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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissione XII
4.
Giovedì 3 luglio 2008
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Palumbo Giuseppe, Presidente ... 2

Audizione del sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, Carlo Giovanardi, sugli orientamenti programmatici del Governo in materia di famiglia e di droga (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento): ... 2
Palumbo Giuseppe, Presidente ... 2 9 10 13 25 28
Barani Lucio (PdL) ... 21
Binetti Paola (PD) ... 18
Ciccioli Carlo (PdL) ... 13
Farina Coscioni Maria Antonietta (PD) ... 20
Giovanardi Carlo, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ... 2 9 10 12 25
Molteni Laura (LNP) ... 24
Mosella Donato Renato (PD) ... 22
Miotto Anna Margherita (PD) ... 10 13
Turco Livia (PD) ... 13 15
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.

COMMISSIONE XII
AFFARI SOCIALI

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di giovedì 3 luglio 2008


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIUSEPPE PALUMBO

La seduta comincia alle 11,15.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, Carlo Giovanardi, sugli orientamenti programmatici del Governo in materia di famiglia e di droga.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 143, comma, 2 del Regolamento, del sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, Carlo Giovanardi, sugli orientamenti programmatici del Governo in materia di famiglia e di droga.

CARLO GIOVANARDI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio. Signor presidente, cercherò di essere il più breve possibile, per dare spazio alle domande, anche se la materia, come è noto, è abbastanza complessa e articolata.
Per quanto riguarda l'argomento droga, sono facilitato dal fatto che, come la legge prevede, entro il 30 giugno è stato presentato al Parlamento il rapporto annuale sulle tossicodipendenze (Relazione annuale al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze in Italia), che è agli atti, all'interno del quale è contenuta la fotografia della situazione attuale della diffusione delle sostanze nel nostro Paese.
Come sapete, ho intitolato questo rapporto «La battaglia si può vincere», perché da un lato i dati sono certamente gravi (siamo in presenza di centinaia di migliaia di persone sono entrati nel circuito della dipendenza da cocaina, eroina, droghe sintetiche, cannabis), ma dall'altro lato è anche vero che, se guardiamo a questi dati da un altro punto di vista, i cronici per cocaina ed eroina in Italia ammontano allo 0,1 per cento della popolazione. Ciò vuol dire che il 99,9 per cento degli italiani non è dipendente cronico da queste sostanze.
La percentuale più alta si rileva per la cannabis, però anche lì andiamo su percentuali di consumatori intorno al 3-4 per cento. Il 96 per cento della popolazione non ne fa uso e quindi, quando sentiamo dire che nelle nostre scuole la sostanza dilaga fra tutti i nostri ragazzi, ciò non è vero. Più che una diffusione generale, esistono coloro che nella vita provano una volta lo spinello, ma sicuramente questo fenomeno è meno grave della dipendenza.
Si può dimostrare che - in altri Paesi già accade - seguendo le politiche raccomandate dalle Nazioni Unite e dalle convenzioni internazionali, con il congiunto impegno della scuola, della famiglia, delle istituzioni, delle società sportive, del pubblico e del privato sociale, il fenomeno può essere sicuramente ridotto, anche attraverso un'informazione corretta dei pericoli che possono derivare dall'uso delle droghe.
Tali pericoli sono confermati per quello che riguarda l'eroina e la cocaina, ma recenti acquisizioni nel Regno Unito, Stati Uniti e Australia hanno portato oggi i Governi a sottolineare come i principi


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attivi contenuti nella cannabis siano tali da causare danni irreversibili alla salute.
Riassumendo, specialmente i ragazzini che cominciano a usare droga a 12 o 13 anni arrivano a vent'anni con «i buchi nel cervello» o, per usare un termine più consono, con danni cerebrali irreversibili evidenziabili tramite una TAC (tomografia assiale computerizzata).
Questo è il quadro della situazione, all'interno del quale poniamo due «paletti» politici.
Il primo è la riconferma, come avviene a livello internazionale, che non esiste un diritto a drogarsi. L'uso delle sostanze è illecito e tale deve rimanere. Come è noto, confermiamo la scelta italiana, che non è quella adottata in Grecia, negli Stati Uniti o in Francia, dove non si distingue tra consumatori e spacciatori. Non è neppure quella adottata in certi Paesi dell'Africa o dell'Asia, dove addirittura c'è la pena di morte per gli spacciatori. La nostra scelta è di distinguere tra spaccio e consumo, considerando il tossicodipendente una vittima da recuperare e lo spacciatore, invece, un criminale da perseguire. Il consumatore, da noi, non viene colpito da sanzioni penali, bensì inserito in un circuito amministrativo teso al recupero.
In questa ottica, il secondo «paletto» è quello per cui le politiche di recupero del tossicodipendente, non importa di che tipo (del pubblico o del privato del sociale, laiche o cattoliche, con metadone o con la riduzione del danno, con la cristoterapia o con tutte le multiformi possibilità di approccio al problema) abbiano come finalità il recupero e non la cronicizzazione di quest'ultimo.
Quindi, niente «stanze del buco» o idee di questo genere, bensì politiche mirate al recupero del tossicodipendente, naturalmente d'intesa con le regioni, poiché nel nostro Paese nulla è semplice.
Stiamo ricostituendo presso la Presidenza del Consiglio dei ministri il dipartimento nazionale per le politiche antidroga, dotato di competenze che prima erano attribuite al welfare o alla sanità nazionali. Questi ultimi, tuttavia, non si fanno carico, ad esempio, della politica di spesa che rientra nelle competenze regionali. Come sapete, nel dibattito viene riportato sempre il problema che venti regioni significano venti politiche differenziate. Così, una regione paga un tot di retta alle comunità e altre il doppio o il triplo. C'è chi paga, chi non paga, chi destina questi fondi (che non sono finalizzati) al recupero dei tossicodipendenti, chi li utilizza diversamente. Si tratta di un problema costituzionale, poiché la Costituzione in vigore prevede tutto ciò.
Ci si può certamente mettere attorno a un tavolo, con le regioni, per vedere di realizzare politiche che abbiano un loro coordinamento e una loro finalizzazione, evitando sperequazioni sul territorio che, tante volte, sono incomprensibili. Infatti non si comprende perché, chi va in comunità in Emilia, in Piemonte o in Sicilia, debba ricevere, per esempio dal punto di vista del rimborso, trattamenti così diversi. Quindi, ritengo assolutamente necessario il rapporto con le regioni.
Assolutamente necessario ritengo anche il rapporto di collaborazione fra SERT (servizi per le tossicodipendenze) pubblico e privato sociale. In questo senso, la V conferenza nazionale sulle tossicodipendenze, che si svolgerà nei primi mesi del prossimo anno, sarà il banco di prova di un confronto a 360 gradi con tutti gli operatori del settore, anche per far fronte a un mercato ed a una realtà della droga che cambia continuamente. Una volta c'era il problema emergente dell'eroina, oggi è più urgente il problema della cocaina, come è noto, o delle nuove droghe. Approcci e interventi devono essere diversificati, si tratti di eroina oppure di cocaina.
Come ufficio nazionale, riprenderemo, dopo un monitoraggio, i tre progetti che avevamo fatto decollare due anni fa e che, nelle riunioni svoltesi nell'ambito della recente giornata mondiale dell'ONU, hanno trovato riscontri positivi. Il primo progetto riguarda la prevenzione in famiglia, da sviluppare anche negli oratori, nelle scuole pubbliche, nelle scuole private e presso le società sportive: un modo di incontrare la famiglia sul territorio e nella


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società per lavorare, assieme a queste agenzie educative, per coinvolgere le famiglie sulle tematiche delle droghe, sui pericoli che possono derivare dall'uso della droga.
Il secondo è un progetto speciale sulla cocaina, che interessa i SERT e strutture del privato sociale, molte volte in collaborazione, per un approccio particolare alla cocaina. Quest'ultima, come è noto, rappresenta un problema anche per i «quartieri alti», cioè per i professionisti e gli imprenditori. Non aggiungerò qui «per i parlamentari», poiché devo rispondere su questo a un'interrogazione parlamentare. Chiedo solo ai colleghi di leggere i giornali: negli ultimi due anni capiterà di trovare solo qualche notizia. Approfondiremo comunque la tematica, ma ho detto e ripeto che non esiste un fenomeno di diffusione della droga come si è voluto far credere attraverso iniziative come quelle portate avanti da Le Iene. Si è voluto criminalizzare l'intero Parlamento, facendo credere che un terzo dei parlamentari fa uso di droga. Ciò è assolutamente falso. Esiste invece un «problema cocaina», che purtroppo colpisce particolarmente imprenditori, professionisti e persone che hanno grandi responsabilità, con un doppio pericolo: i ricatti che possono derivare dal doversi approvvigionare di droga e il fatto che il cocainomane non è più in grado di ragionare e operare in maniera adeguata. Penso al chirurgo, al pilota di aereo, a tutti quelli che ho visto nelle comunità e che, a un certo punto, crollano. Non sempre si può reggere lo stress della cocaina, a parte i comportamenti devianti che questa dipendenza può comportare. È chiaro che il grande imprenditore ha qualche difficoltà ad andare al SERT, quindi occorrono strutture particolari e quel progetto proprio ad esse faceva riferimento.
Il terzo progetto, infine, riguarda il recupero in carcere, cioè in una sezione specializzata delle carceri, oppure a Castelfranco Emilia, dove riprenderemo lo sviluppo di una struttura carceraria modello che serva proprio a favorire il recupero precoce di chi, non potendo uscire dal carcere, avvia già da detenuto il meccanismo di recupero con il privato sociale. Quest'ultimo, una volta uscito dal carcere, gli consentirà poi di trovare un'occupazione e di reinserirsi totalmente nella società.
Si tratta di iniziative molto importanti. Abbiamo ribadito nell'ultimo provvedimento, presentando due emendamenti, la possibilità (anche con sentenze passate in giudicato, anche piuttosto gravi) di rimanere in comunità a completare il ciclo di recupero, senza essere trascinati in carcere quando la sentenza passa in giudicato (poiché così facendo si vanificherebbe tutta l'opera di recupero svolta nel frattempo).
Ribadisco anche la volontà di mantenere la struttura della legge approvata due anni fa, che fissa una soglia e considera quest'ultima un elemento importante di prova, ma non la presunzione assoluta di colpevolezza. È chiaro che quando un individuo viene trovato con quantità di principi attivi superiori alle soglie fissate, ciò costituisce un elemento che può indurre il giudice a pensare che si è in presenza più di uno spacciatore che di un consumatore. Tuttavia, questa ipotesi deve essere provata anche sulla base di altri elementi che sono stati introdotti nella legge, senza che vi siano automatismi tali per cui, avendo superato la soglia di principio attivo, automaticamente si consideri la persona uno spacciatore. Anche qui vale il buonsenso: se una persona tiene in tasca un pacchetto di sigarette, probabilmente è un fumatore; se sotto la giacca tiene legate con lo spago 20 stecche di sigarette, probabilmente non ne fa solo un uso personale ed è un contrabbandiere!
L'introduzione della soglia è stata molto apprezzata. Libri di magistrati autorevoli spiegano come in questi due anni, sia per la polizia, sia per i carabinieri e gli altri operatori, la soglia sia servita come orientamento e indirizzo per compiere un primo discrimine tra potenziale spaccio e semplice consumo. Abbiamo poi, naturalmente, la riconferma di tutte le politiche volte a distinguere tra bande criminali e grandi spacciatori dal tossico piccolo spacciatore. Sussiste la possibilità, alternativa


