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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissione VI
27.
Giovedì 23 settembre 2010
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Conte Gianfranco, Presidente ... 3

Audizione del presidente vicario della Consob, Vittorio Conti, nell'ambito dell'esame della Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 1060/2009, relativo alle agenzie di rating del credito (COM (2010) 289 definitivo) (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):

Conte Gianfranco, Presidente ... 3 12 16 19
Ventucci Cosimo, Presidente ... 15 21 24 25 28
Barbato Francesco (IdV) ... 14 27
Conti Vittorio, Presidente vicario della Consob ... 3 18 19 21 22 25 26 27 28
Fluvi Alberto (PD) 12, 16, 21 Giusto Nicoletta, Responsabile dell'ufficio relazioni internazionali della Consob ... 21

ALLEGATO: Documentazione consegnata dal presidente vicario della Consob Vittorio Conti ... 29
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Futuro e Libertà per l’Italia: FLI; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l’Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud Libertà e Autonomia-Partito Liberale Italiano: Misto-Noi Sud LA-PLI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Repubblicani, Azionisti. Alleanza di Centro: Misto-RAAdC.

[Avanti]
COMMISSIONE VI
FINANZE

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di giovedì 23 settembre 2010


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIANFRANCO CONTE

La seduta comincia alle 11.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del presidente vicario della Consob, Vittorio Conti, nell'ambito dell'esame della Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 1060/2009, relativo alle agenzie di rating del credito (COM (2010) 289 definitivo).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del Presidente vicario della Consob, Vittorio Conti, nell'ambito dell'esame della Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 1060/2009, relativo alle agenzie di rating del credito (COM (2010) 289 definitivo).
Sono presenti, e li ringraziamo per avere aderito al nostro invito, il dottor Vittorio Conti, presidente vicario della Commissione nazionale per le società e la borsa, il dottor Antonio Rosati, direttore generale, la dottoressa Nicoletta Giusto, responsabile dell'ufficio relazioni internazionali, il dottor Riccardo Carriero, dell'ufficio studi giuridici e rapporti con il Parlamento, e il dottor Manlio Pisu, responsabile dell'ufficio rapporti con la stampa.
Credo sia già noto al presidente vicario che, nell'ambito dell'esame della predetta proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, la Commissione ha già ascoltato il professor Giovanni Ferri, dell'Università di Bari, e il direttore generale del CESR. Colgo l'occasione per informarlo che il prossimo 30 settembre è prevista l'audizione di parlamentari europei, dopo la quale abbiamo in programma di sentire anche le principali agenzie di rating,
Do la parola al presidente vicario della Consob.

VITTORIO CONTI, Presidente vicario della Consob. Onorevole presidente, onorevoli deputati, credo che, dopo le audizioni già svolte, molte delle cose di cui parlerò vi siano già note.
Nel corso di questo mio primo intervento, che immagino - e spero - stimolerà una successiva discussione, desidero ripercorrere essenzialmente tre aspetti.
Innanzitutto, vorrei chiarire, da un lato, per quali ragioni il problema delle agenzie di rating è diventato così critico in questi ultimi anni e, dall'altro, perché si è deciso di prendere posizione a livello regolamentare e di avviare riflessioni e interventi di sistema, fino ad arrivare a concepire, per lo meno a livello europeo, un nuovo assetto di tutta la regolamentazione dell'attività di vigilanza riguardante il settore.
In chiusura dell'intervento svolgerò alcune considerazioni relative alle conseguenze per il nostro sistema, nonché alle ricadute sulla Consob.


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Quanto all'aspetto organizzativo, la materia è ancora relativamente in via di formazione. Ritengo utile, tuttavia, riferire alcuni elementi circa il modo in cui i nuovi orientamenti di vigilanza modificheranno anche l'efficacia della nostra azione.
Inizierò con alcune ovvietà, di cui mi scuso in anticipo: lo faccio soltanto affinché sia chiaro il filo rosso sotteso a tutto il nostro ragionamento.
In primo luogo, sono evidenti la rilevanza assunta dalle agenzie di rating e, di conseguenza, il ruolo centrale che queste hanno avuto nell'orientare le misure di tipo regolamentare di cui si sta discutendo.
Il G20 di Toronto aveva inviato un chiaro messaggio al Financial Stability Board, che era stato invitato ad affrontare, in tempi rapidi, una riflessione relativa allo sviluppo di principi generali finalizzati a ridurre l'affidamento eccessivo sui rating esterni.
La sollecitazione era originata - e dobbiamo tenere ben presente che questo è tuttora il punto di riferimento di tutte le riflessioni - dalla preoccupazione di garantire la stabilità sistemica. In termini più chiari, il tentativo era quello di isolare le possibili ricadute negative indotte da un comportamento delle agenzie di rating non presidiato a livello regolamentare.
Il mercato odierno è ampiamente influenzato dalle decisioni assunte dalle società di rating. Gli operatori e i cittadini se ne rendono conto soltanto nel momento in cui un problema assume una valenza sistemica; in realtà, i giudizi delle agenzie di rating condizionano i processi di allocazione del risparmio e, per usare una semplificazione probabilmente eccessiva, incidono in modo significativo sia sul costo della raccolta delle imprese sia sulla formazione dei prezzi sui mercati.
Premesso che bisogna distinguere i problemi delle società di rating da quelli del rating in quanto tale, le società di cui ci stiamo occupando veicolano nel mercato informazioni che sono, per loro natura, price-sensitive, ossia suscettibili di incidere, nel caso di soggetti quotati, sul processo di formazione dei prezzi degli strumenti finanziari. Questa è la condizione normale con cui ci confrontiamo, a prescindere dagli sviluppi e dalle manifestazioni che la crisi ha evidenziato.
La crisi ci ha consentito di analizzare alcuni problemi strutturali, legati alla produzione e all'utilizzo del rating, che prima d'ora non avevano suscitato grande attenzione e, tanto meno, preoccupazione. Basta ripercorrere i primi avvenimenti a seguito dei quali i rating e le agenzie che li diffondono hanno cominciato a diventare argomento di discussione, anche a livello di organi di informazione.
Innanzitutto, il caso Lehman Brothers ha dato modo di constatare come un primo problema sia costituito dalla cosiddetta inerzia del rating, ovvero dal fatto che i giudizi di rating non vengono aggiornati e, quindi, non consentono di reagire con la necessaria prontezza ai cambiamenti del mercato. Ciò ha insinuato i primi dubbi sui potenziali conflitti di interessi e sul modo in cui questi venivano gestiti all'interno dei soggetti produttori di segnali price-sensitive.
I casi Lehman Brothers, Enron e Parmalat hanno portato alla luce, di fatto, qualcosa di più di un improprio modo di trasmettere segnali al mercato, in quanto hanno avuto, dal punto di vista microeconomico, una rilevanza e una risonanza sistemica, per lo meno a livello di informazione.
A seguito di tali episodi, ovviamente, le agenzie di rating si sono difese. In particolare, esse hanno molto circoscritto le proprie responsabilità, riconducendo la cattiva performance dei rating non a un problema di conflitto di interessi, ma a fatti tecnici che, nei casi specifici, avevano impedito di dare al mercato un segnale corretto e tempestivo. Tra le giustificazioni addotte, abbiamo letto, ad esempio, quella secondo la quale, in caso di frodi o di manipolazione dell'informativa contabile, la valutazione erronea è da imputare, in realtà, a carenze nel processo di revisione contabile e nei controlli interni. In altri termini, se le informazioni che le società di rating raccolgono, e sulle quali sono costrette a fare affidamento per esprimere


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i loro giudizi, non sono corrette, ne risulta inevitabilmente inficiato anche il rating.
Al caso del gruppo Lehman Brothers gli osservatori hanno dato una spiegazione diversa: il problema è nato da una crisi di liquidità che è repentinamente diventata una crisi di solvibilità. In proposito, le società di rating hanno addotto a propria discolpa che la difficoltà di stabilire quando, nel settore degli intermediari finanziari, una problema di liquidità si trasforma in un problema di solvibilità rende non facile discriminare una fattispecie dall'altra e inviare al mercato i segnali giusti.
Aggiungo che se l'operato delle società di rating fosse apparso criticabile soltanto nei casi citati, non ci troveremmo, probabilmente, a discutere di una riforma sistemica e invasiva qual è quella di cui ci stiamo occupando: la riflessione sarebbe rimasta circoscritta alle problematiche dell'autodisciplina e, in particolare, alla coerenza tra i codici di condotta e la capacità, o la volontà, di interpretarli correttamente.
Invece, la crisi ha evidenziato una questione diversa: l'informazione fornita dalle agenzie di rating è diventata uno degli ingranaggi che hanno consentito l'espansione della finanza strutturata. Tuttavia, essa ha rappresentato una delle componenti che hanno alimentato lo sviluppo dei nuovi prodotti finanziari. È importante precisare che non si è trattato della componente determinante del processo evolutivo al quale abbiamo assistito perché, in questi momenti, è facile perdersi nella ricerca di capri espiatori: un simile atteggiamento ci permetterebbe, forse, di scaricare la nostra coscienza, ma ci impedirebbe di comprendere un problema che è, in effetti, molto più complesso e sistemico.
La finanza strutturata ha indubbiamente contribuito a ciò che è avvenuto. Il modello originate to distribute ha portato sul mercato prodotti complicati e ha contribuito ad accrescerne l'opacità, destrutturando il rischio (ho utilizzato una locuzione approssimativa), che non è più quello connesso al classico rapporto tra il prenditore di denaro e la banca.
Quando una banca presta denaro, il rischio di credito che l'operazione comporta è interamente associato al mutuatario. Nell'ipotesi in cui si consideri un singolo rapporto di credito, a quel prenditore sarà specificamente riferita ogni valutazione.
Nel mondo della finanza strutturata, invece, si ragiona su un portafoglio di crediti: questo viene ceduto a una società veicolo, che emette titoli destinati al pubblico degli investitori. Per rendere più chiaro ciò che si verifica in questa seconda ipotesi, possiamo dire che l'originator, vale a dire l'istituto che ha erogato i crediti, li «impacchetta», distribuendo il rischio per tranche: ad esempio, il primo 10 per cento di operatori che falliranno all'interno di un portafoglio, il secondo 10 per cento all'interno di un altro portafoglio e via discorrendo. In altre parole, il rischio è collegato non all'ipotesi di fallimento di un singolo individuo, ma alla probabilità di fallimenti associata all'intero portafoglio di crediti sottostante ai titoli emessi.
In tal modo, come si può immaginare, il rischio di credito non è più valutabile, di fatto, nemmeno da parte degli investitori istituzionali. L'operazione è connotata, in questi casi, da un'alea che la avvicina al negozio assicurativo: vengono meno, infatti, i punti di riferimento in base ai quali il mercato aveva la possibilità di scrutinare la validità dei giudizi emessi dalle società di rating.
Ciò premesso, il processo di elaborazione dei rating appare caratterizzato da significative debolezze strutturali, che non avremmo nemmeno rilevato o ritenuto necessario affrontare, probabilmente, se non avessero determinato implicazioni sistemiche così rilevanti.
Sono due, da questo punto di vista, i fattori di cui bisogna tenere conto: la modellistica inadeguata (basata, ad esempio, su scenari troppo favorevoli circa l'evoluzione del quadro congiunturale o su informazioni non aggiornate) e i conflitti d'interessi.
Indubbiamente, le agenzie di rating hanno visto nei cosiddetti veicoli un nuovo spazio di mercato: lo sviluppo della finanza


