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Temi dell'attività Parlamentare

I distretti produttivi e tecnologici

I distretti produttivi

Rispetto ai maggiori paesi sviluppati, l’apparato produttivo italiano si distingue per l’elevato numero di imprese attive e una dimensione media di queste estremamente ridotta, cui si aggiunge un accentuato localismo produttivo. In tale ambito, le piccole e medie imprese (nel seguito: PMI) rappresentano senza dubbio uno degli assi portanti dell’economia nazionale e sono andate incontro ad uno sviluppo quantitativo, ma anche qualitativo, che non ha eguali nel panorama internazionale.

Secondo i dati Istat[1], la dimensione media delle imprese italiane rimane, anche nel 2006, di circa 3,8 addetti. Nelle microimprese con meno di 10 addetti si concentra quasi il 95 per cento delle 4.338.766 imprese, il 47,7 per cento degli addetti, il 25,4 per cento dei dipendenti, il 28,9 per cento del fatturato ed il 33,8 per cento del valore aggiunto.

Le imprese di maggiori dimensoni (250 e più addetti) sono, invece, 3.320 unità e assorbono il 18,6 per cento del totale degli addetti, il 27,7 per cento dei dipendenti, il 28,8 per cento del fatturato e il 27,6 per cento del valore aggiunto complessivo.

La principale caratteristica delle PMI italiane può essere individuata nella particolarità della loro forma organizzativa, che ha trovato l’espressione più completa nei distretti industriali [2] i quali, come le altre le forme organizzative delle PMI (le cooperative ad esempio) sono espressione di uno sviluppo industriale che nasce dal basso e riflette la capacità di forze economiche, sociali ed istituzionali presenti in un determinato territorio di autopromuoversi, mettendo a frutto le risorse in termini di capitale umano, di materie prime e di conoscenze disponibili in ambito locale.

I distretti industriali italiani rappresentano dunque uno dei maggiori punti di forza del sistema produttivo italiano, e si configurano come sistemi produttivi locali omogenei, caratterizzati da un'elevata concentrazione di imprese industriali, prevalentemente di piccola e media dimensione e dall'elevata specializzazione produttiva. L'azienda del distretto è prevalentemente a gestione familiare, e spesso gli stessi impianti sono fisicamente localizzati nelle vicinanze dalla residenza dell'imprenditore “capo-famiglia". Le piccole imprese indipendenti tra di loro sono integrate e specializzate in fasi diverse di uno stesso processo produttivo.

I distretti industriali italiani, nati per favorire, in zone con determinate caratteristiche economiche, la creazione e lo sviluppo di attività produttive nei settori dell'industria e dei servizi, si sono sviluppati in maniera largamente autonoma durante gli ultimi decenni, concentrando le loro attività su settori specifici (tessile, abbigliamento, meccanica, cuoio) nei quali hanno acquisito e sviluppato vantaggi competitivi particolarmente rilevanti. La necessità di soddisfare standard sempre più rigorosi in termini di qualità e di sicurezza ha poi condotto le aziende dei distretti a concentrare la loro attenzione su nicchie di mercato sempre più definite, come testimoniano l'alto grado di qualità ed innovazione dei loro prodotti.

Il fenomeno dei distretti industriali si è inizialmente diffuso in particolare nell'Italia nord-orientale e centrale e ha costituito un potente motore di sviluppo in regioni tradizionalmente prive di un tessuto industriale diffuso, come il Veneto e le regioni centro-meridionali del versante Adriatico come Marche, Abruzzo, Puglia. La crescita attraverso i distretti è stata vista come una valida alternativa al modello industriale del Nord-Ovest, imperniato sulla grande impresa.

I distretti censiti dall’Istat nel 2005

Il 16 dicembre 2005 l’Istat ha diffuso l’elenco dei distretti industriali individuati sulla base dei Sistemi Locali del Lavoro (SLL) del Censimento 2001. Ad oggi, numerosi altri distretti sono stati approvati dalle regioni.

I distretti industriali, che nel 1991 erano 199, nel 2001 ammontavano a 156 (il 65,0% dei 240 SLL prevalentemente manifatturieri), assorbendo il 70,2% degli addetti all’industria manifatturiera (1.928.602 persone). Rispetto al complesso dei SLL (686), la popolazione che vive nei distretti industriali rappresenta il 22,1% dell’intera popolazione italiana. I comuni distrettuali sono il 27,3% dei comuni italiani (2.215), e corrispondono al 20,6% della superficie totale (62.113,83 kmq.), con una densità abitativa di 209 ab./Kmq. I distretti industriali hanno, in media, 39 addetti ogni 100 abitanti, di cui 15 manifatturieri, contro, rispettivamente, 33 e 7 addetti nel resto d’Italia. Le unità produttive sono, sempre in media, 9 (di cui 2 manifatturiere) ogni 100 abitanti, contro rispettivamente, 8 e 1 del resto del Paese.

Quanto alla diffusione territoriale dei distretti, sempre secondo i dati forniti dall’Istat, il più alto numero si registra il Centro Italia (49 distretti, pari al 75,4% dei Sistemi locali manifatturieri dell’area), mentre il Nord-est, considerata l’area di riferimento del modello distrettuale, ne conta 42 (70,0% dei sistemi locali manifatturieri della ripartizione); nel Nord-ovest, l’area di più antica industrializzazione del Paese, un tempo dominata da formazioni territoriali di grande impresa, i distretti presenti risultano 39 (59,1%). Il Mezzogiorno, con 26 distretti (53,1%), costituisce invece l’area emergente dell’industrializzazione distrettuale italiana.

I distretti industriali sono concentrati in 17 regioni (fanno eccezione soltanto la Valle d’Aosta, la Liguria e la Calabria). Le regioni più “distrettuali” risultano essere la Lombardia e le Marche, entrambe con 27 distretti (17,3% dei distretti italiani). Seguono il Veneto con 22 (14,1%), la Toscana con 15 (9,6%) e l’Emilia-Romagna con 13 (8,3%). Viceversa, le regioni dove il modello distrettuale è meno presente sono il Lazio, il Molise, la Sicilia (2 distretti ciascuna), la Basilicata e la Sardegna (un solo distretto). La configurazione territoriale dell’Italia distrettuale disegna un “nuovo” triangolo industriale formato dalla Lombardia, dal Veneto e dall’Emilia-Romagna (62 distretti, pari al 39,7% del totale), che si unisce alle storiche regioni dell’Italia centrale (Toscana, Umbria e Marche, con 47 distretti, pari al 30,1%).

Le industrie principali dei distretti industriali sono, come si è detto, quelle tipiche del made in Italy: il tessile e abbigliamento; la meccanica; i beni per la casa; la pelletteria e calzature; l’alimentare; l’oreficeria e strumenti musicali. I distretti così caratterizzati sono 148 (il 94,8% di tutti i distretti); si rilevano poi 4 distretti dell’industria della carta e cartotecnica e 4 dell’industria della fabbricazione di prodotti in gomma e materie plastiche. I distretti del made in Italy sono soprattutto quelli del tessile-abbigliamento (il 28,8% del totale), della meccanica (24,4%), dei beni per la casa (20,5%) e della pelletteria e delle calzature (12,8%).

In merito all’internazionalizzazione dei distretti produttivi, si veda il rapporto dell’Istituto nazionale per il commercio estero (ICE), Osservatorio sull’internazionalizzazione dei distretti industriali, n. 2 – Maggio 2008[3].

L'evoluzione normativa

Il riconoscimento giuridico dei distretti si è avuto per la prima volta con la legge 5 ottobre 1991, n. 317. Sino a quel momento i distretti industriali non avevano avuto alcuna effettiva identità istituzionale, ma l’interazione con il governo locale si era basata sulla formazione di consorzi e di associazioni locali di categoria.

La legge n. 317 del 1991 ha previsto un ampio coinvolgimento delle regioni sia nell’individuazione dei distretti, sia nell'attività di sostegno e finanziamento degli stessi attraverso i consorzi di sviluppo industriale. Secondo tale norma, spetta infatti alle regioni il compito di individuare, previo parere delle unioni regionali delle camere di commercio, i distretti industriali presenti nel proprio territorio sulla base degli indirizzi e i parametri di riferimento fissati con decreto ministeriale. Una volta individuati in questo modo i distretti industriali, le regioni possono approvare finanziamenti a loro diretti.

