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dal 29/04/2008 - al 14/03/2013

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Temi dell'attività Parlamentare

La disciplina del procedimento amministrativo

Nel corso dell’intero arco della XVI legislatura si sono succeduti interventi ed iniziative di carattere normativo che hanno modificato in più parti la disciplina generale del procedimento amministrativo, recata dalla legge n. 241/1990 (legge proc.).

La legge 241/1990, novellata ampiamente nel corso della XIV legislatura ad opera della L. 15/2005 e della L. 80/2005, sancisce regole generali valide per tutti i procedimenti amministrativi che si svolgono nell’ambito delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali.

Le modifiche principali sono contenute nella legge n. 69/2009; ulteriori correzioni a vari aspetti della disciplina sono state apportate da alcune disposizioni del D.L. 5/2012 (c.d. decreto Semplifica Italia) e della L. 190/2012 (c.d. legge anticorruzione). La finalità degli interventi sembra duplice: in primo luogo, il rafforzamento degli strumenti di tutela a disposizione dei privati nei confronti delle pubbliche amministrazioni e dei privati che esercitano funzioni amministrative. In secondo luogo, la semplificazione dei procedimenti amministrativi al fine di assicurare maggiori certezza e celerità per l’adozione del provvedimento finale.

Si ricorda, altresì, che anche il Codice del processo amministrativo di cui al D.Lgs. 104/2010, ha inciso sulla predetta legge, trasponendo tutte le disposizioni prettamente processualistiche nel Codice stesso, con conseguente abrogazione o sostituzione delle rispettive norme della prima (su cui si rinvia al focus Codice del processo amministrativo).

Nel prosieguo si dà conto delle principali modificazioni apportate alla L. 241/1990 dai provvedimenti approvati nel corso della legislatura, distinte per argomento.

Principi generali e ambito di applicazione

La legge 69/2009 novella l’articolo 1 della L. 241, mediante la quale accanto ai criteri di economicità, efficacia, pubblicità e trasparenza, anche il criterio di imparzialità viene inserito tra i principi generali che informano l’attività amministrativa, a sottolineare il diritto dei cittadini al rispetto dei tempi di conclusione dei procedimenti. Successivamente, la legge 190/2012 (art. 1, co. 37) rafforza l’obbligo dei privati preposti all'esercizio di attività amministrative di rispettare i principi generali dell’attività amministrativa (già sancito dall’art. 1, co. 1-ter, della legge 241), vincolandoli a garantire un livello non inferiore a quello cui sono tenute le pubbliche amministrazioni.

L’articolo 10 della legge 69/2009 ha interamente riscritto l’articolo 29 riguardante l’ambito di applicazione della L. 241/1990 mediante la modifica del comma 1 e l’aggiunta dei commi da 2-bis a 2-quinquies. A seguito della novella, risulta una maggiore specificazione dell’ambito di applicazione soggettivo in relazione a tutte e a singoli gruppi di disposizioni.

Prima della modifica, l’articolo 29 si componeva di due soli commi, in ragione dei quali le disposizioni della legge 241 si applicavano ai procedimenti amministrativi nell'ambito delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali e, per quanto stabilito in tema di giustizia amministrativa, a tutte le amministrazioni pubbliche (comma 1). Nell’ambito delle rispettive competenze, le regioni e gli enti locali potevano disciplinare la materia nel rispetto dei principi stabiliti dalla legge (comma 2). Disposizioni peculiari erano previste dall’articolo 22 per quanto concerne l’ambito di applicazione delle norme sul diritto di accesso.

In primo luogo, a seguito della riformulazione, tutte le disposizioni della legge sul procedimento si applicano non soltanto alle amministrazioni statali e agli enti pubblici nazionali, ma anche alle società con totale o prevalente capitale pubblico limitatamente all’esercizio delle funzioni amministrative. In secondo luogo, le disposizioni suscettibili di applicazione a tutte le amministrazioni pubbliche, incluse le regioni e gli enti locali, sono individuate con quelle in materia di:

  • risarcimento del danno ingiusto in caso di mancato rispetto del termine di conclusione del procedimento (art. 2-bis);
  • accordi con e tra amministrazioni (artt. 11 e 15);
  • ricorso giurisdizione avverso il diniego di accesso agli atti (art. 25, co. 5, 5-bis e 6);
  • disciplina del provvedimento amministrativo (tutto il capo IV bis (artt. 21 bis – 21 nonies).