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al carcere, di svolgere lavori di pubblica utilità: richiamo le sentenze di Milano che hanno condannato alcuni consumatori piccoli spacciatori ad andare ad assistere i barboni, la notte, alla stazione centrale di Milano.
Questi sono, in sintesi, gli indirizzi per quanto riguarda la tossicodipendenza.
Vengo al tema della famiglia, facendo una premessa: la politica che illustrerò deriva dal programma di Governo e da quanto l'attuale maggioranza ha sostenuto in campagna elettorale. La famiglia che riteniamo titolare principale delle politiche familiari è quella prevista dalla Costituzione laica e repubblicana: una società naturale fondata sul matrimonio. Questo intendiamo essere il soggetto principale delle politiche che riguardano la famiglia.
In un'accezione più vasta, è chiaro che tutti i 58 milioni di italiani, i single o coloro che vivono nelle più disparate combinazioni, potrebbero intendersi come famiglie in senso lato. Ma così tutto diventerebbe famiglia e qualunque misura riguarderebbe qualsiasi nucleo di persone.
Ebbene, fra «persone» e «famiglia» sussiste proprio il discrimine sopra enunciato, che deriva da un impegno preso pubblicamente.
Chi si sposa in municipio o in chiesa, chi è divorziato e si risposa, in qualche modo accetta pubblicamente un contesto di diritti e di doveri, diventando interlocutore del pubblico. Il che non vuol dire che i diritti individuali, ovunque vengano praticati e esercitati, non vadano totalmente tutelati. Quindi tutte le discriminazioni, o tutti i momenti nei quali chi ha orientamenti diversi (per esempio sessuali) ritiene di essere discriminato, debbono essere rimossi. La collega Carfagna, Ministro per le pari opportunità, deve collaborare a rimuovere le eventuali discriminazioni esistenti rispetto a queste situazioni.
Penso che, in questa legislatura, tutto il dibattito ideologico che è avvenuto sui DICO (diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi) e sulla famiglia verrà accantonato, anche perché - l'ho già ammesso e ripetuto anche in Parlamento, rispondendo a un'interrogazione dell'onorevole Volontè, che si è meravigliato, così come l'ex Ministro Bindi addirittura era convinta che mi fossi sbagliato nel rendere una dichiarazione dello stesso tenore - al di là di tutti dibattiti ideologici che sono avvenuti, sono state portate avanti anche politiche vere, concrete e sostanziali, che riguardano la famiglia e che sono, in gran parte, apprezzabili.
Naturalmente, adesso vi elencherò anche le criticità che ho incontrato rispetto all'attuazione di queste politiche, la prima delle quali è rappresentata, come sempre, dalla farraginosità del nostro sistema, per cui esisteva in passato un Ministero delle politiche per la famiglia, oggi esiste un sottosegretario con delega alla famiglia, ma in realtà le politiche familiari sono delle regioni, non dello Stato centrale e del Ministro. Si è sempre su un confine molto labile: se, per esempio, il Parlamento e il Governo decidono di finalizzare fondi per certe politiche familiari, la Corte costituzionale sentenzia, naturalmente con le regioni che lo impongono, che non si può fare. Possiamo solo metterci a sedere attorno a un tavolo e, insieme alle regioni, erogare gli stanziamenti che vengono poi gestiti da queste ultime.
Nasce qui un sistema abbastanza complicato per il monitoraggio, poiché si riscontra una notevole difficoltà a capire che cosa succede rispetto alle politiche. Faccio subito un esempio, anche se voi siete membri della Commissione e quindi, da tecnici, ne sapete più di me. Mi riferisco allo stanziamento nell'ambito delle politiche della famiglia. Si tratta di circa 100 milioni di euro e viene chiamato «la triplice» perché riguarda tre interventi: le politiche tariffarie, i consultori familiari e l'intesa per la qualificazione del lavoro degli assistenti familiari. È stata poi aggiunta una quarta misura: si tratta di 25 milioni di euro per il rientro e la permanenza in famiglia di anziani non autosufficienti.
Queste quattro politiche, però, sono mediate dalle regioni, nel senso che, sulla base del limite posto, per ognuna delle tre politiche - alle quali si aggiunge quella


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per i non autosufficienti - le regioni devono fornire almeno il 20 per cento dei fondi. Certe regioni hanno ottenuto la deroga e hanno potuto limitare il proprio contributo, per una data politica, all'8 per cento, quindi ancor meno del 20 per cento.
Ci sono state regioni che hanno enfatizzato le politiche tariffarie, altre i consultori, altre ancora le politiche per gli assistenti familiari. Complicazione nella complicazione, nelle politiche tariffarie alcune regioni hanno fatto ciò che, personalmente, ritenevo la cosa più giusta: da quattro figli in su hanno erogato contributi per abbattere la spesa del gas, della luce e dei rifiuti solidi urbani. Le famiglie numerose, infatti, giustamente lamentano non solo di non godere di agevolazioni tariffarie, ma anche di pagare di più in quanto consumano di più.
Dal momento, però, che nella legge è scritto che si possono erogare anche ulteriori servizi, altre regioni hanno finanziato progetti pilota solo per una parte del territorio, solo per alcuni comuni, estendendo il sostegno anche alle società sportive, ai biglietti di ingresso in vari luoghi, portandolo insomma a un livello molto più ambizioso di intervento a 360 gradi, limitatamente però - ripeto - ad esperimenti pilota. Così vedo che alcune regioni hanno preso quindici comuni pilota per estendere queste politiche a tutta una serie di interventi che, a questo punto, non riguardano solo le tariffe, ma diventano molto più estesi e più vasti. Ebbene, il problema che pongo e sul quale voglio intervenire con le regioni, è l'istituzione di un sistema di monitoraggio complessivo.
Il piano per la famiglia, che era in via di elaborazione da parte dell'osservatorio (anche qui abbiamo una bella complicazione: orientarsi tra i vari osservatori e le commissioni che lavorano sulla famiglia), pone in sostanza il problema che non esiste alcuna azione politica che non abbia riflessi e ricadute sulle condizioni di vita delle famiglie, sia che si parli di politiche fiscali, di quelle del lavoro e previdenziali, dei prezzi e delle tariffe, delle politiche sanitarie, abitative, dell'immigrazione, della sicurezza o della giustizia.
Però non esiste uno strumento che riesca a prevedere, prima della loro messa in atto, quale impatto avranno queste misure sulle famiglie stesse.
Esiste una serie di interventi, ma non abbiamo il quadro di come questi interventi funzionano sulle famiglie, specialmente sulle famiglie con più figli; attualmente non esiste lo strumento.
Il piano di azione per la famiglia dovrebbe proprio farsi carico di questo. Esiste una bozza di piano preparata dal professor Donati, ma si tratta di un lavoro che deve essere portato avanti.
Riguardo alle politiche di conciliazione del lavoro e della cura della famiglia, il problema è condiviso con il Ministero per le pari opportunità e riguarda le donne che lavorano e che, avendo dei figli, si trovano in condizione di difficoltà quando devono riprendere la propria attività lavorativa. Esiste il problema degli asili nido: il piano straordinario, seguendo Lisbona e le indicazioni dell'Unione europea, dovrebbe portare entro il 2010 a una copertura territoriale del 33 per cento. È stata stipulata un'intesa, in sede di conferenza unificata con province e regioni, alle quali vanno liquidati i fondi per gli asili nido, ma sussistono due problemi, il primo dei quali è la costruzione di nuovi asili nido per arrivare al 33 per cento e il secondo concerne la gestione degli asili nido stessi. I fondi, infatti, sono finalizzati alla costruzione di asili nido che, però, una volta costruiti devono essere anche gestiti, da cui deriva la necessità di reperire le relative risorse.
Anche qui, il problema è la conduzione di un'attività di monitoraggio, per verificare sul territorio a che punto siamo con la costruzione (nel pubblico e anche in collaborazione con il privato), con le singole regioni che si fanno carico, poi, dell'attuazione di questo programma che viene inserito nel piano d'azione per la famiglia.
Qui devo ammettere che le cose risultano piuttosto complesse, poiché abbiamo attualmente un osservatorio nazionale per l'infanzia e l'adolescenza, piuttosto poderoso come numero di componenti, tanto è


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vero che è suddiviso in sette sottocommissioni che lavorano su altrettanti temi specifici. Questo osservatorio nazionale è collegato con il centro nazionale di documentazione e analisi per l'infanzia e l'adolescenza, che sostanzialmente funge da comitato tecnico scientifico, il cui presidente è il consigliere Occhiogrosso, e che annovera anche un coordinatore delle attività scientifiche.
Ebbene, ambedue questi organismi, l'osservatorio e il centro, hanno poi come braccio operativo l'Istituto degli innocenti di Firenze, che sostanzialmente porta avanti le ricerche.
Esiste inoltre l'osservatorio nazionale sulla famiglia, che ha durata triennale. Inizialmente aveva sede a Bologna, adesso sono state istituite due sedi decentrate, a Bari e a Roma, con assemblee e comitati di coordinamento, consigli e quant'altro. Si tratta di un centro che ho trovato già in essere e chiedo il parere dei colleghi, poiché una tale tripartizione non mi convince molto. Abbiamo un osservatorio nazionale sulla famiglia che deve lavorare su tre sedi e con tre logiche diverse, mentre forse sarebbe stato sufficiente un solo centro come quello di Bologna, magari da potenziare.
Questo osservatorio nazionale sulla famiglia deve preparare il piano nazionale della famiglia, così come l'osservatorio nazionale per l'infanzia e l'adolescenza deve, da un lato, fornire il materiale per la compilazione di un rapporto all'ONU sullo stato dell'infanzia e dell'adolescenza nel nostro Paese, e dall'altro lato deve redigere un piano per l'infanzia e l'adolescenza.
Ho letto inoltre di alcune iniziative a livello parlamentare, tramite le quali qualche collega propone l'istituzione un Ministero per l'infanzia.
Devo dire che questo spezzettamento di competenze, per cui si divide la famiglia o i giovani a seconda della fascia di età e ognuno si interessa di una sola di queste fasce, mi convince fino a un certo punto. Tutti questi organismi hanno logiche non sempre fra loro collegate. Vedo che di studi se ne fanno moltissimi, ma poi dagli studi bisognerebbe passare anche alle politiche concrete.
Ho qui una lista di ben sedici commissioni governative, in cui il sottosegretario con delega alla famiglia deve nominare esperti sulla questione demografica, sulla discriminazione e l'antisemitismo, sulla prevenzione dell'obesità, sull'imprenditoria femminile, sull'informazione statistica, sui livelli essenziali di assistenza, sulla prevenzione di malattie croniche, sul sostegno delle vittime e quant'altro. Insomma, si tratta di un quadro abbastanza complesso e lo diventa ancor di più se lo rapportiamo anche alle regioni e alle province.
Penso che un riordino e una riflessione complessiva, forse, vadano compiuti per ricavare un quadro più unitario degli impegni, che hanno poi un solo soggetto: la famiglia. Anche se la spezzettiamo e la guardiamo da più punti di vista, si tratta comunque di un soggetto unitario.
In questo contesto, è d'attualità il problema - lo leggo anche oggi sui giornali - delle adozioni e soprattutto delle adozioni internazionali. Si tratta di un altro problema molto serio, per la domanda di adozioni che si rileva nel nostro Paese, per la complessità delle procedure che riguardano i tribunali dei minorenni, gli assistenti sociali nonché - cosa che ho appreso approfondendo l'argomento - per una sempre maggiore severità dei Paesi da cui vengono i bambini adottati. Questi Paesi hanno alcune pretese che ci appaiono abbastanza incongrue, ma che dal loro punto di vista sono importanti. Per esempio, una semplificazione delle procedure riguardanti il tribunale dei minorenni e gli assistenti sociali si scontra con la volontà di questi Paesi affinché invece le procedure siano piuttosto complesse e approfondite. La permanenza all'estero, in alcuni Paesi, delle coppie adottanti perché siano presenti e seguano il bambino è richiesta da questi Paesi che altrimenti, se non c'è questo tipo di presenza, non concedono il bambino in adozione.
Ci sono Paesi come l'India, in cui con una cifra abbastanza limitata, anche per il volontariato delle suore di madre Teresa


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di Calcutta, si può adottare un bambino, mentre in altri Paesi le spese aumentano di gran lunga.
È stato approvato un provvedimento utile per concedere un contributo di 1200-1300 euro a tutte le coppie adottanti, anche a quelle che non sono arrivate all'adozione, tale da coprire più o meno i costi dell'adozione nazionale. Esiste anche una richiesta per la copertura dei costi di tutte le adozioni internazionali, sulla quale però bisogna aprire una riflessione. È vero, infatti, che sono le coppie che hanno un tenore di vita medio alto quelle che, alla fine, accedono all'adozione internazionale. È anche vero che, però, per accedere alle adozioni internazionali occorrono condizioni di stabilità familiare e di reddito tali da garantire che il bambino poi - i Paesi terzi sono sempre più severi da questo punto di vista - abbia un'accoglienza in una famiglia in grado di mantenerlo. Insomma, riguardando la questione molte coppie che hanno un reddito medio alto, il fatto che lo Stato si faccia interamente carico delle spese rappresenta una problematica da situare al giusto livello di priorità. Se ci fossero fondi, tante cose sarebbero da fare. Purtroppo, naturalmente, bisognerà fare anche delle scelte.
Sul problema dei minori esistono progetti, governativi e parlamentari, sull'istituzione di un garante per l'infanzia. C'è in campo la riforma del tribunale dei minori, per arrivare verso la formazione di un tribunale della famiglia.
Riterrei opportuno aprire una riflessione a livello parlamentare sulla funzione dei garanti: che cos'è il garante, che cosa deve fare, con quali strutture, con quale tipo di intervento. Abbiamo avuto una moltiplicazione di organi di garanzia, ma in questo caso abbiamo anche il tribunale dei minorenni. Bisogna individuare gli ambiti di intervento e i poteri pratici da conferire al garante. Ho visto ad esempio che l'authority sulla corruzione sta finendo mestamente la sua funzione perché, sostanzialmente, l'attività che doveva svolgere non ha trovato riscontro nella realtà. Su argomenti del genere credo che sia assolutamente necessario svolgere una riflessione governativa, ma anche in Parlamento.
Vengo adesso a quello che forse è il problema più importante, ma che non è di mia competenza. Vi ho parlato di temi che sono tutti di diretta competenza di una politica per la famiglia. Poi, però, esistono anche le competenze di cui ha parlato ieri il Ministro Tremonti e che sono quelle, più vaste, di una politica fiscale che coinvolge la famiglia.
Prendo atto con soddisfazione che il Ministro Tremonti, ieri, ha ribadito in un'autorevole sede parlamentare un'attenzione particolare per le politiche familiari.
Ribadisco - l'ho dichiarato ieri anche al forum delle famiglie - che siamo orientati verso una politica di deduzioni fiscali. Aderiamo quindi all'indicazione giunta attraverso la raccolta di un milione e più di firme, per andare in questa direzione e per arrivare poi, col tempo e con le risorse necessarie, al quoziente familiare.
Riconosciamo così - in teoria è come scoprire l'acqua calda, in pratica è più difficile da realizzare - che questo è un Paese che muore di denatalità, di invecchiamento della popolazione, di un flusso migratorio talmente massiccio che rende difficile l'integrazione, nel momento in cui non c'è più una società italiana in cui gli extracomunitari possano integrarsi. Ho ricordato più volte e lo ripeto anche qua, che nelle scuole della mia città l'82 per cento dei bambini è extracomunitario, mentre il 12 per cento è modenese. Ebbene, è difficile che il 12 per cento integri l'82 per cento.
Abbiamo situazioni già di questo tipo, ma comunque sappiamo tutti che il 5, 10, 15 o 20 per cento dei bambini nelle scuole elementari è extracomunitario.
Anche il laicissimo Piero Angela, nel suo ultimo libro su questo aspetto demografico, ha fatto presente che si tratta di una progressione geometrica e che, se il trend è questo, in due o tre generazioni si estinguono gli italiani. Ne va della continuità di un modo di essere e di vivere, di una qualità della vita, di una concezione del rapporto con la donna e quant'altro.


