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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissione XII
1.
Mercoledì 26 maggio 2010
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Palumbo Giuseppe, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLE ABBINATE PROPOSTE DI LEGGE C. 412 DI VIRGILIO E C. 1992 BINETTI RECANTI «ISTITUZIONE DI SPECIALI UNITÀ DI ACCOGLIENZA PERMANENTE PER L'ASSISTENZA DEI PAZIENTI CEREBROLESI CRONICI»

Audizione di rappresentanti della Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione, terapia intensiva (SIAARTI), del Gruppo italiano per la valutazione degli interventi in terapia intensiva (GiViti), del Gruppo italiano per lo studio delle gravi cerebrolesioni acquisite e di riabilitazione (GISCAR), della Società italiana di medicina fisica e riabilitativa (SIMFER) e dell'IRCCS Centro neurolesi «Bonino Pulejo»:

Grassi Gero, Presidente ... 3 10 11
Palumbo Giuseppe, Presidente ... 11 14
Avesani Renato, Coordinatore nazionale della SIMFER ... 5 12
Binetti Paola (UdC) ... 10
Bramanti Placido, Direttore scientifico dell'IRCCS centro neurolesi «Bonino Pulejo» di Messina ... 6 14
Di Virgilio Domenico (PdL) ... 10
Farina Coscioni Maria Antonietta (PD) ... 11
Gristina Giuseppe Renato, Coordinatore del gruppo di studio di bioetica della SIAARTI ... 7 13
Malacarne Paolo, Componente del Comitato tecnico scientifico del GiViTi ... 3
Nardi Giuseppe, Componente del Comitato tecnico scientifico del GiViTi ... 4 11
Zampolini Mauro, Coordinatore del GISCAR ... 8 12
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud/Lega Sud Ausonia: Misto-NS/LS Ausonia.

COMMISSIONE XII
AFFARI SOCIALI

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 26 maggio 2010


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GERO GRASSI

La seduta comincia alle 15.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti della Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione, terapia intensiva (SIAARTI), del Gruppo italiano per la valutazione degli interventi in terapia intensiva (GiViti), del Gruppo italiano per lo studio delle gravi cerebrolesioni acquisite e di riabilitazione (GISCAR), della Società italiana di medicina fisica e riabilitativa (SIMFER) e dell'IRCCS Centro neurolesi «Bonino Pulejo» di Messina.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nel contesto dell'indagine conoscitiva nell'ambito dell'esame delle abbinate proposte di legge C. 412 Di Virgilio e C. 1992 Binetti recanti «Istituzione di speciali unità di accoglienza permanente per l'assistenza dei pazienti cerebrolesi cronici», l'audizione di rappresentanti della Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione, terapia intensiva (SIAARTI), del Gruppo italiano per la valutazione degli interventi in terapia intensiva (GiViTi), del Gruppo italiano per lo studio delle gravi cerebrolesioni acquisite e di riabilitazione (GISCAR), della Società italiana di medicina fisica e riabilitativa (SIMFER) e dell'IRCCS Centro neurolesi «Bonino Pulejo» di Messina.
Nel dare il benvenuto mio e di tutta la Commissione ai nostri ospiti, ricordo che sono presenti il dottor Giuseppe Nardi e il dottor Paolo Malacarne, componenti del Comitato tecnico-scientifico del GiViTi, il professor Renato Avesani, Coordinatore nazionale della Società italiana di medicina fisica e riabilitativa, il professor Placido Bramanti, direttore scientifico dell'IRCCS Centro neurolesi «Bonino Pulejo» di Messina. Dovrebbero raggiungerci, il dottor Giuseppe Renato Gristina, coordinatore del gruppo di studio di bioetica della SIAARTI, e il dottor Mauro Zampolini, Coordinatore del GISCAR e direttore del Dipartimento di riabilitazione ASL3- Regione Umbria.
Do la parola ai nostri ospiti.

PAOLO MALACARNE, Componente del Comitato scientifico del GiViTi. Io e il dottor Nardi parliamo a nome del Gruppo italiano per la valutazione degli interventi in terapia intensiva (GiViTi), una rete di terapie intensive a livello nazionale.
I reparti di rianimazione e terapia intensiva sono 450-500 in tutta Italia. Circa il 60 per cento di questi, 230 reparti, partecipa su base volontaria a questa rete, che si chiama GiViTi, ed è coordinata dal laboratorio di epidemiologia clinica dell'Istituto Mario Negri di Milano. Lo scopo di questa rete dal 2002 è di raccogliere dati su tutti i pazienti ricoverati ogni giorno nelle terapie intensive, sull'organizzazione delle terapie intensive, sull'appropriatezza dell'utilizzo delle risorse in terapia intensiva.
Abbiamo a disposizione un database clinico, dal quale abbiamo ricavato i dati e i numeri, che poi il dottor Nardi vi