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strutturata ha offerto loro la possibilità di svolgere un'attività di consulenza, che ne distorceva, in qualche modo, le finalità originarie.
Le agenzie si sono difese sostenendo che, a differenza di quanto avviene nelle ipotesi in cui occorra valutare obbligazioni ordinarie, o il rischio connesso all'erogazione di credito ad un soggetto determinato, il rating concernente i prodotti della finanza strutturata è molto più sensibile al tipo di modello e ai parametri utilizzati. Tale maggiore sensibilità accresce la possibilità che sopravvenga un downgrading, elemento che può provocare isteria nei mercati.
Il fatto è che un rating discendente è un segnale comunque negativo. Chi sta sul mercato difficilmente considera fisiologico il downgrading: di solito, si spaventa e mette in moto tutti quei meccanismi che, come ho detto poc'anzi, possono provocare isteria.
Durante la crisi, i problemi evidenziati hanno innescato effetti di natura sistemica, che hanno indotto a rivedere l'approccio alla regolazione.
Nel lessico adoperato da quanti si stanno affannando nella ricerca delle responsabilità della crisi, i predetti problemi sono ricondotti all'interno di quelli che sono definiti fallimenti del mercato. Potremmo parlare, in realtà, di fallimenti della scienza economica, la quale ha pensato che i mercati e gli operatori fossero perfetti ed efficienti e che vi fosse una perfetta informazione.
Con riferimento al tema dei fallimenti del mercato, consentitemi di citare, sia pure rapidamente, alcune determinanti di tale fenomeno - mi scuso se mi soffermerò su problematiche che avete già ben presenti -, che richiamo unicamente perché sarà possibile darle per assodate quando affronteremo, tra breve, il discorso sugli sviluppi regolamentari.
Un primo problema strutturale dell'industria del rating consiste in quello che gli economisti definiscono «effetto bene pubblico». Il concetto è molto semplice: un operatore (in questo caso l'emittente) sostiene interamente il costo di un bene (in questo caso, il rating), che tuttavia è utilizzato anche dagli investitori.
Si verifica, quindi, una classica ipotesi di esternalità, della quale bisogna tenere conto quando si analizza il funzionamento del mercato. Nel caso specifico, la teoria economica ci insegna che la qualità del rating sarà disallineata rispetto alla funzione ad esso attribuita.
Su tale base, si potrebbe giungere alla conclusione che è necessario far pagare il costo del rating ai potenziali investitori. Si tratta, tuttavia, di una soluzione non praticabile, attesa l'impossibilità di eliminare il fenomeno del free riding.
Un secondo problema è costituito dall'effetto rating shopping, che determina instabilità e inefficienza del mercato sotto il profilo concorrenziale. Teoricamente, la concorrenza nel settore del rating dovrebbe garantire l'esclusione dal mercato - come risultato del virtuoso operare della «mano invisibile» - di quelle agenzie che si discostino dalla logica del mercato. In altre parole, il meccanismo concorrenziale dovrebbe automaticamente espellere dal mercato, a causa del loro scarso «capitale reputazionale», le agenzie di rating i cui giudizi si rivelassero sistematicamente errati, alle quali nessuno si rivolgerebbe più. Tuttavia, più alto è il numero delle agenzie di rating presenti sul mercato, più aumenta la propensione degli emittenti a utilizzare l'agenzia disposta ad assegnare il rating più elevato (e questo è ciò che si definisce, appunto, rating shopping).
Per comprendere il processo che determina l'instabilità/inefficienza del mercato sotto il profilo concorrenziale, basta considerare come, di fatto, l'agenzia che assegna il rating iniziale detti le regole, per così dire, per i nuovi entranti nel settore: costoro, infatti, non avranno alcun incentivo ad assegnare ai potenziali clienti rating peggiori di quelli già forniti, per la semplice ragione che gli emittenti non avrebbero interesse a richiederli a loro e, quindi, a remunerarli.
Il sistema è tale da determinare una sostanziale e automatica soppressione di un meccanismo che potrebbe correggere,


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attraverso il rischio reputazionale, il rilevato difetto concorrenziale. Infatti, chi aspira a entrare nel mercato sa che, se vuole riuscire nell'intento, deve comportarsi esattamente come gli altri operatori.
Non si tratta di un discorso nuovo. Del resto, avrete certamente letto anche voi alcune dichiarazioni diffuse nei primi momenti dopo la crisi: chief executive officer di grandi banche e istituzioni finanziarie hanno affermato che, pur esistendo regole di condotta, quando qualche soggetto le infrange, traendone vantaggio sul piano competitivo, gli altri non possono fare altro che adeguarsi, applicando il criterio secondo il quale finché la musica suona, non si può far altro che ballare. Da qui la rincorsa al ribasso nei comportamenti e la sempre minore efficacia dei codici di autoregolamentazione.
Si determina quindi, di fatto, un mercato oligopolistico, che è l'anticamera di potenziali conflitti di interessi.
Un terzo problema è quello degli effetti prociclici dell'aggiornamento dei giudizi. Anche a prescindere da un eventuale uso strumentale del rating e da potenziali conflitti di interessi, il comportamento delle agenzie può essere condizionato dal fatto che una modifica al ribasso della valutazione può far precipitare la situazione finanziaria dell'emittente sino al punto di determinarne l'insolvenza. Si sa che l'effetto della variazione del rating è asimmetrico: in su fa bene, in giù fa male; e può fare talmente male da rendere impossibile rimediare al danno. È per questo motivo che le società di rating sono molto caute nel rivedere al ribasso i propri giudizi.
Qualcuno potrebbe obiettare che basterebbe assegnare rating più bassi agli emittenti. Tuttavia, come abbiamo già avuto modo di constatare, il rating shopping incentiva l'attribuzione di valutazioni migliori.
Occorre considerare, peraltro, che è obiettivamente difficile giudicare ex ante se i mutamenti del quadro macroeconomico abbiano carattere permanente ovvero transitorio. A tale proposito, ricordo che, quando la crisi dei mercati finanziari si è manifestata, il problema sembrava essere costituito dai soli sub-prime. Illustri colleghi, e anche persone con notevole conoscenza del mercato, mi dicevano che non vi era alcuna crisi sistemica all'orizzonte e che la bolla sarebbe stata riassorbita, perché il prezzo degli immobili sarebbe tornato in condizioni di equilibrio, analogamente a quanto già verificatosi in passato. Dunque, chi non aveva uno specifico interesse di business mostrava difficoltà a capire come si sarebbe evoluta la situazione.
È opportuno svolgere ulteriori considerazioni al riguardo, poiché le dinamiche del rating e il ruolo delle società che lo producono non bastano a spiegare quanto è avvenuto.
Non si può imputare alle società di rating, le quali hanno agito secondo i meccanismi che abbiamo descritto, la responsabilità di non avere capito che da qualche parte si stava sviluppando una bolla sistemica. Fin quando l'overeliance era circoscritta a livello microeconomico, il danno - concedetemi una banalità - era limitato. Il problema ha assunto una diversa rilevanza perché chi avrebbe dovuto avere una visione più generale non si è accorto in tempo che certi comportamenti avrebbero potuto alimentare un'instabilità sistemica.
Come ho già detto, anche il G20 di Toronto ha richiamato l'attenzione del Comitato di Basilea e del Financial Stability Board sul tema dell'affidamento sui rating esterni. Bisogna tener conto - si è detto - del fatto che il rating, per quanto elaborato e sofisticato, è pur sempre un frammento di informazione. Altri Paesi, ad esempio gli Stati Uniti, stanno cercando di ridurre l'eccessivo affidamento sul rating, al fine di neutralizzare, in qualche modo, le implicazioni sistemiche della overeliance.
Non condivido del tutto tale impostazione. Sebbene l'attenzione generale sia fondamentalmente concentrata, in questo momento, sulle implicazioni sistemiche dell'attività delle agenzie, non si deve dimenticare che i rating sono in grado di condizionare ogni giorno le scelte degli


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investitori e i loro portafogli e costituiscono, di conseguenza, informazioni che hanno grande rilevanza per tali soggetti, sotto il profilo della trasparenza e della correttezza dei comportamenti. Analogamente, quando si tratta di regolamentare i requisiti di capitale delle banche, non può essere sufficiente stabilire di affrancarsi dal criterio dell'affidamento sui rating, il ricorso ai quali dovrebbe in qualche modo garantire l'esistenza di patrimoni di vigilanza commisurati ai rischi assunti.
Le novità intervenute a livello normativo confermano la necessità di distinguere nettamente tra i rating, in quanto informazioni, e le società che li elaborano.
La consapevolezza della potenziale rilevanza sistemica dei fallimenti di mercato, di cui si è detto, ha determinato un mutamento nell'orientamento del legislatore comunitario, prima favorevole all'autodisciplina e ora incline a una disciplina pubblica del settore.
L'approccio maturato a livello comunitario è volto a garantire l'integrità del processo di produzione e di diffusione dei rating, attraverso una disciplina che richiede alle agenzie il possesso di determinati requisiti procedurali e organizzativi, la capacità di ridurre al minimo i conflitti di interessi, nonché di assicurare un adeguato livello di trasparenza del rating e delle metodologie utilizzate per produrlo.
Il regolamento (CE) n. 1060/2009, in vigore dal 9 dicembre 2009, prevede una serie di regole riferite a specifici aspetti organizzativi, procedurali e di trasparenza, che costituiscono oggetto di valutazione, da parte delle autorità di vigilanza, sia nel momento in cui bisogna decidere sulla domanda di registrazione (ai fini dell'ingresso nel mercato) sia nella fase successiva, quando si tratta di vigilare, verificando il rispetto delle regole da parte delle agenzie, e di svolgere eventuali attività di enforcement.
Per quanto riguarda le regole in materia di procedure e di assetti organizzativi, le agenzie sono tenute ad assicurare che i rating emessi siano basati su un'attenta analisi di tutte le informazioni disponibili, a verificare che le informazioni utilizzate siano di sufficiente qualità e provengano da fonti affidabili e a monitorare in via continuativa i giudizi ai quali sono pervenute.
Inoltre, le metodologie utilizzate devono essere rigorose, sistematiche, continuative e soggette a validazione sulla base dell'esperienza storica.
Allo svolgimento delle predette attività devono essere destinate adeguate risorse. Nel gergo abitualmente adoperato a livello operativo, queste ultime sono equiparate ai costi che non producono immediatamente profitti. Gli scarsi investimenti realizzati dalle agenzie per dotarsi di sistemi di controllo interno, da noi riscontrati, sono testimoniati anche da interviste pubblicate da The Economist, nelle quali alcuni risk manager «disperati» hanno affermato che le loro indicazioni circa gli investimenti da destinare a tale scopo, ove non in linea con il budget assegnato all'unità operativa, non erano nemmeno prese in considerazione.
Gli obiettivi di budget sono ritenuti prioritari. Secondo l'idea dominante, gli operativi costruiscono il conto economico, i risk manager lo demoliscono, aumentando i costi: la ricerca di un trade-off tra queste due componenti costituisce un problema endemico.
Nel caso delle società di rating, a parità di fatturato, quanto maggiore è il costo per produrre determinati risultati, tanto maggiore dovrebbe essere l'investimento in qualità, anche in considerazione del fatto che, come dicevamo, il mercato è sostanzialmente oligopolistico, nelle mani di pochi, grandi operatori.
Al fine di evitare potenziali conflitti di interessi, il regolamento stabilisce che un'agenzia di rating del credito non fornisca servizi di consulenza all'entità valutata o a terzi collegati per quanto riguarda la loro struttura societaria o giuridica, il loro attivo e il loro passivo o le loro attività. Chi produce rating non deve far sospettare che a tale attività sia associata, direttamente o indirettamente, un'attività di consulenza, nonostante i chinese wall che si possono creare: il giudizio deve


