Organo inesistente

XVI LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 2445


PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
BERNARDINI, MECACCI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, ZAMPARUTTI
Norme per l'adeguamento dell'ordinamento interno alle disposizioni dello Statuto istitutivo della Corte penale internazionale
Presentata il 18 maggio 2009


      

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Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge nasce dall'urgente esigenza di adattare il nostro ordinamento alle prescrizioni contenute nello Statuto della Corte penale internazionale, adottato a Roma il 17 luglio 1998 dalla Conferenza diplomatica delle Nazioni Unite ed entrato in vigore il 1o luglio del 2002, reso esecutivo per l'Italia ai sensi della legge 12 luglio 1999, n. 232.
      Va sottolineato che fu grazie all'associazione senza fini di lucro «Non c'è pace senza giustizia», sotto l'impulso del Partito radicale, che si riuscì ha porre all'attenzione pubblica e dei Governi la necessità della riforma del diritto penale internazionale e quella di creare istituzioni capaci di far applicare il diritto laddove vengano commessi crimini efferati su larga scala. Sono state fatte numerose campagne per l'istituzione dei tribunali ad hoc per la ex Jugoslavia e per il Ruanda, e oggi tutto il nostro impegno è diretto a far sì che l'Italia, con più di dieci anni di ritardo, provveda ad adattare il proprio ordinamento interno alle previsioni contenute nello statuto della Corte penale internazionale.
      Nel 1994 il Governo italiano, a seguito della richiesta formale del Partito radicale e dell'associazione «Non c'è pace senza giustizia», avanzò l'offerta di ospitare a Roma la Conferenza diplomatica al Segretario Generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) Kofi Annan, entrando a pieno titolo nel novero dei Paesi promotori del percorso giuridico e politico volto a porre fine all'impunità per coloro che venissero riconosciuti colpevoli di genocidio, crimini di guerra e crimini contro l'umanità.
      Il successo della Conferenza diplomatica tenutasi a Roma e l'adozione dello Statuto istitutivo della Corte penale internazionale sono stati significativi passi avanti nella tutela dei diritti fondamentali dell'uomo.
      L'Italia è stata il quarto Paese nel mondo e il primo in Europa a ratificare lo Statuto soprattutto grazie al successo della Conferenza per l'istituzione del Tribunale penale internazionale permanente nel 1998, organizzata da «Non c'è pace senza giustizia»; un anno dopo, il Parlamento ha approvato la legge di autorizzazione alla ratifica dello Statuto, che recava anche l'ordine di esecuzione delle disposizioni in esso contenute.
      Tuttavia il Parlamento, tenuto conto della complessità della materia, ha scelto di rinviare ad un momento successivo la normativa necessaria ad adeguare l'ordinamento interno ai numerosi obblighi assunti.
      Di qui l'urgenza della presente proposta di legge, che segue la presentazione di un'interrogazione parlamentare e di una risoluzione depositate presso la Commissione giustizia della Camera dei deputati dagli onorevoli Rita Bernardini e Matteo Mecacci, che hanno sottolineato l'estrema importanza di giungere quanto prima all`adattamento dell'ordinamento giuridico italiano per colmare finalmente una lacuna nei rapporti di cooperazione con la Corte penale internazionale, lacuna che in concreto impedisce alla medesima Corte di esercitare la propria giurisdizione nei rapporti con l'Italia.
      Lo Statuto di Roma è uno dei testi più avanzati nell'ambito della giustizia internazionale poiché incorpora tutte le garanzie del giusto processo e dei diritti fondamentali delle vittime e degli accusati, nonché di umanizzazione delle pene, visto che esclude l'applicabilità della pena di morte.
      Il raggiungimento delle sessanta ratifiche necessarie fu possibile grazie alla campagna che il Partito radicale ha promosso insieme con l'associazione «Non c'è pace senza giustizia». Solo grazie a questo successo, peraltro riconosciuto dallo stesso Governo, la Corte penale internazionale ha potuto dare inizio alle sue prime investigazioni nella Repubblica democratica del Congo, nell'Uganda, nella Repubblica centrafricana, in Darfur e in Sudan. Essa ora ha anche dato inizio al suo primo processo.
      Lo statuto della Corte penale internazionale rappresenta un meccanismo destinato ad incidere in maniera permanente sull'esercizio delle loro prerogative sovrane da parte degli Stati. La Corte è infatti un'autorità sovranazionale il cui obiettivo è l'attuazione del diritto internazionale penale e, in particolare, del diritto internazionale umanitario. In questo è diversa da ogni altro organo internazionale, sia dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, destinata a svolgere un attività sul piano strettamente internazionale nei rapporti fra i Paesi del Consiglio d'Europa sul piano del rispetto della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, sia rispetto ai tribunali internazionali per i crimini commessi nella ex Jugoslavia o in Ruanda, destinati invece a far fronte ex post a situazioni di crisi locale e definite.
      La peculiarità di quest'organo risiede infatti nel carattere di permanenza: il fatto stesso che un organismo internazionale abbia la possibilità, mediante l'applicazione del principio aut dedere aut iudicare, di sostituirsi a tutti gli effetti ai giudici nazionali nella giurisdizione penale, espressione della sovranità nazionale per eccellenza, rappresenta una novità di altissimo rilievo.
      Lo Statuto della Corte penale internazionale precostituisce un giudice naturale con giurisdizione permanente, tendenzialmente universale, di tipo complementare, destinata ad attivarsi quando la giurisdizione degli Stati - che hanno ratificato lo Statuto - non può o non vuole mettersi in discussione. E questo accade solo per i crimini contro l'umanità, per i genocidi che creano allarme nella comunità internazionale, che ledono il senso di umanità e che creano situazioni di rischio e di pericolo per la pace e la sicurezza internazionale.
      È questo il senso dell'articolo 5 dello Statuto della Corte penale internazionale: «La competenza della Corte è limitata ai crimini più gravi, motivo di allarme per l'intera comunità internazionale». Di conseguenza la Corte non ha giurisdizione nelle situazioni in cui gli Stati Parte siano in grado di assicurare la repressione penale.
      Peraltro va osservato che all'articolo 86 dello Statuto si chiarisce che l'obbligo di cooperazione è circoscritto alle indagini e ai processi su cui la Corte ha la giurisdizione. Va inoltre rilevato come la Corte non abbia nemmeno una propria polizia giudiziaria, né una propria struttura carceraria; per questo la collaborazione degli Stati parte è indispensabile per il suo funzionamento; d'altronde essa, pur avendo una propria sede, potrebbe decidere di esercitare le sue funzioni nel territorio di uno degli Stati parte.
      Va, inoltre, osservato come l'Italia, quale membro dell'Unione europea, sia obbligata a dare il proprio e pieno appoggio alla Corte. Il consolidamento dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, come il mantenimento della pace e il rafforzamento della sicurezza internazionale, in conformità con la Carta delle Nazioni Unite e come previsto dall'articolo 11 del trattato sull'Unione europea, sono di fondamentale e prioritaria importanza per l'Unione europea.
      I reati gravi nell'ambito della giurisdizione della Corte sono oggetto di preoccupazione per l'Unione europea, che è determinata a cooperare per la prevenzione di questi reati e per porre fine all'impunità di chi li commette. Per questo motivo l'Unione europea e gli Stati membri compiono numerevoli sforzi per portare avanti questo processo, promovendo per quanto possibile la ratifica, l'accettazione, l'approvazione o l'adesione allo Statuto di Roma e la sua attuazione attraverso iniziative e dichiarazioni anche in negoziati o in dialoghi politici con Paesi terzi, laddove opportuno.
      Uno dei punti più importanti e urgenti è che, in mancanza di adeguate norme di cooperazione con la Corte penale internazionale, l'Italia è impossibilitata a chiedere assistenza e cooperazione: pertanto, alla richiesta di consegna di una persona pericolosa per tutta la comunità internazionale e ricercata dalla Corte che si trovasse per qualsiasi motivo in Italia, il nostro ordinamento sarebbe assolutamente carente. Ciò potrebbe trasformare il nostro Stato in un territorio di sicuro rifugio per gli autori dei più gravi crimini contro l'umanità, con ovvi e prevedibili effetti negativi sull'immagine del nostro Paese.
      La presente proposta di legge prevede a tal fine un organico sistema normativo - che dovrebbe costituire una sorta di «codice internazionale penale», sostanziale e di rito - comprendente disposizioni generali, fattispecie criminose, modalità processuali di accertamento delle responsabilità dell'imputato. Nel delineare il sistema delle fattispecie incriminatrici dei delitti contro l'umanità e dei delitti di guerra, si è fatto riferimento alle descrizioni fornite dallo Statuto e dagli Elements of Crimes, approvati dall'Assemblea degli Stati parte svoltasi a New York dal 3 al 10 dicembre 2002. La fattispecie di genocidio richiama la legislazione nazionale vigente in materia, con gli opportuni adattamenti rispetto alle previsioni dello Statuto.
      La presente proposta di legge attribuisce la competenza a giudicare dei delitti ivi previsti alla cognizione delle corti d'assise piuttosto che alla giurisdizione dei tribunali militari, in ragione non solo della composizione mista della Corte penale internazionale, ma anche dell'influenza che sull'attribuzione della giurisdizione determina il tipo di condotta e non lo status dell'agente. Ai tribunali militari residua pertanto la competenza in materia di condotte lesive del servizio e della disciplina militare e di condotte tenute da appartenenti alle Forze armate fuori dei casi di conflitto armato o di sistematici attacchi contro la popolazione civile.

Esame dell'articolato.