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fornirà, per capire quale sia la dimensione del problema in terapia intensiva.
Prima di dare la parola al dottor Nardi, mi preme definire preliminarmente due importanti aspetti. Il paziente in stato vegetativo o in stato di minima coscienza rappresenta purtroppo l'esito non positivo di un paziente che ha avuto una grave cerebrolesione acquisita acuta, è stato ricoverato in un reparto di rianimazione o terapia intensiva, ne è successivamente uscito perché ha recuperato le sue funzioni vitali, respiratoria e cardiocircolatoria, ma il danno neurologico come esito di questa grave lesione è lo stato vegetativo o di minima coscienza.
Il paziente in stato vegetativo o in stato di minima coscienza di per sé non deve stare in terapia intensiva, reparto che «produce» purtroppo questi pazienti, che, avendo recuperato le loro funzioni vitali, in assenza di altre comorbilità, non dovrebbero rimanere in terapia intensiva. Il letto di terapia intensiva deve essere utilizzato per le situazioni acute di pazienti che hanno necessità di un supporto attivo delle funzioni vitali, di ventilazione meccanica assistita invasiva o non invasiva, di supporto dell'apparato cardiovascolare, di supporto delle funzioni cerebrali per uno stato di coma.
Il paziente in stato vegetativo, se non ha altre comorbilità, non ha necessità di stare in terapia intensiva, perché ha funzioni vitali autonome, respira per conto suo e non ha bisogno di farmaci o attrezzature per l'apparato cardiocircolatorio. La sostanziale differenza fra lo stato di coma e lo stato vegetativo è che il paziente in coma non apre mai gli occhi a nessuna stimolazione adeguata, mentre il paziente in stato vegetativo ha recuperato lo stato di vigilanza e quindi ha gli occhi aperti. È dunque estremamente importante diversificare adeguatamente lo stato di coma dallo stato vegetativo come già avviene in ambito scientifico. Il problema di questa tipologia di pazienti dovrebbe riguardare marginalmente i reparti di rianimazione e di terapia intensiva, dove questi pazienti non dovrebbero trovarsi.
Possiamo comunque fornire i dati concernenti i pazienti con una grave cerebrolesione acquisita, che all'improvviso vanno in stato di coma per un trauma, per un'emorragia cerebrale o per un ictus, vengono trattati nei nostri reparti e successivamente, al momento della dimissione, recuperate le loro funzioni vitali, presentano un quadro di stato vegetativo o di stato di minima coscienza, che nei reparti di neuroriabilitazione avrà le possibili evoluzioni. Lascerei la parola al dottor Nardi per fornire alcune cifre.

GIUSEPPE NARDI, Componente del Comitato tecnico scientifico del GiViTi. Buongiorno a tutti e grazie dell'invito. Ci avete posto domande precise, alle quali risponderemo con i dati.
I pazienti in stato di coma a causa di trauma o per motivi diversi dal trauma quali accidenti cerebrovascolari, nelle rianimazioni del GiViTi sono 5.000 all'anno, ovvero sul territorio nazionale 10.000. Questi non diventano tutti pazienti in stato vegetativo, perché una grande parte di questi pazienti si riprende, un'altra parte avrà poi un processo di riabilitazione, molti purtroppo decedono. Occupano le terapie intensive mediamente 15 giorni ciascuno e quelli che sopravvivono in ospedale per 31 giorni di media.
Che cosa succede a questi pazienti è estremamente diverso, se pensiamo a pazienti vittime di trauma e a pazienti vittime di lesioni cerebrali. I pazienti vittime di lesioni cerebrali sono anziani, con un'età media di 70 anni, rappresentano la gran parte (6.000 su 10.000) e hanno una mortalità enorme in ospedale, perché il 61 cento decede. Di conseguenza, trattandosi di pazienti anziani, in misura minore hanno bisogno di accedere a strutture che si occupano di stato vegetativo, perché purtroppo in gran parte decedono.
Completamente diversa appare la situazione dei traumatizzati. Sono pazienti molto più giovani (il 40 per cento ha meno di 45 anni) e hanno ottime possibilità di ripresa, giacché la mortalità è del 31-34 per cento, per cui hanno bisogno di una precoce riabilitazione intensiva.


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Il numero di questi pazienti che va incontro a uno stato vegetativo dipende dall'organizzazione dei soccorsi sul territorio. C'è una differenza enorme tra regione e regione in Italia, così come in Europa. La differenza può arrivare anche fino al 40 per cento per quanto riguarda la mortalità e gli esiti invalidanti. Questo è un altro compito del legislatore.
Alcune regioni italiane hanno sistemi di soccorso che prevedono il trasporto immediato di tutte le vittime di trauma grave a pochi centri specializzati, e hanno delle mortalità molto basse. Recentemente, è stato condotto uno studio finanziato dal Ministero su tre grandi ospedali italiani che coprono tre milioni di abitanti. In un anno, i pazienti in stato vegetativo sono stati 6 su 3 milioni di abitanti. Altre aree d'Italia hanno una mortalità doppia e un numero infinitamente superiore di pazienti in stato vegetativo.
Il nostro primo messaggio è che, se vogliamo risolvere o limitare questo problema, che certamente poi rende necessaria la presa in carico delle famiglie dei pazienti, il primo step è quello di migliorare anche sul piano normativo il soccorso in fase acuta.
Il motivo per cui si trovano in terapia intensiva è già stato illustrato dal dottor Malacarne. Una volta che riprendono la funzionalità respiratoria e potrebbero essere dimessi dalla terapia intensiva, il problema è che in Italia c'è un numero troppo limitato di strutture di riabilitazione intensiva, che sono lo step successivo di estrema importanza, e a loro volta queste strutture sono sovraccariche, perché rimangono loro in carico pazienti che dovrebbero trovare una soluzione con la vostra proposta di legge.
Quello che come gruppo italiano ci sentiamo di dire in conclusione è che come GiViTi siamo in grado, se ce ne date mandato, di potervi dire, con un'osservazione di qualche mese, quanti sono esattamente i pazienti che, entrati in coma e in rianimazione, rimangono poi in stato vegetativo. Lo possiamo fare.
In un momento di grandi tagli di risorse, bisogna stare attenti a non tagliare le risorse al sistema di emergenza in fase acuta, perché il risultato sarà inevitabilmente un accumulo di morti e di pazienti invalidi. Per migliorare le condizioni delle famiglie, ridurre le sofferenze e recuperare questi pazienti, è inoltre importante che le terapie intensive, le riabilitazioni intensive e le unità di cui voi giustamente immaginate di portare avanti lo sviluppo, lavorino insieme come un processo unitario. Questo è l'unico modo di tutelare la popolazione.