L’intervento legislativo del 1991[4], dunque, affidava alle regioni il compito di individuare i distretti, sulla base delle specifiche che sarebbero state fornite da un decreto del Ministero dell’Industria. Tale decreto venne emanato nell’aprile del 1993; in esso venne sostanzialmente adottata una metodologia puramente quantitativa e fondata su dati Istat in merito al grado di specializzazione locale della forza lavoro e della struttura industriale.

La metodologia di analisi basata sui sistemi locali del lavoro si focalizzava, infatti, sulla presenza di un elevato numero di piccole imprese ed un limitato pendolarismo dei locali verso l’esterno dell’area.

Per altro, tali analisi statistiche, a fronte del vantaggio di elevata comparabilità, non tenevano conto di una serie di fattori che contribuivano alla definizione di un distretto industriale, quali le relazioni verticali tra imprese, il rapporto con il territorio, gli scambi commerciali, le asimmetrie nelle dimensioni d’impresa. Sebbene nei primi anni successivi al 1991 vi furono diversi studi che proposero differenti metodi per l’individuazione dei distretti, le regioni si attennero a quanto espressamente predisposto nel DM del 1993. Successivamente alla definizione dei limiti geografici dei distretti industriali si avviarono progressivamente degli interventi da parte del governo centrale che definivano delle risorse ad essi dedicate.

La legge del 1991 non proponeva alle regioni un chiaro indirizzo in termini procedurali per la gestione attiva delle risorse finanziarie per i distretti. In quest’ottica venivano a mancare sin dall’inizio dei riferimenti univoci per un successivo sviluppo di un’effettiva governance dei distretti stessi.

Nel complesso, in questa fase iniziale il legislatore concedeva alle regioni l’opportunità di intervenire sul territorio finanziando dei consorzi tramite dei contratti di programma. Non era invece esplicitamente contemplata l’opportunità di finanziare centri per l’innovazione o società consortili, anche miste. Alla stesura dei contratti di programma potevano partecipare i membri del comitato di distretto, i quali erano tipicamente comuni, camere di commercio, associazioni di categoria, consorzi interaziendali.

Il primo documento economico che riconosce esplicitamente i distretti industriali è la Deliberazione CIPE del 21/03/97, in base alla quale i distretti industriali possono farsi promotori per i contratti di programma. Un successivo rilevante intervento legislativo orientato al finanziamento dei distretti industriali è quello della legge 266/1997 (Legge Bersani). La legge dispone la concessione di un contributo (che non può superare il 50% della spesa prevista) per l’innovazione informatica e delle telecomunicazioni dei distretti. La Legge Bersani prevede inoltre che ai consorzi di sviluppo industriale senza fini di lucro costituiti dalle regioni, che intervengano come le società consortili miste pubbliche e private a favore delle piccole imprese, siano attribuiti – da parte delle stesse regioni – oltre ai finanziamenti per i distretti industriali, anche contributi in conto capitale finalizzati alle prestazioni di beni e servizi per l’innovazione e lo sviluppo tecnologico, gestionale e amministrativo.

Al 1997 meno della metà delle regioni italiane (Abruzzo, Campania, Friuli, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Sardegna e Toscana) avevano identificato con provvedimenti specifici i distretti industriali esistenti nel proprio territorio. Tra queste solo tre regioni, Lombardia, Piemonte e Toscana, avevano avviato concreti programmi operativi, mentre molte regioni non avevano ancora provveduto ad iniziare neppure la prima fase di indagine del territorio.

Il seguente intervento legislativo inerente i distretti industriali è quello della legge 140/1999 mirante alla semplificazione dei criteri di individuazione dei distretti. In questa circostanza si realizza un importante intervento che riconosce come i distretti non possano essere semplicemente ricondotti a delle strutture organizzative del lavoro. In particolare, la legge sostituiva alla precedente definizione di sistemi locali del lavoro, quella di sistemi produttivi locali. Le caratteristiche peculiari del distretto non sono più legate strettamente alla piccola imprese ed alla manifattura, ma viene al contrario inclusa la possibilità di una non trascurabile incidenza locale di imprese non industriali e di imprese manifatturiere di medie dimensioni. La stessa legge conferiva poi il compito alle regioni di attivarsi per il finanziamento di progetti innovativi proposti da privati appartenenti ai distretti industriali. Nel complesso la nuova legge garantiva una maggiore flessibilità nell’individuazione delle aree rilevanti ed incrementava il raggio di azione delle regioni nell’ambito della politica industriale a favore dell’innovazione tecnologica locale.

A seguito della legge 140/1999, le Regioni hanno cercato di definire criteri comuni per l’individuazione dei distretti industriali e dei sistemi produttivi locali. Nel Coordinamento del 21 ottobre 1999 le Regioni hanno convenuto di:

  • mantenere ai distretti industriali i caratteri della loro specificità;
  • utilizzare come criteri di selezione quelli indicati nel D.M. 21 aprile 1993, aggiornati al censimento intermedio Istat 1996, modulando però tali criteri su una fascia di oscillazione che considera le realtà produttive del Centro Nord e del Sud;
  • considerare per le realtà produttive del Sud anche indicatori qualitativi;
  • rilevare che comunque i sistemi locali del lavoro non sono esaustivi come ambiti territoriali di riferimento.

Il quadro normativo sul tema della delega alle regioni della gestione della politica industriale all’interno dei distretti è completato dai seguenti interventi:

  • decreto legislativo n. 112 del 31 marzo 1998, in attuazione della legge 59/1997, con cui vengono effettivamente delegate alle regioni le funzioni inerenti alla concessione di agevolazioni, contributi, incentivi e benefici di qualsiasi genere all’industria, compresi gli interventi per le piccole imprese. In particolare, le risorse previste dalla legge 59/1997 per sostenere gli interventi nei distretti industriali dovranno alimentare il Fondo Unico regionale;
  • decreto-legge n. 79 del 16 marzo 1999, con il quale, in merito alla liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica, si riconosceva alle imprese appartenenti ad un distretto di consorziarsi per beneficiare di costi minori sull’energia.
La legge finanziaria per il 2006

La legge 23 dicembre 2005, n. 266 (finanziaria 2006) è intervenuta in materia di distretti produttivi con i commi da 366 a 372 dell’articolo 1.

Ai fini dell’applicazione della nuova disciplina recata dai commi da 367 a 372, ilcomma 366 dispone che con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze si provveda a precisare le caratteristiche e le modalità di individuazione dei distretti produttivi, qualificati come libere aggregazioni di imprese articolate sul piano territoriale e sul piano funzionale, aventi le finalità, da perseguirsi "secondo principi di sussidiarietà orizzontale e verticale”, anche individuando modalità di collaborazione con le associazioni imprenditoriali" di:

  • accrescimento dello sviluppo delle aree e dei settori di riferimento;
  • miglioramento dell'efficienza nell'organizzazione e nella produzione.

La disposizione prefigura dunque la definizione di due distinte tipologie di distretti: quelli territoriali e quelli funzionali.

I distretti territoriali, maggiormente ancorati all'esperienza maturata fino a quel momento nel settore dei distretti produttivi, si caratterizzano per la comune appartenenza delle imprese che vi afferiscono ad un medesimo settore produttivo, oltre che ad uno stesso ambito territoriale. I distretti funzionali, scaturiscono da una libera aggregazione di imprese che cooperano in modo intersettoriale in una logica di mutual business; si prescinde così dalla sussistenza di legami con specifici territori, in funzione del perseguimento di sinergie fra imprese svolgenti attività complementari o comunque connesse, ai fini dell'accesso ad opportunità presenti sul mercato che presuppongono una integrazione dell'offerta produttiva ovvero ai fini dell'ammissione a determinati regimi particolari all'uopo previsti dalla legge.

L'adesione ai distretti da parte di imprese industriali, dei servizi, turistiche, agricole e della pesca è libera.

Il comma 368determina le disposizioni tributarie, amministrative, finanziarie e di promozione della ricerca e dello sviluppo, applicabili ai distretti produttivi. Con esse viene prevista, in sintesi, la possibilità, per le imprese appartenenti a distretti produttivi, di dare vita a un ambito comune per la fiscalità, gli adempimenti amministrativi e la finanza.

La lettera a) individua la disciplina tributaria.

