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Decreto legislativo 150/2011 - Semplificazione dei riti civili

Il Governo ha emanato il decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, che riduce e semplifica i riti civili di cognizione in attuazione della delega contenuta nell'articolo 54 della legge 69/2009.

La norma di delega

L'art. 54 del cd. “collegato competitività” (L. 18 giugno 2009, n. 69) ha conferito una delega di 24 mesi al Governo per la riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione che rientrano nella giurisdizione ordinaria e sono regolati dalla legislazione speciale. I principi e criteri di delega indicati dall’art. 54 sono i seguenti:

a) restano fermi i criteri di competenza ed i criteri di composizione dell’organo giudicante;

b) i procedimenti civili oggetto delle delega sono ricondotti ad uno dei modelli processuali del codice di procedura civile e in particolare:

  1. ai procedimenti in cui sono prevalenti caratteri di concentrazione processuale, ovvero di officiosità dell’istruzione, si applica il procedimento per le controversie in materia di lavoro (libro II, titolo IV, capo I, c.p.c.)
  2. ai procedimenti, anche se in camera di consiglio, in cui sono prevalenti caratteri di semplificazione della trattazione o dell’istruzione della causa, si applica il procedimento sommario di cognizione (libro IV, titolo I, capo III-bis, c.p.c.), introdotto proprio dal ‘collegato competitività’, con esclusione della possibilità di conversione nel rito ordinario;
  3. a tutti gli altri procedimenti si applica al rito (ordinario) di cui al libro secondo, titoli I e III, ovvero titolo II, del codice di procedura civile;

c) la riconduzione ad uno dei tre riti indicati non comporta l’abrogazione delle disposizioni previste dalla legislazione speciale che attribuiscono al giudice poteri officiosi, ovvero di quelle finalizzate a produrre effetti che non possono conseguirsi con le norme contenute nel codice di procedura civile;

d) restano in ogni caso ferme le disposizioni processuali in materia di procedure concorsuali, di famiglia e minori, nonché quelle contenute nel regio decreto 1669/1933, nel regio decreto 1736/1933, nello Statuto dei lavoratori (l. 300/1970), nel Codice della proprietà industriale (D.Lgs 30 del 2005) e nel Codice del consumo (D.Lgs n. 206 del 2005).

Il contenuto del decreto legislativo

Il decreto legislativo 150/2011, composto da 36 articoli, mira a realizzare, pur in considerazione delle delimitazioni previste dalla delega, una prima e rilevante riduzione e semplificazione dei numerosi procedimenti civili di cognizione che rientrano nell’ambito della giurisdizione ordinaria, riconducendoli ad uno dei tre modelli base previsti dal codice processuale civile: rito ordinario, rito sommario, rito del lavoro. Il provvedimento accorpa e riassume in unico testo tutte le disposizioni che disciplinano i procedimenti giudiziari previsti dalle leggi speciali - dando così luogo ad un testo complementare al codice di procedura civile, in sostanziale prosecuzione del libro IV.

Il provvedimento, in relazione al possibile mutamento del rito, prevede che spetti al giudice rettificare con un'ordinanza l'errore commesso quando una controversia viene promossa in una forma diversa da quella disciplinata dal decreto, stabilendo anche l'eventuale passaggio a un altro giudice in caso di difetto di competenza.

Quanto al regime transitorio, si stabilisce che i nuovi modelli di procedura civile saranno applicati ai procedimenti instaurati successivamente alla data di entrata in vigore del decreto legislativo.

Sul testo dello schema di decreto legislativo la Commissione giustizia, nella seduta del 27 luglio 2011, aveva espresso un articolato parere favorevole, con condizioni ed osservazioni.

I procedimenti ricondotti al rito del lavoro

Il Capo II del decreto legislativo dispone che mediante il rito del lavoro siano disciplinate le controversie in materia di opposizione alle procedure di recupero degli aiuti di Stato (articolo 9); le opposizioni alle sanzioni amministrative (articoli 6, 7, 8); le cause sui provvedimenti del Garante della privacy (articolo 10); le controversie di natura agraria (articolo 11) e in materia di registro dei protesti (articoli 12 e 13).

Analiticamente, l'articolo 2 reca le disposizioni comuniai procedimenti disciplinati dal rito del lavoro stabilendo che in tali procedimenti:

  • non si applicano una serie di disposizioni del codice di procedura, tra cui quelle sul giudice competente e sulla nullità delle clausole derogative della competenza territoriale, sulla costituzione e la difesa personale delle parti, sul passaggio dal rito ordinario al rito speciale e da quest’ultimo al rito ordinario, , a meno che non siano espressamente richiamate;
  • l'ordinanza con cui il giudice può disporre il pagamento di una somma a titolo provvisorio può essere concessa su istanza di ciascuna parte;
  • la disciplina dell’esecutività della sentenza in favore del datore di lavoro si applica alle sentenze in favore di ciascuna delle parti;
  • i poteri del giudice di disporre in qualsiasi momento l’ammissione di ogni mezzo di prova non possono essere esercitati al di fuori dei limiti previsti dal codice civile.