 La legge 69/2009, introducendo i nuovi commi 2-bis e 2-ter, ha poi disposto che sono riconducibili all’interno dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali da garantirsi in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale, come previsto dall’articolo 117 della Costituzione, secondo comma, lettera m), le disposizioni concernenti:

  • gli obblighi per la pubblica amministrazione di garantire la partecipazione dell’interessato al procedimento, di individuarne un responsabile, di concludere il procedimento entro il termine prefissato, nonché di assicurare l’accesso alla documentazione amministrativa;
  • la durata massima dei procedimenti;
  • la dichiarazione di inizio attività (poi divenuta SCIA) e il silenzio assenso e la conferenza di servizi, salva la possibilità di individuare, con intese in sede di Conferenza unificata, casi ulteriori in cui tali disposizioni non si applicano.

L’attinenza con i LEA comporta l’applicabilità delle relative disposizioni a tutte le pubbliche amministrazioni e l’affermazione della competenza legislativa esclusiva dello Stato. In forza del comma 2-quater del novellato art. 29, le regioni e gli enti locali, nel disciplinare i procedimenti amministrativi di loro competenza, non possono stabilire garanzie inferiori a quelle assicurate ai privati dalle disposizioni attinenti ai livelli essenziali delle prestazioni di cui ai commi 2-bis e 2-ter, ma possono prevedere livelli ulteriori di tutela.

Con le modifiche descritte, il legislatore ha ricondotto la definizione dell’ambito di applicazione delle disposizioni sull’accesso ai documenti all’interno del medesimo articolo 29, in precedenza definito in via autonoma nel corpo dell’articolo 22, in apertura del capo dedicato all’accesso. In particolare, la legge 69 ha soppresso la parte dell’art. 22, co. 2, della L. 241/1990 in cui si prevedeva che le norme in materia di accesso attengono ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ai sensi dell’art 117 comma 2 lett. m) della Costituzione, e che le Regioni potevano prevedere esclusivamente livelli di accesso ulteriori rispetto a quelli già previsti dallo Stato.

La conclusione del procedimento

Il Parlamento ha approvato alcune novità in materia di conclusione del procedimento amministrativo mediante novelle dell’articolo 2 della legge 241/1990 che stabilisce la disciplina generale dell’obbligo di provvedere in capo alle pubbliche amministrazioni.

I nuovi termini procedimentali

La materia è stata modificata dapprima, ad opera dell’articolo 7 della legge n. 69/2009, al fine di ridurre i termini di conclusione dei procedimenti ed assicurare l’effettività del loro rispetto da parte delle amministrazioni. All’esito di tale intervento, l’articolo 2 della legge proc.stabilisce che i procedimenti amministrativi di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali devono concludersi entro trenta giorni (termine in precedenza fissato in novanta giorni), a meno che disposizioni di legge ovvero i provvedimenti di natura regolamentare da emanarsi da parte di ciascuna amministrazione prevedano un termine diverso. 

All'adozione di tali provvedimenti si provvede con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri competenti e di concerto con i Ministri per la pubblica amministrazione e l'innovazione e per la semplificazione normativa, che individuano i termini di conclusione dei procedimenti di competenza delle amministrazioni statali.

L’altra novità introdotta dalla legge n. 69 del 2009 è che, in ogni caso, i termini fissati dalle amministrazioni non possono comunque essere superiori ai novanta giorni (laddove in precedenza non era fissato alcun limite temporale nella autonoma determinazione dei termini da parte delle amministrazioni). La legge ammette tuttavia la possibilità di prevederetermini superiori ai novanta giorni in considerazione della «sostenibilità dei tempi sotto il profilo dell’organizzazione amministrativa, della natura degli interessi pubblici tutelati e della particolare complessità del procedimento». In questi casi, tuttavia, il termine massimo di durata non può oltrepassare comunque i centottanta giorni e per l’adozione del relativo regolamento è necessaria sia la proposta dei Ministri per la pubblica amministrazione e l’innovazione e per la semplificazione normativa, sia la previa deliberazione del Consiglio dei Ministri. Sono esclusi da tale disciplina i procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana e quelli riguardanti l’immigrazione.