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essere dato, per così dire, nudo e crudo, affinché qualcun altro possa utilizzarlo, eventualmente a fini di consulenza.
Un altro presidio interno è costituito dalla necessità di istituire e mantenere un dipartimento avente funzione di controllo della conformità (compliance function), indipendente dalle linee di business. Le agenzie di rating del credito devono applicare le disposizioni necessarie per assicurare una solida governance societaria. È altresì richiesto che almeno un terzo, ma non meno di due, dei membri del consiglio di amministrazione o di sorveglianza siano indipendenti, non partecipino all'attività di rating del credito e abbiano il compito specifico di controllare, tra l'altro, l'efficacia delle misure e procedure istituite per garantire che eventuali conflitti di interesse siano identificati, eliminati o gestiti e resi pubblici.
Le agenzie di rating del credito devono anche rendere disponibili al pubblico le metodologie, i modelli e le assunzioni chiave utilizzate. In altre parole, tutto il processo di produzione deve essere trasparente.
Il regolamento prevede che le agenzie di rating del credito comunichino ogni rating e ogni decisione di interrompere la copertura di uno strumento finanziario o di un emittente su base non selettiva e in maniera tempestiva, specificando tutti i motivi alla base della decisione.
Per la presentazione dei rating sono previsti, inoltre, i seguenti requisiti: l'indicazione del nome e della funzione dell'analista principale in una determinata attività di rating del credito, nonché del nome e della posizione del responsabile principale dell'approvazione; le principali fonti informative rilevanti, riferite agli elementi su cui il rating si basa; la principale metodologia o versione della metodologia utilizzata per elaborare il rating; il significato di ciascuna categoria di rating; la data alla quale il rating è stato distribuito per la prima volta e aggiornato per l'ultima volta; l'indicazione chiara ed evidente di ogni attributo e limite del rating, compresa la specificazione se la qualità dell'informazione sull'entità oggetto di valutazione sia ritenuta soddisfacente; l'indicazione, nei comunicati stampa o nelle relazioni, all'atto dell'annuncio di un rating, degli elementi fondamentali ad esso sottesi. Obblighi aggiuntivi sono stabiliti dal regolamento in relazione ai rating di strumenti finanziari strutturati.
Oltre che al pubblico, le agenzie di rating del credito sono tenute a comunicare informazioni periodiche anche all'Autorità di vigilanza: trasparenza verso il mercato, quindi, ma non solo. I documenti devono essere a disposizione delle autorità di vigilanza, affinché queste possano controllare i comportamenti delle agenzie con una ongoing supervision. Infine, è previsto che le agenzie di rating del credito pubblichino annualmente sul proprio sito web una relazione di trasparenza (transparency report), che include ulteriori informazioni.
Il quadro generale che ho sinteticamente esposto è riferito all'Europa, i cui Stati membri stanno tentando di affrontare le problematiche relative alle agenzie di rating del credito mediante un approccio congiunto e condiviso.
La proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, recante modifica del citato regolamento (CE) n. 1060/2009, riflette, sostanzialmente, i nuovi orientamenti maturati a livello comunitario nell'ambito della riforma del sistema europeo di vigilanza finanziaria. Il principio che si cerca di tradurre in pratica è quello di evitare che, in Europa, si creino spazi per arbitraggi regolamentari: per ottenere tale risultato, si centralizza la vigilanza, introducendo regole binding e standard comuni.
Per le società di rating si sta operando la medesima scelta: in concomitanza con l'istituzione della European Securities and Markets Authority (ESMA), destinata a sostituire il Committee of European Securities Regulators (CESR), si è deciso di centralizzare in sede europea la vigilanza sulle agenzie di rating del credito.
Nella materia de qua tale opzione è particolarmente giustificata. Infatti, il mercato del rating è di fatto limitato, a livello internazionale, a poche agenzie, le quali si qualificano come most relevant institutions


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e, in quanto tali, necessitano di un controllo operato dagli organi posti a presidio della stabilità sistemica.
Il modello proposto è incentrato, quindi, su un'autorità europea, l'ESMA (evoluzione del CESR), la quale accentrerà la vigilanza sulle società di rating.
In particolare, all'ESMA saranno assegnate, innanzitutto, competenze in materia di registrazione iniziale delle agenzie (registration) e di vigilanza su base continuativa (ongoing supervision).
Saranno accentrate a livello europeo anche le attribuzioni in materia di enforcement. Su questo aspetto tornerò più avanti, per illustrare in maniera più dettagliata il modo in cui dovrebbero essere ripartite, a livello europeo, le competenze in materia sanzionatoria, anticipando fin d'ora che la discussione al riguardo è tuttora aperta.
Una volta adottata la proposta di regolamento, l'ESMA subentrerà nella titolarità dei poteri attualmente attribuiti alle autorità competenti nazionali: potrà esaminare e ottenere copia di documenti, procedere ad audizioni personali o richieste di chiarimenti, richiedere registrazioni telefoniche e dati relativi al traffico telefonico, apporre sigilli su locali, libri o registri nel corso di un'ispezione, proporre alla Commissione europea l'irrogazione di penalità di mora (periodic penalty payment) nell'ipotesi in cui le informazioni o i documenti forniti risultassero incompleti, inesatti o fuorvianti.
Tuttavia, in tale contesto, l'ESMA dovrà collaborare con le autorità nazionali. Con riferimento ai poteri ispettivi, ciò si traduce nella previsione di un obbligo di consultazione dell'Autorità dello Stato membro nel cui territorio è prevista l'ispezione, mentre, per il semplice svolgimento di un'indagine, l'ESMA sarà tenuta soltanto a informare in via preventiva l'Autorità nazionale.
Ovviamente, nella prassi operativa, i rapporti tra Autorità centrale e Authority nazionali non si atteggeranno in maniera troppo rigida: ad esempio, è già previsto che l'ESMA potrà delegare il compimento di attività specifiche alle autorità nazionali.
La delega non comporta un esonero da responsabilità, ma è volta a trarre il maggiore giovamento possibile dal patrimonio informativo già in possesso dei soggetti che svolgono l'attività di vigilanza nei singoli contesti nazionali. Infatti, l'esperienza da questi maturata e la prossimità agli operatori e al mercato oggetto di attenzione consentono di individuare con maggiore precisione ed efficacia l'oggetto e la tempistica dell'azione di vigilanza.
L'anzidetta previsione del regolamento dovrebbe, da un lato, accrescere l'efficacia dell'attività di vigilanza e, dall'altro, facilitare l'interlocuzione con le autorità nazionali.
L'interazione tra Autorità nazionali e ESMA funziona non soltanto in senso discendente (c.d. top down approach), ma anche in senso ascendente (c.d. bottom up approach). È previsto, infatti, che le Autorità nazionali possano segnalare eventuali violazioni che abbiano identificato o di cui siano venute a conoscenza.
In altre parole, qualora un'autorità insediata in un territorio, con terminali sensibili a ciò che avviene in quel territorio, intercetti avvisaglie di potenziali anomalie, ne informa l'ESMA, alla quale può anche richiedere - in caso di violazioni gravi e ripetute da parte di un'agenzia di rating del credito, tali da produrre effetti significativi sulla tutela degli investitori e sulla stabilità del sistema finanziario dello Stato membro interessato - di imporre la sospensione dell'utilizzo a fini regolamentari dei rating emessi da detta agenzia.
In materia di enforcement - riprendo un argomento importante, al quale ho soltanto accennato -, la proposta di regolamento sottrae agli Stati membri, nell'ottica dell'accentramento a livello europeo di tutte le competenze in materia di vigilanza, la facoltà di stabilire e di applicare sanzioni a carico delle agenzie di rating del credito che si rendano responsabili di violazioni.


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Tuttavia, la perdita della potestà sanzionatoria da parte degli Stati Membri non si traduce in un'attribuzione tout court all'ESMA dei poteri di enforcement.
La proposta di regolamento opera una netta distinzione tra misure di vigilanza (supervisory measures), di tipo cautelare e interdittivo, e sanzioni, suddivise in ammende (fines) e penalità di mora (periodic penalty payments). Tanto le misure cautelari e interdittive quanto le ammende possono essere applicate solo in ipotesi di violazioni tassativamente previste nell'allegato III alla proposta.
In materia di sanzioni, la proposta di regolamento attua uno sdoppiamento: l'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati ha il potere di adottare le misure di vigilanza (ad esempio, il divieto temporaneo di emissione di rating efficaci in tutta l'Unione, la sospensione dell'uso a fini regolamentari dei rating emessi da un'agenzia, e via dicendo), mentre l'applicazione di ammende e penalità di mora spetta alla Commissione Europea, su richiesta dell'Autorità.
La scelta fa discutere, soprattutto perché appare contraddittoria rispetto alla disciplina comunitaria di settore: mentre quest'ultima tende a rafforzare l'autonomia e l'indipendenza dei regolatori nazionali dagli organi di indirizzo politico, la proposta affida importanti funzioni di enforcement alla Commissione europea, ovvero all'organo che può essere assimilato, a livello europeo, all'esecutivo. L'argomento è oggetto di dibattito all'interno del gruppo di lavoro del Consiglio che sta esaminando la proposta, mentre non è ancora dato di conoscere, allo stato, l'orientamento del Parlamento europeo.
Peraltro, la definizione di un catalogo tassativo di violazioni costituisce essa stessa un profilo problematico, in quanto espone al rischio di non poter procedere ad enforcement in presenza di comportamenti che, pur apparendo scorretti o illeciti, non siano catalogati. Insomma, l'idea di fare riferimento a una tassonomia di violazioni irrigidisce molto tutto il sistema sanzionatorio e può lasciare scoperte aree rilevanti.
Poiché il mercato cambia continuamente, è assolutamente indispensabile la capacità di adattare regole e approcci di vigilanza ai mutamenti del contesto. La preponderanza di un meccanismo di vigilanza reattiva, rispetto ad un modello di vigilanza proattiva, è certamente una delle cause della crisi di cui stiamo ancora discutendo.
Nell'avviarmi alla conclusione, ritengo opportuno illustrare i riflessi della proposta di regolamento sulla Consob, la cui attività nei confronti delle agenzie di rating si è svolta, finora, nell'ambito della vigilanza sull'informativa societaria e finanziaria relativa agli emittenti e ai titoli quotati, che è diffusa quotidianamente. Non esistevano, infatti, nell'ordinamento interno, norme specifiche in materia di regolamentazione e vigilanza sulle agenzie di rating.
Se si eccettuano casi di indagini in tema di abusi di mercato, gli interventi della Consob nei confronti delle agenzie di rating hanno avuto, pressoché esclusivamente, la forma di azioni di moral suasion. La Consob è intervenuta, pertanto, in quei casi in cui l'emissione di giudizi di rating è apparsa - o per il contenuto o per la tempistica - turbare il regolare andamento del mercato o di singoli titoli.
Tale approccio è stato seguito anche recentemente, il 6 maggio scorso, quando il mercato azionario ha reagito negativamente - forse lo ricorderete - a un rapporto diffuso da Moody's, a mercati aperti, che esprimeva forti dubbi sulla tenuta del sistema finanziario italiano, essenzialmente a causa del forte peso del debito pubblico, che, secondo il report dell'agenzia, poteva avere ripercussioni sul sistema bancario.
In particolare, abbiamo fatto ciò che ci è consentito dalla normativa vigente: abbiamo inviato alle principali agenzie di rating - non soltanto a Moody's, ma anche a Fitch Ratings e a Standard & Poor's - tre lettere, nelle quali abbiamo rappresentato l'esigenza che, specialmente ove si tratti di rapporti la cui diffusione non appaia estremamente urgente, l'agenzia di rating valuti con attenzione, in futuro,


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l'opzione di diffondere gli stessi non a mercati aperti, ma a mercati chiusi, al fine di minimizzarne gli effetti in termini di volatilità dei mercati e di tutelare nel miglior modo possibile gli investitori.
Nel caso di specie, la nostra azione, per quanto limitata, ha avuto soddisfazione, nel senso che, come certamente saprete, Moody's è sembrata correggere il tiro, evidenziando sia la stabilità del sistema bancario italiano sia la buona capacità della politica economica nel fare fronte ai problemi del debito pubblico.
Cosa sta per cambiare, quindi? Come in parte ho già detto, la Consob è coinvolta nel processo di trasformazione in atto a livello europeo.
Nella fase attuale, la Consob sta procedendo, insieme alle altre Autorità europee competenti, all'esame delle domande presentate dalle agenzie di rating in ambito europeo per ottenere la registrazione. Hanno presentato domanda di registrazione non soltanto le grandi agenzie di rating già menzionate, ma anche agenzie a carattere locale.
L'esame delle domande si svolge nell'ambito di un collegio di autorità competenti, al quale la Consob partecipa insieme alle autorità di altri Paesi europei. Nel caso specifico di Standard & Poor's, Moody's e Fitch Ratings, avendo queste una sede legale in Italia, la Consob risulta per ognuna Autorità competente del Paese membro d'origine (Home Competent Authority), come le Autorità competenti dei principali Stati dell'Unione europea.
Come ho avuto modo di sottolineare in precedenza, quando sarà approvata la proposta di regolamento comunitario, i poteri in materia di registrazione, di vigilanza ongoing e di enforcement saranno attribuiti all'ESMA. Con l'adozione del nuovo regime, saremo in grado, anche a livello nazionale, di capire esattamente il tipo di contesto all'interno del quale ci muoveremo e quali modalità di interlocuzione dovremo seguire.
Personalmente, ritengo che la fase di transizione e di collaborazione non si concluderà con il traghettamento delle funzioni dalle Autorità nazionali all'Autorità europea, in quanto le realtà socio-economiche e tutto quanto sarà oggetto della disciplina recata dalle nuove regole, comuni e condivise, sono ancora molto disallineati a livello europeo.
Anche nel futuro contesto di vigilanza centralizzata sarà assolutamente indispensabile, per gli organismi europei, avere comunque qualcuno che fornisca una rappresentazione, la più informata e la più neutrale possibile, delle specificità dei singoli Paesi. Se intendiamo avere, a livello europeo, un sistema di vigilanza efficiente, anche sotto il profilo dell'adattamento della normativa ai cambiamenti del mercato, non potremo prescindere dai terminali sensibili situati sul territorio dei singoli Stati.
A mio avviso, quindi, le Autorità nazionali continueranno a svolgere un ruolo importante anche dopo il trasferimento delle predette funzioni all'ESMA.
Per quanto ci riguarda, la Consob continuerà ad avere il polso del mercato finanziario nazionale, sul quale seguiterà a svolgere un'attività di vigilanza avente ad oggetto l'informazione societaria, l'operatività sui titoli e gli eventuali profili di abusi di mercato, in modo da individuare le eventuali violazioni della normativa comunitaria e da indirizzare la successiva attività di vigilanza e di enforcement da parte dell'ESMA. Di ciò dovranno tenere conto anche i nostri assetti organizzativi.

PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che desiderino intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

ALBERTO FLUVI. Desidero svolgere alcune considerazioni e porre alcune domande al presidente Conti, che ringrazio per la sua esauriente e interessante esposizione.
Stiamo attraversando, presidente, una fase che lei ha definito, in maniera sintetica, di passaggio da un sistema di autodisciplina a una sorta di regolamentazione pubblica. In tale contesto, è sopraggiunta ieri la novità, positiva, dell'intervenuta approvazione, da parte del Parlamento europeo, della nuova architettura di vigilanza


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basata sul Sistema europeo delle autorità di vigilanza e sul Comitato per il rischio sistemico. Il provvedimento vedrà definitivamente la luce non appena sarà approvato anche dal Consiglio, ma ormai siamo alla stretta finale. Tutti, forse, avremmo auspicato un passo più veloce e più deciso, ma stiamo andando, sia pure gradualmente, nella direzione giusta, anche tenendo conto delle compatibilità di una Unione della quale fanno parte 27 Stati.
Sappiamo già che le tre autorità di vigilanza avranno sede a Londra, Parigi e Francoforte e, benché il Parlamento abbia approvato soltanto ieri le proposte di riforma trasmesse a suo tempo dalla Commissione, mentre il Consiglio deve ancora approvarle, immagino che l'Autorità bancaria europea, l'Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali e l'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati cominceranno a darsi, l'anno prossimo, una struttura organizzativa.
È questo, quindi, il momento per dedicarsi alla costruzione dell'assetto organizzativo dell'ESMA, che comporterà, naturalmente, anche l'assegnazione di ruoli chiave al suo interno.
Premesso che la responsabilità di non avere ancora garantito la ricostituzione del plenum del collegio della Consob è da imputare al Parlamento e al Governo, di certo non ai commissari della Consob in carica, non vorrei che si ripetesse quanto accaduto in occasione dell'organizzazione del Servizio europeo per l'azione esterna (altrimenti detto Servizio diplomatico europeo), quando sono state assegnate al nostro Paese sedi importanti, ma non prestigiose. Chiedo, pertanto, anche alla Consob, che immagino stia già lavorando in tal senso, di impegnarsi affinché vi sia una presenza adeguata del nostro Paese all'interno dell'ESMA.
Passando ad argomenti più specifici, in quale modo è possibile coinvolgere le agenzie di rating del credito nel rischio d'errore? È sufficiente il danno reputazionale, oppure si possono dettare norme e individuare sanzioni che rendano le agenzie compartecipi del predetto rischio?
La discussione che sta riguardando le agenzie di rating del credito mi ricorda quella che ebbe ad oggetto le società di revisione tra il 2002 e il 2004, dopo i dissesti Cirio e Parmalat, dei quali si discusse, in Parlamento, anche nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui rapporti tra il sistema delle imprese, i mercati finanziari e la tutela del risparmio. Il rischio reputazionale incise, in quegli anni, in modo significativo, tant'è che Arthur Andersen, ad esempio, ha cessato l'attività dopo il fallimento della Enron.
Il 15 settembre 2008 sia Moody's, sia Standard &Poor's, sia Fitch Ratings avevano assegnato una doppia «A» a Lehman Brothers. Mi rendo conto di fare una battuta, ma non mi pare che il rischio reputazionale abbia inciso sulle sorti delle tre agenzie, le quali continuano a controllare, di fatto, la quasi totalità del mercato.
In Europa e nel nostro Paese, poi, c'è un problema in più: mentre negli Stati Uniti esiste la class action, nel nostro Paese i risparmiatori non hanno a disposizione nemmeno tale strumento di tutela.
La seconda domanda verte sul conflitto di interessi, che ritengo uno dei temi più rilevanti.
Il regolamento (CE) n. 1060/2009 affronta espressamente il tema dell'attività di consulenza, stabilendo che un'agenzia di rating del credito non fornisca servizi di consulenza all'entità valutata o a terzi collegati per quanto riguarda la loro struttura societaria o giuridica, il loro attivo e il loro passivo o le loro attività. Esso prevede, inoltre, che le agenzie di rating del credito debbano comunicare al pubblico i nomi delle entità valutate o di terzi collegati dai quali provenga oltre il 5 per cento del loro fatturato annuale.
Il Segretario generale del CESR ci diceva ieri che alla Consob sono arrivate sei domande di registrazione: le tre delle agenzie a tutti note più altre tre, tanto per intenderci (e immagino che le cose non siano andate diversamente in Francia, in Germania e via dicendo).


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Poiché le agenzie di rating del credito presentano in Europa una struttura di gruppo, caratterizzata dalla presenza di varie società aventi sedi legali in diversi Paesi dell'Unione, se un emittente chiede una consulenza a Standard & Poor's con sede legale in Francia, può rivolgersi, poi, per un rating del credito, a Standard & Poor's con sede legale in Italia? E in quale modo si calcola la soglia del 5 per cento?

FRANCESCO BARBATO. A nome del gruppo parlamentare Italia dei Valori, ringrazio preliminarmente la Consob per averci offerto, nell'odierna audizione, interessanti elementi di riflessione.
Ciò premesso, desidero rivolgere al presidente vicario Conti alcune domande relative alla riforma del sistema europeo di vigilanza finanziaria, imperniato sull'istituzione, nell'ambito del Sistema europeo delle autorità di vigilanza finanziaria, di tre nuove autorità di vigilanza europee (Autorità bancaria europea, Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati e Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali o professionali), le quali avranno sede, rispettivamente, a Londra, a Parigi e a Francoforte.
In tale contesto, desta senz'altro meraviglia l'esclusione di Milano, città che, anche per il suo ruolo specifico, poteva essere, a mio avviso, la sede più adatta a ospitare uno dei nuovi organismi di vigilanza.
Mi domando, allora, se la predetta esclusione non sia da ascrivere a una debolezza del nostro Paese a livello europeo, segnatamente a una debolezza politica del Governo, il quale non riesce ad avere, fuori dei confini nazionali, la forza necessaria per rappresentare le nostre giuste rivendicazioni.
Mi chiedo, altresì, se nella scelta delle sedi delle nuove autorità di vigilanza non abbia influito un ulteriore fattore di debolezza dell'Italia, evidente anche all'estero, vale a dire il fatto che la Consob non ha ancora un presidente.
Si è forse optato, alla fine, per Londra, Parigi e Francoforte perché l'Italia, pur rappresentando uno dei Paesi guida dell'Unione, ha offerto, a causa dell'attuale gracilità, nonché dello scarso peso politico del Governo (lo stesso Berlusconi ha dichiarato che, quando si reca all'estero, gli chiedono se sia ancora Presidente del Consiglio), un'immagine di minore robustezza rispetto ad altri Paesi?
Inoltre, desidero chiedere al presidente vicario se la perdurante acefalia della Consob, oltre ad avere contribuito, forse, ad una rappresentazione negativa del nostro Paese all'estero, possa avere conseguenze anche sul piano interno, in un momento in cui, ad esempio, si verificano avvenimenti come quelli che hanno interessato Unicredit.
Coglierei l'occasione, presidente, per chiederle una riflessione - che sarebbe comunque gradita, pur non attenendo strettamente al tema dell'audizione - sulla condizione di sbandamento che stiamo attualmente vivendo.
Nel contesto di una crisi economico-finanziaria di portata internazionale, sarebbe opportuno adoperarsi per offrire punti di riferimento più sicuri, per assestare ulteriormente il sistema bancario italiano; invece, certi eventi, come l'allontanamento dell'amministratore delegato di Unicredit, dottor Profumo, vanno in una direzione diametralmente opposta.
Nella sua relazione, presidente, mi è sembrato di cogliere l'idea secondo la quale finché la musica suona, si deve ballare. Si tratta di un concetto che non condivido (anche perché richiama l'immagine del Titanic, che affondava mentre l'orchestra di bordo continuava a suonare): non mi sembra, insomma, una filosofia da seguire.
Tornando al tema principale, abbiamo appreso, in occasione delle precedenti audizioni, che le società di rating, la cui funzione è quella di rendere più trasparente il rapporto tra emittenti e investitori, non dimostrano alcuna propensione a rendere trasparenti se stesse, com'è testimoniato dalla resistenza che hanno sempre opposto alle richieste di documenti e informazioni concernenti la propria attività.


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Si tratta di un atteggiamento che non può assolutamente riscuotere l'apprezzamento di chi, come noi di Italia dei Valori, lavora affinché sia rispettato un principio troppo spesso misconosciuto, ovvero quello di responsabilità.
Quanto alla pretesa inattaccabilità delle agenzie di rating, le quali si difendono dalle accuse loro rivolte sostenendo di esprimere semplici opinioni, ritengo comunque inaccettabile che si verifichino casi come quello di Lehman Brothers, che continuava a godere di un rating elevato («AA») nonostante si trovasse già in una condizione di grave difficoltà.
Se ho inteso bene, presidente, quando ha diffuso, a maggio dello scorso anno, un rapporto che esprimeva forti dubbi circa la tenuta del sistema finanziario italiano, Moody's si è presa una tirata d'orecchi dalla Consob, la quale ha rappresentato l'esigenza di non allarmare i mercati con notizie la cui diffusione non risponda ad esigenze di estrema urgenza (come lei ha ricordato, presidente, il peggioramento di un rating può determinare il fallimento di un emittente).
Poiché non sono dello stesso avviso, presidente, vorrei una sua valutazione più precisa. In particolare, ritengo che non si debba mettere sotto processo chi lancia un grido d'allarme, chi segnala una situazione che potrebbe pregiudicare il sistema e, in definitiva, gli investitori e i risparmiatori; occorrerebbe, invece, individuare le cause che hanno determinato le situazioni di pericolo denunciate: è su queste che dovrebbero essere accesi i riflettori, non su chi ha lanciato il segnale d'allarme!

COSIMO VENTUCCI. Presidente Conti, le rivolgerò una sola domanda, non senza averla prima ringraziata, anche a nome del mio gruppo, per la relazione che ha svolto.
Premetto subito che avverto quasi una forma di diffidenza nei confronti delle decisioni che stanno maturando in sede europea, le quali avranno riflessi anche sull'attività della Consob.
Vantando, nel settore del commercio con l'estero, un'esperienza professionale che risale alle origini del MEC, conosco bene la materia dei dazi doganali. Di conseguenza, nutro un certo scetticismo in merito al potenziale economico delle Nazioni che hanno gestito per più di un secolo le colonie. Paesi come la Francia, la Germania e l'Inghilterra continuano ad avere una notevole importanza per l'economia delle ex colonie, per le quali rappresentano rilevanti mercati di sbocco. Analoga è la situazione dei Paesi del Benelux: Olanda e Belgio hanno mantenuto importanti rapporti, rispettivamente, con l'Indonesia e la Repubblica Democratica del Congo (e tutti conosciamo le risorse dei Paesi africani).
Mi fa piacere, quindi, leggere - finalmente, lo si dice - che l'adeguatezza dell'approccio basato sull'autodisciplina è stata messa profondamente in discussione, più che dai default Enron e Parmalat, dalla cattiva performance delle agenzie di rating nel settore dei cosiddetti prodotti di finanza strutturata, che hanno penalizzato anche alcuni miei amici.
Ebbene, quei miei amici, rispetto all'architettura finanziaria nazionale e internazionale sono come me, come noi: hanno la convinzione che, per organizzare al meglio una sala operatoria, occorra non soltanto un'ottima strumentazione, ma anche un chirurgo capace di operare una cistifellea, un pancreas e via discorrendo.
Sebbene la finanza globale sia in grado di determinare notevoli mutamenti nell'intera organizzazione sociale e del lavoro, la maggior parte dei circa sessanta milioni di italiani, ovviamente, non ha la benché minima conoscenza della materia di cui ci stiamo occupando. A tale proposito, mi è arrivato, poco fa, un sms in cui si dice che la disoccupazione è arrivata all'8,5 per cento e che la disoccupazione giovanile è del 29,7 per cento.
Venendo più specificamente al tema oggetto dell'audizione, le nuove regole di vigilanza sulle agenzie di rating del credito mi sembrano avere il tono di comandamenti religiosi. Si fanno nuove regole, ma da chi saranno gestite? Tutto sarà demandato a un'autorità centrale europea?


