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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissione VII
2.
Martedì 10 giugno 2008
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Aprea Valentina, Presidente ... 3

Audizione del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Mariastella Gelmini, sulle linee programmatiche del suo dicastero, limitatamente agli aspetti attinenti il settore dell'istruzione (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):

Aprea Valentina, Presidente ... 3 4 13 14 16 17 18
Barbaro Claudio (PdL) ... 14
Barbieri Emerenzio (PdL) ... 3
Capitanio Santolini Luisa (UdC) ... 3 13
De Torre Maria Letizia (PD) ... 14 16
Farina Renato (PdL) ... 4 17
Gelmini Mariastella, Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ... 4
Ghizzoni Manuela (PD) ... 4 16
Zazzera Pierfelice (IdV) ... 4
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.

COMMISSIONE VII
CULTURA, SCIENZA E ISTRUZIONE

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di martedì 10 giugno 2008


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VALENTINA APREA

La seduta comincia alle 10,50.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Mariastella Gelmini, sulle linee programmatiche del suo dicastero, limitatamente agli aspetti attinenti il settore dell'istruzione.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 143, comma 2 del Regolamento, del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Mariastella Gelmini, sulle linee programmatiche del suo dicastero, limitatamente agli aspetti attinenti il settore dell'istruzione.
Prima di lasciare la parola al Ministro Gelmini per lo svolgimento dell'audizione, da tutti molto attesa anche fuori da quest'aula, a nome di tutti i componenti della Commissione, desidero formularle i migliori auguri per il lavoro molto impegnativo che l'attende. Il Ministro potrà senz'altro contare sulla nostra incondizionata collaborazione nella realizzazione degli obiettivi, che insieme definiremo di volta in volta, e sul nostro pieno rispetto per il lavoro che andrà a svolgere.
Come espresso anche al Ministro Bondi in questa sede e in concomitanza con il mio insediamento, tengo peraltro a sottolineare che considero fondamentale che il Governo assicuri il pieno e incondizionato rispetto per il ruolo svolto dalla Commissione in tutte le sue componenti, sia quelle di minoranza che quelle di maggioranza. Voglio dirlo forte e chiaro, signor Ministro: sarò personalmente garante della distinzione dei rapporti tra il Parlamento e il Governo, assicurando che in nessun modo siano strumentalizzati, quando non addirittura sminuiti, il ruolo e le prerogative della Commissione che ho l'onore di presiedere e dei singoli parlamentari che la compongono.
Sono certa che lei, Ministro, condivida questo mio indirizzo e che tutti noi avremo in lei una preziosa alleata in questo senso.
Do la parola all'onorevole Barbieri che ha chiesto di intervenire sui lavori della Commissione.

EMERENZIO BARBIERI. Ieri pomeriggio una serie di agenzie informavano di un incontro tra la Ministra oggi nostra ospite e il Presidente della Repubblica Napolitano. Non ho votato Napolitano, ma è anche il mio Presidente. Capisco il clima di bon ton istituzionale, ma non trovo corretto illustrare le linee del suo dicastero prima a Napolitano che al Parlamento.
Personalmente avrei percorso una strada diversa, perché, come opportunamente ricordato dal presidente, il suo confronto non è con Napolitano, ma con noi. Probabilmente è stato un incidente di percorso, e comunque una mossa sbagliata.

LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Desidero associarmi al rilievo fatto dal collega Barbieri, perché sono rimasta molto sor


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presa di questa prassi assolutamente inusuale, che spero rappresenti davvero solo un incidente di percorso. Il Governo ha il dovere e il diritto di interloquire con il Parlamento, mentre il Capo dello Stato nulla ha a che vedere con le vicende di queste aule e di questa legislatura, giacché è solo il supremo garante della Costituzione. Mi auguro quindi che un episodio del genere non si ripeta, perché dobbiamo instaurare con il ministro un duraturo clima di fiducia, di collaborazione e di leale confronto.

MANUELA GHIZZONI. Anch'io desidero intervenire sui lavori della Commissione, in merito all'episodio cui hanno fatto riferimento i colleghi che mi hanno preceduto. Naturalmente non entro nel merito dell'opportunità che il Ministro Gelmini abbia incontri informali con il Capo dello Stato che, a differenza del collega Barbieri, abbiamo votato e che ha tutta la nostra stima. Considero tuttavia grave che abbia fatto seguire a questo incontro un dettagliato resoconto con anticipazioni finite sulla stampa, fatto che trovo anche lesivo del nostro ruolo. Desidero infatti ricordare che il suo Governo ha avuto la fiducia dal Parlamento e che quindi questa è la sede in cui sarebbe dovuta venire ad illustrare, senza anticipazioni, le linee del suo programma, del suo mandato e delle sue politiche per la scuola. È spiacevole, invece, che già questa mattina abbia potuto leggere sulla stampa ampie anticipazioni sulle sue linee programmatiche. Non ho molte legislature alle spalle, ma soltanto una breve, tuttavia ho partecipato a diverse audizioni con i ministri, che mai avevano avuto anticipazioni a mezzo stampa, soprattutto quelle programmatiche di avvio legislatura.
Signor ministro, il Quirinale non ha rilasciato notizie nel merito del vostro incontro, cosa che invece ha evidentemente fatto lei. Non conosciamo le fonti interne al Messaggero, forse una spia, tuttavia l'articolo è sui banchi di noi tutti ed è abbastanza curioso che il nostro primo incontro abbia avvio con un episodio tanto sgradevole.
I colleghi mi conoscono e sanno che non sono abituata a usare toni molto pesanti. Tuttavia, se lo fossi, definirei l'episodio non un increscioso incidente, bensì un atto di inaudita gravità.

PRESIDENTE. Desidero rammentare che sull'ordine dei lavori è ammesso a parlare un esponente per gruppo.

RENATO FARINA. Vorrei intervenire per fatto personale.

PRESIDENTE. Per fatto personale si interviene al termine della seduta.
Per l'onorevole Zazzera, esponente dell'Italia dei Valori, è diverso (Commenti dell'onorevole Farina). È il regolamento, onorevole Farina, che disciplina il dibattito sull'ordine dei lavori.

PIERFELICE ZAZZERA. A parte l'irritualità della scelta del Ministro Gelmini, vorrei soltanto capire se si sia trattato di una sua scelta individuale o se il Governo fosse a conoscenza della sua decisione di incontrare il Presidente della Repubblica, scavalcando persino il Presidente del Consiglio, che è espressione del programma.

PRESIDENTE. Do la parola al Ministro Gelmini.

MARIASTELLA GELMINI, Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Come darò atto dando lettura dell'intervento programmatico di questa mattina, nelle settimane che hanno preceduto la mia audizione mi sono astenuta dal rilasciare interviste e dichiarazioni in ordine al tema dell'istruzione, dell'università e della ricerca proprio per il grande rispetto che nutro nei confronti del Parlamento. Mi sono state rivolte molte domande sull'intendimento programmatico del mio dicastero, ma non ho rilasciato alcun tipo di dichiarazione, se non laddove vi era la necessità di prendere decisioni, come nel caso dei famosi debiti.
L'incontro con il Presidente della Repubblica non ha avuto come oggetto l'illustrazione dettagliata delle mie linee pro