Per l’attuazione dell’art. 7 della Legge n. 69/2009 sono state adottate Linee di indirizzo con D.M. 12 gennaio 2010, in base alla quali, in caso di termini procedimentali superiori a novanta giorni e comunque inferiori a centottanta giorni, le Amministrazioni dovranno fornire una motivazione puntuale, con riferimento a ciascuno dei singoli procedimenti per i quali esse ritengono di dover stabilire questo diverso e maggiore termine, con riferimento alle ragioni giustificatrici indicate dalla legge n. 69 del 2009 (sostenibilità dei tempi sotto il profilo della organizzazione amministrativa, natura degli interessi pubblici tutelati, particolare complessità del procedimento).

I termini per la conclusione del procedimento decorrono dall’inizio del procedimento d’ufficio o dal ricevimento della domanda, se il procedimento è ad iniziativa di parte. È ammessa la sospensione del termine, per una sola volta e per un periodo non superiore a 30 giorni, per l’acquisizione di informazioni o di certificazioni relative a fatti, stati o qualità non attestati in documenti già in possesso dell’amministrazione stessa o non direttamente acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni.

Viene eliminata la possibilità di sospensione, precedentemente prevista, per l’ipotesi in cui l’emanazione dell’atto sia sottoposta alla previa richiesta di pareri; tale eliminazione è da porre in relazione alle modificazioni apportate dalla legge 69 al regime di acquisizione dei pareri (su cui, si v., infra). Per l’ipotesi di valutazioni tecniche si continua ad applicare l’articolo 17 della L. 241.

Contestualmente, al fine di abbreviare e dare maggiore certezza ai tempi di conclusione della fase consultiva nell’ambito dell’istruttoria procedimentale, l’articolo 8 della legge 69/2009 ha modificato la disciplina generale relativa all’acquisizione di pareri.  Pertanto, a seguito della modifica dell’articolo 16 della L. 241/1990, il termine assegnato agli organi delle pubbliche amministrazioni per il rilascio dei pareri obbligatori è stabilito in 20 giorni dalla richiesta, a fronte dei 45 precedentemente previsti. Il medesimo termine è introdotto anche per i pareri facoltativi (che prima della modifica erano resi a discrezione dell’amministrazione interpellata). Un’ulteriore novità è data dall’obbligo di trasmissione del parere con mezzi telematici.

In caso di decorrenza del termine senza che sia stato comunicato il parere, il legislatore specifica che l’amministrazione richiedente, ove si tratti di parere facoltativo, deve senz’altro procedere indipendentemente da esso. Altrimenti, come nella precedente disciplina, ha la facoltà di procedere. 

La disciplina dei nuovi termini procedimentali è entrata in vigore un anno dopo la data di entrata in vigore della L. 69 (4 luglio 2010) con conseguente disciplina della fase transitoria.

La conclusione del procedimento in forma semplificata

L’articolo 1, co. 38, della L. 190/2012, con una modifica all’art. 2, co. 1, della L. 241, prevede la possibilità per le pubbliche amministrazioni di concludere il procedimento con un provvedimento espresso redatto in forma semplificata qualora ravvisino “la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza della domanda”. La semplificazione consiste nel fatto che la motivazione può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo. In tal modo, s’intendono fornire gli strumenti per attuare correttamente l’obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso, già sancito dall’articolo 2 della L. 241, nei casi in cui si riscontri l’assoluta mancanza dei presupposti per l’avvio della stessa istruttoria, al fine di realizzare un’ulteriore semplificazione ed accelerazione dell’attività amministrativa.

Le conseguenze del ritardo dell'amministrazione

Oltre a stabilire una rideterminazione dei termini procedimentali, la legge n. 69/2009, con l’obiettivo di dare effettività a tali disposizioni, ha disciplinato le conseguenze del ritardo nel provvedere da parte dell'amministrazione, sia nei riguardi dei cittadini destinatari dell’azione amministrativa, sia nei riguardi dei dirigenti ai quali si possa far risalire la responsabilità del ritardo medesimo. Tali disposizioni sono state ulteriormente rafforzate dalle previsioni del D.L. 5/2012.