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Il trasferimento a un'autorità centrale europea di competenze in precedenza gestite all'interno dei singoli Paesi è già avvenuto in altri settori (ad esempio, per la regolamentazione dei requisiti minimi di capitale delle banche e nel comparto doganale). Sembra una banalità, ma se ci si sofferma sulle implicazioni di certe operazioni, ci si rende conto che è molto concreto il rischio di vedere fagocitate dai funzionari della Commissione europea tutte le competenze in precedenza attribuite ad autorità nazionali.
Quando, poi, leggo che le agenzie di rating del credito devono rendere disponibili al pubblico le metodologie, i modelli e le assunzioni chiave utilizzate nell'emissione dei propri rating, mi domando se questa forma di arroccamento europeo sia proponibile in un mondo globalizzato.
Mi chiedo, in particolare, come si collochi la proposta di regolamento in esame in un contesto nel quale le agenzie di rating del credito, operando su scala mondiale con 30.000 dipendenti, di cui 17.000 esperti della materia, veicolano informazioni relative non soltanto al mercato europeo, ma all'intero mercato finanziario internazionale. In altre parole, come ci comporteremo noi italiani, che facciamo parte dei 27 Paesi dell'Unione europea? Se io investo, posso farlo anche in Cina, dove troverò, presumibilmente, regole differenti.
Inoltre, mi piacerebbe conoscere meglio il suo pensiero, presidente Conti, in relazione a un orientamento che, se non ho inteso male, lei ha implicitamente criticato. I sistemi di common law sono basati più sulla giurisprudenza che sulle norme approvate dal legislatore, diversamente da quanto avviene nei sistemi di civil law, vale a dire negli ordinamenti di derivazione romanistica. Ebbene, la produzione normativa dell'Unione europea, nella quale è assolutamente dominante, a livello nazionale, il modello del civil law, appare profondamente condizionata dalla cultura giuridica che ha la propria matrice nel common law.

PRESIDENTE. Il collega Fluvi desidera aggiungere qualcosa?

ALBERTO FLUVI. Mi scuso, signor presidente, ma mi era sfuggita una questione.
Presidente Conti, premesso che la Commissione sta per avviare un'indagine conoscitiva sui mercati degli strumenti finanziari - che ci consentirà di approfondire, tra l'altro, le vicende relative a Borsa Italiana Spa -, mi ha colpito, in una precedente audizione, un'affermazione del professor Giovanni Ferri, dell'Università di Bari, secondo il quale la presenza di agenzie di rating regionali - non le tre più grandi, tanto per intenderci - può agevolare lo sviluppo delle piccole e medie imprese (a proposito, non mi pare che la piattaforma per le PMI abbia raggiunto gli effetti sperati, almeno fino ad oggi).
Secondo lei, presidente, esiste una relazione tra presenza di agenzie di rating regionali e piattaforme di sviluppo per piccole e medie imprese?

PRESIDENTE. Presidente Conti, le rivolgerò alcune domande sintetiche, ringraziandola, innanzitutto, per la sua relazione.
In primo luogo, la Consob ha le risorse necessarie per esercitare la propria attività di vigilanza?
Venendo più direttamente al tema oggetto dell'audizione, credo che la soluzione di attribuire la potestà sanzionatoria alla Commissione europea, frutto evidentemente di un compromesso, rappresenti - come, del resto, è stato opportunamente evidenziato nella relazione - un limite della proposta di regolamento, anche perché lascia presagire i soliti veti da parte dei francesi, degli inglesi e via discorrendo.
Allora, poiché la Commissione si accinge ad approvare un documento, vorrei che lei ci dicesse, presidente, quale operatività concreta esso potrà avere. In altri termini, mi chiedo se la questione sia definitivamente chiusa. Possiamo sperare che un miglioramento della situazione generale consenta di riaprire il discorso, al fine di attribuire poteri sanzionatori direttamente


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alle autorità di settore, oppure dobbiamo sin d'ora rassegnarci a realizzare una mera operazione di facciata (che, comunque, era necessaria, perché le responsabilità delle agenzie di rating ci sono, indipendentemente dal modo in cui si concepisce il loro ruolo)?
Mi è sembrato che la sua relazione, presidente, riconosca l'importanza della funzione svolta dalle agenzie di rating nell'ambito del sistema finanziario. Certo, si potrebbe sostenere che al rating non bisogna dare importanza, oppure un'importanza molto relativa. In tal modo, si risolverebbe la questione a monte: il giudizio delle agenzie sui titoli immessi sul mercato dagli emittenti costituirebbe sostanzialmente un orpello, che come tale dovrebbe essere considerato.
Non sarebbe stato meglio realizzare un'operazione di questo secondo tipo? So che sarebbe perfettamente inutile portare avanti una proposta legislativa in tal senso, perché essa si scontrerebbe con la diversa regolamentazione decisa a livello europeo. Ciò nonostante, sono fra coloro i quali pensano che le agenzie di rating, nella configurazione attuale, siano del tutto inutili: si tratta soltanto di una fonte di business, per le ragioni che lei stesso ha espresso, presidente, quando ha fatto riferimento agli evidenti conflitti di interessi e al fenomeno del rating shopping.
Peraltro, non condivido la posizione del collega Barbato, perché è chiaro che si deve tener conto della localizzazione delle grandi agenzie di rating sui mercati americani. Il fatto è che i rating, specie dopo i disastri verificatisi, andrebbero considerati in maniera diversa. Come rilevava giustamente Fluvi, Arthur Andersen ha cessato l'attività, mentre Standard & Poor's, Moody's e Fitch Ratings sono ancora lì, nonostante i disastri finanziari che le loro valutazioni hanno contribuito a produrre. Il danno reputazionale, se c'è stato, è stato opportunamente messo in sordina.
Ora è stata elaborata una proposta di regolamentazione che presenta, a mio avviso, molti limiti. Nutro, infatti, molti dubbi sull'efficacia di una legislazione di dettaglio, anche in considerazione del fatto che le operazioni over the counter sono state la risposta dei mercati finanziari all'eccesso di regolamentazione (da qui l'esplosione dei CDS e di altri prodotti similari).
Se andiamo verso una regolamentazione di dettaglio, è evidente che, ritenendosi ammesso tutto ciò che non è vietato, si troverà comunque il modo per bypassare i «comandamenti» - come li ha definiti il collega Ventucci - sanciti nel regolamento e per dare vita ad altre formule di business. Il fatto che alla Consob sia stata presentata domanda di registrazione da parte di Cerved, che, per quanto mi risulta, si occupa prevalentemente di informazioni societarie, e da parte di CRIF, che gestisce un sistema di informazioni creditizie, la dice lunga sulla prospettiva di alcune società di creare nuove aree di business e di inserirsi, in particolare, in questo segmento di mercato.
Vorrei una sua valutazione più precisa, presidente, perché mi è parso di capire che, secondo lei, le agenzie di rating sono utili. Si era partiti dal presupposto che esse dovessero garantire gli investitori; invece, garantiscono gli emittenti, cioè quelli che pagano i loro servizi. Allora, non sarebbe stato meglio definire in maniera diversa la questione del pagamento dei rating?
Per me, sarebbe stato preferibile fare a meno delle agenzie di rating. Dal momento che, invece, si sceglie la strada di una migliore regolamentazione, sarebbe opportuno, anche per evitare i conflitti di interessi e il rating shopping, stabilire alcune regole minime in materia di sanzioni. A tale proposito, sono d'accordo con Fluvi, quando sostiene che qualcuno deve pur rispondere degli errori. Quindi, bisognerebbe applicare un regime sanzionatorio adeguato in caso di rating che si rivelassero, per così dire, audaci.
Naturalmente, se si prevede l'impiego dei rating a fini regolamentari, si deve anche fare in modo che il lavoro svolto per produrli - considerato, come lei ha posto in risalto, presidente, costoso e non produttivo - sia remunerato secondo meccanismi


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che assicurino l'indipendenza delle agenzie. Se si parte dal presupposto che le agenzie di rating debbono continuare a esistere, occorre anche riflettere su chi debba pagare le loro valutazioni.
Per quanto riguarda la normativa di dettaglio, quando approvammo la legge sul risparmio, modificammo l'articolo 160 del TUF, vietando, tra l'altro, che la società di revisione e le entità appartenenti alla rete della medesima, i soci, gli amministratori, i componenti degli organi di controllo e gli stessi dipendenti della società di revisione, delle società controllanti o controllate, collegate o sottoposte a comune controllo non potessero fornire servizi di consulenza alla società che aveva conferito l'incarico di revisione, alle società controllanti, controllate o sottoposte a comune controllo. Prevedemmo, inoltre, alcune incompatibilità di durata triennale per l'assunzione di determinati incarichi.
Ebbene, mi chiedo perché il tema delle incompatibilità non sia stato affrontato in modo adeguato rispetto all'attività delle agenzie di rating, per evitare, o per lo meno per limitare, la possibilità di un conflitto di interessi, che può essere determinato, come osservava il collega Fluvi, da meccanismi volti a riportare i servizi di consulenza all'interno dello stesso gruppo, nonostante l'espresso divieto sancito dal regolamento.

VITTORIO CONTI, Presidente vicario della Consob. Innanzitutto, devo all'onorevole Barbato una puntualizzazione alla quale tengo molto.
Probabilmente, c'è stato un fraintendimento, perché «finché la musica suona, dobbiamo ballare» non è la filosofia con la quale mi approccio alle situazioni: ho semplicemente riportato una delle giustificazioni che hanno addotto a propria discolpa, durante la crisi, alcuni manager, i quali hanno spiegato come, in certi contesti, i nuovi entranti nel mercato si adeguino alle prassi, talvolta devianti, imposte da quanti hanno acquisito nel tempo una posizione oligopolistica.
Ci tenevo molto a precisarlo, perché non vorrei essere frainteso. Credevo di essere stato chiaro ma, evidentemente, mi ero espresso in maniera ambigua.
Cercherò di rispondere a tutte le domande, ripercorrendo i temi che hanno suscitato l'interesse della Commissione.
Il discorso relativo alle sanzioni da applicare in caso di errori è complesso.
Se attribuissimo la responsabilità degli incidenti causati dalla circolazione dei veicoli a motore a chi li ha inventati, e imponessimo a tutti di circolare in bicicletta, tale scelta comporterebbe un salto di qualità o, comunque, un cambiamento radicale delle nostre abitudini. Tuttavia, una simile opzione presupporrebbe un giudizio di valore di tipo squisitamente politico.
È chiaro che è difficile, per me, misurarmi su questo terreno: il mio compito, infatti, è quello di contribuire alla soluzione di un problema offrendo argomentazioni di tipo tecnico.
Restando, quindi, nell'ambito tecnico, e utilizzando l'esempio già proposto, credo che l'idea di accentrare a livello europeo l'azione di vigilanza sia un modo per garantire che le auto immesse sul mercato siano esenti da difetti di costruzione: per evitare, insomma, che siano esse stesse la causa degli incidenti.
Poi, naturalmente, c'è la responsabilità di chi sta al volante, che non deve superare i limiti di velocità.
Pertanto, si tratta non soltanto di fissare gli standard di qualità che devono rispettare i costruttori di automobili, ma anche di dettare le appropriate regole di condotta per chi si mette alla guida delle stesse.
L'osservazione relativa alla scarsa efficacia dissuasiva del rischio reputazionale è fondata. All'indomani della crisi, la FSA (Financial Services Authority), accortasi che in giro per il mondo c'è anche gente senza principi, ha deciso di passare da una regolamentazione per principi ad una regolamentazione più vincolante, basata su divieti e regole più rigorose.
In Europa, si sta cercando di creare un contesto all'interno del quale non sia incentivata la tendenza alla overeliance sui rating delle agenzie.


