato sulla base dei bilanci di oltre 50 mila imprese, era pari a circa il 50 per cento, sette punti in meno rispetto all'inizio degli anni Novanta; soprattutto è oggi più ampio il grado di copertura degli oneri finanziari con le fonti interne di finanziamento.
In questi diciotto mesi di crisi le maggiori banche italiane hanno sofferto perdite più contenute rispetto a quelle di altri Paesi, grazie a una serie di fattori: primo, una scarsa esposizione ai titoli che, come dicevo prima, chiamiamo «tossici»; secondo, al forte radicamento nell'attività bancaria tradizionale; terzo, alla prudenza del quadro regolamentare e di supervisione; infine, al minor grado di indebitamento dei clienti stessi delle banche.
Per i principali gruppi gli strumenti strutturati di credito rappresentano meno del 2 per cento degli attivi di bilancio. Gli investimenti nei titoli più complessi sono una quota esigua.
La dotazione di patrimonio delle nostre banche, che, a differenza di quanto accaduto in quasi tutti gli altri principali Paesi, non ha ancora beneficiato degli interventi di ricapitalizzazione pubblica, si è mantenuta al di sopra dei minimi regolamentari. La leva finanziaria dei maggiori gruppi bancari italiani - un indicatore semplice, che prescinde dalla complessa ponderazione degli attivi per il rischio prevista dalle regole di Basilea 2 - è considerevolmente più ridotta di quella delle principali banche europee. Per leva finanziaria si intende il rapporto tra capitale e debiti, per esempio, o capitale ed attività. Sostanzialmente viene fuori che le banche italiane hanno una quantità di debiti rispetto al capitale o rispetto al patrimonio che è minore di quella delle principali banche europee. Questo, naturalmente, in un periodo in cui le oscillazioni dell'attivo sono molto forti, conta moltissimo, perché se uno ha molti debiti risente poco di queste oscillazioni, mentre se ne ha molti ne viene influenzato negativamente.
L'incidenza degli strumenti ibridi di capitale, la componente meno robusta del patrimonio di primo livello, è contenuta, perché la Banca d'Italia ha applicato in proposito limiti molto più stringenti degli standard internazionali. Ne consegue che, anche considerando le misure «tangibili» di capitale, il giudizio sulla solidità delle banche italiane non muta. In altre parole, negli ultimi mesi comincia ad affermarsi una misura del capitale più esigente di quella che si chiedeva in passato (queste misure «tangibili» del capitale); quindi tutte le banche cominciano ad essere riesaminate dagli analisti per vedere se sono in regola non solo con le misure tradizionali del capitale, ma anche con questa misura più esigente, più ristretta. Nel nostro caso le banche risulterebbero soddisfare anche questi requisiti definiti con criteri più esigenti. Il calcolo del patrimonio delle banche italiane a fini di vigilanza, in linea con gli standard internazionali, esclude il valore contabile dell'avviamento, una voce che nelle attuali condizioni di mercato può essere soggetta a significative incertezze; pertanto, eventuali svalutazioni di questa voce non avrebbero effetto sul patrimonio di vigilanza.
Il mercato nelle sue valutazioni sconta però che un ulteriore rafforzamento si possa rendere necessario. Le banche devono prepararsi a fronteggiare i rischi, che


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si stanno già materializzando, derivanti dal rapido deterioramento congiunturale. Un modello di intermediazione fondamentalmente sano le ha finora tenute al riparo dalle conseguenze più gravi della crisi finanziaria, ma non le può rendere impermeabili alla recessione globale. L'irrobustimento del capitale, anche con gli strumenti messi a disposizione dallo Stato, è condizione per sostenere la capacità del sistema bancario di fornire credito all'economia.
Nel 2009 continuerà la compressione del margine di intermediazione - cioè i ricavi complessivi delle banche - che già nel 2008 avrebbe registrato per l'intero sistema una contrazione di circa il 5 per cento, nonostante la crescita ancora molto sostenuta, nell'ordine dell'8 per cento, del margine d'interesse (fondamentalmente il saldo tra tassi di interessi attivi e passivi). Come in passato è verosimile che il calo dell'attività economica e dei tassi di interesse inciderà negativamente anche sui ricavi da interesse. Secondo stime econometriche la riduzione di un punto percentuale del prodotto interno lordo si rifletterebbe in una diminuzione di 0,7 punti percentuali del margine di interesse; il calo potrebbe essere molto più ampio, nell'ordine di 3,5 punti percentuali, in seguito alla riduzione di un punto dei tassi di interesse del mercato monetario. Quindi, in questo caso stiamo avendo entrambe le cose, ossia un'attività economica che cade di un punto, forse due, e tassi di interesse che scendono di un punto, forse due, rispetto a quelli medi dello scorso anno. Dobbiamo aspettarci, pertanto, un effetto significativo sui margini di interesse.
Sul versante internazionale, pesano sui bilanci delle nostre maggiori banche le esposizioni verso alcune economie dell'Europa centro-orientale, che stanno subendo gli effetti negativi particolarmente acuti degli squilibri macroeconomici accumulati in passato. Nel settembre scorso, secondo i dati della Banca dei regolamenti internazionali, l'esposizione del sistema bancario italiano verso questi Paesi ammontava a poco più di 150 miliardi di euro, pari al 5 per cento del totale dell'attivo. L'esposizione è concentrata per oltre il 70 per cento in cinque Paesi: Polonia, Croazia, Russia, Ungheria e Slovacchia. La situazione viene attentamente monitorata dalla vigilanza della Banca d'Italia. In ambito europeo - è da dire - ci sono, però, volontà politiche e strumenti per intervenire qualora se ne presenti la necessità e anche per prevenire crisi regionali.
Dalla fine di settembre fino a ieri le quotazioni azionarie delle maggiori banche italiane hanno perso, in media, oltre il 50 per cento; una flessione analoga a quella osservata per le principali banche europee. È importante ricordare che l'andamento delle quotazioni delle banche internazionali non è stato positivamente influenzato dalle misure di ricapitalizzazione attuate all'estero. In altre parole, le banche che sono state ricapitalizzate dai Governi non hanno mostrato un andamento dei corsi azionari migliore di quelle che non sono state ricapitalizzate; tanto è vero che le nostre banche si comportano più o meno come la media del settore.
Nello stesso periodo, i premi sui credit default swaps delle maggiori banche italiane, che partivano da livelli contenuti nel confronto internazionale, sono invece cresciuti di circa 70 punti base, collocandosi intorno a 180 punti; un valore analogo al premio che si osservava ieri per il corrispondente indice europeo. C'è anche da dire, tuttavia, che questi movimenti sui premi di questo contratto, che riflette la credibilità della banca, vengono influenzati anche da variazioni significative della liquidità dei contratti.
Ho avuto più volte occasione di ricordare che, fin dall'inizio delle turbolenze, nell'estate del 2007, la Banca d'Italia mise in evidenza l'assoluta necessità che le banche controllassero adeguatamente il rischio di liquidità. Monitoraggio rafforzato, azione di persuasione, interventi specifici hanno sortito rapidi e significativi effetti, permettendo che le banche italiane potessero affrontare l'aggravarsi della crisi finanziaria, nel settembre scorso, con una


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situazione di liquidità equilibrata che ha loro consentito di superarne, senza incidenti, le fasi più severe.
Agli interventi di vigilanza, alla partecipazione della Banca d'Italia alle decisioni e azioni collettive dell'Eurosistema, all'attività di supporto svolta nei confronti del Governo e del Parlamento per l'adozione di provvedimenti miranti a ridare fiducia ai mercati - li richiamerò a breve - si sono accompagnate numerose iniziative che abbiamo assunto direttamente nell'esercizio delle nostre funzioni monetarie, per alleviare specifiche difficoltà. Desidero richiamare, in particolare, le operazioni di swap con le quali abbiamo messo a disposizione delle banche parte dei titoli di migliore qualità nel portafoglio della Banca d'Italia, a fronte di attività bancarie non stanziabili, per accrescere la loro capacità di accedere al rifinanziamento dell'Eurosistema nei momenti di tensione. Tali operazioni sono state attuate a più riprese a partire dal 16 ottobre. In altre parole, per rifornirsi di liquidità le banche si finanziano presso la Banca centrale europea, ma nel farlo devono dare a garanzia dei titoli, che sono tutti di una certa qualità. A volte, le banche non riescono ad avere tutti i titoli di questa qualità, ma ne hanno altri di qualità un po' inferiore. La Banca d'Italia, dunque, ha scambiato i suoi titoli di buona qualità con titoli delle banche di qualità inferiore, in modo tale che queste potessero accedere al sistema della Banca centrale europea e rifornirsi di liquidità nei periodi più tesi, registrati da settembre in poi.
La forza patrimoniale della banca centrale italiana è stata, in questi mesi, estremamente importante. Ci ha consentito di impostare e attuare gli interventi che ritenevamo necessari per sostenere la liquidità del sistema, con prontezza e per importi significativi, senza mettere a rischio gli equilibri di bilancio.
La situazione della liquidità interbancaria, per quanto meno tesa di qualche mese fa, è ancora ben lontana dalla normalità. Iniziative per ricostruire la fiducia e rilanciare gli scambi sono tuttora necessarie.
Il 2 febbraio scorso hanno preso avvio le contrattazioni sul nuovo Mercato interbancario collateralizzato (MIC), nato dalla collaborazione tra la Banca d'Italia, l'Associazione bancaria italiana e la società e-MID che gestisce l'omonima piattaforma elettronica. Questa è una delle iniziative che abbiamo assunto per alleviare la situazione di tensione creatasi intorno alla liquidità delle banche. Questo mercato offre alle banche partecipanti la possibilità di effettuare transazioni anche su scadenze di medio termine, in maniera anonima e al riparo dai rischi di credito e di liquidità. Uno dei problemi esistenti, infatti, è che normalmente il mercato richiede alle banche che si attivano per avere dei finanziamenti di rendere nota la loro identità e, non appena si viene a sapere quali sono, scatta l'effetto «stigma»: il mercato, cioè, comincia a penalizzare queste banche.
Un ulteriore problema dei mercati interbancari - che si sono fermati da quando è iniziata la crisi, mentre prima rappresentavano la più grande fonte di finanziamento di liquidità per le banche - è costituito dalla caduta della fiducia nella controparte: essi hanno, infatti, paura di concedere finanziamenti alle altre banche. Per ovviare a ciò, si è intrapresa un'iniziativa, ancora relativamente limitata, per cui la Banca d'Italia funge da perno centrale di questo mercato, cioè da controparte con le banche. Nello stesso tempo, il mercato è fondamentalmente collateralizzato: tutti gli scambi avvengono con delle garanzie a fronte, e non allo scoperto, ma come controparte c'è la Banca d'Italia e non un'altra banca. È, tra l'altro, un sistema anonimo, nel senso che la banca richiedente accede alla Banca d'Italia: quest'ultima, dunque, sa chi è la controparte, ma non lo sa il resto del mercato. In tal modo, non si verifica il cosiddetto effetto «stigma». La Banca d'Italia valuta il collateral, ovvero la garanzia depositata dalle banche partecipanti e assicura il