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grammatiche, bensì una valutazione sugli esami di maturità e sul tema della prova scritta ad opera dell'INVALSI per quanto riguarda la scuola media.
Non nego che all'interno di questo colloquio, molto cordiale, si sia discusso ovviamente di quella che anche il Presidente Repubblica, condividendo le parole del Papa, definisce «comune emergenza educativa», ma non credo francamente di aver mancato di rispetto nei confronti della Commissione, posto che le linee programmatiche verranno illustrate per la prima volta qui oggi.
Non intendo rispondere di quanto scrive Il Messaggero. Nella mia relazione, non vi sono certamente solo i temi da esso citati. Probabilmente la testata giornalistica è andata a intuito, consapevole della posizione programmatica dell'attuale Governo. Ignoro come abbia avuto quelle informazioni, che credo non corrispondano esattamente ai contenuti del mio programma. Vi garantisco comunque che non vi sono state indiscrezioni giornalistiche per quanto di mia competenza.
Entrerei dunque nel merito della relazione.
Signor presidente, onorevoli deputati, il grande rispetto che nutro per il lavoro del Parlamento e l'importanza che assegno al confronto con le Commissioni mi hanno indotto a chiedere al presidente Aprea e al presidente Possa di separare in due distinti momenti la mia audizione. Istruzione, università e ricerca scientifica costituiscono un tutt'uno, hanno per protagonista lo stesso soggetto, la persona nel suo cammino di crescita e di conoscenza, e sono parte dell'unica infrastruttura dell'educazione e del sapere. Tuttavia, la loro complessità, la diversità di linguaggi e in parte di problemi, la necessità di focalizzare sia pure a grandi linee il dibattito e di dare alla Commissione la più ampia possibilità di esprimersi meritano da parte di tutti noi l'esercizio di un duplice sforzo.
Oggi, quindi, discuterò con voi dalla scuola primaria e secondaria. È necessario sottolineare innanzitutto un aspetto che mi preme e che ritengo voi abbiate il diritto di sapere e io il dovere di esprimere, ovvero il criterio affettivo, il sentimento razionale con cui ho deciso di accettare questo incarico gravoso ed esaltante. So bene che esso è pesato su spalle di grandi filosofi e di eminenti letterati, ai quali non mi permetto certo di paragonarmi, se non per l'essenziale, che non è la scienza e la cultura, ma la passione per l'educazione, il desiderio che questa Italia cresca nel bene più prezioso che oggi si usa definire «capitale umano», ma che più semplicemente si chiama «persona».
In continuità con l'intendimento delle famiglie, la scuola è il luogo primo e decisivo di questa possibilità, in cui sola sta la speranza. Per definire la crisi che attraversa non solo l'Italia ma l'intero Occidente, il Santo Padre non ha esitato a parlare di «emergenza educativa» come del punto di debolezza maggiore della nostra società, parole che rispecchiano i sentimenti di preoccupazione che il Presidente Napolitano ha voluto manifestarmi.
Nel dibattito sulla fiducia lo scorso 13 maggio, questa espressione è stata richiamata dai deputati di entrambi gli schieramenti, in particolare dagli onorevoli Renato Farina del Popolo della Libertà e Marina Sereni del Partito democratico. L'emergenza educativa non si affronta semplicemente con nuovi contenuti e nuove metodologie pur utili, né con il richiamo a valori astrattamente affermati. I valori, per essere condivisi e vissuti, devono essere convincenti per i ragazzi, come sono quando testimoniati da adulti (genitori, insegnanti, personale non docente), che propongono un senso positivo della vita.
Signor presidente, onorevoli deputati, ho deciso in queste settimane di mantenere il più assoluto riserbo sulle linee di indirizzo, salvo rispondere ad alcune urgenze rispetto alle quali il silenzio del ministro poteva essere male interpretato. Non ho concesso interviste né scritto articoli, ma ho invece iniziato a studiare i dossier, a leggere quanto di buono o meno buono è stato scritto in questi ultimi anni sulla scuola, a riflettere per impostare proposte ragionevoli e utili.
Oggi non intendo fare la lista della spesa, soprattutto perché i singoli capitoli


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di questa lista meritano (e credo li avranno) momenti di confronto focalizzato. Intendo invece esporre i princìpi e i metodi di un piano di legislatura. Sono sicura che il presidente della Commissione, l'onorevole Valentina Aprea, sia la persona più qualificata, anche per temperamento ed indole, a trasformare questo metodo in realtà quotidiana.
Signor presidente, onorevoli deputati, il Governo e il ministro hanno piena consapevolezza dei gravi e complessi problemi della scuola. Consentitemi di risparmiarvi una serie di dati di largo e pubblico dominio e di valutazioni, che in questi ultimi mesi ho visto largamente condivise, limitandomi solo ad alcuni numeri fondamentali.
Nelle comparazioni internazionali i nostri studenti risultano tra i più impreparati d'Europa. Le indagini OCSE-PISA, che misurano le competenze in ambito matematico e scientifico, la capacità di lettura e di soluzione dei problemi da parte dei quindicenni, collocano l'Italia ai livelli più bassi della classifica. Tra 57 Paesi siamo al trentatreesimo posto in lettura, al trentaseiesimo in cultura scientifica, al trentottesimo in matematica. Peggio di noi in Europa sono solo Grecia, Portogallo, Bulgaria e Romania, mentre meglio di noi Lituania e Slovenia. Negli ultimi sei anni siamo scivolati ancora più in basso.
Vorrei però sottolineare preliminarmente come i risultati cambino sia riguardo alla tipologia di scuola - meglio i licei, peggio gli istituti tecnici professionali - sia rispetto all'area geografica - meglio il nord, peggio il sud e le isole - sia all'interno di ciascuna area, con una distribuzione di emergenze e di eccellenza a macchia di leopardo.
Va anche sottolineato che, se tutti i commentatori hanno fermato la propria attenzione sui dati preoccupanti dei quindicenni, ben pochi hanno parlato delle scuole elementari, che mantengono invece un livello di eccellenza. Lo studio IEA PIRS pone i nostri bambini di 9 anni all'ottavo posto al mondo come capacità di lettura, secondi in Europa solo a Russia e Lussemburgo. Ritengo opportuno evitare di cercare soluzioni indifferenziate, giacché trattare malattie diverse con la stessa cura non è certamente un approccio razionale.
Premesso il quadro nazionale unitario, cui siamo chiamati dai princìpi espressi dall'articolo 117 della Costituzione, occorre superare una vecchia e deleteria logica centralistica, che non tiene conto delle specificità sociali e territoriali. Il nuovo ruolo delle regioni, sancito dal Titolo V della Carta costituzionale e da definire compiutamente nell'attuazione della legge n. 53, così come il necessario rafforzamento dell'autonomia scolastica, devono costituire una sorta di federalismo all'insegna della sussidiarietà, che rappresenta il quadro istituzionale entro cui affrontare i problemi.
Dobbiamo adottare la miglior cura per chi è più malato. Se siamo tutti convinti che l'istruzione è storicamente la più formidabile leva di emancipazione e di riscatto sociale, è ancora più urgente riparare questa leva nel Mezzogiorno d'Italia, dove i bassi livelli di apprendimento, la povertà e il degrado sociale rappresentano un male da estirpare. Quasi centocinquanta anni di studi e interventi dei grandi meridionalisti, sin dalle prime indagini di Sonnino e Franchetti, ci insegnano che solo attraverso il riscatto del Mezzogiorno e il dispiegamento delle sue enormi potenzialità l'Italia potrà considerarsi pienamente nazione.
A fronte di questi dati serve, a mio modo di vedere, uno scatto d'orgoglio nazionale. Ciascuno di noi è chiamato a reagire e a togliere quel velo di rassegnazione che troppo spesso accompagna l'analisi del sistema scolastico. Dai posti più bassi delle classifiche l'Italia può e deve risalire. Non possiamo rassegnarci, inoltre, di fronte al dato preoccupante della dispersione scolastica. È un dovere cui siamo chiamati non solo dal Protocollo di Lisbona, ma anche dalla necessità di garantire alle nuove generazioni tutti gli strumenti atti ad affrontare il futuro. Due milioni di studenti delle scuole superiori (oltre il 70 per cento) riportano una o più insufficienze al termine del primo quadrimestre, negli istituti professionali gli in