      Il titolo I contiene disposizioni di carattere generale tra le quali, al capo I, l'impegno programmatico da parte della Repubblica per i diritti umani (articolo 1) ma anche l'individuazione delle posizioni di garanzia su cui si fonda l'obbligo di impedire la commissione dei crimini (articolo 2).
      Con l'articolo 4 si è inteso escludere dall'ambito dell'articolo 8 del codice penale (delitto politico commesso all'estero) i reati previsti dalla presente proposta di legge. Tale scelta è basata sul presupposto della natura autonoma del concetto costituzionale di reato politico, rispetto alla definizione codicistica in analogia con quanto previsto dalle leggi straniere sulla cooperazione giudiziaria (articolo 13 della legge federale sull'assistenza internazionale in materia penale della Svizzera).
      Le norme del capo II disciplinano la giurisdizione e la competenza sui delitti di cui all'articolo 5 dello Statuto. L'articolo 15, innovando rispetto alla disciplina del titolo I del libro primo del codice penale, introduce la procedibilità d'ufficio - senza necessità di istanza, richiesta o querela - per i delitti commessi nel territorio italiano o anche all'estero se commessi da parte o nei confronti di cittadino italiano.
      Il titolo II prevede le fattispecie di genocidio nelle sue varie forme.
      L'ambito di applicazione delle norme incriminatrici per i crimini contro l'umanità, oggetto del titolo III, è definito preliminarmente dall'articolo 28 e riprende quello elaborato in sede internazionale. Secondo la legge, si considerano crimini contro l'umanità le condotte descritte nel titolo in oggetto, quando commesse nell'ambito di un esteso o sistematico attacco contro una popolazione civile, anche di natura non militare, in esecuzione o a sostegno del disegno politico di uno Stato o di un'organizzazione. L'ambito di applicazione caratterizza tutte le fattispecie del titolo, attribuendo loro così il carattere di specialità rispetto ad analoghe fattispecie già previste nella legislazione nazionale.
      Il capo II regola la fattispecie dei delitti contro le persone. Sono state, in particolare previste le fattispecie incriminatrici dello sterminio, della deportazione, dell'apartheid e della persecuzione.
      Il capo III descrive i crimini contro l'umanità. Tra le fattispecie ivi incluse vi sono la riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù e la schiavitù sessuale. In relazione all'ipotesi di tortura, condotta attualmente non prevista nel nostro ordinamento benché rappresenti l'unico caso di previsione espressa, a livello costituzionale, di tutela penale, è sembrato insufficiente il ricorso alla fattispecie delle lesioni (sia pure nelle forme aggravate). Partendo dalla constatazione che la tortura non comporta necessariamente una successiva malattia nel corpo e nella mente della vittima, si è preferito fare riferimento alla definizione contenuta nella Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti, firmata a New York il 10 dicembre 1984 e resa esecutiva per l'Italia dalla legge 3 novembre 1988, n. 498, e quindi alla condotta tesa ad infliggere gravi sofferenze a una persona della quale l'autore delle violenze ha il controllo. Con l'introduzione del reato di sparizione forzata di persone si intende reprimere la prassi, affermatasi in taluni regimi, di eliminare gli oppositori politici imprigionandoli e facendone in seguito perdere le tracce.
      Il titolo IV, suddiviso in quattro capi, contiene la fattispecie dei crimini di guerra. Anche in questo caso si è esplicitato, nel capo I, l'ambito di applicazione delle norme incriminatrici in esso contenute, che acquistano perciò un carattere speciale rispetto ad analoghe fattispecie già previste dalla nostra legislazione, nel rispetto delle regole sul concorso apparente di norme. Secondo l'articolo 42, sono crimini di guerra ai fini della legge i delitti compiuti nel contesto e in relazione ad un conflitto armato, sulla base di quanto previsto dallo Statuto della Corte e dagli Elements of Crimes. Tra le fattispecie introdotte vi sono quelle relative agli esperimenti biologici, alla distruzione o appropriazione

di beni altrui, all'arruolamento forzato e, infine, al diniego del giusto processo, che riguarda condotte consistenti nel privare una persona protetta dalle Convenzioni di Ginevra del 1949 del diritto ad un giusto e regolare processo, negando le garanzie previste dalla legge e dalle convenzioni internazionali.
      Con l'introduzione del delitto di uso di scudi umani si intende reprimere la prassi, manifestatasi nel Golfo Persico, dell'uso di civili per proteggere taluni obiettivi militari.
      Il capo III è dedicato ai delitti contro le leggi e gli usi dei conflitti armati.
      Tra i delitti contenuti nel capo III figurano l'attacco ai civili, a beni civili, nonché l'attacco a personale o beni di missioni di assistenza umanitaria o di mantenimento della pace, fattispecie, quest'ultima, che attua la Convenzione sulla sicurezza del personale delle Nazioni Unite e del personale associato, fatta a New York il 9 dicembre 1994, resa esecutiva per l'Italia dalla legge 30 novembre 1998, n. 425.
      Nel titolo V, concernente gli altri delitti internazionali, sono state raccolte le disposizioni in materia di milizie mercenarie.
      Il titolo VI raccoglie le disposizioni in materia di cooperazione giudiziaria con la Corte penale internazionale. Il titolo è articolo in cinque capi. Nel capo I sono enunziate le disposizioni di ordine generale relative all'obbligo di cooperazione con la Corte e all'individuazione dell'autorità competente a tenere i contatti con la Corte nel Ministro della giustizia (articolo 86, comma 2).
      L'attuazione delle disposizioni dello Statuto in tema di concorso di domande di consegna da parte della Corte e di estradizione da parte di uno o più Stati ha reso necessaria l'introduzione di un rinvio alle disposizioni dello Statuto, con il conferimento delle relative attribuzioni al Ministro della giustizia.
      Sempre nel Ministro della giustizia è stata individuata l'autorità competente a concordare con la Corte le modalità concrete secondo cui dovranno svolgersi le sessioni che la Corte stessa eventualmente ritenesse di tenere nel territorio dello Stato.
      Il capo II contiene le disposizioni in materia di cooperazione all'assunzione di prove e all'attività di indagine. Le disposizioni relative alla consegna di una persona alla Corte penale internazionale sono contenute nel capo III. Il procedimento è, in linea di massima, strutturato sulle disposizioni rinvenibili nel libro undicesimo del codice di procedura penale. Le ipotesi di diniego della consegna sono limitate alla mancata emissione da parte della Corte penale internazionale di un provvedimento restrittivo della libertà personale e alla mancata identificazione della persona richiesta.
      Di carattere innovativo è la disposizione che attribuisce alla corte di appello, la quale provvede con proprio decreto, la competenza a disporre la materiale consegna della persona. Questa soluzione mira a conservare l'ambito dei controlli nella sfera della giurisdizione penale, escludendo quindi ogni possibilità di ricorrere ai tribunali amministrativi regionali, che sarebbe stata configurabile ove si fosse individuato l'atto finale di questa procedura nel decreto di consegna del Ministro della giustizia.
      Conformemente alle disposizioni dello Statuto, le disposizioni semplificate in materia di consegna trovano applicazione anche all'estradizione del condannato verso lo Stato estero designato dalla Corte penale internazionale per l'esecuzione della pena. La materia dell'applicazione provvisoria di misure coercitive riprende moduli consueti per la pratica estradizionale.
      Quanto alla liberazione dell'interessato, l'articolo 98 detta disposizioni intese a consentire alla Corte penale internazionale di interloquire sul punto.
      Le disposizioni necessarie ad assicurare la possibilità che l'Italia ospiti per l'esecuzione della pena persone condannate dalla Corte penale internazionale sono contenute nel capo IV. Non sussistendo per questa materia le esigenze di localizzazione che sono invece proprie della collaborazione in materia di indagini o di raccolta di prove, si è preferito far prevalere esigenze di coerenza, attribuendo la competenza per tali atti di collaborazione ad un unico organico giudiziario, a livello nazionale, per il riconoscimento della sentenza. È stata così individuata la corte di appello di Roma. La corte di appello, quando pronuncia il riconoscimento, determina la pena che deve essere eseguita nello Stato. A tal fine converte la pena detentiva stabilita dalla Corte penale internazionale nella pena della reclusione. La pena è scontata secondo le modalità stabilite dalla legge italiana. Tuttavia, è stato espressamente previsto un meccanismo limitativo, in relazione a quanto stabilito dallo Statuto di Roma, per consentire l'esercizio del potere di controllo della Corte penale internazionale. Si prevede infatti che, prima di adottare un provvedimento che possa provocare in qualunque modo la cessazione, anche temporanea, della detenzione nei confronti della persona condannata dalla Corte penale internazionale, l'autorità giudiziaria, in ottemperanza alle disposizioni contenute nello Statuto, ne dia immediata comunicazione al Ministro della giustizia, inviando copia della relativa documentazione.
      Quanto al provvedimento di concessione della grazia, il Ministro della giustizia, ricevuta la domanda o la proposta di grazia ai sensi dell'articolo 681, comma 2, del codice di procedura penale, ne informa la Corte penale internazionale per l'acquisizione del consenso o dell'acquiescenza di quest'ultima. In corso di esecuzione della pena, la corte di appello può nuovamente essere chiamata ad intervenire quando la Corte penale internazionale abbia ridotto la pena che deve essere scontata nello Stato.
      Quando, infine, l'esecuzione della sentenza risulta impossibile, il Ministro della giustizia ne informa prontamente la Corte penale internazionale. Il conseguente provvedimento di trasferimento verso l'altro Stato è adottato dalla corte di appello, che contestualmente emette un provvedimento restrittivo nei confronti della persona, altrimenti una sua custodia ai fini dell'esecuzione del trasferimento rimarrebbe priva di titolo.
      L'articolo 111 assicura il rispetto del principio di specialità durante il rapporto di esecuzione della pena irrogata dalla Corte penale internazionale.
      Disposizioni per l'esecuzione delle pene pecuniarie e delle misure riparatore disposte dalla Corte penale internazionale sono dettate dall'articolo 112.
      Si è infine reso necessario disciplinare l'attività di assistenza, consistente nell'adozione di misure di protezione in favore di testimoni o vittime, allo scopo «ricollocati» nel territorio dello Stato. In tale evenienza, il Ministro della giustizia dà corso alla richiesta, trasmettendo la stessa al Ministero dell'interno. Nei confronti delle persone indicate al comma 1 dell'articolo 114 si applicano le misure di protezione e di assistenza previste dalla legge, con particolare riguardo alla necessità e al conseguente obbligo, a carico dell'Italia ex articolo 68 dello Statuto di Roma, di evitare qualsiasi forma di persecuzione della vittima o del testimone da proteggere. A tal fine, il Ministero della giustizia dovrà creare le strutture necessarie per tutelare i diritti fondamentali delle vittime di crimini commessi in violazione del diritto internazionale.
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PROPOSTA DI LEGGE
Titolo I
PRINCÌPI GENERALI
Capo I
DISPOSIZIONI GENERALI
Art. 1.
(Obiettivi).

      1. Al fine di promuovere la tutela dei valori e dei beni che sono patrimonio comune dell'umanità, sono proibite, in ogni tempo e in ogni luogo, le condotte lesive del senso di umanità ovvero costituenti violazione delle regole che stabiliscono i limiti alle modalità di conduzione delle ostilità. Tali valori sono i medesimi sui cui si fondano il sistema internazionale di tutela dei diritti umani e il diritto internazionale umanitario.
      2. La Repubblica assicura la punizione dei responsabili dei delitti previsti dalla presente legge, in conformità alle convenzioni internazionali e in concorso con gli altri Stati e con gli organi della giurisdizione penale internazionale.

Art. 2.
(Posizione di garanzia).