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regolamento delle operazioni nel caso una controparte risulti inadempiente. Tale sistema permette alle banche che partecipano a questo mercato di essere tranquille. Al funzionamento dello schema contribuiscono, sulla base di un principio mutualistico, le stesse banche, chiamate a supportare parte del costo di un eventuale dissesto. Il Mercato interbancario collateralizzato è aperto anche alle banche europee che rispettino i requisiti previsti per quelle italiane, previa intesa con le banche centrali dei rispettivi Paesi di origine. I volumi operativi realizzati e i prezzi degli scambi sono soddisfacenti. Tra la prima e la sesta settimana di attività, le transazioni medie giornaliere sono passate da 50 a 318 milioni di euro e le consistenze di depositi hanno raggiunto i 2 miliardi di euro. Sulle scadenze a una e a due settimane - le più trattate dalle banche - i tassi di interesse espressi dal MIC sono stati costantemente inferiori a quelli delle corrispondenti scadenze nel segmento palese dell'e-MID, tra i 10 e i 30 punti base. Questo significa che quando le banche non hanno fiducia nelle loro controparti, anche i tassi di interesse che applicano sono più elevati di quelli che avrebbero praticato quando i mercati erano tranquilli. Avere come controparte centralizzata la Banca d'Italia e sapere che, in caso di inadempienza, la Banca d'Italia assicura la conclusione dell'operazione, fa sì che i tassi di interesse si riducano e, di conseguenza, che anche il costo del credito che le banche concedono al resto del sistema tenda a scendere. Sui medesimi contratti, gli spread denaro-lettera relativi alle migliori quotazioni esposte nelle pagine MIC si sono progressivamente ridotti da 5 a 1 punto base, a riprova della crescente liquidità del mercato.
In tutti i maggiori Paesi, le autorità sono intervenute a sostegno del sistema finanziario. In Italia, Governo e Parlamento, con il supporto tecnico della Banca d'Italia, hanno adottato un insieme di provvedimenti per proteggere i depositanti, sostenere la liquidità e il patrimonio delle banche, rafforzare la loro capacità di finanziare l'attività produttiva. Le misure, assunte ricorrendo alla decretazione d'urgenza, sono state convertite con le leggi n. 190, del 4 dicembre 2008, e n. 2, del 28 gennaio scorso. Ritengo utile richiamarne brevemente i punti principali.
Con una prima misura (contenuta nel decreto-legge n. 155, del 2008, convertito con la legge n. 190) si è concessa la garanzia dello Stato ai depositi bancari al dettaglio. La garanzia si è affiancata all'assicurazione fornita dai fondi interbancari già esistenti. Il provvedimento è stato importantissimo - non importante - per rassicurare i risparmiatori nei momenti di maggiore ansia dei mercati.
Un altro insieme di misure, contenuto nel decreto-legge n. 157 del 2008, consente al Ministero dell'economia e delle finanze di concedere la garanzia dello Stato sulle nuove passività bancarie con durata residua tra tre mesi e cinque anni; di garantire i soggetti che offrono alle banche titoli stanziabili per le operazioni di rifinanziamento presso l'Eurosistema; di fornire alle banche titoli di Stato in cambio delle loro passività di nuova emissione. Questa possibilità si affianca alle operazioni di asset swap della Banca d'Italia alle quali ho fatto riferimento poco fa. Tutte queste misure servono ad assicurare alle banche accesso ad una adeguata provvista di liquidità, in modo da garantire che non sia mai interrotto, neppure in condizioni di grave turbolenza, il normale funzionamento del sistema del credito e dei pagamenti. L'annuncio della loro adozione ha contribuito, insieme ai forti interventi delle autorità monetarie, ad alleviare le tensioni sul mercato interbancario dello scorso autunno.
In terzo luogo, per fronteggiare eventuali casi di difficoltà conclamata, il decreto-legge n. 155 consente al Tesoro di sottoscrivere aumenti di capitale di banche per le quali la Banca d'Italia abbia accertato una situazione di inadeguatezza patrimoniale. La partecipazione dello Stato assume la forma di azioni senza diritto di voto privilegiate nella distribuzione dei dividendi. L'intervento pubblico deve essere


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accompagnato da un piano di risanamento valutato dalla Banca d'Italia.
Infine, il decreto-legge n. 185, del 2008, convertito con la legge n. 2 del 2009, consente un intervento finanziario dello Stato per accrescere il capitale delle banche fondamentalmente sane. Non si tratta, in questo caso, di operazioni di salvataggio, ma di una misura per rafforzare il sistema e per evitare che, in un contesto macroeconomico fortemente deteriorato, si avvii una spirale perversa tra emergere di sofferenze e restrizione del credito. Lo Stato interviene sottoscrivendo strumenti finanziari emessi dalle banche, che possono essere computati a fini prudenziali nel patrimonio di migliore qualità, quello che si chiama core tier 1 (per questa parola non riesco a trovare un sostituto italiano). Questo strumento è di qualità particolarmente buona, e così viene valutato dalle autorità di supervisione, perché sia la remunerazione, vale a dire l'interesse pagato, sia il valore stesso dello strumento dipendono dalla redditività e dall'adeguatezza patrimoniale della banca: se la banca fa utili, paga gli interessi, se la banca non fa utili, non paga gli interessi. Si tratta, quindi, di uno strumento di rischio, come se fosse un'azione ordinaria, cosa che non è. Quindi, questi strumenti sono in grado di contribuire ad assorbire, in ogni circostanza, eventuali perdite. Questa loro caratteristica consente di definire tali strumenti come capitale di qualità eccellente.
Le banche richiedenti devono adottare un codice etico, anche in tema di remunerazione del management, e impegnarsi a sostenere il finanziamento della clientela, in particolare delle famiglie e delle piccole e medie imprese. Quest'ultimo impegno è stato opportunamente definito tenendo conto del livello della domanda di finanziamenti e della necessità di mantenere criteri di prudente allocazione del credito.
Lo strumento è stato reso operativo con un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze. La Banca d'Italia ha fornito alle banche le necessarie disposizioni tecniche. Le condizioni economiche delle emissioni devono rispettare certe linee guida stabilite dalle autorità comunitarie. Sono stati definiti più schemi alternativi, anche su richiesta della Banca d'Italia, per rendere più conveniente l'adesione allo schema da parte di intermediari che prevedono di riscattare lo strumento in tempi relativamente brevi. Le condizioni degli strumenti italiani sono allineate a quelle offerte da altri Paesi europei: mi attendo che le banche ne facciano uso per importi adeguati.
La legge prevede un monitoraggio sulle operazioni e sui loro effetti sull'economia e istituisce speciali osservatori presso le prefetture, con la partecipazione dei soggetti interessati. La Banca d'Italia fornisce al Ministero dell'economia e delle finanze dati ed analisi sull'andamento del credito e sui suoi costi, su base regionale, ad ulteriore integrazione e completamento delle ampie informazioni disaggregate a livello territoriale già diffuse nelle proprie pubblicazioni. Le informazioni statistiche consentiranno di individuare eventuali specifiche situazioni di tensione.
È essenziale che l'analisi delle condizioni del credito a livello locale non sconfini in un ruolo di pressione sulle banche, che spinga ad allentare il rispetto di criteri di sana e prudente gestione nella selezione della clientela. Ritengo che debbano essere evitate interferenze politico-amministrative nelle valutazioni del merito di credito di singoli casi. Il credito è, e deve restare, attività imprenditoriale, basata su un prudente apprezzamento professionale della validità dei progetti aziendali. Le banche imprudenti prima o poi finiscono in dissesto e smettono di fare credito. Tuttavia, la prova sollecitata dalla crisi è severa e richiede di sapere essere bravi banchieri anche quando l'economia va male. Di fronte all'inevitabile peggioramento della qualità del credito dovuta alla recessione occorrono scelte lungimiranti: non basta tenere i conti in ordine. Un fermo sostegno ai clienti con buon merito di credito evita che una stretta creditizia eccessiva aggravi la recessione e peggiori, così, la posizione degli stessi clienti delle banche. Come ho


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già detto, bisogna cogliere ogni occasione per irrobustire il patrimonio degli istituti nelle forme più appropriate ai singoli casi: dal ricorso al mercato, alla capitalizzazione dei dividendi, agli strumenti offerti dallo Stato.
Ripristinare condizioni di fiducia nel sistema bancario è questione globale, non nazionale. Quattro condizioni mi paiono essenziali. Primo, vanno dissipate le incertezze che ancora restano sul valore degli attivi più problematici nei bilanci bancari; questo deve divenire parte integrante degli interventi pubblici a supporto del sistema finanziario. È indispensabile, specie in Europa, che simili schemi rispondano a princìpi comuni per evitare disparità competitive tra gli intermediari dei diversi Paesi e tra banche più o meno esposte al problema delle attività a rischio.
Secondo, nel determinare obiettivi di ricapitalizzazione è essenziale che le definizioni del capitale bancario siano comuni a livello internazionale.
Terzo, le autorità hanno chiarito che intendono proteggere tutte le istituzioni che sono sistemicamente rilevanti, dotarle del capitale necessario per affrontare condizioni di stress, proteggere i depositanti e lasciare che siano solo gli azionisti a sopportare eventuali perdite.
Quindi, gli altri creditori delle banche sono nella sostanza protetti da perdite da questa combinazione di misure. Ebbene, occorre spiegare ciò con assoluta chiarezza, in quanto questo è l'unico modo per abbassare drasticamente i premi a rischio che i mercati ancora richiedono sulle passività bancarie.
Quarto, è ora di passare dalla sistemazione dei problemi ereditati dal passato alla riflessione sul modo di assicurare d'ora in poi la disponibilità di credito. Questo è particolarmente vero per l'Italia poiché il nostro Paese risente meno dei problemi del passato. A questo fine, ricapitalizzare le banche è necessario ma non basta, dunque occorre pensare a strumenti nuovi anche non convenzionali.
Come dicevo, quest'ultimo punto è particolarmente rilevante per l'Italia. Infatti, nel caso italiano la neutralizzazione degli strumenti finanziari complessi che hanno registrato forti perdite ha un rilievo limitato, mentre è più importante trovare strumenti che incidano in modo diretto sulla disponibilità di prestiti per le imprese e per le famiglie.
Una possibilità è rappresentata dalle emissioni di garanzie pubbliche sulle senior tranche di insiemi di nuovi crediti con l'obiettivo di ridare vita ad un importante canale di finanziamento, le cartolarizzazioni dei prestiti, oggi del tutto inaridito. Se le banche sono in grado di collocare parte dei propri crediti su un mercato secondario attivo e liquido, esse possono utilizzare la liquidità ottenuta per riattivare l'offerta di credito.
Un simile schema dovrebbe essere attentamente disegnato per assicurarne l'efficacia in termini di erogazione di nuovi prestiti, fornire una corretta struttura di incentivi alle banche, minimizzare il costo per i contribuenti. La banca originante dovrebbe trattenere parte del rischio, mantenendo così l'incentivo a selezionare prenditori meritevoli; dovrebbe corrispondere una remunerazione adeguata per il rilascio della garanzia, commisurata alla qualità dei crediti sottostanti. Limitare la garanzia pubblica alla quota meno rischiosa del pool dei prestiti cartolarizzati evita di addossare allo Stato un ruolo inappropriato nella valutazione del merito di credito. Potrebbero essere anche previsti criteri oggettivi per selezionare crediti di buona qualità, ad esempio mutui con un rapporto tra prestito e valore dell'immobile non superiore ad una certa soglia; prestiti alle piccole e medie imprese assistiti dalla garanzia del fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, in modo da incoraggiare la sottoscrizione da parte del mercato dell'intero pool di crediti cartolarizzati e contribuire a limitare il possibile costo per il contribuente.
Alcuni aspetti del trattamento fiscale delle banche e di altri intermediari per i quali non vi è una chiara logica economica


