Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

Cerca nel sito

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe e abilitare il javascript

Strumento di esplorazione della sezione Lavori Digitando almeno un carattere nel campo si ottengono uno o più risultati con relativo collegamento, il tempo di risposta dipende dal numero dei risultati trovati e dal processore e navigatore in uso.

salta l'esplora

Resoconti stenografici delle audizioni

Torna all'elenco delle sedute
Commissione VII
8.
Martedì 1° luglio 2008
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Aprea Valentina, Presidente ... 2

Seguito dell'audizione del Ministro dell'istruzione, università e ricerca, Mariastella Gelmini, sulle linee programmatiche del suo dicastero (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento): ... 2
Aprea Valentina, Presidente ... 2 6 14 15 20
Centemero Elena (PdL) ... 2
Garagnani Fabio (PdL) ... 8 18
Gelmini Mariastella, Ministro dell'istruzione, università e ricerca ... 17
Giammanco Gabriella (PdL) ... 18
Palmieri Antonio (PdL) ... 14
Pes Caterina (PD) ... 11
Siragusa Alessandra (PD) ... 15 17
Zazzera Pierfelice (IdV) ... 6
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.

COMMISSIONE VII
CULTURA, SCIENZA E ISTRUZIONE

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di martedì 1° luglio 2008


Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VALENTINA APREA

La seduta comincia alle 10,15.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori sarà assicurata oltre che attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso anche mediante la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Seguito dell'audizione del Ministro dell'istruzione, università e ricerca, Mariastella Gelmini, sulle linee programmatiche del suo dicastero.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'audizione, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, del Ministro dell'istruzione, università e ricerca, Mariastella Gelmini, sulle linee programmatiche del suo dicastero.
Poiché il Ministro è un personaggio pubblico, spero che mi consenta di farle gli auguri a nome della Commissione, visto che oggi ricorre il suo compleanno. Facciamo quindi gli auguri al giovane Ministro (Applausi).
Continuiamo con un'altra bella notizia. Di solito non sono tantissime, ma a volte capitano anche loro. Do quindi la parola all'onorevole Centemero, che parlerà prima degli altri iscritti in quanto sabato prossimo si sposerà. Tanti auguri, dunque. Eleggere giovani donne in Parlamento significa anche vivere questi eventi piacevoli (Applausi).

ELENA CENTEMERO. Signor Presidente, la ringrazio per gli auguri. Come potete immaginare sono estremamente emozionata sia per l'avvenimento di sabato, sia perché questa è la prima volta che intervengo all'interno di questa Commissione.
Signor Ministro, nella sua relazione in questa Commissione lei ha affrontato, in due momenti distinti, i temi e le problematiche connesse alla scuola, primaria e secondaria, e quelli dell'università e della ricerca. Condivido questa sua scelta: l'istruzione è un'infrastruttura, una filiera in cui scuola, università e ricerca sono tra loro interconnesse, ma, al tempo stesso, questi settori presentano problemi ed esigenze differenti, che richiedono di essere affrontati nella loro specificità, non dimenticando le richieste che la scuola pone al mondo dell'università e l'università al mondo della scuola.
Mi occuperò di scuola. Come è stato da lei sottolineato, centro della formazione e dell'istruzione è la persona nel suo cammino di crescita e di conoscenza, crescita come conoscenza di sé e di sé in relazione all'altro. Ragazzi, adolescenti, bambini, studenti sono e devono essere il centro della scuola, il centro di relazioni, l'obiettivo dell'azione congiunta di adulti, genitori e docenti, che diventano esempi, testimonianza di valori, di comportamenti che devono essere improntati al pluralismo e al rispetto. In questo centro di relazioni ciascuno ha valore come individuo, con le sue capacità (da qui il


Pag. 3

concetto di personalizzazione), e anche in relazione ad altri ragazzi e ragazze, compresi quelli migranti, stranieri e quelli diversamente abili.
Il mio intervento toccherà alcuni tra i tanti temi che mi stanno a cuore: innanzitutto una riflessione su cosa si intende per riforma, sul ruolo dei docenti - essendo stata fino ad ora una di loro - e sulla situazione dei ragazzi diversamente abili, cui tengo particolarmente, avendone avuti alcuni nelle mie classi.
La scuola sta ormai vivendo da alcuni anni una situazione di emergenza, educativa ma anche strutturale. I livelli di apprendimento si sono abbassati, come dimostrano i dati OCSE-PISA, le strutture scolastiche sono obsolescenti, i docenti e gli studenti demotivati, i continui mutamenti nella politica scolastica (nuovi esami di Stato, debiti, sezioni primavera, materie opzionali, e così via) hanno disorientato gli operatori della scuola e le famiglie.
Oggi la scuola richiede un momento di riflessione serio, come molti dirigenti e docenti mi hanno personalmente espresso. È necessaria una riqualificazione della scuola pubblica ed il recupero di un'eccellenza che si chiama qualità: qualità dell'offerta formativa, qualità dell'insegnamento, qualità delle strutture e dei laboratori, qualità dei servizi offerti agli studenti e alle famiglie. Quando parlo di servizi mi riferisco non solo all'offerta didattica - quindi alle quattro «I», come abbiamo detto -, ma anche alla comunicazione scuola-famiglia, alle attività di recupero, alle attività integrative, all'orientamento, ai servizi amministrativi.
Signor Ministro, non dobbiamo dimenticare che abbiamo una scuola riformata a metà, ossia fino alla secondaria di primo grado, con un forte gap tra secondaria di primo e di secondo grado, stacco che va colmato in vista del problema della dispersione scolastica e dell'orientamento. Molti studenti non acquisiscono le competenze e le conoscenze di base, né un metodo di studio che consenta loro di affrontare con tranquillità le richieste della scuola superiore. Per questo molto spesso abbandonano la scuola. Soprattutto non esistono percorsi strutturati di orientamento né di riorientamento nel biennio dell'obbligo scolastico, che permettano il passaggio da un indirizzo all'altro senza perdere l'anno. Per questo si potrebbe pensare ad un sistema di crediti, a materie fondamentali, a indicazioni di obiettivi minimi comuni, a protocolli d'intesa tra istituti e a figure di docenti che si occupino di orientamento.
Chi opera nella scuola non chiede grandi riforme, ma un cambiamento sì, fatto di passi, graduali, coerenti, concreti, in linea con i reali bisogni e le reali necessità della scuola, degli studenti e dei suoi operatori. Penso ad un progetto di miglioramento continuo, a lungo termine, ma vòlto ad incidere profondamente sulla struttura organizzativa della scuola, toccando i punti nodali: ufficio scolastico regionale, ufficio scolastico provinciale, docenti, dirigenti, personale amministrativo e servizi.
Come esperta di organizzazione, mi permetto di dirle, signor Ministro, che incidere sulla struttura organizzativa nel concreto significa quanto segue. In primo luogo, definire con chiarezza compiti e responsabilità a livello di governance regionale e provinciale (gli uffici scolastici regionali e gli uffici scolastici provinciali); stabilire «chi fa cosa», eliminando i doppioni, snellendo l'apparato burocratico poco efficiente e farraginoso (troppi uffici, troppo personale, troppa dispersione di risorse).
In secondo luogo, bisogna indicare con chiarezza, anche a livello giuridico, le competenze gestionali e organizzative dei dirigenti, i livelli di autonomia e le responsabilità, affidando maggiori poteri decisionali ad una dirigenza competente e quindi formata; mi riferisco ad esempio al fatto che a capo del consiglio d'istituto dovrebbe essere posto il dirigente scolastico e non un rappresentante dei genitori.
In terzo luogo, occorre riflettere su un tema importantissimo, quello della collegialità, che è una ricchezza per le scuole, ma che è diventata troppo ampia ed oclocratica. Bisogna ridefinire gli organi collegiali, il collegio docenti e il consiglio