Viene prevista – su base comunque opzionale – la possibilità di due diverse aggregazioni, costituite rispettivamente dal consolidamento fiscale (secondo cui le società di capitali facenti parte di distretti verrebbero sostanzialmente equiparate ad un gruppo) e dalla tassazione unitaria (caratterizzata da un reddito imponibile di distretto che comprende quello delle imprese che hanno optato per la tassazione unitaria). A quest’ultima possono accedere anche le imprese non soggette all'imposta sul reddito delle società (IRES). Tanto nella tassazione consolidata (riferita alle sole imposte sul reddito) quanto nella tassazione unitaria (applicabile sia alle imposte sul reddito, sia alle entrate locali) il distretto è individuato come unità fiscale di riferimento (cfr. amplius infra).

La lettera b) del comma 368 individua alcune disposizioni amministrative applicabili ai distretti produttivi.

Ai fini della semplificazione degli adempimenti burocratici posti a carico delle imprese che aderiscono ai distretti, la norma prevede la facoltà per il distretto di svolgere talune funzioni quali l'esecuzione, in nome e per conto dell'impresa, degli adempimenti burocratici connessi con lo svolgimento dell'attività, nonché la "certificazione" dell’esattezza dell'iter procedurale seguito; si prevede, inoltre, il riconoscimento ai distretti della facoltà di stipulare negozi di diritto privatoper conto delle imprese ad essi aderenti sulla base delle norme civilistiche che disciplinano il mandato.

A fronte di quest’attività amministrativa svolta dal distretto, la cui rispondenza alle norme di legge è dichiarata dal distretto stesso, le pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici interessati provvedono di conseguenza nei riguardi delle imprese senza esperire alcun altro controllo.

Viene altresì consentito ai distretti di accedere con apposita convenzione ai sistemi informativi e agli archivi informatici delle pubbliche amministrazioni, rimandando ad un successivo decreto l'individuazione delle concrete modalità applicative della disposizione.

La lettera c) individua una serie di disposizioni finanziarie applicabili ai distretti.

Si tratta in particolare di interventi diretti ad agevolare l'accesso al credito, a promuovere contenimento dei rischi e a favorire la capitalizzazione delle imprese appartenenti al distretto.

A tale proposito, vengono anzitutto previste forme e condizioni semplificate per la cartolarizzazione dei crediti concessi da più banche o intermediari finanziari alle imprese facenti parte del distretto, agli effetti della cessione a un'unica società.

La lettera d) detta disposizioni in materia di ricerca e sviluppo, prevedendo l'istituzione dell'Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l'innovazione[5], che è chiamata a concorrere all'accrescimento della competitività delle piccole e medie imprese e dei distretti industriali attraverso la diffusione delle nuove tecnologie e delle relative applicazioni industriali (numero 1). All'Agenzia è assegnato il compito di promuovere l'integrazione fra il sistema della ricerca e il sistema produttivo provvedendo ad individuare a valorizzare e a diffondere nuove conoscenze tecnologiche, brevetti ed applicazioni industriali su scala sia nazionale che internazionale.

La norma ha previsto, inoltre, la stipula, da parte dell’Agenzia di convenzioni e contratti con soggetti pubblici e privati che ne condividono le finalità (numero 3).

Attraverso decreti di natura non regolamentare, la Presidenza del Consiglio dei ministri - alla cui vigilanza l’Agenzia viene sottoposta e alla quale è, altresì, rimessa l'approvazione del relativo statuto (ai sensi del numero 4) - provvede alla definizione di criteri e modalità per lo svolgimento delle attività istituzionali dell’Agenzia, sentiti i Ministeri dell’istruzione, dell’economia e delle attività produttive, nonché i Ministri per lo sviluppo e la coesione territoriale e per l’innovazione e le tecnologie, se nominati.

L'applicazione delle nuove disposizioni relative ai distretti viene estesa anche (comma 369):

Si prevede inoltre che le funzioni di assistenza alle imprese, esercitate dai comuni prioritariamente attraverso gli sportelli unici per le attività produttive, possano essere svolte anche avvalendosi delle strutture tecnico-organizzative dei consorzi di sviluppo industriale di cui all’articolo 36, comma 4, della citata legge 5 ottobre 1991, n. 317 (comma 370).

La normativa sui distretti prevista dalla legge finanziaria per il 2006 è stata oggetto di ricorso da parte di alcune Regioni presso la Corte costituzionale, che con sentenza 18 aprile-11 maggio 2007, n. 165 (Gazz. Uff. 16 maggio 2007, n. 19 - Prima serie speciale) ne ha dichiarato l’illegittimità di alcune parti che non prevedevano l’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.

La legge finanziaria per il 2007

La legge finanziaria per il 2007, attraverso la novella della legge n. 266/2005 (legge finanziaria 2006), ha introdotto disposizioni relative al cofinanziamento statale di progetti regionali in materia di distretti produttivi.

La novella alla legge finanziaria per il 2006 è volta, in attesa dell’adozione del decreto di individuazione dei distretti produttivi, a prevedere la possibilità di riconoscere un contributo statale a progetti regionali riguardanti tali distretti, per un ammontare massimo del 50% delle risorse pubbliche complessivamente impiegate in ciascun progetto.

I commi 889-891 recano disposizioni relative al cofinanziamento statale di progetti regionali in materia di distretti produttivi.

Novellando la legge n. 266/2005 mediante l’aggiunta dei commi 371-bis e 371-ter, tali disposizioni prevedono - in attesa dell’adozione del decreto di individuazione dei distretti produttivi - la possibilità di riconoscere un’agevolazione a progetti regionali riguardanti tali distretti, per un ammontare massimo del 50 per cento delle risorse pubbliche complessivamente impiegate in ciascun progetto.

Il decreto-legge n. 112 del 2008

L‘articolo 6-bis del decreto-legge n. 112/2008  ha modificato in più parti la disciplina sui distretti produttivi introdottadalla legge finanziaria 2006, eliminando, in particolare, le disposizioni relative al consolidamento fiscale ed alla tassazione unitaria per le imprese appartenenti ai distretti produttivi, che sono sostituite da norme di semplificazione ai fini degli adempimenti IVA (al riguardo, vedi però infra). Inoltre, estende la normativa sui distretti produttivi come modificata - ad eccezione delle disposizioni concernenti i tributi dovuti agli enti locali[8] - alle reti delle imprese (di livello nazionale), nonché alle catene di fornitura (comma 2).

La definizione delle caratteristiche e delle modalità di individuazione delle reti delle imprese e delle catene di fornitura è demandata ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico da adottarsi di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, sentite le regioni interessate[9] (comma 1).

Lo scopo è quello di promuovere lo sviluppo del sistema imprenditoriale attraverso azioni di rete in grado di rafforzare le misure organizzative delle imprese, l’integrazione per filiera, lo scambio e la diffusione delle migliori tecnologie, lo sviluppo di servizi di sostegno e forme di collaborazione tra realtà produttive appartenenti anche a regioni diverse.

Il comma 3 ha apportato varie modifiche alle disposizioni della legge 266/2005 disciplinanti i distretti produttivi, di seguito illustrate:

a)     richiede la previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano e che vengano sentite le regioni interessate, ai fini dell’adozione del decreto del Ministro dell'economia e delle finanze cui il comma 366 rinvia per la definizione delle caratteristiche e delle modalità di individuazione dei distretti produttivi;

b)     dispone la sostituzione dei numeri da 1) a 15) della lettera a) dell’articolo 1, comma 368, della citata della legge 266/2005, che recano una specifica disciplina tributaria per i distretti produttivi[10].

Le citate disposizioni prevedono che il regime fiscale dei distretti consenta la tassazione sulla base di due diverse aggregazioni, costituite dal consolidamento fiscale (secondo cui le società di capitali facenti parte di distretti verrebbero sostanzialmente equiparate ad un gruppo) e dalla tassazione unitaria (caratterizzata da un reddito imponibile di distretto che comprende quello delle imprese che hanno optato per la tassazione unitaria). A quest’ultima possono accedere anche le imprese non soggette all'imposta sul reddito delle società (IRES).Tanto nella tassazione consolidata (riferita alle sole imposte sul reddito) quanto nella tassazione unitaria (applicabile sia alle imposte sul reddito, sia alle entrate locali), il distretto è individuato come unità fiscale di riferimento.