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sufficienti sono ben 8 su 10, mentre duecentomila studenti delle superiori nel corso del quinquennio abbandonano la scuola o vengono bocciati.
In una scuola in cui, per riconoscimento unanime, seri e rigorosi criteri selettivi sono venuti scemando e in cui si registra un'enorme dispersione di capitale umano, o meglio di persone in carne ed ossa che vedono il proprio futuro pregiudicato, occorre una presa di posizione lontana da inutili visioni ideologiche. Il Paese ci chiede a gran voce di lasciare lo scontro politico fuori dalla scuola. Non basta elevare sulla carta l'obbligo scolastico ed è negativa la scorciatoia di semplificare i processi di apprendimento. Nostro compito è quello di offrire al Paese una scuola che ciascuno, secondo le proprie propensioni individuali, consideri strumento utile e necessario. Credo che sia giunta l'ora del buonsenso, del pragmatismo e delle soluzioni condivise.
Questo principio vale anche sul fronte degli insegnanti. Non possiamo ignorare che lo stipendio medio di un professore di scuola secondaria superiore, dopo 15 anni di insegnamento, è pari a 27.500 euro lordi annui, tredicesima inclusa. In Germania ne guadagnerebbe 20.000 in più, in Finlandia 16 .000 in più. La media OCSE è superiore a 40.000 euro l'anno. Questa legislatura deve vedere uno sforzo unanime nel far sì che gli stipendi degli insegnanti siano adeguati alla media OCSE. Ma per fare questo le difficoltà sono molte ed è necessario aggredire le cause delle iniquità del sistema, mediocre nell'erogazione dei compensi, mediocre nei risultati, mediocre nelle speranze.
Una scuola ostaggio di rivendicazioni, più finalizzata allo scontro ideologico che non al recupero dei compiti del sistema, ha prodotto un esito che credo né i sindacati, né i partiti, né la società italiana tutta possano ritenere sensato: stipendi da fame, tramonto della cultura del merito, tramonto del senso della scuola.
È una sconfitta nazionale, cui tutti abbiamo il dovere di reagire invocando un vero cambiamento e non presunte riforme. Per troppi anni abbiamo creduto tutti che le riforme legislative potessero produrre una palingenesi del sistema educativo e abbiamo affidato all'approvazione parlamentare di leggi di sistema la nostra speranza di migliorare la scuola. Abbiamo investito le nostre energie sull'attività legislativa. Abbiamo discusso troppo e troppo a lungo di cicli, di modelli pedagogici, di indirizzi, di dottrine e di ideologie formative. Abbiamo imbullonato e sbullonato leggi e decreti, badando più al colore politico che alla sostanza dei problemi. Oggi dovremmo tutti renderci conto che abbiamo bisogno di buona amministrazione, di buongoverno, di semplificazione e di chiarezza. Il ministro prende qui l'impegno solenne di rispettare queste considerazioni.
Proporrò modifiche legislative solo laddove sia strettamente necessario; cercherò di contenere l'irresistibile tendenza burocratica a produrre montagne di regolamentazione confusa e incomprensibile, di favorire l'adozione di criteri generali e indicazioni nazionali leggibili, evitando la metastasi delle norme di dettaglio. Soprattutto cercherò di preservare e di mettere a sistema quanto di buono fatto dai miei predecessori. Per questo motivo non ho avuto tentennamenti rispetto alla cosiddetta «circolare Fioroni» sul recupero dei debiti scolastici attraverso prove supplementari. Nonostante il suo ritiro mi fosse chiesto da più parti - e mi avrebbe certamente garantito una facile popolarità - ho preferito rischiare di essere impopolare piuttosto che antipopolare. Ho provveduto certo a modificare aspetti che mi sembravano troppo dirigistici, ma non ne ho cambiato la sostanza. Questi anni hanno dimostrato che non c'è alternativa possibile e praticabile al ritorno della scuola dell'impegno e del rigore.
Per troppi anni la scuola, come altre istituzioni, è stata amministrata con una visione ribaltata rispetto alla logica e al buonsenso. Si è pensato che l'abbassamento della qualità potesse agevolare gli studenti offrendo agli insegnanti qualche garanzia in più in grado di compensare la perdita di ruolo e di status, con il risultato di non favorire né gli uni né gli altri. La


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scuola ha smesso di essere un servizio ai cittadini e alla nazione per diventare un enorme ammortizzatore sociale. Non c'è Paese al mondo che abbia fatto così. Non ci sarebbe organizzazione in grado di sopravvivere a queste procedure. È ingiusto per gli studenti e per i docenti, è soprattutto mortale per la qualità del sistema educativo.
Accanto a questo criterio autodistruttivo ne abbiamo introdotto un altro, che ha mortificato il senso di responsabilità. Abbiamo livellato le retribuzioni verso il basso e quindi - verrebbe da dire - toccato il fondo. Nella scuola abbiamo troppi dipendenti e poco pagati, con una carriera pressoché piatta. Non c'è quindi da stupirsi se tantissimi bravi maestri e professori non si sentono motivati, se tantissimi giovani preparati, con la vocazione all'insegnamento, scelgono altre strade; se lo Stato dà poco, non potrà che chiedere poco, in una spirale di frustrazione inarrestabile.
Dobbiamo trovare il modo di rovesciare questi criteri. La rivalutazione del ruolo dei docenti, a partire dal pieno riconoscimento del loro status professionale, che non può essere confuso con chi nella scuola ricopre altri ruoli, ancorché essenziali, è un nodo da sciogliere. Affermo questo ringraziando tutti quegli straordinari insegnanti, quegli eccezionali dirigenti scolastici, i membri del personale amministrativo, che non solo svolgono il proprio dovere, ma nonostante tutto vanno ben oltre. Abbiamo delle eccellenze da cui desidero imparare, andando non a fare visite rituali, ma vivendo la scuola con loro.
Dobbiamo trovare insieme il modo di migliorare le prestazioni della scuola, la retribuzione degli insegnanti e la qualità dei servizi accessori, sapendo che non disponiamo di risorse economiche illimitate, e che, anzi, dobbiamo compiere un grande sforzo di riqualificazione della spesa pubblica. Il precedente Governo aveva avviato un piano triennale di contenimento della spesa pubblica nel settore della scuola, che abbiamo ereditato e rispetto al quale non possiamo che procedere. I conti dello Stato e la situazione economica internazionale lo impongono. Va anche detto, tuttavia, che la coperta è corta, ma che la scuola è una priorità, anzi «la priorità». Non si tratta di un capitolo di bilancio qualsiasi, perché da essa dipende il futuro del Paese e il Governo dovrà tenerne conto.
Se vogliamo migliorare concretamente il sistema scolastico in Italia, non si può eludere il tema dell'autonomia e dell'assunzione di responsabilità a tutti i livelli. Parlare di autonomia significa innanzitutto valorizzare le governance degli istituti, dotarle di poteri e di risorse adeguate e puntare alla loro valutazione. Autonomia e valutazione sono due facce della stessa medaglia: non possiamo rendere piena l'autonomia scolastica senza un sistema di valutazione che certifichi in trasparenza come e con quali risultati venga speso il pubblico denaro.
Roger Abravanel in Meritocrazia definisce l'Italia un Paese pietrificato e come tale destinato al declino, precisando la sua idea di merito, che condivido pienamente. Meritocrazia è un sistema di valori che promuove l'eccellenza delle persone, indipendentemente dalla loro provenienza sociale, etnica, politica ed economica. Il merito non è una fonte di disuguaglianza, ma, al contrario, uno strumento per garantire pari opportunità ed è, dunque, la più alta forma di democrazia. Secondo Abravanel l'equazione del merito è «intelligenza più impegno. La scuola e l'università devono premiare gli studenti migliori. Se i risultati sono uguali per tutti, saranno sempre i figli dei privilegiati a prevalere». Ritengo che il punto di approdo del merito sia rappresentato dalla valutazione oggettiva degli studenti, degli insegnanti e delle scuole, che deve riguardare, scuola per scuola, non la presunta qualità dei processi e delle strutture, ma misurare il risultato dell'azione educativa sul singolo ragazzo quanto a valore aggiunto di cognizioni e crescita rispetto all'ingresso. Deve altresì tenere conto della dispersione scolastica. Serve un cambiamento epocale di mentalità, ma la società è pronta e se lo aspetta. Non sarà semplice e non sarà immediato, ma desidero dare il


