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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissione VII
5.
Mercoledì 18 giugno 2008
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Aprea Valentina, Presidente ... 3

Audizione del sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, con delega per l'editoria, Paolo Bonaiuti, su questioni inerenti il settore dell'editoria (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):

Aprea Valentina, Presidente ... 3 6 19 25 28
Bonaiuti Paolo, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, con delega per l'editoria ... 3 9 13 15 17 18 20 22 24 28
Carra Enzo (PD) ... 14 15
De Biasi Emilia Grazia (PD) ... 10
Farina Renato (PdL) ... 25
Giulietti Giuseppe (IdV) ... 16 17 18 19
Levi Ricardo Franco (PD) ... 6 23
Mazzarella Eugenio (PD) ... 23 25
Mazzuca Giancarlo (PdL) ... 11
Palmieri Antonio (PdL) ... 19
Perina Flavia (PdL) ... 12 13
Zaccaria Roberto (PD) ... 20
Zazzera Pierfelice (IdV) ... 23
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.

COMMISSIONE VII
CULTURA, SCIENZA E ISTRUZIONE

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 18 giugno 2008


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VALENTINA APREA

La seduta comincia alle 14,40.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, con delega per l'editoria, Paolo Bonaiuti, su questioni inerenti il settore dell'editoria.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, del sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, con delega per l'editoria, Paolo Bonaiuti, su questioni inerenti il settore dell'editoria.
Gentile sottosegretario Bonaiuti, prima di lasciarle la parola per lo svolgimento della sua relazione, da tutti noi molto attesa, voglio formularle, a nome dei gruppi della Commissione e mio personale, gli auguri migliori per il lavoro molto impegnativo che l'attende.
Potrà senz'altro contare sulla nostra incondizionata collaborazione nella realizzazione di quegli obiettivi che insieme, di volta in volta, definiremo nonché sul nostro pieno rispetto per il lavoro che andrà a svolgere.
Considero altrettanto fondamentale, però, che il Governo assicuri il pieno e incondizionato rispetto per il ruolo svolto dalla Commissione in tutte le sue componenti, di minoranza e di maggioranza.
Sarò personalmente garante della distinzione dei rapporti fra il Parlamento e il Governo, assicurando che in alcun modo siano sminuiti il ruolo e le prerogative della Commissione che ho l'onore di presiedere e dei singoli parlamentari che la compongono. Sono certa che condivida questo mio indirizzo e che tutti noi avremo in lei un prezioso alleato in questo senso.
Do, quindi, la parola al sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, con delega per l'editoria, onorevole Paolo Bonaiuti, per rendere le indicazioni relative alle questioni inerenti il settore dell'editoria.

PAOLO BONAIUTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, con delega per l'editoria. Sono lieto di essere in questa Commissione. Mi sembra di tornare al tempo in cui, per cinque anni, sono venuto in questa sede, ascoltando con piacere anche gli interventi dei colleghi dell'opposizione, che sono sempre stati prodighi di consigli e pronti ad accettare - beninteso, dopo adeguata discussione - i provvedimenti del Governo.
Voglio innanzitutto ringraziare la presidente Valentina Aprea, persona che conosco da anni, di cui mi è nota la dedizione ai temi della cultura e, in particolare, della scuola. Per questo, dicevo, sono contento di trovarmi qui, sotto la sua regia.
Sono convinto che per l'editoria non basta una legge che riguarda soltanto e unicamente la carta stampata. Occorre una legge di sistema, preparata nell'ottica della multimedialità.


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Oggi, nell'anno 2008, non si può più ragionare in termini di mezzi di comunicazione tra loro isolati, bensì soltanto sulla base di un sistema di media interconnessi.
Faccio subito una precisazione, per non correre il rischio di ingenerare un equivoco. Un punto deve essere chiaro: non vogliamo fare una legge contro il mercato o che serva a indirizzare il mercato. Non pensiamo ad una NEP, ad una nuova politica economica in tema di editoria. Dobbiamo cercare di varare una serie di norme che rendano, casomai, più facile il percorso delle aziende e delle imprese editoriali italiane verso la multimedialità.
Oggi credo sia molto difficile pensare ad un quotidiano di carta senza il suo corrispondente quotidiano on line, senza le corrispondenti news pubblicate sul web, senza magari un canale televisivo satellitare di supporto oppure senza una stazione radiofonica. Insomma, è sempre più difficile pensare a un mezzo solo, singolo ed isolato. Sono convinto - l'ho detto fin dall'inizio, e lo ripeto - che il futuro dell'editoria sia un futuro senz'altro multimediale.
Questo non significa che mi auguri, o pensi, che sia in vista la scomparsa della carta stampata, vale a dire dei quotidiani o dei periodici. È pur vero, tuttavia, che non possiamo più ragionare nella vecchia ottica delle pagine dei giornali fresche di inchiostro e di stampa. Il mondo è cambiato e ne dobbiamo prendere atto. Anche perché, se non lo facciamo, lo sviluppo economico procede autonomamente in tutt'altra direzione.
Considerate i dati che arrivano, non solo dall'Italia - dove si parla di una crisi diffusa dell'editoria - ma anche, ad esempio, dagli Stati Uniti d'America. I dati che leggevo ieri segnalano nell'ultimo trimestre, in quel Paese, una riduzione del 14 per cento nella raccolta di pubblicità. Ebbene, non si tratta di un dato congiunturale: approfondendo la lettura, mi sono reso conto che, da ben 24 mesi (due anni), negli Stati Uniti la raccolta pubblicitaria cala continuamente. In Italia, inoltre, esiste un problema di pubblicità, dei collaterali e quant'altro.
È evidente che, se i mercati finanziari sono sottoposti alle tensioni quotidiane che conosciamo, anche l'advertising, cioè la pubblicità da parte delle grandi industrie, ne soffrirà. Queste grandi imprese, di fatto, rinunciano a certe forme di pubblicità sulla carta stampata. Ad esempio, le case automobilistiche riducono sempre più le inserzioni su quotidiani e periodici e ricorrono a pubblicità, starei per dire «di salvataggio», preferendo altri media più diffusi. In conclusione, per la carta stampata anche il prodotto residuale, rappresentato dalla pubblicità, presenta alcune difficoltà.
Al di là dei quotidiani, sappiamo che dobbiamo tutelare la piccola editoria. Questo è un tema che ho ben chiaro, come credo di avere ampiamente dimostrato nei cinque anni precedenti. Se è vero che da un lato il prodotto editoriale è un bene economico sottoposto alla legge della domanda e dell'offerta (quindi dobbiamo tener conto soprattutto delle esigenze di mercato), è altrettanto vero - in certi casi lo è ancor più - che il prodotto editoriale è il mezzo insostituibile che serve a far circolare e diffondere le idee, la cultura e la stessa democrazia.
In questo contesto, ci troviamo ad essere «profeti armati di piccole armi», per riprendere un'immagine trotzkiana, onorevole Giulietti, rappresentata dal dipartimento dell'editoria. A tal proposito vorrei confermarvi quanto già annunciato, cioè che riteniamo il dipartimento dell'editoria tanto importante da mettervi a capo il segretario generale di Palazzo Chigi, che è anche il delegato italiano all'ONU sulla proprietà intellettuale. Manterrò inoltre la collaborazione del suo ottimo predecessore Paolo Peluffo, che conosco da tanti anni, nominandolo mio personale consigliere per la comunicazione.
Nell'ambito dell'intervento che ci proponiamo per l'editoria, un posto di rilievo è - e sarà anche in futuro - occupato dalla regolamentazione del rapporto tra il sistema pubblico e il mondo dell'imprenditoria privata. Avremo all'esame una legge varata dal Ministro per la semplificazione normativa, onorevole Calderoli;


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nell'ambito della quale opereremo anche un riordino delle procedure di erogazione dei contributi all'editoria.
Ne do lettura: «Con regolamento di delegificazione, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge [...] sono emanate misure di semplificazione e di riordino della disciplina di erogazione dei contributi all'editoria, di cui [...], secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi».
Ebbene, tale criteri sono due. Riguardo al primo, il documento recita: «Semplificazione della documentazione necessaria per accedere al contributo - quindi una semplificazione dei criteri di calcolo del contributo, elemento fondamentale che gli esperti, come l'onorevole Giulietti, ben conoscono e che era atteso - assicurando comunque la prova dell'effettiva distribuzione e messa in vendita della testata». Ciò che fa testo è l'effettiva distribuzione e messa in vendita, non la dichiarazione, che valeva in precedenza, relativa alla tiratura.
Sul secondo criterio si prevede una semplificazione delle fasi del procedimento di erogazione (la dazione) che «garantisca, anche attraverso il ricorso a procedure informatizzate, che il contributo sia effettivamente erogato entro e non oltre l'anno successivo a quello di riferimento».
Vengo al tema dei contributi. Riguardo ai contributi diretti, siamo convinti che la scelta dei percettori aventi diritto spetti esclusivamente al Parlamento della Repubblica, per cui non ci azzardiamo in dichiarazioni che, a mio giudizio, sarebbero avventate. Il Governo può avanzare proposte, ma è il Parlamento sovrano che decide. Personalmente ritengo che i contributi a fondo perduto possano essere mantenuti. Tuttavia, è venuto il momento in cui noi, tutti assieme - insisto su queste due parole «tutti assieme», perché intendo chiedere su questo anche l'appoggio determinante dell'opposizione - dobbiamo stabilire dove tirare una sorta di linea di demarcazione, al di sopra della quale i contributi non vengono erogati. Dobbiamo essere molto chiari nel fissare, tutti assieme, i limiti della linea di demarcazione.
Intendiamo, invece, valorizzare sempre più i contributi indiretti, poiché riteniamo che siano gli unici market friendly, in quanto non alterano le condizioni di base del mercato. Mi riferisco a misure che conoscete bene: il credito agevolato, il credito d'imposta, le agevolazioni tariffarie. Ebbene, il nostro criterio sarà quello di un rifinanziamento intelligente del credito d'imposta, premendo sul Ministero dell'economia e delle finanze, in quanto già conosciamo la sua scarsa propensione ad allentare i cordoni della borsa. Metto quindi le mani avanti, ricorrendo a quella chiarezza che ho sempre utilizzato in questa Commissione.
Ciò detto, aggiungo che il nostro obiettivo non è soltanto la multimedialità, ma anche la salvaguardia di alcune nicchie importanti e l'ampliamento dei mercati. Riteniamo, infatti, che il mercato dei prodotti editoriali e tradizionali sia molto angusto. L'attuale vendita media giornaliera delle testate giornalistiche è uguale a quella del 1956. Per fare un riferimento storico, si tratta dell'anno in cui si tenne il XX Congresso del Partito comunista sovietico. Possiamo dire, quindi, che con le vendite siamo ancora al momento della defenestrazione - anche nel pensiero - di Stalin!
L'ampliamento dei mercati passa anche attraverso l'espansione della propensione alla lettura. Purtroppo, in Italia si legge molto poco, rispetto ai Paesi con analogo reddito pro capite. Credo che uno dei motivi sia anche e soprattutto da ricercare in una scuola - non so se la presidente Aprea sia d'accordo - che poco invoglia alla lettura. Per ovviare a questa situazione, sarebbe necessario avvicinare il prodotto editoriale, renderlo più accessibile e appetibile al consumatore attraverso un sistema distributivo più efficace, riducendo pericolosi e disastrosi «colli di bottiglia».
Con questo non voglio parlare male delle edicole. Sono convinto - l'ho ripetuto nei cinque anni in cui siamo stati al Governo dal 2001 al 2006 e lo ripeto oggi


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per i nuovi membri della Commissione - che il sistema delle edicole rappresenti una ricchezza da mantenere. Tuttavia, è pur sempre una ricchezza che, mentre la si mantiene, va resa anche più efficiente. Ad esempio, se posseggo un bel castello, oltre a mantenerlo, cerco di renderlo più efficiente e redditizio, magari ricorrendo alle visite turistiche.
Riguardo alle edicole stiamo pensando a un meccanismo di informatizzazione che renda possibile a editori ed edicolanti conoscere con esattezza, in tempo reale, il venduto e i collaterali. Sapete tutti che, quando si vendono i collaterali, si può risparmiare qualcosa se si sa a priori dove indirizzarli. Infatti, mentre un giornale costa 0,35-0,40 centesimi di euro, un collaterale può costare intorno ai 2 euro. Pertanto, se indirizziamo l'editore sull'obiettivo da raggiungere, attraverso l'informatizzazione dell'edicola, riusciamo a realizzare un sistema che rende più agevole la vendita e la distribuzione. Occorre, per la verità, anche incentivare - ciò non vada a detrimento delle edicole - la vendita dei prodotti editoriali al di fuori delle edicole stesse.
In sostanza, è evidente che stiamo andando incontro a una fase di stasi e di crisi economica. È sufficiente vedere ciò che accade con il petrolio a 140 dollari al barile e con i prezzi dei generi alimentari ormai irraggiungibili, tanto che per la prima volta in Italia si è registrata una diminuzione del consumo di pane e pasta. È anche vero, però, che in presenza di una crisi dobbiamo sfatare dei luoghi comuni. Così come, con l'avvento della televisione, la radio non è morta e ha trovato, anzi, valorizzazioni tali per cui può convivere perfettamente con la TV, allo stesso modo sono certo che Internet non ucciderà la carta stampata. Al contrario, penso che questi due sistemi potranno crescere bene e sviluppare la propria crescita insieme.
In definitiva, la legge che ci accingiamo a redigere, ovviamente sentendo tutte le componenti del mondo dell'editoria e dando ampio risalto ai suggerimenti che ci vorranno venire attraverso incontri che fisseremo anche con l'opposizione, l'obiettivo è quello di ricercare l'omogeneizzazione dei media con una legge di sistema che punti sul multimediale, salvaguardando però al tempo stesso le specificità di ciascun mezzo di comunicazione.
Serve quella che io chiamo una regolamentazione di equilibrio, che riesca a produrre sinergie positive, concorrenti, tra i diversi media.