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È assolutamente importante che le politiche fiscali riconoscano che l'avere figli non è soltanto una questione privata, bensì un fatto di grande rilievo sociale per il futuro del nostro Paese.
Auspico che, di qui alla finanziaria e alle scelte concrete, si incomincino a fare i primi passi concreti in questa direzione.
Da rappresentante del Governo ci tengo a evidenziare che alcune misure, come ad esempio l'esenzione dell'ICI sulla prima casa, indirettamente riguardano la famiglia, al pari della rinegoziazione dei mutui per la prima casa nonché del piano casa che è stato inserito nell'articolo 11 del decreto-legge n. 112 per i nuclei familiari a basso reddito, argomenti molto sentiti dalle giovani coppie. Chiaramente, affinché questo piano casa che già è stato scritto diventi effettivo, esso deve sostanziarsi in appoggi finanziari. Ricordo anche gli interventi sui libri scolastici e la stessa card per gli anziani, che è stata oggetto molte volte di ironie. Rammento a chi mi ascolta, peraltro, Le Ceneri di Angela, il famoso libro irlandese che potrebbe essere riportato anche alla situazione in Italia. Nella seconda parte della mia relazione dedicata alle dipendenze ho messo l'alcol e il gioco, per distinguerlo dalle tossicodipendenze indicate come tali dalle Nazioni Unite. Il lambrusco non è l'eroina e, inoltre, l'abuso è cosa diversa dall'uso. Tuttavia, nelle dipendenze da gioco cadono anche persone che, purtroppo, si giocano tutto. Dando loro direttamente dei soldi, magari si giocano anche quelli e portano alla disperazione la famiglia. In quanto idea equivalente a una sorta di spalliera di sicurezza per gli anziani, tale per cui si possono acquistare generi alimentari come ultima riserva per arrivare a far fronte a necessità impellenti, questa della card rappresenta comunque una misura che viene sicuramente incontro alle situazioni più disagiate.
Questo mi sembra, molto sommariamente, il quadro della situazione per quanto riguarda le mie competenze.
Visto che sono in Parlamento da quattordici anni, con vari ruoli, e che sono sempre stato un parlamentarista convinto, la mia idea è quella di sviluppare un dialogo con la maggioranza e con l'opposizione, sapendo che sia le buone, sia le cattive idee possono arrivare da tutte le parti, facendo in modo che il Parlamento, per quanto possibile, bocci le cattive idee e promuova quelle buone.

PRESIDENTE. Ringrazio il sottosegretario Giovanardi, per la sua relazione che ha toccato, evidentemente, i punti più importanti del suo mandato: la droga, la denatalità, la crisi demografica. Forse mi aspettavo che dicesse qualche cosa anche sui consultori familiari, che mi sembra facciano parte proprio della stessa delega...

CARLO GIOVANARDI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio. Fanno parte della «triplice» e ne ho accennato. Anche qui riscontro qualche difficoltà, poiché a fronte dell'indirizzo di utilizzare fondi in ognuna delle tre direzioni, quindi anche per i consultori familiari, questi ultimi dipendono però dalle regioni.

PRESIDENTE. Sì, abbiamo questo problema. In questa Commissione spesso esiste il contrasto, chiamiamolo di legislazione concorrente, tra ciò che qui si decide e ciò che viene recepito e gestito, sia per quanto riguarda la salute e la sanità, sia anche per quanto riguarda il sociale a livello regionale.

CARLO GIOVANARDI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio. Qualche volta in politica succede - cerco di dirlo molto semplicemente - che ciascuno abbia l'esigenza di mettersi il pennacchio per mostrare di aver realizzato qualcosa. Il problema vero, in realtà, consiste nella possibilità di farle, le cose. Se infatti il Parlamento, o il Governo, intendono mostrare di voler agire per la famiglia, ma poi distribuiscono le risorse a disposizione ad altri in grado di decidere, alla fine non possono mostrare di aver fatto alcunché. Possono dire di avere partecipato, ma per nulla. Ci addentriamo ora in un problema


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più vasto di quello riguardante le politiche familiari. Quando finalmente, a regime, il nostro sistema istituzionale avrà ben chiaro quali siano le funzioni del Governo centrale e quali quelle delle regioni, con i rispettivi ambiti di autonomia e competenze, forse si potrà ragionare in modo più compiuto.

PRESIDENTE. Probabilmente la situazione ancora non è matura.

CARLO GIOVANARDI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio. Non è ancora matura; abbiamo materie concorrenti, per cui rileviamo sempre ambiti di grande incertezza riguardo alla realizzazione delle cose.

PRESIDENTE. In ogni caso la ringrazio per la relazione.
Do ora la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

ANNA MARGHERITA MIOTTO. Signor presidente, poiché avremo l'opportunità di sentire in audizione anche altri ministri, le faccio presente che questa è la seconda occasione nella quale i rappresentanti del Governo non vengono con un documento scritto. Le chiedo, per le prossime audizioni, di far presente quest'opportunità, poiché penso che queste audizioni non rappresentino un fatto formale, bensì l'impegno che il Governo...

PRESIDENTE. Chiedo scusa, ma c'è il resoconto stenografico.

CARLO GIOVANARDI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio. Si chiama «Parlamento»...

PRESIDENTE. Il Governo può parlare come vuole. Se poi vuol lasciare un testo scritto, per carità, è ancora meglio. Comunque, rimane il resoconto stenografico e la registrazione. Non possiamo obbligare il sottosegretario a lasciare un testo.

CARLO GIOVANARDI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio. Quello che ho detto, l'ho detto in maniera formale ed è registrato.

ANNA MARGHERITA MIOTTO. Nelle mie parole non c'è nessun obbligo, presidente: le ho rivolto un invito. Constato che è la seconda audizione che avviene attraverso questa modalità un po' informale, che ovviamente lascia spazio a valutazioni che hanno a che fare più con i programmi descritti in campagna elettorale, meno con il programma di Governo.

PRESIDENTE. Non si tratta di una modalità informale. È una cosa che si può fare, poi ognuno...

ANNA MARGHERITA MIOTTO. Certo, ognuno si regola come crede. È una questione di rispetto dei membri della Commissione. Nella legislatura precedente, i ministri si sono presentati con relazioni scritte.

PRESIDENTE. Non c'entra. Questo, secondo il Regolamento, non è prescritto.

ANNA MARGHERITA MIOTTO. Assolutamente si!

PRESIDENTE. No! Non è scritto che si debba lasciare la relazione scritta.

ANNA MARGHERITA MIOTTO. Mi scusi, presidente: intendevo dire che è vero che non è prescritto. Non è prescritto, ma le rivolgo un invito e una sollecitazione, facendo notare le differenze.

PRESIDENTE. Lasciamo questa polemica. Personalmente preferisco che parlino a braccio e che non leggano la relazione che hanno scritto o che qualcuno ha scritto per loro.

ANNA MARGHERITA MIOTTO. Penso che abbiano uguale legittimità - per fortuna - le richieste che provengono anche da altri componenti di questa Commissione. Converrà che esiste una differenza


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sostanziale, in questo modo di presentarsi del Governo alle Commissioni, rispetto al Governo precedente. Me lo lasci dire, perché così è.
Ho colto, dalle dichiarazioni del sottosegretario, frequenti richiami ai problemi di natura tecnico organizzativa e gestionale.
Rappresentano altrettanti problemi la conciliazione, gli asili nido, la triplice dell'accordo fatto con le regioni su tariffe, consultori e badanti, la gestione degli osservatori, le adozioni.
Sottosegretario, il problema è rappresentato dagli anni di ritardi nelle politiche a sostegno della famiglia, che hanno visto, con un'iniziativa del precedente Governo, avviare un'inversione di tendenza. Non tutto, certamente, è chiaro, poiché manca il piano.
Non per caso, lei è arrivato trovando una bozza di piano e io penso che esso (o un piano ancora più efficace) rappresenti lo strumento più importante per raccogliere le politiche a sostegno della famiglia che - le - segnalo, hanno trovato un appuntamento significativo nella conferenza nazionale che si è celebrata a Firenze.
In 18 mesi sono state fatte molte cose, compresa la conferenza nazionale, dagli atti della quale si possono trarre utili indicazioni per predisporre appunto un piano di azione che orienti le politiche. Mi aspetto che lei non esprima rammarico, come ha qui fatto, sulla differenziazione dei poteri e quindi la difficoltà di misurare le ricadute delle politiche che si mettono in campo e che si finanziano dal livello centrale.
È autonomia delle regioni e poi degli enti locali, in base alla Costituzione, organizzare sul territorio, sulla base dei propri piani e dei propri strumenti di programmazione, i servizi che consentono di sostenere le famiglie. Ora, è evidente che ci sono alcune innovazioni che meritano di essere continuate nel tempo, sperimentazioni che mi auguro lei continuerà a sostenere. Non ho sentito alcun riferimento agli impegni su questo piano, non li ho colti nella sua relazione.
Faccio alcuni esempi. Le tariffe: sappiamo tutti come l'indicazione costituzionale dell'attenzione che si deve avere per le famiglie numerose non possa che trovare attuazione in alcune innovazioni a livello locale, una diversa dall'altra, almeno fintanto che non esisterà un livello nazionale, un livello essenziale di assistenza. Finché non sarà istituito un LEF (come era previsto), un livello essenziale per la famiglia, all'interno dei livelli essenziali di assistenza, è evidente che sarà più difficile garantire in maniera universalistica un intervento a sostegno di tutte le famiglie numerose.
Allora, sarà utile il confronto (quindi il monitoraggio è essenziale) tra tutte le iniziative che le regioni avranno finanziato in questo periodo, per arrivare al livello essenziale sulla famiglia che costituisce, secondo me, una delle grandi innovazioni per un moderno welfare al quale tutti, credo, possiamo tendere come obiettivo.
Per gli asili nido, invece, un livello essenziale in qualche misura lo si è già individuato: si tratta, per ora, dell'obiettivo di Lisbona, come lei ha detto. Gli asili nido meritano una grande attenzione, poiché, accanto alle spese per investimenti, ora bisogna cominciare a pensare anche a un intervento di natura economica per sostenere le rette. Mi riferisco a un trasferimento aggiuntivo alle regioni, immagino, attraverso lo strumento che è a disposizione, rappresentato dal fondo creato dalla legge n. 328 del 2000, con conseguente aumento del fondo sociale. Qui non mancano gli strumenti, per cui va colta questa opportunità.
Ho colto poi un'ulteriore preoccupazione sulla presenza degli osservatori. In un momento in cui ci accorgiamo di scontare un grande ritardo, nel nostro Paese, riguardo alle politiche a sostegno delle famiglie, ritengo che sia utile creare una struttura agile a livello centrale, ma anche dei luoghi ove si confrontano i saperi: ecco lo strumento dell'osservatorio. Poche collaborazioni con enti e strutture di ricerca che già sono presenti sul territorio (università, istituti di ricerca) e che forniscano al legislatore strumenti per poter