L’obbligo del risarcimento del c.d. danno da ritardo

Sotto il primo aspetto, il nuovo articolo 2-bis della legge 241 (introdotto dall’articolo 7 della legge 69/2009) prevede, a carico di tutte le amministrazioni pubbliche, l’obbligo del risarcimento del danno ingiusto cagionato al cittadino in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.

Le controversie in materia di mancato rispetto dei termini, sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, e il diritto al risarcimento si prescrive in cinque anni.

Il regime delle responsabilità

In termini di responsabilità, si sono succedute due modifiche. Dapprima, la legge 69/2009 ha previsto che la mancata emanazione del provvedimento nei termini previsti costituisce elemento di valutazione ai fini della responsabilità dirigenziale, anche al fine della corresponsione della retribuzione di risultato. Questa previsione è stata superata dalla più recente novella apportata dal D.L. 5/2012, che – con una piena riformulazione del comma 9 dell’art. 2 della legge 241 – precisa che l’inerzia dell’amministrazione costituisce elemento ai fini della valutazione della responsabilità disciplinare, dellaperformance individuale e della responsabilità amministrativo-contabile. 

Sul punto, la novella opera una ricognizione delle forme di responsabilità ricollegabili all’inerzia. Innanzitutto si fa rifermento alla valutazione della performance individuale, introdotto dalla legge delega n. 15 del 2009 e dal successivo D.Lgs. 150/2009.

In proposito, l’articolo 9, co. 1, del citato D.Lgs. 150/2009 prevede che il personale con incarico dirigenziale sia valutato in relazione agli indicatori di performance relativi all'ambito organizzativo di diretta responsabilità; al raggiungimento di specifici obiettivi individuali; alla qualità del contributo assicurato alla performance generale della struttura, alle competenze professionali e manageriali dimostrate; alla capacità di valutazione dei propri collaboratori, dimostrata tramite una significativa differenziazione dei giudizi. Il successivo comma, prevede che la misurazione e la valutazione svolte dai dirigenti sulla performance individuale del personale non dirigenziale sono collegate: a) al raggiungimento di specifici obiettivi di gruppo o individuali; b) alla qualità del contributo assicurato alla performance dell’unità organizzativa di appartenenza, alle competenze dimostrate ed ai comportamenti professionali e organizzativi. In secondo luogo, l’inosservanza all’obbligo di provvedere può comportare una ipotesi di responsabilità disciplinare. Sul punto, merita inoltre ricordare la specifica misura disciplinare prevista dall’art. 55-sexies, co. 1, del D.Lgs. 165/2001, introdotto dall’art. 69 del D.Lgs. 150/2009. Tale disposizione stabilisce che la condanna della pubblica amministrazione al risarcimento del danno per violazione da parte del dipendente degli obblighi concernenti la prestazione lavorativa (stabiliti da norme legislative o regolamentari, dal contratto collettivo o individuale, da atti e provvedimenti dell’amministrazione di appartenenza o dai codici di comportamento), impongono nei confronti dello stesso dipendente l’applicazione - ove già non ricorrano i presupposti per l’applicazione di un’altra sanzione disciplinare - della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da un minimo di tre giorni ad un massimo di tre mesi, in proporzione all’entità del risarcimento. In terzo luogo, l’inerzia del dipendente può integrare una fattispecie di responsabilità amministrativa e contabile.

Si ricorda, in merito che la responsabilità amministrativa è la responsabilità a contenuto patrimoniale di amministratori o dipendenti pubblici per i danni causati all’ente nell’ambito o in occasione del rapporto d’ufficio. Affinché un soggetto possa essere chiamato a rispondere in sede di responsabilità amministrativa occorre che lo stesso, con una condotta dolosa o gravemente colposa collegata o inerente al rapporto esistente con l’amministrazione, abbia causato un danno pubblico risarcibile che si ponga come conseguenza diretta e immediata di detta condotta.L’accertamento della responsabilità comporta la condanna al risarcimento del danno a favore dell’amministrazione danneggiata. L’azione di rivalsa dell’amministrazione è fondata, secondo l’art. 18 del D.P.R. n. 3/1957, sulla violazione degli obblighi di servizio ed è attribuita alla giurisdizione della Corte dei conti.