Pag. 4

d'istituto, come indicano le proposte di legge presentate dall'onorevole Aprea e dall'opposizione. Al collegio docenti - a mio giudizio - vanno assegnate competenze didattiche e di aggiornamento. Vanno ampliati il ruolo e le funzioni dei consigli di classe e dei coordinatori; al dirigente, affiancato da uno staff, va assegnata maggiore autonomia organizzativa e decisionale. Nel consiglio d'istituto devono essere rappresentati anche gli enti locali.
Da ultimo, bisogna determinare quali servizi la scuola deve offrire, anche in rapporto al territorio.
Ritengo questo molto importante: incidere sulla struttura organizzativa significa definire o ridefinire compiti e azioni e soprattutto bisogna rendere oggettive e misurabili, secondo standard nazionali, le responsabilità, di cui tutti gli operatori siano chiamati a render conto. Solo in questo modo la scuola può uscire dall'autoreferenzialità in cui versa da anni. Un passo determinante in questo senso, cui arrivare per gradi, è costituito dalla valutazione del personale; si potrebbe iniziare dall'autovalutazione per poi passare alla etero valutazione, ovvero ad una valutazione esterna. E il Ministero, in questo, ha un compito importantissimo: deve esercitare la sua inderogabile funzione di controllo.
La difficile situazione economica ci chiede di cercare di coniugare responsabilità, che permettono di compiere scelte, anche impopolari come i tagli, e lungimiranza, ossia il riassetto organizzativo, che consente di guardare al futuro e al bene della nostra scuola.
Credo che sia giunto il momento di accogliere il suo invito, signor Ministro, «ad una presa di posizione lontana da inutili visioni ideologiche», che hanno impedito, fino ad ora, di dare valore e dignità piena alla scuola.
Signor Ministro, mi anima la sua stessa passione educativa, quella passione educativa che rileggo nella sua relazione. Provengo dal mondo dell'istruzione, cui ho dedicato molti anni, al servizio per la comunità della scuola, degli alunni e delle loro famiglie, e tengo a sottolineare che la passione è la base, il fondamento di ogni azione educativa, il suo «motore primo». La passione è il punto di partenza di ogni scelta di insegnamento ed è ciò che ha permesso, permette e continuerà a permettere ai docenti di svolgere il loro prezioso lavoro in trincea, nella prima linea della scuola. Ma non possiamo più contare solo su questa passione, è il momento di dare dignità e valore al ruolo dei docenti.
Per questo ho molto apprezzato il suo riferimento allo status dei docenti, l'intento di valorizzarne il ruolo, a partire dal loro stipendio. Conosco le sofferenze dei docenti, la loro disillusione, ma anche l'orgoglio di chi sa che la sua è una professione molto importante. Mi sento di sottolineare che la valorizzazione dei docenti non riguarda solo una questione economica e di remunerazione. La scuola è un'organizzazione, è vero, ma non un'azienda. La scuola è innanzitutto una comunità educante, con l'alto valore di formare i giovani, a partire dalle capacità di ciascuno, l'eccellenza ma anche i più deboli.
Per questo siamo di fronte anche ad una questione sociale, culturale e morale, che viene prima di qualsiasi altra decisione. Dobbiamo decidere quanto la scuola e i docenti contino nel determinare la crescita di un Paese, anche economicamente, quanto della «ricchezza delle nazioni» stia nel patrimonio formativo che l'azione degli insegnati riesce a mettere in atto.
Se decidiamo che la scuola è centrale per il Paese, allora i docenti sono il perno, la leva del sistema di istruzione e la loro responsabilità, grande, va riconosciuta, prima di tutto, a livello sociale. Negli Stati Uniti uno studio ha confrontato il grado di raggiungimento degli obiettivi di studenti americani e giapponesi: i dati fanno emergere che il successo è più elevato laddove il riconoscimento del ruolo dei docenti è maggiore nella società e nelle famiglie.
E ancora, un'indagine condotta da Cittadinanzattiva su 5.418 studenti in tutta l'Italia, ha messo in luce che per il buon funzionamento della scuola il fattore più


Pag. 5

importante è costituito da insegnanti aperti al dialogo ed al confronto, seguito da insegnanti preparati. Alla domanda sui principali difetti dei professori la risposta più frequente è stata quella di dare cattivo esempio su vita comune e rispetto altrui, indice che per i docenti le competenze pedagogiche e relazionali sono molto importanti.
Il profilo dei docenti è, dunque, alto, costituito - come recita il precedente contratto nazionale collettivo - da competenze disciplinari, psicopedagogiche, metodologiche e didattiche, organizzativo-relazionali e di ricerca; componenti differenti che vanno tutte valutate prima dell'immissione nel sistema di istruzione. Le esperienze fino ad oggi utilizzate per il reclutamento, ossia il concorso pubblico, i corsi abilitanti - che ho personalmente superato - le scuole di specializzazione nate presso le università (SIS), si sono limitate a valutare, una volta per tutte, illo tempore, l'aspetto disciplinare, raramente quello pedagogico, metodologico, relazionale ed organizzativo.
Oggi il sistema di formazione degli insegnati prevede due anni di scuola di specializzazione e poi, una volta immessi in ruolo con contratto a tempo indeterminato - il che avviene molti anni dopo -, un anno di «straordinariato» o formazione in servizio, con l'obbligo di frequenza di corsi per neoassunti. Questi corsi, attuati su piattaforma, spesso sono realizzati solo nella parte finale dell'anno scolastico di riferimento e condotti con criteri non selettivi, senza valutare le competenze e le capacità dei docenti. Al termine di un solo anno di prova si costituiscono nelle scuole comitati di valutazione, che sono una formalità. Nel mezzo, tra concorsi, corsi abilitanti, scuole di formazione, non c'è alcun obbligo di formazione per i docenti. Insomma, siamo di fronte ad un sistema da ripensare sia in termini di anni di formazione, sia in termini di valutazione e valorizzazione delle risorse.
Per dare qualità alla figura del docente bisogna cambiarne lo stato giuridico, pensare ad un sistema di reclutamento più selettivo, strutturare una carriera, con tre livelli, prolungare l'orario di servizio, non solo in classe. Bisogna valorizzare i docenti assegnando ruoli di responsabilità, facendoli sentire parte dell'organizzazione scuola; è necessario rendere obbligatoria la formazione continua che qualifichi la docenza. L'aggiornamento va valutato in termini di punteggio, assegnazione di classi e sotto altre forme; di conseguenza, aumentando la qualità, bisogna aumentare lo stipendio.
Uno spazio particolare vorrei riservarlo agli istituti tecnici e professionali e ai loro docenti. Nell'action plan realizzato nell'aprile 2008 da Confindustria si rileva che «il nostro Paese sta attraversando una vera emergenza tecnico-scientifica». Gli studenti iscritti agli istituti tecnici hanno subìto negli ultimi anni un pesante calo passando dal 45 al 34 per cento. Mediamente ogni anno, mentre la domanda di diplomati tecnici è pari a circa 200 mila unità, si diplomano negli istituti e cercano lavoro circa 135 mila giovani. Le famiglie continuano a non considerare gli istituti tecnici e professionali al pari dei licei.
Per invertire questo trend, l'azione del Ministero dovrebbe tentare di riqualificare gli istituti, aggiornando programmi e metodologie, attuando piani nazionali finalizzati a dotare gli istituti di moderni laboratori, creando poli formativi tecnologici, qualificando il personale e dando la possibilità di utilizzare personale anche esterno di elevato livello professionale e culturale. Perché non pensare a rapporti di collaborazione tra industria e scuola, in cui le industrie prestino alla scuola i loro esperti o i loro tecnici sotto forma di collaboratori, favorendo in questo caso già l'incontro tra lo studente e le aziende o gli studi professionali? Anche gli studenti sarebbero più stimolati a raggiungere una migliore preparazione.
Quanto all'educazione civica, o meglio alla cittadinanza, essa si declina nello studio della Costituzione e anche, a mio avviso, nel promuovere l'impegno attivo dei nostri studenti nel mondo del volontariato, nel servizio verso la comunità, in rapporto con gli enti locali e le associazioni


Pag. 6

del territorio. Questo, rispondendo alle domande dei giovani, crea in loro il reale rispetto della nostra Costituzione e dei suoi princìpi fondanti. Permette ai giovani di essere cittadini attivi, consapevoli dei processi politici, sociali ed economici.
La scuola deve essere inclusiva. E la scuola italiana è una realtà all'avanguardia rispetto all'integrazione dei ragazzi diversamente abili. Si tratta di un fenomeno rilevante: secondo le statistiche sono 140 mila gli studenti con diversa abilità frequentanti le scuole di diverso grado. L'apprendimento cooperativo ed il tutoring hanno inoltre sviluppato relazioni di aiuto reciproco e di solidarietà. Nella scuola italiana, va sottolineato, l'integrazione dei disabili è un processo di integrazione «orizzontale» e, rispetto agli altri Paesi europei, abbiamo attuato, fin dagli anni Settanta, una politica di integrazione sociale e lavorativa ed effettuato esperienze d'inserimento scolastico dei disabili, ponendo come fondamento il diritto all'educazione e il principio delle integrazioni nelle normali strutture scolastiche.
Dobbiamo quindi continuare ad avere particolare attenzione per le risorse destinate agli insegnanti di sostegno, alla loro formazione e al loro reclutamento. Signor Ministro, le chiedo di porre attenzione alle risorse destinate all'integrazione degli alunni diversamente abili, anche in accordo con enti locali e regioni.
Concludo con alcune considerazioni. Accanto all'ottimismo bisogna utilizzare anche gli «strumenti degli attrezzi», che sono semplificazione legislativa, leggi chiare e comprensibili, saper guardare tutti insieme verso l'obiettivo. Concordo con quanto espresso in un'intervista del già Ministro Luigi Berlinguer: «Una scuola burocratizzata può aver contribuito cento anni fa, formata l'Italia, a formare gli italiani. Oggi è la negazione dell'istruzione e sinonimo di immobilismo».
L'equazione «do poco e chiedo poco», non ha fondamento nella scuola italiana, perché, se lo Stato dà poco agli insegnanti in termini economici, culturali e di riconoscimento sociale, la società nell'evoluzione degli ultimi decenni, in cui abbiamo assistito allo sfaldarsi della famiglia, ha imparato a chiedere sempre di più, anzi a chiedere moltissimo alla scuola. Alla scuola e agli insegnanti, che hanno a disposizione - permettetemi questa metafora - «matite spuntate», si chiede di essere docenti, psicologi, educatori, burocrati ed anche famiglia. E tutte le responsabilità sono della scuola. Ma la scuola non può essere tutto. La scuola è il luogo dell'educazione, dell'e-ducere, come ricordava l'altra volta l'onorevole De Pasquale, il «tirar fuori», ossia - secondo me - far eccellere ciascuno con le sue capacità. Tuttavia, il patto educativo comprende insegnanti e genitori: da questo non si può prescindere. La famiglia è l'altra leva, l'altro motore del nostro sistema scuola e del nostro sistema Paese.