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mio contributo per spargere i semi dal merito. Germoglieranno, ne sono sicura, perché l'Italia è pronta.
Se condividiamo il valore della valutazione, questa legislatura deve dare stabilmente all'Italia un sistema avanzato e riconosciuto. Se condividiamo il ruolo delle autonomie scolastiche, non solo a parole, ma nei fatti, sarà più facile liberare le loro potenzialità.
Ritengo fuorviante in questo senso parlare di parità scolastica marcando la diversità degli istituti scolastici in statali e privati. Si dice paritaria e paradossalmente con ciò si finisce per allargare il solco. Con la legge n. 62 del 2000, varata otto anni fa da un Governo di centrosinistra, esiste oggi in Italia un sistema pubblico di istruzione in cui convivono, in piena osservanza costituzionale, scuole dello Stato e scuole paritarie, istituite e gestite da privati. Tutte svolgono un servizio pubblico, in quanto tenute a rispondere a precise indicazioni ordinamentali stabilite dal sistema legislativo.
Le scuole statali servono oltre il 90 per cento dell'utenza e sono quindi una realtà estremamente ampia, importante e capillarmente diffusa su tutto il territorio nazionale. D'altra parte, sta crescendo in tante zone d'Italia la domanda delle famiglie per percorsi educativi con specifiche connotazioni, cui la scuola paritaria può fornire risposte adeguate. Un sistema pubblico d'istruzione, che fondi sul principio di sussidiarietà forme di pluralismo educativo, è la risposta alle esigenze di istruzione e di formazione del cittadino.
L'affermazione della parità scolastica sarebbe un espediente retorico, se si lasciassero languire o morire valide esperienze educative. Oltretutto, un dossier dell'AGESC rivela che il risparmio per l'erario, determinato nell'anno corrente dall'esistenza di queste libere iniziative, è di circa 5,5 miliardi, a fronte di un contributo di circa 500 milioni di euro. Invito tutti a pensare non agli istituti, ma agli studenti e alle loro famiglie. Ritengo infatti che tutte le famiglie meritino di poter liberamente scegliere dove far educare i propri figli.
Le risposte finanziarie fin qui sperimentate costituiscono un valido punto di partenza per individuare forme efficaci di sostegno alle famiglie. Le scelte che il Governo farà in proposito avranno tutto lo spazio del dibattito parlamentare, per arrivare ad un sistema equo e condiviso. In questo senso, sarà interessante valutare non solo le soluzioni messe a punto dai Governi nazionali succedutisi, ma anche le strategie promosse dai governi regionali più sensibili alla soluzione del problema.
Per quanto riguarda la condivisione degli obiettivi, al di là dei singoli temi e capitoli, occorre percorrere la strada del cambiamento condiviso, per dare stabilità al sistema. Solo condividendo la necessità di cambiare e rifuggendo da logiche conservative si entra in sintonia con larga parte del corpo sociale e si garantisce un senso al nostro ruolo. Quattordici associazioni di genitori, di dirigenti scolastici e di docenti hanno recentemente promosso un manifesto-appello, che chiede la condivisione di obiettivi che vanno dalla libertà di scelta educativa alla piena attuazione dell'autonomia scolastica, dalla personalizzazione dei piani di studio alla rivalutazione del ruolo del corpo docente. Altre spinte nella medesima direzione provengono dal mondo della scuola, dell'imprenditoria, dagli enti locali e dalle regioni, altre ancora dall'indagine conoscitiva condotta nella precedente legislatura dal Ministero dell'economia e delle finanze e dal Ministero dell'istruzione, i cui esiti sono stati raccolti e analizzati nel Libro bianco sulla scuola del settembre 2007.
Autonomia, valutazione e merito sono i grandi temi sui cui il Paese aspetta una risposta, in primo luogo dalla sottoscritta, e su cui il Parlamento ha il diritto e il dovere di esprimere la propria potestà legislativa. Mi sembra di poter registrare una convergenza anche con l'opposizione sulla necessità di avviare, citando dal programma del Partito democratico «una vera e propria carriera professionale degli insegnanti che valorizzi il merito e l'impegno» e ancora «nel realizzare un nuovo salto nell'autonomia degli istituti scolastici, facendo leva sulle capacità manageriali dei


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loro dirigenti all'interno di organi di governo aperti al contesto sociale e territoriale sulla valutazione sistematica dei risultati». Celebrando la Costituzione italiana, il mio predecessore, onorevole Fioroni, parlava di questa come della possibile legislatura del buonsenso. Condivido le sue parole.
Se esiste un campo in cui il buonsenso e la politica devono incontrarsi, questo è proprio quello della scuola. Proprio sotto l'egida del buonsenso, mi sembra si sia avviato il confronto con Maria Pia Garavaglia in qualità di ministro ombra dell'istruzione, che ringrazio, più ancora che per le parole di stima che ha voluto rivolgermi, per essere da subito entrata senza preclusioni nel merito dei primi atti compiuti dal mio dicastero.
Oggi dobbiamo interrogarci anche su cosa chiediamo alla scuola. La risposta potrebbe apparire scontata, ma in realtà non lo è. Pochi si aspettano dalla scuola che fornisca conoscenze disciplinari, formazione culturale, formazione professionale ed educazione. Non se lo aspettano molti, troppi studenti. Non è un caso se abbiamo portato al 93 per cento il tasso di partecipazione all'istruzione secondaria superiore della fascia dei giovani tra i 15 e i 19 anni.
Nel 2006, un giovane su cinque tra i 18 e 24 anni aveva abbandonato prematuramente gli studi senza acquisire un diploma di scuola superiore o almeno una qualifica professionale entro il diciottesimo anno di età. Possiamo tendere a raggiungere gli obiettivi di Lisbona solo se a quei giovani e a quelle famiglie riusciamo a dimostrare e non a dire che in quel diploma e in quella qualifica risiede non un pezzo di carta, ma un futuro migliore.
Oggi i dati statistici indicano che la società italiana è immobile. Il figlio dell'operaio è drammaticamente condannato, se è fortunato, a fare l'operaio. Ditemi voi se questo può essere ritenuto un sistema equo.
Antonio Gramsci asseriva che il merito e la fatica dello studio sono gli unici possibili fattori di promozione sociale. È una citazione dai Quaderni dal carcere, che voglio ricordare prima di tutto a me stessa. Gramsci scriveva: «Occorre persuadere molta gente che anche lo studio è un mestiere, e molto faticoso, con un suo speciale tirocinio. È un processo di adattamento. È un abito acquisito con lo sforzo, la noia e anche la sofferenza». La partecipazione di più larghe masse alla scuola media porta con sé la tendenza a rallentare la disciplina dello studio e a domandare facilitazioni. Occorrerà resistere alla tendenza di rendere facile ciò che non può esserlo senza essere snaturato.
Abbiamo di fronte a noi un'occasione: il precedente Governo ha stabilito, di concerto con le regioni, di rinviare al 1o settembre 2009 l'entrata a regime della legge n. 53. Il tempo è poco, ma il Parlamento e tutti gli attori coinvolti hanno la possibilità di dare al Paese una straordinaria prova di produttività. Ci sono due pilastri da rafforzare: il primo riguarda il nocciolo dell'istruzione, il secondo riguarda la personalizzazione dell'istruzione.
Lo Stato è chiamato dalla Costituzione a determinare i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale e a dettare le norme generali sull'istruzione. I livelli essenziali nella società della conoscenza non possono che essere costituiti da una formidabile preparazione di base, che oggi è venuta drammaticamente a mancare.
La patente delle tre «I» - inglese, internet e impresa -, indispensabile a percorrere le strade del terzo millennio, non può essere presa a discapito della quarta «I», quella di italiano, termine con cui ricomprendo l'antico trinomio «leggere, scrivere e fare di conto», da declinare e approfondire a seconda dei livelli e dei percorsi di istruzione, senza indulgere nello spezzettamento dei saperi e nei «progettifici», che, come segnalato dai moniti internazionali e dai documenti elaborati dal precedente Governo, producono nei nostri studenti inevitabili corto circuiti e deficit nella conoscenza, impossibili da recuperare.
Come fa dire Leonardo Sciascia al professore Carmelo Franzò «l'italiano non è l'italiano, è il ragionare». L'italiano è quindi il territorio in cui si esercita la