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bene orientare la legislazione. Tale è lo scopo prevalente degli osservatori, luoghi nei quali le autonomie locali si confrontano, mettono insieme le buone pratiche e le pubblicizzano. Molte cose belle che si fanno sul territorio, infatti, potrebbero essere estese a livello nazionale.
Tutto ciò contribuisce a diffondere una nuova cultura politica di attenzione alla famiglia. Di questo c'è molto bisogno, oltre naturalmente agli interventi di natura economica.
Mi lasci dire, inoltre, che ho trovato una sottovalutazione del grande tema della conciliazione. L'ho sentito citare, ma non ho sentito proposte al riguardo, né, peraltro, ha indicato nel concreto quali sarebbero le criticità.
Sicuramente - non voglio polemizzare, la prego di credermi - un testo scritto avrebbe chiarito quali sono i problemi a proposito della conciliazione.
Sul punto ho una opinione diversa: non si può contrastare la preoccupante denatalità solamente pensando alla riforma del fisco, cioè attribuendo di fatto il fenomeno della denatalità a una questione di natura economica. Come tutti sanno e come insegnano le esperienze anche in Italia, ma soprattutto le esperienze straniere, i problemi della denatalità si affrontano attraverso un mix di servizi, trasferimenti economici e politiche di conciliazione. Gli uni, rispetto alle altre, creano nuovi problemi. Serve questo mix per una politica moderna che sostenga la natalità e, pertanto, le politiche di conciliazione sono essenziali.
Qui incrociamo, diciamolo pure, una rigidità inaccettabile che oggi si rileva all'interno dell'impresa. I pochi (lo sono oggettivamente, rispetto alle necessità) progetti finanziati con la legge n. 53 del 2000 evidenziano, tutti, esperienze eccellenti. Debbono costituire, però, prototipi in grado di generare cambiamenti nella normativa. Debbono diventare, cioè, prassi possibilmente generalizzata.
Vuol dire cambiare l'organizzazione del lavoro, vuol dire consentire che le donne non siano messe di fronte alla drammatica scelta tra una maternità, una nuova maternità e il lavoro.
Da questo punto di vista, le politiche di conciliazione rappresentano una delle aree di intervento, nella delega che le è stata affidata, credo di maggiore rilievo.
Qui servono innovazioni, che erano già presenti in Parlamento al momento del suo scioglimento, che erano maturate proprio nella Conferenza nazionale della famiglia di Firenze e che non ho visto riprese dai testi dei decreti, pur numerosi, che sono stati varati dal Governo in queste settimane.
Evidentemente non rappresentano una priorità, laddove invece penso che la rappresentino.
Il tema della denatalità è uno dei grandi temi che dovrebbero essere all'attenzione di un Governo che ha posto la famiglia, spero non solo come un manifesto elettorale, al centro delle proprie strategie.
Anche su questo mi auguro che in fase di replica lei ci possa fornire indicazioni concrete di impegni e iniziative concrete che vorrà assumere nel prosieguo della sua attività, per la quale le faccio naturalmente molti auguri.

CARLO GIOVANARDI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Sono debitore di una risposta: questo si chiama Parlamento e non «leggimento», come ebbe a dire un autorevole Presidente della Camera. Per rispetto ai colleghi, non vengo a leggere un testo che, magari, mi ha preparato un funzionario.
La mia relazione sarà pur modesta, ma vengo a dire cose che so, che ho letto, che ho fatto mie e che vengo ad illustrare alla Commissione.
Ritengo questa una forma di rispetto del Parlamento. E lo considero molto più rispettoso nei confronti dei colleghi piuttosto che venire qua a leggere qualcosa che può essere farina del sacco di chi lo legge, ma anche preparato da qualche funzionario.


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ANNA MARGHERITA MIOTTO. È un giudizio sui suoi predecessori che non accetto, oltretutto sgradevole.

CARLO CICCIOLI. Signor presidente, chiederei di poter parlare, per un impegno successivo.

PRESIDENTE. È iscritta prima l'onorevole Turco, alla quale devo chiedere se intenda cederle la parola.

LIVIA TURCO. La cedo volentieri, anche se alle 12,30 ho anch'io un altro impegno.
Mi consenta solo un'osservazione ai colleghi della maggioranza: almeno quando vengono i ministri e i sottosegretari dovreste garantire il numero legale. Anche oggi siamo in un'imbarazzante maggioranza, rispetto a voi. Non è un dettaglio, a proposito di rispetto del Parlamento.

CARLO CICCIOLI. Ringrazio l'onorevole Turco di questa cortesia e cercherò di essere più breve possibile. Tuttavia mi sento di dire (sono, malgrado la seconda legislatura, abbastanza inesperto) che il numero legale si chiede quando avvengono le votazioni, altrimenti si dà per presunto.

LIVIA TURCO. Il problema sostanziale è che qui siamo ad ascoltare un ministro. La Commissione è per eccellenza luogo di confronto e di dialogo, in cui si entra nel merito. Disertate sempre queste occasioni di dialogo e di confronto nel merito e non vi presentate neppure quando ci sono i vostri ministri e sottosegretari. Questo è un dato di sostanza!

PRESIDENTE. Questa è una osservazione che lei fa e che, per carità, si accetta. Altra cosa è il numero legale dal punto di vista del Regolamento. Evitiamo, vi prego, queste polemiche e restiamo nell'argomento in discussione.

CARLO CICCIOLI. Ci sono due aspetti distinti: uno è il numero legale, l'altro è l'osservazione politica.

PRESIDENTE. Onorevole Ciccioli, la prego. Se entriamo sempre in questo tipo di discussioni, andrà a finire che in questa Commissione faremo polemica e non faremo sostanza.

CARLO CICCIOLI. Io spero che si riesca a dare più spazio alla capacità del fare piuttosto che alla capacità del dire. Io mi sento di dare un contributo, al di là delle polemiche - che poi ovviamente esistono, oggettivamente ognuno fa la propria parte - portando qui un pezzo della mia esperienza professionale. Per tre anni ho fatto il primario di un servizio di tossicodipendenza e quindi penso, sul campo che ha rappresentato l'ambito di quindici anni di vita professionale, di poter fornire qualche contributo.
Per prima cosa, signor Ministro, bisogna riuscire a non emanare grida manzoniane. Ricordo la legge Giovanardi-Fini, dell'ultimo scorcio della precedente legislatura che si concluse nel 2006, come una delle leggi che furono assolutamente disattese dalle regioni e dalle ASL. Bisogna mettere in piedi un sistema di norme che siano poi obbligatorie per regioni e ASL, con un sistema di controlli che declinino le leggi stesse. Diversamente, facciamo leggi che non vengono tradotte in comportamenti corrispondenti. Si tratta di un dato, secondo me, fondamentale per la prossima fase di contrasto al consumo di sostanze stupefacenti.
Dobbiamo spingere sul sistema del pregiudizio, non ovviamente verso i consumatori e i tossici, bensì verso i comportamenti. Non tanto puntare su un sistema di informazione (talvolta l'informazione è veicolo addirittura di formazione, non voglio dire di induzione, all'uso di sostanze e questo è accaduto, in una certa fase, nelle scuole), quanto su un sistema di pregiudizio che comporti la prevenzione all'uso. È ben vero che i cronici, per fortuna, nella nostra società sono lo 0,1 per cento per cocaina ed eroina, un po' di più (3-4 per cento) per la cannabis, però è altrettanto vero che ormai esiste una fascia significativa di consumatori abituali discontinui. Sembra contraddittorio nei


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termini: sono consumatori discontinui perché non sono abituali, ma sono abitualmente discontinui. Si tratta di un esercito notevole. Quindi, bisogna intervenire, secondo me, anche in questa fascia.
Sono totalmente d'accordo con la linea del Ministro di andare verso un recupero che sia ubiquitario e contro la cronicizzazione. Ciò significa cercare di mettere in campo, il prima possibile, linee guida contro l'uso per cronicizzazione del metadone nelle strutture pubbliche. Si tratta di un fenomeno, purtroppo, ovunque confermato. Parto dalle mie esperienze personali: in una certa fase degli anni precedenti si è dato il metadone come giustamente deve essere usato, cioè una risorsa per la disintossicazione. Poi, di fatto, la maggior parte delle strutture pubbliche utilizzano il metadone a mantenimento, come politica di riduzione del danno e di cura, essendo in condizioni di impotenza rispetto ad altri progetti terapeutici. Ciò deve essere contrastato con un'azione che introduca una discontinuità.
Confermiamo che drogarsi non è lecito ed è reato, dando poi luogo, ovviamente, a una sanzione amministrativa o quant'altro. Su questo l'intelligenza e anche il pragmatismo portano a fare valutazioni diverse. Però, va contrastata la linea della somministrazione ubiquitaria del metadone.
Un altro aspetto che va affrontato è quello che oggi viene fotografato con la cosiddetta doppia diagnosi. Oggi, la maggioranza assoluta degli utenti giovani che si recano nei servizi vengono definiti «a doppia diagnosi». Da una parte c'è il consumo continuativo o discontinuo di sostanze, dall'altra parte condotta abnorme o disturbi psichici non particolarmente gravi, disturbi del comportamento, talvolta disturbi reattivi del pensiero più significativo.
La doppia diagnosi è dovuta al fatto che, essendosi abbassata di molto l'età in cui si fa uso di sostanze soprattutto psicostimolanti (pasticche, cocaina, cannabis di nuova generazione, quindi molto più potente) nelle fasce giovanili, abbiamo il fenomeno per cui non si forma più una matrice psichica nell'adolescenza e si rilevano immediatamente aspetti di psicopatologia.
Si tratta di un punto critico molto importante, in cui si distinguono tre fasi: una fase dell'assunzione silente, che la famiglia non registra, una fase dell'assunzione evidente e poi una fase successiva dei comportamenti tossicomanici.
È evidente che qui si situa un punto critico, molto importante, nella capacità di prevenzione e recupero. Parlo di una fase adolescenziale e giovanile, di giovani di 18-19 anni.
Sussiste il problema di come intervenire, poiché generalmente la risposta del giovane in famiglia è la seguente: ho 18 anni e faccio quello che mi pare. Addirittura, da parte dei servizi ci sarebbe l'obbligo della privacy. Non si potrebbe neanche informare la famiglia, il che ovviamente è antiterapeutico.
Qualcuno potrà non essere d'accordo, ma è assolutamente importante, invece, coinvolgere la famiglia, non tenendo presente che in questi casi che riguardano la salute, la privacy nei confronti dei familiari rappresenta un assurdo.
Esiste inoltre un problema di come poter indurre il giovane stesso a intervenire, tenendo presente che ovviamente è ben vero che i genitori hanno la patria potestà, ma è anche altrettanto vero che poi non hanno strumenti operativi per intervenire.
Si tratta di un punto critico che mi sento di sottolineare e che va esaminato, attraverso sia indicazioni legislative, sia linee guida.
Rischiamo di avere, nei prossimi anni, fasce generazionali con una percentuale fortissima di giovani con disturbi psichici, in crescita esponenziale, addirittura, rispetto alla generazione precedente.
Un altro punto è rappresentato dalla necessità di intervenire nel sistema di distribuzione delle sostanze stupefacenti, adottando anche qui una politica di contrasto e prevenzione. La proposta di utilizzare cani addestrati nelle scuole ha suscitato molte polemiche, però è anche vero che ormai le scuole (e le università,


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aggiungo) rappresentano un'area fortissima di proselitismo nell'uso delle sostanze.
Dobbiamo porci il problema di come intervenire, fatte salve tutte le garanzie e ovviamente anche tutti gli aspetti educativi. Non si può assistere impotenti al fatto che uno dei maggiori punti di distribuzione di spaccio e di mercato di queste sostanze siano proprio le aree scolastiche. Anche la recidività deve trovare, dal punto di vista delle sanzioni amministrative, forme di particolare repressione.
Passando al tema delle adozioni, si rileva che il sistema che le regola è molto complesso. In Italia vi sono migliaia e migliaia di richieste di adozione e pochissime poi vanno in porto. L'adozione passa attraverso il tribunale dei minorenni, attraverso i servizi sociali dei comuni, gli assistenti sociali e tutto un sistema di consultori, estremamente complesso, che scoraggia molto, e che, nella maggior parte dei casi, si esaurisce semplicemente in una procedura burocratica.
Ci sono associazioni emerite e altrettante che, invece, guardo con molta perplessità. Non voglio dire che sono solo speculative ma spesso chiedono cifre estremamente significative. Parlo di un settore delicatissimo, che dobbiamo attentamente valutare.
Il tipo di inserimento per le adozioni nazionali ed internazionali va anch'esso valutato, tenendo presente qual è il contesto in cui l'adozione internazionale si inserisce.
Ascoltavo poco fa l'intervento della collega Miotto. Ebbene, bisogna stare attenti, poiché siamo sepolti da studi, piani, programmi, burocrazie, carte e spesso tutto questo ci salva l'anima e costituisce l'alibi per non fare qualcosa di concreto. Dobbiamo invertire questa tendenza. Kafka diceva, all'inizio degli anni '20, che la nuova schiavitù del secolo a venire sarebbero state le carte, le burocrazie, gli studi, i programmi e quant'altro. Forse vedeva, con l'anticipo di cent'anni, quello che sta succedendo. Chiedo al sottosegretario di non produrre tante carte, studi, seminari. Riguardo all'organigramma che mi ha mostrato, si tratta semplicemente di un organigramma da abolire. Dobbiamo in questo mostrare discontinuità, avere coraggio e andare invece verso soluzioni pragmatiche e soprattutto operative.