PRESIDENTE. Segnalo ai colleghi che vi sono molti iscritti a parlare, compresi alcuni oggi non presenti. Vi sarà quindi un ulteriore rinvio dell'audizione; tuttavia, ho chiesto al Ministro di proseguire la seduta odierna fino a circa le 11,30. Se riusciamo ad essere sintetici, forse saremo in grado di esaurire gli interventi.

PIERFELICE ZAZZERA. Cercherò di essere sintetico e di riportare, in maniera forse confusa, una serie di appunti che mi ero segnato.
Ringrazio il ministro per la relazione svolta. La trovo simpatica e non vorrei rovinarle il compleanno. Tuttavia, la sua presenza in questa sede, pur gradevole e piacevole e che peraltro ha fornito spunti interessanti e condivisibili, cozza con la realtà del Ministro Tremonti. Probabilmente sarebbe più utile la presenza del suddetto Ministro Tremonti rispetto a quella del Ministro Gelmini, e alle sue parole, che sono assolutamente apprezzate.
Sottolineo che la relazione del Ministro Gelmini è fatta di buone intenzioni, che però devono fare i conti, appunto, con la realtà dei bilanci, in cui spesso le risorse mancano; in cui spesso, almeno nella realtà da cui provengo, ossia il Mezzo


Pag. 7

giorno, il diritto allo studio viene negato, magari per la carenza di edilizia scolastica - parlo dal punto di vista dello studente, perché non sono un docente - e in cui spesso gli insegnanti sono demotivati e gli studenti annoiati. Infatti, probabilmente dobbiamo dare una lettura diversa della scuola.
Penso ad una scuola che non sia buia e che non giudichi gli altri, ma che sia aperta e che rappresenti un momento gioioso per chi vi partecipa, per gli insegnanti e per gli studenti. Forse, dobbiamo tutti concentrarci su questo aspetto, in senso autocritico, e chiederci come mai la scuola in Italia sia diventata un fenomeno di degenerazione, sia da una parte che dall'altra.
Non mi piace una scuola degli esamifici, non mi piace una scuola dei voti, non mi piace una scuola che giudica, non mi piace una scuola in cui tutti siamo sottoposti a un giudizio. La scuola deve andare, invece, nella direzione di un momento gioioso, di condivisione e che si adegua al cambiamento dei tempi. Ciò significa che la scuola deve fare i conti con fenomeni quali quelli dell'immigrazione, dell'integrazione culturale, delle differenze, dell'impegno civile. Penso ancora una volta al Mezzogiorno, dove la legalità non è un problema di secondo ordine e dove la scuola può e deve svolgere un compito essenziale cui spesso non assolve. A mio avviso, quindi, dobbiamo passare da una scuola chiusa ad una aperta, da una scuola che non si occupa solo di pedagogia ad una che si occupa anche di formazione.
Voglio difendere, forse ponendomi contro un'idea del senso comune che mi preoccupa, la scuola pubblica. Difendo la scuola pubblica, perché è palestra di formazione e di vita e perché lì ci si misura con la differenza e con le diversità.
Poi parliamo anche di come la scuola deve essere gestita. Penso di poter condividere il passaggio molto importante che deve coinvolgere il nostro Paese e che consiste nel mettere al centro la cultura del merito, che ritengo non essere in antitesi con una buona scuola pubblica. Tuttavia, signor Ministro, perché ci sia una buona scuola pubblica, occorrono risorse economiche. Ed invece, ancora una volta, questo Governo non destina risorse a tale scopo. Occorre inoltre la formazione del personale. Se gli insegnanti sono demotivati, ciò accade perché non c'è formazione.
Signor Ministro, nella sua relazione lei ha parlato di adeguamento dei salari, lontani dagli standard europei. Tuttavia, le chiedo come intenda adeguare i salari se non ha risorse per farlo.
Quindi, la scuola pubblica non è e non deve essere in antitesi rispetto alla scuola paritaria. A mio parere, devono essere complementari per rendere completo il sistema. Una scuola aperta, che non sia solo pedagogica, ma di formazione, permette anche di raggiungere quei risultati che non si ottengono solo con una azione repressiva. In altre parole, credo che una scuola intesa in senso positivo possa affrontare questioni come l'alfabetizzazione, l'evasione scolastica - parlo sempre nella mia realtà - o fenomeni degenerati come il bullismo. Certamente non si risolve inserendo norme di rilevanza penale sugli studenti. Probabilmente sotto c'è qualcosa di più come l'espressione di una sofferenza e di un fenomeno più profondi.
In conclusione, credo che la scuola debba adeguarsi ai tempi e alla modernità. Per fare ciò, deve investire sull'innovazione e sulla tecnologia; deve essere capace di effettuare scambi culturali con altri Paesi, di raccogliere esperienze dall'estero. Oggi ci sono realtà quali quelle orientali - penso alla Cina, ma anche ad altri Paesi come l'India - che in termini tecnologici e di formazione scolastica sono più avanti dell'Italia. Rispetto a tutto questo, sarebbe utile avere una scuola che sappia operare tramite vasi comunicanti con le altre realtà del mondo globalizzato.
Chiudo, ponendole solo due questioni - su cui magari potrà darci una risposta - che riguardano agenzie di stampa, ma anche segnalazioni estremamente preoccupate pervenutemi da insegnanti e relative al taglio di docenti da parte di questo Governo. In particolare, faccio riferimento alla situazione che riguarda la mia regione, la Puglia, per quanto concerne le


Pag. 8

SSIS, le scuole di specializzazione. Per un problema di natura probabilmente burocratica, infatti, si rischia di mettere in mezzo alla strada ottocento insegnanti che avevano acquisito la titolarità del ruolo.

FABIO GARAGNANI. Intanto, colgo anche io l'occasione, come immagino i colleghi, per dire al Ministro, visto che compie gli anni: «Ad multos annos in laetitia».
Ricollegandomi all'ultimo intervento dell'onorevole Zazzera, devo sottolineare con molta pacatezza che mi convinco sempre di più dell'impossibilità di avere una visione bipartisan sulle riforme scolastiche. Con tutto il rispetto, di fatto esistono una forte diversità e una forte contrapposizione fra la politica scolastica intesa dal centrodestra e quella sostenuta dal centrosinistra. Pertanto, credo che il giusto mezzo, o una mediazione tra di esse rischi di generare equivoci che non possono essere perpetrati. Dico questo, pur dispiacendomene, perché vedo che i punti di partenza sono notevolmente diversi.
Nella relazione del Ministro ho colto alcuni spunti molto interessanti che vanno verso una volontà effettiva di razionalizzare in meglio il sistema scolastico, modernizzandolo, adeguandolo e cogliendone le pecche. Mi sarei aspettato, anche dagli interventi moderati degli esponenti dell'opposizione, la percezione di questo desiderio di novità, di questa modernizzazione della società italiana che non può essere vincolata ai tabù che l'hanno caratterizzata per troppi anni.
Il primo tabù che desidero sottolineare - spesso ho importunato il Ministro su questo, ma continuerò a farlo anche nei prossimi anni - è quello del falso assioma secondo cui la scuola statale è solo quella pubblica. No, è ora di finirla con questo monopolio giacobino, per cui soltanto il sistema statale è in grado di garantire agli studenti la fruizione dei livelli essenziali dell'istruzione. Credo che sia arrivato il momento di favorire, come in tutti gli altri Paesi europei, un sistema scolastico pubblico - come prevedeva la legge Berlinguer n. 62 del 2000 -, ma imperniato su una competizione fra pubblico e privato, dove per privato si intende la scuola paritaria, all'interno di un sistema che definisce regole comuni e che consente di elevare il livello della professionalità dei docenti e degli studenti sulla base dei risultati conseguiti.
Fino a che avremo il mastodonte attuale, la situazione non cambierà. Il collega Zazzera ha chiesto al Ministro Gelmini informazioni circa la riduzione degli organici, di oltre un milione di docenti di ATA. Ebbene, siamo un caso anomalo in tutta Europa. Se si confronta la percentuale del rapporto tra docenti e discenti in Italia, Germania, Spagna, Francia, risulta che il nostro Paese ha la percentuale più elevata di insegnanti. Fino a che non si risolverà tale questione, a causa della quale il 97 per cento del bilancio del Ministero della pubblica istruzione è vincolato al pagamento dei docenti, è chiaro che il problema della scuola rimarrà insoluto. Infatti, una politica sbagliata, portata avanti anche negli anni passati - parlo del centrosinistra, della prima Repubblica -, ha dilatato a dismisura gli organici, interpretando la scuola in funzione dei bisogni occupazionali dei docenti e non dello sviluppo, dell'educazione e della professionalità degli stessi. Mi rendo conto della difficoltà di razionalizzare una politica scolastica seria. È chiaro che non si possono mettere in mezzo alla strada tutti i docenti, però occorre compiere degli sforzi per uscire da questa mentalità dirigista, giacobina per cui il monopolio statale della pubblica istruzione, intendendo l'espressione in senso letterale, è un tabù intoccabile.
È strano che solo in Italia - lo dico senza polemica, ma non completamente, perché certe cose vanno dette - gli stessi teorizzatori (penso a qualche laicista «avvelenato» del mio partito, ma soprattutto a quelli della sinistra) del liberismo selvaggio, si facciano promotori di un liberismo esasperato in tutti i settori della vita economica, trincerandosi però dietro il monopolio statale della pubblica istruzione, che è quanto di più antistorico, vetusto e superato si possa concepire.