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e che determinano svantaggi competitivi nei confronti di altri Paesi dovrebbero essere riconsiderati.
Le svalutazioni di crediti possono essere dedotte dal reddito imponibile delle banche solo fino allo 0,3 per cento degli impieghi; le svalutazioni eccedenti questo limite sono rateizzate in diciotto anni. Tali limiti e dilazioni sono stati ripetutamente inaspriti negli ultimi anni e per essi risulta difficile trovare giustificazioni economiche o riscontri in altri grandi Paesi europei. Infatti, in Francia, Germania e Regno Unito le svalutazioni su crediti possono essere dedotte analiticamente in linea con quelle iscritte in bilancio; in Francia e Germania sono anche consentiti accantonamenti a forfait. La penalizzazione determinata dal sistema italiano è prociclica perché pesa di più in fase di congiuntura negativa, quando le perdite su crediti aumentano e incide sproporzionatamente sul sistema creditizio in questo momento.
I limiti alla deducibilità delle svalutazioni determinano nel bilancio delle banche un anticipo di imposte, in sostanza un credito nei confronti dell'Erario, che alla fine del 2007 assommava a circa 4 miliardi; per il 2008 questi crediti valgono circa 1,4 miliardi.
Le svalutazioni sono anche indeducibili ai fini IRAP e quindi gravano sugli utili di esercizio. L'effetto complessivo dei limiti alla deducibilità sugli utili delle banche è di circa 400 milioni all'anno.
Nel momento in cui la perdita si realizza, la deducibilità è consentita in ogni caso se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali; altrimenti l'amministrazione finanziaria può contestare che la perdita sia «certa e precisa», con rischio di contenzioso. Il rischio incide sul costo e sulla disponibilità del credito. Nella fase attuale, in cui è presumibile un aumento delle perdite su crediti, sarebbe opportuno ridurre il più possibile le cause di incertezza normativa e quindi i connessi rischi fiscali per il sistema.
Dal 2008 una parte degli interessi passivi a carico delle banche (attualmente il 4 per cento) non è più deducibile ai fini dell'Ires e dell'IRAP; il limite vale anche per transazioni sul mercato interbancario concorrendo a frenarne l'operatività. Gli interessi passivi sono per le banche quello che il costo delle materie prime è per qualsiasi impresa. Né gli Stati Uniti né i principali Paesi europei hanno norme equivalenti. Dallo stesso anno ai fini dell'IRAP le spese amministrative e gli ammortamenti non sono deducibili per una quota del 10 per cento, mentre i dividendi sono esenti per il 50 per cento dell'ammontare percepito. Queste limitazioni sono specifiche al settore finanziario e non riguardano le altre imprese. Secondo stime ufficiali il costo complessivo dell'indeducibilità degli interessi passivi nell'anno in corso è di circa 1,1 miliardi di euro, di cui un quarto attribuibile a transazioni con altre banche.
Dal 2009 è venuta meno la norma che esentava dall'IVA le prestazioni di servizi ausiliari all'interno di un gruppo bancario. Tale esenzione limitava il costo in cui le banche incorrono a causa dell'indetraibilità dell'IVA sugli acquisti di beni e servizi e suppliva all'inesistenza nel nostro ordinamento del regime del «gruppo IVA» che invece in molti Paesi dell'Europa consente di non applicare l'IVA agli scambi intra-gruppo. È auspicabile che l'ordinamento italiano accolga il regime del gruppo IVA previsto dalla direttiva comunitaria, allineandosi alle scelte compiute dai principali Stati membri dell'Unione.
Tenuto conto che secondo valutazioni governative i maggiori oneri per l'indetraibilità dell'IVA erano stimati in 400 milioni l'anno, la riduzione complessiva degli utili netti delle banche, per effetto di tutte queste misure specifiche sulla fiscalità diretta e indiretta, è prossima nell'anno in corso a quasi 2 miliardi.
Ma perché tutto questo sulle tasse che pagano le banche? Ebbene, la risposta è che imposte elevate si traducono in minor autofinanziamento, minor patrimonio, minor credito.
Sempre, ma soprattutto in periodi di crisi, valore prezioso per una banca è il buon nome, fondamento di un solido rapporto


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con la clientela. Dunque, salvaguardare e accrescere la reputazione del sistema bancario richiede comportamenti concreti irreprensibili, non meno che norme rigorose.
Relazioni trasparenti e corrette con la clientela proteggono il consumatore, stimolano la concorrenza assicurando piena comparabilità tra i prodotti; sono un elemento importante nella sana e prudente gestione degli intermediari, perché riducono i rischi reputazionali e legali; tutelano la stabilità del sistema.
Vigilare sulla trasparenza e correttezza di chi offre prodotti finanziari e servizi di investimento spetta alla Consob, mentre, invece, per le operazioni tipicamente bancarie la tutela è affidata dalla legge alla Banca d'Italia. Quest'attività ha ricevuto maggiore impulso negli ultimi anni. Abbiamo costituito una specifica unità organizzativa per seguire i rapporti tra banche e clienti. Abbiamo messo mano ad una radicale revisione della regolamentazione, per la parte che ci compete.
Domani saranno aperte alla consultazione pubblica, su Internet, due proposte importanti: una per la concreta istituzione del nuovo sistema di risoluzione stragiudiziale delle controversie tra banche e clienti; l'altra su nuove disposizioni, messe a punto anche confrontandosi con le associazioni delle banche, degli altri intermediari e dei consumatori, che accresceranno l'efficacia della tutela e della correttezza nei rapporti con la clientela. Con queste norme intendiamo rendere i documenti per la clientela più chiari, sintetici e confrontabili. Utilizzeremo strumenti particolarmente incisivi per i prodotti di più ampio utilizzo, mutui e conti correnti.
Da tempo abbiamo rafforzato i controlli; nei limiti dei nostri poteri, li abbiamo orientati a verificare l'osservanza sostanziale e non solo formale delle norme. Negli ultimi tre anni abbiamo compiuto verifiche in più di 2.300 filiali appartenenti a 452 intermediari. Dove abbiamo riscontrato specifiche violazioni di disposizioni concernenti la pubblicità delle condizioni offerte abbiamo avviato procedure sanzionatorie: 49 in tutto, 11 delle quali concluse con l'irrogazione di sanzioni. In 206 casi, pur non ricorrendo gli estremi formali per sanzionare, abbiamo richiamato l'intermediario ad un rispetto sostanziale più rigoroso della normativa e abbiamo richiesto l'adozione di assetti e controlli interni funzionali a migliorare la qualità delle relazioni con la clientela. Ove necessario, è stato chiesto agli intermediari di restituire le somme indebitamente percepite dai clienti e darne conto alla vigilanza. Abbiamo recentemente esteso i controlli ai siti Internet degli intermediari per assicurare agli utenti on line una tutela equivalente a quella presso la rete tradizionale.
I clienti delle banche scrivono spesso alla Banca d'Italia per segnalare comportamenti ritenuti non corretti. Riceviamo in media quasi 6 mila lettere l'anno. In ogni singolo caso rispondiamo all'interessato e chiediamo agli intermediari di spiegare la loro posizione e fornire una chiara risposta dandocene notizia; adottiamo gli opportuni interventi di vigilanza dove necessario.
In tema di mutui, abbiamo richiamato gli intermediari sulla necessità di aderire a procedure interbancarie per la portabilità dei finanziamenti. Le innovazioni normative introdotte di recente - con la proposta che uscirà domani - permetteranno ora di sanzionare anche il mancato rispetto di queste norme sulla portabilità dei mutui. Sui conti correnti viene svolta, con cadenza annuale, una rilevazione campionaria delle condizioni praticate dalle banche, della quale daremo conto nella nostra relazione annuale.
La crisi ha messo in evidenza la necessità di correggere alcuni elementi significativi dell'architettura finanziaria internazionale: maggiore robustezza dei requisiti di capitale delle banche e azioni per contrastarne gli effetti di accentuazione del ciclo; limiti all'eccessivo indebitamento delle istituzioni finanziarie; estensione della regolamentazione prudenziale a quei segmenti di attività finanziaria che in alcuni Paesi le sfuggivano ampiamente;


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rafforzamento del ruolo delle banche centrali nel presidiare gli aspetti macroeconomici della stabilità.
Questi sono gli elementi più importanti di un programma di revisione radicale e serrato che è stato messo in moto con una rapidità di azione ed un grado di coesione internazionale impensabili fino a poco tempo fa.
L'esigenza di un forte coordinamento globale è evidente e condivisa. Nella governance del sistema finanziario hanno assunto un maggior ruolo le grandi economie emergenti. Non è solo questione di equità; è condizione per l'efficacia degli interventi.
Non mi soffermo su questi temi in questa sede, però mi preme sottolineare che migliorare il coordinamento della vigilanza è essenziale, soprattutto a livello europeo, se si vogliono preservare i benefici del mercato unico dei capitali. In Europa sta crescendo il consenso per soluzioni coraggiose che prevedano la messa in comune di alcune funzioni di regolazione e di supervisione. La nuova architettura della vigilanza europea non rinuncerà al patrimonio di conoscenze, professionalità e vicinanza al mercato disponibili nelle autorità nazionali: dovrà valorizzarli in un quadro integrato. L'esperienza del Sistema europeo di banche centrali mostra che questa è una strada che si può percorrere con successo.
Il rapporto recentemente redatto da un gruppo di esperti europei di alto livello va in questa direzione. Sottolineo, in particolare, l'attenzione riservata alla vigilanza macroprudenziale affidata a un organismo centralizzato; l'accento sull'armonizzazione di normative e standard di vigilanza; l'indicazione di un coordinamento da parte delle autorità comunitarie dei «collegi» che vigilano sui grandi gruppi bancari europei.
Occorrerà disegnare con cura i meccanismi decisionali del sistema, le competenze e responsabilità degli organismi di vigilanza a livello europeo e a livello nazionale. Ed è certamente da apprezzare l'intenzione della Commissione europea di procedere con la speditezza necessaria.

PRESIDENTE. Ringrazio il Governatore della Banca d'Italia.
Do la parola ai colleghi deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
Invito a essere concisi nelle domande, in maniera da poter utilizzare i cinquanta minuti che abbiamo a disposizione anche per le repliche da parte del Governatore Draghi.

ANTONIO BORGHESI. Ringrazio il Governatore Draghi e passo direttamente a porre alcune domande puntuali.
In verità, parlando di vigilanza, la sensazione è che anche la Banca d'Italia - stiamo parlando a mesi di distanza da quando si sono verificati i fatti, quindi lo facciamo in maniera più distaccata rispetto al momento caldo - abbia evidentemente avuto delle difficoltà a capire ciò che stava avvenendo. Si potrebbe rispondere che è successo dappertutto, ma questo non risolve affatto il problema.
Non ho colto, all'interno della relazione - pur ampia - del Governatore, delle linee operative molto strette tali da permettere di controllare che in futuro non si verifichino più fenomeni come questi; in altri termini, di individuare un meccanismo che consenta di accertare in che misura taluni strumenti finanziari risultino agganciati a momenti di solidità e non siano semplicemente campati in aria. Credo che questo sia lo strumento che, in futuro, potrebbe permettere un vero controllo su quello che è avvenuto.
Per quanto riguarda il credito alle piccole e medie imprese, è certamente giusto il richiamo del Governatore a concedere il credito a chi lo merita. La mia sensazione, però, è che in questo momento ci siano molti imprenditori e molte imprese che il credito lo meriterebbero, ma le banche non hanno la capacità finanziaria di assicurarlo. Dall'altro lato - questo è un giudizio politico - molte banche italiane, per compiacere il sistema politico,


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effettuano operazioni che le portano, ad esempio, a convogliare ingenti risorse nel sistema Alitalia, oppure delle concessionarie autostradali, dell'alta velocità e via dicendo. Se, invece, queste risorse fossero erogate dalle banche alle piccole e medie imprese che meritano il credito, probabilmente aumenterebbe di gran lunga la capacità di fronteggiare questo problema.
Cito, inoltre, un tema che mi sta particolarmente a cuore. Per quanto riguarda i Tremonti bond, abbiamo insistito, in questi mesi, anche con emendamenti alle varie leggi emanate, affinché si indicassero dei percorsi molto stretti su alcune questioni che il mio gruppo ritiene fondamentali. Penso, ad esempio, a una sorta di moralizzazione nelle indennità percepite da dirigenti e manager del sistema bancario. Effettivamente, però, non c'è nessuna decisione concreta, ma solo indicazioni e linee guida che non sono stringenti.
So che la Banca d'Italia in passato è intervenuta, ma in misura limitata. Non ritiene, Governatore, di poter esercitare su tale questione una funzione più rilevante? Credo che di fronte a quello che è avvenuto le banche non possano ritenersi indenni da colpe e responsabilità. Che le stesse persone, pertanto, continuino a rimanere a capo di quelle banche e a percepire (o l'abbiano fatto in passato) dei bonus al di fuori di qualunque logica e di qualunque regola, a noi sembra una questione sulla quale la Banca d'Italia dovrebbe intervenire.
Infine, faccio un'annotazione rapidissima. Personalmente ritengo che la Banca d'Italia debba mantenere una sua assoluta indipendenza - all'interno del mio gruppo qualcuno la pensa diversamente, dunque mi confronterò con loro - tuttavia devo sollevare un problema. Noi avevamo chiesto che potesse essere affrontato attraverso i Tremonti bond, che potevano costituire l'occasione affinché i partecipanti della Banca d'Italia, anziché essere gli stessi istituti di credito che devono poi essere controllati, fossero invece riportati in capo allo Stato, come mi sembrerebbe più logico. Mi chiedo se esiste, comunque, un conflitto di interessi o se il Governatore ritiene che ci possa essere.