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ragione, la ricerca del senso, la matematica e infine le tre «I», che fioriscono bene solo in questo alveo di significato.
Le indicazioni nazionali saranno concentrate su questo obiettivo, lasciando alle autonomie scolastiche le più ampie possibilità, nella parti a loro riservate, di esaltare le proprie specificità, sempre - mi auguro - con l'obiettivo dell'eccellenza.
Si sarà notato che uso spesso la parola «eccellenza» e che non cerco sinonimi, perché lo scopo che con voi vorrei pormi è il seguente ossimoro: «la normalità dell'eccellenza». Non è un paradosso, ma l'attenzione che anima ogni educatore.
Quanto alla personalizzazione dell'istruzione, non intendo riassumere un dibattito troppo vasto e troppo ben conosciuto dai presenti, la cui leva principale è nell'interazione, nella sinergia tra autonomie scolastiche, docenti, studenti e famiglie. Al mondo non esiste legge o circolare ministeriale che possa indicare come e quando personalizzare. Esistono invece quadri di riferimento in grado di aiutare i soggetti della personalizzazione a parlare tra di loro e ad individuare le soluzioni concrete. Servono uno sforzo innanzitutto umano e il cuore dell'educatore che personalizzi l'istruzione.
Mi concentro ora, seppur per sommi capi, sulla scuola secondaria di secondo grado, sul sistema dei licei, degli istituti tecnici e professionali, sulla formazione professionale. Ho ereditato materiali utilissimi, come il rapporto della cosiddetta «Commissione De Toni» sull'istruzione tecnica e professionale, che ci consentono di non iniziare ancora una volta da capo.
La mia prospettiva - spero la nostra prospettiva - è quella di portare tutto il sistema in serie A. Ogni pezzo del sistema deve avere pari dignità, perché ogni persona deve avere gli strumenti atti ad edificare il proprio progetto di vita.
Vorrei che il dibattito sulla cosiddetta «scelta precoce» si trasformasse nella costruzione dei percorsi più adeguati per permettere ad ogni ragazzo di trovare la propria strada. Il substrato di quel dibattito, magari sottaciuto, è permeato da una concezione classista, per cui il liceo è di serie A, l'istruzione professionale e tecnica sono di serie B, il sistema regionale delle qualifiche è di serie C. Non è così, o meglio, non è scontato che debba essere così. Non è così per gli istituti tecnici, ad esempio, da cui proviene - mi limito a citare un dato - lo zoccolo duro dei nostri laureati in ingegneria. Mi rifiuto, inoltre, di considerare il sistema della formazione professionale come una sorta di suburra, in cui relegare forzosamente sui banchi adolescenti per così dire difficili.
Alcune regioni hanno costruito un sistema di grande qualità, che offre prospettive ai giovani e garantisce al mondo del lavoro persone preparate e predisposte alla formazione permanente. L'indifferenziazione dei percorsi, la pretesa di uccidere le propensioni individuali per pretendere ope legis che ogni adolescente percorra la stessa strada sono la traiettoria più sicura verso gli abbandoni e la dispersione. Diamo ad ogni persona la sua scuola e ogni persona troverà nella sua scuola le ragioni per frequentarla con profitto. Ridare senso alla scuola significa ridare senso a ciascuno dei percorsi per gli studenti e per le loro famiglie, ridare una motivazione per ciascuno a stare sui banchi, per stare meglio nella vita. Alcune di queste motivazioni possono essere rintracciate nella permeabilità tra mondo della scuola e mondo del lavoro.
Alcune delle eccellenze nei settori dell'istruzione tecnica e della formazione professionale si fondano su questo interscambio, ma non credo che il sistema dei licei debba essere considerato una turris eburnea, tutt'altro. L'interazione tra scuola e lavoro, tra scuola e vita reale ha un ruolo inestimabile: far comprendere allo studente, in un'età difficile, l'utilità concreta di quanto sta facendo, che imparare serve ad essere promosso non solo a scuola, ma anche nella vita.
Nello spirito di una scuola che sia realmente per tutti, affermo il diritto all'istruzione di chi presenta abilità diverse. Gli obiettivi didattici, le metodologie e gli strumenti devono essere personalizzati e coerenti con le abilità di ciascuno, per definire i livelli di apprendimento attesi.


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Molte sono le buone pratiche costruite su competenza, professionalità, disponibilità e impegno delle diverse componenti scolastiche, dagli insegnanti di sostegno agli insegnanti curriculari, dai dirigenti scolastici alle associazioni. Occorre fare tesoro dell'esperienza. Il mio impegno è indirizzato ad ascoltare le esigenze, le criticità, le proposte delle famiglie e di tutte quelle realtà associative che si occupano di disabilità, al fine di individuare insieme anche percorsi formativi più adeguati al bisogno con la necessaria flessibilità, superando le rigidità non coerenti con l'azione educativa.
La scuola coinvolge la responsabilità dell'intera società, a cominciare dalle famiglie e dagli insegnanti. Elevare la qualità della scuola richiede un'assunzione di responsabilità collettiva. I fallimenti sperimentati nella quotidianità con i gravi fatti di violenza, di bullismo, di tossicodipendenza rendono consapevoli insegnanti e famiglie dell'impossibilità di farcela da soli, ciascuno per proprio conto, e della necessità di una cooperazione corresponsabile tra tutti i protagonisti del processo di crescita umana e professionale dei giovani.
Se avvicineremo famiglia, scuola, comunità civile e mondo del volontariato, con il suo patrimonio di valori vissuti e di conoscenza del prossimo, e li faremo convergere su un'attenzione disinteressata nei riguardi dei giovani, sarà possibile far fronte alla sfida dell'emergenza educativa. Solo una partnership tra scuola e famiglia è in grado di affrontare disagi e difficoltà e di perseguire la qualità nei rapporti e negli apprendimenti, in modo che ogni studente possa trovare nella scuola le condizioni per valorizzare le proprie capacità e realizzare il proprio progetto di vita.
Difficoltà di apprendimento, scarso rendimento scolastico, abbandono degli studi, inconsapevolezza delle regole, abuso di sostanze stupefacenti si trovano alla base di fenomeni antisociali, quali la micro delinquenza e il bullismo e si manifestano sempre più precocemente. Va anche osservato che troppo a lungo si sono delegate alla scuola responsabilità e azioni che competono alla famiglia, che, pur nelle sue difficoltà, rappresenta la base fondamentale su cui sviluppare le attività didattiche, formative ed educative.
In questi ultimi anni, in particolare, la crisi della famiglia rende ancora più complesso il compito della scuola. Il manifestarsi delle diverse forme di disagio, infatti, chiama in causa innanzitutto gli affetti, i sentimenti, la vita di relazione dei giovani. Se si vuole rispondere efficacemente alla profonda esigenza di trasmettere il valore del rispetto e dell'osservanza delle regole, il valore della legalità, dei diritti e dei doveri, occorre agire sin dai primi anni di vita, sin dalla scuola dell'infanzia e dalla scuola primaria.
Veniamo al tema dell'integrazione, una parole chiave: integrazione nella comunità, nella civitas. Non possiamo chiudere gli occhi di fronte alla spinta migratoria, che coinvolge centinaia di migliaia di adulti e centinaia di migliaia di bambini. Il nostro primo obbligo è insegnare a tutti loro la lingua italiana e la Costituzione della Repubblica.
Non sono passati secoli, ma pochi lustri, da quando un'altra spinta migratoria all'interno del Paese è stata l'occasione per alfabetizzare centinaia di migliaia di italiani, che sono diventati l'ossatura della nostra industria e gli artefici, con la doppia fatica dello studio e del lavoro, del miracoloso boom economico italiano. Oggi dobbiamo garantire la stessa alfabetizzazione agli immigrati e ai loro figli, per loro e per i nostri figli. In numerose classi il processo di apprendimento è frenato dalla necessità di non lasciare indietro, di non escludere quote sempre più alte di alunni extracomunitari, ragazzi e ragazze con competenze proprie, ma penalizzati dalla barriera linguistica.
Occorre trovare soluzioni atte ad abbattere questa barriera e concentrare su quelle le nostre risorse professionali ed economiche, uscire dalle sperimentazioni per entrare nella normalità. Sulle modalità vorrei che si esprimesse la Commissione, ma chiederò anche l'aiuto di chi si trova in prima linea ad affrontare il problema, a partire dagli insegnanti delle classi in cui il numero di studenti stranieri è più elevato.