Pag. 9


Credo che occorra dire a voce alta, senza vergognarsi delle parole, che bisogna favorire una reale evoluzione, anzi rivoluzione, del sistema scolastico italiano, viste le cifre preoccupanti che il Ministro Gelmini ha riferito. Del resto, in precedenza, le stesse cifre sono state date dal Ministro Fioroni. Anche lui si è interessato dell'argomento in un certo modo - «vigilato» dal viceministro Bastico, che lo correggeva ogni tanto -, usando di fatto parole coraggiose. Non parliamo poi del Ministro Moratti! Fino a che non rompiamo questo monopolio, che peraltro penalizza i ceti meno abbienti e non garantisce al docente la necessaria verifica dei suoi requisiti professionali, è chiaro che il sistema scolastico italiano non uscirà dalle more in cui si è cacciato.
In questo contesto credo che si possa ipotizzare un sistema scolastico in grado di favorire anche ad experimentum, il trasferimento graduale degli insegnanti statali che lo desiderano - è chiaro che non si può improvvisare dall'oggi al domani - in alcuni istituti paritari. L'esperienza francese di Chirac e Sarkozy è sotto gli occhi di tutti. La Francia laica e voltairiana è quella che ancora oggi paga lo stipendio dei docenti laici delle scuole paritarie private nel quadro di una convenzione tra Stato e docenti laici. Pensiamo anche a questo. Nessuno ipotizza scenari confessionali, ma un panorama di libertà e di educazione.
Il collega Zazzera parlava di diritto allo studio. In proposito, vorrei citare la mia regione, l'Emilia Romagna, dove la legge per il diritto allo studio non esiste. Pertanto, in nome del monopolio regionale nel diritto allo studio, non viene riconosciuto ai genitori quel diritto di scelta che ad esempio in Veneto e in Lombardia e in altre realtà è pienamente garantito. Anche la legge sul diritto allo studio, dunque, deve essere considerata un argomento di intervento. Un bambino, sia che nasca in Sicilia, in Lombardia, in Veneto o in Emilia Romagna, deve poter fruire degli stessi diritti. Non capisco perché ne possa godere in Veneto, in Lombardia o in Trentino-Alto Adige e non in Emilia Romagna o in Puglia.
Scusate la veemenza delle mie parole, ma considero questo un problema di fondo su cui ci dobbiamo confrontare, perché vedo permanere vecchi steccati ideologici. Mi riferisco allora al problema della scuola e degli insegnanti, sul quale si è giustamente soffermato il Ministro. In merito, credo che occorra prendere atto del fatto che eccessive garanzie sindacali hanno mortificato la professionalità di quei docenti statali che si sono visti posti sullo stesso livello di altri assolutamente inidonei a svolgere il loro lavoro o perché - parliamoci chiaro - ex sessantottini frustrati (ce ne sono tanti) in cattedra, o perché considerano il lavoro nella scuola come un secondo impiego. Comunque sia, di fatto non riescono. Ebbene, questi insegnanti si pongono accanto ad altri docenti che, invece, interpretano il loro ruolo come una missione educativa. Tanti alunni e docenti ribadiscono queste considerazioni in continuazione e i dirigenti scolastici, dal canto loro, lamentano l'impossibilità di intervenire con strumenti adeguati per frenarle.
La proletarizzazione del corpo docente è un fenomeno reale, ma essa deriva anche da un eccesso di sindacalismo, di garanzie sindacali che penalizzano i capaci e i meritevoli e premiano i furbi o coloro che semplicemente vogliono defraudare lo Stato tramite l'impiego che hanno ricevuto. Credo, dunque, che occorra responsabilizzare maggiormente i dirigenti scolastici - che rispetto ai docenti sono adeguatamente retribuiti, anche se non in modo eccessivo -, vincolandoli a una precisa assunzione di responsabilità.
In questa prospettiva, ci si potrebbe avvalere anche - mi pare di aver notato un accenno a questo nella relazione del Ministro - di una competizione tra istituto e istituto, che credo sia quanto di più utile si possa concepire. La maggiore o minore preparazione di un determinato docente o dell'intero corpo insegnante in materie economiche e giuridiche, in materie di formazione classica, anche all'interno di


Pag. 10

scuole e di licei statali, può favorire una sana crescita, utile a tutta la società.
In questo senso, l'autonomia scolastica deve essere interpretata come la possibilità - faccio un discorso in fieri - di inserire anche elementi nuovi nel corpo docente. Il Ministro ha fatto riferimento, per quanto riguarda l'università, a un'idoneità nazionale e alla possibilità di inserire negli organici docenti provenienti da altre realtà. Credo che studiare questa opportunità, per vivacizzare l'esperienza della scuola, sia più che mai utile.
Allo stesso modo, penso al problema delle fondazioni, su cui il ministro Fioroni si è arenato. Si trattava di un'idea intelligente, che dava la possibilità di erogare fondi detraendoli dalle imposizioni fiscali, arenatasi a causa dell'opposizione interna.
Un'altra considerazione alla quale tengo molto riguarda ancora la nostra scuola. Peraltro, ho visto un riferimento preciso del Ministro in proposito. Per evitare equivoci, vorrei evidenziare che il riferimento alle esperienze europee serve per evitare l'accusa di essere focalizzato in una visione localistica o municipalistica. L'esperienza francese di Sarkozy è chiara, in quanto siamo di fronte a una realtà in cui si verifica un processo di integrazione difficile. Ebbene, ritengo che la scuola italiana, senza false remore, debba farsi carico, non in modo confessionale, della difesa e della propagazione di una cultura e di un'identità nazionale che, piaccia o meno, è vincolata a duemila anni di cristianesimo, inteso come dato culturale. Oggi, nelle scuole, si sta assistendo, purtroppo, alla demistificazione e alla delegittimazione totale dell'ancoraggio alle nostre radici. Un popolo che perde il ricordo di se stesso, l'ancoraggio alla propria appartenenza culturale e alle proprie radici storiche non ha futuro. La scuola manca in questo, perché, con un processo, a mio modo di vedere assurdo, il corpo docente omologa tutte le culture, di fatto dimenticando di dare dignità particolare alla nostra, senza comprimere le altre. Con ciò intendo la nostra storia, la nostra lingua, la nostra religione, la nostra tradizione giuridica e tutto quanto compone l'humus dell'essere italiano. Credo che la scuola debba muoversi in questa direzione in modo preciso.
La laicità dello Stato non significa indifferenza verso gli elementi costitutivi della nostra tradizione culturale e spirituale. Lo dico con molta fermezza, rivolgendomi in particolare ai colleghi della sinistra, perché soprattutto la parte del corpo docente che fa loro riferimento interpreta una concezione, a mio modo di vedere, assolutamente deleteria e devastante per il Paese.
Vengo all'ultimo problema. Mi preoccuperei anche di formare le giovani generazioni di docenti. Sono impensierito dal progressivo processo di invecchiamento del corpo insegnante. Signor ministro, abbiamo necessità di favorire giovani motivati, culturalmente preparati, non delusi da varie esperienze - prima ho citato il 1968, ma ve ne sono anche altre - che sappiano essere al corrente delle novità e, con entusiasmo, sappiano diffonderle, educando le giovani generazioni loro affidate. Purtroppo, la situazione della scuola italiana oggi è bloccata, a causa di un eccesso di anzianità di docenti. Si pone dunque il problema di formare le giovani generazioni anche in questo caso ipotizzando - è un suggerimento - ad experimentum, una diversificazione della retribuzione, in presenza di titoli di studio adeguatamente verificati ed eccellenti per quei giovani che oggi, pur desiderando insegnare, non possono farlo perché compressi dalla normativa giuridica e sindacale che li parifica livellandoli ad altri che magari hanno meno requisiti culturali e professionali.
Tralascio la questione dei libri di storia nelle scuole, altrimenti accenderei una querelle. Tuttavia, anche questo è un argomento degno di attenzione. Sarebbe interessante verificare come certi argomenti sono trattati nelle ultime classi dei licei delle principali scuole italiane.
Signor Ministro, chiudo il mio intervento, ringraziandola per la sua cortesia, ma sollecitandola con una certa fermezza ad affrontare questi problemi senza farsi intimidire, nei limiti del possibile, da pressioni sindacali o corporative, perché veramente


Pag. 11

l'avvenire della scuola e della società italiana è legato a ciò che potremo fare.