Per rito del lavoro, l’articolo 1 del decreto intende «il procedimento regolato dalle norme della sezione II del capo I del titolo IV del libro secondo del codice di procedura civile», ovvero gli art. 413-440 c.p.c. Attraverso l’articolo 2, il rito è depurato da tutta una serie di previsioni che non vengono richiamate o perché presuppongono la natura di lavoro della controversia (come la rivalutazione dei crediti del lavoratore), o perché, pur non essendo, a rigore, norme di favore per il lavoratore, dato che possono operare a vantaggio o a svantaggio di tutte le parti, rappresentano una costante storica delle liti lavoristiche (come la regola che consente di assumere la prova al di fuori dai limiti del codice civile), o, infine, perché si occupano di vicende disciplinate autonomamente dal decreto (come la disposizione sul mutamento di rito).

I procedimenti ricondotti al rito sommario di cognizione

In base al Capo III sono ricondotte al rito sommario di cognizione le cause sugli onorari forensi (articolo 14); le opposizioni ai decreti di pagamento delle spese di giustizia (articolo 15); le controversie in materia di immigrazione (articolo 16, 17, 18 e 20); le controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale (articolo 19); le opposizioni alle decisioni di convalida dei trattamenti sanitari obbligatori (articolo 21) e le cause che hanno per oggetto la materia elettorale (articolo 22, 23, 24); le liti sul risarcimento danni per le intercettazioni telefoniche (articolo 25); sulle misure disciplinari a carico dei notai (articolo 26) e dei giornalisti (articolo 27), quelle (numerose) in materia di discriminazione (articolo 28); le opposizioni alla stima nelle espropriazioni per pubblica utilità (articolo 29) nonché le liti in materia di attuazione di sentenze e provvedimenti stranieri di volontaria giurisdizione (articolo 30).

L’articolo 3 del decreto legislativo corregge il rito sommario di cognizione ai fini della sua applicazione ai procedimenti speciali. In particolare, il comma 1 esclude che ai procedimenti speciali si applichino le seguenti disposizioni:

  • dichiarazione di inammissibilità della domanda (e della domanda riconvenzionale) pronunciata dal giudice con ordinanza non impugnabile laddove egli accerti che la domanda non appartiene alla competenza del tribunale in composizione monocratica (art. 702-ter, secondo comma). Tale esclusione è motivata dal fatto che è lo stesso schema di decreto legislativo a stabilire quale rito deve trovare applicazione, il che limita le ipotesi di errore. Ad ogni modo, l’articolo 4 dello schema (Mutamento del rito) disciplina espressamente l’ipotesi in cui la controversia venga promossa con forme diverse dalle prescritte.
  • fissazione dell’ordinanza di cui all’art. 183 – e dunque “ritorno” al procedimento ordinario di cognizione – laddove il giudice ritenga che le difese svolte dalle parti richiedono un’istruzione non sommaria. In attuazione di uno specifico criterio di delega è dunque esclusa la conversione del rito da sommario a ordinario, a prescindere dalla eventuale complessità dell’istruzione, che è dunque ritenuta dal legislatore sempre idonea ad essere svolta nelle forme sommarie.

La controversia dovrà essere decisa in unico grado. La previsione che la decisione avviene in unico grado è stabilita di volta in volta nelle disposizioni relative alla singola tipologia di controversia assoggettata al rito sommario. In alcuni casi il decreto non si è preoccupato di precisare che la decisione non è appellabile ovvero che può essere impugnata con ricorso per cassazione, ma in mancanza di qualsiasi speciale previsione espressa deve comunque ritenersi che la medesima sia pronunciata in unico grado allorché la competenza sia attribuita alla Corte d'appello. L'articolo 3 precisa infatti che «quando è competente la corte di appello in primo grado il procedimento è regolato dagli articoli 702-bis e 702-ter del codice di procedura civile».
Nei casi in cui è ammesso l'appello avverso l'ordinanza conclusiva del giudizio di primo grado (analiticamente nelle controversie di cui agli articoli 16, 17, 19, 20, 21, 22, 25, 27 e 28), trova applicazione l'articolo 702-quater, che, come già chiarito, consente l'assunzione di nuovi mezzi di prova e la produzione di nuovi documenti ogni qualvolta il collegio li ritenga rilevanti ai fini della decisione.

I procedimenti ricondotti al rito ordinario

Infine, nell'area del rito ordinario di cognizione saranno collocate le opposizioni alle procedure coattive per la riscossione delle entrate di Stato e degli altri enti pubblici (articolo 32), e quelle alle stime effettuate nell'ambito di procedimenti di espropriazione; le controversie in materia di attuazione di sentenze e provvedimenti stranieri ed in materia di liquidazione di usi civici (articolo 33); i procedimenti in materia di rettificazione del sesso (articolo 31).

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