MAURIZIO BERNARDO. Signor presidente, ho ascoltato, come tutti i colleghi, con attenzione la relazione. La fortuna vuole che tutti seguiamo gli interventi del Governatore nelle diverse occasioni e, quindi, abbiamo modo di cogliere persino quello che i mezzi di informazione ci trasferiscono su tali argomenti, ripresi anche nella relazione.
Vorrei rivolgerle due rapide domande. Svolgendo un'analisi sul ruolo di vigilanza che la Banca d'Italia deve e dovrebbe esercitare, pensando al caso Zaleski e - andando un po' indietro nel tempo - al caso Calvi-Ambrosiano, non ritiene che esista una sorta di similitudine con quello che purtroppo si è verificato anche nella storia più recente? Come immagina che possa cambiare qualcosa, anche nei confronti di chi riceve dalle cronache elementi che preoccupano, in generale, persino i nostri concittadini?
La seconda domanda riguarda Banca Italease e il ruolo che ha esercitato la Banca d'Italia - purtroppo ex post e non nella fase iniziale - in termini di controllo, di azzeramento del consiglio di amministrazione, di derivati e via dicendo. Anche questo è un caso purtroppo scottante per il nostro Paese.
Rispetto a quanto possiamo leggere dalla relazione, che evidentemente non può scendere in maniera così approfondita negli argomenti, conoscendo le risorse umane della Banca d'Italia e il suo ruolo di vigilanza richiamato anche nella relazione, non ritiene che qualcosa debba essere modificato, in un sistema nuovo, anche a garanzia del sistema Paese?

PIER LUIGI BERSANI. Signor presidente, ho molto apprezzato le considerazioni del Governatore e ritengo che diversi passaggi della relazione meriterebbero di essere sottolineati con adesione. Ad esempio, il punto di equilibrio tra le esigenze di rafforzare il coordinamento a livello europeo


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della vigilanza e il ruolo delle banche nazionali a me pare una formulazione da condividere.
Più nello specifico, il tema della deducibilità delle svalutazioni - tra l'altro, noi lo affrontiamo in un emendamento al decreto cosiddetto «anticrisi» - è interessante perché ci dice quale fosse a luglio lo sguardo sulla situazione. Questo è uno degli elementi che compongono, secondo me, un quadro di giudizio di quella partenza delle manovre finanziarie totalmente procicliche.
Al Governatore vorrei però chiedere, se è possibile, un commento su due o tre punti.
Il primo punto riguarda la situazione internazionale delle banche, a livello mondiale e in particolare negli Stati Uniti. Abbiamo capito che le banche non possono fallire, perché la Lehman Brothers ci ha insegnato qualcosa; abbiamo capito che separare titoli tossici, crediti e partecipazioni critiche in condizioni di mercato è molto difficile perché o è poco per le banche o è troppo per l'opinione pubblica; abbiamo capito che anche le capitalizzazioni portano questo elemento di ambiguità. C'è un percorso di nazionalizzazioni più o meno mascherate. Vorrei chiedere al Governatore di fornirci qualche ulteriore osservazione sulla situazione internazionale e sullo stato dell'arte degli interventi, a cominciare da quelli che si stanno praticando negli Stati Uniti.
In secondo luogo, le nostre banche sono diverse: lo sono per i meccanismi di sorveglianza, perché hanno meno titoli tossici, si basano più sul retail e via elencando. Perché, allora, l'andamento azionario e la valutazione del mercato sui rischi di default non si scostano dall'andamento europeo? Può il Governatore fare qualche considerazione in più a questo proposito, considerato che questo punto non si riesce a comprendere?
Infine, le nostre banche sono diverse anche perché sono particolarmente esposte verso il sistema delle imprese, piuttosto che verso le famiglie. Questo dà conto del fatto che abbiamo imprese molto bancocentriche, anche perché poco capitalizzate. Nei prossimi mesi, dunque, noi avremo un particolare problema sull'economia reale. Da qui l'esigenza, finalmente considerata dall'opinione più larga, che ci sia un intervento dello Stato a proposito dei crediti concessi dalle banche alle piccole e medie imprese, in termini di forme di garanzia.
Trovo che la proposta avanzata dal Governatore sia molto suggestiva, anche perché può andare nella direzione della fiducia. Chiedo, allora, se un meccanismo che pretende una certa selettività, come quello che mi pare di vedere in questa proposta, e che esclude (su questo sono d'accordo) il fatto che lo Stato «metta becco», a titolo della propria garanzia, nel merito di credito (questo deve essere assolutamente escluso), non potrebbe avere un criterio di selettività dal lato delle cosiddette politiche industriali. Ci troviamo infatti in presenza di una crisi che non sta tagliando i rami bassi del sistema, ma sta incidendo fortemente su sistemi di impresa che ci hanno creduto, hanno investito e stanno investendo in innovazione, in ambiti anche nuovi.
Temo - andando in giro ho constatato che il problema esiste - che questo tipo di imprese sia quello che potrebbe cedere e lasciarci senza riparo. Capisco la delicatezza di questi temi, ma credo che, anche dal punto di vista pubblico, si dovrebbe avere il coraggio di indicare qualche criterio a questo proposito. Vorrei, quindi, sapere cosa ne pensa il Governatore.

MAURIZIO FUGATTI. Signor presidente, ringraziamo il Governatore per questa audizione.
Noi crediamo che, in questo momento storico, il sistema imprenditoriale e anche gli stessi cittadini si trovino un po' spiazzati. Fino a qualche mese fa, infatti, tutte le autorità competenti, comprese quelle italiane, affermavano che valevano determinate regole: quelle della finanza internazionale; quelle finanziarie legate alla globalizzazione. Oggi, di punto in bianco, queste regole vengono, sotto certi aspetti,


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messe in discussione: penso agli International Accounting Standards (IAS), alla stessa questione di Basilea, alle stesse valutazioni di mercato all'interno delle attività dei bilanci.
Fino a qualche tempo fa, ci veniva riferito che le banche dovevano internazionalizzarsi, espandersi all'estero, ma oggi vediamo che dobbiamo cercare di sopperire alle mancanze determinatesi in seguito alla internazionalizzazione di alcune banche, magari nell'est europeo.
Ci dicevano, anche, che le banche piccole, le banche locali non avevano ormai motivo di esistere (pensiamo alle banche popolari, alle cooperative). Oggi, invece, scopriamo che probabilmente queste banche legate al territorio, con una maggiore conoscenza della propria clientela, sono quelle che stanno erogando al meglio o, comunque, con maggiore velocità e quantità il credito a queste imprese.
Ci domandiamo, allora, dove fossero questi organi di controllo fino a qualche mese fa. Non vorrei che la «sbornia globalista» degli ultimi anni abbia fatto breccia anche nei soggetti che avrebbero dovuto controllare l'applicazione delle regole. Su tali dubbi chiedo, se possibile, un chiarimento.
Per quanto riguarda i 2 miliardi di euro di utili in meno a causa dell'eventuale taglio delle tasse, qualcuno direbbe che se questi soldi rimanessero alle banche queste erogherebbero maggior credito; se ci fossero, principalmente li taglieremmo alle imprese.

FRANCESCO BARBATO. Signor Governatore, ieri c'è stata un'interessante e intelligente iniziativa della regione Campania, la quale, tramite l'assessore alle attività produttive, ha convocato un tavolo comune, con la presenza dell'ABI e del direttore della sede di Napoli della Banca d'Italia, Sergio Cagnazzo. Questo incontro era finalizzato a sbloccare le risorse per cofinanziare il Fondo di garanzia nazionale per le imprese, importantissimo, soprattutto in questo momento, per favorire il consolidamento delle passività delle imprese stesse.
La mia domanda, forse un po' ingenua, prende spunto dall'iniziativa abbastanza particolare, annunciata nei giorni scorsi dal Governo, con la quale è stato chiesto alle prefetture di controllare le banche. Oggi è stata coinvolta la Banca europea; forse, domani, sarà coinvolto l'esercito e dopodomani l'ONU. Probabilmente faranno svolgere agli avvocati il mestiere di imbianchino e agli elettrauto il mestiere di chirurgo.
Ebbene, vorrei chiedere se la Banca d'Italia può, motu proprio, avviare un'attività di controllo sul credito, o meglio, dato il particolare momento, sulla restrizione del credito, che riscontriamo soprattutto nel sud Italia, dove non si trovano banche che partecipino ai cofinanziamenti per le imprese. Consideri che in Calabria le imprese non riescono a trovare fideiussioni assicurative o bancarie per accedere ai finanziamenti della regione, che sono anche di provenienza comunitaria.
Insomma, la prima domanda che le pongo è se davvero vogliamo che gli organi preposti funzionino.
La seconda domanda è un po' più maliziosa. In Campania, per esempio - lo dice CONFAPI - ci sono interi pacchi di lettere (per richieste di rientro del credito o comunicazioni di riduzione o rifiuto di credito) che i grandi istituti inviano alle piccole e medie imprese. Le banche di credito cooperativo e le popolari, al contrario, continuano a svolgere il loro lavoro di credito, anche a fianco delle piccole e medie imprese. Questo è forse segno dell'eterno conflitto di interessi che i grandi istituti di credito presenti nel capitale di Bankitalia determinano, per cui controllore e controllato si ritrovano insieme?

IVANO STRIZZOLO. Intendo anch'io esprimere apprezzamento per le considerazioni che il Governatore ha portato alla nostra attenzione. Aggiungo solamente tre riflessioni brevissime, rispetto a quanto detto da altri colleghi, in modo specifico dal collega Bersani.
Il primo punto riguarda l'esposizione di alcuni nostri rilevanti istituti bancari nei


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Paesi dell'est. Abbiamo una valutazione che parla di 150 miliardi di euro. Ebbene, poiché voci sempre più marcate e frequenti parlano, in questi ultimi giorni, di un rischio davvero imminente di possibili default nell'area del centro-est europeo, dove queste rilevanti banche nazionali hanno investito, le chiedo se vi siano delle misure o degli accorgimenti che la Banca d'Italia sta approntando per far fronte a questo rischio.
In secondo luogo, vorrei sottolineare un punto delicato, che riguarda la richiesta, da parte di piccole e medie imprese, di erogazione di credito rivolta agli istituti bancari. La mia domanda è se vi sia un metodo o degli strumenti attraverso cui poter verificare se una banca che ha operato una riduzione della linea di credito verso un'impresa - la quale chiede, invece, la conferma o il rafforzamento del credito - lo abbia fatto in ragione di reali elementi negativi emersi nella valutazione dell'impresa stessa e non, piuttosto, per via di una rafforzata prudenza della suddetta banca nella concessione del credito.
Questo, a mio avviso, è il vero punto delicato, rispetto al quale sicuramente le prefetture non hanno - con tutto il rispetto - la competenza tecnica per operare le opportune verifiche.
Infine, intendo esprimere un apprezzamento circa la possibilità di introdurre, con una futura normativa, il meccanismo dell'IVA di gruppo, come ricordato dal Governatore.