PRESIDENTE. Grazie, sottosegretario Bonaiuti.
L'intenzione è quella di concludere il dibattito verso le 16,30-17, a seconda di quando in aula sarà dato il preavviso per le votazioni.
Do ora la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

RICARDO FRANCO LEVI. Grazie, presidente. È con piacere che saluto il sottosegretario Bonaiuti, al quale faccio fatica a dare del lei, data l'amicizia che risale a quando, trent'anni fa, cominciavamo a girare il mondo, dettando per telefono articoli che, poi, venivano stampati con il calore del piombo.
Ho seguito con grande attenzione la sua esposizione e credo che in essa si ritrovino molti elementi che inducono a ritenere possibile la prosecuzione della tradizione, in questa Commissione, di un lavoro proficuo, anche tra gli opposti schieramenti, in tema di editoria.
Ma vorrei essere più preciso e puntuale rispetto ad una affermazione di questo genere, che altrimenti rischia di essere un poco generica.
Come il sottosegretario Bonaiuti sa bene, nelle scorse legislature fu fatto un lavoro molto approfondito per arrivare ad un disegno di legge organico di riforma del sistema dell'editoria. Lo dico anche a favore dei colleghi che non erano presenti e ai quali, forse, quest'informazione può fare comodo. Mi riferisco, in modo esplicito, al proficuo lavoro svolto durante uno dei precedenti Governi, quando l'onorevole Bonaiuti era responsabile dei lavori sull'editoria ed aveva presentato un disegno di legge, approvato in fase soltanto preliminare,


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che non fu possibile condurre fino alla fine del percorso parlamentare.
Nella scorsa legislatura abbiamo svolto un lavoro molto approfondito, per una riforma organica del sistema dell'editoria, preceduto dalla larghissima consultazione di tutti gli operatori del settore, avvenuta dapprima sulla base di un documento preliminare inviato via Internet, successivamente con una serie molto ampia di audizioni, coadiuvati da una commissione di tecnici presieduta dal professor Enzo Cheli e composta da personalità di assoluto rilievo nonché di diversa ispirazione culturale. Sentimmo tutti i protagonisti del mondo editoriale, dagli editori ai direttori di giornali, dai librai agli editori di quotidiani e di libri, agli edicolanti, ai protagonisti del mercato di distribuzione, della pubblicità, completando più di una sessantina di audizioni. Vedo insieme a me oggi, attorno a questo tavolo, persone che in diversa forma parteciparono a quell'ampia consultazione e ai relativi dibattiti, dall'onorevole Mazzuca, allora direttore di uno dei principali quotidiani italiani, all'onorevole Perina, direttrice di un giornale politico ed altri ancora.
Presentammo un disegno di legge, che arrivò a essere approvato dal Consiglio dei ministri, dalla conferenza unificata Stato-regioni e dalla Ragioneria generale dello Stato, e fu poi sottoposto ad una approvazione preventiva da parte della Commissione europea. Quando si parla di aiuti dell'editoria, infatti, si entra inevitabilmente nel campo degli aiuti di Stato, per cui è buona norma - come ho appreso a Bruxelles - lavorare in tandem con la Commissione europea, prima di arrivare a presentare il disegno di legge.
Questo disegno di legge - la presidente Aprea lo ricorda senz'altro - fu oggetto anche di numerose occasioni di dibattito all'interno di questa stessa Commissione, al punto che arrivammo ad esaminare in dettaglio l'articolato del disegno di legge, raccogliendo anche (ricordo, ad esempio, osservazioni molto puntuali dell'onorevole Barbieri) una serie di suggerimenti già sotto forma di veri e propri emendamenti all'articolato di legge.
Ora quel disegno di legge, che in tutta coscienza posso considerare adatto ad affrontare in modo positivo il percorso parlamentare, non solo merita di essere tenuto a mente come un'importante base di lavoro (a tal proposito, tengo ad informare il sottosegretario Bonaiuti e i colleghi di maggioranza e opposizione che ho già provveduto a ripresentarlo come proposta di legge), ma anche che possa essere considerato un testo che accoglie molte delle impostazioni che il sottosegretario Bonaiuti ci ha ora esposto come base del proprio lavoro.
Vorrei essere da questo punto di vista ancora più specifico. Il sottosegretario Bonaiuti parla di una legge che vuole andare al di là della definizione stretta di prodotto editoriale, ancorata al mezzo carta quale supporto per la trasmissione della notizia. Da questo punto di vista - perdonate qualche citazione che mi riserverò di fare - ricordo che proprio in uno degli articoli iniziali del nostro disegno di legge, definivamo come prodotto editoriale qualsiasi prodotto contraddistinto da finalità d'informazione, formazione, divulgazione e intrattenimento, che sia destinato alla pubblicazione, quali che siano la forma nella quale esso è realizzato nonché il mezzo con il quale esso viene diffuso. Credo, dunque, che sussistano tutti gli elementi per concordare con l'onorevole Bonaiuti di non limitare al prodotto carta il discorso sul prodotto editoriale.
Debbo dire francamente che le esperienze precedenti, tanto della maggioranza di centrodestra nella XIV legislatura, quanto della nostra nella legislatura scorsa, ci inducono ad essere prudenti. Quali che siano le ampiezze delle maggioranze che sostengono il Governo, il percorso di un disegno di legge sull'editoria ha sempre, per l'ampiezza dell'argomento, un esito non scontato.
Pertanto, quando sento l'onorevole Bonaiuti parlare di multimedialità, pur concordando sulla necessità di avere questa ampiezza di visione, mi tratterrei dall'includere, cosa che noi non avevamo fatto con il nostro disegno di legge, compresa perfino la normazione di ciò che attiene,


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ad esempio, ai prodotti discografici e ancor più ai prodotti audiovisivi. Se includiamo la televisione, infatti, ho l'impressione che entriamo in un territorio nel quale, come ben sappiamo, le difficoltà e i problemi sono talmente ampi che ben difficilmente aiuterebbero la rapida approvazione di una legge di sistema dell'editoria, di cui invece quello specifico settore ha profondamente bisogno.
Il sottosegretario Bonaiuti parlava poi dell'intenzione di procedere ad una semplificazione e ad un riordino dei contributi, evidenziando uno dei capitoli più sensibili della normativa sull'editoria. Vorrei fare, a questo riguardo, due riflessioni. In primo luogo - pur concordando totalmente con l'impostazione che intende facilitare i meccanismi di mercato per agevolare l'editoria - vorrei ricordare (mi scuso di questo tornare sempre sui lavori già svolti, ma è utile che due anni di impegno importante non vadano dispersi) che nel nostro disegno di legge la parte, in fondo, più innovativa era quella riguardante la definizione del prodotto editoriale e dell'organizzazione del mercato, a tal punto che avevamo stabilito diversi temi e norme precise. Ad esempio avevamo precisato che il settore editoriale si conforma ai princìpi della concorrenza e del pluralismo, chiarendo con precisione quali devono essere i compiti delle autorità indipendenti di vigilanza chiamate ad assicurare il rispetto di tali princìpi. Se, quindi, il tema dei contributi è importante, tuttavia esso può essere logicamente trattato soltanto dopo che si è garantito un corretto assetto di mercato.
Quanto alla semplificazione dei contributi, vorrei ricordare alcuni punti: ben venga la semplificazione, ma ricordo un tema molto dibattuto e che ai percettori dei contributi, così come all'onorevole Bonaiuti, è certamente tuttora ben presente. Mi riferisco alla natura dei diritti ai contributi (diritti soggettivi, oppure diritti più affievoliti). Questo è un tema che, sicuramente, sarà in primo piano nel quadro dell'azione di delegificazione riguardante le disposizioni che regolano la definizione e l'erogazione dei contributi.
Vorrei che fossimo avvertiti su questo aspetto, ricordando peraltro che molte delle misure che il sottosegretario Bonaiuti invocava, ad esempio la semplificazione dell'erogazione o l'assicurazione che i contributi vengano pagati nell'anno successivo a quello di maturazione e non oltre (come avveniva in passato), sono ormai già realtà. Lo sono, in parte, grazie sia ai provvedimenti che lo stesso sottosegretario Bonaiuti aveva preso in chiusura della sua attività, sia a misure da noi adottate, al punto che ormai sono due anni che così avviene e che tutti i contributi sono stati pagati nei termini previsti.
Uguali considerazioni svolgerei anche riguardo al tema della semplificazione e della documentazione dei criteri, su cui, evidentemente, seppure non si sia mai arrivati a un punto conclusivo, siamo andati molto avanti.
Pur con la stima profonda per la competenza, direi quasi senza pari, del segretario generale della Presidenza del Consiglio, professor Mauro Masi, vorrei avere garanzie dal sottosegretario Bonaiuti che la somma delle responsabilità su un dipartimento che eroga somme consistenti di denaro pubblico (in quanto rappresenta, dopo quello della Protezione civile, il dipartimento più consistente di Palazzo Chigi, con le gravosissime responsabilità di conduzione della macchina intera della Presidenza del Consiglio), non indebolisca, invece che rafforzare, la capacità di agire in termini amministrativi del dipartimento dell'editoria.
Parlando di contributi indiretti, il sottosegretario Bonaiuti ha poi menzionato le agevolazioni tariffarie. Vorrei ricordare che queste ultime (stiamo parlando, ovviamente, di tariffe postali), sono chiaramente contrarie alla legislazione europea, al punto che nel nostro disegno di legge avevamo studiato un meccanismo che la Commissione europea aveva non solo approvato, ma anche considerato come modello da esportare per applicare lo strumento del credito di imposta al tema delle spese per spedizioni postali. Invito il sottosegretario Bonaiuti a controllare questo punto, giacché continuare sulla strada


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delle agevolazioni tariffarie ci metterebbe apertamente in contrasto con le normative europee.
Non posso chiudere senza un riferimento ad un tema di attualità in questi giorni, formalmente al di fuori delle responsabilità dirette del sottosegretario Bonaiuti, ma che in realtà ricade sotto la sua visuale, in quanto responsabile dell'editoria. Mi riferisco alle disposizioni in tema di intercettazioni. Si tratta, con tutta evidenza, di questioni che attengono in via prioritaria al dicastero della giustizia, ma è del tutto evidente che il principio di riferimento di ogni normativa sull'editoria è l'articolo 21 della Costituzione, che normalmente viene richiamato con i termini «pluralismo dell'informazione», ma che più correttamente si potrebbe definire come il diritto ad essere informati e la libertà di informare. Nutro la fondata preoccupazione che le nuove disposizioni in termini di intercettazioni possano ledere in modo importante e significativo sia la libertà di informare, sia il diritto ad essere informati.
Esiste un punto ancora più specifico, che rischia di incidere sulle disposizioni stesse che attengono alla libertà della stampa, a partire dalla prima disposizione che la Repubblica si è data al riguardo (se mi sbaglio, il professor Zaccaria qui a fianco può correggermi). Mi riferisco alla prima legge sulla stampa, nata dalla Costituente e che risale dunque al 1948, in cui si definisce la specialità dell'impresa editoriale, quella stessa specialità che ci aveva portati a non accedere alla richiesta, nella redazione di un disegno di legge, di fornire una nuova definizione dello statuto dell'impresa editoriale. Infatti, ritenevamo - e riteniamo - che già oggi siano presenti nelle leggi italiane tutti gli elementi a baluardo dell'autonomia e dell'indipendenza dei giornali. La colonna portante di tutto ciò è la figura del direttore responsabile.
Nelle disposizioni sulle intercettazioni, il livello di responsabilità civile per il direttore responsabile viene portato a livelli e ad altezze tali da far pendere inevitabilmente il pendolo della delicatissima bilancia delle responsabilità e dei poteri dei ruoli, fra direttore ed editore, dalla parte dell'editore. Come tale, questa disposizione è in grado di minare in modo decisivo la colonna essenziale sulla quale, dal 1948 in poi, si è basata la capacità dei nostri giornali di avere un'informazione libera e indipendente, anche dalle loro stesse proprietà. Vorrei pertanto invitare il sottosegretario Bonaiuti a una riflessione attenta su tutto questo, augurandogli buon lavoro.