RENATO AVESANI, Coordinatore nazionale della SIMFER. Grazie dell'invito. Parlo a nome della fase successiva, quindi di un grosso gruppo di centri di riabilitazione di alta specialità, che si riuniscono all'interno della SIMFER, che è una società scientifica, ma non solo, e quindi il mio è il punto di vista a valle di coloro che vedono i pazienti una volta dimessi dalle rianimazioni e che gestiscono il percorso di recupero, quando è possibile, o in ogni caso si fanno carico della collocazione delle persone che rimangono in stato vegetativo o di minima responsività nel lungo periodo o per sempre.
Mi preme sottolineare come già nel documento Di Virgilio del 2005 fosse stato sottolineato il concetto secondo cui si tratta non solo di stato vegetativo, ma anche di soggetti a minima responsività. La nostra impressione è che i soggetti con danni cerebrali molto gravi, in particolare gli esiti di trauma cranico, abbiano quasi sempre un'evoluzione verso la minima responsività, che tuttavia non significa un abbattimento della disabilità, che rimane sempre elevatissima.
Questi soggetti, che pure recuperano una minimo di responsività e di coscienza, sono omologabili allo stato vegetativo per le conseguenze sulla famiglia, sul carico assistenziale e su tutto il percorso. Si tratta quindi di due categorie, che sostanzialmente rappresentano due grossi esiti.
Confermo quanto già affermato dai colleghi, perché anche il nostro osservatorio, che è fatto di registri di valenza regionale o interregionale - stiamo raccogliendo


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dati da qualche anno -, ci permette di rilevare come la patologia traumatica sia in diminuzione in questi soggetti, prevalgano altre patologie come quella vascolare e negli ultimi anni quella post-anossica o anossica da arresto cardiaco, che rappresenta una vera emergenza perché sono soggetti che difficilmente recuperano qualcosa.
Anche per quanto riguarda l'età, la nostra è una popolazione evidentemente più selezionata rispetto a quella che giunge in terapia intensiva, che si screma dei decessi, ma l'età media dei soggetti con danno vascolare anossico supera ormai abbondantemente i 50 anni, quindi ci avviciniamo a 55-57 anni, mentre i traumatici si attestano sui 40-42 anni d'età. In ogni caso, rispetto a 10-15 anni fa, l'età media di questa popolazione sta aumentando, con ripercussioni notevoli per quanto riguarda il collocamento finita la fase riabilitativa.
La permanenza dei soggetti è di circa 30 giorni nella rianimazione, mentre rimangono mediamente per un periodo di 4-6 mesi nel percorso riabilitativo e poi si pone il problema di che cosa succeda dopo la fase riabilitativa. Il 70 per cento dei soggetti traumatici esce da questa condizione con una disabilità più o meno elevata, alcuni con una disabilità paragonabile allo stato vegetativo. Molto diversa è la condizione dei pazienti vascolari e post-anossici, sia per l'età, sia per la patologia che ha determinato il danno, che di solito non hanno un recupero favorevole e si assestano con un danno piuttosto elevato.
La mortalità all'interno dei centri di riabilitazione è bassa, in media si aggira sul 3 per cento dei soggetti ricoverati, quindi la sopravvivenza di queste persone, una volta stabilizzate, è molto elevata.
Come gruppo, monitoriamo anche alcune strutture a valle della fase sanitaria, quindi a valle del percorso riabilitativo. In alcune regioni, già sono nate strutture simili alle SUAP. Appartengo alla regione Veneto, che già nel 2001 aveva deliberato l'istituzione di unità per stati vegetativi per 145 posti letto su tutta la regione. La sopravvivenza all'interno di queste strutture è molto elevata e viaggia abbondantemente oltre i cinque anni di vita e quindi è facile saturare queste strutture.
Ieri, ho inviato tramite posta elettronica una piccola tabella relativa a un progetto di ricerca che stiamo portando avanti. La nostra impressione è che ci sia una necessità a valle del percorso riabilitativo, quindi a valle della fase ospedaliera. Terminato il grosso del percorso riabilitativo, dopo otto o nove mesi la persona è piuttosto caratterizzata per quanto riguarda gli esiti, per cui sono necessari 30-40 posti letto per milione di abitanti di strutture a carattere definitivo e permanente.
Lavorando nella riabilitazione, facciamo molta fatica a dimettere queste persone perché non ci sono luoghi in cui ospitarle. Una volta, il domicilio era la scelta prevalente, mentre adesso in alcune regioni, per forza o per cultura, si tende a portare queste persone a casa, ma per lo più ci si sta spostando verso una istituzionalizzazione. I posti che attualmente esistono sono saturi, quindi si sente veramente la necessità di trovare strutture adeguate per queste persone.

PLACIDO BRAMANTI, Direttore scientifico dell'IRCCS Centro neurolesi «Bonino Pulejo» di Messina. Anch'io ringrazio per l'invito. Eviterò di ripetere quanto i colleghi hanno già detto in maniera molto chiara e assolutamente condivisa.
Uno degli aspetti richiamati dal collega Avesani è quello della permanenza in strutture ospedaliere. Questa è la criticità nella quale ci troviamo negli ambienti di neurologia e di neuroriabilitazione intensiva, perché la patologia è complessa e difficilmente gestibile in ambienti domiciliari e non vi sono rappresentazioni valide nel territorio di residenze assistite che abbiano questo tipo di taglio.
Gli stati vegetativi possono essere diversificati a seconda della gravità, perché al loro interno ci può essere una gravità dovuta alla comorbilità. Faccio l'esempio della nutrizione, problema assai caro all'onorevole Binetti, ma anche all'onorevole


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Di Virgilio. La PEG è un elemento destabilizzante per i familiari, perché si tratta di alimentare con una certa professionalità i pazienti e, nonostante l'apporto di assistenza domiciliare, molto spesso si trovano in difficoltà per quanto riguarda non solo le tecniche che poi vengono assimilate, ma anche la gestione di una serie di problemi. Queste persone sono infatti totalmente assenti sul piano della motricità, e quindi non facilmente gestibili sul piano del decubito, degli sfinteri e dell'alimentazione in particolare.
Questo aspetto contemplato nei due disegni di legge dovrebbe essere più approfondito, dal momento che la continuità territoriale, il supporto alle famiglie, questi speciali ambienti che non possono essere classificati come normali RSA, perché le RSA nel concetto generale sono altra cosa, dovrebbero essere meglio puntualizzati insieme al team multispecialistico, che deve assolvere all'ingrato compito della restituzione alle famiglie di queste persone, restituzione che avviene solo in una percentuale molto ridotta e che mette in crisi le strutture impedendo il turnover per quelle che hanno la possibilità di dare disponibilità ai colleghi della rianimazione, che chiedono con urgenza perché il loro è un posto che può salvare una vita; ma spesso non possiamo rispondere in quanto intasati.
Grazie alla Regione siciliana, che per una volta - io sono siciliano - ha attuato il piano delle SUAP e delle unità di risveglio, abbiamo potuto coprire questa esperienza, per cui questi suggerimenti sono anche vissuti, oltre che raccolti dalla letteratura sia italiana sia internazionale. Su queste proposte esprimiamo quindi la nostra condivisione, sottolineando però queste criticità ancora oggi in evoluzione.