Con l’espressione responsabilità contabile, ci si riferisce alla responsabilità di quei soggetti (agenti contabili) che avendo avuto in consegna (a vario titolo) denaro, beni o altri valori pubblici, o comunque avendone avuto la disponibilità materiale, non adempiano all’obbligo di restituzione che a loro incombe. Pertanto, tale responsabilità si basa sul mancato adempimento di un obbligo di restituzione di un bene (compreso il denaro) dell’amministrazione.

A seguito della novella, le fattispecie di responsabilità sorgono non unicamente nell’ipotesi di mancata emanazione del provvedimento nei termini, ma altresìin caso di tardivaadozionedel provvedimento. La responsabilità non è limitata al dirigente, ma si estende anche al funzionario inadempiente.

Con due ulteriori modifiche recate dal D.L. 5/2012:

  • rinvia la disciplina della tutela avverso il silenzio dell’amministrazione alle disposizioni del Codice del processo amministrativo;
  • si introduce l’obbligo di trasmettere, in via telematica, alla Corte dei conti le sentenze passate in giudicatoche accolgono il ricorso proposto avverso il silenzio inadempimento. Ciò, verosimilmente al fine di agevolare la possibilità di esercitare l’azione, ove se ne ravvisino i presupposti, per far valere la responsabilità amministrativa.
Poteri sostitutivi in caso di inerzia

L’articolo 1 del D.L. 5/2012 (c.d. decreto semplificazioni), ha aggiunto all’articolo 2 della legge proc. i commi da 9-bis a 9-quinquies.

Il comma 9-bis prevede una misura di pianificazione organizzativa, in base alla quale nell’ambito delle pubbliche amministrazioni, l’organo di governo deve individuare, tra le figure apicali, il soggetto a cui attribuire il potere sostitutivo in caso di inerzia.

La medesima disposizione stabilisce in proposito alcuni criteri suppletivi ove l’organo di governo non provveda all’individuazione: infatti, in tal caso, il potere sostitutivo si intende attribuito al dirigente generale. In mancanza di questi, al dirigente preposto all’ufficio o in mancanza al funzionario di più elevato livello presente nell’amministrazione. A seguito di un’ulteriore novella introdotta dall’art. 13, co. 01, del D.L. 83/2012, tali informazioni sono oggetto di un obbligo di pubblicità sul sito internet istituzionale dell’amministrazione. In caso di ritardo, il titolare del potere sostitutivo comunica senza indugio il nominativo del responsabile per valutare l’opportunità di avviare il procedimento disciplinare, secondo le disposizioni del proprio ordinamento e dei contratti collettivi nazionali di lavoro, e, in caso di mancata ottemperanza a tali disposizioni, assume, oltre alla propria responsabilità, anche quella del responsabile.

Il comma 9-ter garantisce al privato in attesa del provvedimento dell’amministrazione, ove il termine per la conclusione del procedimento sia inutilmente decorso, la possibilità di rivolgersi direttamente al titolare del potere sostitutivo (individuato ai sensi del comma precedente) affinché concluda il procedimento medesimo o attraverso le strutture competenti o ricorrendo alla nomina di un commissario.

In ogni caso, il provvedimento finale dovrà essere adottato entro un termine pari alla metà di quello originariamente previsto. In tal modo, l’introduzione a regime di un potere sostitutivo attribuisce al privato in attesa del provvedimento, prima di ricorrere all’azione giudiziale, un ulteriore strumento esperibile a garanzia dell’effettività dell’azione amministrativa. Tra gli oneri incombenti in capo al titolare del potere sostitutivo, secondo quanto previsto dal comma 9-quater, vi è quello di comunicare all’organo di governo entro il 30 gennaio di ogni anno, i procedimenti, suddivisi per tipologia e strutture amministrative competenti, nei quali non è stato rispettato il termine di conclusione previsti dalla legge e o dai regolamenti.