LIVIA TURCO. Mi scuso in anticipo se alle 12,30 dovrò recarmi a un altro appuntamento. Ovviamente faccio gli auguri al sottosegretario Giovanardi, col quale abbiamo discusso nel corso degli anni. Volevo fare soltanto alcune considerazioni sul tema delle tossicodipendenze in quanto, sulle questioni delle politiche familiari, già l'onorevole Miotto è intervenuta, in modo molto puntuale.
Sono due le considerazioni di premessa. La prima riguarda l'aspetto istituzionale. La costituzione di un dipartimento presso la Presidenza del Consiglio dei ministri può essere una cosa utile, se ha davvero la capacità - proprio in forza dell'essere espressione della Presidenza del Consiglio dei ministri - di esercitare una funzione di coordinamento e di indirizzo un po' di tutti i ministeri. Non posso nascondere, se penso alla esperienza fatta prima come Ministro degli affari sociali e poi della salute, quando il Presidente del Consiglio conferì al Ministro degli affari sociali la funzione di indirizzo e di coordinamento e redigemmo il piano di lotta alle droghe, coordinando anche ministeri importanti, che ciò significò superare una frammentazione e poter definire indirizzi condivisi che, in quanto capaci di fare sinergia, potevano essere utili.
L'auspicio che formulo è che questo dipartimento eserciti una funzione proprio nei confronti dei ministri interessati e svolga un ruolo di forte coordinamento. In tal senso, esso potrebbe svolgere una funzione positiva. Diversamente, non capisco bene che cosa potrebbe fare: se la sanità va da una parte, la scuola va dall'altra parte, il Ministero dell' interno fa le sue cose, le regioni fanno le loro, credo che la funzione del dipartimento diventerebbe residuale. Soprattutto, sottolineo l'importanza di una funzione forte di coordinamento, per avere un unico programma.


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Il tema della lotta alle droghe è molto importante per il nostro Paese. Sono colpita dalla facilità con cui i nostri ragazzi vengono in contatto con le droghe. Sono colpita dai racconti di mio figlio: è veramente angosciante sentire raccontare, da un ragazzo di sedici anni, quanto sia normale venire a contatto con tutte le droghe, ma anche quanto sia fondamentale la forza di reagire. Quando io ho gli ho domandato come lui fosse riuscito a resistere, mi ha risposto: con la forza, la motivazione, grazie alla famiglia. Mi domando che fare, però, quando le famiglie non ce la fanno.
Siamo di fronte a questo dato, al fatto che i nostri ragazzi vengono così facilmente in contatto con le droghe e sono disarmati rispetto a queste sostanze.
Penso veramente che questo sia un tema sul quale sia importante, nel nostro Paese, costruire una nuova stagione di impegno, di battaglia culturale, dove ciascuno si lasci magari alle spalle le proprie ricette e le proprie convinzioni, mettendosi a disposizione per un progetto, per una battaglia culturale che sia più efficace di quanto lo siano state quelle portate avanti nel passato.
Credo che, tutti insieme, dobbiamo dirci che oggi abbiamo una legge che, non a caso, non mettiamo in discussione perché - pur avendo personalmente molto criticato la legge in vigore - non credo che il tema attuale sia quello di un'ennesima modifica legislativa.
Credo che oggi il tema non sia lo scontro tra proibizione e antiproibizione, bensì il prendere atto che le ricette che abbiamo portato avanti non sono servite e che anche la legge in vigore (una legge molto severa) non è riuscita ad arginare quella facilità di contatto dei nostri ragazzi con le droghe.
Forse, molto umilmente, dovremmo dire che occorre cercare di costruire una nuova stagione, che abbia fortemente al centro l'attenzione e l'investimento di responsabilità verso i nostri ragazzi, il sostegno alle famiglie, un dialogo molto forte (a questo serve l'integrazione tra le politiche) tra le scuole, i dipartimenti, i SERT, le comunità e anche con i luoghi di lavoro, poiché i nostri ragazzi sono soprattutto nelle scuole, ma anche nei luoghi di lavoro.
Un dialogo che metta molto accento sull'assunzione di responsabilità e sulla funzione educativa degli adulti ovunque intesi, altrimenti noi siamo di fronte davvero ad un'emergenza educativa. Credo che questo debba essere il pilastro di una stagione che dobbiamo costruire.
A questo proposito, concludo esponendo poche considerazioni e suggerimenti concreti.
Siamo tutti d'accordo nel parlare di prevenzione, ma non su cosa siano le politiche di prevenzione. Sarebbe importante fare il punto su questo. Lei, sottosegretario, parla della prossima conferenza, in preparazione della quale potrebbero avvenire incontri tra i vari attori, a partire dal territorio.
Io sono d'accordo con l'onorevole Miotto: abbiamo tante esperienze importanti, fatte nei territori, che a volte non sono conosciute e che sono innovative, poiché territorio vuol dire rapporto più diretto con le persone. Nel territorio puoi fare integrazioni, costruire alleanze, far lavorare persone, ambienti e professionalità che diversamente, invece, non potresti far lavorare.
Allora sarebbe molto importante fare una ricognizione delle pratiche esistenti sulle politiche di prevenzione e realizzare un grande aggiornamento su questo, valutando quali politiche di prevenzione sono efficaci, quali sono le esperienze che hanno ottenuto successi e magari, su questo, definire anche delle linee guida e degli indirizzi, affinché le migliori pratiche possano essere di esempio sul territorio.
Le raccomando vivamente di sollecitare le regioni, gli assessori alla sanità, gli assessori alle politiche sociali, per fare il punto sullo stato dei servizi per le tossicodipendenze, poiché su questo versiamo in una situazione di grave difficoltà e non ho alcuna difficoltà ad ammettere che per il centrodestra e per il centrosinistra, tranne luminosissime esperienze, i servizi delle dipendenze, pubblici e comunità,


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sono considerati un po' le cenerentole, mentre credo sia fondamentale sollecitare l'insieme dei Governi regionali a rimettere al centro e aggiornare i servizi delle dipendenze.
A questo proposito, mi chiedo se, come Parlamento, possiamo fornire un contributo e se la nostra Commissione possa svolgere un'indagine conoscitiva sullo stato dei servizi delle dipendenze nel nostro Paese, per avere un quadro chiaro soprattutto sui servizi pubblici, ma anche sulle condizioni in cui versano le comunità.
L'ulteriore sollecito che mi permetto di rivolgere è il seguente: attenzione a tutte le droghe! L'altro dramma che vivono i nostri ragazzi è l'abuso di alcool. Sappiamo che una delle cause di mortalità più elevata per gli adolescenti e per i giovani, sono proprio gli incidenti connessi all'abuso di alcool. Esiste una legge sulla prevenzione dell'alcool, esiste un piano d'azione. Sollecito l'attenzione sull'incremento di questo piano di azione che è in vigore, ma che poi va tradotto e monitorato nei suoi risultati concreti.
Sarebbe poi importante che il nostro Paese si dotasse di un rapporto scientifico sulla tossicità delle sostanze e sui loro effetti sulla salute. Avevamo commissionato questo rapporto all'Istituto superiore di sanità, che non lo aveva ancora completato. Mi permetto di sottolineare l'importanza di avere, nel nostro Paese, un rapporto sulla tossicità e sugli effetti delle sostanze sulla salute delle persone, poiché questo aiuta molto a realizzare delle politiche che siano di effettiva prevenzione, di presa in carico efficace. Su questo tema credo di avere un'opinione diversa da quella del Ministro; se è vero che l'approccio è combattere tutte le droghe, poi però non si può non differenziare proprio sul livello di tossicità delle sostanze e non avere politiche mirate proprio in riferimento al livello di tossicità e all'incidenza che le sostanze hanno sulla salute.
Per quanto riguarda le politiche familiari, credo che da lei abbiamo ascoltato una sorta di dichiarazione di resa: sulle politiche familiari le scelte forti le fa Tremonti, gli altri non hanno le competenze. In realtà, come ha detto l'onorevole Miotto, le competenze in realtà ci sono: la legge n. 328 del 2000 per la definizione dei livelli essenziali di assistenza, il fondo per le politiche sociali, e poi assegni e trasferimenti che possono essere ampiamente definiti da parte di un Governo. Mi auguro davvero che il suo Governo riconosca le cose positive che sono state fatte anche precedentemente. La conferenza sulla famiglia è stata un momento molto importante e lei ha richiamato il piano d'azione per la famiglia, che spero possa essere realizzato rapidamente.
Mi permetto di sottolineare l'importanza che hanno alcuni indirizzi: quelli relativi alle famiglie numerose, alla conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare, ai servizi socio educativi - poiché una politica per la famiglia in Italia significa la buona e piena occupazione femminile -, alla lotta contro la povertà minorile, in quanto siamo uno dei Paesi con il più alto tasso di povertà minorile. Ecco, questi credo davvero che siano aspetti urgenti.
Ci dispiace dover constatare che, mentre abbiamo i Ministri del Governo che ci illustrano gli indirizzi di loro competenza, contenenti anche auspici e aspetti positivi, in concomitanza si rendono noti un Documento di programmazione economica e finanziaria e un decreto, che è quasi una finanziaria, che purtroppo contraddicono questi auspici. Purtroppo, né nel DPEF, né nel decreto sullo sviluppo economico che è all'esame del Parlamento, abbiamo trovato traccia di una politica per la famiglia. Anzi abbiamo trovato aspetti che ci colpiscono. Per esempio, ci colpiscono quelle misure - le discuteremo, ma gliele faccio fin d'ora presenti - che riducono la possibilità, per i genitori di ragazzi con disabilità grave e gravissima, di utilizzare i permessi previsti dalla legge n. 104, oppure la norma relativa all'inserimento lavorativo delle persone disabili.
Ci ha molto colpito anche che, per finanziare l'abolizione dell'ICI, che riguarda in questi casi famiglie più abbienti, giacché l'abolizione dell'ICI per le famiglie non abbienti era già stata prevista dal


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governo Prodi, si siano cancellati capitoli importanti come quelli sulle politiche sociali, sull'integrazione degli immigrati.
Sottolineo e colgo l'occasione della sua presenza e anche della sua sensibilità per dirle di ripristinare almeno i fondi che avete tolto al San Gallicano: una struttura meritoria, che si occupa dei più poveri, dei più abbandonati e che è sede dell'Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e per il contrasto delle malattie della povertà (INMP).
È stato falcidiato il finanziamento per il 2009 e il 2010. Forse non è di sua competenza, però mi permetto di cogliere la sua presenza qui per chiederle di far ripristinare almeno quel finanziamento, poiché lei sa che cosa sia il San Gallicano e sa quanto è meritoria quella struttura nell'accoglienza dei più poveri e degli immigrati, che sono anch'essi persone.