PAOLO BONAIUTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, con delega per l'editoria. Preferisco rispondere globalmente in altra seduta, così potrò fornire anche i dati. A due questioni urgenti, tuttavia, ritengo mio dovere replicare subito.
La prima riguarda le considerazioni sul lavoro svolto dal precedente Governo, con la consultazione di tutti i responsabili dell'editoria. Non l'ho precisato prima, ma è ovvio che nel principio di collaborazione, di cooperazione e dialogo al di sopra delle parti, in una materia fondamentale come quella della diffusione della cultura e delle idee, davo per scontato accogliere quei lavori che già il precedente Governo ha svolto egregiamente, anche perché si è trattato di formalità e di adempimenti, come ben sa il sottosegretario Levi, lunghi e difficili. Ci permetteremo non solo di usare lietamente il lavoro già pronto, il canovaccio, ma anche di sentire chi ha svolto le varie indagini, in maniera tale da ricevere i suggerimenti necessari per poter andare avanti. Ringrazio dunque il sottosegretario Levi: si tratta di un punto che avevo completamente dimenticato, ma che ho già fatto mio.
L'altro tema su cui desidero fornire a tutti una precisa rassicurazione è la garanzia che la somma delle responsabilità incombenti sul segretario generale di Palazzo Chigi, nella sua funzione aggiuntiva di direttore del dipartimento dell'informazione all'editoria, vista anche la quantità dei contributi da amministrare, non potrà minimamente indebolire, o in un senso o nell'altro, le capacità del direttore stesso.


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Ricordo all'onorevole Levi che il segretario generale, stavolta, è stato chiamato a svolgere questo compito nell'editoria proprio per motivi di specifica, conosciuta e indubitabile - a detta di tutti i componenti di questa Commissione - competenza.
Tale compito, inoltre - se mancasse un'ulteriore argomentazione in favore - era già stato svolto nell'ultimo anno e mezzo della legislatura 2001-2006, poiché il professor Masi, da direttore del dipartimento informazione ed editoria, era stato chiamato a ricoprire in quel periodo lo specifico incarico di segretario generale. È un film che abbiamo già visto, svoltosi bene, senza intoppi di alcun tipo. Su questa argomentazione specifica, pertanto, tenevo a rassicurare l'onorevole Levi.

EMILIA GRAZIA DE BIASI. Onorevole Bonaiuti, buon lavoro. Chissà se questa volta ce la faremo a riformare e innovare il settore! Il tempo passa, speriamo di farcela.
Le dico subito che condivido molte delle cose dette dall'onorevole Levi, in particolare le considerazioni di quest'ultimo sulle intercettazioni telefoniche. Non parlerò, quindi, di questo argomento, associandomi totalmente alle parole del collega.
Vorrei invece svolgere qualche considerazione e porle alcune domande. Lei, sottosegretario, ha posto un problema reale, cioè la trasformazione di sistema dalla carta stampata alla multimedialità. Penso che, tra i presenti, molti abbiano letto quel libro assai interessante intitolato L'ultima copia del New York Times, che parla esattamente di questo tema, cioè della crisi della carta stampata (fenomeno che si rileva non solo in Italia, ma nel mondo) e della necessità, dal punto di vista delle scelte imprenditoriali, di innovare l'intero sistema. Tutto ciò introduce un ulteriore elemento: non stiamo parlando solo ed esclusivamente di strumenti, bensì anche di contenuti. Inevitabilmente, una struttura di carattere multimediale modifica in profondità anche l'approccio ai contenuti e la stessa industria dei contenuti.
Da questo punto di vista, gradirei che ci fornisse un'idea economica di massima di questa sua impostazione, che trovo interessante. Una transizione di sistema (in questo momento non intendo il sistema in sé) costa considerevolmente. Come lei correttamente dice, questa riforma dovrebbe servire ad agevolare il sistema delle imprese, ma ciò può avvenire solo a fronte di costi incredibili: innanzitutto implica, evidentemente, un intervento dello Stato in favore dell'impresa; in secondo luogo, la riforma a mio avviso cozza - o comunque necessita di un'armonizzazione - con la legislazione attuale. Ciò non rende affatto semplice la realizzazione dell'intento da lei dichiarato. Basti pensare semplicemente al sistema della pubblicità, alle modalità di erogazione di quest'ultima, alla mancanza di tetti della pubblicità nel campo del sistema radiotelevisivo in relazione a quanto previsto dalla legge Gasparri. Non mi dilungo ulteriormente, poiché si tratta di argomenti su cui si è già discusso moltissimo.
Questo è il primo rilievo che mi sento di fare. Nessuno più di me è contento che si passi ad una multimedialità che corrisponde, peraltro, al sentire dei cittadini. Vorrei segnalare che uno degli elementi di crisi della carta stampata nel mondo consiste nel fatto che i lettori abituali dei giornali - chi legge il giornale tutti i giorni, non solo la domenica o nei fine settimana, quando escono gli inserti - ritengono che la variabile che rende difficile l'acquisto e la lettura del giornale è in primo luogo il tempo a disposizione. Le innovazioni tecnologiche che avvengono nel settore derivano, di conseguenza, da uno stile di vita diverso rispetto al passato ed è giusto che l'intero sistema editoriale si confronti con le percezioni differenti che i cittadini hanno di sé, del proprio tempo e della propria disponibilità ad accumulare informazioni.
A ciò si può anche aggiungere il fatto che le giovani generazioni, in particolare fino ai vent'anni, per il 90 per cento si informano esclusivamente su Internet, quindi non hanno alcuna relazione con la carta stampata. Personalmente tendo ad


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aggiungere al quadro una certa pigrizia del sistema delle imprese italiane nel campo dell'informazione e dell'editoria, che non ha sviluppato per tempo una capacità innovativa che, ad esempio, i tedeschi, i francesi e soprattutto gli spagnoli sono invece riusciti a mettere in campo. Così oggi ci troviamo nella situazione di dover prevedere un intervento dello Stato che, lo ripeto, avrà notevoli costi nonché un sicuro impatto sulla legislazione attuale. A legislazione vigente, infatti, trovo personalmente piuttosto difficile che si riesca a mettere in pratica ciò che l'onorevole Bonaiuti ha illustrato.
Un ulteriore punto riguarda lo spazio riservato all'industria dei nuovi contenuti editoriali, che rappresenta il grande mercato del futuro nell'era multimediale. L'elemento principale non sarà più il veicolo, l'hardware, bensì il software. Ebbene, nella sua impostazione mi pare di intravedere - magari mi sbaglio e mi piacerebbe poterne discutere - il rischio di tutelare ciò che già esiste. In qualche misura, questa riforma possibile, fondandosi sulla multimedialità senza specificazioni (ad esempio, sulla pubblicità), di fatto tutela i soggetti forti già presenti. Mi chiedo allora quale spazio possa esserci per l'ingresso di soggetti nuovi.
Il problema della riforma dell'editoria, posto nei termini in cui lei lo pone - con una modalità certamente innovativa e condivisibile - a mio avviso presenta questo punto di debolezza. Se si decide di favorire un'innovazione di sistema, l'apertura al nuovo diventa, soprattutto nella fase di transizione, decisiva per la realizzazione di quei contenuti che si annunciano nelle intenzioni.
Un ulteriore punto riguarda la tutela del diritto di autore che nel nuovo sistema di multimedialità editoriale occupa uno spazio del tutto inedito rispetto al passato. Pur riconoscendo l'utilità di ogni tentativo, rimane ineludibile l'esigenza di dare concretamente gambe ad una riforma alla quale lei certamente crede, avendoci lavorato tanto negli anni passati. Se la riforma dell'editoria, alla fine, si concretizzasse esclusivamente - perché i fondi mancano, le restrizioni sono tante e i bei progetti sfumano - nella residualità della fascia di tutela, senza innovare il sistema, credo che si verrebbe meno a una delle possibilità oggi offerte dall'innovazione tecnologica.
Per tutti questi motivi mi aspetto da lei maggiore chiarezza e concretezza sul piano finanziario.

GIANCARLO MAZZUCA. Caro sottosegretario Bonaiuti, sono egoisticamente contento che lei sia tornato a fare il sottosegretario all'editoria, anche perché in un momento di crisi così grave del settore ci vuole un nocchiero di lungo corso, in modo da cercare di migliorare la situazione, veramente tragica.
Mi sembra che la sua relazione sia stata molto ampia e completa e che abbia affrontato i grandi temi della crisi di questo settore. Tengo particolarmente a rilevare alcuni importanti dati relativi ai bilanci trimestrali dei principali giornali italiani. Sono dati assolutamente negativi, sia per il Corriere della Sera, sia per tutti i giornali locali, che risentono di una situazione negativa estremamente preoccupante.
Il sottosegretario ricordava che negli Stati Uniti si è rilevato un calo del 14 per cento della pubblicità nell'ultimo trimestre. Se questo dato è preoccupante, quello italiano deve essere considerato allarmante. La grave crisi dei giornali e dei quotidiani italiani deriva proprio dalla pubblicità.
Dice bene Bonaiuti quando parla della necessità di portare avanti un discorso di editoria multimediale, perché la possibilità di sviluppare la multimedialità è l'unica boccata di ossigeno per salvare i quotidiani, che restano comunque «la polpa» del settore dell'editoria. Attraverso lo sviluppo della multimedialità si può cercare di rimediare alla crisi dei quotidiani.
Per rimanere in tema di pubblicità, bisogna analizzare attentamente che cosa si può fare e il modo concreto di intervenire per incrementare gli afflussi pubblicitari dei quotidiani. Questo è il punto focale, al di là di tutti gli altri problemi sul tappeto: la pubblicità resta il punto di


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forza. Credo che il Governo debba intervenire con misure di aiuto relative alla pubblicità sui quotidiani.
Un altro punto importantissimo sottolineato dal sottosegretario è che mai come in questo momento la distribuzione risente di una catena ormai vecchia. È giusto salvaguardare il settore degli edicolanti, ma questa forma di distribuzione è assolutamente vecchia ed antiquata e non tiene la concorrenza rispetto agli altri Paesi europei e anglo-americani. Credo che sia assolutamente necessario cercare di trovare vie alternative per quanto riguarda la distribuzione. In passato era stata sviluppata la possibilità di portare la distribuzione dei giornali in alcuni negozi, tabaccherie e quant'altro. Si è trattato di esperimenti falliti. Credo che si debbano cercare nuove soluzioni, poiché, soprattutto nei giorni festivi, la distribuzione dei giornali risente in modo sostanziale di una cattiva organizzazione.
È sbagliato rinunciare a sviluppare gli abbonamenti. In passato si è sempre detto che in Italia non attecchisce la tradizione del quotidiano in abbonamento perché le poste non funzionano, i giornali arrivano con due giorni di ritardo e quant'altro. La percentuale italiana di abbonamenti ai quotidiani di fatto è risibile rispetto a quella dei Paesi anglosassoni. Dunque, al di là dell'inefficienza delle poste, dovremmo cercare di trovare soluzioni alternative per la distribuzione.
Ha fatto bene l'onorevole Bonaiuti a sottolineare il fatto che una diffusione dei giornali deve passare anche attraverso la scuola. Da anni va avanti una meritoria iniziativa, portata avanti dall'Osservatorio permanente giovani editori di Andrea Ceccherini e credo che Governo e Parlamento dovrebbero aiutare iniziative di questo tipo, utili per intercettare nuovi lettori. I lettori dei giornali sono anziani e dobbiamo cercare di diffondere i giornali anche fra i giovani. Siamo in Europa al livello più basso di lettura, assieme a Portogallo e Grecia.
Sono d'accordo sulla necessità di semplificare i contributi e di chiarire definitivamente la questione dei contributi diretti, spesso erogati a giornali di partito inesistenti o a pseudo-giornali di partito. Visto che la torta pubblica è piccola, ritengo che essa debba essere suddivisa fra tutti i giornali, in modo tale che qualsiasi testata abbia la possibilità di ottenere un piccolo contributo, a differenza di quanto avviene attualmente.
Un'altra strategia da portare avanti è il rilancio - in analogia a quanto affermato nei giorni scorsi anche dall'editore di AdnKronos, Giuseppe Marra - del sostegno agli editori puri. L'Italia vive una situazione anomala rispetto ad altri Paesi e il giornale viene sempre considerato da editori anomali o impuri come uno strumento indiretto di pressione. Ritengo assolutamente importante rilanciare la figura dell'editore puro.
Vorrei infine richiamare un fatto importante: da tre anni i giornalisti non hanno contratto di lavoro. Si assiste a uno stallo tra editori e sindacato dei giornalisti. Credo che il sottosegretario Bonaiuti farebbe molto bene a convocare le parti per cercare, una buona volta, di risolvere il problema, anche perché, attraverso un accordo e un nuovo contratto di lavoro dei giornalisti, potrebbe passare la strada per la salvaguardia e la salvezza del mondo dell'editoria.
Così come avviene anche nelle nostre università, le redazioni sono oggi formate da giornalisti molto anziani. I giovani non riescono ad essere assunti dai giornali, perché non ci sono posti disponibili e perché si sta vivendo un momento di crisi e di difficoltà. Dobbiamo cercare di favorire un'osmosi, consentire il prepensionamento, quando è possibile, di giornalisti anziani, così da dare la possibilità ai giornalisti giovani di entrare nelle redazioni.