In base al comma 9-quinquies, l’amministrazione deve “riconoscere” l’eventuale ritardo nell’adempimento, indicando in tutti i provvedimenti rilasciati su istanza di parte, sia il termine previsto per disposizione di legge o regolamentare, sia quello effettivamente impiegato.

Sono esclusi dall’applicazione delle disposizioni introdotte i procedimenti tributari e quelli in materia di giochi pubblici, con l’effetto di mantenere ferma la disciplina di settore.

Conflitto di interessi e modifiche alla disciplina degli accordi

La legge 190/2012 (c.d. legge anticorruzione), all’art. 1, co. 41,  ha introdotto il nuovo articolo 6-bis, ai sensi del quale il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endoprocedimentali e il provvedimento finale hanno un dovere di astensionein caso di conflitto di interessi, segnalando ogni situazione di conflitto, anche potenziale. Non sono indicate le conseguenze della violazione di tale disposizione da parte del dipendente. La disposizione, che ha finalità di evitare l’insorgere di fenomeni di illegalità e di corruzione, pare esplicitazione del più generale dovere di imparzialità, sancito dall’articolo 97 della Carta costituzionale, nonché dalla stessa legge proc., in base al cui art. 1, l’attività amministrativa deve essere retta dal criterio di imparzialità.

Sempre al fine di garantire l’imparzialità e la massima trasparenza dell’attività amministrativa, il comma 47 dell’art. 1 della citata L. 190/2012 aggiunge al comma 2 dell'articolo 11 della legge proc. la disposizione secondo la quale agli accordi sostitutivi o integrativi del provvedimento si applica la disciplina sulla motivazione di cui all’articolo 3. Pertanto, tali accordi devono essere motivati, con l’indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione, in relazione alle risultanze dell'istruttoria.

Da ultimo, l’art. 6, D.L. 179/2012 ha disposto che, a decorrere dal 1° gennaio 2013, siano sottoscritti con firma digitale o con firma elettronica avanzata o con altra firma elettronica qualificata, a pena di nullità, gli accordi cd. organizzativi, che le amministrazioni pubbliche concludono tra loro per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune. Dall’attuazione di tale novità non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato dovendosi provvedere nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie previste dalla legislazione vigente.

Modifiche alla disciplina della conferenza di servizi

Al fine di semplificare i procedimenti amministrativi, l’articolo 9 della legge 69/2009 prevede che la conferenza di servizi, strumento organizzativo utilizzato per accelerare i processi decisionali delle amministrazioni coinvolte in procedimenti comuni, può svolgersi per via telematica. È inoltre allargato il diritto di partecipazione e/o di convocazione a taluni soggetti.

Una più profonda modifica della disciplina dell’istituto regolato dall’articolo 14 della L. 241/1990, è stata introdotta dall’art. 49, co. 1-4, del D.L. 78/2010 con l’obiettivo di semplificarne la procedura ed accelerare i tempi per l’adozione del provvedimento finale.

In particolare, viene rimessa al Governo la decisione finale in caso di motivato dissenso da parte delle amministrazioni cd. sensibili (tutela del paesaggio, salute ed ambiente), modificando anche la relativa procedura di composizione del dissenso. Vengono inoltre previste norme di coordinamento con le procedure di VIA, VAS e AIA.

Sotto il profilo generale, le nuove regole, attraverso due novelle all’art. 14, commi 1 e 2, della legge proc., prevedono che l’amministrazione procedente ha la facoltà di indire la conferenza di servizi cd. istruttoria - altrimenti detta "interna" o "referente" - che nel precedente testo poteva generare l’equivoco di una obbligatorietà, evitando che la mancata adozione di tale modulo procedurale possa formare oggetto di sindacato da parte del giudice amministrativo, qualora sia opportuno effettuare un esame contestuale di vari interessi pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo.

Per la diversa tipologia di conferenza di servizi cd. decisoria (altrimenti detta "esterna" o "deliberante"), che resta obbligatoria dopo l’inutile esperimento della procedura ordinaria, viene chiarito che, in talune fattispecie, l’assenza delle determinazioni delle amministrazioni chiamate a pronunciarsi, entro 30 giorni in via ordinaria, non obbliga la pubblica amministrazione procedente ad indire la conferenza di servizi in tutti i casi in cui esistano espresse previsioni normative che consentano alla amministrazione procedente di prescinderne, introducendo una vera e propria ipotesi di sostituzione.