PRESIDENTE. Colleghi, abbiamo ancora cinque iscritti a parlare. Se riuscissimo ad essere concisi avremmo tempo anche per la replica del Governatore; diversamente, ci troveremmo nella condizione di chiedere una risposta scritta. Altrimenti, riterrei di passare ad un primo blocco di risposte e, se resta il tempo, procedere con le altre domande.
Do la parola al Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi.

MARIO DRAGHI, Governatore della Banca d'Italia. Rispondo innanzitutto all'onorevole Borghesi, che ha riferito la sensazione che la Banca d'Italia abbia avuto difficoltà a capire cosa stesse avvenendo. Questa osservazione può essere considerata su due piani. Il primo: la Banca d'Italia era o meno avvertita, molto prima - mi riferisco a due anni prima -, della crescente rischiosità del sistema? La risposta è sì. Nel mio primo discorso, nel febbraio del 2006, appena nominato Governatore, ho parlato chiaramente dei rischi presenti nei prodotti derivati, soprattutto in alcuni di essi, e delle cifre imponenti che aveva ormai raggiunto questa intermediazione finanziaria basata su pilastri molto fragili, sulla sabbia. La conoscenza, quindi, c'era; così come c'era nella Banca dei regolamenti internazionali e nel Financial Stability Forum, l'organismo di regolatori che presiedo. Ci sono lettere inviate da questi organismi ai vari Governi, nelle quali si metteva in luce il crescente allarme su tali situazioni. Pertanto, se questo è il senso della domanda, la risposta è che la conoscenza c'era, perlomeno in molti, con alcune serie eccezioni.
Il secondo piano dell'osservazione fa scaturire un'altra domanda: perché non si è fatto nulla? Perché non si è realizzata una volontà collettiva? Intanto, non dimentichiamo che alcune di queste banche avevano ormai valori che le mettevano in cima alla graduatoria delle grandi imprese, molto più in alto di alcune grandissime imprese industriali. Pertanto, un'azione su questo fronte richiedeva una sensibilità e un coordinamento internazionali, essendo infatti - come in una certa misura lo è ancora - un mercato globale.
Questa azione collettiva di grande sensibilità e di grande intensità, in un momento in cui sembrava che il mondo andasse sempre meglio e c'era un enorme ottimismo inconsapevole, è stato proprio ciò che è mancato. Bisogna, peraltro, distinguere tra il resto del mondo e l'Italia, laddove per «resto del mondo» si deve intendere soprattutto le piazze finanziarie internazionali più importanti, dove queste cose sono avvenute.


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Non dimentichiamo che, ancora oggi, l'85-88 per cento dell'industria dei servizi finanziari si trova fondamentalmente in due piazze: New York e Londra.
La crisi ha origine da serie mancanze regolamentari in un mercato che, fino a quel momento, era considerato relativamente marginale: quello dei mutui immobiliari americani di cattiva qualità. Per vari mesi si è pensato che quel mercato fosse talmente marginale da non riuscire a infettare il resto del sistema finanziario. Questo è stato il secondo errore: non aver capito la velocità di propagazione. Sostanzialmente, tutti gli attori di questo sistema, infatti, avevano una quantità di debiti che non immaginavano di avere.
Ci sono tanti motivi per questa crisi ma, se si volesse individuare il più importante, dovremmo dire che il livello di debiti, rispetto al patrimonio che l'intero sistema aveva, era molto più alto di quanto gli stessi attori sapessero. In altre parole, c'era una mancanza di percezione e una gestione dei rischi completamente fuori rotta.
Questo è il motivo per cui questa crisi di dimensioni relativamente limitate si è propagata velocemente e ha messo molto rapidamente a repentaglio la stessa esistenza di queste istituzioni, che prima erano considerate i pilastri della solidità mondiale.
In Italia, abbiamo una storia completamente diversa. Proprio per i motivi di cui abbiamo discusso prima, circa la caratteristica delle nostre istituzioni bancarie, la nostra vigilanza era certamente indirizzata ai prodotti, ma, cosa più importante, essa era indirizzata agli intermediari, soprattutto alla loro stabilità.
Se mi si chiede se la Banca d'Italia, in questi ultimi anni, abbia mancato in qualcosa rispetto alla vigilanza degli intermediari, francamente la risposta è negativa. La vigilanza della Banca d'Italia è stata profondamente riorganizzata e rivista; tuttavia, in questi tre o quattro anni passati, cioè a partire dagli scandali di cinque-sette anni fa, non ci sono stati casi di intermediari italiani saltati, come invece è accaduto in altri Paesi. Evidentemente, la vigilanza della Banca d'Italia non è completamente fuori sintonia.
Vengo, ora, al punto riguardante il credito alle piccole e medie imprese.
Ho parlato di una duplice necessità: mantenere una sana e prudente gestione e saper fare il banchiere anche quando l'economia va male. Ho detto, altresì, che non basta tenere i conti in ordine: se tutti si limitano a tenere solo i conti in ordine, infatti, l'economia va male e alla fine gli stessi clienti delle banche smettono di pagare. Questo, dunque, è un obiettivo, ma raggiungerlo non è facile: occorre, come dicevo, saper fare il banchiere.
Come mi sembra l'onorevole Strizzolo dicesse prima, occorre trovare quel punto di equilibrio per essere in grado di giudicare il merito di credito di un cliente la cui impresa attraversa un momento di grave difficoltà e capire se, una volta superata la crisi, quella è un'impresa solida che merita il sostegno. Questo è ciò che occorre fare. Se tale obiettivo sia raggiungibile tramite l'imperio e la prescrizione amministrativa, francamente non lo saprei dire. Noi abbiamo una storia di credito agevolato, di credito regolato, di credito indirizzato e non è esattamente una storia piena di successi.
Nello stesso tempo, non credo neanche che lasciare andare avanti in questo modo il sistema sia la scelta corretta: bisogna guardare caso per caso, azienda per azienda, situazione per situazione, comparto industriale per comparto industriale. Bisogna, in un certo senso, avvicinarsi alla realtà - questo è il punto - e guardare esattamente i comportamenti. Non ho una regola per far ripartire il sistema bancario e per raggiungere quel punto di equilibrio tra giudizio del merito di credito e capacità di capire che l'impresa è solida, che sarà in vita e attiva e darà lavoro da qui ad un anno.
Per quanto riguarda le remunerazioni, le banche che sottoscrivono i bond dello Stato, i bond capitali, ossia quegli strumenti che abbiamo definito «ibridi», sottoscriveranno anche un protocollo. Inoltre,


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la Banca d'Italia circa sei o sette mesi fa ha pubblicato delle istruzioni di vigilanza che riguardano anche le remunerazioni. Tali istruzioni sono soggette ora a consultazione pubblica ed entreranno in vigore, non ricordo bene se entro i primi di giugno o alla fine dello stesso mese. Accanto ad esse ci saranno dei princìpi di remunerazione internazionale. Ricordo, inoltre, che la Banca d'Italia è stata la prima al mondo a fare ciò: infatti, non ci sono altri enti di vigilanza che hanno emanato istruzioni sui compensi dei manager bancari.
Nell'ultima riunione, tenutasi il fine settimana scorso, il Financial Stability Forum ha emanato dei princìpi di regolamentazione delle remunerazioni a livello mondiale. La preoccupazione maggiore riguarda l'esigenza che non si mettano in piedi schemi di remunerazione che inducano i banchieri a prendere più rischi di quanto sia necessario. Effettivamente, questo era quello che prima avveniva, sia nella contabilizzazione degli utili, sia proprio nel modo in cui erano strutturati. Quindi, l'enfasi di questi princìpi non tanto è diretta a stabilire dei tetti massimi di compensi, quanto ad evitare che la banca, quindi gli azionisti e i dipendenti, alla fine vengano gravati da rischi che non avrebbero assunto se il sistema di remunerazione fosse stato più equilibrato. Questo è l'obiettivo di tali princìpi.
Nel caso della Banca d'Italia le istruzioni di vigilanza vanno proprio in questa direzione, quindi anticipano, in un certo senso, di un anno il Financial Stability Forum e aumentano anche la trasparenza della determinazione dei compensi. In altre parole, l'assemblea degli azionisti è chiamata a decidere esplicitamente sui programmi di compensazione e di remunerazione in una maniera che prima non avveniva.
Più commissari hanno posto la questione se la Banca d'Italia sia controllata dalle banche, e quindi si trovi in una situazione di conflitto di interessi. Storicamente la proprietà della Banca d'Italia è divisa in quote che sono di proprietà del sistema bancario. A seguito delle fusioni operate tra banche, due banche in particolare, Unicredito e Banca Intesa, sono arrivate ad avere una quota straordinariamente elevata. È cambiato qualcosa per la Banca d'Italia? Non è cambiato assolutamente niente, perché la legge garantisce comunque alla Banca d'Italia una protezione completa e totale nei confronti degli azionisti. Quindi, si tratta di una situazione che dobbiamo probabilmente risolvere ma che costituisce un dato più ottico, quasi estetico, che non sostanziale. La proprietà della Banca d'Italia non ha nessuna influenza né per quanto riguarda la politica monetaria né per quanto riguarda le decisioni di vigilanza. Quindi, la Banca d'Italia resta completamente indipendente; pertanto non c'è nessuna relazione tra la struttura della proprietà e l'indipendenza o l'autonomia o la capacità decisionale della Banca stessa.
Per quanto riguarda la vigilanza, non metterei a confronto il caso Zaleski con quello del Banco ambrosiano. Quello del Banco Ambrosiano è stato un caso di fallimento internazionale di proporzioni gigantesche, con elementi molto inquietanti di segretezza e di trame, che hanno coinvolto anche vite umane. Insomma, è stato considerato per molti anni - ora, dopo gli ultimi tre o quattro anni, non più - uno dei più grandi fallimenti internazionali del sistema bancario mondiale. Al punto tale che la regolamentazione sui requisiti di capitalizzazione delle banche, sul perimetro della regolamentazione nei confronti dei bilanci dei gruppi bancari e via dicendo è cambiata proprio a seguito di quanto è successo con il Banco ambrosiano.
Infatti, effettivamente, all'epoca i sistemi di vigilanza si trovarono improvvisamente inermi di fronte ad un gruppo che aveva sì una sede in Italia, ma aveva anche un'enorme quantità di attività all'estero che non erano regolamentate. Ora, il caso Zaleski è molto diverso: si tratta di una situazione finanziaria molto difficile che peraltro è stata risolta dalle banche.