CATERINA PES. Innanzitutto, le faccio tanti auguri. È sempre una giornata piacevole quella del proprio compleanno.
La prima cosa che vorrei chiederle in apertura, a nome del gruppo del Partito Democratico, è un suo personale intervento, per quanto possibile, a favore della dignità e della difesa dell'uguaglianza dei bimbi rom. Le chiediamo di intervenire su questo aspetto che consideriamo molto importante. Lei è il Ministro della cultura. La cultura unisce, supera le separazioni, è il luogo che dovrebbe rendere tutti uguali. I bimbi rom sono in qualche modo anche nostri, perché appartengono a questa società, alla società italiana, e frequentano le nostre scuole. Peraltro, lei sa molto bene quanto la scuola italiana, faticosamente, ma con grande impegno da parte degli operatori, si adoperi per l'integrazione. Le chiedo, dunque, di fare in modo che questi bambini vengano veramente integrati e che tale integrazione si realizzi in maniera puntuale ed egalitaria. È molto importante. Facciamo in modo che a partire dalla scuola, e soprattutto da un sistema di valori che è quello dell'uguaglianza, si possa riuscire a creare finalmente una società multietnica. Lei sarà d'accordo sul fatto che una società moderna o è multietnica o non è. Gli Stati Uniti d'America vivono la multietnicità da quando sono nati. Perché questo accada, vanno superate tutte le condizioni della diversità.
Questa è la premessa. A questo punto, entro nel merito dell'audizione. Qualche giorno fa, Ministro, abbiamo apprezzato la sua proposta di una grande alleanza sulla scuola. Il nostro senso di responsabilità, infatti, ci porta a pensare che solo in un confronto condiviso si possano riuscire a raggiungere quegli obiettivi comuni, legati alla crescita culturale e al sapere dei nostri giovani, che a tutti noi stanno a cuore. La qualità dell'istruzione è un tema che riguarda tutti, nessuno escluso. Al di là delle posizioni ideologiche, nessuno di noi vi può derogare. Tuttavia, ci rendiamo conto che la nostra idea di scuola e di istruzione, per alcuni aspetti, è distante anni luce dalla vostra. Quindi, probabilmente, dobbiamo confrontarci su tale aspetto.
Nel corso della seduta odierna, abbiamo ascoltato una serie di interventi da parte di esponenti della maggioranza: alcuni in parte condivisibili e altri evidentemente no. Penso, ad esempio, al DPEF. Accanto ad esso viene oggi pubblicato un pacchetto di interventi legislativi, tra i quali la manovra sulla scuola, che prevede risparmi per circa 8 miliardi di euro, a fronte dei 20 miliardi dell'intera pubblica amministrazione. Poiché i tagli sulla scuola sono considerevoli, naturalmente si debbono accompagnare a una revisione del sistema organizzativo e didattico.
Il superamento del maestro unico nella scuola elementare ha rappresentato una della più grandi ed importanti riforme della nostra scuola. Sappiamo bene, infatti - chi di noi vive la scuola dall'interno ne è consapevole - che l'aspetto più difficile del mondo dell'istruzione non riguarda certamente la scuola elementare, ma forse quella secondaria di primo grado. Quindi, mi sembra che si stia attaccando e colpendo proprio quel luogo dove la riforma scolastica ha avuto dei risultati importanti. Penso alla riduzione del personale docente di almeno 100 mila unità e ai nuovi piani di studio. Insomma, mi riferisco ad una serie di interventi che naturalmente, soprattutto sul piano organizzativo, rendono meno efficiente la scuola.
Citando testualmente il DPEF, fa pensare e stupisce che «l'azione di contenimento deve essere comunque accompagnata dal miglioramento dell'efficacia e dell'efficienza della struttura pubblica». Se nel DPEF c'è scritto così, colpisce la direzione nella quale vanno gli interventi. Pertanto, o i ragionamenti che si fanno intorno all'istruzione sono di fatto demagogici e rappresentano propaganda politica, oppure della scuola mi sembra che si sia capito poco.
Signor Ministro, sono insegnante in un liceo classico della provincia. Vengo direttamente dal collegio dei docenti. Le posso


Pag. 12

dire, in base all'esperienza di vent'anni passati in mezzo ai ragazzi, che niente più della scuola oggi è un laboratorio sociale. Quando parlo di laboratorio sociale, mi riferisco ad un luogo nel quale si incontrano e si scontrano, talvolta si confrontano, ma ormai sempre più raramente, contesti sociali e culturali differenti; dove i valori si misurano e qualche volta, quando siamo fortunati, si contaminano; dove trova spazio anche l'indifferenza, così come il mito del più furbo e del più forte, si vedano in proposito i frequenti episodi di bullismo, su cui adesso non mi soffermo.
Allo stesso modo, la perdita del ruolo sociale della classe insegnante ha di fatto, come pendant, la crisi dei valori di un Paese che è alla ricerca di nuovi orizzonti di senso. Voglio dire che la mancanza di orizzonti di senso, che si vive dentro la scuola, è in realtà ciò che viviamo nella società italiana dei nostri tempi.
Signor Ministro, lei ha giustamente menzionato gli obiettivi di Lisbona nella sua relazione e anche noi, negli interventi fin qui svolti, li abbiamo citati. Tutti concordiamo su una società della conoscenza e su una scuola di qualità. È fuori di ogni dubbio che questi debbano essere i nostri obiettivi condivisi, per una scuola che sia sempre più formativa e sempre più europea.
Tuttavia, come purtroppo dimostrano i dati OCSE-PISA - anche questi da lei menzionati -, l'Italia vive il paradosso considerevole di essere tra le nazioni europee con il più basso livello di istruzione e il più alto livello di dispersione scolastica. Insomma, viviamo in una condizione di emergenza, come lei l'ha chiamata, anche perché siamo consapevoli che tale situazione deriva dal fatto che l'istruzione e la scuola sono uno strumento di grande crescita economica. Quindi, l'emergenza non è solo culturale e valoriale, se vogliamo dire così, ma anche economica. Un Paese che non investe sulla cultura e sull'istruzione, a nostro giudizio, è destinato drammaticamente all'emarginazione economica e sociale.
Quando Antonio Gramsci, che ho sentito citare molto in questa sede - e con piacere, essendo sarda come lui - scriveva «istruitevi, perché abbiamo bisogno di tutta la vostra conoscenza» aveva toccato, di fatto, il vero nodo del problema. Voleva dire in fondo che chi possiede poche conoscenze rischia l'emarginazione economica e sociale, di essere condannato cioè a stare ai margini. Questo è il senso fondamentale di tali parole.
Se queste sono le premesse, signor Ministro, che mi sembrano da tutti noi condivise, credo che si debba operare una serie di riflessioni sulle modalità della scuola, su come vogliamo la scuola in una visione globale. Ciò che mi è sembrato assente nella sua relazione è proprio la visione di insieme o, se preferisce, una valutazione del problema scuola in un'ottica di sistema. Infatti, solo attraverso questa via si possono assumere gli elementi di problematicità, che sono molti, e, nel contempo, individuare criticità e strategie di intervento che possano provenire da più parti.
La scuola italiana ha bisogno di un serio investimento che richiami sia i valori di solidarietà e di coscienza civile, sia il continuo coinvolgimento di metodologie, di contenuti disciplinari, di pedagogia e non ultimo degli attori della scuola. Ecco, quello che a me è sembrato mancare nella sua relazione è la riflessione intorno alla metodologia della didattica. Mi permetto di svolgere una riflessione di metodo per l'appunto, su cui centrerò la parte conclusiva del mio intervento.
Quanto alla scuola di qualità e alle politiche integrate, signor Ministro, avevamo avviato questo tipo di intervento con il Governo precedente. Siamo tutti d'accordo nel sostenere la scuola di qualità. Lisbona lo chiede, ma il PISA ci ricorda quanto siamo lontani.
Tuttavia, abbiamo un'idea diversa di qualità. Per noi, signor Ministro, la scuola è di qualità quando premia il merito, quando raggiunge e supera gli obiettivi programmati, quando è competitiva, certamente; ma la scuola per noi è di qualità anche e soprattutto quando è inclusiva,