La tassazione consolidata (numeri 1 e 2) si applica alle sole imposte sul reddito e ricalca l'istituto del consolidato nazionale per la tassazione dei gruppi di imprese, le cui norme vengono espressamente richiamate in quanto applicabili. In luogo del gruppo di imprese controllate, l'unità fiscale di riferimento è il distretto, che provvede agli adempimenti dichiarativi e di pagamento, sulla base della somma algebrica dei redditi delle società partecipanti. Viene quindi consentita, ad esempio, la compensazione intradistrettuale delle perdite fiscali. Si ricorda in particolare che, secondo il disposto del numero 1) della citata lettera a), le imprese appartenenti a distretti aventi determinate caratteristiche (a norma del comma 366 dell’articolo 1 della medesima legge) possono congiuntamente esercitare l'opzione per la “tassazione (consolidata) di distretto” ai fini dell'applicazione dell'imposta sul reddito delle società (IRES), ovvero un modello di tassazione che configura l’estensione delle condizioni per l’applicazione dell’istituto del consolidato nazionale, previsto e disciplinato dal titolo II, capo II, sezione II (articolo da 117 a 129), del vigente testo unico delle imposte sui redditi (TUIR), approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, per la tassazione di gruppo delle imprese residenti. La facoltà di opzione per la tassazione di gruppo è consentita congiuntamente alle società di capitali, cooperative, mutue assicuratrici o enti commerciali controllanti e a ciascuna società o ente controllato.

La tassazione unitaria (numeri da 3 a 15) individua il distretto quale soggetto passivo delle imposte sui redditi, dei tributi e delle altre somme dovute agli enti locali, sulla base di concordato preventivo di durata almeno triennale. Il ricorso a tale forma di concordato preventivo è comunque ammesso anche indipendentemente dall’opzione per le suddette forme di tassazione.

Nel dettaglio, ai sensi del nuovo numero 1) viene abrogato il suddetto gruppo di disposizioni fiscali concernenti i distretti produttivi - contenute nella legge finanziaria 2006 - e sostituito con la previsione di apposite semplificazioni contabilie procedurali in favore delle imprese appartenenti ai distretti medesimi, finalizzate a razionalizzare e ridurre gli oneri legati alle risorse umane e finanziarie conseguenti all'effettuazione degli adempimenti in materia di imposta sul valore aggiunto, nel rispetto della disciplina comunitaria e, in particolare, della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006 e successive modificazioni.

La direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006 ha proceduto alla rifusione delle norme che costituiscono il sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto costituendo, pertanto, una sorta di testo unico di tutte le norme sul sistema comune di IVA, razionalizzando e coordinando le numerose e sostanziali modifiche intervenute nel tempo. Il nuovo testo è entrato in vigore dal 1° gennaio 2007 in tutti i Paesi dell’Unione europea.

La norma demanda la disciplina delle suddette semplificazioni a un regolamento di delegificazione, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sentite le regioni interessate.

Il nuovo numero 2) reca disposizioni in materia di tributi propri delle regioni e degli enti locali, disponendo che per questi ultimi resti ferma la facoltà di stabilire procedure amministrative semplificate per l'applicazione di tributi propri.

c)/d)        richiede la previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome, per l’adozione dei decreti di natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze che fissano, rispettivamente, le modalità applicative delle disposizioni dei numeri 1 e 2, lett. b), comma 368, relative a profili di natura amministrativa (cfr. supra).

Il comma 4 ha soppresso la disposizione del comma 3, art. 23, del D.Lgs. 112/1998 – aggiunta dal comma 370 della legge 266/2005 (cfr. supra) - che affida lo svolgimento delle funzioni di assistenza alle imprese, esercitate prioritariamente attraverso gli sportelli unici per le attività produttive, anche alle strutture tecnico-organizzative dei consorzi di sviluppo industriale di cui all’articolo 36, comma 4, della legge 5 ottobre 1991, n. 317[11].

Il decreto-legge n. 5 del 2009

Con l’articolo 3 (commi da 1 a 3 e comma 4) del decreto-legge n. 5/2009[12] (cd. decreto “rottamazione”), come modificato in sede di conversione, si è intervenuti nuovamente sulla disciplina fiscale dei distretti produttivi[13] reintroducendo il regime fiscale previsto dal testo originario della legge finanziaria 2006[14].

Si ricorda che l’articolo 6-bis del DL 112/2008 ha esteso alle reti d’imprese e alle catene di fornitura la disciplina dei distretti produttivi al fine di promuovere lo sviluppo del sistema delle imprese attraverso azioni di rete che ne rafforzino le misure organizzative, l'integrazione per filiera, lo scambio e la diffusione delle migliori tecnologie, lo sviluppo di servizi di sostegno e forme di collaborazione tra realtà produttive anche appartenenti a regioni diverse.

In particolare, le modifiche introdotte dal comma 1 dell’articolo 3 del DL 5/2009 sono dirette ad includere anche i tributi locali nell’ambito dei benefici fiscali in favore delle reti d’imprese e delle catene di forniture, mentre il comma 2 reintroduce la disciplina tributaria originariamente introdotta dalla legge finanziaria 2006 e successivamente sostituita dal decreto legge n. 112/2008.

In base alla disciplina reintrodotta (cfr. supra), il distretto può optare per l’applicazione di uno dei seguenti regimi tributari[15]:

1)   regime della tassazione di distretto;

2)   regime della tassazione concordata con l’Amministrazione finanziaria.

Il comma 3 del menzionato articolo 3 interviene sull’articolo 23 del D.Lgs. 112/1998, reintroducendo la disposizione (introdotta dal comma 370, art. 1, della L. 266/2005 e successivamente soppressa dal comma 4, art. 6-bis, del D.Lgs. 112/2008) secondo cui lo svolgimento delle funzioni di assistenza alle imprese esercitate dai comuni prioritariamente attraverso gli sportelli unici per le attività produttive, possano essere svolte anche avvalendosi delle strutture tecnico-organizzative dei consorzi di sviluppo industriale.

In sede di conversione, sono stati introdotti all'articolo 3, i commi 4-ter, 4-quater e 4-quinquies, che disciplinano i contenuti essenziali del contratto di rete tra due o più imprese[16], con particolare riferimento ai diritti e agli obblighi assunti dalle imprese partecipanti e alle modalità di esecuzione dei contratti stessi.

In particolare, il comma 4-ter prevede che con il contratto di rete, due o più imprese si obbligano ad esercitare in comune una o più attività economiche rientranti nell'ambito dei rispettivi oggetti sociali, allo scopo di accrescere la reciproca capacità innovative e la competitività sul mercato, e il comma 4-quinquies dispone infine che alle reti di imprese che nascono dalla conclusione di tale contratto si applichino le disposizioni di cui all'articolo 1, comma 368, lettera b) della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria 2006) e successive modificazioni (cioè le disposizioni amministrative previste per i distretti produttivi dalla legge finanziaria 2006).

Il comma 1-quinquies dell’articolo 7, introdotto in sede di conversione in legge, interviene a sostegno delle iniziative di rilancio produttivo e di tutela occupazionale, in particolare per le imprese dei distretti operanti in alcuni settori. A tal fine, in attesa del decreto recante le modalità di funzionamento del Fondo per la finanza d'impresa, istituito dall’art. 1, comma 847 della legge finanziaria 2007 (L. 296/2006) e non ancora operativo, dispone l’utilizzo, per il 2009, di una quota delle risorse del fondo di garanzia di cui all’articolo 15 della legge 266/1997 (c.d. legge Bersani), confluito nello stesso Fondo per la finanza d’impresa. Tali risorse, per un ammontare non inferiore a 10 milioni di euro, sono destinate, ai fini del rilascio di garanzie anche mediante ricorso ai consorzi di garanzia fidi, alle imprese operanti nei distretti produttivi del settore della concia, del tessile e del calzaturiero, nell’ambito dei quali siano state realizzate opere collettive per lo smaltimento o il riciclo dei rifiuti ovvero per il riciclo e la depurazione di almeno il 95% delle acque ad uso industriale.

La legge n. 99 del 2009

L’articolo 1 della legge n. 99 del 23 luglio 2009 (A.C. 1441-ter) interviene nuovamente sulla normativa relativa ai distretti produttivi e le reti di imprese.

In particolare, il comma 1 modifica ed integra la disciplina sul contratto di rete introdotta dal decreto-legge 5/2009, relativamente alle indicazioni da inserire nel contratto e alle disposizioni che si applicano alla rete di imprese che nasce dalla conclusione del medesimo contratto. Con riferimento a tale ultimo aspetto, si dispone l’applicazione alle reti delle imprese nascenti dalla conclusione di contratti di rete delle disposizioni amministrative, finanziarie e di ricerca e sviluppo previste per i distretti produttivi dalla legge finanziaria 2006 (art. 1, comma 368, lettere b), c) e d) della legge 266/2005), subordinando però tale applicazione ad una apposita autorizzazione amministrativa. Si ricorda che invece il D.L. 5/2009 prevedeva l’applicazione alle reti delle imprese in oggetto solamente delle disposizioni amministrative previste per i distretti produttivi dalla legge finanziaria 2006 (senza però necessità di alcuna autorizzazione).

