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Il Presidente Vincenzo Gioberti

Vincenzo Gioberti è nato a Torino il 5 aprile 1801 ed è morto a Parigi 26 il ottobre 1852. Orfano di padre, in giovane età si dà alla carriera ecclesiastica sia per l'influsso del forte sentimento religioso ereditato dalla madre sia perché poteva in tal modo soddisfare la sua precoce passione per gli studi letterari, storici e filosofici. Chierico a 15 anni, a 22 si laurea in teologia all'Università di Torino e a 24 viene ordinato sacerdote; assume l'incarico di cappellano di corte e nel 1828, nel corso di un viaggio in Italia, ha modo di entrare in contatto con il Manzoni ed il Leopardi. Di sentimenti liberali, nel 1833 perde l'impiego a corte, viene allontanato dal collegio teologico e, accusato di avere rapporti con il movimento mazziniano, dopo quattro mesi di carcere, prende la via dell'esilio rifugiandosi a Parigi. Qui è accolto tra gli esuli politici italiani tra i quali non mancano uomini, come Terenzio Mamiani e Pellegrino Rossi, destinati ad avere un peso non indifferente negli eventi risorgimentali; l'ambiente parigino contribuisce non poco all'evoluzione del pensiero giobertiano, che troverà un'organica sistemazione nell'opera apparsa nel 1843 Del primato morale e civile degli Italiani, in cui egli auspica che l'Italia possa riaffermare il suo primato sull'umanità grazie alla supremazia spirituale di un papato rinnovato e rigenerato. Dal 1834 al 1845 è a Bruxelles, dove insegna in un istituto privato e può continuare a dedicarsi agli studi filosofici. Nell'estate del 1845 trascorre in svizzera alcuni mesi di riposo, ma già alla fine dell'anno è di nuovo a Parigi, dove, grazie alla generosità d'alcuni amici, alleviato da cure finanziarie riprende a studiare. L'elezione nel 1840 al soglio pontificio del Cardinale Mastai Ferretti, Papa Pio IX, sembra voler coronare il sogno neo guelfo del Gioberti. Con l'adozione dello Statuto da parte del Regno di Sardegna si apre all'esule l'opportunità del ritorno in patria: eletto deputato nei collegi di Genova e Torino, il 16 maggio 1848, è Presidente della Camera. Visita varie città d'Italia, accolto ovunque da grandi manifestazioni, incitando gli italiani alla concordia nazionale e tenta, a Roma, di riportare il pontefice, anche dopo l'allocuzione del 29 aprile a posizioni favorevoli alla causa nazionale. Dal 29 luglio al 15 agosto 1848 è ministro del gabinetto Casati ed alla caduta di questo passa all'opposizione sino al 16 dicembre quando assume la presidenza del Consiglio. La sua proposta di restaurare con l'intervento militare sardo il pontefice e il gran duca di Toscana è respinta dagli stessi membri del gabinetto, ed egli si dimette. Dopo la battaglia di Novara è di nuovo ministro senza portafoglio e plenipotenziario a Parigi, e sostiene presso quel governo la causa del regno di Sardegna. Ma già nel maggio 1849 si ritira a vita privata in un nuovo volontario esilio ed a Parigi muore, per un attacco cardiaco, il 26 ottobre 1852.