      1. Chiunque riveste o esercita, anche di fatto, una posizione di direzione, di comando o di controllo su civili o su militari ha l'obbligo di assicurare la salvaguardia e il rispetto dei valori di umanità, di tutelare la collettività e le persone, nonché tutti i beni e gli interessi previsti dalla presente legge.


Art. 3.
(Definizioni).

      1. Ai fini della presente legge:

          a) per «Statuto» si intende lo Statuto istitutivo della Corte penale internazionale, adottato dalla Conferenza diplomatica delle Nazioni Unite a Roma, il 17 luglio 1998, reso esecutivo dalla legge 12 luglio 1999, n. 232;

          b) per «Corte penale internazionale» si intende la Corte istituita con lo Statuto;

          c) per «elementi costitutivi dei crimini» si intende il testo previsto dall'articolo 9 dello Statuto e approvato dall'Assemblea degli Stati parte riunitasi a New York dal 3 al 10 settembre 2002, ai sensi del medesimo articolo 9;

          d) per «Stato parte» si intendono gli Stati che hanno firmato e ratificato lo Statuto o che vi hanno aderito;

          e) per «Convenzioni di Ginevra del 1949» si intendono le Convenzioni internazionali firmate a Ginevra l'8 dicembre 1949, rese esecutive dalla legge 27 ottobre 1951, n. 1739.

Art. 4.
(Natura non politica dei delitti).

      1. Ancorché ispirati da motivazioni politiche, i delitti previsti dalla presente legge, nonché i delitti comunque commessi nelle condizioni di cui all'articolo 43 della presente legge e quelli compiuti contro le persone o contro i beni protetti dalle Convenzioni di Ginevra del 1949 e dai relativi protocolli addizionali, resi esecutivi dalla legge 11 dicembre 1985, n. 762, di seguito denominati «protocolli addizionali», non costituiscono delitti politici ai fini dell'applicazione della legge penale e dell'estradizione.


Art. 5.
(Interpretazione).

      1. Nell'interpretazione della presente legge si tiene conto in particolare dell'esigenza di un'uniforme applicazione del diritto internazionale penale, con specifico riferimento allo Statuto e agli elementi costitutivi dei crimini.

Art. 6.
(Responsabilità delle persone giuridiche).

      1. Qualora i delitti previsti ai titoli II, III, IV e V della presente legge siano commessi avvalendosi delle attività di enti o associazioni comunque denominati, il cui scopo palese od occulto sia stato la commissione dei delitti medesimi, si applicano le disposizioni dell'articolo 3 della legge 25 gennaio 1982, n. 17.
      2. È vietata la ricostituzione, sotto qualsiasi forma, degli enti e delle associazioni disciolti ai sensi del comma 1. Ai dipendenti pubblici, civili e militari, sottoposti a indagine per alcuno dei delitti previsti ai titoli II, III, IV e V della presente legge si applicano le disposizioni dell'articolo 4 della legge 25 gennaio 1982, n. 17.
      3. Nel caso previsto dal comma 1, i beni confiscati sono devoluti alle destinazioni individuate con la sentenza di condanna.
      4. Per l'accertamento delle circostanze indicate al comma 1 del presente articolo si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231.

Art. 7.
(Prescrizione).

      1. I delitti previsti ai titoli II, III, IV e V non sono soggetti a prescrizione.
      2. Le pene comminate per i delitti previsti ai titoli II, III, IV e V non si estinguono con il decorso del tempo.


      3. La prescrizione dei delitti contro la Corte penale internazionale decorre dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna pronunciata dall'autorità giudiziaria italiana o dalla stessa Corte penale internazionale, per il delitto cui sono connessi.
Art. 8.
(Delitti contro la Corte penale internazionale).

      1. All'articolo 322-bis del codice penale sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) alla rubrica, dopo le parole: «alla corruzione di membri» sono inserite le seguenti: «della Corte penale internazionale o»;

          b) al primo comma, dopo il numero 5) è aggiunto il seguente:

      «5-bis) ai giudici, al procuratore, ai procuratori aggiunti, ai funzionari e agli agenti della Corte penale internazionale, alle persone comandate dagli Stati parte dello Statuto istitutivo della Corte penale internazionale, reso esecutivo dalla legge 12 luglio 1999, n. 232, le quali esercitino funzioni corrispondenti a quelle dei funzionari o agenti della Corte stessa, ai membri e agli addetti di enti costituiti sulla base del medesimo Statuto».

      2. Dopo l'articolo 343 del codice penale è inserito il seguente:

      «Art. 343-bis. - (Corte penale internazionale). - Le norme degli articoli 336, 337, 338, 339, 340, 342 e 343 si applicano anche quando il reato è commesso nei confronti della Corte penale internazionale, dei giudici, del procuratore, dei procuratori aggiunti, dei funzionari e degli agenti della Corte penale internazionale, delle persone comandate dagli Stati parte dello Statuto istitutivo della Corte penale internazionale, reso esecutivo dalla legge 12 luglio 1999, n. 232, le quali esercitino funzioni corrispondenti a quelle dei funzionari o agenti della Corte stessa, dei

membri e degli addetti a enti costituiti sulla base del medesimo Statuto».

      3. All'articolo 368, primo comma, del codice penale, dopo le parole: «o ad un'altra autorità che a quella abbia obbligo di riferirne» sono inserite le seguenti: «o alla Corte penale internazionale».
      4. All'articolo 371-bis del codice penale sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) alla rubrica sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «o al procuratore della Corte penale internazionale»;

          b) al primo comma, dopo le parole: «richiesto dal pubblico ministero» sono inserite le seguenti: «o dal procuratore della Corte penale internazionale».

      5. All'articolo 372 del codice penale, dopo le parole: «innanzi all'autorità giudiziaria» sono inserite le seguenti: «o alla Corte penale internazionale».
      6. Al secondo comma dell'articolo 374 del codice penale, dopo le parole: «procedimento penale,» sono inserite le seguenti: «anche davanti alla Corte penale internazionale,».
      7. All'articolo 374-bis del codice penale sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) alla rubrica sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «o alla Corte penale internazionale»;

          b) al primo comma, dopo le parole: «essere prodotti all'autorità giudiziaria» sono inserite le seguenti: «o alla Corte penale internazionale».

      8. Al primo comma dell'articolo 377 del codice penale, dopo le parole: «davanti all'autorità giudiziaria» sono inserite le seguenti: «o alla Corte penale internazionale».
      9. Al primo comma dell'articolo 378 del codice penale, dopo le parole: «investigazioni dell'autorità,» sono inserite le seguenti: «comprese quelle svolte da organi della Corte penale internazionale», e le parole: «o a sottrarsi alle ricerche di questa» sono sostituite dalle seguenti: «o

a sottrarsi alle ricerche effettuate dai medesimi soggetti».
      10. Al primo comma dell'articolo 380 del codice penale, dopo le parole: «dinanzi all'autorità giudiziaria» sono inserite le seguenti: «o alla Corte penale internazionale».
Art. 9.
(Pubblica istigazione e apologia).

      1. Chiunque pubblicamente istiga a commettere alcuno dei delitti previsti ai titoli II, III, IV e V è punito, per il solo fatto dell'istigazione, con la reclusione da due a otto anni.
      2. La pena prevista dal comma 1 si applica anche a chiunque pubblicamente fa l'apologia di alcuno dei delitti di cui al medesimo comma 1.

Art. 10.
(Circostanze aggravanti comuni).

      1. Oltre le circostanze aggravanti comuni previste dal codice penale e dai codici penali militari di pace e di guerra, aggravano i delitti previsti dalla presente legge, quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze aggravanti speciali, le seguenti circostanze:

          a) l'aver commesso il fatto in violazione degli obblighi di protezione previsti dall'articolo 2;

          b) il numero elevato o la qualità delle vittime, in particolare donne, bambini, anziani e disabili o altre persone che, per loro condizioni individuali o sociali, siano particolarmente esposte alle conseguenze psichiche, fisiche o materiali derivanti dal reato;

          c) l'aver cagionato un danno a beni storici, artistici, archeologici, architettonici, scientifici o religiosi ovvero a beni di altro straordinario valore che siano patrimonio comune dell'umanità, riconosciuto dalle Nazioni Unite;

          d) l'aver rivestito una qualifica o svolto una funzione che attribuisca una posizione di responsabilità per la tutela degli interessi lesi dal reato.

Art. 11.
(Omesso impedimento di delitti).

      1. Ferme restando le disposizioni del secondo comma dell'articolo 40 del codice penale e degli articoli 138 del codice penale militare di pace e 230 del codice penale militare di guerra, chiunque, rivestendo, anche in via di fatto, una posizione di direzione, comando o controllo su civili o militari ovvero esercitando nelle circostanze concrete tali o analoghe funzioni che attribuiscano la supremazia su altri, non usa ogni mezzo possibile per impedire l'esecuzione di uno dei delitti previsti ai titoli II, III, IV e V della presente legge è punito:

          a) con la reclusione non inferiore a dieci anni, se per il delitto la legge stabilisce la pena dell'ergastolo;

          b) negli altri casi, con la pena stabilita per il delitto diminuita dalla metà a due terzi.

Art. 12.
(Pene accessorie e misure di sicurezza).

      1. La condanna per uno dei delitti previsti ai titoli II, III, IV e V della presente legge comporta l'interdizione perpetua dai pubblici uffici ai sensi dell'articolo 28 del codice penale, l'interdizione perpetua dall'esercizio della professione o dell'arte ai sensi dell'articolo 30 del codice penale, l'interdizione legale ai sensi dell'articolo 32 del codice penale e l'incapacità perpetua di contrattare con la pubblica amministrazione ai sensi dell'articolo 32-ter del codice penale. Con la sentenza di condanna ad una pena inferiore a cinque anni di reclusione, il giudice può fissare un termine di durata della pena accessoria non inferiore a cinque anni.


      2. Nel caso di condanna per uno dei delitti previsti ai titoli II, III, IV e V è sempre ordinata:

          a) la confisca delle cose che servirono o che furono destinate a commettere il delitto, delle cose che ne sono il prodotto, il profitto, il prezzo o il compenso, ovvero, quando questa non è possibile, di cose di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente; quella delle cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisce reato, anche se non è stata pronunciata condanna; di somme di denaro, di beni e di altre utilità di cui il reo non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sui redditi, o alla propria attività economica;

          b) la chiusura degli esercizi la cui attività risulta finalizzata ai delitti, nonché la revoca di ogni licenza di esercizio, di concessioni o di autorizzazioni per le emittenti radiotelevisive.