GIUSEPPE RENATO GRISTINA, Coordinatore del gruppo di studio di bioetica della SIAARTI. La Società italiana di anestesia e rianimazione ringrazia per questo invito. Desidererei esprimere il nostro compiacimento per il fatto che esistano questi due progetti di legge tesi a sanare una carenza assistenziale importante, che ricade soprattutto sui pazienti affetti da stato vegetativo o minima coscienza e sulle loro famiglie.
In qualità di anestesisti e rianimatori, intendiamo evidenziare come istituzionalmente questi malati non siano malati da rianimazione. Al contrario, lo sono i malati che sono affetti da patologie, che acutamente possono incidere sullo stato di coscienza e quindi generare uno stato di coma come le vasculopatie, i dismetabolismi, gli arresti cardiaci con stato anossico cerebrale, che potranno evolvere successivamente in stato vegetativo.
Dal nostro punto di vista è quindi possibile stabilire un continuum, che da queste ultime patologie in fase acuta e quindi con questi malati in rianimazione in stato di coma si evolve verso gli stati vegetativi successivamente identificati.
È fondamentale stabilire la causa che sta dietro l'evoluzione di uno stato di coma in stato vegetativo. In letteratura è infatti distinta l'eventualità che questi coma possano essere indotti da cause non traumatiche o da cause traumatiche. Nel primo caso, l'età è più elevata, hanno una mortalità ospedaliera più elevata, in generale sostano in ospedale molto più a lungo sia in rianimazione che successivamente nei reparti di degenza ordinaria. Al contrario, i pazienti che evolvono in stato vegetativo da un coma traumatico sono molto più giovani, hanno un'aspettativa di vita sicuramente più lunga e, se adeguatamente curati, hanno prospettive migliori anche dal punto di vista della qualità della vita.
È quindi opportuno sottolineare che in tutti i Paesi del mondo, attualmente anche nel nostro Paese seppur in forma iniziale, nelle regioni in cui esiste un'efficace assistenza extraospedaliera e ospedaliera dedicata, i cosiddetti Trauma Center, la qualità della cura in fase acuta e dell'evoluzione è sicuramente migliore. Alla luce di queste sommarie valutazioni, l'incidenza degli stati vegetativi e di minima coscienza può essere ridotta con misure preventive, atte prima di tutto a migliorare qualità ed efficacia dell'assistenza in fase acuta.


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La SIAARTI, pur cosciente della grave situazione economica del Paese, auspica che le proposte di legge in esame possano rappresentare anche una spinta all'obiettivo di aumentare le risorse disponibili per le rianimazioni, che in prima battuta affrontano queste patologie. La prevenzione secondaria dei danni cerebrali attraverso un'assistenza ottimale in fase acuta e subacuta è ancora oggi, secondo ogni evidenza scientifica, l'intervento più incisivo.
Per quanto riguarda lo specifico dei due progetti di legge, la definizione dei carichi assistenziali non è sottolineata in modo adeguato sia per quanto riguarda la numerosità dei casi, che fa riferimento ad alcuni dati rilevati soltanto parzialmente da alcune regioni, sia per quanto riguarda le dotazioni in riferimento al personale infermieristico e medico.
Da questo punto di vista, occorre sottolineare che l'assistenza tarata in 330 minuti sembra essere estrapolata dal contesto rianimativo. Questo non corrisponde sempre a una sovrapposizione reale fra carichi di assistenza del paziente in stato vegetativo e del paziente in stato di coma in rianimazione. Auspichiamo quindi una revisione dei due progetti di legge nel merito specifico di questa questione.
È comune esperienza clinica il problema che si crea nelle rianimazioni quando pazienti affetti da patologie in grado di determinare uno stato di coma permangono in questi reparti, pur non necessitando più di assistenza intensiva, perché mancano reparti in grado di ospitare questi malati quando entrano nella fase subacuta di assistenza. A questo proposito, è auspicio della SIAARTI che insieme all'istituzione delle SUAP sia sviluppato un piano di incentivazione dei reparti subintensivi, in grado di accogliere pazienti con necessità assistenziali di grado intermedio, liberando quindi risorse assistenziali nelle rianimazioni.Grazie.