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Torno però alla domanda, perché è in un certo senso collegata: risolvere situazioni come quella di Alitalia o il caso Zaleski o altre ancora sottrae risorse in questo momento alla media e piccola impresa? La risposta è negativa. Non è vero che le banche non hanno risorse; infatti, a partire dall'inizio della crisi, l'intero sistema bancario è stato inondato di liquidità da parte delle banche centrali. Oggi in giro c'è più liquidità di quanta ce ne fosse prima della crisi; il problema è che essa non si muove perché la percezione del rischio è tale per cui le banche non realizzano più determinate operazioni.
Per darvi un'idea, fino a quattro settimane fa il sistema bancario europeo, ma anche non europeo, attingeva alla Banca centrale europea per quantità molto importanti e poi ridepositava presso la Banca centrale quello che aveva ricevuto come finanziamento pagando un costo. Evidentemente il tasso a cui venivano remunerati questi depositi era più basso del tasso a cui venivano finanziati; pertanto, pur pagando un costo, il sistema bancario continuava a mantenere i depositi fermi, per cui il denaro non circolava. Ora, per fortuna, questo fenomeno si è molto attenuato. Questo per dire che, soprattutto in Italia, le banche non hanno scarsità di capitali; quindi non ci troviamo nella situazione in cui, essendo scarsi di capitale, se si danno per esempio i soldi ad Alitalia non si ha la possibilità di darli ad altri. In realtà, il problema che dobbiamo affrontare è quello di riuscire a capire - è stato detto molto bene da vari di voi - qual è questo punto di equilibrio tra merito di credito e consapevolezza che l'impresa sia valida.
Vorrei spendere due parole anche sulla questione della Banca Italease, dato che è stata sollevata. Il caso Italease viene scoperto da un ispettore della Banca d'Italia; sembra difficile da comunicare, ma è così. Infatti, in relazione al repentino e consistente sviluppo dell'attività in derivati di Banca Italease, rilevato dalla Banca d'Italia nelle analisi condotte in via cartolare, fu disposta nel gennaio 2007 un'ispezione di vigilanza volta a certificare la correttezza delle affermazioni rese dall'azienda circa la natura, cosiddetta «innocua», dei derivati posti in essere.
L'ispezione ha fatto emergere irregolarità nell'attività di negoziazione svolta dalla banca e caratteristiche dei derivati diverse da quelle segnalate, le quali erano all'origine di perdite anche rilevanti a carico della clientela. A seguito degli accertamenti la Banca d'Italia ha proceduto a segnalare le irregolarità riscontrate alla magistratura e alla Consob e ha assunto, immediatamente, provvedimenti nei confronti di Banca Italease concernenti, tra l'altro, il rinnovo integrale degli organi sociali, il divieto di porre in essere operazioni in derivati con i clienti e la realizzazione di un aumento di capitale di ammontare idoneo sia per la copertura di tutte le perdite registrate dall'azienda sia per assicurare adeguati equilibri tecnici. La situazione si è poi evoluta, fino alla conclusione cui si è giunti nel corso di quest'ultimo fine settimana.
In definitiva, si è trattato di un caso molto difficile nei confronti del quale, però, sostanzialmente la Banca d'Italia e la sua vigilanza hanno agito in maniera tempestiva non appena diagnosticato il fenomeno. Naturalmente, se non ci fosse stato questo intervento la situazione si sarebbe protratta chissà quanto a lungo.
Dunque, è possibile - credo che la domanda sottintendesse questa considerazione - prevenire in maniera tale da neutralizzare sul nascere qualsiasi «pasticcio»? È difficile. Ho riflettuto molto su questo problema, perché si vorrebbe che la vigilanza riuscisse a fare opera di prevenzione.
A questo proposito ritengo che si debbano distinguere casi diversi. Da un lato, ci sono aziende che si trascinano per molto tempo in situazioni che definirei di «malattia degenerativa»: tutti sanno che quella determinata banca va male, ma non si fa niente e quindi si va avanti per mesi o per anni. Ne abbiamo avuti di casi del genere, per fortuna vari anni fa. In quella circostanza, effettivamente, secondo me la


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vigilanza avrebbe dovuto intervenire subito senza aspettare che la situazione degenerasse in un cancro di proporzioni gigantesche, dal momento che c'erano gli allarmi, i dati e anche le conoscenze.
Tuttavia, in un mondo diverso, dove queste situazioni per fortuna sembrano essere meno frequenti che in un lontano passato, la Banca ha aumentato il numero delle ispezioni anche perché ne ha cambiato la filosofia e quindi esse sono in numero straordinariamente maggiore rispetto al passato. Dunque, la possibilità di prendere sul nascere situazioni che possono essere compromettenti è aumentata, ossia si è accresciuta la capacità di reazione della Banca.
Ciò nonostante, alla fine dei conti, chi deve veramente dare il primo segnale sono i consigli di amministrazione. Infatti, la capacità, la professionalità e l'integrità dei consiglieri di amministrazione rappresentano le antenne che, non solo la Banca, ma tutti hanno nei confronti delle singole aziende. Questo è il punto fondamentale. Di certo la Banca potrà anche aumentare le ispezioni, farne migliaia, come sta avvenendo adesso, ma è impossibile sostenere che sicuramente scopriremo tutti.
Per questo motivo è importante che i consigli di amministrazione siano composti da persone professionalmente competenti ma anche oneste, integre e coraggiose.

SERGIO ANTONIO D'ANTONI. È un po' complicato trovare tutte queste persone.

MARIO DRAGHI, Governatore della Banca d'Italia. L'esperienza recente, secondo me, insegna (Commenti). I requisiti di onorabilità sono importanti, ma non sufficienti.

MAURIZIO BERNARDO. Il problema non è tanto la dimensione - ovviamente la risposta che lei ha dato è soddisfacente - quanto il sistema adottato da Zaleski con alcuni istituti di credito. La questione - mi pare che, parlando con i colleghi informalmente, la si volesse sollevare - è come si sia arrivati a consentire a Zaleski, attraverso alcuni sistemi, di arrivare al punto in cui ci troviamo. Non è tanto la dimensione in sé del quantitativo di debito accumulato e poi ricontrattato.

PRESIDENTE. D'altra parte, mi scusi Governatore, credo che in tutti ci sia la preoccupazione che il cash messo a disposizione non serva a fare salvataggi come nel caso Italease; altrimenti alle imprese arriverà veramente molto poco.

MARIO DRAGHI, Governatore della Banca d'Italia. Vorrei rispondere su questo punto perché c'è una certa confusione nella stampa: sembra, infatti, che questi salvataggi o questi bond siano stati resi necessari per il Banco popolare dall'operazione Italease. Non è così. Il patrimonio del Banco popolare sarebbe stato sufficiente a soddisfare i requisiti regolamentari anche senza il ricorso agli strumenti governativi. Altrimenti, noi non avremmo potuto dare l'autorizzazione dal momento che uno dei requisiti per l'autorizzazione è proprio questo, ossia che la banca possa stare in piedi da sola.
Nel caso specifico, i numeri sono questi: la banca ha un core tier 1 senza strumenti e senza Italease di 5,7 per cento e ha un patrimonio di vigilanza - senza strumenti ma con Banca Italease - del 4,7 per cento. Siamo quindi in presenza di un limite che, peraltro, altre banche avevano. Non è che questi strumenti vengano sperperati per operare dei salvataggi.
Detto questo, la questione Italease si è risolta, come sapete, nello scorporo in tre attività diverse: una good bank, una bad bank e poi la vecchia Italease. Tenete presente che, a fronte della vecchia Italease, ci sono circa 11 miliardi di euro di passività nei confronti del mercato. Quindi, è estremamente importante che la vicenda abbia avuto una soluzione all'interno del sistema delle banche. Chi ha comprato le obbligazioni di Italease oggi, evidentemente, è più tranquillo di quanto non lo fosse prima.
Rispondo adesso alle domande poste dall'onorevole Bersani. Per quanto riguarda


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le nazionalizzazioni, per operare qualunque intervento - che sia quello della nazionalizzazione, quello della bad bank o quello della segmentazione degli attivi tossici e la loro evidenziazione nel bilancio - la prima condizione è riuscire a fare un esercizio di trasparenza. Questo significa, naturalmente, sapere quello che c'è dentro, ma anche qual è la valutazione che se ne dà.
Per darvi un'idea, a novembre dello scorso anno - quindi, non un anno fa - alcune banche americane valutavano la stessa attività, lo stesso titolo tossico, una a 90 cent su dollaro, un'altra a 50 cent su dollaro. Questo sistema, dunque, non è tale che possa produrre fiducia nel mercato, fiducia nel sistema bancario.
La prima condizione, pertanto, è la trasparenza, ed è quella che l'amministrazione americana sta perseguendo in questo momento attraverso lo stress test, vale a dire un test sulla solidità bancaria, condotto dalla Federal Reserve di New York, su tutte le più grandi banche. I risultati di questo test credo saranno pronti tra un paio di settimane. A quel punto, l'obiettivo del test è verificare, secondo valutazioni abbastanza rigorose, qual è il bisogno di capitale di queste istituzioni. L'impegno è quello di dare loro capitale, facendo tutto ciò che è necessario.
La nazionalizzazione delle banche avviene quando questi importi sono tali, evidentemente, da prendere la maggioranza del capitale.
L'atteggiamento attuale delle autorità americane è quello di dare questa offerta di capitale sotto forma di azioni privilegiate, non ordinarie, in maniera tale da non prendere immediatamente il controllo di queste banche. In un termine di circa due anni, però, si vedranno i risultati e, in quel momento, queste azioni privilegiate dovrebbero essere convertite in azioni ordinarie. Quindi, la possibilità di una nazionalizzazione esiste, ma non è lo scopo dell'intervento, piuttosto il risultato, la conseguenza.
Per la domanda relativa ai motivi per i quali le nostre banche hanno corsi azionari che non le distinguono dalle altre banche che vanno peggio, non ho una risposta precisa. Non potrei dire altro che esiste una sorta di sfiducia da parte degli investitori nei confronti del cosiddetto comparto finanziario. Inoltre, naturalmente il contagio, nel comparto finanziario, è molto più elevato che nel comparto industriale, per certi aspetti. Questo spiega anche il fatto che istituzioni oggi sane possano venire contagiate domani dal fallimento di un'altra istituzione. Quando diciamo che le istituzioni sono «sistemicamente» importanti intendiamo dire proprio questo. Lehman Brothers è l'esempio più classico: quando è saltata, sono saltate anche altre istituzioni.
Il mercato sconta questa circostanza e, sostanzialmente, le quotazioni azionarie cadono perché tutto il sistema viene considerato a rischio di contagio.
Circa l'opportunità di avere una politica industriale nell'erogazione del credito, attualmente, l'attenzione è più focalizzata a trovare uno strumento che possa avere tutte quelle caratteristiche che richiamavo nella mia relazione, ossia uno strumento che riattivi il canale del credito, più che a pensare di dirigere il credito in qualche settore.
Se oggi riuscissimo a riattivare i canali del credito, sarebbero un enorme successo. Se, poi, riuscissimo a individuare esattamente il settore nel quale vogliamo avere il massimo successo, sarebbe ancora più importante. Al momento, però, non c'è una riflessione al riguardo.

PIER LUIGI BERSANI. Mi scusi Governatore. Io mi riferivo, in particolare, a quelle imprese operanti nei settori che negli ultimi due anni, o almeno l'anno scorso, si sono esposti all'innovazione e che adesso, dopo aver fatto investimenti, hanno le macchine ferme, mentre le banche chiedono loro i soldi.
Credo che questo sia il clou della preoccupazione industriale in questo momento.

SANTO DOMENICO VERSACE. Sono d'accordo con l'onorevole Bersani. Effettivamente


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c'è gente che ha fatto programmi di investimenti importanti; noi, ad esempio, per fare gli investimenti nelle varie parti del mondo, abbiamo chiesto crediti per 70 milioni di euro. Parlo di aziende più che sane e che hanno dimostrato di esserlo nel corso degli anni. In questo caso bisognerebbe intervenire con un consolidamento.
Ci sono molte aziende in difficoltà. Chi è sano ha fatto programmi di grossi investimenti e adesso, dopo la riduzione dei fatturati e dei ricavi e dopo un indebolimento del credito anche verso i clienti, si trova in serie difficoltà. Questo è il vero problema. Parliamo di aziende sane che hanno un grande futuro.

MARIO DRAGHI, Governatore della Banca d'Italia. Sempre in questo ordine di considerazioni, oggi ci sono imprese che vantano crediti nei confronti dello Stato e non solo rischiano di fallire perché questi crediti non vengono pagati, ma lo stesso Stato continua a chiedere a queste imprese altri lavori. Questi crediti dell'amministrazione pubblica nei confronti delle imprese sono di importi molto rilevanti.

SANTO DOMENICO VERSACE. Sono trenta o settanta?