      3. La sentenza di condanna per uno dei reati previsti dalla presente legge è soggetta a pubblicazione ai sensi dell'articolo 36, commi primo e secondo, del codice penale.
      4. Con la sentenza di condanna per uno dei delitti previsti dalla presente legge il giudice può altresì disporre la sanzione accessoria dell'obbligo di prestare un'attività non retribuita in favore della collettività, di cui all'articolo 1, comma 1-bis, del decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205.

Art. 13.
(Diritti delle vittime: restituzione, risarcimento e riabilitazione).

      1. Le cose confiscate sono destinate in primo luogo alla reintegrazione degli interessi lesi dai reati. A tal fine il giudice

considera prioritario il diritto delle vittime alle restituzioni, al risarcimento, alle spese e al loro ristoro dalle conseguenze del reato, ivi comprese le esigenze derivanti dal loro recupero e reinserimento nella collettività di appartenenza. Tali esigenze devono essere soddisfatte in base al diritto delle vittime alla riabilitazione di cui all'articolo 75 dello Statuto.
      2. Se uno dei delitti previsti ai titoli II, III, IV e V lede uno dei beni indicati all'articolo 10, comma 1, lettera c), ovvero compromette o danneggia l'ambiente, il giudice dispone la restituzione, il risarcimento e la riparazione in forma specifica, ove possibile, anche nelle forme del ripristino, del restauro, della ricostruzione o del recupero.
Art. 14.
(Circostanze attenuanti e non punibilità).

      1. Ai delitti previsti ai titoli II, III, IV e V della presente legge si applicano i benefìci di cui agli articoli 4 e 5 del decreto-legge 15 dicembre 1979, n. 625, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 febbraio 1980, n. 15, e successive modificazioni, e agli articoli 1, 2, 3 e 5 della legge 29 maggio 1982, n. 304.

Capo II
GIURISDIZIONE E COMPETENZA
Art. 15.
(Giurisdizione nazionale).

      1. Per i delitti previsti ai titoli II, III, IV e V commessi nel territorio dello Stato si procede in ogni caso d'ufficio.
      2. Quando l'autore o la parte offesa siano cittadini italiani, si procede d'ufficio ancorché i delitti di cui al comma 1 siano commessi all'estero.
      3. Colui che, fuori dei casi di cui ai commi 1 e 2, commette uno dei delitti previsti dai titoli II, III e IV è punito secondo la legge italiana, se non è stata

esercitata l'azione penale dalla Corte penale internazionale o da uno Stato parte che rispetti il principio di complementarità di cui all'articolo 17 dello Statuto e lo scopo e l'oggetto dello Statuto stesso relativi al principio di non impunità.
Art. 16.
(Giurisdizione internazionale complementare).

      1. Ricevuta la comunicazione prevista dall'articolo 18, paragrafo 1, dello Statuto, il Ministro della giustizia ne trasmette copia al procuratore della Repubblica presso il tribunale competente a norma degli articoli 4 e seguenti del codice di procedura penale o all'autorità giudiziaria presso cui risulti essere iscritto un procedimento avente ad oggetto gli stessi fatti.
      2. L'autorità giudiziaria competente trasmette al Ministro della giustizia una sommaria relazione sul procedimento, contenente indicazioni sulla probabile durata della fase in cui esso si trova.
      3. Alla relazione di cui al comma 2 è allegata copia degli atti che non sono coperti dal segreto o di quelli dei quali il pubblico ministero consente la pubblicazione ai sensi dell'articolo 329, comma 2, del codice di procedura penale.
      4. L'autorità giudiziaria segnala altresì al Ministro della giustizia:

          a) le circostanze che giustificano la richiesta di proseguire le indagini ai sensi dell'articolo 18, paragrafo 2, dello Statuto, nonché quelle necessarie per informare il procuratore sui progressi delle indagini preliminari e sull'eventuale esito delle stesse, ai sensi del paragrafo 5 del medesimo articolo 18;

          b) ogni informazione e indicazione utili per proporre l'appello ai sensi dell'articolo 18, paragrafo 4, dello Statuto e per assumere le iniziative previste dal paragrafo 7 del medesimo articolo 18.


Art. 17.
(Eccezioni sulla giurisdizione internazionale).

      1. Con le modalità previste dall'articolo 16 il Ministro della giustizia acquisisce dall'autorità giudiziaria competente ogni informazione e indicazione utili per proporre le eccezioni di inammissibilità e di incompetenza ai sensi dell'articolo 19, paragrafo 2, dello Statuto e assume le altre iniziative previste dal medesimo articolo 19.

Art. 18.
(Effetti della dichiarazione di competenza da parte della Corte penale internazionale).

      1. Quando la Corte penale internazionale, pronunciando su una questione di competenza o di ammissibilità, afferma la propria competenza o l'ammissibilità dell'affare, il giudice dichiara con sentenza che non può ulteriormente procedersi per l'esistenza della competenza della Corte stessa, sempre che ricorrano le seguenti condizioni:

          a) se il fatto per il quale procede il giudice italiano è il medesimo che costituisce l'oggetto della pronuncia di competenza o di ammissibilità;

          b) se il fatto diverso, compreso tra quelli indicati dagli articoli da 5 a 8 dello Statuto, è stato commesso nel contesto della situazione deferita alla giurisdizione della Corte penale internazionale.

      2. Si applicano le disposizioni dell'articolo 127 del codice di procedura penale; tuttavia, il ricorso per cassazione ha effetto sospensivo.
      3. Il giudice trasmette gli atti al Ministro della giustizia per l'invio alla Corte penale internazionale.

Art. 19.
(Riapertura del procedimento nazionale).

      1. Il procedimento penale dinanzi all'autorità giudiziaria italiana è riaperto quando ricorre una delle seguenti ipotesi:

          a) se il procuratore della Corte penale internazionale, ai sensi dell'articolo 53 dello Statuto:

              1) decide di non aprire l'inchiesta;

              2) conclude, all'esito dell'inchiesta, che non vi sono basi ragionevoli per l'esercizio dell'azione penale;

          b) se la Camera preliminare della Corte penale internazionale decide, ai sensi dell'articolo 61 dello Statuto, di non confermare l'atto di accusa;

          c) se la Corte penale internazionale dichiara la propria incompetenza o l'inammissibilità dell'affare.

      2. Qualora ricorra una delle ipotesi indicate al comma 1, il giudice per le indagini preliminari autorizza con decreto motivato la riapertura delle indagini su richiesta del pubblico ministero; in tal caso i termini per le indagini iniziano a decorrere nuovamente. Se è stata già esercitata l'azione penale, il giudice per le indagini preliminari ovvero il presidente del collegio giudicante provvede alla rinnovazione dell'atto introduttivo della fase o del grado nel quale è stato deciso il trasferimento del processo penale in favore della Corte penale internazionale.
      3. Il Ministro della giustizia, su richiesta dell'autorità giudiziaria competente, chiede alla Corte penale internazionale, ai sensi dell'articolo 93, paragrafo 10, dello Statuto, copia degli atti compiuti.

Art. 20.
(Divieto di nuovo giudizio).

      1. Una persona che è stata giudicata con sentenza definitiva della Corte penale internazionale non può essere di nuovo

sottoposta a procedimento penale nel territorio dello Stato per il medesimo fatto.
      2. Se, nonostante il giudizio con sentenza definitiva di cui al comma 1, viene di nuovo iniziato un procedimento penale, il giudice, in ogni stato e grado del processo, pronuncia sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, enunciandone la causa nel dispositivo.
Art. 21.
(Competenza).

      1. I delitti previsti ai titoli II, III, IV e V appartengono alla competenza della corte di assise.

Art. 22.
(Regime penitenziario).

      1. Ai detenuti per i delitti previsti dalla presente legge si applica l'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, come modificato dal comma 2 del presente articolo.
      2. Al primo periodo del comma 1 dell'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, dopo le parole: «dell'articolo 58-ter della presente legge:» sono inserite le seguenti: «delitti di genocidio, crimini contro l'umanità e crimini di guerra,».

Titolo II
GENOCIDIO
Art. 23.
(Genocidio mediante lesioni o uccisioni).

      1. Chiunque, al fine di distruggere in tutto o in parte un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso come tale, commette atti diretti a cagionare lesioni personali gravi a persone appartenenti al gruppo è punito con la reclusione da dieci a diciotto anni. Sono equiparati alle lesioni

gravi gli atti costituenti tortura, stupro, violenza sessuale o altri trattamenti inumani o degradanti.
      2. Chiunque, al fine di distruggere in tutto o in parte un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso come tale, commette atti diretti a cagionare la morte o lesioni personali gravissime a persone appartenenti al gruppo è punito con la reclusione da ventiquattro a trenta anni. La stessa pena si applica a chi, allo stesso fine, sottopone persone appartenenti al gruppo medesimo a condizioni di vita tali da determinare la distruzione fisica, totale o parziale, del gruppo, anche mediante la privazione di risorse indispensabili alla sopravvivenza dello stesso.
Art. 24.
(Genocidio mediante deportazione).

      1. Chiunque, al fine di distruggere in tutto o in parte un gruppo nazionale, etnico, razziale, politico o religioso in quanto tale, deporta ovvero costringe ad esodo forzato persone appartenenti al gruppo è punito con la reclusione da quindici a ventiquattro anni.

Art. 25.
(Circostanza aggravante).

      1. Se da taluno dei fatti previsti dagli articoli 23 e 24 deriva la morte di una o più persone, si applica la pena dell'ergastolo.

Art. 26.
(Genocidio mediante la limitazione delle nascite).

      1. Chiunque, al fine di distruggere in tutto o in parte un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso come tale, impone o attua misure tendenti ad ostacolare le nascite in seno al gruppo è punito con la reclusione da dodici a ventuno anni.


Art. 27.
(Genocidio mediante sottrazione di minori).

      1. Chiunque, al fine di distruggere in tutto o in parte un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso come tale, sottrae, anche mediante misure individuali adottate sotto forma di affidamento, comunque denominate, minori appartenenti al gruppo per trasferirli ad un gruppo diverso è punito con la reclusione da dodici a ventuno anni.

Titolo III
CRIMINI CONTRO L'UMANITÀ
Capo I
AMBITO DI APPLICAZIONE
Art. 28.
(Ambito di applicazione).

      1. Le condotte descritte dal presente titolo sono considerate crimini contro l'umanità e come tali punite, ai sensi della presente legge, ove commesse nell'ambito di un esteso o sistematico attacco contro una popolazione civile, anche di natura non militare, in esecuzione o a sostegno della politica di uno Stato o di un'organizzazione.

Capo II
DELITTI CONTRO LE PERSONE
Art. 29.
(Omicidio).