FLAVIA PERINA. L'aspetto che ho senz'altro più apprezzato dell'intervento dell'onorevole Bonaiuti è la mancanza di qualsiasi cenno a una riduzione delle risorse. Lo prendo come un segnale incoraggiante per tutto il settore, poiché generalmente


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a questi tavoli ci si attende innanzitutto il lancio del tema della scarsa disponibilità di fondi.

PAOLO BONAIUTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, con delega per l'editoria. Onorevole Perina, ho però precisato che non sono io a disporre delle risorse. È il Ministero dell'economia e delle finanze che apre e chiude i cordoni della borsa.

FLAVIA PERINA. Ho trovato anche particolarmente apprezzabile il riferimento all'editoria e, in particolare, alla piccola editoria, come strumento insostituibile di democrazia.
Credo, colleghi onorevoli, che la riflessione principale che tutti noi, indipendentemente dagli schieramenti, dobbiamo svolgere, parta dalla considerazione che la politica, a partire dallo scorso aprile, ha scelto uno schema di semplificazione partitica che rischia di tradursi, nella realtà della democrazia praticata, in un impoverimento democratico. Abbiamo quattro o cinque partiti in Parlamento e corriamo il rischio che tutta una pluralità di idee, fermenti, sensibilità, passioni e intuizioni restino tagliate fuori dal confronto politico.
In questo senso, ritengo che la questione dell'editoria sia cruciale, poiché l'unico modo di dare rappresentazione nel Paese a un pluralismo di fondo che esiste nella società italiana, è proprio quello di costruire un sistema editoriale che funzioni, che sia strumento di vero pluralismo e che consenta a tutti i soggetti, piccoli e grandi, di emergere e di competere.
Mi ha fatto dunque piacere che l'onorevole Bonaiuti non abbia trattato il tema dell'editoria esclusivamente sotto il profilo dei problemi commerciali e imprenditoriali che esso pone. Il problema imprenditoriale ovviamente esiste, sia nei giornali piccoli, sia in quelli grandi, ma il problema di fondo dell'editoria, oggi, è come fornire una credibile rappresentazione del dibattito democratico, in un momento in cui la politica, semplificandosi, rischia di impoverirsi.
Ho senz'altro apprezzato il passaggio sulla semplificazione, riguardo al tema delle erogazioni dei contributi all'editoria, che ha rappresentato una vera e propria croce per i giornali negli ultimi anni, nonché l'accenno fatto (che immagino verrà approfondito, quando si passerà dalla descrizione di cornice ai fatti) allo spostamento dalle copie tirate a quelle effettivamente distribuite per valutare l'erogazione dei contributi. Iniziare a porre paletti rappresenta una forma di moralizzazione e anche di incoraggiamento alle imprese che effettivamente stampano per distribuire, per vendere, per farsi leggere e non esclusivamente allo scopo di incassare contributi, come in tanti casi avviene.
In riferimento a un'affermazione del collega Mazzuca, faccio presente che gli ultimi editori puri rimasti in Italia, alla fine, sono quelli dei giornali di partito, cioè quelli che fanno giornali per farli leggere, per convincere le persone, per portare avanti battaglie politiche. Si tratta di una considerazione che credo debba essere tenuta presente nel dibattito sui contributi e sulla nuova legge.
Vengo infine allo scottante tema della distribuzione. Giustamente l'onorevole Bonaiuti ha ricordato che le vendite dei giornali in Italia sono ferme al 1956. Anche in questo caso concordo con le osservazioni del collega Mazzuca: bisognerebbe avere maggiore coraggio nell'affrontare il tema della distribuzione, cioè dell'elemento che letteralmente strangola i piccoli giornali.
Non mi riferisco soltanto alle edicole, ma anche alla catena dei trasporti per la distribuzione. In alcune regioni non ci sono alternative: in Emilia-Romagna esiste un unico distributore di giornali e se questi non effettua un servizio soddisfacente, oppure se insorgono motivi di contrasto, non esistono possibili alternative. Si è costretti a trovare un accordo con questo distributore, oppure a rinunciare a vendere il giornale in Emilia-Romagna. Questo tema per i piccoli giornali è dirimente. Rischiamo non soltanto di vendere le stesse copie che si vendevano nel 1956, ma


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anche di finire ai giornali unici, cioè alla distribuzione soltanto di due o tre organi - le Pravda della situazione - in numerose situazioni regionali in cui non esiste un pluralismo di offerta nel campo della distribuzione.
Sono infine convinta che le sinergie con gli altri media e lo sviluppo del multimediale vadano in una direzione di scelta obbligata, priva di alternative. È giusto muoversi in tale direzione, finalmente, anche perché - lo affermo da operatrice dell'informazione - ciò rappresenta la scelta più creativa.
Non è vero quanto affermato dalla collega De Biasi, ovvero che una siffatta riforma di sistema sia necessariamente molto costosa: i giornali che l'hanno affrontata sanno che le nuove tecnologie sono enormemente più economiche e più semplici sia nell'installazione che nella formazione del personale, di quanto non fossero quelle vecchie. Il nuovo sistema può rappresentare un enorme vantaggio economico per le imprese, fornendo nel contempo un supplemento di qualità a uno strumento come Internet, che già esiste, ma che è privo di contenuti (acontenutistico), cioè un contenitore, al momento, di chiacchiere e pettegolezzi sui blog e che, invece, può ritrovare una sua specifica qualità di media proprio agganciandosi a chi dei contenuti ha fatto la propria professione, quindi al mondo dei media stampati.
Tutte le esperienze fatte in questa direzione indicano che si rileva una sinergia positiva anche sulle vendite in edicola: i giornali che usano bene il multimediale hanno tratto vantaggi sotto il profilo delle vendite e sotto quello pubblicitario. Si tratta di trasformare le esperienze, per ora limitate e settoriali, in una strategia regolata da una legge che consenta a tutti di affacciarsi a questa nuova realtà. Sono pienamente convinta che la direzione corretta per la trasformazione debba essere questa.

ENZO CARRA. Ho apprezzato il ritorno del sottosegretario Bonaiuti, un po' come il romanzo Vent'anni dopo. Il disegno di legge Bonaiuti è nato in un momento storico molto diverso rispetto al disegno di legge Levi. Effettivamente, ripensando alle discussioni condotte in quest'aula nell'ultimo scorcio della legislatura 2001-2006, dobbiamo rilevare che, da un anno all'altro, tutto è tumultuosamente cambiato.
Entrando nel dettaglio, ritrovo una certa unità, nonostante le differenze indubbiamente esistenti, fra il vecchio disegno di legge del sottosegretario, quello del collega Levi e le affermazioni di poco fa dello stesso Bonaiuti. Non capisco, invece, dove intendiate reperire le risorse. Mi pare giusto, infatti, parlare di un disegno di legge che si apra alla multimedialità: oggi non si vede più l'uomo con il giornale sotto il braccio, bensì l'uomo con un computer portatile sotto il braccio; questa è l'attualità con la quale dobbiamo confrontarci.
Vorrei elencare alcuni punti per mostrare come, per ottenere un prodotto, servano adeguati mezzi. Infatti, senza ritornare sugli indici di vendita dei giornali fermi al 1956 (sapete benissimo che andando a ritroso dal 1956 al 1870, gli indici sono sempre gli stessi e non si rilevano grandi movimenti, da quel punto di vista), se si vuole fare qualcosa dobbiamo partire da punti concreti.
Il primo punto riguarda le esenzioni IVA: non è possibile che l'IVA si paghi al 4 per cento (per fortuna) sui quotidiani e al 20 per cento su Internet e sui servizi delle agenzie di stampa. Non è possibile mantenere questo dislivello, questa punizione degli altri prodotti editoriali, quando appena garantiamo con il 4 per cento (aliquota comunque alta rispetto ad altri Paesi europei) il prodotto editoriale principe, cioè il quotidiano e il periodico.
Un altro punto è quello della modernizzazione e informatizzazione delle edicole, ma una qualsiasi forma di sostegno necessita di soldi, che occorre trovare. Nel disegno di legge Levi si pensava a forme di sostegno per l'innovazione e l'occupazione, ma lei sa benissimo - lo ha detto in qualche modo anche oggi - che tutto ciò è rimasto un'indicazione priva di gambe.


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Passando ai contributi diretti, di cui abbiamo appena sentito parlare, e alla riqualificazione della spesa per i giornali di partito e per le cooperative giornalistiche, siamo tutti convinti che bisogna intervenire e devo dire che il sottosegretario si era mosso molto bene, in passato. Chiedo al sottosegretario Bonaiuti, tuttavia, se si è proprio sicuri che il numero di copie vendute sia un indicatore così certo al fine di riqualificare la spesa. Resto convinto che su questo aspetto dovremmo analizzare bene i pro e i contro, in quanto ritengo che esistano abbondanti possibilità di scappatoia.
Circa i contributi indiretti, la reintroduzione del credito di imposta va d'accordo con questo disegno di legge, ma non con altri provvedimenti, come purtroppo è già successo con il disegno di legge Levi, in cui si presumeva che i soldi a copertura sarebbero stati trovati altrove. Bisognerà che il Governo indichi esplicitamente la copertura di questa misura.
Un altro punto è il credito di imposta per l'acquisto della carta, sul quale ci siamo battuti per cinque anni con il precedente Governo Berlusconi, senza peraltro riscuotere grandi soddisfazioni, come Bonaiuti sa bene.

PAOLO BONAIUTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, con delega per l'editoria. Per tre anni l'abbiamo dato, onorevole Carra.

ENZO CARRA. Con le difficoltà e le riduzioni che lei ricorda. (Commenti del sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, con delega per l'editoria, Bonaiuti). Appunto, con riduzioni enormi, ma comunque grazie anche a lei: ricordo benissimo la nostra collaborazione in quel periodo, proprio al fine di arrivare ad ottenere qualche forma di sostegno su questo punto essenziale, cioè il credito di imposta per l'acquisto della carta.
Mi era sembrata molto utile l'indicazione contenuta nel disegno di legge Levi, per un diverso sistema delle agevolazioni postali che non rappresentassero soltanto un aiuto di Stato a favore delle Poste, di cui poi gli editori dovevano rispondere. Eravamo arrivati al paradosso che gli editori godevano di una riduzione che, in definitiva, corrispondeva ad un aiuto finanziario dello Stato alle Poste. Dovremmo dunque parlare di credito di imposta agli editori, tale da permettere loro di scegliersi il vettore più comodo e, possibilmente, anche quello che costa di meno.
Da ultimo, ho sentito parlare - per fortuna - del contratto di lavoro dei giornalisti. Le chiederei di fare in modo che nessun passo avanti venga compiuto su questa legge - che comunque è volta ad agevolare il lavoro e l'attività degli editori - prima che gli editori si siedano a un tavolo per firmare il contratto di lavoro dei giornalisti. Si tratta di una precisa condizione preliminare che indichiamo e che il Governo deve prendere in considerazione. Gli editori hanno bisogno di queste forme di agevolazione e siamo favorevoli al fatto che il Governo le accordi, ma è necessario prima chiudere il contratto di lavoro con i giornalisti. Consideriamo ciò una misura di igiene per questa importantissima fetta della nostra società.
Concludo sulle affermazioni che ho sentito riguardo alle intercettazioni. Sono ammirato dalla grande preoccupazione che tutti nutrono sulle intercettazioni nei confronti dei giornalisti. Devo dire che, tranne chi vi parla e i colleghi Giulietti e Zaccaria qui presenti, nessun altro ha avuto alcunché da ridire sulla legge Mastella, che pure era liberticida almeno tanto quanto l'attuale. Forse la differenza sta nella maggiore simpatia del Ministro Mastella...
Il problema è esattamente individuato: si può sorvegliare e punire soltanto se anche i sorveglianti vengono puniti. Per intenderci, signor sottosegretario, mi domando se non sia possibile compiere un salto logico tra la punizione eventuale di chi pubblica un'intercettazione e di chi gli fornisce l'intercettazione da pubblicare. Almeno questo vorrei che fosse chiaro, diversamente si trova sempre qualcuno che può essere punito in quanto ha pubblicato, mentre chi gli ha passato l'informazione


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se la passa liscia e legge beato sul giornale le informazioni che ha voluto rivelare. Tutto ciò non è giusto, pertanto su questo punto richiamo la sua attenzione in qualità di membro del Governo, dichiarando comunque che chi, come me, già si era dichiarato contrario alla legge Mastella, anche su questa misura condurrà ovviamente la propria battaglia.