Il comma 2 provvede all’abrogazione dell'articolo 6-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (cfr. supra), le cui scelte normative, soprattutto per quanto concerne la disciplina fiscale, erano già peraltro state superate con il decreto-legge n. 5/2009.

Gli articoli 2 e 3 della citata legge contengono numerose disposizioni riguardanti anche i distretti.

Il decreto-legge n. 78 del 2010

Ulteriori disposizioni relative alle reti di imprese sono contenute nell'articolo 42 del decreto-legge n. 78/2010 (manovra correttiva 2010), convertito dalla legge n. 122/2010 (A.C. 3638). Tale articolo dispone il riconoscimento, a favore delle imprese appartenenti ad una rete di imprese (nascente dalla conclusione del contratto di rete), di vantaggi fiscali, amministrativi e finanziari , compresa la possibilità di stipulare convenzioni con l'ABI alle condizioni che saranno stabilite con regolamento del Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare entro 45 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge (comma 2).

Nel corso dell’esame parlamentare è stato soppresso l’originario comma 1 (che prevedeva che il riconoscimento dell'appartenenza alla rete fosse richiesto dall'impresa, sulla base di quanto sarebbe stato disposto con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate) ed è stato ridisciplinato (con i commi aggiunti 2-bis e 2-ter) il contratto di rete di cui ai commi 4-ter e 4-quater dell'art. 3 del decreto-legge n. 5/2009, convertito con modificazioni dalla legge n. 33/2009, che sono stati a tal fine novellati.

Invece di prevedere che due imprese esercitassero in comune una o più attività economiche allo scopo di accrescere la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato, com'era finora, a fondamento del contratto di rete ora è posto proprio quello che finora ne era l'elemento teleologico, mentre l'oggetto non coincide più necessariamente con il solo esercizio in comune (di parte) degli oggetti sociali di ciascuna impresa.

Infatti, ai sensi del comma 2-bis, che modifica il comma 4-ter dell’art. 3 del D.L. 5/2009, con il nuovo contratto di rete più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato, obbligandosi, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all'esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ancora ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell'oggetto della propria impresa. Il contratto può anche prevedere l'istituzione di un fondo patrimoniale comune e la nomina di un organo comune incaricato di gestire, in nome e per conto dei partecipanti, l'esecuzione del contratto o di singole parti o fasi dello stesso. Ai fini degli adempimenti pubblicitari, il contratto deve essere redatto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata e deve indicare:

a)     il nome, la ditta, la ragione o la denominazione sociale di ogni partecipante (rispetto alla norma precedente, si richiede che ciò risulti per originaria sottoscrizione del contratto o per adesione successiva);

b)     l'indicazione degli obiettivi strategici di innovazione e innalzamento della capacità competitiva dei partecipanti (rispetto alla norma precedente, non si richiede più che innovazione e competitività siano dimostrate, ma solo che siano indicate le modalità concordate tra gli stessi per misurare l'avanzamento verso tali obiettivi);

c)     la definizione (e non più "individuazione") di un programma di rete, che contenga l'enunciazione dei diritti e degli obblighi assunti da ciascun partecipante, le modalità di realizzazione dello scopo comune. Solo qualora sia prevista l'istituzione di un fondo patrimoniale comune, dovranno essere anche indicati la misura e i criteri di valutazione dei conferimenti iniziali e degli eventuali contributi successivi che ciascun partecipante si obbliga a versare al fondo nonché le regole di gestione del fondo medesimo; se consentito dal programma, l'esecuzione del conferimento può avvenire anche mediante apporto di un patrimonio destinato costituito ai sensi dell'art. 2447-bis, lett. a), del codice civile. Al fondo patrimoniale comune così costituito (ma, deve ritenersi, anche a quello previsto al secondo periodo del capoverso “4-ter”, che in buona parte vi coincide) si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli articoli 2614 e 2615 del codice civile, riguardanti, rispettivamente, il "Fondo consortile" e la "Responsabilità verso i terzi";

d)     la durata del contratto, le modalità di adesione di altri imprenditori e, se pattuite, le cause facoltative di recesso anticipato e le condizioni per l'esercizio del relativo diritto (il recesso è quindi ora solo facultizzato), ferma restando in ogni caso l'applicazione delle regole generali di legge in materia di scioglimento totale o parziale dei contratti plurilaterali con comunione di scopo (tale ultimo inciso è stato aggiunto rispetto alla norma precedente);

e)     le generalità del soggetto prescelto per svolgere l'ufficio di organo comune per l'esecuzione del contratto o di una o più parti o fasi di esso (ma solo se il contratto ne prevede l'istituzione), i poteri di gestione e di rappresentanza conferitigli come mandatario comune nonché le regole relative alla sua eventuale sostituzione durante la vigenza del contratto. Salvo che sia diversamente disposto nel contratto, l'organo comune agisce in rappresentanza degli imprenditori, anche individuali, partecipanti al contratto, nelle procedure di programmazione negoziata con le pubbliche amministrazioni, nelle procedure inerenti ad interventi di garanzia per l'accesso al credito e in quelle inerenti allo sviluppo del sistema imprenditoriale nei processi di internazionalizzazione e di innovazione prevista dall'ordinamento nonché all'utilizzazione di strumenti di promozione e tutela dei prodotti e marchi di qualità o di cui sia adeguatamente garantita la genuinità della provenienza (il testo precedente su quest’ultimo punto faceva invece più semplicemente riferimento alla promozione e tutela dei prodotti italiani);

f)       le regole per l'assunzione delle decisioni dei partecipanti su ogni materia o aspetto di interesse comune che non rientri, quando è stato istituito un organo comune, nei poteri di gestione conferiti a tale organo, nonché, se il contratto prevede la modificabilità a maggioranza del programma di rete, le regole relative alle modalità di assunzione delle decisioni di modifica del programma medesimo. Si tratta di una previsione nuova rispetto al testo precedente, con cui si affronta la governance della rete istituita.

Il comma 2-ter, che modifica il comma 4-quater dell’art. 3 del D.L. 5/2009, aggiunge alla previsione - già presente nello stesso comma 4-quater - secondo cui il contratto di rete è soggetto a iscrizione nella sezione del Registro delle Imprese presso cui è iscritto ciascun partecipante, che l'efficacia del contratto inizia a decorrere da quando è stata eseguita l'ultima delle iscrizioni prescritte a carico di tutti coloro che ne sono stati sottoscrittori originari.

I commi da 2-quater a 2-septies introducono una agevolazione fiscale per le imprese che sottoscrivono o aderiscono a un contratto di rete ai sensi all'articolo 3, comma 4-ter e seguenti, del decreto-legge n. 5 del 2009.

In particolare per tali imprese, ai sensi del comma 2-quater, viene previsto un regime di sospensione d’imposta relativamente alla quota degli utili dell'esercizio accantonati ad apposita riserva e destinati alla realizzazione di investimenti previsti dal programma comune di rete (preventivamente asseverato da organismi espressione dell'associazionismo imprenditoriale muniti dei requisiti previsti con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, ovvero, in via sussidiaria, da organismi pubblici individuati con il medesimo decreto). L’agevolazione opera per gli utili realizzati fino al periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2012 ed interessa la quota degli stessi imputata al fondo patrimoniale comune o al patrimonio destinato per le predette finalità di investimento. Gli utili accantonati concorrono a formare il reddito nell'esercizio in cui la riserva è utilizzata per finalità diverse dalla copertura di perdite di esercizio ovvero in cui viene meno l'adesione al contratto di rete. L'asseverazione è rilasciata previo riscontro della sussistenza nel caso specifico degli elementi propri del contratto di rete e dei relativi requisiti di partecipazione in capo alle imprese che lo hanno sottoscritto. L'Agenzia delle Entrate, avvalendosi dei poteri di cui al Titolo IV del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, vigila sui contratti di rete e sulla realizzazione degli investimenti che hanno dato accesso all'agevolazione, revocando i benefici indebitamente fruiti. Viene precisato che l'importo che non concorre alla formazione del reddito d'impresa non può comunque superare il limite di euro 1.000.000. Gli utili destinati al fondo patrimoniale comune o al patrimonio destinato all'affare trovano espressione in bilancio in una corrispondente riserva, di cui viene data informazione in nota integrativa, e sono vincolati alla realizzazione degli investimenti previsti dal programma comune di rete.