      1. Chiunque, nelle condizioni di cui all'articolo 28, cagiona la morte di una persona è punito con la reclusione non inferiore a ventuno anni.


Art. 30.
(Sterminio).

      1. Chiunque commette una strage, anche infliggendo a più persone condizioni di vita dirette a determinare in tutto o in parte la distruzione di una popolazione civile, è punito con l'ergastolo se dal fatto deriva la morte anche di una sola persona.

Art. 31.
(Deportazione o trasferimento forzato).

      1. Chiunque, con violenza o minaccia ovvero mediante atti arbitrariamente adottati nell'esercizio di una pubblica funzione o di un pubblico potere, deporta o trasferisce, in violazione delle norme di diritto internazionale, gruppi di persone in un territorio diverso da quello in cui esse risiedono legalmente è punito con la reclusione da quindici a ventiquattro anni.

Art. 32.
(Segregazione razziale).

      1. Chiunque, nel contesto di un regime istituzionalizzato di oppressione sistematica e di dominazione da parte di un gruppo etnico o razziale su un altro gruppo e al fine di stabilire o di perpetuare tale regime, discrimina o limita nell'esercizio dei propri diritti e delle proprie facoltà legali uno o più appartenenti ad un gruppo etnico o razziale è punito con la reclusione da quindici a ventiquattro anni.

Art. 33.
(Persecuzione).

      1. Chiunque, per ragioni politiche, razziali, nazionali, etniche, culturali, religiose o di genere priva in modo grave e in violazione del diritto internazionale una o più persone dei loro diritti fondamentali

per ragioni connesse all'identità di un determinato gruppo o collettività è punito con la reclusione da diciotto a ventiquattro anni.
Capo III
DELITTI CONTRO LA LIBERTÀ E LA DIGNITÀ DELL'ESSERE UMANO
Art. 34.
(Riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù).

      1. Chiunque riduce o mantiene una persona in schiavitù o in servitù, ovvero ne fa tratta o commercio, è punito con la reclusione da otto a venti anni.
      2. Costituisce schiavitù l'esercizio, anche solo di fatto, su di una persona, di poteri inerenti al diritto di proprietà o ad altro diritto reale.
      3. Costituisce servitù la soggezione continuativa di una persona all'esecuzione, in favore dell'agente o di terzi, di prestazioni lavorative, dell'accattonaggio o comunque di attività che ne comportino lo sfruttamento.
      4. La riduzione o il mantenimento nello stato di servitù ha luogo quando la condotta è attuata mediante violenza, minaccia, inganno, abuso di autorità o approfittamento di una situazione di inferiorità fisica o psichica o di una situazione di necessità, o mediante la promessa o la corresponsione di somme di denaro o di altri vantaggi a chi ha autorità sulla persona.

Art. 35.
(Schiavitù sessuale).

      1. Chiunque riduce una persona in schiavitù o in servitù al fine di farle compiere uno o più atti di natura sessuale è punito con la reclusione da dieci a ventiquattro anni.


Art. 36.
(Gravidanza forzata).

      1. Chiunque, allo scopo di modificare la composizione etnica di un gruppo o di commettere altre gravi violazioni del diritto internazionale, rende forzatamente gravida o costringe a rimanere gravida una donna è punito con la reclusione da dieci a ventiquattro anni.
      2. Con la pena di cui al comma 1 è punito anche chiunque, allo scopo di modificare la composizione etnica di un gruppo, priva illegalmente della libertà personale una o più donne rese forzatamente gravide.

Art. 37.
(Sterilizzazione forzata).

      1. Chiunque priva una o più persone della capacità di procreare, è punito con la reclusione da dieci a ventiquattro anni.

Art. 38.
(Tortura).

      1. Chiunque procura gravi dolori o sofferenze fisiche o psichiche ad una persona di cui abbia il controllo o la custodia è punito con la reclusione da cinque a dieci anni. Non si considerano tortura i dolori e le sofferenze derivanti esclusivamente dalla legittima detenzione in quanto tale o che siano ad essa inscindibilmente connessi.

Art. 39.
(Imprigionamento).

      1. Chiunque arbitrariamente imprigiona o altrimenti sottopone una persona ad una restrizione della libertà personale in violazione di norme fondamentali del diritto internazionale è punito con la reclusione da tre a dodici anni.


Art. 40.
(Sparizione forzata di persone).

      1. Chiunque, dopo che una persona è stata privata della libertà personale anche in esecuzione di una misura legittima, si rifiuta di riconoscerne lo stato di arresto o di detenzione, ovvero di fornire informazioni sulla sua sorte o sul luogo in cui si trova ristretta, al fine di impedirne o di ostacolarne la difesa legale per un tempo significativo, è punito con la reclusione da tre a dodici anni.

Art. 41.
(Altri atti inumani).

      1. Chiunque, nelle condizioni di cui all'articolo 28, salvo che il fatto costituisca più grave reato ai sensi delle disposizioni del presente titolo, infligge gravi sofferenze a una persona o compie atti intenzionalmente diretti a ledere in forma grave l'integrità fisica o morale di una persona è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.

Titolo IV
CRIMINI DI GUERRA
Capo I
AMBITO DI APPLICAZIONE
Art. 42.
(Ambito di applicazione).

      1. Le condotte descritte dal presente titolo sono considerate crimini di guerra e come tali punite, ove commesse nel contesto di un conflitto armato e in relazione ad esso.
      2. Ai fini dei capi II e III, si considerano conflitti armati quelli di carattere internazionale tra Stati o entità nazionali diversi, anche in mancanza di una formale

dichiarazione di guerra, nonché i conflitti interni prolungati tra forze governative e gruppi armati organizzati. Sono escluse le situazioni interne di disordine e di tensione che comportano sommosse o atti di violenza sporadici o non sistematici.
      3. Le condotte di cui al capo IV sono considerate delitti di guerra e come tali punite, esclusivamente nei casi di conflitto armato internazionale, anche in mancanza di una formale dichiarazione di guerra.
Capo II
ATTI POSTI IN ESSERE CONTRO PERSONE O BENI PROTETTI DALLE CONVENZIONI DI GINEVRA DEL 1949
Art. 43.
(Delitti comuni).

      1. I delitti di cui all'articolo 575 del codice penale e agli articoli 32 e 35 della presente legge sono considerati delitti di guerra ai sensi del presente capo e puniti con le pene ivi previste, ove commessi contro le persone protette dalle Convenzioni di Ginevra del 1949 e dai protocolli addizionali, nelle circostanze previste dall'articolo 42 della presente legge.

Art. 44.
(Esperimenti biologici).

      1. Chiunque sottopone una persona protetta dalle Convenzioni di Ginevra del 1949 e dai protocolli addizionali ad un esperimento biologico non terapeutico che non sia giustificato da ragioni mediche ovvero dall'interesse esclusivo della persona è punito, se dal fatto deriva un grave rischio per la salute o per l'integrità fisica o psichica della persona, con la reclusione da cinque a dieci anni.


Art. 45.
(Distruzione o appropriazione arbitraria di beni altrui).

      1. Chiunque, senza giustificazioni di natura militare e in modo arbitrario, cagiona l'estesa distruzione di beni altrui protetti dalle Convenzioni di Ginevra del 1949 e dai protocolli addizionali ovvero se ne appropria nella stessa misura è punito con la reclusione da cinque e dieci anni.

Art. 46.
(Arruolamento forzato).

      1. Chiunque costringe una persona protetta dalle Convenzioni di Ginevra del 1949 e dai protocolli addizionali a prendere parte alle operazioni militari contro il proprio Paese o le sue Forze armate, ovvero comunque la costringe a prestare servizio nelle Forze armate di una parte avversa, è punito con la reclusione da sette a dieci anni.

Art. 47.
(Diniego del giusto processo).

      1. Chiunque priva una persona protetta dalle Convenzioni di Ginevra del 1949 e dai protocolli addizionali del diritto ad un giusto e regolare processo, negandole le garanzie previste dalla legge e dalle convenzioni internazionali applicabili, è punito con la reclusione da sette a dieci anni.

Art. 48.
(Deportazione e trasferimento illeciti).

      1. Chiunque arbitrariamente deporta, trasferisce, confina o mantiene confinata in un altro Stato ovvero in luogo diverso una persona protetta dalle Convenzioni di Ginevra del 1949 e dai protocolli addizionali è punito con la reclusione da sette a dieci anni.


Art. 49.
(Uso di scudi umani).

      1. Chiunque utilizza la presenza di un civile o di un'altra persona protetta dalle Convenzioni di Ginevra del 1949 e dai protocolli addizionali per evitare che taluni siti, zone o edifici di carattere o di interesse militare divengano bersaglio di operazioni militari della parte avversa o comunque per favorire le proprie operazioni militari è punito con la reclusione da quattordici a ventuno anni.
      2. Se dalla condotta di cui al comma 1 deriva la morte di uno o più civili usati come scudo, la pena è dell'ergastolo.

Capo III
DELITTI CONTRO LE LEGGI E GLI USI DEI CONFLITTI ARMATI
Art. 50.
(Delitti comuni).

      1. I delitti di cui all'articolo 609-bis del codice penale e agli articoli 35, 36 e 37 della presente legge sono considerati delitti di guerra ai sensi della presente legge e sono puniti con le pene per ciascuno previste, ove commessi nel contesto di un conflitto armato e in relazione ad esso.

Art. 51.
(Violazione della dignità personale).

      1. Chiunque, fuori dei casi previsti dalle disposizioni del presente titolo e salvo che il fatto non costituisca più grave reato, umilia, degrada o altrimenti viola gravemente la dignità di una persona è punito con la reclusione da tre a cinque anni.

Art. 52.
(Attacco a civili).

      1. Chiunque dirige un attacco contro una popolazione civile in quanto tale ovvero contro civili che non partecipano alle

ostilità è punito con la reclusione non inferiore a diciotto anni.
      2. Se l'attacco determina la perdita di vite umane, si applica la pena dell'ergastolo.
Art. 53.
(Attacco a luoghi indifesi).

      1. Chiunque, con qualunque mezzo, lancia un attacco o bombarda città, villaggi o abitazioni indifesi e che non sono obiettivi militari è punito con la reclusione da dieci a quindici anni.

Art. 54.
(Attacco a beni civili).

      1. Chiunque dirige un attacco contro beni civili è punito con la reclusione da tre a sette anni. Ai fini del presente articolo, per beni civili si intendono beni che non siano obiettivi militari.

Art. 55.
(Attacco a personale o beni di missioni di assistenza umanitaria o di mantenimento della pace).