MAURO ZAMPOLINI, Coordinatore del GISCAR. Grazie per l'invito soprattutto perché questo è un argomento molto importante per i pazienti e per i loro familiari, ma anche per noi che operiamo in questo ambito.
Nel mio dipartimento abbiamo recentemente aperto una unità subintensiva, ovvero una possibilità di prendere in carico il paziente, di farlo uscire prima possibile dalla rianimazione trattandolo precocemente.
Sono qui come coordinatore del GISCAR, studio cui hanno partecipato il dottor Avesani, il dottor Bramanti e praticamente tutti i 52 centri italiani, per cui abbiamo il quadro di quello che è successo in Italia per quanto riguarda l'approccio a queste persone. Per l'occasione, dal campione che riguardava 2.600 casi ho estratto gli stati vegetativi. Abbiamo quindi dati specifici relativi a 597 casi di stato vegetativo, per cui possiamo oggettivare sia ciò che succede nella fase riabilitativa, sia ciò che succede nel follow-up, quando questi pazienti vengono dimessi e si trovano nell'agone del ritorno a casa oppure del cosiddetto «turismo tra ospedali», perché, non trovando una risposta come quella proposta con le SUAP, spesso vanno in carico ad altri ospedali.
Un elemento importante, già sottolineato dal dottor Avesani, è che da qualche anno questi stati vegetativi stanno variando: aumentano i casi non traumatici, diminuiscono quelli traumatici, e questo è un dato molto importante dal punto di vista del percorso di cura.
Nella prima diapositiva è indicata la distribuzione di questi casi e si nota come i casi non traumatici riguardino persone intorno ai 60 anni. Questo implica che la gestione successiva sarà più complessa e presumibilmente con meno supporto. L'altro aspetto è che le persone con condizione vegetativa non traumatica non recuperano altrettanto bene come i traumatici. Questa è una tendenza in aumento molto rilevante.
Il dato positivo è che nel nostro campione gran parte degli stati vegetativi migliora. Lo stato vegetativo deve quindi essere considerato non una condizione statica, ma una condizione che può migliorare e che trae beneficio dall'intervento riabilitativo. L'intervento deve quindi essere


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inteso non solo come supporto assistenziale per la cronicità, ma soprattutto nella fase post-acuta come un intervento riabilitativo.
Per quanto riguarda la destinazione alla dimissione, come evidenziato dal dottor Avesani, solo una minoranza torna a casa. Un terzo dei pazienti va in lungodegenza generica, spesso RSA, con una mortalità piuttosto alta, anche se non abbiamo dati precisi, o passa in altri centri di riabilitazione, finché non si trova una collocazione.
Questo chiaramente appesantisce tutto il percorso riabilitativo e assistenziale. Ad esempio, una media di 137 giorni di permanenza in riabilitazione impedisce ai centri di riabilitazione di prendere precocemente in carico i pazienti dalla rianimazione. Si crea quindi un collo di bottiglia per cui l'intervento è ritardato e la riabilitazione intesa come un intervento precoce decade.
Il danno si rileva quindi non solo rispetto al paziente e alle famiglie, che sono al centro della nostra attenzione, ma anche rispetto al percorso riabilitativo e al recupero di questi pazienti.
L'ultima diapositiva mette in evidenza un dato drammatico. Abbiamo verificato quanti stati vegetativi sopravvivessero nel follow-up e a distanza di due o tre anni il 32 per cento era deceduto.
Il dato positivo è che una parte di questi casi, anche ritornati a casa dopo il percorso riabilitativo, ha continuato a migliorare. Un 2 per cento ha avuto addirittura un buon recupero, mentre altri sono passati da una condizione di stato vegetativo a una condizione di grave disabilità. L'intervento su persone in stato vegetativo non può essere limitato ai primi giorni e ai primi mesi, perché si tratta di persone che devono essere supportate e monitorizzate nel tempo, perché, anche se raramente, oltre l'anno ci possono essere dei miglioramenti.
L'ultimo elemento drammatico è il calcolo della media delle ore di assistenza settimanale nel follow up dei pazienti in stato vegetativo. Le famiglie hanno una media di assistenza fatta da loro di 45 ore a settimana, mentre l'impegno medio pubblico è di poche ore alla settimana e l'impegno di assistenza da parte del volontariato è praticamente assente.
Questo significa che il supporto si traduce in un peso economico molto importante per la famiglia, per cui ironizzando affermo sempre che di una tragedia se ne possono fare molte, laddove una persona in stato vegetativo a domicilio crea una condizione familiare drammatica, per cui il carico si estende ai fratelli e alle sorelle, divenendo un problema non solo economico, ma di «disfacimento» familiare. Ovviamente, abbiamo avuto alcuni casi positivi di rientro a casa in una condizione di accoglienza nelle famiglie, ma sono casi rari.
I pazienti in stato vegetativo dunque migliorano. Quando come gruppo che si occupa della riabilitazione di queste persone sentiamo parlare sempre e solo di stati vegetativi, non condividiamo questo approccio, perché gli stati vegetativi sono un esito che a volte è minoritario rispetto al più grosso problema, che è l'intervento sulle gravi cerebrolesioni. Vorremmo evitare che, pensando solo allo stato vegetativo, si trascurasse l'intervento da effettuare.
Le degenze in riabilitazione sono troppo prolungate, ma spesso questo prolungamento dipende non dai vantaggi della riabilitazione, ma dalla mancanza di un «dopo». Se queste strutture esistessero, il tempo sarebbe diminuito, potremmo prendere più precocemente pazienti dall'area rianimatoria e far fruire il percorso in maniera molto più efficace.
C'è un'alta incidenza di decessi a domicilio, perché un terzo dei pazienti in stato vegetativo decede dopo due o tre anni. Questo testimonia uno scarso supporto, sia perché il domicilio spesso non è attrezzato, sia perché, se il paziente va in RSA, cioè in strutture non particolarmente dedicate, il rischio di morte è molto alto.
Abbiamo sottolineato l'esiguità del numero di coloro che ritornano a casa e il «turismo tra ospedali» cui spesso è inaccettabilmente sottoposto il paziente che


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non riesce a tornare a casa. Oltre alla mortalità nel follow-up ci sono anche i miglioramenti. Questi pazienti devono quindi essere supportati in queste strutture dedicate e l'occhio del riabilitatore deve essere sempre vigile, perché talvolta possono migliorare anche nel tempo.
L'ultimo aspetto, forse il più importante, è lo scarso supporto alle famiglie che anche da questi dati si oggettivizza in maniera eclatante. Grazie.