Il comma 2-quinquies prevede anzitutto che l'agevolazione di cui al comma 2-quater può essere fruita, nel limite complessivo di 20 milioni di euro per il 2011 e di 14 milioni di euro per ciascuno degli anni 2012 e 2013, esclusivamente in sede di versamento del saldo delle imposte sui redditi dovute per il periodo di imposta relativo all'esercizio cui si riferiscono gli utili destinati al fondo patrimoniale comune o al patrimonio destinato all'affare. Per il periodo d’imposta successivo l’acconto delle imposte dirette è calcolato assumendo come imposta del periodo precedente quella che si sarebbe applicata in mancanza delle previsioni di cui al comma 2-quater.

Il comma 2-sexies demanda ad un successivo provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate, da adottare entro 90 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione, l'individuazione dei criteri e delle modalità di attuazione dell'agevolazione prevista dal comma 2-quater, anche ai fini del rispetto del limite di spesa previsto al comma 2-quinquies.

Infine il comma 2-septies subordina l'operatività dell'agevolazione alla prescritta autorizzazione della Commissione europea.

Lo statuto delle imprese

La legge 180/2011 (A.C. 98 ed abbinate) pone tra i principi generali che concorrono a definire lo statuto giuridico delle imprese, la promozione dell'aggregazione tra imprese anche attraverso il sostegno ai distretti e alle reti di imprese. 

Inoltre l’articolo 5 definisce:

-     «microimprese», «piccole imprese» e «medie imprese» le imprese che rientrano nelle definizioni recate dalla raccomandazione della Commissione europea 2003/361/CE del 6 maggio 2003 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea n. L 124 del 20 maggio 2003;

-     «distretti» i contesti produttivi omogenei, caratterizzati da un'elevata concentrazione di imprese, prevalentemente di micro, piccole e medie dimensioni, nonché dalla specializzazione produttiva di sistemi di imprese;

-     «distretti tecnologici» i contesti produttivi omogenei, caratterizzati dalla presenza di forti legami con il sistema della ricerca e dell'innovazione;

-     «meta-distretti tecnologici» le aree produttive innovative e di eccellenza, indipendentemente dai limiti territoriali, ancorché non strutturate e governate come reti;

-     «distretti del commercio» le aree produttive e le iniziative nelle quali i cittadini, le imprese e le formazioni sociali, liberamente aggregati, esercitano il commercio come fattore di valorizzazione di tutte le risorse di cui dispone il territorio;

-     «reti di impresa» le aggregazioni funzionali tra imprese che rientrano nelle definizioni recate dal decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, e dall'articolo 42 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.

Ancora l’articolo 13 che introduce norme sulla disciplina degli appalti pubblici, al comma 2, lettera b), prevede che, nel rispetto della normativa dell'Unione europea in materia di appalti pubblici, al fine di favorire l'accesso delle micro, piccole e medie imprese, la pubblica amministrazione e le autorità competenti, purché ciò non comporti nuovi o maggiori oneri finanziari, provvedono a semplificare l'accesso agli appalti delle aggregazioni fra micro, piccole e medie imprese privilegiando associazioni temporanee di imprese, forme consortili e reti di impresa, nell'ambito della disciplina che regola la materia dei contratti pubblici.

Infine l’articolo 16, che introduce norme al fine di aumentare la competitività e la produttività delle micro, piccole e medie imprese e delle reti di imprese, prevede che lo Stato, nell'attuazione delle politiche pubbliche e attraverso l'adozione di appositi provvedimenti normativi, provvede a creare le condizioni più favorevoli per la ricerca e l'innovazione, l'internazionalizzazione e la capitalizzazione, la promozione del «Made in Italy» e, in particolare:

-     garantisce alle micro, piccole e medie imprese e alle reti di imprese una riserva minima del 60 per cento per ciascuna delle misure di incentivazione di natura automatica o valutativa, di cui almeno il 25 per cento è destinato alle micro e piccole imprese;

-     favorisce la cooperazione strategica tra le università e le micro, piccole e medie imprese;

favorisce la trasparenza nei rapporti fra gli intermediari finanziari e le micro, piccole e medie imprese e le reti di imprese, assicurando condizioni di accesso al credito informato, corretto e non vessatorio;

sostiene la promozione delle micro, piccole e medie imprese e delle reti di imprese nei mercati nazionali e internazionali.

Il decreto legge 83/2012 misure urgenti per la crescita del paese

Il D.L. 83/2012 (A.C. 5312) con l’articolo 45 intende favorire il contratto di rete. Più in particolare è previsto che L’articolo 45 intende favorire il contratto di rete. Infatti, con i commi 1 e 2 effettua una semplificazione burocratica sulla forma contrattuale (prevedendo che possa essere redatto anche come atto firmato digitalmente) e sulle modalità di iscrizione presso il Registro delle imprese delle eventuali modifiche intervenute. Con il comma 3, si prevede che ai contratti in esame non si applicano le norme sui contratti agrari.

I primi due commi hanno come ratio la semplificazione della forma e degli adempimenti relativi al contratto di rete, ed intervengono sulle norme che lo disciplinano.

 In particolare, il comma 1, alle modalità di redazione del contratto già previste dal citato comma 4-ter (atto pubblico o per scrittura privata autenticata) aggiunge la firma digitaleautenticata dell’atto da parte di ciascun imprenditore o legale rappresentante delle imprese aderenti, e la sua trasmissione ai competenti uffici del registro delle imprese attraverso il modello standard tipizzato che sarà definito con decreto del Ministro della giustizia di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro dello sviluppo economico.

Il comma 2 integra il comma 4-quater disponendo che le modifiche al contratto di rete, devono essere redatte e depositate per l'iscrizione, a cura dell'impresa indicata nell'atto modificativo, presso la sezione del registro delle imprese presso cui è iscritta la stessa impresa. L'ufficio del registro delle imprese provvede alla comunicazione dell’avvenuta iscrizione delle modifiche al contratto di rete, a tutti gli altri uffici del registro delle imprese presso cui sono iscritte le altre partecipanti, che provvederanno alle relative annotazioni d'ufficio della modifica.

In tal modo, si consente di fare un'unica iscrizione della modifica presso il Registro delle imprese della camera di commercio dell'impresa indicata nell'atto modificativo. Quest'ultimo ufficio provvede a comunicarla a tutti gli altri uffici presso i quali le imprese aderenti alla rete sono iscritte. 

Con il comma 3, si prevede che ai contratti di rete stipulati tra imprenditori agricoli non si applichino le norme contenute nella legge n. 203 del 1982, recante principalmente norme dirette alla conversione ope legis di talune tipologie contrattuali ormai superate nonché alla regolazione di contratti di affitto.

Il decreto legge 179/2012 Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese

Il D.L. 179/2012 con l’articolo 36, si intende estendere una maggior tutela al contratto di rete, in particolare è previsto che il contratto di rete dotato di organo comune e di fondo patrimoniale, ma non dotato di soggettività giuridica, possa avere la facoltà di acquisirla; inoltre è prevista la possibilità di costituire un Fondo di Mutualità; ai fini dell’acquisizione della soggettività giuridica il il contratto di rete deve esser stipulato per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, ovvero per atto firmato digitalmente. Più in particolare

 Il comma 4 introduce nelle norme riguardanti il contratto di rete la precisazione che il contratto di rete che prevede l'organo comune e il fondo patrimoniale non e' dotato di soggettività giuridica, salva la facoltà di acquisto della stessa su base volontaria con l’iscrizione nel registro delle imprese.

 In particolare, si dispone che in generale il contratto di rete che preveda l'organo comune e il fondo patrimoniale non è dotato di soggettività giuridica, a meno che la rete non si iscriva nella sezione ordinaria del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sua sede. Con l'iscrizione nel registro delle imprese la rete acquista soggettività giuridica. L'organo comune agisce in rappresentanza

§     della rete, quando essa acquista soggettività giuridica,

§     degli imprenditori, anche individuali, partecipanti al contratto (salvo che sia diversamente disposto nello stesso), in assenza della soggettività,

nelle procedure di programmazione negoziata con le pubbliche amministrazioni, nelle procedure inerenti ad interventi di garanzia per l'accesso al credito e in quelle inerenti allo sviluppo del sistema imprenditoriale nei processi di internazionalizzazione e di innovazione previsti dall'ordinamento, nonché all'utilizzazione di strumenti di promozione e tutela dei prodotti e marchi di qualità o di cui sia adeguatamente garantita la genuinità della provenienza

Il comma 5 dispone che per gli adempimenti pubblicitari richiesti dal D.L. n. 5/09 (comma 4-quater dell’art. 3) il contratto di retenel settore agricolo può essere sottoscritto dalle parti con l'assistenza di una o più organizzazioni professionali agricole. 