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Come ho rilevato in precedenza, è importante tenere distinti i problemi del rating, che è un frammento di informazione, da quelli delle società di rating. Nel momento in cui si accettano i principi dell'economia di libero mercato, la valutazione degli emittenti e degli strumenti finanziari qualcuno la deve esprimere: in un contesto all'interno del quale vigono determinate regole, si tratta di un passaggio dal quale, a mio avviso, non si può prescindere.

PRESIDENTE. La interrompo per chiederle un chiarimento, presidente.
Assodato che la crisi ha posto in risalto i grossolani errori di valutazione compiuti dalle agenzie di rating, il mercato non ha, forse, la possibilità di discernere tra un prodotto buono e uno che non lo è in base a indicatori diversi dai rating? Penso, ad esempio, alla stampa specializzata, ai siti Internet, ai dati desumibili dai bilanci delle società, a tutte le altre informazioni, relative ai fatti che possono influenzare il prezzo degli strumenti finanziari, alle quali sono in grado di accedere gli operatori professionali o gli stessi investitori più esperti.
L'indagine conoscitiva sui mercati degli strumenti finanziari, che avvieremo tra qualche settimana, ci offrirà l'occasione per approfondire anche il funzionamento del mercato borsistico e il ruolo svolto dalle banche nelle procedure di ammissione alla quotazione.
È vero che non esiste un unico strumento in grado di offrire garanzie assolute; tuttavia, mi sembra che i giudizi espressi dalle agenzie di rating del credito non costituiscano, tutto sommato, un elemento imprescindibile per gli investitori.

VITTORIO CONTI, Presidente vicario della Consob. Per rispondere meglio alla sua domanda, signor presidente, farò riferimento all'esperienza professionale maturata prima che fossi chiamato a far parte della Consob.
Dopo aver lavorato presso il Servizio studi della Banca d'Italia, sono stato docente di macroeconomia e microeconomia presso l'Università cattolica del S. Cuore di Milano e ho ricoperto la carica di responsabile del risk management prima della Banca commerciale italiana e, successivamente, del Gruppo Intesa. Sto parlando di anni molto lontani, degli anni Ottanta, nei quali mi sono cimentato con la difficoltà di definire metodologie efficaci per effettuare una valutazione corretta del rischio di credito.
Allora, per capire se stavamo usando bene i soldi dei nostri depositanti, senza rischiare di perderli, ci basavamo su indicatori di rischio esterni, tra i quali i rating emessi dalle società specializzate, e interni, elaborati mediante i nostri modelli di valutazione del rischio.
Salvo che non si sia in mala fede, è folle - e, comunque, profondamente sbagliato - affidarsi ad un unico indicatore, perché non c'è modello che, da solo, consenta di misurare correttamente il rischio. Chiunque si dedichi a questo mestiere deve saperlo e deve adottare le opportune cautele; se non lo fa, le eventuali conseguenze negative dell'omissione non potranno essere ascritte a chi ha realizzato un determinato modello di elaborazione del rating.
È stato citato il caso Enron. Ho seguito la vicenda come responsabile della struttura che doveva misurare e monitorare i rischi. Allora, l'indicatore implicito nei dati di mercato dava la posizione di Enron in costante peggioramento nei ventiquattro mesi precedenti al fallimento. Al contrario, i rating, che tenevamo sotto costante monitoraggio, sono rimasti invariati fino a quindici giorni prima del fallimento.
Chi sbagliava? Probabilmente, sbagliavano le agenzie. Sbagliava, tuttavia, anche chi, omettendo di considerare le debolezze del processo di elaborazione dei rating, non aveva un approccio responsabile alla valutazione del rischio. Quindi, c'era anche un eccessivo affidamento, un overeliance.
Il problema, quindi, non sta nello strumento in sé: bisogna fare in modo che il rating sia elaborato secondo buona fede,


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con la necessaria diligenza e competenza e, soprattutto, in assenza di conflitti di interessi.
La normativa europea va esattamente in tale direzione, cercando, innanzitutto, di evitare il fenomeno dell'eccessivo affidamento.
Tuttavia, è il conflitto di interessi il vero punto dirimente. È per questa ragione che il regolamento (CE) n. 1060/2009 detta specifiche prescrizioni relative ai requisiti organizzativi e amministrativi delle agenzie di rating: le disposizioni concernenti l'alta dirigenza, i consigli di amministrazione o di sorveglianza, i membri indipendenti di tali organi, la funzione di controllo della conformità, l'indipendenza dell'attività di rating, gli analisti di rating, nonché i dipendenti e le altre persone che comunque partecipano all'attività di rating, sono finalizzate a individuare e a circoscrivere eventuali anomalie riconducibili a comportamenti, per così dire, non fisiologici.
Una volta che l'Autorità si sarà insediata, bisognerà monitorare costantemente i rating, per verificare quali tra essi siano troppo lontani dagli indicatori di rischio ricavabili da altre fonti e per intraprendere, eventualmente, sulla base di tali scostamenti, iniziative di vigilanza mirate.
Nell'attuale contesto, è fondamentale che le autorità di vigilanza siano preparate a fronteggiare in maniera adeguata l'innovazione finanziaria, in gran parte mossa dalla volontà di aggirare la regolamentazione. Per svolgere efficacemente tale funzione, esse debbono sviluppare la capacità di intercettare senza ritardo i segnali di anomalia, di attivare in maniera tempestiva le conseguenti azioni di vigilanza e, se del caso, i procedimenti sanzionatori appropriati.
In questa fase, si stanno definendo i criteri generali della vigilanza, ai quali bisognerà dare corpo mediante ulteriori specificazioni.
Credo che ciascun Paese dovrà responsabilmente immaginare anche quanto robuste dovranno essere le rispettive autorità di vigilanza. Non voglio sollevare polemiche, ma penso che un'autorità di vigilanza, in quanto strumento fondamentale per la tutela di rilevanti interessi pubblici, debba essere considerata un bene pubblico, da preservare anche attraverso adeguati investimenti di risorse. Quando la sopravvivenza di un'autorità rimane affidata al finanziamento da parte del mercato, i vincoli di bilancio si traducono inevitabilmente in vincoli alla capacità operativa.
A tale proposito, mi chiedeva, signor presidente, se abbiamo le risorse necessarie per esercitare l'attività di vigilanza. A quanto ho già detto poco fa posso aggiungere che il nostro bilancio pesa al 100 per cento sul mercato: questo è il perimetro all'interno del quale ci dobbiamo muovere.
Poiché ho qualche imbarazzo a rispondere alla domanda relativa alla Consob acefala, onorevole Barbato, mi riservo di tornare su tale questione in chiusura della mia replica.
Per quanto riguarda la domanda dell'onorevole Fluvi relativa ai conflitti di interessi, questi si misurano a livello consolidato. La vigilanza europea è finalizzata ad intercettare problemi di questo tipo, specialmente quando vengono in considerazione grandi gruppi che hanno diramazioni in diversi Paesi.
Tuttavia, esiste - è vero - un problema più ampio. L'onorevole Ventucci ha rilevato come la globalizzazione imponga di guardare al di là dei confini europei.
Tuttavia, la nostra attività riguarda i soggetti che operano all'interno del nostro mercato mobiliare, effettuando operazioni di sollecitazione del pubblico risparmio attraverso l'emissione e il collocamento di strumenti finanziari.
Per quanto riguarda gli aspetti più generali della riforma del sistema finanziario internazionale, altri organismi stanno portando avanti le azioni opportune. Per quanto riguarda il tema specifico delle società di rating, invece, le problematiche relative agli effetti dell'impiego dei rating a fini regolamentari costituiscono oggetto di studio da parte dell'Organizzazione internazionale delle autorità di controllo dei mercati finanziari (IOSCO) e del Financial Stability Board. A chi mi chiede


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se le risposte siano adeguate all'urgenza dei problemi posso rispondere, innanzitutto, che il processo di mediazione tra gli interessi in gioco è molto complicato e riguarda, in gran parte, la politica. Quindi dovreste essere voi, non io, a dire qualcosa al riguardo. Noi siamo a valle del processo e, molto spesso, constatiamo la difficoltà della politica a convergere sulle soluzioni che condizionano le nostre scelte tecniche.
Ciò premesso, con riferimento al tema specifico dei rating, è previsto un meccanismo di avallo o di certificazione, a determinate condizioni, di rating emessi da società aventi sede in Paesi terzi. Ciò al fine di evitare che il nostro mercato venga contaminato, per così dire, da informazioni che potrebbero risultare devianti.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE COSIMO VENTUCCI

VITTORIO CONTI, Presidente vicario della Consob. Dire che a Moody's abbiamo soltanto «tirato le orecchie» sminuisce ciò che la Consob ha fatto. Il nostro intervento può essere considerato minimale, ma è esattamente quello che potevamo fare nel caso specifico.
Le iniziative che l'Unione europea ha assunto, nell'ambito della vigilanza finanziaria nel suo complesso e nello specifico settore della vigilanza sulle agenzie di rating del credito, sono finalizzate proprio all'istituzione di un sistema di vigilanza più efficace. Credo che faremo un grande passo in avanti in tale direzione quando avremo la possibilità di verificare, anche attraverso ispezioni in loco, che le agenzie di rating rispettino gli obblighi stabiliti dal regolamento in materia di requisiti organizzativi.
È chiaro che si possono immaginare altre modalità e strumenti, quali la rotazione delle società di rating e la richiesta non di uno solo, ma almeno di due o tre rating.
Per quanto riguarda le sanzioni, si tratta di un punto particolarmente sensibile, in merito al quale non si è ancora formato, a livello europeo, un orientamento politico condiviso. Noi siamo a valle di questo processo.

ALBERTO FLUVI. Presidente Conti, come lei ha giustamente sottolineato, quello delle sanzioni è un tema molto rilevante.
Ebbene, l'applicazione delle sanzioni da parte di un organo diverso dalla Commissione comporterebbe un problema di revisione del Trattato istitutivo? C'è qualche problema ad attribuire tale potere direttamente all'ESMA?

VITTORIO CONTI, Presidente vicario della Consob. Non credo che presso il Parlamento europeo si stia già procedendo a valutazioni di questo tipo.
Se lo consente, signor presidente, chiederei conferma alla dottoressa Giusto.

PRESIDENTE. Prego, dottoressa Giusto.

NICOLETTA GIUSTO, Responsabile dell'ufficio relazioni internazionali della Consob. La ringrazio, signor presidente.
Il problema della competenza a irrogare le sanzioni è già oggetto di discussione (e se ne discuterà, a breve, anche presso il Parlamento europeo).
L'opinione della Commissione europea è nel senso che il Trattato imponga limiti molto precisi, ma tale tesi è contestata da alcuni Governi, secondo i quali il sistema lascerebbe spazi alla negoziazione, quanto meno nel senso di consentire alle tre autorità di settore di comminare le sanzioni sulla base di precise indicazioni.
Ovviamente, come abbiamo affermato in occasione di precedenti audizioni, uno dei punti nodali della riforma complessiva del sistema di vigilanza finanziaria è costituito dal ruolo che la Commissione europea si è ritagliata all'interno della nuova architettura.
Invocando un'interpretazione restrittiva del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, e richiamando una giurisprudenza non recente della Corte di Lussemburgo, la Commissione rivendica la propria competenza a irrogare le sanzioni,


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ad adottare decisioni volte ad assicurare l'applicazione uniforme della normativa comunitaria, a richiedere una decisione sullo stato di emergenza, ad approvare i progetti di standard tecnici sviluppati dalle autorità europee di vigilanza. Questo è il punto di partenza.
Si sta negoziando, ma non si sa se si conseguiranno i risultati da molti auspicati.