PRESIDENTE. Prima di dare la parola all'onorevole Di Virgilio, vi ringrazio per la capacità di sintesi e la chiarezza con cui avete offerto il vostro contributo.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

DOMENICO DI VIRGILIO. Sarò brevissimo. Desidero innanzitutto ringraziare, insieme al Presidente, i colleghi estremamente esperti e i gruppi di studio che si occupano di questa problematica. Mi sono occupato del problema quando ero sottosegretario. Questi cinque anni mi sembrano trascorsi invano per quanto riguarda la soluzione di questi problemi, nonostante l'impegno professionale e del volontariato, che a macchia di leopardo funziona molto bene. In questi cinque anni, nonostante l'impegno dei professionisti, è stato fatto molto poco.
Del resto, questo gruppo di soggetti, di cui il numero definitivo non si riesce a comprendere, anche perché la diagnosi è variabile, costituiscono un impegno che lo Stato deve sentire e che coinvolge a catena la struttura pubblica, perché nasce nel centro di rianimazione, ove poi rimane impropriamente, passa nelle strutture riabilitative, vi rimane più di quanto dovrebbe, ha bisogno di riabilitazione per tutta la vita, quindi riabilitazione anche domiciliare.
Il rientro al domicilio deve essere facilitato sostenendo le famiglie, che sono invece abbandonate e che hanno bisogno di un supporto non solo economico, ma anche tecnico, quindi di riabilitatore, psicanalista e psicologo.
Credo dunque che questa indagine conoscitiva opportunamente avviata dalla Commissione debba portare a una conclusione che prenda atto di queste esigenze e riesca finalmente a dare risposte concrete ai malati, alle famiglie e ai professionisti.

PRESIDENTE. Condivido ovviamente la dichiarazione dell'onorevole Di Virgilio. Mi auguro che la crisi mondiale e la manovra del Governo non diano un ulteriore colpo a questo problema.

PAOLA BINETTI. Anch'io ringrazio per la chiarezza, la linearità, la totale e assoluta coincidenza dei vostri dati e la completezza, che ne accresce la credibilità.
Mi hanno colpito due osservazioni. La prima evidenziava come la fortuna di un paziente in stato di coma in gran parte dipenda dalla capacità del primo intervento. Si possono fare riflessioni di vario tipo, non solo in ordine alla legge, ma, poiché avete indicatori regionali, vorrei sapere se questo dipenda dalla presenza di protocolli non chiari, non standardizzati, dal fatto che le best practices non siano sufficientemente condivise, da livelli di competenza professionale diversi sul piano nazionale, da modelli organizzativi su cui si potrebbe intervenire. Questo è un primo punto importante, perché, a parte la prevenzione, la precocità dell'intervento fa la qualità.
Mi è sembrato inoltre di capire che ci siano due livelli dell'attenzione riabilitativa, particolarmente neuroriabilitativa. Uno riguarda il paziente che esce dalla terapia intensiva e va in un centro di riabilitazione, restandoci per un certo periodo, laddove una media di 130 giorni crea intasamento. Avete anche detto che c'è anche una riabilitazione che deve accompagnare il paziente in stato di minima coscienza o in stato vegetativo, ma non ho mai trovato nulla di strutturato anche dal punto di vista della formazione dei riabilitatori, dei neuroriabilitatori, che definisca queste modalità, per cui nel paziente in stato vegetativo spesso si interviene con il supporto, la nutrizione, evitando che si


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formino le ulcere da decubito, quindi la mobilizzazione passiva. Viceversa, sarebbe molto interessante definire un percorso di formazione.
In questi anni, ho visitato diverse di queste strutture, rimanendo spesso molto colpita dalla qualità. A Roma, c'è Casa Iside, un piccolo gioiello di attenzione e di cura a questi pazienti; nelle Marche c'è una struttura infinitamente più grande. Mi colpisce però constatare come a un certo punto si arresti totalmente l'approfondimento non diagnostico, ma di studio dell'evoluzione di questo paziente. Spesso, mi è capitato di chiedere se fosse stata rifatta una TAC, una risonanza o una PET. Non vi nascondo che poco dopo la morte di Eluana Englaro avevo cercato di scrivere un micro protocollo di ricerca per capire cosa succedesse, che senso potesse avere. Su questo ho trovato sempre un grande silenzio, come a dire che il dato era ormai acquisito e l'aggiornamento di tipo esclusivamente clinico, con l'osservazione del paziente.
Vorrei sapere se avrebbe senso a vostro avviso capire perché un paziente migliori e le condizioni di un altro invece restino immutate. Il criterio dell'età è sicuramente importante, come anche il criterio del trauma e delle condizioni di salute generali, ma c'è un mistero che potrebbe forse in parte essere svelato.

PRESIDENTE. Devo ricordare che fra 14-15 minuti inizieranno i lavori d'Aula e che nel frattempo si sono conclusi quelli relativi al question time. Invito quindi alla massima sintesi.

MARIA ANTONIETTA FARINA COSCIONI. La chiarezza e la lucidità degli interventi mi confortano e sostengono il pensiero che ho maturato da quando, permettetemi il richiamo, c'è stato il caso di Eluana Englaro.
Vorrei sapere se abbia un senso escludere le argomentazioni che abbiamo svolto in materia di pazienti cerebrolesi cronici dall'articolato del provvedimento uscito da questa Commissione sulle dichiarazioni anticipate di trattamento o, piuttosto, arricchirlo proprio alla luce di tali argomentazioni.
L'articolo 5 della proposta di legge in materia di dichiarazione anticipata di trattamento parla di assistenza ai soggetti in stato vegetativo, quindi proprio della garanzia dell'equità nell'accesso all'assistenza e alla qualità di cura di questi pazienti. Vorrei quindi sapere se riteniate opportuno arricchire questo articolato con le nostre considerazioni oppure escludere l'assistenza ai soggetti in stato vegetativo e inserirla nel provvedimento recante «Istituzione di speciali unità di accoglienza per l'assistenza di pazienti cerebrolesi».
È necessario leggere quanto è uscito da questa Commissione per volontà di questa maggioranza, perché l'articolo 5 è tutto nuovo, è stato completamente stravolto rispetto al testo di legge che è uscito dal Senato. Si legge quindi che «l'assistenza sanitaria alle persone in stato vegetativo o aventi forme neurologiche correlate è assicurata attraverso prestazioni ospedaliere, residenziali e domiciliari», ma voi oggi avete dichiarato che l'articolo 5 dovrebbe essere arricchito o eliminato da un contesto.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIUSEPPE PALUMBO

PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

GIUSEPPE NARDI, Componente del Comitato scientifico del GiViTi. Risponderei alla prima domanda dell'onorevole Binetti relativa alla dichiarazione che tutti quanti abbiamo fatto e condiviso circa la differenza di mortalità e di esiti invalidanti nelle diverse aree italiane.
È un problema fondamentalmente organizzativo. Cito un esempio pratico, perché è una realtà che investe la città di Roma. Un anno e mezzo fa, è stata approvata la legge regionale per le reti di emergenza, che ha previsto che i traumatizzati cranici più gravi, ma anche i pazienti con ictus vengano centralizzati in tre grandi strutture.


