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L'assunzione di lavoratori stranieri privi di regolare permesso di soggiorno: la fattispecie penale

 

 

Quadro normativo e interpretazione giurisprudenziale

Nel nostro ordinamento il datore di lavoro che impiega uno o più lavoratori stranieri privi di regolare permesso di soggiorno è penalmente sanzionato.

 La normativa di riferimento è contenuta nell’articolo 22, comma 12, del TU sull’immigrazione (D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni).

Nella versione originaria, la disposizione qualificava la condotta del datore di lavoro come contravvenzione, per la quale era prevista la sanzione dell’arresto da 3 mesi ad un anno, e l'ammenda di 5.000 euro per ogni lavoratore impiegato. Tale impostazione è stata però recentemente mutata con l’approvazione dell’art. 5 del decreto legge 23 maggio 2008, n. 92 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica) [1], che ha novellato il comma 12 dell’art. 22 inasprendo la sanzione per il datore di lavoro e, soprattutto, qualificando la sua condotta come delitto.

Analiticamente, la disposizione vigente sanziona infatti con «la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa di 5.000 euro per ogni lavoratore impiegato» il datore di lavoro che occupa alle proprie dipendenze lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno, ovvero il cui permesso sia scaduto (e del quale non sia stato chiesto, nei termini di legge, il rinnovo), revocato o annullato.

 La mutata qualificazione dell’illecito (da contravvenzione a delitto) produce conseguenze sul piano dell’elemento soggettivo del reato; in base alla disciplina del codice penale (art. 42), infatti, coloro che commettono dei delitti sono punibili, salvo diversa previsione, se la condotta è posta in essere con dolo; per le contravvenzioni è invece sufficiente, di norma, la colpa.

In attesa che la giurisprudenza delinei i contorni dell’elemento soggettivo nella nuova fattispecie delittuosa, per il momento è utile ricordare che la Corte di cassazione ha chiarito che, ai fini del reato in commento, «il datore di lavoro non è soltanto l'imprenditore o colui che gestisce professionalmente un'attività di lavoro organizzata, ma anche il semplice cittadino che assume alle proprie dipendenze una o più persone per svolgere attività lavorativa subordinata di qualsiasi natura, a tempo determinato o indeterminato, come nel caso di collaboratrici domestiche o badanti» (cfr. Sez. I, sent. n. 25665 del 12 giugno 2003, Iovino; Sez. 1, sent. n. 16431 del 12 aprile 2005).

La stessa Corte ha già affermato che il reato sussiste anche in caso di assunzione in prova del lavoratore irregolare (cfr. Sez. 1, sent. n. 8661 dell’8 febbraio 2005, Pace), e che la responsabilità del datore di lavoro non è esclusa dalla buona fede invocata per aver preso visione della richiesta di permesso di soggiorno avanzata dallo straniero (cfr. Sez. I, sent. n. 37409 del 25 ottobre 2006, Grimaldi [2]).

 La Suprema Corte ha anche sottolineato la differenza che permane fra l’assunzione di cittadini extracomunitari privi di permesso di soggiorno e il reato di favoreggiamento della immigrazione clandestina di cui all’art. 12, comma 5, del T.U.

 Tale disposizione punisce con la reclusione fino a 4 anni e con la multa fino a 15.493 euro chiunque, al fine di trarre un ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero favorisce la permanenza di questi nel territorio dello Stato in violazione delle norme del TU. La pena è aumentata da un terzo alla metà quando il fatto è commesso in concorso da due o più persone, ovvero riguarda la permanenza di cinque o più persone.

 La Cassazione ha infatti affermato che il favoreggiamento non è configurabile per il solo fatto dell'assunzione al lavoro di immigrati clandestini, occorrendo anche la finalità di ingiusto profitto, «riconoscibile soltanto quando si esuli dall'ambito del normale svolgimento del rapporto sinallagmatico di prestazione d'opera come, ad esempio, nel caso di impiego dei clandestini in attività illecite o in quello dell'imposizione a loro carico di condizioni gravose o discriminatorie di orario e di retribuzione»; condizioni, queste, in assenza delle quali può soltanto configurarsi il reato di cui all'art. 22, comma 12, del TU (cfr. Sez. I, sent. n. 4700 del 25 ottobre 2000 e, da ultimo Sez. 1, sent. n. 6068 del 30 gennaio 2008, Savarese). La stessa Corte ha escluso che il fine di ingiusto profitto, indispensabile per configurare il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, sia individuabile nella mera omissione del versamento dei contributi previdenziali, in relazione al rapporto di lavoro con lo straniero irregolare (cfr. Sez. 1, sent. n. 40398 del 29 novembre 2006, Affatato).