Pag. 13

quando realizza la piena integrazione di tutti, quando è equa e solidale. Le scuole, signor Ministro, devono essere tutte di qualità. L'uguaglianza sostanziale di cui lei ha parlato - mi permetta la citazione filosofica - a me sembra puro nominalismo. Non esiste eguaglianza senza garanzia di uguali opportunità per tutti. Per raggiungere l'eguaglianza degli obiettivi sembra infatti necessaria l'eguaglianza delle opportunità come strumento di partenza, che mi sembrano essere l'elemento mancante.
Da questo punto di vista, serve una piccola riflessione. Il concetto di merito da voi proposto sembra potersi applicare solo ed esclusivamente agli alunni meglio dotati culturalmente. Gli studi di psicologia e di sociologia condotti dagli anni Settanta fino ad oggi hanno dimostrato, invece, che i processi di apprendimento e accrescimento di competenze sono determinati non solo dal talento individuale, ma anche dal contesto familiare, economico e sociale in cui si cresce. È evidente che in questo caso occorrono quelle pari opportunità di partenza che sembrano mancare alla sua riflessione.
Don Milani, altra figura ampiamente citata - e che quindi mi permetto di citare anche io - diceva che non c'è niente di più ingiusto che fare parti uguali tra diseguali. Teniamo a mente queste parole. La scuola di qualità è per noi quella che premia il merito e i talenti, ma, nel contempo, è la scuola che non lascia indietro nessuno, anzi, sostiene i più deboli. Come vedete, torniamo di nuovo a Gramsci.
Vengo ora al secondo e ultimo punto. A nostro avviso, un serio investimento sull'istruzione, nell'orizzonte di una grande alleanza per la scuola, deve passare attraverso l'adozione di politiche integrate e l'elaborazione di un piano finanziario per obiettivi strutturali. Ne riporto alcuni già citati: l'edilizia scolastica, il diritto allo studio, la qualificazione degli insegnanti, i progetti dell'autonomia, l'ampliamento del tempo scuola, la stabilità dei docenti. Temiamo che questo piano finanziario - il DPEF lo riporta - non ci sarà. Tra questi punti, il Governo precedente aveva individuato, come strategia di intervento, il programma delle scuole aperte. Esso prevede, in orario curricolare, un ampliamento dell'offerta formativa introducendo, oltre agli ormai noti corsi di recupero, anche corsi di sostegno e di aiuto allo studio, moduli didattici di approfondimento e sviluppo delle conoscenze, assunzione di metodologie didattiche alternative e arricchimento del curriculum.
Signor Ministro, l'esperienza delle scuole aperte, intervenendo sia sulle carenze che sulle eccellenze, mette in campo una mappa di azioni che intercettano i bisogni reali degli allievi e della comunità attraverso il ricorso a strumenti metacognitivi e a nuove metodologie didattiche che hanno lo scopo di incrementare il sistema locale di apprendimento. In questa dimensione, si risponde all'esigenza di un'ottica di sistema da cui sono partita. Allora gli attori coinvolti nel processo di crescita culturale, sociale, e quindi economica, sono molteplici: gli allievi della scuola, gli adulti interessati all'offerta formativa, le associazioni culturali, gli enti locali. Non possiamo permettere di disperdere l'esperienza dei patti formativi territoriali. In alcune regioni del nostro Paese, si stanno sperimentando felicemente strategie integrate di apprendimento permanente, efficaci ed eque, svolgendo un ruolo essenziale nella promozione della crescita, ma anche dell'occupazione.
Sempre in un'ottica di sistema - e concludo veramente - si inserisce infine la riflessione intorno alla professione docente e alla qualità della trasmissione del sapere. Nessun altro aspetto interno alla scuola influenza, infatti, il rendimento degli studenti più della qualità della formazione degli insegnanti, di cui abbiamo parlato. Vede signor Ministro, credo che sia estremamente difficile che si realizzi quanto lei ha promesso circa l'adeguamento degli stipendi degli insegnanti alla media europea. Ci piacerebbe molto, a me piacerebbe molto. A questo punto, bisognerebbe veramente capire dove si trovano i soldi necessari. Tuttavia, credo che la demotivazione degli insegnanti dipenda in larga misura anche dal mancato riconoscimento


Pag. 14

culturale del Paese nei loro confronti. Specchio di questo è, ad esempio, l'assenza di investimenti sull'aggiornamento disciplinare pedagogico.
Oggi i professori si comprano il libri e si aggiornano di tasca propria. Vorrei evidenziare che questo, peraltro, non avviene in nessun'altra categoria di professionisti. Negli ultimi anni, gli insegnanti italiani hanno finito per sentirsi sempre più impiegati e sempre meno educatori e formatori. La società non glielo chiede. La formazione continua per gli insegnanti è obbligatoria in undici Stati membri dell'Unione europea, non per l'Italia.
Mi avvio alla conclusione. Ciò che vogliamo sapere, signor Ministro, considerate tutte le premesse, il DPEF, i tagli alla scuola, è questo: fino a che punto il Governo può seriamente impegnarsi in un investimento sulla scuola in termini di educazione permanente, di sussidiarietà, di formazione continua e di una scuola delle pari opportunità?

PRESIDENTE. Dobbiamo ascoltare almeno gli onorevoli Palmieri, Siragusa e Giammanco. Segnalo inoltre che devono ancora intervenire i capigruppo.

ANTONIO PALMIERI. Signor presidente, formulerò due quesiti e presenterò due semi-proposte. Credo che sarebbe importante capire meglio - visto che abbiamo potuto leggerlo solo sui giornali e non per colpa del Ministro - i termini dell'accordo con l'AIE per il risparmio sui libri di testo, a partire, se ho capito bene, dal prossimo anno scolastico. Capire meglio i termini dell'accordo e i vantaggi per le famiglie sarebbe importante non solo per la Commissione, ma soprattutto per le famiglie stesse.
Signor Ministro, lei ha fatto riferimento in questi giorni al concorso per i dirigenti scolastici, improntato su diversi criteri rispetto al passato. Di nuovo credo che sarebbe importante e utile capire come questo avverrà in concreto, per cominciare ad assimilare e condividere, maggioranza ed opposizione, che cosa si intende effettivamente per ricerca del merito. Altrimenti, ci disperiamo in stereotipi reciproci che non portano da nessuna parte.
Il terzo elemento che vorrei evidenziare riguarda l'integrazione e la lingua. Ritengo che tutti condividiamo il fatto che, se non si conosce l'italiano, è impossibile non l'assimilazione, che non è il nostro obiettivo, ma l'integrazione, e che, se non si va a scuola, ugualmente, è difficile imparare la lingua. Vivendo in Italia senza conoscere la lingua, rende poi impossibile per i cittadini, siano essi di nazionalità e di nascita italiana o straniera, far valere i propri diritti. Pertanto, per vincere la spirale di depressione che incombe sia nella Commissione che nel mondo della scuola, la inviterei a questo. Ci sono tanti insegnanti motivati che fanno la loro parte tutti i giorni; allora perché non attiva, magari utilizzando Internet, la possibilità di utilizzare il meglio di quello che già si fa, in termini di integrazione, a partire dalla conoscenza della lingua nelle scuole? Valorizzare il buono che esiste, partire dal positivo che c'è - ed è molto - potrebbe costituire un cambio di passo in più. Altrimenti, dalla spirale depressiva e dai nostri interventi - insomma è anche il giorno del suo compleanno! - viene voglia di uscire e cambiare Ministero.
Infine, non possiamo fare come in Romania, dove il Senato sta discutendo di imporre per legge l'alternanza di una notizia buona e una cattiva nei notiziari. Tuttavia, si potrebbe pensare a un patto con le agenzie di informazione, considerato che oggi la scuola e la famiglia non sono più le principali strutture educative, perché, purtroppo, molta parte dell'educazione passa attraverso i media.
Non so se lei, lanciando un'alleanza per la scuola che vada oltre il mondo della scuola e della politica, voglia invitare chi detiene la possibilità di fare informazione ad adoperarsi affinché per tre notizie cattive che riguardano la scuola, se ne trovi almeno una buona, che porti un esempio positivo, di un insegnante, di un allievo, di chi vince questa demoralizzazione e compie azioni positive. Forse, si possono inventare formule diverse dal solito, per valorizzare tale aspetto anche da


Pag. 15

parte del Ministero, invitando i docenti e le singole scuole a segnalare belle iniziative, esperimenti ben riusciti, allievi meritevoli, perché vanno oltre se stessi e i loro limiti.
A Milano, ad esempio, vi è stato il caso di una ragazza non vedente che ha vinto un certamen, se ricordo bene, in lingua latina e che adesso, peraltro, è anche campionessa di nuoto. Da questo punto di vista, si potrebbero riportare tanti esempi di fatti positivi che avvengono nella scuola, per dare sostegno morale ad una realtà che va valorizzata, a lei, a noi, e soprattutto ai docenti. Anche questo, a mio avviso, è un modo attraverso il quale si può recuperare concretamente la buona reputazione di chi lavora nel mondo della scuola che, altrimenti, viene conosciuta solo attraverso i fatti trasmessi su Youtube, che coinvolgono docenti e ragazzi.

PRESIDENTE. Do la parola all'onorevole Siragusa, ringraziandola per averci preferito rispetto alla missione a Bruxelles.