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Questa legge è stata applicata dalle unità di emergenza e ha portato a una radicale modificazione della mortalità e degli esiti nel Lazio. Fino a due anni fa, quando un traumatizzato cranico anche giovane veniva soccorso per strada, veniva portato nel primo ospedale, che inviava fax alle centrali operative, trascorrevano ore e ore e nessuno sapeva dove portarlo. Oggi è un sistema automatizzato.
Purtroppo, non sono state date risorse ai centri che se ne fanno carico, ma questo è un discorso diverso, perché ciò cambia completamente le cose. L'ospedale San Camillo, che è il più grosso ospedale traumatologico di Roma, mettendo in campo l'organizzazione specifica, nell'arco di due anni ha ridotto la mortalità dal 42 al 20 per cento per gravi lesioni traumatiche.
Spesso si ritiene che, se i pazienti muoiono di meno, ci siano più pazienti con lesioni invalidanti, mentre è esattamente il contrario. Come dimostrato qualche anno fa dai dati dello studio Registro italiano traumi, che ha coinvolto tre grandi ospedali, laddove si lavora bene il numero di pazienti in stato vegetativo a sei mesi è l'1,4 per cento di tutti i traumi gravi. È una percentuale bassissima. Ne abbiamo avuti 6 su 3 milioni di abitanti, e il sesto mese permette ancora dei recuperi.
Abbiamo davanti uno spazio infinito di miglioramento. Il problema dei pazienti che rimangono in stato vegetativo comunque esiste ed altri sono più competenti di chi parla.

MAURO ZAMPOLINI, Coordinatore del GISCAR. Volevo agganciarmi a questo, perché sono perfettamente d'accordo. Uno studio di Glasgow di qualche anno fa dimostra drammaticamente quanto questo sia vero e come un adeguato intervento in fase acuta incida molto più sulla disabilità esitale che sulla mortalità. Questo è sicuro.
Lo stesso paradigma si può però usare nella fase della cronicità. Purtroppo, in Italia non sono stati realizzati studi su questo, ma un grosso studio fatto due o tre anni fa nel Nord America metteva a confronto Nursing facility e strutture ospedaliere dividendole in profit e no profit, laddove le strutture profit avevano una diminuzione del personale, nonostante fosse numericamente inferiore a quello delle strutture no profit. La differenza in termini di mortalità era drammatica. Si trattava di uno studio effettuato su migliaia di casi, non su un campione selezionato.
Sono quindi cruciali l'aspetto organizzativo e la proporzionalità tra la disponibilità di assistenza, quindi non tanto di medici, quanto di personale di assistenza, e la mortalità. Da questo punto di vista, anche nel pensare alle SUAP, se vogliamo essere onesti con noi stessi, bisogna mettere in campo un intervento che contempli l'aspetto organizzativo. Si può dire che realizziamo strutture con personale ridotto ai minimi termini, ma sappiamo che questo produrrà comunque esiti non positivi.
Le considerazioni dell'onorevole Binetti sono giuste anche in termini di protocolli. È necessario andare verso una standardizzazione dei protocolli, e su questo stiamo lavorando. Come gruppo nazionale della riabilitazione, abbiamo standardizzato tutti i protocolli di intervento riabilitativo e in quasi tutta la rete italiana applichiamo le stesse cose con la stessa tempistica, e speriamo con la stessa qualità.
Vorrei aggiungere un'ultima considerazione sulla «riabilitazione» nella situazione cronica. Nelle SUAP deve essere prevista anche un'attività di mobilizzazione e di supporto. Nella fase cronica in alcune situazioni si può migliorare lo stato vegetativo. Questo significa che l'occhio del riabilitatore deve pesare anche su queste strutture, per capire se ci sono elementi su cui poter agire e poter giungere a miglioramenti. Non è però sostenibile che per tutta la vita si debbano fare dieci ore di riabilitazione, perché sarebbe assolutamente inutile e non produrrebbe alcun beneficio.

RENATO AVESANI, Coordinatore nazionale della SIMFER. La domanda dell'Onorevole


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Binetti era intrigante rispetto a quello che succede nel lungo periodo, soprattutto perché quando si leggono sui giornali certe notizie, viene da dire qualcosa. Condivido le considerazioni del dottor Zampolini e credo che dobbiamo lanciare un messaggio molto chiaro. I pazienti devono essere monitorati, seguiti, sorvegliati per eventuali miglioramenti anche a distanza di tempo, ma sono casi eccezionali quelli che possono cambiare radicalmente l'esistenza delle persone.
Anche per quanto riguarda la ripetizione degli esami, se non ricordo male, nel documento della Commissione di cui avevo fatto parte nel 2005 si formulava l'invito a far sì che l'organizzazione nella cronicità avesse punti di riferimento chiari sul territorio, competenti nella valutazione di queste persone, evitando che una volta dimessi dal percorso ospedaliero se ne occupasse chiunque, con un conseguente aumento dei rischi non solo di piaghe, ma di complicanze di vario tipo. Sono necessari centri competenti, capaci di dare risposte adeguate, che spesso sono anche umane.
Nella mia struttura c'è anche una specie di SUAP con 12 posti letto, che seguiamo da anni. Credo anch'io che il concetto di riabilitazione debba essere interpretato in modo molto esteso in queste situazioni per quanto riguarda non solo l'aspetto motorio, ma anche l'aspetto di animazione nei confronti delle persone, delle famiglie, di counseling raffinato. Tutto questo porta a una relativa soddisfazione delle famiglie che hanno familiari ricoverati in queste strutture.
Dobbiamo evitare la diffusione dell'idea che la riabilitazione possa essere onnipotente, perché questo incentiva i cosiddetti «viaggi della speranza» e spese, senza dare mai pace a queste situazioni in cui, come evidenziato dal dottor Zampolini, a un dramma se ne aggiungono sempre altri.