PAOLA BINETTI. Tutti sentiamo il bisogno di un inquadramento il più ampio ed articolato possibile sui grandi temi sui quali oggi lei, signor sottosegretario, ci ha riferito: le droghe da un lato, la famiglia dall'altro.
Mi richiamo al riferimento fatto proprio in questo momento dall'onorevole Turco, rispetto alla consapevolezza di non avere bisogno, adesso, di una nuova legge e non tanto perché la Fini-Giovanardi abbia funzionato perfettamente, quanto perché ci rendiamo conto che oggi il modo di affrontare questi problemi in termini non dico di risoluzione, ma di miglioramento del quadro generale, richiede un approccio più ampio, che coinvolge risorse diciamo a trecentosessanta gradi. Non sempre la legge rappresenta lo strumento più adeguato.
In questo senso volevo sottolineare tre punti. Il primo riguarda proprio la droga in sé e la natura delle droghe. Oggi il panorama delle droghe con cui si confrontano i giovani (non soltanto loro, in quanto da un lato abbiamo i giovanissimi, dall'altro anche una fascia più avanzata di età che ormai raggiunge i 45-50 anni, cioè una fascia ben posizionata e molto estesa) non è più quello delle droghe classiche e probabilmente neppure quello della sola eroina, della sola cocaina o del solo l'hashish. Sono diffuse droghe che in qualche modo definiscono dei pool, dei mixage particolarmente pericolosi.
Al di là di tutto questo, il problema vero nei confronti delle singola droga con cui ci confrontiamo è la quantità di principio attivo presente, che, rispetto alle droghe degli anni '70, tanto per fare un esempio quasi preistorico, ha più che decuplicato la quantità di principio attivo presente.
Quindi la tossicità di queste droghe non è forse quella che appartiene a una memoria distribuita, bensì rappresenta un'aggressività latente che è in progressivo aumento.
Questo ci impegna su un fronte molto importante di conoscenza, in tempo reale, delle droghe usate dalle persone giovani e meno giovani che siano, per poter avere delle politiche di contrasto anche sotto il profilo strettamente medico, farmacologico, comportamentale.
Su questo punto noi scontiamo un fenomeno di arretratezza culturale.
Non mi riferisco magari al ristretto team degli esperti, quanto alle famiglie, agli insegnanti, anche al mondo della comunicazione, in cui non si conosce di che cosa si sta parlando perché non si conosce la pericolosità intrinseca delle nuove droghe con cui i giovani si confrontano.
Tra tutti gli obiettivi che dobbiamo tenere sotto controllo, abbiamo sentito prima l'onorevole Turco fare riferimento - probabilmente in quel momento più che il ministro parlava la madre - all'impatto forte dell'esperienza narrata dal figlio. La dimensione esistenziale, con cui ognuno si confronta giorno per giorno, dà rilevanza al tema, lo estrae dall'anonimato dell'informazione, lo fa diventare un dato importante per me, per la mia famiglia e per mio figlio.
Questo vuol dire avere genitori molto attenti e sappiamo che questo oggi cozza con l'assenza del genitore e con la sua sottrazione al dialogo familiare. Molte volte il genitore non sa che cosa succede. Anche se è una stranezza che convergano


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nella stessa persona il grande tema della droga e il grande tema della famiglia, però nel suo caso specifico questo potrebbe essere un asse, un ponte molto forte per assumere la famiglia come struttura, non dico di prevenzione (che sarebbe il massimo), ma più che altro di diagnosi il più precoce possibile. I genitori debbono conservare il dubbio e nel dubbio debbono mettere i mezzi di cui dispongono, non possono accorgersene quando il problema è già avanzato.
Si fa riferimento alle scuole (è stato detto, anche con attenzione, dal collega psichiatra), però sappiamo anche che i luoghi di attrazione dei giovani, ad esempio le discoteche, sono i veri punti in cui (non dai gestori dei locali) all'interno nella distribuzione one to one o comunque all'esterno, la distribuzione è facile, accessibile. Si tratta del rischio segnalato dall'onorevole Turco sulla facilità dell'accesso. Oggi è molto facile potersi procurare droga e credo che ciò rappresenti una sfida per tutti noi. Potrà sembrare una banalità, ma si potrebbe intervenire con una sorta di barriere, come si fa in strada quando occorre rallentare la velocità. Dobbiamo rallentare questa possibilità di accesso.
Studi recenti dimostrano come in Olanda si stia facendo decisamente marcia indietro su questo punto. Non so se siano arrivati al fondo del barile, però hanno sperimentato la gravità di tutto questo. Soprattutto hanno sperimentato come il tema droga intercetti poi quello della rischiosità, per esempio, nei comportamenti alla guida, nonché il tema di quella modalità invischiante di vivere fenomeni come la prostituzione.
Esiste una specie di aggregazione di fattori di pericolosità che rendono molto difficile garantire qualità di vita alle persone, agli ambienti e ai sistemi. Richiediamo pertanto un intervento, sicuramente allo scopo di riappropriarsi, come sottolineava l'onorevole Turco, di un ruolo forte di coordinamento tra i Ministri per le politiche per i giovani, dell'istruzione dell'università e della ricerca, del lavoro, della salute e delle politiche sociali. È chiaro che non si può gestire la situazione da soli. Le chiediamo, però, di assumere esplicitamente, a livello nazionale, un ruolo forte su questo tema, che deve trasmettersi anche all'esterno con un linguaggio di simboli che rendano chiaro che si tratta di un'emergenza educativa che noi, dal nostro punto di vista, e lei dal suo, concretamente, intendiamo tutti contrastare in modo forte.
Per questo le chiediamo anche di resistere alla tentazione del «ti dirò di più». Siamo tutti bravi a parlare: lei decide di fare A, B e C; io le dirò di più: faccia anche D ed E; il mio collega le dirà di più: faccia anche H e poi via, avanti con l'alfabeto. Resista a questa tentazione: scelga obiettivi che siano chiari, precisi, determinati, consapevole che non si tratta della totalità. Su questi indicatori, poi, mantenga una posizione chiara e ferma di fronte al Paese. Non come chi dice: questo è l'intervento! In un discorso di limitatezza di risorse e di possibilità, scegliamo un punto che diventi, piuttosto, l'icona. Siamo stanchi di seguire una china che, prima della sua legge, nel Governo precedente e ora, segna un incremento progressivo nell'uso e nell'accostamento delle droghe. Vorremmo vedere se si riesce ad operare un'inversione di tendenza. Il nostro unico obiettivo è un'inversione di tendenza nell'uso e consumo delle droghe, per essere in sintonia con questa emergenza educativa.
Sulla famiglia, voglio solo dirle che credo fermamente che avete vinto le elezioni anche - non solo per questo, chiaramente - per la linearità, la semplicità del punto focale in difesa della famiglia. Credo che gli italiani se lo volessero sentir dire, che ci sperassero. Ebbene, io vorrei invece che questo punto focale fosse autentico.
L'incongruenza citata dall'onorevole Turco, cioè lo scollamento tra il piano dei desideri e il piano degli investimenti, lo rileviamo tutti, da destra e da sinistra.
Mi sembra di capire che lei abbia incontrato ieri il forum delle famiglie che, come sa, chiede poche cose: un rapido passaggio dal sistema delle detrazioni al


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sistema delle deduzioni; che attraverso la riflessione sulla tariffa (quello che ha detto lei), passi il messaggio che è proprio la dimensione della famiglia che determina un maggiore consumo di acqua, di luce, di gas.
Se poi, quando si pensa a una politica a favore della famiglia, la si estende, con tutto il rispetto, agli impianti sportivi, va benissimo, perché non ho niente contro gli impianti sportivi, né contro le scuole o i club, ma noi, in questo momento chiediamo che questo contributo sia dato proprio alle famiglie. Ripeto: resista alla tentazione del «ti dirò di più».
Se le risorse sono limitate, l'obbiettivo principe è questo: deduzioni, politica delle tariffe, politica di servizi. Inoltre (e questo può essere un vantaggio della nostra Commissione, per quell'altra singolare convergenza di lavoro, politiche sociali e politiche sanitarie), il lavoro della donna a cui si faceva riferimento, la facilitazione del lavoro, la flessibilità degli orari nella giornata, nella settimana e nei ritmi di vita di una donna rappresentano un punto di forza che non ha poi un costo così elevato. Esso, invece, implica una cultura diversa, in cui abbiamo contemporaneamente bisogno di donne che lavorano e che possano avere tutti i figli che desiderano. Non vogliamo, però, fare come la Francia. Vogliamo figli nati all'interno del matrimonio e, quindi, abbiamo anche bisogno di politiche che contribuiscano a stabilizzare i vincoli familiari.
Si tratta di un grosso lavoro culturale che, ancora una volta, lei può svolgere assieme ai suoi colleghi.
Per questo - poiché siamo stati oggetto di una quasi sistematica politica persecutoria da parte vostra, con il Governo precedente - intendiamo restituirvi con la stessa forza e speriamo davvero con lo stesso impatto positivo la possibilità che le famiglie si sentano riconosciute come soggetto sociale.

MARIA ANTONIETTA FARINA COSCIONI. Grazie, signor sottosegretario, per questo suo primo contributo in Commissione. Vorrei porle alcune questioni di ordine generale, più che altro indicazioni costruttive nell'interesse di tutti.
In quanto sottosegretario di Stato, responsabile anche di droga, le domando come pensi di coordinarsi e che tipo di coordinamento immagini con i vari Ministeri che a diverso titolo si occupano della medesima questione; penso, solo per citarne alcuni, al Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali per quanto riguarda i SERT, o al Ministero della giustizia per la questione droga nelle carceri.
Le domando inoltre come pensi di intervenire affinché i SERT siano attrezzati a fornire un supporto a tutto campo, in particolare ai consumatori di cocaina e di sostanze sintetiche, visto che l'espansione del mercato va in quella direzione, nonché per il trattamento dei poli assuntori nei confronti dei quali i SERT non sono ancora attrezzati.
Per quanto riguarda il coordinamento dei flussi informativi e degli interventi tra i vari Ministeri, in particolare per quanto concerne le prefetture ed i NOT (nucleo operativo tossicodipendenze), si è in presenza di un database che non permette di identificare rapidamente (come peraltro l'Europa richiede) le nuove sostanze che entrano sul mercato. Infatti, l'Unione europea richiede di partecipare al cosiddetto sistema di allerta rapido, che serve per identificare tempestivamente le nuove sostanze.
Quindi, il primo punto di osservazione sono le prefetture e le segnalazioni che vengono fatte presso i NOT, che però non sono attrezzati adeguatamente. Signor sottosegretario, solo nel 2007 l'Europol ha identificato diciassette nuove sostanze, inserendole nelle nuove tabelle. Queste tabelle non sono a disposizione dei NOT perché hanno un sistema informativo e di codifica inadeguati. Dunque, vi è bisogno di un coordinamento dei dati e degli interventi, nella speranza che si sia in grado di coordinare effettivamente anche i modelli di rilevazione.
Infine, le domando come intenda procedere per assicurare la qualità e la completezza dei dati, dei flussi informativi e


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delle analisi, su cui si basa la relazione annuale al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze. In particolare, le chiedo come intenda adeguare le indagini campionarie IPSAD ed ESPAD che, anche nell'ultima relazione, risultano affette dagli stessi errori metodologici dello scorso anno. Sarebbe interessante sapere, se in merito, sia stato consultato l'ISTAT. Tenga presente, signor sottosegretario, che nelle note metodologiche non si riporta nemmeno la percentuale di risposte ottenute ed in questo modo non si permette la valutazione della rappresentatività e della casualità dei campioni. Questo è solo un esempio. A tal proposito è stata presentata una dettagliata interrogazione parlamentare, la numero 4/00019, rispetto alla quale vorrei sollecitarle una risposta.
Tralascio tutti gli altri punti, perché dal suo intervento gli spazi di manovra, di operatività politica in ordine alla famiglia e anche ai destinatari risultano davvero ridotti. Lei, infatti, ha parlato di famiglia basata sul matrimonio; credo proprio che tante persone si sentiranno escluse dal suo programma e dalle sue parole, costrette ancora a rivendicare diritti che, secondo lei, non devono essere riconosciuti.

LUCIO BARANI. Consideriamo la relazione del sottosegretario Giovanardi molto efficace. Giustamente il sottosegretario, conoscendo bene la materia, l'ha illustrata con grande semplicità alla Commissione e credo che abbia fatto capire l'intervento che il Governo sta portando avanti proprio sulla famiglia, quella famiglia che riscuote grandi attenzioni. Riteniamo che abbia ragione la collega Binetti, quando dice che l'elettorato, gli italiani, hanno capito il programma del Popolo della Libertà. Uno dei punti cardine è proprio quello della famiglia, che era stato ovviamente trascurato dal Governo precedente (o forse non è riuscito a farsi capire).
Se le famiglie italiane non hanno capito gli interventi che il Governo precedente ha fatto sulla famiglia, vuol dire che questi interventi non ci sono stati o sono stati mal riposti. L'onorevole Turco, nel suo intervento, parlava di nuova stagione di dialogo, di funzione educativa degli adulti, di suggerimenti concreti, di che cosa è la prevenzione, di un'indagine conoscitiva sulla comunità. Sembrava un intervento svolto da chi è fuori dal Governo della nazione da vent'anni. Invece, sono due mesi che l'onorevole Turco non è più Ministro della Repubblica.
Quindi, non possono sicuramente addebitare lacune o mancanza di interventi a questo Governo.
In Commissione ieri abbiamo votato la proposta di parere per quanto di nostra competenza, sul Documento di programmazione economico finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica 2009-2013, che la collega Molteni al mio fianco ha illustrato.
In esso vi sono interventi sulla famiglia, con addirittura il ripristino di milioni di euro per il fondo sociale per la famiglia, anche rispetto alla finanziaria 2008.
Riteniamo che, in effetti, il Governo si stia muovendo bene, anche attraverso l'adozione del decreto-legge n. 112, recante disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica, la perequazione tributaria, che la nostra Commissione esaminerà in sede consultiva la prossima settimana e che poi verrà discusso in Assemblea.
Riteniamo che ci siano, ben visibili, le prime risposte alle aspettative, alla domanda che il Paese rivolge al Governo della nazione. Ovviamente, in politica si raccoglie dopo uno o due anni quello che si semina. Chi emana dei provvedimenti in fretta spesso non raggiunge gli obiettivi. È come in natura: bisogna seminare, curare e far raccogliere alle famiglie.
Mi preme sottolineare un punto che ritengo essenziale, il peccato originale che è ben emerso dai dibattiti. C'è qualcuno che ha la responsabilità di aver modificato unilateralmente il Titolo V della Costituzione. Ecco perché il Governo centrale e le 20 regioni, che sono 20 Stati autonomi, danno risposte diversificate sulla famiglia e in campo sociale, non solo in campo sanitario. Per questo andando da una regione all'altra si va come da uno Stato