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Alfabetizzazione significa anche alfabetizzazione civile per i figli degli extracomunitari, che devono apprendere le regole della comunità italiana, così come noi apprendiamo e applichiamo le regole delle case in cui veniamo ospitati, ma anche per i giovani italiani. Giusto cinquanta anni fa, un grande statista e Ministro della pubblica istruzione, Aldo Moro, introduceva nelle scuole lo studio dell'educazione civica. Mi sembra che potremmo celebrare degnamente questo cinquantenario e i sessanta anni dalla nascita della Costituzione restituendo un ruolo centrale all'educazione civica.
Signor presidente, onorevoli deputati, mi avvio ormai a concludere. Prima delle elezioni, un gruppo di volenterosi uomini di conoscenza, il cosiddetto «gruppo di Firenze», si è riunito per proporre agli italiani e in particolare alle forze politiche un manifesto-appello. Vorrei farlo mio e impossessarmi del suo messaggio più importante, laddove recita: «Sia le riforme sia il Governo e la vita della scuola, a tutti i livelli, dovranno ispirarsi ai criteri di merito e di responsabilità. L'aggiornamento dei programmi, la riorganizzazione dell'istruzione superiore, l'autonomia delle scuole potranno dare risultati effettivi e duraturi solo recuperando e mettendo in pratica questi elementari princìpi dell'etica pubblica e privata. Dobbiamo offrire ai nostri ragazzi una scuola più qualificata ed efficace, ma insieme più esigente sul piano dei risultati e del comportamento. Dobbiamo restituire ai docenti, spesso demotivati e resi scettici da troppe frustrazioni, il prestigio e l'autorevolezza del loro ruolo, intervenendo, però, con tempestività e rigore nei casi - pochi, ma negativi per l'immagine della scuola - di palese negligenza o di inadeguatezza. I dirigenti scolastici, infine, andranno valutati in primo luogo per la loro capacità di garantire nel proprio istituto professionalità e rispetto delle regole da parte di tutti».
Desidero rivolgermi ai firmatari di questo appello, chiedendo loro aiuto. Sono infatti convinta che invertire la tendenza al degrado della scuola richieda un grande sforzo nazionale, cui sono chiamati il Parlamento e le parti sociali nelle loro definite responsabilità, cui è partecipe il mondo della cultura, il mondo dei giovani e le loro famiglie. Abbiamo bisogno di una grande alleanza per la scuola, che restituisca al Paese la parola «speranza».
A chi ha sottoscritto quel documento, ai tanti che in queste settimane mi hanno dato utilissimi consigli chiedo collaborazione, così come anche alle associazioni degli studenti. Recentemente, ho incontrato il loro forum e so che non sarà facile trovare una lingua comune, perché spesso sono stati dati per scontati una sostanziale incomunicabilità e un atteggiamento in cui ministro e rappresentanti degli studenti sono controparti. Non lo do per scontato e chiedo loro di non darlo per scontato, prendendo l'impegno di tenere aperto un canale non episodico di discussione. Su alcuni punti avremo probabilmente posizioni diverse, ma ci saremo parlati e confrontati.
La scuola ha bisogno di un grande impegno civile. Non dobbiamo rassegnarci e credere che la scuola italiana sia un malato terminale, ma è necessario uno scatto di orgoglio da parte di tutti. Personalmente ci credo, sono ottimista e intendo spendermi fino in fondo. Vi chiedo collaborazione e aiuto in questo sforzo di ricostruzione della principale infrastruttura italiana. Grazie. (Applausi).

PRESIDENTE. Colleghi, vi devo ricordare che non è consuetudine applaudire in Commissione. Naturalmente, siamo all'inizio della legislatura e possiamo anche condividere l'entusiasmo dei colleghi.
Ricordo che alle ore 12,15 dobbiamo interrompere per permettere ai colleghi di partecipare ai lavori dell'Assemblea.

LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Sull'ordine dei lavori, vorrei sapere come intendiamo procedere.

PRESIDENTE. Proseguiamo fino alle ore 12,15.

LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Non credo che ce la faremo.


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PRESIDENTE. Poi riprenderemo il dibattito in un'altra seduta. Oggi siamo costretti dall'Assemblea a interrompere i nostri lavori alle ore 12,15. Dopodiché il ministro tornerà in più sedute per il prosieguo del dibattito.

CLAUDIO BARBARO. Intervenendo sull'ordine dei lavori, faccio presente che abbiamo ricevuto comunicazione che la seduta sarebbe stata interrotta. Per la funzionalità del dibattito, credo che sarebbe meglio interrompere...

PRESIDENTE. Onorevole Barbaro, le pare che proseguiremmo la seduta della Commissione se in aula si vota?

CLAUDIO BARBARO. Forse non mi sono spiegato: abbiamo ricevuto una comunicazione dalla segreteria della Commissione secondo la quale il dibattito sarebbe ripreso successivamente.

PRESIDENTE. Colleghi dell'opposizione e della maggioranza sono iscritti a parlare, per cui cominciamo il dibattito che poi sarà interrotto e ripreso successivamente.
Do, quindi, la parola colleghi deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

MARIA LETIZIA DE TORRE. Grazie, presidente. Saluto il ministro, che ringrazio per essere presente e averci proposto le sue linee programmatiche. Come lei sa, ministro, in questi due anni sono stata sottosegretario al Ministero della pubblica istruzione, ma ora cerco di assumere un ruolo diverso, dal quale svolgo questo mio intervento.
La sua relazione contiene, come lei ha detto, una grande passione per l'educazione. Le auguro di poter far crescere in questi anni la scuola italiana e, giacché quella oggi esposta è una fotografia scattata dall'esterno della scuola, di poterne scattare in questi anni un'altra sempre più dall'interno, conoscendone le grandi ricchezze (oltre alle emergenze, la scuola italiana comprende grandissime ricchezze, altrimenti non saremmo dove siamo) e le sue sofferenze, i momenti difficili di tanti anni di decisioni altalenanti. Della scuola non è facile parlare, perché rappresenta l'identità del Paese e la sua risorsa più pregiata, ma nello stesso tempo il sistema più delicato e complesso.
Come lei ha ricordato, ci sono stati momenti laceranti in cui la scuola, le opinioni su di essa o i progetti di riforma hanno diviso il Paese, la politica e i lavoratori del settore. Considero un povero Paese quello che non è concorde sulla sua funzione educativa e che non si sente unificato dalla propria scuola.
Ciò ovviamente non è in contrasto con la necessità di una pluralità di apporti intorno alla scuola. Riteniamo necessario mettere a confronto proposte diverse, talvolta visioni diverse, e crediamo che con onestà intellettuale debba essere compiuto lo sforzo di capire, di approfondire, di trovare soluzioni non di parte, ma utili a un bene primario del Paese, ovvero la scuola.
Per questo motivo, ministro, all'inizio della seduta abbiamo espresso disappunto rispetto ad alcune linee che sarebbero determinanti e che devono essere discusse in una seduta apposita, invece di apprenderne il merito e da quanto indicato sul Messaggero.
Il Partito democratico - non potrebbe essere diversamente; non vi è qualità democratica senza scuola di qualità - si spenderà molto per la scuola con la propria visione, offrendola senza ridurla di un centimetro, altrimenti daremmo un apporto ridotto, cercando però il confronto per l'assoluta necessità di unità intorno alla scuola.
Desidero sottolineare qualche punto sul passaggio dalle azioni del Governo precedente alle scelte di questo Governo. Per un tempo limitato, il Governo precedente ha lavorato molto, lasciando di conseguenza il proprio operato in una fase delicata. È dunque importante capire come affrontare questa fase di passaggio.
Vorrei scorrere velocemente e per titoli alcune principali azioni nella direzione dell'apprendimento, quali le indicazioni della scuola per l'infanzia primaria e secondaria di primo grado, che sono di