      1. Chiunque dirige un attacco contro il personale, le installazioni, i materiali, le unità o i veicoli, ovvero i dati o le risorse impiegati in una missione di assistenza umanitaria o di mantenimento della pace che abbia diritto alla protezione accordata dal diritto internazionale dei conflitti armati ai civili o ai beni civili in conformità alla Carta delle Nazioni Unite, è punito con la reclusione da dieci a venti anni.
      2. Se l'attacco determina la perdita di vite umane, si applica la pena dell'ergastolo.
      3. Se l'attacco determina lesioni personali gravi in danno di una o più persone, si applica la pena della reclusione da diciotto a ventiquattro anni.


      4. Se l'attacco determina danni gravi alle installazioni, si applica la pena della reclusione da diciotto a ventidue anni.
Art. 56.
(Morte, lesioni o danni collaterali eccessivi).

      1. Chiunque lancia un attacco nella consapevolezza che avrà come effetto collaterale la perdita di vite umane di civili o il loro ferimento, in misura manifestamente sproporzionata rispetto al diretto e concreto vantaggio militare atteso, è punito con la reclusione da dieci a venti anni.
      2. Se l'attacco determina la perdita di vite umane, si applica la pena della reclusione da venti a ventiquattro anni.
      3. Se l'attacco determina lesioni personali gravi in danno di una o più persone, si applica la pena della reclusione da diciotto a ventiquattro anni.
      4. Se l'attacco determina danni gravi ai beni civili, si applica la pena della reclusione da quindici a ventidue anni.

Art. 57.
(Danni ambientali).

      1. Chiunque lancia un attacco nella consapevolezza che avrà come effetto collaterale diffusi, gravi e durevoli danni all'ambiente, in misura o di qualità manifestamente sproporzionata rispetto al diretto e concreto vantaggio militare atteso, è punito con la reclusione da otto a quattordici anni.
      2. Se l'attacco determina la distruzione del patrimonio biologico di un ecosistema, l'avvelenamento non temporaneo dell'atmosfera o delle risorse idriche ovvero una catastrofe ecologica, si applica la reclusione da dieci a diciotto anni.

Art. 58.
(Opere e installazioni che contengono o producono energie pericolose).

      1. Chiunque arbitrariamente lancia un attacco che può coinvolgere opere o installazioni

nelle quali sono contenute o prodotte energie pericolose che possano essere liberate dall'attacco e causare gravi perdite di vite umane, ferite o danni a beni civili è punito con la reclusione da dieci a quindici anni.
Art. 59.
(Omicidio o ferimento di persona fuori combattimento).

      1. Chiunque cagiona la morte o il ferimento grave di un combattente che, avendo deposto le armi o non avendo più mezzi di difesa, si sia arreso senza condizioni è punito con la reclusione non inferiore a diciotto anni.

Art. 60.
(Abuso della bandiera bianca).

      1. Chiunque usa indebitamente la bandiera bianca, simulando falsamente l'intenzione di negoziare, è punito, se dal fatto derivano la morte di una persona o lesioni personali gravi, con la reclusione da cinque a dieci anni.

Art. 61.
(Abuso di bandiera, insegne o uniformi delle Nazioni Unite).

      1. Chiunque fa un uso improprio della bandiera, delle insegne o delle uniformi delle Nazioni Unite è punito, se dal fatto derivano la morte di una persona o lesioni personali gravi, con la reclusione da cinque a dieci anni.

Art. 62.
(Abuso degli emblemi distintivi delle convenzioni di Ginevra del 1949).

      1. Chiunque usa indebitamente gli emblemi distintivi delle Convenzioni di Ginevra del 1949 e dei protocolli addizionali è punito,

se dal fatto derivano la morte di una persona o lesioni personali gravi, con la reclusione da cinque a dieci anni.
Art. 63.
(Attacco ad obiettivi protetti).

      1. Chiunque attacca un edificio, un'opera o un luogo destinato al culto, all'educazione, all'arte, alla scienza o a scopi umanitari ovvero monumenti storici, ospedali o luoghi ove siano riuniti i malati e i feriti, al di fuori dei casi in cui siano utilizzati per fini militari, è punito con la reclusione da quattro a otto anni.
      2. Chiunque, in violazione del diritto internazionale e nelle circostanze di cui al comma 1, attacca ovvero espone al rischio di un attacco un bene culturale oggetto di protezione rafforzata è punito con la reclusione da cinque a dodici anni.
      3. È punito con la pena di cui al comma 2 anche chiunque attacca direttamente ogni altro bene storico, artistico, archeologico, architettonico, scientifico, culturale o religioso che, per caratteristiche proprie e note ai belligeranti, costituisca eredità culturale e spirituale di un popolo ovvero patrimonio universale del genere umano, al di fuori dei casi in cui sia utilizzato per fini militari.

Art. 64.
(Mutilazione).

      1. Chiunque sottopone a mutilazione una persona che si trovi sotto il suo controllo, anche sfigurandola o rendendola permanentemente inabile o rimuovendole un organo, qualora l'atto non sia giustificato né da cure mediche, dentistiche od ospedaliere né dall'interesse esclusivo della persona coinvolta, è punito, se dal fatto deriva un grave rischio per la salute o per l'integrità fisica o psichica della persona stessa, con la pena della reclusione da cinque a quindici anni.


      2. Se dal fatto di cui al comma 1 deriva la morte della persona, si applica la pena della reclusione da dieci a venti anni.
Art. 65.
(Esperimenti medici o scientifici).

      1. Chiunque sottopone una persona che si trovi sotto il suo controllo ad un esperimento medico o scientifico che non sia giustificato né da cure mediche, dentistiche od ospedaliere né dall'interesse esclusivo della persona coinvolta è punito, se dal fatto deriva un grave rischio per la salute o per l'integrità fisica o psichica della persona stessa, con la pena della reclusione da cinque a dodici anni.
      2. Se dal fatto di cui al comma 1 deriva la morte della persona, si applica la pena della reclusione da dieci a venti anni.

Art. 66.
(Perfidia).

      1. Chiunque cagiona la morte o il ferimento di una persona della parte avversa facendo appello, con l'intenzione di ingannarla, alla sua buona fede o alla sua fiducia per farle credere che ha il diritto di ricevere o l'obbligo di accordare la protezione prevista dalle regole del diritto internazionale dei conflitti armati è punito con la reclusione non inferiore a dieci anni.

Art. 67.
(Ordine di non prendere prigionieri).

      1. Chiunque, essendo in posizione di effettivo comando o controllo sulle forze subordinate alle quali si rivolge, dichiara od ordina che non vi siano sopravvissuti per minacciare l'avversario o di condurre le ostilità nel presupposto che non vi saranno sopravvissuti è punito con la reclusione da tre a sette anni.


Art. 68.
(Distruzione o sequestro di proprietà nemica).

      1. Chiunque distrugge o illegalmente espropria proprietà dell'avversario, al di fuori dei casi in cui ciò sia richiesto dalla necessità del conflitto, è punito con la reclusione da tre a sette anni.

Art. 69.
(Saccheggio).

      1. Chiunque saccheggia una città o un altro luogo, anche se preso d'assalto, è punito con la reclusione da dodici a ventiquattro anni.

Art. 70.
(Impiego di veleno o di armi avvelenate).

      1. Chiunque impiega una sostanza idonea a cagionare la morte o gravi danni alla salute per le sue proprietà tossiche, ovvero impiega un'arma che rilasci tale sostanza per effetto del suo uso, è punito con la reclusione da dodici a diciotto anni.

Art. 71.
(Impiego di gas, liquidi, materiali od ordigni vietati).

      1. Chiunque impiega un gas idoneo a cagionare la morte o gravi danni alla salute per le sue proprietà asfissianti o tossiche, ovvero impiega altra sostanza, liquido o materiale ovvero un procedimento analogo, è punito con la reclusione da dodici a diciotto anni.

Art. 72.
(Impiego di proiettili vietati).

      1. Chiunque, in violazione del diritto internazionale, impiega proiettili che si

espandono o si schiacciano facilmente nel corpo umano, in modo da causare lesioni superflue o sofferenze non necessarie, è punito con la reclusione da otto a quindici anni.
Art. 73.
(Mine).

      1. Chiunque, in violazione delle norme di diritto internazionale, utilizza mine antipersona o altri analoghi ordigni è punito con la reclusione da quattro a dodici anni.

Art. 74.
(Attacco a cose o persone che usano i segni distintivi delle Convenzioni di Ginevra del 1949).

      1. Chiunque attacca persone, edifici, materiali, unità mediche, trasporti o altri obiettivi che usano, in conformità al diritto internazionale, un emblema distintivo o un altro metodo di identificazione che indica la protezione ai sensi delle Convenzioni di Ginevra del 1949 è punito con la reclusione da otto a quindici anni.

Art. 75.
(Privazione di mezzi di sopravvivenza).

      1. Chiunque priva i civili dei mezzi indispensabili di sopravvivenza, anche impedendo loro di ricevere soccorsi, al fine di usare tale privazione come metodo di guerra, è punito con la reclusione da dieci a diciotto anni.

Art. 76.
(Uso o arruolamento di fanciulli in operazioni militari).

      1. Chiunque recluta o arruola un minore di quindici anni nelle Forze armate nazionali ovvero lo fa partecipare alle

ostilità è punito con la reclusione da sette a dodici anni.
      2. È punito con la pena di cui al comma 1 anche chiunque omette le misure necessarie a prevenire, impedire, interrompere o altrimenti far cessare il reclutamento e il servizio forzato ovvero la partecipazione attiva nelle ostilità.
Art. 77.
(Cattura di ostaggi).

      1. Chiunque sequestra o altrimenti tiene in suo potere una o più persone minacciando di ucciderle, di ferirle o di mantenerle in stato di sequestro, al fine di costringere uno Stato, un'organizzazione internazionale, una persona fisica o giuridica o un gruppo di persone a compiere o ad omettere qualsiasi atto, è punito con la reclusione da diciotto a ventiquattro anni.

Capo IV
DELITTI DI GUERRA NEI CONFLITTI INTERNAZIONALI
Art. 78.
(Dispersione dei beni culturali).

      1. Chiunque, in violazione delle norme di diritto internazionale, usa ovvero esporta, rimuove o trasferisce beni culturali fuori dai territori occupati è punito con la reclusione da cinque a dodici anni.
      2. Chiunque omette le misure necessarie per impedire l'esportazione di beni culturali dai territori occupati ovvero il sequestro e la restituzione dei beni importati dai medesimi territori è punito con la reclusione da tre a sette anni.
      3. Chiunque illecitamente si appropria, saccheggia o commette atti di vandalismo su beni culturali protetti dalle norme di diritto internazionale è punito con la reclusione da tre a cinque anni.
      4. I reati di cui ai commi 1 e 2 sono puniti con la pena ivi prevista se commessi

nel territorio italiano ovvero in altro territorio non occupato.
Art. 79.
(Privazione di diritti o di azioni).

