Cerca nel sito

dal 29/04/2008 - al 14/03/2013

Vai alla Legislatura corrente >>

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe e abilitare il javascript

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Fine contenuto

MENU DI NAVIGAZIONE DEL DOMINIO PARLAMENTO

INIZIO CONTENUTO

MENU DI NAVIGAZIONE DELLA SEZIONE

Salta il menu

Strumento di esplorazione della sezione Documenti Digitando almeno un carattere nel campo si ottengono uno o più risultati con relativo collegamento, il tempo di risposta dipende dal numero dei risultati trovati e dal processore e navigatore in uso.

salta l'esplora

Temi dell'attività Parlamentare

L'uso degli strumenti normativi: le sentenze della Corte costituzionale e del Consiglio di Stato

Nel 2012 sono state emesse tre sentenze concernenti, sotto diversi profili, l’uso degli strumenti normativi:

Le tre sentenze sono state prontamente assunte a riferimento, nei propri pareri, dal Comitato per la legislazione.

La fuga dal regolamento nella sentenza 9/2012 del Consiglio di Stato

Nella sentenza n. 9 del 4 maggio 2012, il Consiglio di Stato, intervenendo in merito alla «crescente diffusione di quel fenomeno efficacemente descritto in termini di “fuga dal regolamento” (che si manifesta, talvolta anche in base ad esplicite indicazioni legislative, tramite l’adozione di atti normativi secondari che si autoqualificano in termini non regolamentari)», sostiene che «deve, in linea di principio, escludersi che il potere normativo dei Ministri e, più in generale, del Governo possa esercitarsi medianti atti “atipici”, di natura non regolamentare, specie laddove la norma che attribuisce il potere normativo nulla disponga (come in questo caso) in ordine alla possibilità di utilizzare moduli alternativi e diversi rispetto a quello regolamentare tipizzato dall’art. 17 legge n. 400 del 1988».

La sentenza interviene in una fase storica nella quale appare sempre più frequente la previsione di atti atipici e la specificazione circa la “natura non regolamentare” dell’adempimento previsto e viene immediatamente assunta come parametro dal Comitato per la legislazione, che la richiama costantemente in presenza di previsioni di fonti atipiche del diritto, a partire dal parere del 14 giugno 2012 sull’A.C. 5263 (Conversione in legge del decreto-legge 6 giugno 2012, n. 74, recante interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici che hanno interessato il territorio delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo, il 20 e il 29 maggio 2012).

L'omogeneità di contenuto dei decreti-legge nella sentenza 22/2012 della Corte costituzionale

La sentenza n. 22 viene depositata il 16 febbraio 2012 ed è potenzialmente epocale, tanto che i suoi contenuti vengono prontamente richiamati nella lettera che il Presidente della Repubblica ha inviato al Presidente del Consiglio ed ai Presidenti dei due rami del Parlamento il 23 febbraio 2012 (v. infra).

La sentenza dichiara costituzionalmente illegittimo l’articolo 2, comma 2-quater del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 (proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie), nella parte in cui introduce i commi 5-quater e 5-quinquies, primo periodo nell’ambito dell’articolo 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225 (istituzione del Servizio nazionale della protezione civile). Tali ultime disposizioni – annota la Corte costituzionale – «regolano i rapporti finanziari tra Stato e Regioni in materia di protezione civile non con riferimento ad uno o più specifici eventi calamitosi, o in relazione a situazioni già esistenti e bisognose di urgente intervento normativo, ma in via generale e ordinamentale per tutti i casi futuri di possibili eventi calamitosi, di cui all’art. 2, comma 1, lettera c), della legge n. 225 del 1992. Si tratta quindi di una normativa “a regime”, del tutto slegata da contingenze particolari, inserita tuttavia nella legge di conversione di un decreto-legge denominato «Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie».

Il preambolo di tale atto con forza di legge così recita: «Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di provvedere alla proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di adottare misure in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie, al fine di consentire una più concreta e puntuale attuazione dei correlati adempimenti». Le disposizioni impugnate sono state inserite, in sede di conversione, nell’art. 2, nella cui rubrica si legge: «Proroghe onerose di termini».