GIUSEPPE GIULIETTI. Innanzitutto, le faccio gli auguri di buon lavoro. Ritengo fondamentale distinguere la cordialità dalla necessità di un confronto serrato, che nasce sia dal riconoscimento delle diversità, sia dalla valutazione - che ho sempre ritenuto giusta - che tutto ciò che si può fare, per favorire un lavoro condiviso sull'editoria, va fatto. Lo pensavo nel periodo Levi e lo penso nel periodo Bonaiuti. Non ho ragione di cambiare oggi idea, perché ho orrore di quella politica che scopre il dialogo secondo i momenti della giornata, o dell'anno. In questa Commissione è stato adottato un metodo che, anche nelle durezze, va portato avanti, senza improvvisazioni derivanti dall'area circostante che portano ad amori o rotture improvvisi. Ogni oggetto ha una propria storia e si deve valutare se su quell'oggetto è percorribile un tratto di strada in comune.
Premetto che quanto affermo - lo dico per correttezza verso l'Italia dei Valori - vale a titolo esclusivamente personale. Faccio presente ciò al presidente della Commissione e al sottosegretario Bonaiuti, essendo stato eletto come indipendente in base a un libero patto, condiviso anche con il gruppo del Partito Democratico. Spesso, quindi, esprimerò valutazioni del tutto soggettive. Il capogruppo dell'Italia dei Valori è l'onorevole Zazzera e quindi, come partito, conta il suo pensiero. Su alcune questioni, invece, esprimerò il mio pensiero personale - essendo pendente una scadenza referendaria su questa legge sull'editoria - con opinioni probabilmente diverse da quelle in parte prevalenti negli schieramenti del centrosinistra. La mia premessa è un atto di correttezza verso tutti gli interlocutori per non creare elementi di confusione.
Signor sottosegretario, se si vuole liberalizzare il mercato dell'editoria, non si può far finta che televisione, editoria, on-line, Internet e pubblicità rappresentino mercati separati. Lo ha già spiegato molto bene l'onorevole De Biasi. Esistono attente analisi del sistema dei media, svolte dall'autorità antitrust e da AGCOM, che chiederei di audire e di tenere presente nella elaborazione del nostro lavoro. Esistono poi indicazioni europee nonché indicazioni della Confindustria europea e nazionale, cioè degli imprenditori del settore, citate dal collega Mazzuca. Non possiamo citare gli editori a giorni alterni. Pur non essendo favorevole al sostegno del pensiero unico degli editori o dei sindacati in questa sede, dobbiamo tuttavia prenderli in considerazione tutti. Gli editori ci mandano a dire che occorrono norme antitrust che modifichino un mercato malato, giacché l'Italia è il Paese col più alto indice di concentrazione attorno a due soggetti televisivi. Si tratta di una malattia che cresce. Lo affermo non polemicamente, ma per tener conto delle modifiche al sistema radiotelevisivo ottenibili tramite manovre di disaffollamento del settore. Ciò non equivale a una guerra civile, bensì a una misura copiata da alcuni modelli francesi, o altri.
Possiamo metterla così: essendosi creata una situazione anomala, sarebbe ora che Mediaset, Rai, e aggiungo Sky, cominciassero a farsi carico di fondi di sostegno all'innovazione nel settore editoriale e anche nei format, come sa bene l'onorevole Carlucci. In altri Paesi tali fondi concorrono alla liberalizzazione del mercato e al sostegno di soggetti autonomi, il che non c'entra niente con l'esproprio, giacché si tratta di misure moderne. Vorrei che, al riguardo, si riflettesse in questa sede.
Si tratta di un elemento che pende effettivamente sulla nostra testa e che si ritrova, se non ricordo male, anche nel materiale raccolto dal professor Cheli per conto di Levi, nell'ambito di un egregio


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lavoro, di taglio scientifico e di ricerca, che sarebbe gravemente errato rimuovere dalla nostra riflessione.
Vorrei farle una prima richiesta, sottosegretario, senza aprire alcuna polemica sull'argomento delle intercettazioni. D'altra parte, lei conosce bene il settore; sa bene che quella legge contiene norme rischiose; sa che le multe agli editori e ai direttori, così come sono concepite, alterano alcuni principi fondanti dell'editoria; sa anche che non è vero che altrove avvenga altrettanto. Lei conosce, inoltre, la sentenza della Corte di Strasburgo e vorrei risparmiarmi un altro incidente europeo sul tema del segreto istruttorio: se qualcuno non la conosce, la legga. Lei conosce infine alcune pronunce della sentenza della Corte federale americana sulla stessa materia.
Si tratta di un dibattito molto serio e avanzo quindi la richiesta non che non se ne parli in questa sede, bensì che lei convochi le parti - editori, giornalisti, sindacati e ordine professionale - per la parte di sua competenza, per ascoltarle, riportare poi la voce al tavolo della Giustizia e tentare un percorso condiviso. Sarebbe singolare, se avessimo un percorso condiviso per la redistribuzione del denaro e non altrettanto sul tema della libertà e delle liberalizzazioni. Avremmo una redistribuzione del denaro senza preoccuparci delle infrastrutture della libertà. Non basta far arrivare una copia fin nell'ultimo paese dell'Emilia-Romagna, devo distribuire copie confezionate secondo le tradizioni della libertà e della liberalità. Non penso affatto che queste tradizioni siano patrimonio di una sola parte politica, perché ho troppo rispetto per gli interlocutori e so quanto lavoro comune abbiamo svolto. Lei sa, per esempio, come questa Commissione pose all'unanimità il tema della rettifica, ma, colpevolmente, non riuscì mai a imporlo in aula. Tutti lo ricorderanno. Il vero tema era quello dell'uso della rettifica, sottosegretario Bonaiuti. Purtroppo non l'abbiamo mai posto con la necessaria forza. Le chiederei un lavoro su questo, come prima questione.

PAOLO BONAIUTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, con delega per l'editoria. Lo inserimmo nella depenalizzazione della diffamazione.

GIUSEPPE GIULIETTI. Eravamo tutti schierati assieme e lei mi darà atto che perdemmo collettivamente, giacché un partito trasversale altrettanto forte, che ha un pregiudizio su questi temi, si manifestò nel segreto del voto. Lei ha ricordato un giusto esempio, per questo le chiedo di far sentire la sua voce in queste ore, anche in contrasto e in contraddizione con posizioni che non ritengo lei possa condividere. Non chiedo una polemica di Governo, bensì un lavoro oscuro, volto a rappresentare queste posizioni. Non sono così sciocco da chiedere a qualcun altro di fare un po' di polemica sulle agenzie. Cose del genere lasciamole ai comizi!
Concludo affermando che condivido interamente i percorsi di semplificazione, essendo persino favorevole a una delega. Tutto ciò che semplifica, pulisce e accelera, non può che trovare una condivisione da parte di tutti noi.
Mi permetterei di segnalare un possibile modello di una futura legge sull'editoria: mi piacerebbe che il meglio della proposta Levi e il meglio della proposta Bonaiuti diventassero un'unica proposta organica, da discutere in questa Commissione. Alcuni elementi comuni sussistono: la definizione del prodotto (ha ragione Levi), ma io aggiungo anche la straordinaria attenzione che dobbiamo prestare tutti - quindi critico me stesso, non gli altri - all'uso del denaro pubblico. Non ci si può spaventare all'annuncio di un referendum se non si è sereni nell'uso del denaro. Esistono giornali di partiti morti, gruppi che non esistono, cooperative di furbi. Forse su tutto ciò occorre un controllo forte e continuo e la capacità di colpire trasversalmente, giacché possono esistere imbroglioni di ogni colore.
Esiste anche il problema di riutilizzare quel denaro e mi permetto di suggerire di spostare i fondi dai soliti noti allo start up. Ribadirei cioè un aspetto che qui è stato già ripetuto: penso sia meglio cominciare a


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prevedere di incentivare - non a fondo perduto, bensì per un quinquennio - chi intenda aprire una propria impresa nel settore della multimedialità, o comunque produrre lavoro, invece di conservare soltanto quello che già esiste. Sarà indubbiamente difficile e faticoso, ma dobbiamo almeno provarci.
Dobbiamo naturalmente evitare l'emanazione di norme ridicole sull'on line, sulla multimedialità o sui siti; in proposito la penso come il collega Palmieri. Evitiamo invenzioni singolari: ho letto una sentenza a Ragusa, pochi giorni orsono, sul reato di stampa clandestina, che potrebbe portare a chiudere qualsiasi sito. Gliela farò avere, sottosegretario, anche se ovviamente non la riguarda direttamente. Ogni tanto sorge, diciamo così, qualche idea singolare sulla libertà della rete e vorrei che ce ne occupassimo, perché si tratta di eventualità che possono riguardare chiunque.
L'invito alla lettura si può realizzare in tanti modi e non è vero che occorrono sempre molte risorse.

PAOLO BONAIUTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, con delega per l'editoria. Non riuscimmo nella scorsa legislatura a intervenire.

GIUSEPPE GIULIETTI. Però abbiamo alcune norme. Forse l'onorevole Levi ricorderà la norma sul disaffollamento pubblicitario e vorrei ricordare anche quella che consente grandi campagne. Vediamo se riesco a spiegarmi bene: ciascuno di noi può chiudere gli occhi e pensare a cinque editori in Italia, che con dieci telefonate riescono a far parlare del proprio libro a reti unificate. Ebbene, se dedicassimo un centesimo del tempo dedicato a dieci autori - sempre gli stessi, a reti unificate - per campagne dedicate alla promozione del libro, all'amore e alla qualità della lettura realizzeremmo già qualcosa di diverso. Abbiamo intere produzioni televisive in cui il libro non esiste più, neanche simbolicamente. Non occorre tirare fuori i soldi, basta applicare le norme che esistono per incentivare la lettura. Possiamo farlo assieme, senza bisogno neppure di drenare nuove risorse.
Venendo al credito d'imposta, mi domando se sia praticabile. È vero che in passato lo abbiamo applicato: il credito di imposta significa facilitare, ad esempio, l'acquisto della carta. Si tratta di una norma non clientelare, che scrivemmo assieme e che permetteva l'utilizzo di fondi per l'acquisto della carta, che risulta fondamentale per i giornali ed anche per il libro, che non abbiamo citato. Il libro soffre addirittura di condizioni di svantaggio, persino sull'IVA e sulla resa forfettaria. È una follia: a parità di condizione, l'editoria libraria, che spesso è fatta dagli stessi editori, presenta alcuni svantaggi.
La mia proposta concreta, in attesa di una riforma complessiva, è la seguente: possiamo almeno tentare, per la prossima finanziaria, una norma sul credito d'imposta per l'acquisto della carta, simile alla precedente, che forse potrebbe essere condivisa da molti. Parleremo poi con il Ministro Tremonti, che però non deve diventare ministro unico con l'ultima parola sul cinema, sul teatro, sulla musica e quant'altro. Se così fosse - lo dico scherzando - converrebbe abrogare tutti i ruoli, parlare con Tremonti e instaurare una sola, megatrattativa!

PAOLO BONAIUTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, con delega per l'editoria. È la legge Bassanini che ha «unificato» i dodici ministri e previsto il super ministero dell'economia.