      1. Chiunque dispone l'abolizione, la sospensione o l'improcedibilità dinanzi all'autorità giudiziaria di diritti o di azioni giudiziarie dei cittadini della parte avversa è punito con la reclusione da sette a dieci anni.

Art. 80.
(Impiego di armi, proiettili, materiali o metodi di guerra inumani).

      1. Chiunque, in violazione delle norme di diritto internazionale dei conflitti armati, utilizza armi, proiettili, materiali o metodi di guerra aventi caratteristiche tali da cagionare lesioni superflue o sofferenze non necessarie ovvero che, per loro natura, colpiscano gli obiettivi in modo indiscriminato è punito con la reclusione da dodici a diciotto anni.

Art. 81.
(Abuso di bandiera, insegne o uniformi dell'avversario).

      
      1. Chiunque fa uso indebito della bandiera, delle insegne o delle uniformi dell'avversario nel corso di un attacco è punito, se dal fatto derivano la morte di una persona o lesioni personali gravi, con la reclusione da cinque a dieci anni.

Art. 82.
(Trasferimento o deportazione).

      1. Chiunque trasferisce direttamente o indirettamente parte della popolazione civile dello Stato nel territorio occupato militarmente, favorendone l'insediamento, ovvero deporta o trasferisce, in tutto o in parte,

la popolazione del territorio occupato all'interno o all'esterno di tale territorio, è punito con la reclusione da dieci a venti anni.
Art. 83.
(Arruolamento forzato).

      1. Chiunque costringe un cittadino della parte avversa a partecipare alle operazioni militari contro il proprio Paese o le sue Forze armate è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.

Titolo V
ALTRI DELITTI INTERNAZIONALI
Art. 84.
(Mercenari).

      1. Chiunque, avendo ricevuto un corrispettivo economico o altra utilità o avendone accettato la promessa, combatte in un conflitto armato nel territorio comunque controllato da uno Stato estero di cui non sia né cittadino né stabilmente residente, senza far parte delle Forze armate di una delle parti del conflitto o essere inviato in missione ufficiale quale appartenente alle Forze armate di uno Stato estraneo al conflitto, è punito, per la sola partecipazione all'atto, se il fatto non costituisce più grave reato, con la reclusione da quattro a sette anni.
      2. Chiunque, avendo ricevuto un corrispettivo economico o avendone accettato la promessa, partecipa ad un'azione, preordinata e violenta, diretta a mutare l'ordine costituzionale o a violare l'integrità territoriale di uno Stato estero di cui non sia né cittadino né stabilmente residente, senza far parte delle Forze armate dello Stato né essere stato inviato in missione militare ufficiale da altro Stato, è punito, per la sola partecipazione all'atto, se il fatto non costituisce più grave reato, con la reclusione da cinque a otto anni.


      3. Chiunque recluta, utilizza, finanzia o istruisce delle persone al fine di far loro commettere taluno dei fatti previsti nei commi 1 e 2 è punito, se il fatto non costituisce più grave reato, con la reclusione da cinque a quattordici anni.
      4. Non è punibile chi ha commesso i fatti previsti dal presente articolo con l'approvazione del Governo, se adottata in conformità agli obblighi derivanti da trattati internazionali.
      5. Tutte le regole relative al diritto internazionale dei conflitti armati sono applicabili, in quanto compatibili, ai mercenari, ai quali sono assimilati coloro che rivestono funzioni militari o paramilitari nell'ambito di un conflitto armato.
Art. 85.
(Imposizione di marchi o segni distintivi).

      1. Chiunque costringe persone appartenenti ad un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tali, a portare marchi o segni intesi a rilevarne l'appartenenza al gruppo stesso è punito, per ciò solo, con la reclusione da quattro a dieci anni.

Titolo VI
COOPERAZIONE CON LA CORTE PENALE INTERNAZIONALE
Capo I
DISPOSIZIONI GENERALI
Art. 86.
(Obbligo di cooperazione).

      1. Lo Stato italiano coopera con la Corte penale internazionale conformemente alle disposizioni del diritto internazionale generale, dello Statuto e della presente legge e, ove richiamate dallo Statuto, delle norme delle convenzioni internazionali in vigore per lo Stato italiano.


      2. Il Ministro della giustizia è l'autorità competente a ricevere atti provenienti dalla Corte penale internazionale e a presentare atti o richieste alla Corte stessa. A tale fine il Ministro della giustizia può ottenere dall'autorità giudiziaria competente, anche in deroga al divieto stabilito dall'articolo 329 del codice di procedura penale, copie di atti di procedimenti penali e informazioni scritte sul loro contenuto. L'autorità giudiziaria può trasmettere le copie e le informazioni anche di propria iniziativa.
Art. 87.
(Obbligo del segreto).

      1. Le richieste di cooperazione provenienti dalla Corte penale internazionale e la documentazione da questa trasmessa sono coperte dal segreto fino a quando la persona imputata o sottoposta alle indagini davanti alla Corte medesima non ne possa avere conoscenza in conformità alle disposizioni dello Statuto o della presente legge.
      2. Anche quando gli atti di cui al comma 1 non sono più coperti dal segreto, la pubblicazione del contenuto di singoli atti o notizie specifiche relativi a determinate operazioni rimane vietata, se non è altrimenti disposto dalla Corte penale internazionale.

Art. 88.
(Concorso di domande di cooperazione).

      
      1. Nel concorso di più domande di cooperazione provenienti dalla Corte penale internazionale e da uno o più Stati esteri, il Ministro della giustizia ne stabilisce l'ordine di precedenza, in applicazione delle disposizioni contenute negli articoli 90 e 93, paragrafo 9, dello Statuto.

Art. 89.
(Difficoltà nell'esecuzione di richieste).

      1. Quando sorgono difficoltà nell'esecuzione di una richiesta di cooperazione,

il Ministro della giustizia ne informa tempestivamente la Corte penale internazionale.
      2. Quando per procedere all'esecuzione di una richiesta è necessario, ai sensi dello Statuto, il consenso di uno Stato estero, il Ministro della giustizia provvede all'acquisizione di tale consenso.
Art. 90.
(Attività della Corte penale internazionale nel territorio dello Stato italiano).

      1. Il Ministro della giustizia concorda con la Corte penale internazionale le modalità relative alle sessioni della Corte stessa che devono essere tenute nel territorio dello Stato italiano a norma dell'articolo 4 dello Statuto.
      2. Il Ministro della giustizia prende gli opportuni accordi con la Corte penale internazionale al fine di consentire lo svolgimento di attività investigativa nel territorio dello Stato italiano ai sensi dell'articolo 99 dello Statuto.

Art. 91.
(Richieste di cooperazione della Corte penale internazionale).

      1. Il Ministro della giustizia dà corso alle richieste formulate dalla Corte penale internazionale, trasmettendole per l'esecuzione al procuratore generale presso la corte di appello del luogo dove si deve procedere agli atti richiesti, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 91, paragrafo 4, dello Statuto.

Capo II
ASSUNZIONE DI PROVE
Art. 92.
(Richieste per attività di indagine o di acquisizione di prove).

      1. Quando la richiesta ha per oggetto un'attività di indagine o di acquisizione di

prove, anche al fine del sequestro di beni che possano essere l'oggetto di un provvedimento di confisca o di riparazione, il procuratore generale presso la corte di appello trasmette per l'esecuzione copia della richiesta al procuratore della Repubblica competente per territorio.
      2. Per il compimento degli atti di cui al comma 1 si applicano le norme del codice di procedura penale, fatta salva l'osservanza delle forme espressamente richieste dalla Corte penale internazionale che non siano contrarie ai princìpi fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato italiano.
      3. Se la Corte penale internazionale ne ha fatto domanda, l'autorità giudiziaria la informa della data e del luogo di esecuzione degli atti richiesti. I giudici e il procuratore della Corte penale internazionale sono ammessi ad assistere all'esecuzione degli atti e possono proporre domande e suggerire modalità esecutive.
      4. Le citazioni e le altre notificazioni richieste dalla Corte penale internazionale sono trasmesse al procuratore della Repubblica presso il tribunale del luogo in cui esse devono essere eseguite, il quale provvede senza ritardo.
Art. 93.
(Immunità temporanea della persona trasferita nel territorio dello Stato italiano).

      1. Nel caso in cui, in esecuzione della richiesta di cooperazione della Corte penale internazionale, è prevista per il compimento di un atto la presenza di un testimone o di un imputato nel territorio dello Stato italiano, lo stesso non può essere sottoposto a restrizione della libertà personale in esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza né assoggettato ad altre misure restrittive della libertà personale per fatti anteriori all'ingresso nel territorio dello Stato.
      2. L'immunità prevista dal comma 1 cessa qualora la persona in questione, avendone avuto la possibilità, non abbia lasciato il territorio dello Stato italiano

decorsi quindici giorni dal momento in cui la sua presenza non è più richiesta dall'autorità giudiziaria italiana ovvero, avendolo lasciato, vi abbia fatto volontariamente ritorno.
Capo III
CONSEGNA DI UNA PERSONA ALLA CORTE PENALE INTERNAZIONALE
Art. 94.
(Consegna).

      1. Quando la richiesta di cui all'articolo 92 ha per oggetto la consegna alla Corte penale internazionale di una persona nei confronti della quale sia stato emesso un mandato di arresto ai sensi dell'articolo 58 dello Statuto, il procuratore generale presso la corte di appello, ricevuti gli atti, presenta senza ritardo la requisitoria alla corte di appello e ne trasmette copia, per conoscenza, al procuratore della Repubblica presso il tribunale che ha sede nel capoluogo del distretto. La requisitoria è depositata nella cancelleria della corte di appello unitamente agli atti. Dell'avvenuto deposito è data comunicazione alle parti con l'avviso della data dell'udienza.
      2. La corte di appello decide senza ritardo, con le forme previste dall'articolo 127 del codice di procedura penale, con sentenza. Il ricorso per cassazione ha effetto sospensivo.
      3. La corte di appello pronuncia sentenza con la quale dichiara che non sussistono le condizioni per la consegna solo se ricorre una delle seguenti ipotesi:

          a) non è stato emesso dalla Corte penale internazionale un provvedimento restrittivo della libertà personale;

          b) non vi è identità fisica tra la persona richiesta e quella oggetto della procedura di consegna.