L’articolo modifica anche alcune norme dell’art. 14-ter con riferimento al procedimento di conferenza in caso di valutazione ambientale strategica (VAS), valutazione di impatto ambientale (VIA) e autorizzazione intergrata ambientale (AIA).

Da ultimo, con una novella all’articolo 29, comma 2-ter, della legge 241/1990, il D.L. 78/2010 ha inserito le norme sulla conferenza di servizi tra i livelli essenziali delle prestazioni di cui all’art. 117, comma 2, lettera m), della Costituzione, equiparando l’istituto alla dichiarazione di inizio attività e al silenzio assenso già riconosciuti a tali fini dalla legge 69/2009.

Conferenza di servizi e procedura di finanza di progetto

L’articolo 3 del D.L. 83/2012, aggiungendo un comma 1-bis all’art. 14-bis della L. 241/1990, introduce l’obbligo di indire sempre la conferenza di servizi preliminare nell’ambito della procedura di finanza di progetto. Nell’ambito della medesima procedura viene previsto che la redazione dello studio di fattibilità da porre a base di gara sia effettuata dal personale delle amministrazioni aggiudicatrici, eccetto i casi di carenza in organico di personale avente i necessari requisiti professionali per la predisposizione dello studio nei quali si può fare ricorso a soggetti esterni.

Effetti del dissenso espresso nella conferenza dei servizi

Sotto il profilo degli effetti di un eventuale dissenso espresso in seno alla conferenza, il D.L. 78/2010 ha previsto, con alcune novelle al comma 1 dell’art. 14-quater, anche per le amministrazioni preposte alla tutela ambientale (salvo l’esercizio del potere sostitutivo da parte del Consiglio dei ministri), paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità, l’obbligo di manifestare il dissenso nella conferenza di servizi.

L’art. 14-quater della legge n. 241/1990 disciplina gli effetti del dissenso espresso in sede di conferenza di servizi. Esso prevede che il dissenso di uno o più rappresentanti delle amministrazioni vi comprese quelle preposte alla tutela ambientale (fermo restando quanto previsto in materia di valutazione di impatto ambientale), del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità, regolarmente convocate alla conferenza di servizi, a pena di inammissibilità, deve essere manifestato nella conferenza di servizi e congruamente motivato, non può riferirsi a questioni connesse che non costituiscono oggetto della conferenza e deve recare le specifiche indicazioni delle modifiche progettuali necessarie ai fini dell'assenso.

Ove venga espresso motivato dissenso da parte di un'amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità, la questione, in attuazione del principio di leale collaborazione e dell'articolo 120 Cost. sull’esercizio del potere sostitutivo dello Stato, è rimessa dall'amministrazione procedente alla deliberazione del Consiglio dei Ministri. Fanno eccezione: a) i casi di cui all’art. 117, ottavo comma, Cost, relativo alle intese tra regioni per il migliore esercizio delle funzioni, da ratificare con legge regionale; b) i procedimenti relativi alle opere della cd. legge obiettivo (artt. 161 e ss. D.Lgs. 163/2006), che presentano un’autonoma disciplina sul dissenso c) i procedimenti in tema di localizzazione di opere statali).

Il Consiglio dei ministri si pronuncia entro sessanta giorni, previa intesa con la Regione o le Regioni e le Province autonome interessate, in caso di dissenso tra un'amministrazione statale e una regionale o tra più amministrazioni regionali, ovvero previa intesa con la Regione e gli enti locali interessati, in caso di dissenso tra un'amministrazione statale o regionale e un ente locale o tra più enti locali. Se l'intesa non è raggiunta entro trenta giorni, la deliberazione del Consiglio dei Ministri può essere comunque adottata.