Più precisamente le norme dispongono che il contratto di rete sottoscritto da imprenditori del comparto agricolo possa godere dell’assistenza di una, o più, delle organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello nazionale, che abbiano partecipato alla redazione finale dell’accordo. Detta assistenza sarebbe ammessa “ai fini degli adempimenti pubblicitari” di cui al comma 4-quater dell’articolo 3 del decreto legge n. 5/09.

 n merito, il comma 4-quater dispone che il contratto di rete è soggetto a iscrizione nella sezione del registro delle imprese presso cui è iscritto ciascun partecipante, e l’efficacia del contratto inizia a decorrere da quando è stata eseguita l’ultima delle iscrizioni prescritte a carico di tutti coloro che ne sono stati sottoscrittori originari. Le disposizioni si applicano anche alle modifiche al contratto, che saranno iscritte presso la sezione del registro in cui è iscritta l'impresa indicata nell'atto modificativo.

 Il comma 4-bis, introdotto dal Senato, interviene sulle modalità e le forme con cui la rete di imprese acquista la soggettività giuridica.

In particolare, si prevede che per acquistare la soggettività giuridica il contratto debba essere stipulato

§     per atto pubblico;

§     per scrittura privata autenticata;

§     per atto firmato digitalmente.

Durante l’esame al Senato sono stati aggiunti il comma 5-bis ed il comma 5-ter recanti, rispettivamente, alcune modifiche al D.Lgs. n. 163 del 2006 (Codice dei contratti pubblici) relative alle aggregazioni tra imprese aderenti al contratto di rete, nonché disposizioni di semplificazione degli atti notarili.

La prima modifica, indicata alla lettera a), aggiunge un’ulteriore tipologia ai soggetti ammessi a partecipare alle procedure di affidamento dei contratti pubblici ai sensi dell’art. 34 del Codice, ovvero le aggregazioni tra le imprese aderenti al contratto di rete ai sensi dell'art. 3, comma 4-ter, del decreto-legge n. 5 del 2009,

La seconda modifica, prevista dalla lettera b), inserisce un comma aggiuntivo, il comma 15-bis all’art. 37, in base al quale le disposizioni recate da tale articolo, concernenti i raggruppamenti temporanei e i consorzi ordinari di concorrenti, sono applicate, in quanto compatibili, alle procedure di affidamento delle aggregazioni tra le imprese aderenti al contratto di rete.

 

 

 

 

I distretti tecnologici

Alla luce del nuovo scenario dell’economia globale e delle conseguenti crescenti pressioni competitive, è sorta l’esigenza di ammodernare il sistema dei distretti industriali attraverso l’introduzione di robuste dosi di tecnologia e di innovazione, in grado di valorizzarlo e di renderlo inattaccabile ad opera delle economie dei paesi meno avanzati. La ricerca è, infatti, unanimemente riconosciuta come la via prioritaria per far crescere le aziende nell’ambito di distretti innovativi ad alta tecnologia, concentrati a livello locale, dove i partecipanti sono messi in rete e condividono scienza, servizi e finanza.

A questo proposito merita di essere segnalata l’evoluzione del fenomeno dei distretti che ha condotto all’istituzione dei “distretti tecnologici”, destinati a rafforzare settori tecnologicamente avanzati, quali, ad esempio, il distretto “Torino Wireless” per l'ICT (Information and Communication Technology), il distretto veneto per le nanotecnologie e quello campano per l’ingegneria dei materiali.

Tali distretti, promossi dall’azione concertata di Pubblica Amministrazione (locale e centrale), Imprese, Fondazioni ed Istituzioni Finanziarie, nascono con l’obiettivo di creare in numerose aree del Paese poli per la ricerca e l’innovazione, specializzati per settore tecnologico, aventi l’ambizione di diventare centri di eccellenza anche a livello internazionale. In particolare, il distretto tecnologico si propone di creare un circolo virtuoso fra strutture di ricerca, imprese e finanziamenti pubblici e privati, capace di sviluppare una ricerca competitiva in grado di determinare forti ricadute di innovazione sul tessuto imprenditoriale del territorio. Si tratta di iniziative in fase di avvio, il cui aspetto peculiare è rinvenibile nel fatto che i distretti tecnologici puntano a riprodurre nel campo dell’innovazione tecnologica i vantaggi, della contiguità spaziale e dei rapporti reticolari, già sperimentati con successo nei distretti industriali. La variabile nuova, in questo caso, è costituita dalla prevista cooperazione di imprese e strutture pubbliche di ricerca.

A differenza dei distretti industriali tradizionali nati spontaneamente e che solo in un secondo momento hanno ottenuto riconoscimenti e finanziamenti pubblici, i distretti tecnologici sono promossi dall’azione concertata di Pubblica Amministrazione (locale e centrale), imprese, Fondazioni ed Istituzioni finanziarie, e nascono con l’obiettivo di creare in numerose aree del Paese poli per la ricerca e l’innovazione, specializzati per settore tecnologico, aventi l’ambizione di diventare centri di eccellenza anche a livello internazionale. In particolare, il distretto tecnologico si propone di creare un circolo virtuoso fra strutture di ricerca, imprese e finanziamenti pubblici e privati, capace di sviluppare una ricerca competitiva in grado di determinare forti ricadute di innovazione sul tessuto imprenditoriale del territorio.

L’elemento chiave che accomuna i due tipi di distretti (industriali e tecnologici) è la dimensione territoriale che li caratterizza e la fondamentale funzione di valorizzazione delle specificità locali al fine di migliorare l’attrattività del territorio. I distretti tecnologici puntano a riprodurre nel campo dell’innovazione tecnologica i vantaggi della contiguità spaziale e dei rapporti reticolari già sperimentati con successo nei distretti industriali. La variabile nuova, in questo caso, è costituita dalla prevista cooperazione di imprese e strutture pubbliche di ricerca.

L’iniziativa per la costituzione di distretti tecnologici spetta alle Regioni, che presentano un progetto al MIUR che provvede, qualora lo ritenga opportuno, al riconoscimento ufficiale della nuova realtà territoriale.

Tali distretti, che rappresentano uno degli assi portanti delle linee guida per la politica scientifica e tecnologica varate dal Governo nell'aprile del 2003 e che si propongono di sostenere azioni, progetti e programmi almeno fino al 2006, sono il frutto di accordi tra il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e diversi attori locali.

Su proposta del Ministro dell’istruzione, il CIPE, con la delibera del 20 dicembre 2004 ha approvato un finanziamento complessivo di 140 milioni di euro da destinare all'istituzione di nuovi poli tecnologici nel Mezzogiornodel Paese, dal momento che i distretti tecnologici sono concentrati, soprattutto, nelle regioni del Centro e del Nord. La realizzazione o il potenziamento di distretti tecnologici - da sostenere congiuntamente con le regioni e gli altri enti nazionali e territoriali – rientrava inoltre tra le priorità individuate dal decreto-legge 35/2005[17].

Secondo dati aggiornati al 15 marzo 2006[18] i distretti tecnologici riconosciuti dal MIUR sono 24. Di questi quattro risultano in fase di costituzione nelle seguenti regioni: Umbria, Abruzzo, Molise e Basilicata.

Le regioni che attualmente ospitano i distretti tecnologici sono:Veneto, Lazio, Lombardia (che ne ha tre), Sicilia (tre) Emilia Romagna, Liguria, Piemonte, Friuli Venezia Giulia, Campania, Toscana, Puglia (3), Calabria (2) e Sardegna.

Il distretto del Veneto, dedicato alle nanotecnologie applicate ai materiali (Veneto nanotech) è stato voluto dal Ministero dell'istruzione e dalla Regione e vi partecipano le Università di Padova e Venezia, il CNR, tre parchi scientifici (Verona, Marghera e Padova) e l'Infm. Il distretto conta su un sostegno finanziario di 60 milioni di euro per i primi cinque anni.