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estrema importanza e che rappresentano la vera risposta al disagio dei ragazzi oggi all'interno della scuola. Desideriamo quindi chiederle come intenda portarle avanti ed estenderle alla scuola di secondo grado. A questo si aggiungano l'estensione dell'obbligo scolastico da 8 a 10 anni e la riorganizzazione degli istituti tecnici professionali, di cui tratteranno i colleghi del Partito democratico. Questi interventi erano il primo presupposto per il rafforzamento del sistema di valutazione. Condivido, signor ministro, le sue considerazioni rispetto all'importanza della valutazione. I primi interventi puntuali, quali la riforma dell'esame di Stato, il recupero dei debiti formativi, le iniziative per il merito scolastico, hanno dato segnale di serietà, come anche i primi passi per il riordino del sistema di valutazione esterno INVALSI nella legge finanziaria del 2007.
Avere un buon sistema di valutazione, che purtroppo l'Italia ancora non ha, è un passo necessario per rendere effettiva l'autonomia degli istituti scolastici. In questa direzione erano state direttamente date risorse per le attività aggiuntive degli insegnanti e per le spese di funzionamento degli istituti: le scuole aperte, le sezioni primavera, una proposta di legge, che non ha svolto il suo percorso, per un'educazione degli adulti basata sul sistema nazionale di certificazione.
Si è lavorato per trasformare le graduatorie permanenti degli insegnanti in provvisorie, per eliminare il precariato della scuola e per avviare un processo del tutto nuovo per l'assunzione e la formazione degli insegnanti. È inutile spiegarne l'importanza, ma chiedo che a questo tema sia dedicato un lavoro della Commissione in interazione con lei, signor ministro. Nel giugno 2007 è stato anche concordato con il sindacato un importante documento di indirizzo, che conteneva svariati punti, alcuni dei quali già menzionati.
Ritengo - come ritengono molti osservatori - che il punto chiave dell'intero sistema scolastico italiano sia quello di portare a compimento, o almeno il più avanti possibile, l'autonomia scolastica e il suo governo partecipato. Ciò richiede scelte decise e una revisione del ruolo del Ministero, che deve passare dal ruolo di «estensore di circolari» a svolgere una funzione leggera, ma molto competente, al servizio dell'autonomia dei singoli istituti e delle rispettive reti. Questo che ha davanti è un compito enorme, signor ministro.
È inoltre necessario chiarire, e di conseguenza attuare, la divisione dei ruoli tra Ministero e regioni. Noi riteniamo che l'istituzione scolastica, la scuola vera, quella con alunni e docenti, debba nascere da una relazione tra il Ministero, che ha un compito di regolazione, di garanzia nazionale, di valutazione di grandi indirizzi, e il ruolo delle regioni, che dovrebbero assumere compiti maggiori e svolgerli vicino ai cittadini. Questo farà davvero la differenza, perché in questi anni la concezione centralistica ereditata dal passato ha bloccato la scuola.
Un tassello importante è costituito dalla revisione del governo delle singole autonomie scolastiche e del sistema scolastico nelle reti di scuole, nelle regioni e a livello nazionale. Crediamo che questa governance debba essere partecipata, non solo rappresentativa, e che possa rispondere a due grandi urgenze del Paese: sanare la frattura tra scuola e famiglia e fra scuola e società, che ha raggiunto livelli di guardia, e fare della scuola italiana un'occasione di rigenerazione della democrazia con un vissuto reale al suo interno, che formi cittadini veri.
Una recente analisi di Eurydice, comparando i vari Paesi europei e constatando come l'Italia in attività di cittadinanza si trovi agli ultimi posti, afferma che non è sufficiente imparare la cittadinanza, ma occorre fare un'esperienza di vissuto all'interno della scuola. Per questo motivo, abbiamo presentato un disegno di legge, che dovrebbe sostituire la normativa sugli organi collegiali, dal titolo «Governo partecipato della scuola dell'autonomia». Su questo ci confronteremo.
Per quanto riguarda i bisogni educativi speciali, nei due anni precedenti è stata data loro grande attenzione (alunni disabili, difficoltà specifiche di apprendimento e studenti di madrelingua non italiana, bisogni


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ricordati anche dal ministro). La scuola inclusiva, la piena integrazione, la scuola per tutti e di tutti rendono il sistema scolastico italiano un modello unico, invidiato nel resto d'Europa, purtroppo ancora troppo poco studiato e troppo poco offerto alla valutazione europea.
Il lavoro di manutenzione della scuola inclusiva è molto più delicato di un altro tipo di scuola e richiede molta competenza. È stato quindi iniziato un lavoro di valutazione, di aggiornamento, di riorganizzazione, che ha coinvolto non solo genitori e associazioni. A mio avviso queste realtà devono pienamente partecipare al governare e legiferare, ma a noi spetta il compito di trovare un'equa sintesi che non si limiti ad essere la somma delle tante richieste. In questo senso sono state coinvolte le migliori energie del Paese.
Le chiediamo, quindi, signor ministro, quanto segue: come intenda proseguire e in particolare, poiché in questi due anni si è dovuto attingere al personale delle sedi regionali e provinciali visto che il Ministero non era presente in maniera adeguata, se verrà potenziato il lavoro del Ministero per l'integrazione degli alunni con disabilità; se continuerà il lavoro di aggiornamento degli istituti scolastici in corso con I Care (è stato calcolato che in cinque anni si sarebbero potute aggiornare le circa 10.000 scuole del Paese); se si intenda affidare a un gruppo di elevata competenza il rafforzamento delle competenze didattico-pedagogiche della scuola inclusiva; quale importanza verrà data agli scambi all'interno dell'Unione europea. In passato l'Italia, pur con questa straordinaria esperienza, quasi non compariva nei rapporti di Eurydice.
Per quanto riguarda difficoltà specifiche di apprendimento quali la dislessia, le chiediamo se il Ministero intenda portare avanti il gruppo di lavoro tecnico recentemente costituitosi. Per quanto riguarda il problema degli studenti alloglotti, sostenuto da ben nove mozioni, a partire dalla prima della Lega nord, vorremmo sapere se s'intenda proseguire nell'impegno dell'insegnamento della lingua italiana - nel merito ci ha già risposto, signor ministro -, attuando un progetto già steso dal comitato scientifico nella scorsa legislatura, cui erano stati inizialmente assegnati cinquemila euro, ed anche se si voglia proseguire la formazione dei dirigenti e dei docenti per la dimensione interculturale della scuola italiana nonché tener conto del documento La via italiana all'integrazione e all'intercultura.
Per quanto concerne la famiglia, in questi anni si è constatato come la sua trasformazione abbia comportato specularmente un diverso atteggiamento della scuola....

PRESIDENTE. Onorevole De Torre, le chiedo scusa, ma la interrompo per informarla che si sono iscritti altri sette componenti del suo gruppo. Se vuole continuare a parlare, per me sta bene, ma faccio presente che non potrò concedere lo stesso tempo agli altri. Anche il suo capogruppo ha chiesto di parlare.

MANUELA GHIZZONI. Concederò del tempo io stessa.

PRESIDENTE. Bene. Ho solo ritenuto opportuno avvertire.