MARIO DRAGHI, Governatore della Banca d'Italia. La fascia è quella giusta.
L'onorevole Fugatti ha posto una domanda sulla revisione delle regole: come mai ci hanno detto per tanti anni alcune cose e ora il mondo è cambiato. Evidentemente, il modello su cui si basava lo sviluppo dell'industria dei servizi finanziari inizialmente funzionava bene dove la gestione del rischio è stata attenta.
Intendiamoci, la globalizzazione, l'integrazione dei mercati finanziari non è la causa che ha portato al disastro. A portare al disastro è stata una gestione del rischio, è stata un'innovazione finanziaria introdotta senza capirne le conseguenze, è stato un atteggiamento da parte dei regolatori che hanno mancato, soprattutto negli Stati Uniti, nell'autorizzare un grado di indebitamento molto al di sopra di quello che era stato autorizzato in passato. Non dimentichiamo che, se non ricordo male, nel 2005 la SEC, la Commissione di borsa americana, autorizzò le banche a contrarre un grado di indebitamento molto al di là dei coefficienti permessi fino ad allora.
Dunque, all'origine ci sono state misure di questo tipo, come ci sono state misure che hanno trascurato il crearsi di questa bolla dei mutui immobiliari di cattiva qualità. Sicuramente in questo ci sono state delle mancanze regolamentari. Più in generale, c'è stata una cultura della gestione del rischio e anche dell'avidità da parte dei protagonisti di questa finanza che ha accelerato lo scoppio di questa bolla speculativa. Ci sono state, oggettivamente, anche delle politiche macroeconomiche che sono alla base di tutto questo, quindi antecedenti. Penso all'eccessiva creazione di liquidità e agli squilibri globali nelle bilance dei pagamenti.
Se torniamo indietro, pensando ad esempio alla grande crisi degli anni Trenta e ad altre crisi del passato, all'origine ci sono sempre degli squilibri macroeconomici globali di proporzioni significative. Per certi aspetti, questi squilibri sono simili a quelli che hanno posto le basi per il formarsi di quella bolla speculativa che è scoppiata oggi.

PRESIDENTE. L'espansione dei credit default swap (CDS) rispetto ai sottostanti collarized debt obbligation (CDO) non ha preoccupato i regolatori?

MARIO DRAGHI, Governatore della Banca d'Italia. No, tanto è vero che continua ad esserci. Evidentemente questo è uno strumento con cui la gente si assicura dal rischio di credito.
L'elemento che, però, avrebbe dovuto preoccupare i regolatori è un altro. Oggi una banca guarda il cliente e decide se è rischioso e se merita l'affidamento oppure no; in questo modo giudica il rischio. Se, però, la banca si assicura con una controparte sul rischio di credito di questo


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cliente, innanzitutto ha meno incentivo a guardare il cliente e a valutarne il rischio di credito, in secondo luogo questo strumento viene scambiato e venduto, dunque il nesso tra controparte e cliente si perde del tutto. Pertanto, il giudizio sul merito di credito diventa molto più complicato.
Quello che si sta facendo oggi, dopo che il mercato si è notevolmente sgonfiato, è portare tutti questi credit default swap a convergere su una piattaforma centralizzata. Si continuano, dunque, a realizzare i contratti, ma questi vengono standardizzati, misurati nella loro solidità da certi criteri obiettivi; inoltre, la controparte di questi contratti non è più un signore incognito che poi sparisce, ma al centro c'è una controparte pubblica, nel caso specifico.
In un certo senso, sebbene in misura molto più ridotta, è la stessa creazione di piattaforme centralizzate che si osserva a livello di Banca centrale europea oppure è simile a quanto fatto dalla Banca d'Italia con il mercato interbancario collateralizzato. In altre parole, si mette una controparte pubblica al centro del mercato, per cui se c'è una parte insolvente, questa non causa il crollo di tutto il sistema perché la controparte centralizzata interviene e lo sostiene.
Per completare la risposta all'onorevole Fugatti, oggi si sta facendo un grande sforzo di revisione delle regole, di ricostruzione. Come mi capita spesso di dire, quello del futuro sarà un sistema che avrà più capitale, meno debito, più regole e sarà meno permeabile agli incentivi perversi che hanno determinato il crollo dell'industria dei servizi finanziari. Questa è la filosofia di tutto il lavoro che oggi si sta svolgendo per ricostruire questo sistema di regolamentazione internazionale.
Fiscalità e credito. Se vogliamo far ripartire il credito bisogna fare ordine anche dal punto di vista fiscale. Maggiori tasse, due miliardi in più all'anno, si traducono in meno capitale e meno credito. In altre parole, ci sono delle strade che possiamo percorrere su questo punto. Non ho parlato del modo di finanziare queste riduzioni di imposte, perché si tratta di un discorso che vorrei tenere separato.
L'onorevole Barbato ha detto il vero, quando ha osservato che oggi si assiste ad una contrazione del credito da parte delle aziende bancarie più grandi e una non simile contrazione da parte di quelle più piccole. Questo può avere tanti motivi; uno è che sicuramente le aziende bancarie più grandi devono obbedire ai requisiti di capitalizzazione e di rischio di Basilea 2, mentre quelle più piccole ne sono esenti. Pertanto, quando il cliente diventa più rischioso per un'azienda di credito grande, l'azienda deve mettere a fronte del fido più capitale, il che comporta più costi per l'azienda stessa; come conseguenza, l'azienda fa pagare di più il cliente, che si trova di fronte a un bivio: o paga di più o cambia banca. Quello che sta succedendo è che i clienti cambiano spesso banca.

PRESIDENTE. Se il Governatore non ha difficoltà, potremmo proseguire con gli altri iscritti per le ultime domande, a condizione che i colleghi assicurino una brevità degli interventi.

MARCO CAUSI. Signor presidente, rinuncio a parlare perché gli argomenti che volevo porre sono stati già trattati.

MARCO PUGLIESE. Vorrei brevemente rivolgere una domanda al Governatore, il quale, nel tratteggiare attentamente la crisi economica, finanziaria e bancaria che ha investito il Paese, ha più volte sottolineato che, per fortuna - e anche per bravura dei manager di alcuni istituti bancari, aggiungo io - molte banche italiane non avevano acquistato tanti fondi cosiddetti «tossici». È vero, però, che molti istituti bancari, anni fa, hanno fatto enormi investimenti in fondi azionari e obbligazionari con valuta estera, in particolare il dollaro. Vorrei chiedere, quindi, al Governatore se si possa parlare anche di crisi valutaria (nel 2008, infatti, l'euro era scambiato, nei confronti del dollaro, a


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1.60) e se questa abbia inciso sulla crisi economica e finanziaria che ha colpito il nostro Paese.

FRANCO CECCUZZI. Signor Governatore, lei ha affermato che le istituzioni hanno lasciato che siano gli azionisti a sopportare le perdite. Direi, però, che ci sono diversi tipi di azionisti. Ci sono, infatti, quelli di lungo periodo, che hanno spalle robuste per sopportare queste perdite; ci sono azionisti a vocazione industriale, che hanno insita, nel concetto del rischio, anche la possibilità di perdere; ci sono poi le famiglie, anch'esse azioniste, che hanno visto contrarsi il loro reddito disponibile del 5-6 per cento circa, a seguito della contrazione dei listini e delle perdite che si sono verificate in Borsa.
La Borsa, in quest'ultima fase, sembrava più un luogo di distruzione di valore che un luogo di raccolta di capitali. La Banca d'Italia aveva anche istituito un gruppo di lavoro che ha proposto, nel luglio scorso, alcune soluzioni tecniche per cercare di rilanciare i mercati finanziari e soprattutto i fondi. Le chiedo, dunque, cosa pensa rispetto a questo importante problema, che, sebbene nella crisi e nell'emergenza, rimane un punto da affrontare.

MATTEO BRAGANTINI. Pongo una domanda davvero velocissima. A pagina 8 della relazione si legge che, tra settembre e dicembre, le linee di credito esistenti si sono ridotte dell'1 per cento. Vorrei capire se questa riduzione è in termini numerici o di valore. Vorrei inoltre sapere come è stato il mercato per queste nuove linee di credito, se esse siano state ridotte o meno.
Per essere chiari, da settembre in poi, tantissime piccole e medie aziende hanno ricevuto una richiesta di riduzione dei fidi già in essere e si sono viste negare un'apertura di nuovo credito. Vorrei capire cos'è successo. Se l'1 per cento è in termini di valore, infatti, posso anche comprenderlo: si sono aumentati i valori per le grandi aziende, che hanno le spalle più grandi e dispongono di un patrimonio più importante come garanzia, ma si è fatta una riduzione del credito alle piccole e medie imprese, che sono l'ossatura della nostra economia. Questo sarebbe grave. Occorre stare attenti alle piccole e medie imprese. A questo si è, in parte, già risposto ma volevo un po' di chiarezza riguardo alla situazione attuale e a quel che è successo in questi mesi.

SANTO DOMENICO VERSACE. Farò una considerazione velocissima. Ringrazio il Governatore perché ha detto una verità fondamentale: tutto dipende dalla qualità dei consigli di amministrazione. Ho vissuto questa esperienza sotto tutti gli aspetti, ma ritengo che alla base di tutto ci siano l'onestà, la competenza e l'indipendenza dei consigli di amministrazione.

LINO DUILIO. Pongo solo due domande, chiedendo scusa in anticipo se fossero già state poste, in quanto sono arrivato in ritardo.
La prima domanda riguarda la Banca centrale europea: essa si è molto preoccupata di tener d'occhio l'inflazione, applicando la relativa politica dei tassi di interesse, anziché occuparsi di altro. Molti hanno giudicato ciò un caso di grave strabismo e vorrei sapere se, almeno col senno di poi, lei ritiene questa diagnosi azzeccata.
La seconda domanda è, per così dire, di prospettiva macroeconomica. Avrà visto questo bel libretto che ripubblica il saggio di Keynes «Prospettive economiche per i nostri nipoti», commentato da Guido Rossi, e che aggiunge al titolo originale un punto interrogativo. Lei pensa che, dopo questa crisi che molti giudicano epocale, ci sia in vista e che sia comunque un'esigenza assolutamente improcrastinabile una nuova Bretton Woods? Non mi riferisco, evidentemente, a quella del 2008, di cui nessuno già si ricorda, ma a quella del 1944. Pensa che i rapporti tra i diversi Paesi ridefiniranno, inevitabilmente, anche gli assetti di potere e, quindi, che la cosa possa non avvenire in maniera così pacifica, se è vero, come è vero, che il G8 ha


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ormai poco significato e il G20, invece, è la nuova realtà che dovrà dotarsi anche di un conseguente impianto finanziario a livello mondiale?

PRESIDENTE. Concluderei velocemente con alcune brevi e semplici domande.
Lei ha fatto un rapido accenno alle considerazioni del gruppo De Larosière, relativamente alle vigilanze integrate; d'altra parte, nei suoi passaggi, è evidente un approccio multilaterale rispetto al tema della vigilanza. Ritiene che la Banca centrale europea, così come sostenuto recentemente da Bini Smaghi - al riguardo, ho recentemente potuto partecipare ad una riunione, a Bruxelles - possa effettivamente accentrare il controllo, soprattutto sui grandi gruppi internazionali, che hanno presenza in più Paesi?
In secondo luogo, vorrei sapere come stanno andando gli stress test che state facendo sulle banche. Il sistema funziona o ritenete che debba essere migliorato?
Un'ulteriore questione riguarda il funzionamento delle sedi provinciali della Banca d'Italia. Non ritiene che, invece di concentrare gli elementi disaggregati o aggregati, a seconda dei casi, nelle sedi regionali, con il rischio di allontanare il controllo sulle effettive dinamiche provinciali, si debba pensare ad una ripresa delle funzionalità delle sedi provinciali, proprio nell'ottica di aiutare i prefetti?
Infine, ho molto apprezzato la sua segnalazione in relazione ai collaterali, quindi sui collarized debt obbligation. Non ho ben capito, però, se l'intervento dello Stato debba essere fatto sul mezzanino o sulla parte bassa della piramide dei cosiddetti «certificati di debito». L'inserimento e l'avvio di queste senior tranche, infatti, potrebbe essere obiettivamente interessante e dare ulteriori mezzi al mercato.
Le do nuovamente la parola per rispondere agli ulteriori quesiti posti.