Al distretto tecnologico aerospaziale del Lazio (che svolge studi dai materiali innovativi per componenti e strutture agli apparati di telecomunicazione e telerilevamento, fino alle tecnologie per la gestione del traffico aereo e aeroportuale), nato il 5 maggio 2004, hanno dato vita la Regione Lazio e il Ministero dell'istruzione.

La regione Lombardia ospita tre distretti. Il primo il distretto tecnologico sulle biotecnologie, nato il 22 marzo 2004, svolge attività di ricerca nei settori della salute, dell'agro-zootecnia e dell'industria chimica e farmaceutica e si avvale di circa 8 milioni di euro di finanziamenti da parte dal ministero dell'Istruzione. Altri due distretti dedicati all'Information communication technology e ai nuovi materiali sono nati nel luglio del 2004. Un accordo tra il Ministero dell'istruzione e la Regione Lombardia prevede un finanziamento complessivo di 64 milioni di euro per gli anni 2004-2006.

Il distretto tecnologico della Sicilia sui micro e nano-sistemi nasce nel novembre 2003 per volontà del Ministero dell'Istruzione, della Regione Sicilia, delle Università di Catania, Palermo e Messina e della società StMicroelectronics.

Il distretto per l'alta tecnologia e la meccanica avanzata, dell’Emilia-Romagna, noto anche come distretto , è operativo dal 13 maggio 2004. Cuore del distretto sono le Università di Modena e Reggio Emilia, Bologna, Parma e Ferrara.

Il distretto tecnologico della Liguria, dedicato ai sistemi intelligenti integrati, è stato avviato il 27 settembre 2004. I risultati della ricerca troveranno applicazione nel campo della logistica, dei sistemi di trasporto e dell'automazione industriale.

Il distretto tecnologico del Piemonte, c.d. Torino wireless rappresenta un'area di eccellenza nell'ambito delle telecomunicazioni. Al distretto, creato nel dicembre del 2002, partecipano società come Alenia, Fiat, Motorola, StMicroelectronics e Telecom Italia. Il distretto tecnologico del Friuli-Venezia Giulia di biomedicina è finanziato dal Ministero dell'istruzione (15 milioni di euro) e dalla Regione (21 milioni di euro)

Al distretto tecnologico della Campania sull'ingegneria dei materiali polimerici e compositi, nato il 17 luglio 2004, partecipano l'Università Federico II di Napoli, la Fondazione Banco di Napoli, il Centro italiano ricerche aerospaziali e un nutrito pool di imprese.

In Puglia sono stati avviati nel 2005 un distrettobiotecnologico relativo alle biotecnologie applicate all'ambiente e alla sanità, un polo meccatronico, per l’automazione legata al settore tessile, della meccanica e dei mobili e un polo high tech dedicato alle nanoscienze, bioscienze e infoscienze.

In Sicilia, al polo per il nanotech si sono affiancati un distretto per la ricerca applicata al campo dei trasporti navali e delle attività portuali e un terzo polo tecnologico dedicato all'agro-bio e alla pesca biocompatibile, all’interno del quale saranno sperimentate tecniche per la riproduzione e l'allevamento di specie ittiche in un ambiente marino protetto (2005).

In Calabria sono sorti nel 2005 due distretti tecnologici. Il primonell'area di Gioia Tauro che si occupa delle tecnologie applicate alla logistica, come in parte già avviene a Genova, mentre il secondo sorto attorno a Crotone è dedicato alle tecnologie per i beni culturali.

In Sardegna, nell'area fra Cagliari e Pula è sorto un distretto tecnologico nel settore della biomedicina e delle tecnologie per la salute (maggio 2005).

Come anticipato risultano in fase di attuazione i distretti tecnologici in alcune regioni del Mezzogiorno. In particolare, in Basilicata dovrebbe essere avviato un distretto tecnologico sulle tecnologie innovative per la tutela dai rischi idrogeologici, sismici e climatologici. Il distretto dell’Abruzzo si occuperà di tecnologie applicate alla sicurezza alimentare e alla qualità degli alimenti, mentre in Molise si occuperà principalmente dell'agroindustria: tra le principali filiere della regione ci sono i cereali, l’ortofrutta e le carni avicole e suine.

Per quanto riguarda la regione Umbria, i relazione a una proposta avanzata dalla Regione, si stanno conducendo approfondimenti riguardanti il settore dei materiali, quello delle micro e nanotecnologie e quello siderurgico.

Sul sito della Rete italiana per la diffusione dell’innovazione e il trasferimento tecnologico alle imprese (RIDITT) è disponibile una mappa on line dei distretti tecnologici.

Per approfondimenti, si vedano anche il sito dell’Osservatorio nazionale sui distretti tecnologici e il sito dell’ADITe (Associazione distretti tecnologici).


  • [1] Struttura e competitività del sistema delle imprese industriali e dei servizi - Anno 2006. Istat, Statistiche in breve, 19 novembre 2008.
  • [2] Il concetto di "distretto industriale" è stato introdotto nella teoria economica dall'inglese Alfred Marshall (1920) ed è stato ripreso in Italia negli anni '70 per descrivere e interpretare fenomeni di industrializzazione diffusa in aree territoriali circoscritte, caratterizzate dalla presenza prevalente di imprese di dimensioni medie e piccole e specializzate in una singola filiera produttiva.
  • [3] http://www.ice.it/statistiche/pdf/ICE_Osservatorio_Distretti_Industriali_n.2.pdf.
  • [4] Per approfondimenti sulla ricostruzione storico-normativa del processo di delega alle regioni delle competenze in materia di distretti industriali si veda il rapporto di ricerca della Fondazione COTEC Politiche Distrettuali per l’Innovazione delle Regioni Italiane – 2005.
  • [5] Lo statuto dell'Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l'innovazione è stato approvato con D.P.C.M. 8 aprile 2008 (Gazz. Uff. 30 maggio 2008, n. 126)
  • [6] Interventi di sostegno per i consorzi tra piccole e medie imprese industriali, commerciali ed artigiane.
  • [7] La nuova disciplina in materia di distretti produttivi è stata estesa al settore della pesca dal DL n. 2 del 10 gennaio 2006 (Interventi urgenti per i settori dell’agricoltura, dell’agroindustria, della pesca, nonché in materia di fiscalità d’impresa), convertito con modificazioni dalla legge n. 81 dell’11 marzo 2006 (SO n. 58 della GU n. 59 dell’11 marzo 2006), art. 5-bis, comma 1.
  • [8] Tale eccezione è stata tuttavia eliminata dal DL 5/2009 (cfr. infra, nel testo).
  • [9] Si segnala che la Corte costituzionale, con la sentenza 165 del 18 aprile-11 maggio 2007 (GU 16 maggio 2007, n. 19 - Prima serie speciale), ha dichiarato l’illegittimità del comma 366 relativamente alla parte in cui non prevede – ai fini della definizione, con decreto, delle caratteristiche e delle modalità di individuazione dei distretti produttivi - la previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sentite le Regioni interessate.
  • [10] Si consideri tuttavia che il regime fiscale previsto per i distretti produttivi dalla legge finanziaria 2006 (legge n. 266/2005) è stato reintrodotto dal DL 5/2009 (cfr. infra, nel testo).
  • [11] Tale disposizione è stata tuttavia reintrodotta dal DL 5/2009 (cfr. infra, nel testo).
  • [12] D.L. 10 febbraio 2009, n. 5, Misure urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi, nonché disposizioni in materia di produzione lattiera e rateizzazione del debito nel settore lattiero-caseario, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 aprile 2009, n. 33.
  • [13] Tale disciplina è stata introdotta, come si è detto in precedenza, dall’articolo 1, commi da 366 a 372 della legge n. 266/2005 (finanziaria 2006) e successivamente modificata ed estesa alle reti di imprese e alle catene di fornitura dall’articolo 6-bis del decreto legge n. 112/2008.
  • [14] La richiamata disciplina, introdotta con decorrenza 2006, non ha trovato applicazione in quanto non sono stati emanati i relativi decreti attuativi.
  • [15] Per approfondimenti, si veda il dossier del Servizio Studi del Senato n. 113 dell’aprile 2009.
  • [16] Le reti di imprese rappresentano forme di coordinamento di natura contrattuale tra imprese, particolarmente destinate alle PMI che vogliono incrementare la loro capacità competitiva senza ricorrere a fusioni o a unioni sotto il controllo di un unico soggetto.
  • [17] Il decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, recante Disposizioni urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale, è stato convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80.
  • [18] Cfr. http://www.ricercaitaliana.it/distretti.htm