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all'altro, in termini di consultori, di gestione dei SERT, di società della salute. In alcune regioni esiste un mix tra sociale e sanitario, in altre invece il sociale è assegnato solo ai comuni, mentre il sanitario, ovviamente, va alle ASL.
Ecco che andiamo a cozzare contro le indicazioni, le nomine dei direttori generali delle ASL fatte in maniera unilaterale dagli assessorati alla sanità. Questi a loro volta, a cascata, nominano i loro direttori generali a seconda delle simpatie (secondo noi, sulla base delle tessere) e non certamente in base al curriculum.
Devo ammettere che questo è un peccato originale e mi dispiace che ciò sia avvenuto con un Governo presieduto da Amato, che aveva la presunzione di dirsi socialista, sebbene quell'intervento non potesse sicuramente definirsi tale, anzi.
Noi riteniamo che questo peccato originale sia la causa di tutti i mali. Se non ci si mette rimedio, ecco che qualsiasi intervento del Governo centrale e suo, sottosegretario -considerato che la materia della famiglia rientra nelle competenze della Presidenza del Consiglio dei ministri -incontrerà l'opposizione di molte regioni che chiederanno le verifiche di costituzionalità.
Si vanno così a smarrire gli sforzi che il Governo centrale sta facendo, in quanto le regioni vogliono continuare, ciascuna autonomamente, a coltivare il proprio orticello.
Ha fatto bene il Governo (so che è stato anche un suo punto cardine) a favorire la semplificazione e la sburocratizzazione, tagliando decine, centinaia, migliaia di leggi inutili che bloccavano e bloccano la competitività e lo sviluppo.
Certo che bisogna incidere sugli sprechi e mettere mano - lei lo farà, signor sottosegretario - alle adozioni, cercando sia di mettere il più possibile le famiglie in condizioni di avere più figli naturali, sia soprattutto di favorire le adozioni, togliendole dal «racket» dell'adozione nazionale e internazionale. C'è troppa burocrazia. Ritengo che il tribunale dei minori debba essere cancellato, che debba essere reintrodotta una procedura amministrativa semplificata.
Ovviamente la lotta agli sprechi è un altro punto importante del programma: se c'è meno spreco, ci sono più risorse a disposizione delle famiglie. Bisogna far capire - giustamente lei lo ha detto - che un elenco incredibile di associazioni da consultare è ovviamente un problema che va affrontato.
Riguardo alle risorse che lo Stato eroga alle regioni, è necessario che lo Stato stesso controlli la destinazione di quelle somme. Non è possibile che le regioni italiane abbiano uffici o delegazioni all'estero! Andate in qualsiasi Stato dell'Europa o del mondo e troverete un ufficio di regioni italiane (credo che a New York ce ne siano 78, perché più regioni hanno più uffici).
Riteniamo che lei abbia svolto una relazione condivisibile ed esaustiva. Siamo sicuri che stia seminando veramente bene e che le famiglie italiane raccoglieranno il frutto del suo lavoro e quello del Governo cui lei appartiene, nei giusti tempi. Anche grazie all'introduzione del quoziente familiare la situazione delle famiglie italiane migliorerà.

DONATO RENATO MOSELLA. Ringrazio il sottosegretario per la sua relazione. Gli interventi di alcuni colleghi mi consentono di essere rapido e conciso. Faccio tre considerazioni tra cui una di ordine generale - che poi si concludono tutte con una domanda. La prima riguarda il quadro che il sottosegretario Giovanardi ci ha tracciato. La reazione suscitata(probabilmente, dal mio punto di vista posta in maniera un po' eccessiva) nel dire che servirebbe una relazione, più che una conversazione a braccio, non è legata al merito. Il Ministro nel merito è entrato e ci ha fatto cogliere, anche plasticamente, quello che probabilmente gli gira per la testa. Avvertiamo, in questo momento, che tali questioni, che riguardano il Paese nella sua complessità (la droga, la famiglia, l'alcool e quant'altro), rappresentano emergenze da non sottovalutare. Il rapporto


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presentato lo dice chiaramente: è avvenuta un'azione repressiva, che ha dato qualche risultato, ma molto manca ancora sul piano della prevenzione.
Francamente, se si guarda quello che sta accadendo, viene voglia di domandare al sottosegretario se pensi di ritornare a breve in Parlamento per metterci davanti un piano, un percorso strutturato delle sue intenzioni, per consentirci anche di interagire e interloquire in modo dovuto, o se invece dobbiamo immaginarci che le cose andranno avanti ancora così. Entro nel merito, tanto per spiegarmi. Sussistono difficoltà oggettive - che noi evidenziamo - nel guardare il DPEF e anche il decreto-legge n.112. Lei ha citato dei mondi (faccio solo un esempio, perché non voglio dilungarmi) come quello dello sport, dell'associazionismo in senso lato, che hanno dato - lei lo sa - un apporto alla fase di prevenzione molto più incisivo di quanto non appaia.
Tuttavia, se si va a vedere quello che sostanzialmente oggi viene fatto a questa rete nazionale, in termini di tagli, francamente si rileva un approccio un po'contraddittorio.
Anni fa il Governo inglese ebbe gli stessi problemi che abbiamo oggi nella scuola italiana. Blair ebbe a dire: dobbiamo uscire dalla scuola. Il suo dramma era che non sapeva dove andare, giacché in Inghilterra non esistono grandi reti e grandi tradizioni.
In Italia abbiamo una tradizione straordinaria che nell'ultimo secolo si è andata rafforzando; abbiamo un reticolo laico e cattolico di associazionismo di tutti i tipi, culturale, sportivo, associativo, movimenti e gruppi dotati di carismi.
Il problema è che molti di questi, senza che noi lo denunciamo nel modo dovuto, si stanno trasformando in piccoli supermercati. Se lei guarda solo al segmento sportivo, vede che non rappresenta più quel luogo di aggregazione in grado di fare prevenzione disponendo di un supporto e un aiuto per valorizzare il volontariato e quant'altro. Adesso si è costretti a vendere il proprio prodotto - il torneo, il calcio o qualunque altra cosa - per mantenersi vivi nella società. Però, mentre prima si trattava di baracche poco attrezzate che accoglievano i profughi, adesso si tratta di loft molto strutturati, anche col computer, e i profughi non li accolgono più.
Varrebbe la pena che lei mettesse il naso in questo grande patrimonio italiano, per capire come, rispetto a tutto il tema delle tossicodipendenze e dell'alcolismo diffuso nelle fasce più giovanili, si possa fare più di quanto oggi non sia in grado di fare la nostra scuola.
Altri Paesi europei, infatti, hanno dimostrato che, anche se «ce la raccontiamo», di fatto non si concretizza nulla.
Sul tema delle famiglie, le faccio una sola annotazione. La mia storia mi mette al riparo da ogni forma di strumentalizzazione. Io credo che la posizione che lei assume rispetto alla famiglia costituzionalmente intesa è una posizione non nuova, che lei porta avanti da molti anni. Io, però, credo che in questo momento il Paese abbia bisogno di guardare anche all'altra Italia.
Nel senso che se lei, parallelamente, nel guardare alla famiglia costituzionale, guarda ai diritti individuali, vede un Paese che ha le stesse prerogative e gli stessi problemi. Pensiamo solo al tema dei bambini all'interno della famiglia non costituzionalmente intesa, rispetto al quale credo che un Governo, qualunque sia il colore, debba interrogarsi pesantemente.
Sono numeri importanti, dal punto di vista della tenuta sociale del Paese.
Ho colto, dalle sfumature del suo parlare, che lei, più che dare una rotta, intenda razionalizzare e mettere a sistema un groviglio - così lei lo ha definito - di situazioni riguardanti i tavoli regionali e i diversi organismi coinvolti.
Proprio per quanto diceva il collega Barani prima, il Titolo V mette nella condizione di responsabilità maggiore il Governo. È chiaro che, in presenza di una frammentazione che esiste a livello regionale, se il Governo centrale non assume una guida forte, decisa, un orientamento e una bussola ben orientata, i problemi permangono.


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Non potremo fare altro che incalzarla nel tempo, sottosegretario, per denunciarli, ma francamente verrebbe meno quell'atteggiamento costruttivo che sui temi sociali questa Commissione, per tradizione, ma anche per il tipo di agenda che ha, si è sempre data.
Oltre a dirle che il nostro intendimento è incalzarla, cercare di portarla in Parlamento e nelle sedi opportune il più possibile per stimolarla, vorremmo anche capire da parte sua quale è il senso di marcia e qual è il cammino.
Non le chiedo di farlo in questa sede, perché mi sembra giusto e corretto che lo scambio sia rapido e veloce, però almeno ci faccia capire se possiamo aspettarci linee programmatiche o comunque un qualcosa di strutturato che orienti il suo percorso.

LAURA MOLTENI. Signor presidente, innanzitutto voglio sottolineare che le priorità programmatiche indicate dal sottosegretario trovano significativo riscontro in quelli che, ormai da tempo, sono gli orientamenti della Lega in tema sociale e, soprattutto, della famiglia. Crediamo, infatti, che sia importante garantire il diritto di ogni persona a formare una famiglia.
Mi ha fatto molto piacere che il sottosegretario abbia parlato della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, così come previsto dall'articolo 29 della Costituzione. Per questo bisogna, a parere mio, porre in essere una serie di politiche per garantire il diritto di ogni persona a formare una famiglia o a essere inseriti in una comunità familiare. È necessario sostenere il diritto delle famiglie al libero svolgimento delle loro funzioni sociali, riconoscere l'altissima rilevanza sociale e personale della maternità e della paternità; sostenere in modo più adeguato la corresponsabilità dei genitori negli impegni di cura, di educazione dei figli, promuovere e valorizzare la famiglia come struttura sociale primaria, di fondamentale interesse pubblico, attuando quelle che sono le condizioni necessarie affinché, nell'ambito della stessa famiglia, possa realizzarsi anche la compresenza di più generazioni, favorendo in famiglia la permanenza della persona anziana, della persona disabile e di tutti quelli che sono i soggetti di riferimento della famiglia.
Una famiglia con la «effe» maiuscola, per quella che è la nostra tradizione, la nostra cultura; una famiglia che svolge un ruolo importante nell'educazione e nella preparazione dei figli; una famiglia, che deve essere assolutamente interessata da quelle che sono le politiche in campo di prevenzione della droga, deve essere fatta partecipe nel processo di attuazione di queste politiche tramite percorsi ad hoc, che investano, con progetti particolari che comprendano la famiglia stessa, sulle tematiche della prevenzione in materia di droghe.
Deve essere condotta una battaglia culturale sulla legalità, sulla responsabilità, che veda coinvolti tutti i soggetti della famiglia - i genitori, i figli - in un percorso di prevenzione. A parere mio, deve essere portata avanti anche una politica di comunicazione, con una campagna sulla prevenzione e gli stili di vita, adeguata in tema di droghe, ove non passi il concetto che va bene drogarsi «tranquilli» nella stanza del buco di cui parlava prima il sottosegretario Giovanardi, ma che parli invece di vita, del ruolo importante che possono avere i nostri giovani se inseriti anche questi in progetti che li vedano coinvolti insieme alle famiglie in attività di prevenzione, magari verso altri giovani, sempre con i valori della famiglia quale punto di riferimento.
Credo che sia il caso di mettere in campo tutte le forze a disposizione per evitare questa facilità di accesso alle droghe e che si ribadisca anche il concetto di pene severe e certe per chi spaccia determinate sostanze e per chi veramente va a minare l'equilibrio di giovani che stanno crescendo e si stanno formando.
Legato a ciò, è importante anche un discorso di politiche sulla formazione dei giovani, sul senso della responsabilità. A me fa piacere che questo Governo, da subito, abbia voluto comunque introdurre il principio del federalismo fiscale.


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Abbiamo parlato la scorsa volta, nel corso della audizione del Ministro Sacconi, del federalismo fiscale anche in campo sanitario. Credo che il federalismo fiscale inciderà anche sulle politiche della famiglia e che le regioni giocheranno un ruolo importante in questo campo.
Starà infatti alla sensibilità e alle attenzioni delle singole regioni e degli enti di riferimento promuovere adeguate politiche a sostegno della famiglia e dei suoi valori. Investire sulla famiglia è importante. L'appello che faccio è il seguente: politiche concrete a sostegno della famiglia a tutto campo, perché il discorso della droga non è slegato, a parer mio, dal ruolo che può svolgere la famiglia in tema di prevenzione e stili di vita.
Bisogna parlare di responsabilità e rendere partecipi le famiglie in un percorso di supporto, in modo che queste sappiano come poter intervenire, come riconoscere certe situazioni, quali strumenti hanno a disposizione, cosa possono fare anche sul piano educativo nei confronti dei figli.