Il reato di favoreggiamento non è configurabile neanche per il solo fatto che un datore di lavoro, oltre ad occupare alle proprie dipendenze stranieri extracomunitari privi di permesso di soggiorno (e con ciò commettendo il reato di cui all’art. 22, comma 12), fornisca loro anche un alloggio, quando non risulti che la disponibilità dell’alloggio sia stata offerta a condizioni disumane, ovvero ad un prezzo esorbitante o sotto forma di comodato senza termine in luogo di un regolare contratto di locazione (Sez. I, sent. n. 40398 del 29 novembre 2006, Affatato).

Articoli e note a sentenza
  • Capraro F., Sabbadin D., Adesione della Romania all'Unione Europea ed effetti sulla fattispecie ex art. 22 t.u. immigrazione: l'evoluzione giurisprudenziale (nota a Tribunale Treviso, sentenza n. 21 del 26 gennaio 2008), in Rivista penale, 2008, n. 12, p. 1365.
  • Garzone F.P., L’incidenza dell’adesione di nuovi stati all’Unione europea sulle fattispecie di cui agli art. 12 e 22 d.leg. 286/1998: dai contrasti giurisprudenziali ad una proposta ermeneutica unitaria (Nota a T. Taranto-Ginosa, 2 maggio 2007, A. S.), Riv. pen., 2008, 182.
  • Sorgato A., Non è più reato l'occupazione dei rumeni e bulgari privi di permesso di soggiorno (nota a Tribunale Rovigo, sentenza del 22 febbraio 2007), in Guida al lavoro, 2007, fasc. 15, p. 33.
  • Corbetta S., Assunzione di rumeni clandestini non è abolito criminis (nota a Tribunale Catanzaro, sentenza del 18 gennaio 2007), in Diritto penale e processo, 2007, fasc. 3, p. 294.
  • Nunin R., Assumere lavoratori stranieri in attesa del permesso di soggiorno e' reato, in Il lavoro nella giurisprudenza, 2007, fasc. 1, p. 31.
  • Bellina M., Assunzione illegale di stranieri: prassi giurisprudenziale, in Diritto e pratica del lavoro, 2007, fasc. 38, p. 2303.
  • Vizzardi M., Divieto di assunzione di stranieri sprovvisti del permesso di soggiorno: una questione interpretativa (nota a Tribunale Trento, sentenza del 30 settembre 2005), in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2005, n. 4, p. 1704.
  • Gargiulo R., In tema di assunzione di lavoratori stranieri privi di permesso di soggiorno, in Cassazione penale, 2001, n. 6, pp. 1922-1925.
  • Curi F., Assunzione illegale di lavoratori stranieri: tra abolitio criminis e successione di leggi penali nel tempo, in Giurisprudenza di merito, 2001, fasc. 2, pt. 2, pp. 435-441.

 


  • [1] In particolare, la novella dall’art. 22, comma 12, del TU è frutto delle modifiche apportate al decreto-legge dalla legge di conversione (legge 24 luglio 2008, n. 125).
  • [2] Cfr. SANTORO C., Stranieri: è reato assumere lavoratori in attesa del permesso di soggiorno (Nota a Cass., sez. I, sent. n. 37409 del 25 ottobre 2006, Grimaldi), in Guida al lavoro, 2006, fasc. 48, p. 12; GUARINIELLO R., Assunzione in prova di straniero provvisto della richiesta di permesso di soggiorno (Nota a Cass., sez. I, sent. n. 37409 del 25 ottobre 2006, Grimaldi), in Dir. e pratica lav., 2007, p. 372; LA MENDOLA J., Impiego di stranieri in attesa di permesso di soggiorno (Nota a Cass., sez. I, sent. n. 37409 del 25 ottobre 2006, Grimaldi), in Dir. e pratica lav., 2007, p. 844.