GIUSEPPE GIULIETTI. Bonaiuti, lei ogni tanto è ironico, però dovrebbe cogliere anche i nostri sforzi di dilettanti dell'ironia! Non posso esporre un cartello spiegando che si trattava di una battuta! Le assicuro, anche sul piano affettivo, che preferisco la sua presenza rispetto a quella del Ministro Tremonti.
Sul contratto, condivido le osservazioni del collega Carra: vorrei che la legge sull'editoria prevedesse - come Levi ha sostenuto più volte - che se un editore, grande o piccolo che sia, non rispetta le norme sul lavoro, sul lavoro nero, sui precari, o sugli enti di previdenza, può


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anche cambiare mestiere. Non può esistere una norma che vale per chi lavora e non per chi fa l'editore; alcuni editori sono fuori dalla norma e danneggiano la libera concorrenza di mercato. Stampano giornali finti che appaiono e subito spariscono, danneggiando i giornali esistenti, qualunque sia la loro tendenza. Si tratta di atti di pirateria che non possono essere condivisi.
L'ultima richiesta esula dalla discussione: lei ha la responsabilità delle campagne pubblicità progresso che, in qualche modo, passano per la Presidenza del Consiglio. Raccolgo una voce che credo, provenga da parlamentari tutti gli schieramenti (ad esempio, per la legislatura passata, da colleghi di AN) e che riprendo con forza: più volte si è assunto un impegno (lo hanno ribadito anche gli attuali Presidenti delle Camere, Fini e Schifani) a svolgere una grande campagna di prevenzione e contrasto delle morti bianche, fatta non solo di annuncio delle pene, ma anche di conoscenza delle norme. Mi riferisco a una campagna di prevenzione che sappia arrivare, con il linguaggio e con l'immagine, fin nel più piccolo cantiere in cui si parla con difficoltà l'italiano. Non basta una campagna elegante, ci vuole una campagna efficace!
Vorrei che su questo tema lei provasse a immaginare una campagna sistematica, continua, fondata sui criteri di prevenzione. Mi piacerebbe che venisse illustrata alla Commissione e condivisa, poiché so che questo è un tema sul quale ci sarebbe la possibilità di mettere assieme le energie e raccogliere contributi utili al fine di tentare di ridurre la strage continua e quotidiana.

PRESIDENTE. Onorevole Giulietti, vorrei chiederle a che punto sia l'iniziativa referendaria.

GIUSEPPE GIULIETTI. Non ne faccio parte. So che Beppe Grillo ed altri hanno annunciato tre quesiti referendari.

PRESIDENTE. Volevo solo sapere se avevate notizie sul raggiungimento del quorum.

GIUSEPPE GIULIETTI. In Parlamento mi occupo della possibilità di riformare le leggi prima di abrogarle!

PRESIDENTE. L'ho chiesto perché l'argomento era stato citato da lei.

ANTONIO PALMIERI. Anch'io mi unisco agli auguri di buon lavoro e al bentornato al sottosegretario Bonaiuti. Brevemente, come la presidente ci invita sempre a fare e come è mio costume, espongo due premesse e un'avvertenza.
La prima premessa è che lei, sottosegretario, ha impostato il suo intervento al dialogo e a quello che il collega Giulietti, parafrasando, chiamava «metodo della cordialità». Quest'ultimo va assieme a un rapporto serrato di collaborazione, dove possibile, e mi sembra che tutti gli interventi abbiano, in qualche modo, accolto questo invito.
Vengo alla seconda premessa: giusto e condivisibile è l'approccio sull'uso del denaro pubblico e sul multimediale in quanto tale. Non sono un giornalista, come molti dei presenti, ma nella storia, come lei ricordava, ogni nuovo mezzo di comunicazione, affiancato agli altri, ha spesso costretto questi ultimi a cambiare, senza mai eliminarli. Ogni regola, tuttavia, ha la propria eccezione. Non vorrei che in questa nostra èra di nuovi strumenti tecnologici, che appena adesso abbiamo iniziato a vivere, effettivamente la carta stampata diventasse l'eccezione che conferma l'antica regola che, da Gutenberg in poi, ha sempre visto ogni nuovo mezzo di comunicazione affiancarsi, ma non distruggere i mezzi già esistenti. Condivido pertanto la preoccupazione dei colleghi in proposito.
Concludo con la preannunciata avvertenza: non è prassi, in un'audizione, riprendere l'intervento di un collega, poiché si parla con l'interlocutore; tuttavia, la definizione di prodotto editoriale fornita dall'onorevole Levi mi ha fatto correre un leggero brivido lungo la schiena. Anche su questo punto il collega Giulietti ha fatto un accenno: esiste un'accortezza rispetto a tutta la massa di contenuti on line generati, come si dice, dagli utenti. Si tratta di


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migliaia di blog, di piccoli siti e di forum spesso rappresentano luoghi - prima l'onorevole Perina li ha un po' maltrattati - di espressione personale che, in quanto tali, meritano rispetto.
Onorevole Bonaiuti, il mio blog personale non c'entra: già in passato sia la nostra che la vostra parte hanno rilevato lo stesso tipo di problema, al momento di presentare le rispettive proposte di legge. Segnalo semplicemente, per condividere l'avvertenza con tutti i presenti, questo tipo di prodotti che partecipano di una doppia natura - come si sarebbe detto nel medioevo - essendo al tempo stesso in parte privati e in parte pubblici. Innanzitutto per chi è al Governo (e l'onorevole Bonaiuti in primissima persona, giacché su di lui ricadrebbero poi gli strali del popolo della rete e ciò, evidentemente, non lo desidera alcuno) ma anche per tutti noi è il caso di avere l'accortezza di considerare questi prodotti editoriali - senza ombra di dubbio sui generis - sui quali, oltre alla sentenza citata dal collega Giulietti, sono in atto altre iniziative. Per essi valgono comunque le norme già previste dal Codice civile e penale in merito, per esempio, alla diffamazione. Come saprete, sono state intentate cause al tenutario di un blog da parte di persone che si sono sentite diffamate da commenti fatti da terzi.
Qui si apre un vasto campo, quindi termino con l'avvertenza di considerare lo sviluppo del multimediale stando bene attenti a non costruire una rete con le maglie troppo strette, con la quale in realtà peschiamo milioni di pesci piccoli, che tutto sono fuorché editori, e persone che intendono vendere il proprio prodotto.

PAOLO BONAIUTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, con delega per l'editoria. Su questo punto vorrei rispondere subito, con il permesso della presidente. Non intendiamo minimamente punire i pesci piccoli della rete, proprio perché siamo convinti, come è convinto chiunque conosca la rete stessa, che la forza di quest'ultima deriva appunto dalla grande partecipazione.
Ogni pesce piccolo magari non porta nulla, ma generalmente aggiunge una sua diversità che insieme a tutte le altre forma un fiume di informazioni e anche, a mio parere, di cultura moderna. È l'intera definizione di cultura che deve essere rivista e riconsiderata, alla luce delle variazioni tecnologiche, quindi noi non pensiamo minimamente di punire questa diversità. Su questo, onorevole Palmieri, l'invito a restare tranquillo e sereno.

ROBERTO ZACCARIA. Signor presidente, non faccio parte di questa Commissione, però l'audizione del sottosegretario Bonaiuti meritava il breve tragitto. Molte cose, naturalmente, sono state già dette. Non tocco pertanto il tema delle intercettazioni, che mi interessa molto, anche se temo che Bonaiuti non abbia molti strumenti per aiutarci. Credo, comunque, che il problema abbia una sua attinenza al tema dell'informazione, ma, ahimè, Bonaiuti si occupa prevalentemente di editoria e di diritti d'autore. Su questa materia, quindi, può essere al massimo un attento ascoltatore.
Sebbene molte delle cose che ho sentito, con riferimento alla rete, siano interessanti, preferirei riflettere rapidamente su due punti.
In fondo ogni Governo e ogni ministro all'esordio hanno la legittima ambizione di fare una normativa di carattere generale. Tutti quelli che siedono in quel posto, naturalmente, sanno che di leggi organiche su tale materia ne sono state fatte una nel 1948, agli albori, e una tra il 1980 e il 1987, arrivata poi fino al 1990 con la legge sui contributi e le provvidenze. Da allora, non sono state in pratica emanate più leggi.
Esiste una specie di contraddizione involontaria nell'impostazione che spesso sentiamo ribadire. Non si può più parlare di editoria, siamo in un'epoca in cui si deve parlare di multimedialità. Per la verità, nella legge del 2001 su questa materia, tutte le tematiche relative alla multimedialità sono contenute in maniera molto precisa, dopo il lungo dibattito svoltosi sul prodotto editoriale. Dobbiamo tuttavia


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riflettere su un dato preciso, lasciando da parte per un attimo Internet. Quando parliamo di comparto più grande, dobbiamo non essere schizofrenici, poiché il comparto più grande - il primo girone - è quello delle telecomunicazioni, poi viene la televisione e infine l'editoria.
Questi comparti non sono ispirati, nel rapporto con lo Stato, dalla stessa logica. Credo che sia chiaro che telecomunicazioni e televisione sono attività industriali che teoricamente, in quasi tutti gli stati moderni, danno allo Stato. Lo Stato (oggi prevalentemente l'Europa) ne regola e ne contiene l'attività e le discipline, ma questi comparti utilizzano frequenze, che sono bene pubblico. Quindi, in misure diverse, essi dovrebbero pagare qualcosa allo Stato. Uso il condizionale, giacché in Italia le frequenze della televisione non si pagano, o si pagano un'inezia. Si sono pagate quelle per il sistema UMTS, con l'unica grande gara che si è svolta. In tutti gli altri Paesi le attività di cui noi invochiamo la visione multimediale danno allo Stato, che a sua volta ne regola i contorni e le discipline in maniera più o meno penetrante, più o meno liberista.
Sull'editoria il discorso si capovolge. Qualcuno lo ha già fatto presente negli interventi precedenti. Nell'editoria vale la stessa logica del cinema: là abbiamo il FUS, qui abbiamo i 600 o 700 milioni di euro (non conosco le cifre esatte) che in qualche modo rappresentano le risorse erogate. Il tipo di intervento pubblico è profondamente diverso nei due casi.
Tra l'altro, quando parliamo della pubblicità è chiaro che almeno in Italia il drenaggio delle risorse pubblicitarie, che ha messo in ginocchio la stampa, è derivato dall'espansione, molto accentuata in un certo periodo storico, della televisione. Non è facile unificare l'approccio. Sarebbe l'ideale, ma temo che tale unificazione, molto suggestiva dal punto di vista dell'impostazione, in termini di disciplina porterebbe a soluzioni - sto schematizzando per chiarezza - analoghe a quella specie di tassa sulla pubblicità televisiva che Donat Cattin introdusse per portare più pubblicità ai giornali. Oggi sarebbe molto difficile farlo, a causa delle obiezioni comunitarie.
In ogni caso, penso che dobbiamo dirci con chiarezza che, tra i settori di cui noi invochiamo la disciplina uniforme, alcuni sono ricchi e danno allo Stato, mentre altri sono relativamente poveri e allo Stato chiedono qualcosa. Questa diversità di visione, secondo me, deve fare i conti con gli interventi suggeriti.
Non a caso, il sottosegretario parla prevalentemente dell'editoria e di una sorta di razionalizzazione. Credo che quanto ha detto sia condivisibile, ma il discorso sulla semplificazione risulta contraddittorio, poiché da un lato si delegifica (si dice che il Ministro Calderoli sostituirà le leggi con i regolamenti), mentre dall'altro si dice in premessa che occorre redigere una sorta di legge di sistema. A meno anche non si applichi una sorta di Robin Hood tax, visto che abbiamo evocato Tremonti, pensando ad una disciplina complessiva, che applicata nei comparti che ci interessano realizzi delle sinergie, a fronte di trasferimenti di risorse. Diversamente avremo una migliore amministrazione di quei 600 milioni di euro e continueremo sulla strada di non dare più soldi ai giornali di partito, oppure di darli sotto forma di credito d'imposta anziché di tariffe agevolate, ma sempre di quelle risorse parleremo. Non si tratterà, allora, di una riforma di sistema. La riforma di sistema è quella che riesce a mettere in piedi un rapporto di collaborazione tra chi deve dare e chi, in qualche modo, ha diritto ad avere una proposta in positivo.
Ho sentito parlare poco qui - forse lo si farà in altre occasioni - del diritto d'autore, altro grande tema. Certamente, pur non potendo parlare di tutto in un solo capitolo, questo argomento fa pienamente parte della delega di questo ministero. Al riguardo, esiste il problema di trovare un nuovo punto di equilibrio, come mi pare abbia precisato l'onorevole De Biasi, tra le esigenze di chi produce, è autore, fa informazione e chi rivendica un diritto all'informazione.