VITTORIO CONTI, Presidente vicario della Consob. Comunque, la riforma è ancora in cantiere, e credo che la politica possa fare ancora molto.
Riguardo alle società di piccole dimensioni e al potenziale condizionamento delle agenzie di rating, partirei dalla constatazione che si tratta di una specificità nazionale (non chiamiamola anomalia). Il nostro è un Paese in cui le imprese sono prevalentemente piccole (sempre più piccole) e caratterizzate, di norma, da un'origine con una forte componente familiare. Non soltanto in questi anni difficili, ma anche prima, esse hanno dimostrato una certa riluttanza ad andare direttamente sul mercato del debito. Questo spiega perché le società quotate sono poche: le altre hanno preferito crescere con risorse interne. Ciò ha determinato alcune anomalie.
Innanzitutto, ci troviamo a gestire con strumenti non adeguati la ristrutturazione finanziaria di un sistema che annovera tante società in crisi, le quali necessitano, in molti casi, di piani di risanamento a lungo termine. Poiché le nostre imprese non fanno una fisiologica raccolta di risorse in borsa, il loro finanziamento avviene tramite il sistema bancario, che emette bond per fare funding. In questo modo, però, si crea un passaggio intermedio che aggiunge ulteriori costi. È inutile che mi dilunghi, perché conoscete il problema meglio di me.
L'investitore finale percepisce, in questi casi, il rischio di un emittente bancario connesso al portafoglio di ristrutturazioni sottostante ai titoli emessi, filtrato, da un lato, dalla supervisione prudenziale dalla Banca d'Italia e, dall'altro, dagli obblighi relativi ai requisiti minimi di capitale delle banche, come definiti nell'Accordo di Basilea II.
Il processo di interazione tra la generazione del risparmio - siamo la miniera del risparmio in Europa - e i suoi potenziali utilizzatori è intermediato, sempre di più, da un solo operatore. Nel descrivere il sistema finanziario italiano, anche oggi si pone in risalto, come nei vecchi rapporti degli anni Settanta, lo scarso sviluppo raggiunto dal mercato del debito. Dal punto di vista dell'industria finanziaria, il nostro Paese è ancora in una fase preindustriale.
Preferirei non esprimermi in merito al ritardo nella nomina del nuovo presidente della Consob. Non lo dico certamente per accampare scuse, ma vi assicuro che è un compito ingrato guidare un'Autorità per anzianità. Nel mio caso, sono presidente vicario perché sono stato nominato commissario qualche mese prima di un altro collega.
È chiaro che, da questo punto di vista, l'Italia appare, in sede internazionale, un Paese caratterizzato da una debolezza istituzionale.
Tuttavia, credo che la Consob stia facendo, in questo periodo, esattamente quello che deve fare. In proposito, va detto che il merito non è soltanto dei tre commissari rimasti, ma anche di una struttura ricca di professionalità, debbo riconoscerlo, che ci consente di lavorare bene anche in condizioni non normali.
Naturalmente, il fatto che la Consob riesca comunque ad essere efficiente non può assumere valore assolutorio rispetto alla mancanza di una decisione. Anche in sede internazionale, quando ci si presenta come acting chairman, si rimane comunque un facente funzioni. In un momento in cui si sta negoziando il futuro dell'Europa, per quanto riguarda la vigilanza finanziaria, tutti vogliono avere, a livello europeo, interlocutori destinati ad occupare la loro posizione per il tempo necessario a traghettare i sistemi nazionali verso il nuovo sistema europeo. A nessuno - non a me, e neppure a voi - verrebbe in mente di avviare un ragionamento, per


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giunta molto trasversale e complicato, con chi, probabilmente, non ci sarà più dopo una settimana o un mese.
Quindi, è chiaro che, al di là dei meriti e dei demeriti, anche senza voler interpretare la mancata nomina del presidente della Consob come il segno di debolezze di varia natura (questa situazione si presta, invero, a tante strumentalizzazioni), e limitandoci a un'osservazione obiettiva, che può sembrare persino banale, la mancata nomina viene percepita, di fatto, in maniera non positiva.
Non so in quale misura tale situazione possa avere condizionato la localizzazione delle sedi delle Authority. Alla base delle scelte che sono state effettuate ci sono valutazioni politiche, le quali sono la risultante degli attuali rapporti di forza tra i diversi Paesi europei.
Nell'ambito delle riflessioni finalizzate a completare l'assetto organizzativo delle tre autorità di vigilanza, stiamo cercando, con grande fatica, di ottenere la presenza di connazionali negli organi di vertice delle stesse. Ovviamente, stiamo spendendo il nostro impegno in tal senso non per campanilismo nazionalista - non si tratta, infatti, di tifare per la nazionale -, ma perché abbiamo competenze che sarebbe bene fossero utilizzate a livello europeo.
A tale proposito, desidero mettervi al corrente, ove non ne siate già informati, di un fatto importante, anche per evitare che quanto sta accadendo in questa fase si presti a strumentalizzazioni.
La Consob ha presieduto, negli ultimi anni, il gruppo di esperti che si è occupato del risparmio gestito, uno dei più importanti costituiti dal CESR, nell'ambito del processo di attuazione della direttiva comunitaria sui fondi comuni, il cui obiettivo è aumentare la convergenza delle società di gestione per quanto riguarda i requisiti organizzativi, le regole sul trattamento dei conflitti di interessi, le regole di condotta e la cooperazione tra le autorità di vigilanza. Il gruppo, all'interno del quale erano rappresentate le autorità di vigilanza degli altri Paesi, ha presentato al CESR, che li ha trasmessi alla Commissione europea, i technical advice relativi al cosiddetto passaporto UE delle società di gestione, alle informazioni chiave da riportare nei prospetti informativi dei fondi comuni d'investimento, alle risk management policy and procedures. Inoltre, il gruppo ha elaborato un documento, pubblicato dal CESR qualche mese fa, contenente le linee guida per una definizione armonizzata dei fondi monetari di mercato (money market fund).
Si tratta di fatti, non di uno spot pubblicitario. Aggiungo che i risultati del nostro lavoro sono stati recepiti in maniera praticamente integrale dalle altre autorità europee, cosa che al CESR considerano una rarità. Quindi, questo Paese le competenze tecniche le ha.
Attualmente, siamo impegnati nella valutazione dei complicatissimi strumenti creati dall'innovazione finanziaria, costantemente intenta a scoprire le lacune o le zone d'ombra della regolamentazione e ad approfittarne per agire indisturbata sui mercati (questa è una caratteristica endemica del sistema). Probabilmente, alla nostra Autorità toccherà occuparsi degli investimenti alternativi (quindi, di tutto il mondo degli hedge fund e del private equity).
A livello europeo, vediamo riconosciute la nostra capacità tecnica e, in particolare, la nostra capacità di trovare soluzioni che i rappresentanti di altri Paesi non riescono normalmente ad esprimere. Spesso, quando ci fanno i complimenti, i nostri interlocutori europei sottolineano la differenza tra la percezione che hanno dell'Italia, attraverso il rapporto con noi nei gruppi di lavoro, e quella trasmessa dai media.
Quello che sembra un complimento, in realtà, tale non è, né a livello nazionale, né a livello personale. Il punto è: cosa si può fare?
Con riferimento alla localizzazione delle sedi delle tre Authority, posso condividere le sue valutazioni, onorevole Barbato. Tuttavia, sebbene non sappia quale ruolo abbiano avuto la politica europea e quella italiana nella vicenda, è quello l'ambito in cui cercare le risposte che lei avrebbe voluto da me. Ovviamente, credo


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che il passaggio formale di cui stiamo parlando sia importante, ma non oserei mai esprimere valutazioni in merito a un ambito che è estraneo alle mie specifiche attribuzioni.
Per quanto riguarda la partecipazione azionaria di soggetti libici in Unicredit Banca Spa, alla Consob, la quale non era certamente all'oscuro di quanto stava avvenendo, competeva di verificare se la normativa di cui all'articolo 120 del TUF e al Regolamento Consob n. 11971 del 1999 («Regolamento emittenti») fosse stata correttamente applicata dalla Central Bank of Libya, dalla International Petroleum Investment Company e dalla Libyan Investment Authority, le quali ci avevano comunicato di detenere una partecipazione nel predetto istituto di credito pari, rispettivamente, al 4,613 per cento, al 4,991 per cento e al 2,075 per cento del capitale rappresentato da azioni con diritto di voto (il predetto obbligo di comunicazione grava su chiunque partecipi in un emittente azioni quotate avente l'Italia come Stato membro d'origine, nel caso in cui raggiunga, superi o scenda al di sotto di determinate soglie, a partire da quella minima del due per cento).
Al fine di riscontrare se, in base alla suddetta normativa, sia necessario aggregare le predette partecipazioni in una sola dichiarazione, in quanto riferibili ad un'unica entità, abbiamo inviato alla Central Bank of Libya e alla Libyan Investment Authority, attraverso i canali diplomatici, due richieste di informazioni. Le risposte ci sono giunte in questi ultimi giorni, e adesso stiamo effettuando le valutazioni del caso.
Abbiamo svolto alcune verifiche statutarie. È una coincidenza che il superamento della soglia del 5 per cento, una di quelle ulteriori previste dal «Regolamento emittenti», incroci un problema di governance di Unicredit. Tuttavia, poiché viene in rilievo, da quest'ultimo punto di vista, una tematica di governance (che conosciamo tutti benissimo: si tratta di stabilire se, ai fini dell'esercizio dei diritti di voto, il limite del 5 per cento previsto dallo statuto di Unicredit si applichi alle singole partecipazioni ovvero alla somma di esse), noi dobbiamo passare il testimone alla competente Autorità di vigilanza, che è la Banca d'Italia.
Il problema sta esattamente in questi termini. Credo che a molti risulti difficile capire gli sviluppi della vicenda, ma penso che ci sia ancora poca chiarezza su come siano andati i fatti e sui motivi degli ulteriori accadimenti di cui leggiamo sui giornali. Per quanto ci compete istituzionalmente, abbiamo segnalato al vertice di Unicredit - ma questa è una prova di puro buonsenso - che il mercato deve essere informato il più possibile.
Siamo di fronte a un passaggio traumatico, tipico delle società quotate quando sopraggiungono problemi. Quindi, occorre capire se quanto è avvenuto al vertice di Unicredit sia riconducibile a una discontinuità di visioni oppure a problematicità aziendali. In altri termini, si tratta di un episodio di cui i risparmiatori si devono preoccupare in qualche modo, in quanto sintomatico di problemi nascosti, o si tratta semplicemente dell'esito di una normale dialettica societaria? Se la risposta è la seconda, il fatto è meno grave. In ogni caso, occorre che Unicredit chiarisca al mercato, innanzitutto, se vi siano problemi nei bilanci e, inoltre, se ci si debba attendere discontinuità nelle strategie e nella gestione delle risorse umane. In altre parole, il mercato deve sapere se il disegno che era stato tracciato e annunciato, e che il gruppo stava attuando, continuerà oppure no. Dietro l'angolo c'è un cambiamento di direzione, oppure no? Questi sono gli ambiti che ci competono, e per quanto riguarda questi aspetti ci siamo già mossi.
Per quanto riguarda il discorso dell'arroccamento europeo e dell'accentramento, credo di avere già risposto, sia pure implicitamente. Noi siamo una parte piccola di un insieme molto più grande. Insomma, stiamo cercando di guardare anche a ciò che ci sta intorno.

PRESIDENTE. Rilevo una differenza tra il giudizio che hanno di noi gli europei e quello, molto più lusinghiero, che esprimono


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nei nostri confronti gli altri Paesi del mondo.
Per certi versi, ciò è comprensibile, perché l'Europa risente di un deprimente provincialismo. Se ci si reca, ad esempio, nei mercati cinesi, ci si accorge che l'apprezzamento nei confronti dell'Italia è di gran lunga superiore rispetto a quello che riscuotiamo nella vicina Francia, in Gran Bretagna o anche nella stessa Germania.