ALESSANDRA SIRAGUSA. Grazie a lei, presidente, per avermi consentito di parlare. Cercherò di essere brevissima, perché so che i tempi sono stretti, quindi non mi dilungo in questioni di contesto. D'altra parte, condivido gran parte di quello che è stato detto, ad esempio dalla collega Pes.
Vorrei porre alcune questioni. Abbiamo sentito parlare di aumento degli stipendi degli insegnanti. Adesso, tuttavia, l'articolo 64 del decreto-legge n. 112 del 2008 sulla manovra economica ci pone in una situazione di gravissima preoccupazione. L'idea di effettuare tagli che coinvolgono la scuola e che riguardano 100 mila docenti, in tre anni, e 43 mila lavoratori ATA pone questioni che devono far riflettere questa Commissione e il nostro Ministro. Credo che da sempre - quindi, questo non mi stupisce - gli interventi dei Ministri dell'economia nei confronti dell'istruzione siano particolarmente pesanti. Diciamo che non ci capiscono, che trovano un sistema di spesa corposo e che quindi ritengono di poter tagliare risorse alla scuola.
Ritengo, tuttavia, che sia compito dei Ministri della pubblica istruzione difendere il sistema della scuola, facendo davvero i conti sul numero degli insegnanti. A questi numeri - effettivamente superiori a quelli degli altri Paesi europei - l'Italia oppone un sistema scolastico che, in alcuni settori in particolare, è di gran lunga migliore. Penso, ad esempio, all'integrazione dei bambini disabili. Se è vero il dato che mi è stato fornito, relativo a circa 90 mila insegnanti di sostegno - in un momento in cui, peraltro, il sostegno ai bambini non viene più dato, come prima, per tutto l'orario scolastico, ma soltanto per poche ore -, dobbiamo difendere l'integrazione dei bambini disabili.
Personalmente ritengo che il tempo pieno nella scuola elementare o il tempo prolungato nella scuola media siano un valore importantissimo della nostra scuola, anche rispetto alle altre. Pertanto, credo che debbano essere garantiti i posti per quegli insegnanti che garantiscono questo servizio. Signor Ministro, il numero degli insegnanti mi preoccupa, perché è fortemente connesso con la dispersione scolastica. Vengo dalla Sicilia e sono un'insegnante di liceo. Finché sono rimasta a scuola, ho notato che quando in un primo anno di liceo scientifico arrivano 32 alunni in una classe, i più deboli finiscono, come descritto da Verga, «nella marea». Non sono in grado - e penso di essere un'insegnante che ha a cuore i suoi alunni, quindi parlo cominciando da me -, ma credo che nessun insegnante lo sia, di far superare gli ostacoli dell'apprendimento ai bambini che arrivano in classe con maggiori difficoltà. Una classe numerosa comporta per forza l'esclusione di qualcuno e questo non c'entra col merito e con le considerazioni molto sagge che lei ha esposto. Ecco perché, per completare la citazione di Don Milani, occorre dare di più a chi ha di meno, se vogliamo garantire pari opportunità.
Quest'anno, ad esempio - quindi stiamo parlando di una finanziaria che non vi appartiene, nella quale è già previsto un taglio di posti, ma non nel numero che avete indicato -, soltanto a


Pag. 16

Palermo, alla scuola superiore, abbiamo 94 docenti in meno, a fronte di un aumento di 561 alunni; alla scuola media, vi sono 78 cattedre in meno con 360 alunni in più; alle elementari, 238 cattedre in meno a fronte di 134 alunni in meno. Questo significa che, ad esempio, al corso di educazione degli adulti della scuola Carlo Alberto Dalla Chiesa di Partinico vi sono classi composte da 40 alunni. È chiaro che qualcuno si perde.
Il numero degli insegnanti e la loro capacità servono, come afferma il Consiglio sull'istruzione UE sugli obiettivi di Lisbona, a combattere l'esclusione sociale. Se questo fattore preoccupa una società che deve diventare sempre più una società della conoscenza, è chiaro che la scuola deve svolgere un ruolo importante. Se si taglia in questo modo il numero degli insegnanti, senza rendersi conto di quello che questo effettivamente significa per la vita della scuola, il sistema non funziona. Non funziona neanche utilizzare il 30 per cento del risparmio per aumentare gli stipendi, se è vero che l'inflazione programmata è pari all'1,7 per cento e l'inflazione reale questo mese è pari al 3,8 per cento. È chiaro, infatti, che tra tre anni il 30 per cento del risparmio sui 100 mila posti tagliati andrà soltanto a coprire l'inflazione. Sostanzialmente, dunque, non saranno aumentati gli stipendi, ma saranno soltanto livellati all'aumento del costo della vita.
Aggiungo poi che è molto importante curare la questione del reclutamento, dello status della formazione in servizio. Abbiamo già detto che ce ne occuperemo, perché quello che si chiede oggi a un insegnante è cosa diversa da quello che si chiedeva nel passato. Ecco perché non mi convince fino in fondo il fatto di imputare alla scuola la questione della cultura europea fondata sulla cristianità. È chiaro, infatti, che i nostri ragazzi ricevono una serie di input e di informazioni che arrivano da altre fonti rispetto alla scuola. La scuola, lo dice sempre il Consiglio sull'istruzione, deve occuparsi di favorire la formazione degli studenti. L'insegnante deve essere un tutor, deve essere capace di guidare gli allievi nel loro percorso individuale e di gruppo verso la conoscenza. «La formazione - sto citando la relazione del 12 febbraio del 2001 del Consiglio sull'istruzione UE - dovrebbe garantire agli insegnanti e ai formatori di motivare i loro allievi, non soltanto ad acquisire le conoscenze teoriche e le capacità professionali di cui hanno bisogno, ma anche ad assumersi la responsabilità del proprio apprendimento, in modo da avere le competenze necessarie per la società e il lavoro al giorno d'oggi».
Si è già parlato della formazione degli insegnanti e non aggiungo altro in proposito. Voglio dire, però, che la questione del loro ruolo sociale è fondamentale in questa società, proprio perché le informazioni arrivano ai nostri ragazzi attraverso mille mezzi diversi e perché dobbiamo modificare il modo di essere della scuola e degli insegnanti. Se i docenti guadagnano poco, se perdono di status sociale, perdono anche di credibilità nei confronti degli alunni. Quindi, poco possono incidere in un processo educativo che, invece, tutti cerchiamo di condividere.
Procedo brevemente per punti. Il decreto del Presidente della Repubblica n. 275 del 1999 prevede, per quello che riguarda l'autonomia, il lavoro di ricerca e sperimentazione sui problemi fondamentali dell'azione educativa che deve poter diventare elemento per la qualificazione professionale con la definizione delle modalità, dei tempi, degli spazi e degli incentivi.
Vi è ancora un aspetto che mi preoccupa. Tra le questioni sulle quali le viene data delega per effettuare i tagli e i risparmi, ad esempio, vi è quella relativa ai curriculum, in particolare per l'istruzione tecnica. Credo fortemente che non soltanto il buon senso, ma anche gli obiettivi di Lisbona ci chiedono di incentivare l'istruzione scientifica e tecnica. Pertanto, le chiedo come intenda orientarli in merito ai regolamenti previsti dal comma 1-ter, dell'articolo 13, della legge n. 40 del 2007. Penso anche ai percorsi triennali che sono molto importanti e che in questo momento sono mantenuti in vita.


Pag. 17


Vengo ora all'obbligo scolastico. Per noi è molto importante che il biennio unitario sia mantenuto e rinforzato. In ultimo, per cercare di rimanere nei termini, ringraziando la presidente Aprea di avermi dato la parola, vengo al reato di clandestinità. Si è già parlato dei bimbi rom. Sono molto preoccupata anche per quello che può succedere. Da sempre, nelle nostre scuole, abbiamo bambini anche figli di irregolari. Come è stato già detto, nella scuola c'è modo di creare una vera integrazione. Se vogliamo immaginare che gli stranieri in Italia lavorino, si adeguino e convivano con noi, la scuola è lo strumento principale. È chiaro che il reato di clandestinità metterà fuori dalla scuola i bambini. Segnalo questo pericolo e spero che il Ministro ne voglia tenere conto.

MARIASTELLA GELMINI, Ministro dell'istruzione, università e ricerca. Mi scusi se la interrompo, ma dobbiamo parlare anche di dati, di realtà. Con riferimento ai bambini rom, faccio presente che la popolazione rom va aumentando la propria presenza in Italia. I bambini regolarmente iscritti a scuola sono 12 mila, mentre a noi ne risultano 35 mila.
A me va bene tutto, ascolto tutti gli interventi, ma non prescindiamo da un dato di realtà, altrimenti. Credo che sia offensivo pensare che il Governo immagini misure drastiche, come quella proposta dal ministro Maroni, per una forma di cattiveria o di insensibilità nei confronti di bambini rom. Ho troppo rispetto per la vostra intelligenza (Commenti dell'onorevole Siragusa).

ALESSANDRA SIRAGUSA. Sto parlando del reato di clandestinità.

MARIASTELLA GELMINI, Ministro dell'istruzione, università e ricerca. Ho troppo rispetto per la vostra intelligenza, per pensare che abbiate un'opinione così bassa di questo Governo. Credo che almeno il rispetto lo dobbiate. Quindi, non parliamo di cose che non esistono.
Uno Stato non può dirsi cattolico o attento, laddove fa finta di non vedere che i bambini non hanno il diritto di andare a scuola e vengono utilizzati per commettere dei reati o per fare accattonaggio. Se stiamo su un dato di realtà, credo che la discussione possa avere un senso. Se invece si pensa che il ministro Maroni e che chi vi parla affrontino questo tema con una forma di discriminazione o di razzismo, questo lo trovo veramente offensivo.