MARIA LETIZIA DE TORRE. Cercherò di abbreviare il mio intervento. Per quanto riguarda l'uso delle risorse per la scuola, come lei ha evidenziato, signor ministro, in questi anni ci sono stati significativi progressi nella quantità d'istruzione, ma si rileva ancora un ritardo non colmato. Esiste un problema di qualità e di divario tra nord e sud e tutto questo richiede ingenti risorse con risultati non altrettanto soddisfacenti.
Per questo insieme al Ministero dell'economia e delle finanze era stato avviato un processo che aveva portato alla stesura del libro bianco, ma anche alla creazione di un gruppo di lavoro per una sperimentazione in venti province italiane. Vorrei sapere se la Commissione potrà venire a conoscenza del rapporto redatto da questo gruppo di lavoro, che considero rilevante per le future decisioni da assumere.
In conclusione, il cantiere della scuola italiana evidenzia un'elevata complessità.


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Il Partito democratico svolgerà il suo compito con responsabilità e determinazione, volendo approfondire con onestà intellettuale. Cercheremo di dare il meglio di noi su alcuni punti importanti, primo fra i quali la necessità che la scuola sia il luogo unificante di tutto il Paese, per tutti e di tutti insieme. La scuola deve essere inserita nella comunità locale. Non potremo quindi mai permettere che venga negato accesso od opportunità a un minore, qualsiasi siano le sue condizioni sociali, il suo status, le sue abilità o disabilità.
Il merito, che ovviamente è molto importante, deve essere legato all'impegno e alla crescita, al progresso rispetto all'ingresso, mai al farsi spazio sgomitando, mai alla cultura dell'arrivismo, senza dimenticare che solo alcuni genitori possono permettersi di garantire ai propri figli un insegnamento aggiuntivo.
In secondo luogo, le scuole devono essere tutte di qualità. In questo risiede il grande compito del pubblico. Deve essere al più presto sanata la frattura tra nord e sud; ci ha fatto molto piacere sentirglielo affermare. Non sarebbe condivisibile alcun provvedimento che creasse scuole di serie A e di serie B. Nella scuola occorre imparare non soltanto a leggere e a scrivere, ma anche ad essere cittadini, facendo quindi esperienza di questo vissuto democratico di legalità e di relazioni di qualità. Cercheremo di fare proposte affinché si punti molto alle relazioni tra insegnante e alunno, tra alunni e tra docenti.
Nella società della conoscenza, il sapere si annovera tra i diritti più importanti. Come da lei giustamente sottolineato, la scuola deve essere collocata al primo posto in agenda. Occorre quindi prendere in fretta decisioni di sistema, che devono essere condivise non solo in Parlamento, ma anche con le scuole, con i docenti e con gli studenti, con le regioni e gli esperti. Cercheremo quindi di fare in modo che il processo di lavoro intorno alla scuola sia partecipato.

PRESIDENTE. Ricordo che sono iscritti a parlare ancora tantissimi colleghi e che avremo modo di sviluppare il dibattito in altre sedute.

RENATO FARINA. Ringrazio molto il ministro per il suo intervento, che ritengo decisivo specialmente dal punto di vista del metodo per impostare i lavori di questa legislatura in modo utile rispetto all'emergenza educativa. Mi piace molto l'accenno a una sorta di grande alleanza, che non significa affatto confondere le prospettive ideali che caratterizzano ciascun gruppo politico, ma vuole essere un richiamo alla comune responsabilità dinanzi a questa emergenza diffusa, emersa anche nelle preoccupazioni del «sottosegretario emerito».
Credo che la grande questione sia quella del senso. Non si può affrontare il problema scolastico senza accettare un esame della nostra generale condizione sociale. Si può analizzare finché si vuole dal punto di vista sociologico la questione del bullismo o, come ieri ha fatto il professor De Rita sul Corriere della Sera, la questione dell'isolamento sociale, ma ritengo possibile uscirne non con un appello volontaristico, bensì lavorando insieme, ovvero stabilendo già qui il rapporto proficuo tra i diversi punti di vista nella scuola.
Mi è molto piaciuto dal punto di vista del metodo l'accenno alla parità scolastica. Si tratta non di qualcosa volto a sanare alcune questioni, ma di un modo di concepire la questione educativa, legandola alla libera scelta della famiglia e sostenendo la scelta di aderire a una proposta educativa in linea con il modo con cui si interpreta la propria presenza nella società e la propria crescita come essere umano. Occorrerà dunque sviluppare questo discorso conferendogli importanza strutturale, non degradandolo ad elemosina pubblica. Credo che solo garantendo l'effettiva parità scolastica potrà essere assicurato analogo rispetto all'interno degli istituti statali verso le varie posizioni.
Il riferimento del ministro all'educazione civica è stato accolto da un applauso. Credo che psicologicamente nella formula «educazione civica» si concentri tutto ciò che adesso manca, ovvero la convinzione che studiando l'educazione civica si possa automaticamente diventare un buon allievo,


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rispettoso dell'altro, antirazzista. Non vorrei che diventasse una sorta di «gabinetto delle illusioni», una specie di «piccolo chimico» da cui far uscire un uomo migliore. È ovviamente importante studiare la Costituzione, ma non può essere il luogo dell'insegnamento dell'etica pubblica, che deve attraversare la qualità dell'insegnamento e delle discipline.
La questione degli sprechi deve essere analizzata in modo molto serio. Alcune sere fa ho organizzato una cena con vari insegnanti miei amici. Un insegnante di scuola pubblica raccontava come nel suo istituto sei bidelli su otto fossero assenti per svariati motivi. In un istituto che dovrebbe essere paritario, ma che in realtà non lo è, lavora invece un solo bidello collegato con i citofoni e tutto funziona bene, con conseguenti risparmi. Forse in questo modo si riduce il PIL, ma si tratta di risparmi di risorse che potrebbero essere investiti in maniera non assistenziale per le famiglie dei bidelli, ma direttamente a vantaggio degli studenti. È una situazione che qualsiasi insegnante può confermare.
Un'ultima considerazione riguarda la questione iniziale sollevata dall'onorevole Barbieri, da cui dissento, in quanto credo che ciascun cittadino, costituzionalmente, abbia diritto a un rapporto diretto e immediato con il Capo dello Stato. Il Presidente della Repubblica è anche il garante del rapporto tra i tre poteri, quello esecutivo, quello legislativo e quello giudiziario. Se il Presidente accetta di dare udienza a un cittadino italiano, che è ministro, ritiene che questo incontro non leda le prerogative dei rispettivi ordini. Credo quindi che la critica sia indirizzata al Capo dello Stato, in quanto non è stato avveduto nel ricevere un ministro prima che lo stesso incontrasse i parlamentari. Non credo che sia il momento di fare rimostranze improntate a gelosie corporative, né che sia stata lesa alcuna prerogativa dei parlamentari, tanto più che il Capo dello Stato è storicamente considerato un'autorità morale. Sono nuovo alla Camera, ma mi sembra che sia sempre stato così.

PRESIDENTE. Avverto che in aula non è stato ancora dato il termine di preavviso per le votazioni (Commenti dell'onorevole Barbieri). Vogliamo chiudere qui la seduta? Va bene.
Per quanto riguarda la presenza del Ministro Gelmini, ricordo che martedì 17 giugno sarà di nuovo in Commissione per l'audizione in merito alle linee guida relative all'università e alla ricerca. In sede di ufficio di presidenza e in accordo con il gabinetto del ministro stabiliremo i tempi della ripresa del dibattito in materia di istruzione.
Se siete d'accordo e se i lavori in Assemblea lo consentiranno, propongo di procedere all'audizione sulle linee guida relative all'università e la ricerca secondo le modalità già utilizzate in quella del Ministro Bondi, ossia ad oltranza. In realtà, era prevista la stessa procedura per oggi, ma non è stato possibile seguirla a causa di concomitanti lavori in Assemblea.
Ringrazio il Ministro Gelmini e rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.

La seduta termina alle 12,10.

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