Sulla materia è intervenuta nel corso della legislatura la sentenza della Corte costituzionale n. 179/2012, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della disciplina della conferenza di servizi nella parte in cui prevede che, in caso di dissenso espresso in sede di conferenza di servizi da una Regione o da una Provincia autonoma in una delle materie di propria competenza, ove non sia stata raggiunta, entro trenta giorni, l’intesa richiesta, il Consiglio dei ministri delibera in esercizio del proprio potere sostitutivo con la partecipazione dei Presidenti delle Regioni o delle Province autonome interessate.

Secondo la Corte, la previsione dell'intervento unilaterale dello Stato come mera conseguenza automatica del mancato raggiungimento dell'intesa costituisce una violazione del principio di leale collaborazione, con conseguente sacrificio delle sfere di competenza regionale. In particolare, la previsione di un termine esiguo (30 giorni) rende complesso e difficoltoso lo svolgimento di una qualsivoglia trattativa, attribuendo automaticamente al Governo il potere di deliberare, senza che siano previste le necessarie «idonee procedure per consentire reiterate trattative volte a superare le divergenze» (cfr. ex plurimis, sentenze n. 121 del 2010, n. 24 del 2007, n. 339 del 2005).

La disciplina dichiarata incostituzionale è stata sostituita mediante l’art. 33-octies del D.L. 179/2012, che introduce una procedura volta a superare le divergenze tra Stato e regione attraverso le reiterate trattative richieste dalla Corte costituzionale.

In particolare, le nuove disposizioni prevedono che qualora il motivato dissenso sia espresso da una Regione o da una Provincia autonoma in una delle materie di propria competenza, ai fini del raggiungimento dell’intesa, entro trenta giorni dalla rimessione della questione alla delibera del Consiglio dei Ministri, viene indetta una riunione dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri con la partecipazione della medesima Regione o Provincia autonoma, degli enti locali e delle amministrazioni interessate, attraverso un unico rappresentante legittimato, dall’organo competente, ad esprimere in modo vincolante la volontà dell’amministrazione sulle decisioni di competenza. In tale riunione i partecipanti debbono formulare le specifiche indicazioni necessarie alla individuazione di una soluzione condivisa, anche volta a modificare il progetto originario.

Se l’intesa non è raggiunta nel termine di ulteriori trenta giorni, è indetta una seconda riunione dalla Presidenza del Consiglio con le medesime modalità della prima, per concordare interventi di mediazione, valutando anche le soluzioni progettuali alternative a quella originaria. Ove non sia comunque raggiunta l’intesa, in un ulteriore termine di trenta giorni, le trattative, con le medesime modalità delle precedenti fasi, sono finalizzate a risolvere e comunque a individuare i punti di dissenso.

La segnalazione certificata di inizio attività

L’articolo 49, co. 4-bis, del D.L. 78/2010, ha interamente riscritto l’articolo 19 della L. 241/1990, già modificato dalla L. 69/2009, e trasformato la dichiarazione di inizio attività (DIA) in segnalazione certificata di inizio attività (SCIA).

Tale riforma risponde all’esigenza di liberalizzare l'attività d'impresa, consentendo di iniziare immediatamente l’attività stessa.

La Scia, infatti, consente diiniziare l’attività immediatamente e senza necessità di attendere la scadenza di alcun termine, ciò traducendosi in una sostanziale accelerazione e semplificazione rispetto alla precedente disciplina contenuta nell’articolo 19 della legge n. 241 del 1990, che prevedeva il decorso del termine di trenta giorni prima di poter avviare l’attività oggetto della Dia e legittimava l’esercizio di poteri inibitori da parte dell’amministrazione entro l’ulteriore termine di trenta giorni dalla comunicazione di avvio della medesima attività.

La nuova disciplina è stata oggetto di ulteriori affinamenti e interventi di novella, sino alle disposizioni recate in chiusura di legislatura dal D.L. 5/2012 e dal D.L. 83/2012. Per un’analisi dell’istituto, si rinvia a Segnalazione certificata di inizio attività.

Modifiche alla disciplina dell'accesso agli atti

La legge 69/2009 - modificando l’art. 25, co. 4, L. 241/1990 – ha introdotto l’obbligo di inviare l’istanza di riesame del diniego di accesso agli atti delle amministrazioni delle amministrazioni centrali oltre che alla Commissione per l’accesso, anche all’amministrazione resistente.