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Mi permetterei qui di richiamare l'attuazione alla direttiva europea del 2001. Di fatto, sostanzialmente in Italia viaggiamo ancora con strumenti normativi antiquati e torniamo sempre ad intervenire sulla legge sul diritto d'autore del 1941. Probabilmente potrebbe essere, in questo caso, molto utile una delega, frutto di una visione nuova e più moderna, che tenga conto di alcuni fatti significativi. Pensiamo alle grandi banche pubbliche che devono diventare patrimonio comune, pensiamo a quanto avete già detto in Commissione sul software libero e quant'altro.
Ebbene, nell'apprezzare l'impostazione generale - alla quale vorrei conseguissero però valutazioni sull'aspetto del «dare e avere» prima accennato - gradirei che anche sul diritto d'autore si sviluppasse una visione nuova. Forse lo si può fare con una delega, che possa mettere in campo princìpi nuovi e consentire una lettura italiana dei vincoli europei che, secondo me, non può avvenire attraverso la sola legge del 1941 via via aggiornata, legge che accusa il numero di anni che ha sulle spalle.

PAOLO BONAIUTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, con delega per l'editoria. Chiedo scusa, ma vorrei chiedere al presidente di consentirmi di rispondere a uno o due punti, prima di andare via, visto che il tempo sta arrivando velocemente alla fine. Ovviamente tornerò e ascolterò tutti gli altri.
La prima precisazione riguarda la proposta del collega Giulietti - che, mi dispiace, è uscito - riguardante una campagna efficace e sistematica sulla sicurezza del lavoro. Sono lieto di raccogliere immediatamente l'invito. Daremo pertanto il via ad una campagna informativa del Governo, per la quale richiederemo anche l'apporto, d'accordo con la presidente Aprea, di uno o due esponenti dell'opposizione che ci aiutino nella formulazione. Non esiste opposizione o maggioranza su un tema che vede migliaia di lavoratori morire falcidiati e di questo avevo già parlato con Giulietti varie volte nel corso di trasmissioni televisive. Ci eravamo detti d'accordo e con coerenza acconsento immediatamente alla realizzazione di questa campagna promozionale su un flagello che va interrotto.
Per quanto invece riguarda un'altra richiesta, mi pare dell'onorevole Carra, affinché gli editori (mi corregga se sbaglio) firmino il contratto con i giornalisti prima di andare avanti con una normativa di legge che preveda contributi e quant'altro, ricordo che non possiamo fare come i cittadini di Viterbo. I suddetti cittadini, durante quel famoso conclave in cui non si riusciva ad eleggere il Papa, smontarono il tetto dicendo ai cardinali che si sarebbero bagnati mattina e sera. Non siamo in grado di fare una cosa simile, né intendiamo farlo, perché esiste una libera contrattazione tra le parti che deve essere casomai agevolata e favorita. Su questo tema ci siamo esercitati già noi, nell'ultima parte della precedente legislatura nonché, più volte, anche il precedente Governo di cui riconosciamo il merito. Arrivare addirittura ad un aut-aut contribuirebbe ad agevolare non tanto il contatto tra le due parti, ma casomai lo scontro, con conseguenze che potrebbero essere negative. In materia di contrattazione sono sempre poco favorevole a intervenire.
Rispondo brevemente sul tema dell'occupazione. Sono convinto della necessità di favorire l'occupazione nel settore giornalistico e quindi, da vecchio socialista quale sono, sto pensando - e su questo chiederò l'aiuto della Commissione - di indirizzare certi tipi di contributi, per quanto riguarda le nuove tecnologie, a un effettivo impiego di giovani di nuova assunzione, preparati e formati in maniera tale da poter mettere perfettamente in atto queste stesse tecnologie.
Esiste, però, un rischio, sul quale sto già ponendo attenzione, in quanto il problema mi è stato prospettato dall'INPGI. Si tratta della legge n. 416, che prevede le ristrutturazioni. Non so per quanto tempo ancora i giornalisti potranno continuare, attraverso l'INPGI, a pagare tutte le ristrutturazioni previste. Bisognerà consultare anche con il Ministro del lavoro, della


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salute e delle politiche sociali, al quale mi propongo di rivolgermi entro breve tempo per discuterne, altrimenti rischiamo di far pagare all'INPGI un peso superiore a quello contributivo degli iscritti, di per sé notevole.
Su tutti questi temi ci ritroveremo e discuteremo. Sappiate che avete un interlocutore con le orecchie aperte anche e soprattutto alle richieste provenienti non delle parti politiche, bensì dalla società civile, dalla gente che lavora e che produce.

PIERFELICE ZAZZERA. Innanzitutto l'Italia dei Valori augura buon lavoro al ministro, mantenendo in maniera chiara la distinzione dei ruoli tra maggioranza ed opposizione. Dico ciò in quanto, se i titoli hanno un senso, ho sentito parlare di «ministro Bonaiuti», «sottosegretario Levi», speriamo di non trovarci in un'idea di governissimo.
Tralasciando le battute, riguardo all'editoria dobbiamo ragionare su alcuni punti: organizzazione dell'editoria e semplificazione, sui quali condividiamo sicuramente quanto il sottosegretario Bonaiuti ci ha riferito, fermo restando che l'Italia dei Valori nella rete crede molto (il sito del presidente Di Pietro è uno dei più visitati della nazione) e pensa che si debba contare sull'innovazione tecnologica e sui princìpi della libertà delle idee e della libertà di circolazione dell'informazione.
Quanto già esiste ci va bene, così come ci pare giusto aiutare tutto ciò che di nuovo sulla rete si affaccia, senza eccessivi limiti e restrizioni. Penso ai giornali on line, penso ai magazine, alle newsletter, a tutto ciò che permette di ricevere informazioni, a differenza dell'attuale sistema. Voglio ricordare che l'Italia dei Valori, nel precedente Governo, non ha condiviso il disegno di legge Levi-Prodi, proprio perché metteva steccati rigidi nei confronti dei blog.

RICARDO FRANCO LEVI. Questo non è vero!

PIERFELICE ZAZZERA. All'epoca non ero in Parlamento, ma sull'argomento credo che l'onorevole Di Pietro abbia espresso in maniera chiara il proprio pensiero. D'altronde, con Beppe Grillo, Di Pietro ha condotto una battaglia perché la rete sia libera e accessibile a tutti, al punto che l'Italia dei Valori ha raccolto le firme per una proposta di legge di iniziativa popolare (non ancora depositata, ma il cui percorso è in fase di conclusione) in cui non solo c'è la questione riguardante i contributi all'editoria, ma anche l'abolizione dell'ordine dei giornalisti. Se tutti parliamo di abolizione delle corporazioni e di libertà di mercato, allora è necessario prima dire, ma poi fare.
Concludo ritornando sull'editoria, che deve stare sul mercato, fare impresa, investire sui giovani che vogliono fare impresa. Poi, però, la competizione significa libertà nel mercato, e allora chiedo a me stesso se tutto questo ragionamento non cozzi con un problema di fondo. Possiamo dire tante belle cose sulla libertà dell'editoria e di mercato, ma voglio ricordare a me stesso che il capo del Governo è attualmente proprietario di una parte importante dell'editoria, racimola pubblicità e controlla il mercato. Il ragionamento, dunque, cozza contro un mercato falsato e contro un dubbio, o meglio un sospetto: viene da chiedersi se qualsiasi legge che riguarda il settore sarà scritta nell'interesse del libero mercato, oppure in quello personale del Premier.

EUGENIO MAZZARELLA. Ringrazio il sottosegretario per questa occasione di dibattito, tecnicamente molto attrezzato. Il mio intervento, invece, non lo sarà, poiché, essendo così esperto di una nicchia da salvare - il libro e la piccola editoria - non so bene in che misura io faccia parte di questo sistema. Volevo tuttavia spendere qualche parola su un tema emerso molto chiaramente nel corso di questo dibattito.
Lei ha giustamente citato nella sua relazione alcuni capisaldi dell'azione di Governo. Penso però che, nonostante uno dei suoi spunti fondativi - da tutto quello che si è ascoltato e anche da alcune sue concessioni - preveda l'intenzione di costruire una legge non contro il mercato,


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bensì utile a indirizzare quest'ultimo, vorrei rafforzarla nel convincimento che, forse, qualcosa contro il mercato in questo settore andrebbe fatto. Un po' di aiuto ai più deboli, contro la legge pura del mercato, mi sembra che rientri nell'ambito di un'azione di governo ragionevole. Non ci sarebbe neanche bisogno di una politica dell'editoria, se il mercato dell'editoria bastasse a se stesso. D'altro canto, l'economia politica nasce come costola della filosofia morale, con Adam Smith. Hanno assegnato il premio Nobel ad Amartya Sen perché lo ha ricordato, negli ultimi decenni, ai colleghi economisti.
Lei dunque dice il vero, in termini certamente descrittivi, ma senza che ciò serva ad un immediato orientamento dell'azione di governo prescrittiva (manca cioè una connessione immediata tra l'elemento descrittivo e quello prescrittivo), quando afferma che oggi non si può più parlare in termini di media isolati, ma in un sistema di media interconnessi.
Si è parlato in modo molto attrezzato di una fase di transizione di sistemi produttivi. In realtà inviterei tutti, innanzitutto lei, a soffermarsi su un punto che sembra filosofico e che, in realtà, è anche molto concreto rispetto ad altre sue preoccupazioni contenute nella relazione. Non si tratta solo della fase di transizione di un sistema produttivo, bensì di un passaggio antropologico. Proprio il fatto che si debba parlare in termini di multimedialità, utilizzando per brevità un brutto neologismo ci avviamo a passare dalla civiltà dell'oralità a quella della «videalità».
Un simile cambiamento si è avuto ai tempi di Platone con il passaggio dall'oralità alla scrittura, il quale, in realtà ha aperto la dimensione dell'interiorità che noi abitiamo, anche politicamente. Leggere e scrivere, uscire dalla civiltà dell'oralità, significava sostanzialmente aprire il campo della libertà politica, nel senso che scrittura e lettura aprono la costruzione dell'interiorità riflessiva. La stessa cosa sta avvenendo, un po' meno potentemente, da alcuni decenni in questo nuovo passaggio all'oralità e alla videalità, come sto cercando di riferirla, per un dato intuitivo. L'oralità stimola le risposte. Sono le strutture dell'ubbidienza: ob-audio, sto davanti a qualcuno che mi parla e gli rispondo. Non c'è l'intervallo dell'interiorità, della riflessività in cui si costruisce l'identità, la costruzione del sé come libertà personale.
Che c'entra questo con tutta le tecnicalità di cui ho sentito parlare? C'entra, nel senso che in realtà noi dobbiamo tutelare quello che sembra un presunto oggetto sociale del passato: il libro come binomio di scrittura e lettura. Precisamente su questo si gioca la possibilità di costruire il cervello sociale dove possono camminare quelle idee di libertà, di cultura e di democrazia di cui lei parla. Proprio su questo terreno mi aspetterei una politica dell'editoria - lo hanno rilevato già alcuni interventi - molto attenta a riabilitare la lettura e la scrittura, non pensando che tutto nella politica editoriale vada verso la videalità. Si rischia di andare verso la mera gestione della transizione di sistema, con tutta una serie di preoccupazioni certamente importanti, come la raccolta pubblicitaria, i livelli di lavoro e quant'altro. Sostanzialmente, però, se questo tema deve essere centrato in una visione larga dall'orizzonte della politica, richiede che si operi uno sforzo molto forte e significativo sulla dimensione della lettura e della scrittura, utilizzando tutte le tecnologie.