GIUSEPPE RENATO GRISTINA, Coordinatore del gruppo di studio di bioetica della SIAARTI. Volevo rapidamente centrare l'attenzione sulla prima considerazione dell'onorevole Binetti riguardo alla fortuna di incappare in un primo intervento qualitativamente efficace. L'onorevole parlava di best practice, di competenze professionali e di livelli organizzativi. Dei livelli organizzativi ha parlato il Dottor Nardi.
Le best practice e le competenze professionali vanno insieme e tanto più questi obiettivi si raggiungono quanto più il personale viene allenato non soltanto nell'agone della realtà ma anche dal punto di vista teorico. Nella nostra regione abbiamo visto scendere drammaticamente l'incentivazione ai corsi che abilitano al soccorso extraospedaliero, al soccorso intraospedaliero, ma i giovani colleghi che affrontano queste realtà debbono essere seguiti e «allevati» alla competenza della gestione dei casi critici. Per fare questo, devono essere investiti denari.
Un secondo punto, sempre relativo alle considerazioni dell'onorevole Binetti, riguarda il problema degli studi in evoluzione. Credo che non esistano strumenti diagnostici in grado di definire al meglio un'evoluzione clinica, una volta che determinate lesioni macroscopicamente e con la relativa ricaduta microscopica e metabolica si sono instaurate. Plausibilmente, se facciamo una TAC, una risonanza o una PET a un certo punto del percorso di questo malato e dopo un periodo di tempo, grossolanamente la lesione è quella che è. Il problema è riabilitativo nella misura in cui riusciamo però a diversificare in modo opportuno i vari gradi di malattia.
Il decadimento dello stato di coscienza va visto come un continuum. Non può essere valutato in termini discreti. Conseguentemente, la riabilitazione è efficace nella misura in cui c'è una risposta e non lo è nella misura in cui questa risposta non c'è. Probabilmente, questa risposta non c'è, perché la lesione che si è instaurata è talmente estesa che è inutile andarla a verificare.
Penso che questo sia l'approccio anche eticamente più appropriato nei confronti di questi malati, altrimenti rischiamo di stimolarli eccessivamente rispetto alla loro reale necessità.


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Desidero infine rispondere all'onorevole Coscioni riguardo all'articolo 5: se questo è conformato così come lei ha descritto, probabilmente, se questi due progetti di legge verranno approvati, si inseriranno in questo contesto e conseguentemente questo dovrebbe far parte a sé. Questa è la nostra opinione.

PLACIDO BRAMANTI, Direttore scientifico dell'IRCCS Centro neurolesi «Bonino Pulejo» di Messina. A proposito dei controlli nella cronicità, vorrei dire all'onorevole Binetti che le SUAP così com'erano state concepite erano dei ricoveri di sollievo e dovevano consentire, oltre che a dare sollievo alle famiglie, a potere condurre appositi controlli programmati su questi pazienti. I pazienti postraumatici hanno problemi di idrocefalo ed esistono interventi utili per migliorare e completare, oltre che conoscere, che dovrebbero rientrare in questo percorso.
Si tratta di una patologia che presenta ancora oggi un'altissima percentuale di errore, il 40 per cento, perché non c'è un esame unico che ci consente di fare la diagnosi, ma è prevalentemente una diagnosi clinica. Anche su questo dobbiamo affinare un unico codice di comportamento e di praticità.
L'altro aspetto, che forse oggi non abbiamo potuto considerare per mancanza di tempo, è la considerazione dell'età evolutiva. I bambini sfuggono a questo censimento e sono quelli che più di altri vengono portati a casa e gestiti dai familiari. È di qualche mese fa la notizia apparsa sulla stampa di una ragazza che è arrivata a 33 anni in provincia di Lecco e che è morta a casa assistita solo dai parenti e da qualche infermiere. Il registro nazionale potrà garantire un censimento più preciso e coprire anche questa lacuna.

PRESIDENTE. Ringrazio quanti sono intervenuti e mi scuso di non essere stato presente, perché avevo un'interrogazione in Aula con il Ministro.
È un argomento che stiamo cercando di approfondire in maniera completa, perché abbiamo approvato la legge sulle cure palliative, faremo il testamento biologico, e questo terzo provvedimento collegato a questi. Tali pazienti devono essere assistiti in maniera corretta, continua, con competenza, senza farsi illusioni. Come qualcuno giustamente ha fatto rilevare, si tratta di un problema economico di cui ci rendiamo conto, ma vedremo cosa si potrà fare.
Del resto, oggi, al di là di coloro che vengono forse erroneamente portati in famiglia - non so chi abbia preso la decisione e non entro nel merito -, molti di questi pazienti oggi occupano inopportunamente posti letto di rianimazione per acuti. Se l'acuto non può essere assistito adeguatamente perché il letto è occupato da un cronico, le sue possibilità di recupero vengono vanificate. Tutto questo deve essere regolato a livello nazionale, per cui ci stiamo adoperando per risolvere questo problema di non facile soluzione. In medicina non esistono certezze ed in questo campo ciò è particolarmente vero.
Vi chiederemmo di inviarci eventuale documentazione in vostro possesso, anche perché oggi molti membri della Commissione non erano presenti, con mio grande dispiacere dato che queste audizioni sono di grande importanza e a vantaggio di tutti.
Nel ringraziare tutti gli intervenuti, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16,05.

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