Da quanto sopra esposto risulta palese l’estraneità delle norme impugnate rispetto all’oggetto e alle finalità del decreto-legge cosiddetto “milleproroghe”, in quanto si tratta di un frammento, relativo ai rapporti finanziari, della disciplina generale e sistematica, tuttora mancante, del riparto delle funzioni e degli oneri tra Stato e Regioni in materia di protezione civile».

La Corte si sofferma quindi sui rapporti tra il disposto costituzionale e la legge 400/1988, evidenziando che «L’art. 15, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri) – là dove prescrive che il contenuto del decreto-legge «deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo» – pur non avendo, in sé e per sé, rango costituzionale, e non potendo quindi assurgere a parametro di legittimità in un giudizio davanti a questa Corte, costituisce esplicitazione della ratio implicita nel secondo comma dell’art. 77 Cost., il quale impone il collegamento dell’intero decreto-legge al caso straordinario di necessità e urgenza, che ha indotto il Governo ad avvalersi dell’eccezionale potere di esercitare la funzione legislativa senza previa delegazione da parte del Parlamento».

Dopo aver rimarcato che «La necessaria omogeneità del decreto-legge, la cui interna coerenza va valutata in relazione all’apprezzamento politico, operato dal Governo e controllato dal Parlamento, del singolo caso straordinario di necessità e urgenza, deve essere osservata dalla legge di conversione», la Corte sottolinea quindi che «l’esclusione della possibilità di inserire nella legge di conversione di un decreto-legge emendamenti del tutto estranei all’oggetto e alle finalità del testo originario non risponda soltanto ad esigenze di buona tecnica normativa, ma sia imposta dallo stesso art. 77, secondo comma, Cost., che istituisce un nesso di interrelazione funzionale tra decreto-legge, formato dal Governo ed emanato dal Presidente della Repubblica, e legge di conversione, caratterizzata da un procedimento di approvazione peculiare rispetto a quello ordinario».

Le immediate ripercussioni della sentenza nei lavori parlamentari

La sentenza 22/2012 viene depositata mentre la Camera sta esaminando, in seconda lettura, il disegno di legge C. 4865-B, recante “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative. Differimento di termini relativi all'esercizio di deleghe legislative”. Si tratta cioè di un provvedimento della stessa tipologia di quello su cui si è pronunciata la Corte (proroga di termini), i cui contenuti, già molto ampi nella versione licenziata dal Consiglio dei ministri, sono stati ulteriormente ampliati durante l’esame parlamentare anche con l’introduzione, nel disegno di legge di conversione, di un differimento di termini di delega.

Il Comitato per la legislazione, nel pronunciarsi su tale disegno di legge nella seduta del 21 febbraio 2012, richiama lungamente la sentenza, a supporto dei propri rilievi, e formula la seguente raccomandazione:

«con riferimento alle disposizioni di carattere ordinamentale indicate in premessa, nonché in relazione ai commi 2 e 3 dell'articolo 1 del disegno di legge di conversione, che intervengono su norme di delega, abbia cura il legislatore di rispettare le indicazioni contenute nella recente sentenza della Corte Costituzionale n. 22 del 2012, laddove, tra l'altro, si precisa che: «I cosiddetti decreti «milleproroghe» (...) sebbene attengano ad ambiti materiali diversi ed eterogenei, devono obbedire alla ratio unitaria di intervenire con urgenza sulla scadenza di termini il cui decorso sarebbe dannoso per interessi ritenuti rilevanti dal Governo e dal Parlamento, o di incidere su situazioni esistenti - pur attinenti ad oggetti e materie diversi - che richiedono interventi regolatori di natura temporale. Del tutto estranea a tali interventi è la disciplina «a regime» di materie o settori di materie, rispetto alle quali non può valere il medesimo presupposto della necessità temporale e che possono quindi essere oggetto del normale esercizio del potere di iniziativa legislativa, di cui all'articolo 71 Cost.» eventualmente inserendo le discipline estranee alla ratio unitaria del decreto, ove presentino profili autonomi di necessità e di urgenza, in «atti normativi urgenti del potere esecutivo distinti e separati».