PAOLO BONAIUTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, con delega per l'editoria. Vorrei dire una cosa al professore, di cui ho molto apprezzato l'intervento: non è semplice realizzare la riabilitazione della lettura e della scrittura, perché ci troviamo di fronte a fenomeni particolari. Quando ero all'opposizione, quindi avevo più tempo libero, potevo ogni settimana riunire una trentina di giovani che mi venivano portati dalla nostra apposita coordinatrice, l'attuale onorevole Lorenzini. Tutti ragazzi bravi, in gamba e quant'altro, con i quali abbiamo affrontato il tema dei quotidiani. Quando, in seguito alla prima domanda, ho affrontato il tema della verifica di ciò che era stato detto da uno dei ragazzi, tutti quanti,


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con i loro computer, sono andati a cercare la risposta sul quotidiano che avevano letto attraverso il video.
Quindi il video è ormai entrato come una sorta di prepotente intermediario tra noi e la carta, ma anche tra noi e la risposta che si dà. È vero che la risposta è a una domanda, ma io non so quanto questa risposta sia oggi così immediata perché deriva dalla domanda o non sia piuttosto mediata attraverso il linguaggio televisivo.
Guardavo stamani le risposte di alcuni giovani maturandi durante una serie di interviste di Sky Tg24 per gli esami di maturità in corso. Se avrà la bontà di vederle grazie al sistema interattivo (mi perdoni se rispondo ancora con un altro linguaggio tecnologico), cioè premendo il tasto verde per l'interazione con il televisore o con il computer, vedrà che tutte le risposte sono mediate attraverso un linguaggio televisivo. Le ragazze hanno risposto come veline televisive e i ragazzi come altrettanti protagonisti di serial.
Non era più il tema della maturità e della difficoltà o meno, ma se si era o non si era riusciti a dormire, come si era affrontata la notte e se la sera prima si era vista la partita Italia-Francia, oppure no, se vi era stata interazione con i colleghi o meno. Quasi una sorta di desiderio di trovarsi immersi in una risposta «full televisiva», cioè non solo nella televisione, ma attraverso e partendo dalla televisione.
Quindi, non è facile riabilitare una lettura e una scrittura che non ripartano dal computer. Io stesso, se devo scrivere qualcosa, lo faccio con il computer. Colleziono vecchie macchine da scrivere, ma le colleziono come una sorta di rétro, di piacere per qualcosa che non c'è più. Quando lei scrive al computer cambia completamente anche il modo, per esempio, di fare giornalismo. Il giornalismo che facevamo con la macchina da scrivere è completamente diverso da quello che facciamo col computer, con il quale si possono continuamente richiamare Wikipedia, Google e vedere tutte le interazioni possibili. Non so, dunque, quanto si possa riabilitare la lettura in quanto tale.
Personalmente mi sto dilettando nella lettura di un libro che si intitola Il Ghost Writer, ed è scritto da uno dei principali scrittori contemporanei, Robert Harris. Questi scrittori non scrivono, bensì compongono attraverso collage fatti attraverso il computer. Attenzione, è un continuo gioco di specchi, in cui uno specchio rimanda all'altro. Chiedo scusa per la divagazione, ma spero che in Commissione cultura si possa parlare, se la presidente Aprea lo consente, anche di queste cose.

PRESIDENTE. È così.

EUGENIO MAZZARELLA. Vorrei rispondere in venti secondi. Il sistema di scrivere per composizione, da quando è stato inventato il computer, è passato anche nella composizione delle monografie universitarie, per cui la produttività media di un docente è passata da un libro ogni sei anni a uno ogni sei mesi, con un collasso concettuale che fa spavento.

RENATO FARINA. Una traccia dell'esame di maturità di quest'anno è proprio su questo tema: la cultura dell'sms rispetto alla cultura delle emozioni trasmesse per lettera. D'altra parte, i sentimenti originari restano gli stessi, ma il mezzo incide sui contenuti della comunicazione.
Il livello degli interventi si è attenuto su questioni specifiche, oppure a livello del sistema. A livello di sistema vorrei dire che, in generale, i contributi all'editoria hanno una funzione molto importante: sono presenti in tutti i Paesi e, specialmente in Italia, rappresentano immediati contributi alla democrazia. Mentre negli altri Paesi la stampa, più o meno libera, si è sviluppata non solo in presenza del dibattito politico, ma anche della cronaca, in Italia lo sviluppo della stampa è connesso immediatamente e totalmente alla diffusione di un'idea politica.
Anche i cosiddetti giornali indipendenti (dico «cosiddetti» senza disprezzo, per segnalare soltanto che si tratta di una categoria) sono nati tutti da un'idea politica. Se guardiamo agli ultimi cinquant'anni,


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in Italia sono nati: Il Manifesto, Il Giornale di Montanelli, La Repubblica di Scalfari, Il Foglio, Libero ed altri ancora. Quelli che hanno retto, sono tutti giornali politici, non giornali che abbiano avuto al centro la cronaca. In Italia è immediata e diretta la connessione tra stampa e idea politica. Il sostegno all'editoria è immediatamente un sostegno al dibattito politico.
In questo senso, il Ministro Tremonti sarebbe contento di sentire parlare contro il mercatismo, perché la «Cina» nel comparto dell'editoria è rappresentata da chi ha grandi capitali e può permettersi interazioni facili con la pubblicità, sulla base di un potere acquisito di autorevolezza secolare, che non sempre corrisponde ai contenuti. Il mercato va protetto dalle truffe proprio attraverso questo sostegno, le cui modalità possono essere trovate di volta in volta ed esigono, questo è certo, trasparenza.
A proposito della crisi dei quotidiani in Italia, vorrei segnalare quanto nessuno dice: chi ha in mano i dati reali della distribuzione delle vendite in edicola sa bene che in Italia nessun quotidiano supera le trecentomila copie vendute. Né Il Corriere della Sera, né La Repubblica, che arrivano a 270-300 mila copie. Il resto è dovuto a vendite in blocchi, ad abbonamenti sottocosto o a diffusione nelle classi. Anche in questo caso si realizza una singolare forma di truffa, poiché si cedono le copie a dieci centesimi, mentre si pagano 30 centesimi a chi le distribuisce nelle classi, in modo tale che si alza e si gonfia artatamente il mercato del venduto e si truffano gli inserzionisti. Siccome, però, gli inserzionisti non ci cascano sempre, ecco che il mercato pubblicitario dei quotidiani è in crisi anche per questa incertezza. Occorrerebbe vietare i «panini», in modo assoluto, e imporre a chi fa vendite in blocco di non conteggiare quelle copie assieme a quelle vendute in edicola. Occorre separare, cioè, i dati delle vendite «pure» da quelli delle copie semiregalate e dagli abbonamenti scontati. Ciò, secondo me, è essenziale per una chiarificazione del mercato editoriale.
Riguardo al discorso sulla libertà, naturalmente prendo tutto come oro colato. Ricordiamoci, però, che la libertà si situa sempre all'interno di un rapporto di forza e che compito della politica è quello di regolarlo in modo tale che la leva non sia nelle mani del più potente. In teoria è giusto che tutti abbiano il controllo della leva, se però in pratica si permette che la usi una parte sola, si commette la più grande ingiustizia. Mi riferisco, in questo senso, al tema della intercettazioni. Personalmente, come tanti altri, sono rimasto imprigionato nella macchina delle intercettazioni. Mi sono trovato nella condizione di leggere intercettazioni che non avevo mai visto. Tutto questo in nome della libertà. In realtà, tutto ciò era espressione di rapporti di forza e di interessi in gioco. Così accade sempre.
Proporrei, a questo punto, di allegare tutte le intercettazioni, obbligatoriamente, a tutti i giornali, in modo tale che non vi siano più reati e che la libertà sia piena. Fino a quando esiste un nesso, una cinghia di trasmissione tra il potere giudiziario e certa stampa, non di libertà si tratta, bensì di «libertà di sparare». Non riesco a capire come non si possa essere sensibili a questo riguardo.
Non vi racconto i miei casi, però li scriverò. È incredibile come si riescano a scegliere determinati brani all'interno delle intercettazioni (che non hai ancora letto), quando ne esistono altri che dimostrerebbero il contrario. Non si è in grado di difendersi perché, giustamente, esiste la libertà di cogliere fior da fiore.
Mi ha molto impressionato la polemica tra D'Avanzo e Travaglio, nota a tutti. Fra l'altro, il campione mondiale di raccolta delle intercettazioni (e quindi di libertà, secondo l'analisi del collega Giulietti) è peraltro uno dei fondatori del sito Articolo 21 che, nella sua home page, si definisce «contro ogni forma di censura e di giustizialismo di destra». Testualmente ciò fa capire come si intenda la libertà, come il bipartisan in realtà sia un propartisan.
Il discorso sulla libertà si scioglie nei rapporti di forza e oggi chi ha in mano la leva delle intercettazioni rappresenta una


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precisa forza, ovvero il combinato disposto di magistratura e stampa legata a un preciso gruppo di potere. Il discorso della libertà è funzionale a quanto ho appena detto.
Torno al rapporto Travaglio-D'Avanzo: a un certo punto D'Avanzo cita alcune intercettazioni in cui è rimasto coinvolto Travaglio. Ebbene, avrei voluto avere la soddisfazione di sapere dove si trovano! Mi chiedo come faccia D'Avanzo ad avere le intercettazioni di Travaglio, come faccia Travaglio ad ammettere che sono vere, mentre io non le ho lette da nessuna parte. Propongo l'istituzione di tante belle banche, delle intercettazioni, degli avvisi di garanzia, delle fedine penali, in modo tale che non debba trovarle solo sui libri di Travaglio che non so come le recuperi. Se mi metto a cercarle personalmente, naturalmente vengo subito accusato di invasione della privacy e di costruire dossier. Invece Travaglio, ad esempio, fa la stessa cosa al servizio della libertà!
Questa è la grande questione e la grande burla, per cui si maschera con la parola «libertà» quello che è l'interesse di un gruppo di potere, politico e finanziario. Anche il discorso dell'editore puro è una gigantesca barzelletta. L'editore puro ha sempre una certa idea e si lega immediatamente, giustamente, ad ambienti finanziari. Abbiamo avuto Rizzoli e abbiamo visto a quali gruppi si è legato, da bell'editore puro. Abbiamo visto Scalfari, il quale alla fine ha ceduto a colui che era il suo editore finanziario di riferimento, De Benedetti. Abbiamo visto quale editore puro sia!
Questa sarebbe la libertà. Non predichiamo il dogma dell'«Immacolata Concezione» tra gli uomini politici e tra gli editori italiani: è impossibile. Piuttosto, sarebbe interessante rimettere in campo una legge, vigente negli anni Settanta, che vietava alle banche di essere proprietarie o azioniste di quotidiani. Se non altro, sarebbe un bel modo per trovare sui giornali qualcosa sulle banche e sui loro intrecci.
A proposito di Internet, sono d'accordo che vada sostenuto, anche se è curioso che Di Pietro, che gestisce uno dei blog più importanti d'Italia, chieda un sostegno ai blog. Si tratta di un piccolo conflitto di interesse, ma questo non c'entra. Si parla di Internet come luogo della massima democratizzazione. È vero, però è anche luogo della giungla. Se infilate una mano in Internet e poi cercate di ritirarla, vi mancheranno almeno tre falangi, perché qualcuno nel frattempo ve le avrà mangiate! Internet prospera moltissimo sull'anonimato, ma non ritengo democrazia quella, basata sulla delazione fatta attraverso i famosi nickname, che non sono regolati e che portano a cause di diffamazione che non si risolvono mai.
Abbiamo poi il mito dei motori di ricerca, che dovrebbero essere neutrali e che invece sono evidentemente condizionati, a loro volta, da interessi finanziari. Se digitate il vostro nome su un motore di ricerca e siete di centrodestra, verranno fuori le cose più atroci del mondo. Se siete di sinistra, vedrete le cose migliori. (Commenti) Ve lo garantisco. Google Italia è così, provate. Ci saranno al suo interno certi algoritmi che permettono questo.
Faccio un esempio che mi riguarda: esistono siti che vengono divisi equamente, ma quelli che appaiono nella prima pagina sono tutti contro di me, dicendo in proposito peste e corna, tanto che, se mi vedessi per strada, mi prenderei a schiaffi. Magari voi sareste anche d'accordo, ma io no!
Un'altra questione importante riguarda la legge sulla diffamazione. Credo che si debba andare avanti nel percorso intrapreso nelle scorse legislature per arrivare a una depenalizzazione e a una regolamentazione. Esiste un progetto di legge del Presidente Cossiga, molto interessante, a proposito della punizione o meno di giornalisti che pubblicano intercettazioni. Dice che è giusto punire i giornalisti, ma occorre far sì che i giornalisti siano puniti solo allorquando sia anche punito colui che gliele ha passate. Quindi, un magistrato, un cancelliere, o un «gatto del cancelliere», poiché - dice Cossiga - sicuramente almeno il gatto le ha passate.


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PAOLO BONAIUTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, con delega per l'editoria. Mi scuso, ma devo essere a Palazzo Chigi per le ore 17.

PRESIDENTE. Allora terminiamo qui e chiediamo al sottosegretario Bonaiuti di ritornare - concorderemo in seguito una data - per ascoltare gli interventi degli onorevoli Garagnani, Carlucci, Goisis, nonché una precisazione dell'onorevole Ghizzoni con riferimento all'intervento dell'onorevole Levi. Seguirà la replica.
Rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.

La seduta termina alle 17.

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