ALESSANDRA SIRAGUSA. Stavo parlando del reato di clandestinità. La gran parte dei bambini stranieri, anche figli di clandestini, infatti - non sto parlando dei rom in questo momento - vanno a scuola. Il tema è questo. Poi è chiaro che bisogna trovare modalità per evitare che ci siano problemi.
Noi poniamo questioni. Occorre che lei se ne faccia carico e trovi gli strumenti, perché quello che noi paventiamo non avvenga. Quindi, senza offendersi, se condivide quello che pensiamo, cerchiamo di trovare forme di risoluzione dei problemi. Noi le diamo credito, Ministro, però le poniamo problemi e pensiamo che lei debba trovare soluzioni, anche perché è il suo ruolo.
Il reato di clandestinità rischia di impedire ai figli di irregolari di continuare ad andare a scuola. Ciò perché, se la clandestinità è un reato, l'irregolare che lavora in Italia non può rischiare di farsi trovare mandando i figli a scuola.
Quanto ai bambini rom, è vero che vanno poco a scuola. Dobbiamo farci carico della questione per capire come possiamo intervenire, per portarli a frequentare maggiormente la scuola. Infatti, tanti problemi e tante paure che possono sorgere diminuiscono quando ci conosciamo, e quindi quando anche i nostri figli si conoscono. Sono al corrente dell'esperienza vissuta in una scuola elementare posta vicino a un campo rom, al centro della mia città, Palermo - si tratta di una scuola da high society, e non quella di un quartiere periferico - in cui adesso, dopo vent'anni, i bambini rom sono perfettamente inseriti. Quando abbiamo cominciato l'inserimento in quella scuola, tuttavia, c'è stato il blocco da


Pag. 18

parte dei genitori che protestavano contro la presenza dei bambini rom. Oggi, a distanza di vent'anni, è normale per i rom del campo mandare i bambini a scuola e per i genitori che loro la frequentino.
La questione dei bimbi rom è la seguente: bisogna trovare mezzi, strumenti e politiche che consentano a questi bambini di andare a scuola, perché è lì che avviene la reale integrazione e, nello stesso tempo, occorre avere consapevolezza di quello che significa prendere le impronte digitali. Signor Ministro, le è mai capitato di vedere come si prendono le impronte digitali? A me è capitato. Ho accompagnato la signora rumena che lavora a casa mia a fare le pratiche e sono stata con lei quando le hanno preso il dito per le impronte, prima che la Romania entrasse nell'Unione europea. È molto impressionante. Penso che per i bambini sia veramente un trauma.

FABIO GARAGNANI. Evitiamo di scadere nel patetico!

GABRIELLA GIAMMANCO. Signor Ministro, ho apprezzato davvero molto la sua scelta di distinguere l'audizione relativa alla scuola primaria e secondaria da quella riguardante l'università e la ricerca.
Gli argomenti in questione sono tanti e troppo importanti, per essere affrontati in un unico momento. Per quanto mi riguarda, vorrei soffermarmi su ciò che ha detto durante il primo incontro con questa Commissione, da cui ho tratto molteplici spunti interessanti, che mi trovano in linea con il suo pensiero, signor Ministro.
In particolare, la stretta relazione tra istruzione e crescita della persona mi appassiona molto. Ritengo, infatti, che ciò che siamo lo dobbiamo interamente a quello che abbiamo imparato, vissuto e studiato. È nella conoscenza che sta la vera libertà e solo chi conosce può giudicare.
Da sempre, fin dai tempi di Platone, la scuola è il luogo di eccellenza per l'apprendimento, così importante da sopravvivere perfino ai secoli bui del Medioevo, perché a scuola - è certo - si imparano le nozioni di base della conoscenza, si piantano i semi della cultura di ogni uomo, ma a scuola - ed è questo il punto che più mi preme sottolineare - non è solo l'intelletto di un individuo ad essere sollecitato, ma la sua intera persona nel suo universo complesso.
Scopo del sistema scolastico non è quindi soltanto la formazione di uomini e donne di cultura, ma l'educazione di buoni cittadini. Ciò comporta che il sistema scolastico pubblico e privato debba essere attento a trasmettere, oltre alle nozioni scritte sui libri, i valori e le regole che stanno alla base della società e della convivenza civile. Deve, inoltre, infondere quel giusto e indispensabile sentimento di rispetto verso il prossimo, fondamento profondo dell'educazione civica introdotto in Italia dal Presidente Aldo Moro cinquant'anni fa, come lei, Ministro, ha puntualmente evidenziato, materia di insegnamento però forse mai abbastanza presa sul serio.
L'educazione civica, nel suo significato più alto, può e deve tornare ad essere il veicolo di conoscenza delle istituzioni del nostro Paese, antidoto alla diffusa allergia alla politica dei più giovani. L'educazione civica può e deve significare un corso di preparazione alla vita in società, trasmettendo le regole del vivere comune, i doveri e i diritti della persona, perché i giovani possano essere preparati anche alla vita che li aspetta fuori dalle aule scolastiche. Giovani spesso all'oscuro dell'esistenza e delle funzioni degli uffici pubblici con cui dovranno confrontarsi, ignoranti delle norme da non trasgredire e delle tutele da invocare.
Vorrei, quindi, in questo mio contributo, testimonianza di chi si sente ancora vicino al mondo degli studi, esortare lei, signor ministro, e questa Commissione, al confronto sul come il sistema scolastico nazionale possa rendersi virtuoso e artefice della trasformazione dell'individuo in cittadino, inteso nella sua complessità.
È inoltre nostro dovere intervenire e trovare possibili antidoti al preoccupante e sempre più diffuso fenomeno del bullismo


Pag. 19

e ai gravi fatti di violenza perpetrati da e su giovanissimi. Scoraggiare la possibilità di emulazione di fatti negativi, portando avanti, valorizzando e sponsorizzando esempi di giovani virtuosi, impegnati in attività di gran valore sociale, potrebbe essere un buon inizio.
E quindi, pur condividendo le finalità e gli intenti delle linee programmatiche del suo dicastero, la sua volontà di lasciare lo scontro politico fuori dalla scuola, la sua determinazione a contenere norme di dettaglio a favore dell'adozione di criteri generali, nonché la sua risolutezza nel voler garantire giusti livelli di eccellenza e aumentare il valore del lavoro dei professori, a partire da una revisione del livello dei loro stipendi, ritengo altrettanto importante dare attenzione a quelli che sono gli studenti più problematici, provando innanzitutto a colmare il loro vuoto di valori con esempi positivi e pretendendo, nelle forme pedagogicamente più opportune, il rispetto per gli altri, compagni ed educatori in primo luogo.
Importante in questo senso è raggiungere la radice dei problemi dei minori che esercitano prepotenza su altri minori, che nella maggior parte dei casi trova origine nella famiglia. In termini di ribellione, nel caso di nuclei familiari violenti e disagiati, ma che può esistere anche nel caso dei cosiddetti «abbandoni diplomatici», che avvengono in quelle famiglie in cui a mancare non è il benessere, ma la comunicazione.
Bisogna tornare a puntare con rigore, come lei giustamente afferma, al ripristino della disciplina, senza avere paura di chiamare le cose con il loro nome, per quel falso «buonismo» che non fa prendere posizione e che crea tanti problemi. La disciplina è utile e manca, così come manca il voto di condotta che nel tempo ha perso il suo significato e, di conseguenza, la sua funzione. Anche le assenze degli studenti meriterebbero maggiore attenzione, perché sono un indicatore importante. Quando i giovani non sono in classe a studiare, non solo perdono l'occasione di apprendere, ma significa che sono da qualche altra parte senza il controllo di un adulto, insegnante o genitore.
Scuola e famiglia devono essere alleate e amiche e il confronto tra insegnanti e genitori deve tornare a essere serrato e frequente. Le famiglie hanno bisogno di ricevere forza e sostegno nell'educazione di giovani a volte difficili da gestire. Auspico inoltre una sinergia tra scuola e società civile nelle sue diverse declinazioni: affidando per esempio alla polizia municipale, come già in alcuni comuni avviene, l'educazione stradale; al sistema sanitario, l'educazione dei giovani al rispetto del proprio corpo e della propria sessualità, oltre che quella relativa ai pericoli della droga; agli organismi elettivi, una prima conoscenza del funzionamento della cosa pubblica; alle associazioni animaliste e ambientaliste, l'educazione al rispetto di tutte le specie viventi attraverso l'istituzione o il rinnovamento di protocolli di cooperazione tra forze dello Stato. Perché quelli della scuola, considerati gli anni più belli, sono in realtà anche l'unico periodo in cui una nazione può permettersi di intervenire e investire direttamente sulla collettività, contribuendo a determinarne l'aspetto futuro.
Per concludere, con la rassegna dei termini cari alla scuola di una volta, trovo che il grembiule, sempre ormai più in disuso, abbia una funzione sociale - lo ripeto, una funzione sociale -, oltre che pratica, di cui si sta perdendo il significato. Mentre, per quanto riguarda la scuola secondaria, consigliare ad alunni e studenti un abbigliamento più decoroso, facendo abbandonare loro nelle aule scolastiche piercing o scollature eccessive, potrebbe rappresentare un passo in avanti nel percorso educativo.
Probabilmente, apparirà inusuale ascoltare da parte di uno dei membri più giovani di questa Commissione un discorso all'apparenza così conservatore, ma non ho problemi ad ammettere che non sempre dalle novità arrivano cambiamenti positivi. La modernità è auspicabile quando significa progresso. Diversamente è buon costume rivolgersi indietro, guardare al passato e a quanto di positivo è


Pag. 20

stato fatto, anche per cercare soluzioni per il futuro. La scuola italiana ha, nella propria tradizione, più di un vanto da cui ricominciare per far tornare il sistema scolastico nazionale ai vertici delle classifiche europee e internazionali di buon rendimento ed efficienza.

PRESIDENTE. Complimenti anche per la corsa.
Ringrazio il Ministro dell'istruzione, università e ricerca, Mariastella Gelmini, per la disponibilità manifestata.
Rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.

La seduta termina alle 11,45.

Consulta resoconti delle audizioni
Consulta gli elenchi delle audizioni