VITTORIO CONTI, Presidente vicario della Consob. Se mi è consentito svolgere una breve considerazione sul tema da lei sollevato, presidente, l'Unione europea è nata sulla base di comuni interessi prevalentemente economici e sulla speranza che tale comunanza potesse progressivamente portare ad una maggiore omogeneità anche dal punto di vista politico. Sta di fatto che scrivere regole comuni è più facile che far convergere i punti di vista politici, le policy e le identità nazionali che si confrontano.
A mio avviso, è chiaro il ruolo che un Paese dovrebbe attribuire alle proprie authority in questo momento. Com'è evidente a tutti i presenti, viene in considerazione una problematica assai rilevante, della quale è semplice, tuttavia, tratteggiare brevemente i profili essenziali.
Quando si calano regole uguali per tutti su realtà non omogenee - dal punto di vista della tassazione, delle business practices, della normativa e via dicendo -, si creano aree grigie nelle quali qualcuno si avvantaggia e qualcun altro viene penalizzato. Condizioni di svantaggio competitivo possono sembrare il risultato negativo di decisioni - giuste e sacrosante nell'ottica di costruire l'Europa - volte a rendere uniforme la regolamentazione di taluni settori. In realtà, si tratta di penalizzazioni che il singolo Paese si autoinfligge, quando tiene un atteggiamento inerte nel traghettare il proprio sistema verso gli standard europei.
È chiaro che il passaggio dalle autorità nazionali a quelle europee non potrà essere realizzato con una bacchetta magica. Tuttavia, se vogliamo accompagnare il Paese, in maniera fisiologica, verso quella che inevitabilmente dovrà essere la nostra casa comune, salvo che non succeda qualcosa - ma speriamo di no, perché sarebbe ancora più traumatico -, è assolutamente indispensabile che le forze politiche, da un lato, e le autorità, dall'altro, si facciano carico delle specificità nazionali ed elaborino un progetto condiviso, nell'esercizio delle rispettive competenze, per disegnare la linea che ci porta verso un nuovo punto di equilibrio del sistema.
Il punto di equilibrio è già stato individuato: ce lo stanno imponendo la crisi e la politica europea. A questo punto, la partita dobbiamo giocarla noi.

PRESIDENTE. Presidente Conti, le considerazioni da lei sviluppate poco fa hanno richiamato alla mia mente talune dinamiche che ho avuto modo di approfondire svolgendo la mia attività non soltanto politica, ma anche professionale.
Posto che sono pienamente d'accordo con lei, e credo lo siamo tutti, in ordine alla necessità di costruire regole comuni - altrimenti, questo mondo è destinato alla rovina -, non ritiene che, in un contesto competitivo disciplinato da regole comuni, queste debbano essere applicate da tutti i Paesi? Ad esempio, per una nave da carico non è indifferente fare rotta per i porti italiani ovvero per quelli del Baltico, per Valencia o per Marsiglia. In questi ultimi porti, infatti, condizioni di maggiore convenienza sono determinate, tra l'altro, anche da una diversa applicazione delle regole comuni. Allora, presidente Conti, come si deve porre il cittadino italiano rispetto alle norme comuni, che dovrebbero essere applicate dai Paesi Bassi, dalla Germania, dalla Spagna o dalla Francia? Non crede che gli operatori di un Paese i quali rispettano le regole comuni possano sentirsi penalizzati?
Sono pienamente d'accordo con lei, presidente: senza accordo sui princìpi, ci sarebbe il Far West. Tuttavia, vi sono situazioni e difficoltà oggettive nelle quali gli operatori si imbattono ogni giorno.
Quanto all'attuale situazione finanziaria, è compito della politica trovare le soluzioni migliori per uscire dalla crisi. Il


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nostro sistema creditizio è disciplinato da una legislazione (nella quale vi sono residui delle regole rimaste in vigore dal 1936 al 1993) che senza dubbio ci ha salvati, ma che qualche problema lo crea, soprattutto, come lei accennava, presidente, alle piccole e medie imprese. È come se ci fosse una forma di discrasia fra il «monumento» e ciò che questo deve rappresentare.
Le mie riflessioni potranno sembrare banali, presidente Conti, dopo che lei ha espresso le sue considerazioni con la competenza tecnica e giuridica che la contraddistingue. Naturalmente, il mio scopo non era quello di criticare certe posizioni - sarebbe una iattura se lo facessi - ma quello, ben diverso, di sottolineare talune criticità avvertite in concreto dagli operatori.
La nostra peculiarità di essere grandi risparmiatori, posta in risalto anche da lei, viene gestita in maniera quanto meno discutibile, nel senso che le piccole e medie imprese, di fronte al sistema bancario, ai controlli e alle normative attuali, ancora mettono in atto - glielo posso assicurare - certe pratiche riconducibili alla cosiddetta arte di arrangiarsi. Secondo me, ciò è vergognoso per un Paese che pretende di occupare la sesta o settima posizione nel mondo.
Il sostrato dell'arte di arrangiarsi può considerarsi racchiuso in alcuni aforismi che dovrebbero descrivere la mentalità predominante nelle varie aree del Paese: al Nord «si pensa al domani»; nel Centro si dice: «Vogliamoci bene!»; al Sud, invece, si dice «Scordiamoci il passato!». Purtroppo, le piccole e medie imprese vanno ancora avanti con questi sistemi.
Chiedo scusa per questa breve parentesi.

VITTORIO CONTI, Presidente vicario della Consob. Mi scuserà lei, signor presidente, se non esprimerò una posizione precisa: prendo quella che mi ha appena posto come una domanda retorica, perché non si può non essere d'accordo con lei. Qui, però, si arresta il mio giudizio su un tema che vorrei rimanesse estraneo alla mia replica.
Tornando alle regole comuni, c'è l'idea che qualcuno le emani e noi le subiamo. Non è così: all'interno del contesto europeo, contribuiamo anche a elaborare le regole. Avendo scelto di intraprendere un percorso comune, dobbiamo quindi attenerci alle regole della democrazia.
Il problema, casomai, è il seguente: presidiamo correttamente le nostre posizioni a livello europeo? Ci occupiamo fino in fondo di fare, non dico lobbying, ma esattamente quello che fanno gli altri, per creare spazi maggiori alla nostra presenza nelle istituzioni europee?
Quando ha affermato che alcuni applicano le norme e altri no, signor presidente, lei ha toccato anche un altro punto fondamentale: fatte le regole, occorre anche che si facciano rispettare da tutti.
Pur senza voler generalizzare, credo che il metodo con il quale si è operato in relazione alle agenzie di rating del credito possa essere applicato anche fuori di tale specifico settore.
Comunque, il nuovo disegno risponde esattamente ai due problemi da lei sollevati, signor presidente.
In primo luogo, le regole sono comuni per tutti, nel senso che non vi è spazio per interpretazioni ad hoc, finalizzate a preservare le specificità nazionali.
In secondo luogo, la vigilanza accentrata evita che le regole comuni possano essere applicate in maniera difforme. In tal modo, le Autorità nazionali hanno minori possibilità di arbitraggio regolamentare.
L'esperienza internazionale, di cui ho detto in precedenza, ha dato moltissimo a me e ai colleghi che con me hanno partecipato ai gruppi di lavoro e ai collegi. Quando si opera nelle sedi internazionali, si capisce come gira il mondo e com'è difficile mettersi d'accordo con gli altri.
Ebbene, mi sono trovato a domandare ai miei colleghi stranieri (nel caso specifico, inglesi): «Perché non volete introdurre la disposizione che suggeriamo? Gli esempi che indicherò vi faranno capire


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quanto essa potrebbe risultare utile». A quel punto, ho prospettato loro il caso di un prodotto finanziario, invero assolutamente impresentabile, che era stato immesso sul nostro mercato e che noi avevamo bloccato con mezzi di fortuna. I colleghi mi hanno risposto che, da loro, i consulenti filtrano i prodotti finanziari, facendo in modo che quelli «impresentabili» non arrivino sul mercato.
Spesso, è di questo tipo la distanza che deve essere colmata. In simili casi, non possiamo pensare che l'eliminazione del divario tra noi e gli altri possa scaturire, in maniera pressoché automatica, dalla mera applicazione di una regola comune, perché le regole si prestano ad essere aggirate.
In altri Paesi, il senso della sanzione morale è molto più forte che nel nostro. È chiaro, quindi, come da noi diventi molto più difficile affidarsi all'autoregolamentazione, nel dubbio che venga rispettata da chi opera sul mercato.
Chiaramente, il problema non può essere risolto semplicemente ragionando sulle regole e sugli approcci di vigilanza: con tutto il rispetto, penso che esso chiami in causa la politica, l'unica in grado di assolvere un compito così importante e delicato.
Se mi è consentita un'ultima osservazione, partecipando alle riunioni dei gruppi di lavoro internazionali, si può avere la percezione che dietro talune posizioni vi siano precisi disegni nazionali. A mio avviso, la spiegazione di ciò non è da individuare nella tendenza delle autorità a difendere le realtà nazionali di cui sono emanazione (ad esempio, è diffuso lo stereotipo secondo il quale gli inglesi difendono strenuamente gli interessi degli inglesi), ma piuttosto nell'oggettiva difficoltà a confrontarsi con un mondo che è molto diverso da quello nel quale si è abituati a svolgere le proprie funzioni.
Insomma, non bisogna dimenticare che c'è un terreno di gioco sottostante al teatro del confronto: bisogna mettere mano a questo aspetto se vogliamo che le norme e la vigilanza risultino efficaci.

FRANCESCO BARBATO. A mio avviso, il fatto che la Consob è senza presidente concorre a determinare una nostra debolezza sotto il profilo istituzionale.
È possibile, presidente Conti, mettere maggiormente a fuoco la vicenda Unicredit, con particolare riferimento agli interventi della Consob e della Banca d'Italia? Poiché lei ha una grande competenza tecnica specifica, ne vorrei approfittare per avere un quadro più chiaro della situazione.

VITTORIO CONTI. Presidente vicario della Consob. Su questo tema non posso essere più chiaro: ho già riferito in modo molto trasparente, onorevole Barbato, tutto quello che la Consob ha fatto e sta facendo.
Per quel che riguarda la mancata nomina del presidente, in una recente intervista televisiva mi è stato chiesto se la Commissione funzionasse bene con tre commissari su cinque e quali problemi incontrassimo eventualmente nello svolgimento del nostro lavoro in tale composizione ridotta. Ho risposto all'intervistatore che la Commissione funziona quasi al cento per cento. Poiché disponiamo di una struttura compatta e piena di competenze, abbiamo tutti gli ingredienti per poter lavorare bene e serenamente. Inoltre, abbiamo i tre voti che ci servono per deliberare, una grande voglia di fare e di portare avanti questa fase di transizione senza fermarsi ad aspettare ciò che non arriva ancora. Insomma, si va avanti.
Detto questo, il fatto che non venga nominato un presidente può essere percepito come un segnale di scarsa attenzione della politica alle problematiche che attraversano, in questo momento, i mercati finanziari. Noi non mettiamo fretta: la politica deve avere i suoi tempi e non voglio assolutamente entrare nel merito di scelte che non ci competono.
Tuttavia, come ho dichiarato nell'intervista, vi sono due situazioni che, in questo momento, potrebbero trarre qualche beneficio da una decisione. Mi riferisco, in primo luogo, alla crisi economica, i cui effetti sono tuttora visibili. In secondo


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luogo, vi è la necessità di garantire, a livello europeo, un'interlocuzione che appaia stabile, con il giusto committment della politica, al fine di portare avanti il disegno della casa comune europea. Questa è la mia chiara percezione.
Per ora, siamo contenti di ciò che stiamo facendo. Certo, l'autunno è alle porte e, se uno di noi si dovesse ammalare, la Consob sarebbe costretta a fermarsi. Com'è già stato scritto da qualcuno, se tre commissari sono il numero minimo per costituire il collegio, basta un mal di denti per impedire alla Commissione di riunirsi. Ma queste ultime considerazioni sono fin troppo banali. Ho ribadito quanto è già noto ed evidente a tutti.

PRESIDENTE. Ringraziamo il presidente Conti per avere risposto in maniera esauriente a tutte le domande che gli sono state rivolte, comprese quelle che si allontanavano un po' dal tema principale dell'audizione.
Per quanto riguarda la nomina del nuovo presidente della Consob, bisogna tenere conto dei tempi della politica. Del resto, il Presidente del Consiglio è ben consapevole dell'esigenza di assicurare una stabile rappresentanza dell'Autorità di vigilanza anche a livello europeo.
Comunque, per quanto abbiamo potuto constatare stamani, non abbiamo motivo di temere che il presidente vicario e gli altri componenti del collegio non sappiano fronteggiare in maniera adeguata anche situazioni delicate.

VITTORIO CONTI. Presidente vicario della Consob. Se mi è consentita una battuta, spero che tale fiducia non rallenti la procedura di nomina del nuovo presidente.

PRESIDENTE. Battuta per battuta, potrebbe anche essere...
Ringrazio il presidente vicario della Consob, anche per la documentazione consegnata, della quale autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 13,20.

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