MARIO DRAGHI, Governatore della Banca d'Italia. Rispondo all'onorevole Pugliese e all'onorevole Ceccuzzi, che mi hanno posto due domande che vanno, effettivamente, nella stessa direzione. Le banche hanno fatto investimenti in fondi, anche consistenti; non credo che l'origine dei problemi sia dovuta a perdite valutarie, ma, purtroppo, più intensamente - e, in un certo senso, anche indipendentemente dalla crisi - a una riduzione del risparmio gestito. C'è stato, infatti, un massiccio ritiro dei risparmi dai fondi, giustificato anche dai rendimenti bassi e dalle commissioni alte chieste da questi fondi. In questo momento, quindi, tutta l'industria del risparmio gestito, non solo quella italiana, è in una situazione che vede sostanzialmente pochi grandi vincitori e molti sconfitti e prelude, pertanto, a forti ristrutturazioni.
Le conclusioni di quel gruppo di lavoro avevano due dimensioni: una fiscale, e su questo fronte restano ancora le richieste che faceva il settore, ossia sostanzialmente di poter essere tassato sugli utili realizzati e non maturati perché gli utili maturati generano degli enormi crediti di imposta che restano bloccati nei bilanci e non possono essere né distribuiti né reinvestiti; per quanto riguarda altre richieste, ad esempio un diverso atteggiamento delle banche nei confronti del risparmio gestito - in altre parole minore competizione da parte dei prodotti bancari, in primis delle obbligazioni, rispetto al risparmio gestito - e ad altre richieste di questo tipo, chiaramente l'impeto di cambiamento si è un po' fermato o, comunque, si è molto rallentato con la crisi generale.
Da quanto capisco, però, l'intenzione soprattutto delle associazioni di rappresentanti e gestori è quella di riprendere il più presto possibile questi temi per poter arrivare a un cambiamento. Ad un certo punto, poi, la situazione comincerà a ripartire ma, se le strutture e il sistema rimangono ancora quelli di prima, avremo gli stessi problemi. Come dicevo, infatti, il ritiro è cominciato prima della crisi. È un fenomeno che va avanti da tre o quattro anni.


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All'onorevole Bragantini rispondo che l'1 per cento di riduzione delle linee di credito è in termini di valore. Quindi, tra settembre e dicembre, le linee di credito esistenti si sono ridotte dell'1 per cento, a fronte di una sostanziale stasi delle effettive erogazioni. C'è stata, quindi, una diminuzione delle linee di credito e il suo riscontro sul territorio corrisponde alle cifre (Commenti dell'onorevole Bragantini). Noi osserviamo una diminuzione del credito alle piccole imprese. Leggo il passaggio della relazione: «Il rallentamento ha interessato tutte le categorie di debitori. Per le imprese il tasso di crescita su tre mesi è stato in gennaio pari al 5,5 per cento, circa tre punti in meno che a settembre; diminuivano però i prestiti alle imprese con meno di 20 addetti e all'industria manifatturiera». Quindi, in quel caso diminuiscono, ma siccome il tasso di crescita è sempre positivo, essi crescono da qualche altra parte: non crescono, però, né nelle imprese con meno di 20 addetti né nell'industria manifatturiera. Dove crescono, dunque? Soprattutto nel comparto dei servizi, evidentemente.
Passando ora alle questioni relative alla Banca centrale europea, il suo mandato è di assicurare la stabilità dei prezzi ad un livello inferiore o vicino al 2 per cento. Quindi, oggi che i prezzi tendono invece a scendere molto rapidamente, il mandato della Banca centrale europea è di portare questo livello verso il 2 per cento. Non trovo, dunque, che l'atteggiamento della Banca centrale europea sia di strabismo.
Il discorso si fa più complesso se vogliamo che le banche centrali abbiano altri obiettivi, oltre a quello della stabilità dei prezzi, in particolare quello del mantenimento della stabilità finanziaria. Attualmente, la Banca centrale ha l'obiettivo della stabilità dei prezzi, mentre la Federal Reserve ha quello della stabilità dei prezzi, del tasso di crescita e del mantenimento del pieno impiego. Sono, quindi, due mondi abbastanza diversi. Entrambe, oggi, si interrogano su cosa possano fare, come politica monetaria e come banche centrali, per evitare il ripetersi delle condizioni macroeconomiche che sono state alla base di questa esplosione speculativa, di questa sorta di enorme bolla.
A questo proposito, il discorso è più complesso. La sensazione è che tutti i banchieri centrali abbiano oggi la consapevolezza che non basti guardare solo all'inflazione, ma che occorra guardare anche alla stabilità dei prezzi delle attività finanziarie. In altre parole, se osserviamo dei comportamenti nei prezzi delle attività simili a quelli che abbiamo osservato nel 2003, 2004 e 2007, le banche centrali possono pensare di considerare questo aspetto. Non credo, però, che oggi la gente sia disposta a dire alla Banca centrale di occuparsi solo di questo e di abbandonare la stabilità dei prezzi, a dirle, cioè, di lasciare che l'inflazione vada avanti, per interessarsi della stabilità finanziaria.
L'idea, oggi, è che si debba guardare al mandato che le banche centrali hanno e poi trovare il modo - usando politiche diverse da quella monetaria, quindi politiche essenzialmente di regolamentazione - di tener sotto controllo gli sviluppi speculativi potenzialmente destabilizzanti.
Poiché ho sempre una gran difficoltà a delineare scenari e prospettive di lungo periodo, su questo non saprei rispondere. La sensazione, oggi, è che più che creare nuove istituzioni ci sia la volontà di ridisegnare quelle esistenti. Il recente incontro in Inghilterra, per esempio, ha portato in chiara evidenza la decisione di ricapitalizzare il Fondo monetario - si parla di 200 miliardi di dollari o anche di più - affinché esso possa intervenire nel sostenere i Paesi in difficoltà. Si parla di rafforzare il Financial Stability Forum in modo da farne un'istituzione nella quale non solo venga discussa e disegnata la regolamentazione globale da parte di chi ha poi la responsabilità di applicarla, ma che anche rappresenti una sorta di accordo che faccia sì che i suoi membri prendano un impegno. Si tratterebbe, dunque, di rafforzare questo organismo anche dal punto di vista istituzionale. Inoltre, si


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vuole dotare la Banca mondiale di nuovi mezzi. Ebbene, questa è la strada su cui ci si sta muovendo oggi.
Mi pare ci sia accordo nell'attribuire alla Banca centrale europea la cosiddetta «vigilanza macroprudenziale». Certo, vedremo quello che succederà, perché l'accordo è dei banchieri centrali, ma poi c'è il Parlamento europeo, la Commissione e così via.
Sugli stress test, il dottor Signorini mi fornisce una nota che vi leggo. «Abbiamo avviato, dallo scorso anno, un programma di prove di stress da sistema. Questi esercizi si aggiungono e integrano analoghi esercizi condotti autonomamente dalle banche. I risultati degli esercizi dello scorso anno, pur complessivamente rassicuranti, in alcuni casi avevano mostrato che i presidi di liquidità nei confronti di eventi estremi non erano adeguati». Come ho già detto prima alle banche interessate è stato chiesto di ricostituire prontamente un livello appropriato di liquidità. «Gli esercizi programmati quest'anno intendono valutare le conseguenze della recessione in atto sulla redditività e sul patrimonio degli intermediari».
In altre parole, secondo me, è necessario che le nostre banche si chiedano quali saranno le perdite su crediti - quindi non più attività tossiche, investimenti eccetera - ossia quanti saranno i clienti che alla fine non pagheranno.

SERGIO ANTONIO D'ANTONI. Le sofferenze...

MARIO DRAGHI, Governatore della Banca d'Italia. Ma anche oltre alle sofferenze, quali saranno le perdite su crediti che esse dovranno contabilizzare da ora e per il prossimo anno e mezzo, cioè fino a giugno del 2010, quando dovremmo essere già avviati. Dopodiché, dovranno dire una cifra e, data questa cifra, chiedersi se hanno il capitale per affrontare quella situazione oppure no. Per far questo devono tenere in considerazione essenzialmente due elementi: in primo luogo, valutare le perdite su credito delle precedenti recessioni, e questo può dare qualche informazione; in secondo luogo - più complicato, ma loro lo sanno - valutare il grado di indebitamento dei propri clienti, già in situazione di partenza, rispetto a quello che avevano nelle precedenti recessioni. Questo è il ragionamento che devono fare e in questo consiste lo stress test che stiamo realizzando con loro.

SERGIO ANTONIO D'ANTONI. Lo chiamate stress test per queste ragioni?

MARIO DRAGHI, Governatore della Banca d'Italia. Lo chiamiamo in questo modo perché le ipotesi di base di questi scenari sono, oggettivamente, molto più pessimistiche di quelle che si vedono oggi. In questo senso vogliamo «stressare» la capacità di tenuta della banca.
Inoltre, a proposito dei controlli regionali, io credo che l'attuale geometria della Banca d'Italia sia in grado di fornire questi dati sull'andamento del credito.

PRESIDENTE. Ho letto nella relazione che lei ha insistito sul dato aggregato regionale. Tuttavia le province hanno orientamenti e sistemi produttivi diversi. Se non si ha una fotografia molto più vicina alle realtà, ai distretti industriali, si rischierebbe di avere probabilmente, un quadro macro che è abbastanza lontano dalle esigenze.
Dunque, il supporto della Banca d'Italia ad un'azione di moral suasion avrebbe, forse, maggior senso in un ambito più ristretto.

MARIO DRAGHI, Governatore della Banca d'Italia. Nelle pubblicazioni della Banca d'Italia abbiamo già informazioni a livello provinciale.

PRESIDENTE. Sì, ma nella sua relazione parla di consegnare dati a livello regionale, quindi si pone il problema dell'interazione con i prefetti a livello provinciale. Mi sembra ovvio che i prefetti non andranno ad effettuare le verifiche sul merito del credito; che però abbiano dati che possano segnalare lo stress di qualche azienda...


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MARIO DRAGHI, Governatore della Banca d'Italia. L'osservatorio della Banca d'Italia funziona e raccoglie dati anche a livello provinciale. Il modo in cui è stata riorganizzata la rete prevede, non solo per questo aspetto del credito ma per una varietà di altre questioni, che i nuovi centri regionali delle filiali - le nuove sedi - abbiano una serie di canali nei confronti delle province.

PRESIDENTE. Rimane la domanda che le avevo rivolto in relazione alle senior tranche. Chi dovrebbe fare questo tipo di operazione?

MARIO DRAGHI, Governatore della Banca d'Italia. L'idea è che queste garanzie vengano date soprattutto per le senior tranche. In altre parole, si definisce un insieme di nuovi crediti...

PRESIDENTE. Ma l'attore chi è?

MARIO DRAGHI, Governatore della Banca d'Italia. La proposta è nelle mani del Governo; parliamo di garanzie pubbliche. In ogni caso, secondo me è il momento di porre il problema dei nuovi crediti al centro dell'attenzione. Fino ad ora abbiamo pensato soprattutto ai crediti esistenti, ma ora occorre porsi la questione dei nuovi crediti. Questo è uno dei modi ma ce ne sono altri. Se guardiamo la storia degli anni Settanta abbiamo avuto iniziative di questo tipo, ossia abbiamo trasformato crediti in azioni, quindi c'è una certa esperienza in questo genere di questioni. Tuttavia, ripeto, la garanzia che viene proposta riguarda la tranche di migliore qualità, non quella di qualità meno che buona.

PRESIDENTE. Ringraziamo il Governatore per averci dato l'opportunità di ascoltare le sue dichiarazioni.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 14,20.

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