I rilievi e la raccomandazione del Comitato non hanno un immediato seguito nel caso di specie, dal momento che il decreto, prossimo alla decadenza, viene convertito nel testo risultante dalle modifiche apportate prima dalla Camera e poi dal Senato.

Prima di passare al voto finale sul provvedimento, il Governo accoglie l’ordine del giorno 9/4865-B/53 (primo firmatario on. Di Vizia), che lo impegna «a considerare l'opportunità di conformarsi più strettamente, nell'adozione dei prossimi decreti-legge, ai vincoli relativi all'omogeneità di contenuto dei provvedimenti di urgenza».

Nel promulgare la legge di conversione, il Presidente della Repubblica, il 23 febbraio 2012, scrive ai Presidenti delle Camere ed al Presidente del Consiglio richiamando la sentenza n. 22/2012, sottoponendo alla loro attenzione «- in spirito di leale collaborazione istituzionale - la necessità di attenersi, nel valutare l'ammissibilità degli emendamenti riferiti a decreti-legge, a criteri di stretta attinenza allo specifico oggetto degli stessi e alle relative finalità, anche adottando - se ritenuto necessario - le opportune modifiche dei regolamenti parlamentari, al fine di non esporre disposizioni, anche quando non censurabili nel merito, al rischio di annullamento da parte della Corte costituzionale per ragioni esclusivamente procedimentali ma di indubbio rilievo istituzionale».

Lo stesso giorno, il 23 febbraio 2012, il Senato approva in prima lettura il disegno di legge di conversione del decreto-legge 25 gennaio 2012, n. 2, recante misure straordinarie e urgenti in materia ambientale. Il provvedimento, originariamente composto di soli 4 articoli, per un totale di 8 commi, viene modificato ed integrato  profondamente, con l’introduzione di 8 nuovi articoli e numerosi commi aggiuntivi, in particolare all’articolo 3.

Il Comitato per la legislazione, pronunciandosi sul provvedimento nella seduta del 29 febbraio 2012 (A.C. 4999), formula una condizione volta alla «soppressione delle disposizioni indicate in premessa - introdotte nel corso dell'esame parlamentare del decreto legge - che appaiono estranee rispetto all'oggetto e alle finalità del testo originario del decreto», annotando nelle premesse, dopo un ampio richiamo della sentenza della Corte 22/2012, che «l'esclusione della possibilità di inserire nella legge di conversione di un decreto-legge emendamenti del tutto estranei all'oggetto e alle finalità del testo originario»  è «imposta dallo stesso articolo 77, secondo comma, Cost., che istituisce un nesso di interrelazione funzionale tra decreto-legge, formato dal Governo ed emanato dal Presidente della Repubblica, e legge di conversione, caratterizzata da un procedimento di approvazione peculiare rispetto a quello ordinario».

La condizione viene sostanzialmente recepita dalla Commissione Ambiente, che nel licenziare il testo per l’Aula sopprime la maggior parte delle nuove disposizioni introdotte dal Senato, tenendo conto della sentenza della Corte costituzionale.

Si tratta del primo – ma anche unico – caso nel quale la sentenza condiziona fortemente l’iter parlamentare di conversione, provocando la navette tra Camera e Senato.

Le autorizzazioni alla delegificazione nella sentenza 149/2012 della Corte Costituzionale

La Corte costituzionale, in un obiter dictum della sentenza 149/2012, relativa alla autorizzazione alla delegificazione contenuta nell’articolo 16, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, ha lasciato impregiudicata la possibilità di pronunciarsi sulla «correttezza della prassi di autorizzare l'emanazione di regolamenti di delegificazione tramite decreto-legge», nonché «ogni valutazione sulle procedure di delegificazione non conformi al modello previsto dall'articolo 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988, quale è quella prevista dalla disposizione impugnata, che non determina “le norme generali regolatrici della materia”, né indica espressamente le norme di rango primario da ritenersi abrogate con effetto dalla data di entrata in vigore dei regolamenti di delegificazione».

Anche questa sentenza, depositata il 7 giugno 2012, viene subito assunta a riferimento dal Comitato per la legislazione, già nel parere, espresso il 5 luglio 2012, sul disegno di legge di conversione  del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, recante misure urgenti per la crescita del Paese (A.C. 5312).