PRESIDENTE. Abbiamo letto sui giornali che l'età media delle donne che hanno il primo figlio, si è spostata ancora più avanti e ormai siamo arrivati verso i quarant'anni.
Questo sicuramente non aumenterà la natalità nel nostro Paese, perché già fisiologicamente dopo i quarant'anni la capacità di fare figli naturali, anche con tecniche di riproduzione assistita, diventa bassissima.
Un problema educativo e anche sociale è cercare di aiutare, in questo caso, la donna in primo luogo nel suo percorso sociale e anche di realizzazione nella prima fase della vita, poiché è indubbio che fisiologicamente, sottosegretario, l'epoca migliore per una donna per fare figli è dai 20 ai 30 anni. Non li fa più nessuno ormai a questa età. Dai 30 ai 40 anni ancora ci si difende, ma dai 40 in poi diventa sempre più difficile.
Bisognerebbe cercare di dare qualche incentivo, non solo economico, ma anche sociale per spingere a fare i figli anche prima.
Un altro punto importante è rappresentato da una valorizzazione della famiglia con l'accoglienza degli anziani nel suo seno. Anche questo uso, ormai, in molte regioni è cambiato. L'anziano vive per i fatti suoi, il bambino e la famiglia vivono per i fatti loro, non c'è più quella integrazione che c'era tanto tempo fa. Anzi, qualcuno tende a portare gli anziani fuori e a farli stare da soli negli ospizi, mentre invece se si potesse dare qualcosa a quelle famiglie che riescono - volontariamente, per carità - a tenere anche il nonno in famiglia, ciò rappresenterebbe un valore aggiunto e uno stimolo sia per il bambino, sia per il nonno. Molti casi di morbo di Alzheimer verrebbero evitati, secondo me, agendo così, naturalmente senza bisogno di farmaci.
Sono due punti su cui anche nella precedente occasione mi sono espresso e che mi sembrano importanti da portare avanti.
Do la parola al sottosegretario per la replica.

CARLO GIOVANARDI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio. Ringrazio il presidente e tutti i colleghi che sono intervenuti. Faccio soltanto qualche rapida annotazione, perché poi la replica credo si svilupperà nei lavori parlamentari e nel confronto che, sulle singole materie, porteremo avanti.
Il problema del dipartimento (adesso si chiama struttura di missione, poi diventerà dipartimento) credo che sia importante e - lo devo dire francamente - fu un errore due anni fa eliminarlo, perché la politica della droga ha varie sfaccettature. C'è un aspetto internazionale, che coinvolge le Nazioni Unite, l'Agenzia di Vienna, Lisbona, e i nostri rappresentanti, in queste varie realtà, devono avere un punto di riferimento che connetta la politica internazionale con quella fatta a livello nazionale, dove presso il Ministero dell'interno è concentrato un potere di contrasto al traffico della droga, così come avviene anche per i Carabinieri e la Guardia di finanza.


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C'è poi tutto un aspetto che riguarda la sanità: i SERT e le regioni. C'è anche un aspetto che riguarda il Ministero della giustizia e cioè le carceri. Ma dovrà pure esistere un luogo, un osservatorio, dal quale tutte queste politiche vengono condotte a unità. Il dipartimento serve a questo. Faccio un esempio banale: ho notato che l'allora Ministro Turco, dopo la morte di alcuni bambini a seguito dell'incidente di un pulmino, ha sollecitato l'approvazione di un regolamento che prevede l'esecuzione di test per le professioni a rischio. È chiaro che, appena assunto questo incarico (da un mese), ho preso contatti direttamente con il dicastero della sanità e, con soddisfazione, ho constatato che la Commissione ha completato i suoi lavori.
Accelerando i tempi, credo che a settembre saremo già operativi. Un intervento di chi intraprende le politiche sulla droga per monitorare, per imprimere un'accelerazione oppure per verificare se i problemi, vengono, magari in buona fede, accantonati, serve proprio per avere un quadro complessivo. Se non si persegue una politica unitaria proprio in materia di droghe, le iniziative assunte rischiano di perdersi nei vari Ministeri. Del resto anche la nomina a capo del dipartimento del dottor Serpelloni, che viene da un'esperienza regionale e che conosce bene i SERT del Veneto, che avevano appena fatto decollare l'early warning, gli allarmi precoci per l'utilizzo della droga, sta a significare la nostra volontà di collegare il pubblico con il privato.
Ho convocato - per chi vorrà venire, a metà luglio - tutti i responsabili delle comunità di recupero del privato sociale (sono 5-6 mila), per ascoltarli. Starò lì un'intera giornata ad ascoltare le loro esperienze, i loro problemi, le difficoltà che incontrano sul territorio, al fine di operare una connessione tra il pubblico e il privato. Credo che sia importante aver ricostituito il dipartimento che naturalmente deve avere un occhio anche per altre questioni. Quella dell'alcool è importante, però su questo tema aspetto il Parlamento perché è mia intenzione, per esempio, nel disegno di legge sulla sicurezza, estendere il divieto di somministrazione dell'alcool dalle due del mattino, attualmente in vigore, anche ai chioschi, ai bar e a tutti i locali che continuano a somministrare alcolici, raccogliendo anche una giusta indicazione dei locali da ballo che ci chiedono perché dalle due di notte per loro sia vietato, mentre fuori dal locale, si trova chi può continuare a farlo.
In un incontro che ho convocato qualche giorno fa a Palazzo Chigi, la proposta - che il sindaco di Ravenna ha condiviso (quindi siamo a livello bipartisan) - di introdurre un divieto dalle due del mattino durante l'inverno, arrivando fino alle tre del mattino in estate ha trovato il no assoluto della Confcommercio, della FIPE esercenti e della SILB (associazione italiana imprese di intrattenimento da ballo e di spettacolo), che hanno rivendicato il loro diritto imprenditoriale di somministrare alcool a tutte le ore del giorno e della notte, con la seguente motivazione: noi siamo liberi di somministrarlo, ci penseranno poi Polizia e Carabinieri a controllare.
Mi domando se questa sia prevenzione. Torno a dire che stiamo parlando delle tre del mattino, mentre nei ristoranti di Roma, quando è mezzanotte i camerieri e i titolari invitano ad andarsene perché i locali chiudono. Davanti al calo della mortalità negli ultimi sei mesi, per i provvedimenti che sono stati assunti prima dal Governo Prodi, poi da questo Governo - 270 morti in meno, con 140-150 giovani morti in meno - basati sulla severità della repressione, ma anche sulla prevenzione, sono io a rivolgermi al Parlamento.
Lo so che nella scorsa legislatura la Commissione trasporti all'unanimità, alla Camera, aveva abrogato anche il limite delle due del mattino, con la motivazione che non serve. Ma io sono assolutamente convinto che serva, intanto come messaggio culturale. Qui non si parla di proibizionismo, poiché chiunque, a casa propria, continua a bere quello che vuole. Si tratta di valutare se, davanti ai numeri straordinariamente alti e preoccupanti della mortalità e della traumatologia, specialmente


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giovanile, una società matura possa stabilire che alle tre del mattino non si servono più alcolici. Tutto lì. Oppure che, dalle 23 alle 6, non si vendono più bottiglie, come del resto tanti comuni già stanno facendo, perché queste misure trovano contrasto vivissimo in Parlamento, però poi sul territorio molti comuni prendono misure ancora più repressive per quanto riguarda il bere in pubblico, le bottiglie di vetro e via dicendo.
Su queste tematiche io sono assolutamente presente: ricordo che, nella precedente legislatura, per un voto, i provvedimenti non sono passati in Parlamento; quindi chiedo la collaborazione del Parlamento anche sulla frontiera dell'educazione e della prevenzione su fenomeni come quelli dell'abuso d'alcol e di droghe che hanno causato - riporto ogni tanto questo dato, perché mi colpisce - negli ultimi trent'anni in Italia 250 mila persone morte sul colpo in incidenti stradali, ai quali vanno aggiunti coloro che sono morti a causa dei traumi subiti nell'incidente. Una vera e propria guerra!
Torniamo per un momento alla famiglia. È chiaro che bisogna prevedere un piano. Ne esiste una bozza, che dovrà sostanziarsi in qualcosa che, però, non sia soltanto un libro dei sogni. Avete visto che, quando si parla di famiglia, ci si appassiona perché si parla di tutto lo scibile umano.
Torniamo alla famiglia della Costituzione: la nostra ferma opinione è che chi si sposa garantisce alla società una potenziale stabilità. Sappiamo tutti benissimo che è potenziale, perché può finire in una separazione o un divorzio, però c'è un impegno pubblico a costruire un nucleo, all'interno del quale vengono anche accolti dei figli e quant'altro.
Chi non si sposa fa la scelta libera di non garantire alla società alcuna potenziale stabilità, perché dice: sono libero di non sposarmi, di avere un rapporto di fatto costruito nelle maniere più variegate. Abbiamo il problema musulmano oggi, del fondamentalismo e anche della poligamia, che esiste, visto che in questa sala alcune associazioni fondamentaliste hanno chiesto il riconoscimento di un dato di fatto: la presenza della poligamia nel nostro Paese. Evidentemente non possiamo riconoscere la poligamia, se non altro per una questione di dignità e di rispetto delle donne.
Ebbene, il pubblico si rapporta con chi garantisce, come la Costituzione prevede, una potenziale stabilità. Non è che gli altri debbano essere discriminati. Rispondo all'onorevole Coscioni: non ho mai detto che non debbano essere riconosciuti i diritti in ogni altra forma; anzi, devono essere assolutamente riconosciuti i diritti del singolo. C'è l'anziano che vive solo, ed è chiaro che ha dei diritti.
Il Ministro Bindi, nella scorsa legislatura, negava che le coppie che sceglievano di fare i PACS fossero solo coppie unite da un orientamento sessuale e diceva che poteva trattarsi anche di una forma di convivenza tra una zia e una nipote, due suore.
Perfetto, ma voi capite che se abbiamo in mente il singolo, abbiamo in mente queste forme di convivenza, abbiamo in mente le convivenze di chi non vuole sposarsi, abbiamo in mente le convivenze omosessuali, abbiamo in mente 58 milioni di cittadini italiani. Tutti sono titolari di diritti e tutti devono ottenere il riconoscimento dei loro diritti.
Il legislatore, allora, mette un «paletto». Facciamo l'esempio delle adozioni internazionali. Con Anna Serafini, quando due legislature fa facemmo la legge, passò il principio, condiviso da tutti allora, secondo cui chi voleva adottare un bambino all'estero doveva essere sposato.
Per abbreviare i tempi, abbiamo poi concesso anche il riconoscimento di una convivenza precedente al matrimonio, ma nel momento in cui si chiede l'adozione si deve essere sposati, si deve garantire una potenziale stabilità anche al Paese terzo al quale si chiede il bambino.
I diritti dei bambini devono essere assolutamente tutelati. Immaginate un bambino che nasce da una coppia di fatto: è chiaro che deve essere tutelato.
Ma se le risorse non sono infinite, anzi se le risorse sono finite, a parità di condizioni,


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domando se debba esistere una differenza tra la coppia che garantisce la potenziale stabilità e che come dice la Costituzione, ha fondato la sua unione sul matrimonio, e le altre.
Quando si parla di risorse, forse bisognerà fare una gerarchia. Certo, se ci fossero risorse per tutti, a 58 milioni di italiani garantiremmo risorse aggiuntive, poiché ciascuno vive una propria situazione di difficoltà. Se invece si rileva qualche priorità, un occhio di favore va dato a coloro che svolgono anche una funzione sociale. Tutto qui. Non mi sembra niente di trascendentale.
È evidente - penso che ci siamo capiti - che non abbiamo in mente la Spagna di Zapatero, né possiamo immaginare che due persone dello stesso sesso vivano assieme e che ciò possa trasformarsi in un matrimonio.
Staremo molto attenti anche a Lisbona; l'accordo va ratificato, ma nel nostro ordinamento non possono entrare impostazioni che scardinano questa visione della famiglia, su cui ogni Stato sovrano è autonomo e indipendente. Non è necessario farsi imporre dall'Europa modelli familiari che non ci appartengono. È chiaro che la nostra partecipazione all'Europa non vuol dire abdicare a questa nostra visione della famiglia.
Si tratta di questioni molto importanti su cui ci soffermeremo anche in futuro. Vi ringrazio nuovamente per la vostra partecipazione.

PRESIDENTE. Ringrazio il sottosegretario per l'esauriente relazione svolta. Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 13,30.

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