      4. In seguito alla scadenza del termine per l'impugnazione della sentenza della corte di appello ovvero al deposito della

sentenza della Corte di cassazione o a quello del verbale indicato nell'articolo 95, comma 2, la corte di appello provvede con proprio decreto alla consegna senza ritardo dopo avere ricevuto comunicazione dal Ministero della giustizia del tempo, del luogo e delle modalità della consegna.
      5. La sospensione della consegna può essere disposta, prima dell'esecuzione, dal Ministro della giustizia. Si applica, in quanto compatibile, l'articolo 709, comma 1, del codice di procedura penale.
      6. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche all'estradizione del condannato verso lo Stato estero designato dalla Corte penale internazionale per l'esecuzione della pena.
Art. 95.
(Applicazione di misura cautelare ai fini della consegna).

      1. Il procuratore generale presso la corte di appello, ricevuti gli atti ai sensi dell'articolo 94, comma 1, richiede alla corte di appello l'applicazione di una misura cautelare per la custodia in carcere della persona indicata nel medesimo articolo 94.
      2. Il presidente della corte di appello, al più presto e comunque entro cinque giorni dall'esecuzione della misura cautelare di cui al comma 1, provvede all'identificazione della persona e ne raccoglie l'eventuale consenso alla consegna, facendone menzione nel verbale. Il verbale che documenta il consenso è trasmesso al procuratore generale presso la corte di appello per l'ulteriore inoltro al Ministro della giustizia. Si applica l'articolo 717, comma 2, del codice di procedura penale.
      3. La misura della custodia in carcere può essere sostituita quando ricorrono gravi motivi di salute.
      4. Le misure cautelari sono revocate se la corte di appello ha pronunciato sentenza contraria alla consegna.

Art. 96.
(Applicazione provvisoria di misura cautelare).

      1. Se la Corte penale internazionale ne fa domanda ai sensi degli articoli 59, paragrafo 5, e 92 dello Statuto, l'applicazione della misura cautelare coercitiva può essere disposta provvisoriamente anche prima che la richiesta di consegna sia pervenuta se:

          a) la Corte penale internazionale ha comunicato che nei confronti della persona è stato emesso provvedimento restrittivo della libertà personale e che intende presentare richiesta di consegna;

          b) la Corte penale internazionale ha fornito la descrizione dei fatti, la specificazione del reato e gli elementi sufficienti per l'esatta identificazione della persona.

      2. Ai fini dell'applicazione della misura cautelare si osservano le disposizioni dell'articolo 95.
      3. Il Ministro della giustizia comunica immediatamente alla Corte penale internazionale l'avvenuta esecuzione della misura cautelare. Essa è revocata se entro sessanta giorni dalla comunicazione non perviene la richiesta di consegna da parte della stessa Corte penale internazionale.

Art. 97.
(Arresto da parte della polizia giudiziaria).

      1. Nei casi di urgenza, la polizia giudiziaria può procedere all'arresto della persona nei confronti della quale la Corte penale internazionale ha formulato una domanda di applicazione di una misura cautelare coercitiva, se ricorrono le condizioni previste dall'articolo 96, comma 1. Essa provvede altresì al sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al reato.
      2. L'autorità che ha proceduto all'arresto ne informa immediatamente il Ministro della giustizia e al più presto, comunque

non oltre quarantotto ore, pone l'arrestato a disposizione del presidente della corte di appello del distretto in cui è avvenuto l'arresto, mediante la trasmissione del relativo verbale.
      3. Quando non deve disporre la liberazione dell'arrestato, il presidente della corte di appello, entro quarantotto ore dal ricevimento del verbale di cui al comma 2, convalida l'arresto con ordinanza disponendo l'applicazione di una misura cautelare coercitiva.
Art. 98.
(Modifiche allo stato di libertà).

      1. Quando sia presentata una richiesta di revoca o di sostituzione della misura cautelare, la corte di appello ne informa immediatamente il Ministro della giustizia, il quale ne dà comunicazione alla Corte penale internazionale e acquisisce il parere di quest'ultima, trasmettendolo alla corte di appello.

Art. 99.
(Transito).

      1. Per il transito attraverso il territorio dello Stato italiano di persone consegnate alla Corte penale internazionale, trasferite ad uno Stato estero designato per l'esecuzione della pena o estradate a quest'ultimo, si applicano le disposizioni dell'articolo 712 del codice di procedura penale, in quanto compatibili.

Art. 100.
(Principio di specialità).

      1. La consegna dell'imputato e l'estensione della consegna già concessa sono subordinate alla condizione che, per un fatto anteriore alla consegna, diverso da quello per il quale la consegna è stata concessa o estesa, l'imputato non sia sottoposto a procedimento o a restrizione

della libertà personale da parte della Corte penale internazionale.
      2. Il Ministro della giustizia può richiedere alla Corte penale internazionale che la persona consegnata o trasferita in uno Stato estero per l'esecuzione della pena non sia sottoposta a procedimento o a restrizione della libertà personale per un fatto anteriore alla consegna, diverso da quello per il quale la consegna è stata concessa o estesa.
      3. La consegna di atti o di documenti oggetto di richiesta di assistenza può essere subordinata al rispetto di condizioni circa l'utilizzabilità degli atti o dei documenti stessi. In tale caso, il Ministro della giustizia può, di propria iniziativa o in seguito a richiesta, autorizzare un'utilizzazione diversa degli atti, dei documenti e delle prove acquisiti e la loro consegna ad uno Stato estero che ne faccia richiesta alla Corte penale internazionale.
Art. 101.
(Estensione della consegna già concessa).

      1. In caso di nuova richiesta di consegna, presentata dopo la consegna della persona e avente ad oggetto un fatto diverso da quello per il quale la consegna è già stata disposta, si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni dell'articolo 94, commi da 1 a 5.
      2. Non si fa luogo a giudizio davanti alla corte di appello se la persona consegnata ha espresso il proprio consenso all'estensione della consegna.
      3. In caso di richiesta di estradizione, presentata dopo la consegna della persona alla Corte penale internazionale e il trasferimento della stessa allo Stato estero di esecuzione della pena, si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dell'articolo 710 del codice di procedura penale. Il Ministro della giustizia, ricevuta la sentenza della corte di appello, ne trasmette copia alla Corte penale internazionale.

Capo IV
ESECUZIONE DELLE SENTENZE DELLA CORTE PENALE INTERNAZIONALE
Art. 102.
(Esecuzione delle sentenze).

      1. L'organo competente per l'esecuzione delle sentenze pronunciate dalla Corte penale internazionale è la corte di appello di Roma.

Art. 103.
(Esecuzione della pena detentiva).

      1. Qualora, sulla base della dichiarazione di disponibilità espressa ai sensi dell'articolo 103 dello Statuto, la Corte penale internazionale abbia indicato lo Stato italiano come luogo di espiazione della pena, il Ministro della giustizia richiede il riconoscimento della sentenza della Corte penale internazionale.
      2. Il Ministro della giustizia domanda che alla richiesta di cui al comma 1 sia allegata la seguente documentazione:

          a) una copia certificata conforme della sentenza di condanna;

          b) una dichiarazione che indichi il periodo di pena già espiato, ivi comprese tutte le informazioni rilevanti sulla detenzione cautelare;

          c) ove pertinente, ogni rapporto medico o psicologico sul condannato, ogni raccomandazione quanto al suo trattamento nello Stato richiesto e ogni altra informazione rilevante ai fini dell'esecuzione della pena.

      3. Il Ministro della giustizia trasmette al procuratore generale presso la corte di appello di Roma la richiesta, unitamente alla traduzione in lingua italiana, con gli atti allegati di cui al comma 2. Il procuratore generale promuove il riconoscimento

mediante richiesta alla corte di appello medesima.
      4. La sentenza della Corte penale internazionale non può essere riconosciuta se ricorre una delle seguenti ipotesi:

          a) la sentenza non è divenuta irrevocabile ai sensi dello Statuto e delle altre disposizioni che regolano l'attività della Corte penale internazionale;

          b) per lo stesso fatto e nei confronti della stessa persona è stata pronunciata nello Stato italiano sentenza irrevocabile.

      5. La corte di appello delibera con sentenza in ordine al riconoscimento, osservate le forme previste dall'articolo 127 del codice di procedura penale.
      6. Si applica l'articolo 734, comma 2, del codice di procedura penale.
      7. La corte di appello, quando pronuncia il riconoscimento, determina la pena che deve essere eseguita nello Stato italiano. A tal fine converte la pena detentiva stabilita dalla Corte penale internazionale nella pena della reclusione. In ogni caso la durata di tale pena non può eccedere quella di anni trenta di reclusione.

Art. 104.
(Modalità dell'esecuzione della pena detentiva).

      1. La pena è scontata secondo le modalità stabilite dalla legge italiana. Prima di adottare un provvedimento che possa provocare in qualunque modo la cessazione anche temporanea della detenzione nei confronti della persona condannata dalla Corte penale internazionale, l'autorità giudiziaria ne dà immediata comunicazione al Ministro della giustizia inviando copia della relativa documentazione.
      2. Il Ministro della giustizia informa la Corte penale internazionale ai sensi dell'articolo 103, paragrafo 2, lettera a), dello Statuto.
      3. Il procedimento rimane sospeso per un termine di quarantacinque giorni. In ogni caso, l'esecuzione del provvedimento

rimane sospesa fino a quando la Corte penale internazionale non abbia espresso il suo consenso.
Art. 105.
(Controllo dell'esecuzione della pena).

      1. Il Ministro della giustizia, in accordo con la Corte penale internazionale, determina le modalità concernenti l'esercizio del potere di controllo previsto dall'articolo 106, paragrafo 1, dello Statuto. Allo stesso modo, il Ministro della giustizia adotta i provvedimenti necessari ad assicurare la libertà e la riservatezza delle comunicazioni tra il condannato e la Corte penale internazionale, ai sensi del citato articolo 106, paragrafo 3, dello Statuto.

Art. 106.
(Informazione).

      1. Il Ministro della giustizia informa tempestivamente la Corte penale internazionale nei seguenti casi:

          a) quando il condannato è evaso;

          b) quando il condannato è deceduto;

          c) due mesi prima della dimissione del condannato per espiazione della pena.

Art. 107.
(Grazia).

      1. Il Ministro della giustizia, ricevuta la domanda o la proposta di grazia ai sensi dell'articolo 681, comma 2, del codice di procedura penale, ne informa la Corte penale internazionale per l'acquisizione del consenso di quest'ultima.
      2. Decorso il termine di quarantacinque giorni senza che sia pervenuto l'avviso della Corte penale internazionale, il Ministro della giustizia trasmette la domanda o la proposta di grazia al Presidente della Repubblica.


Art. 108.
(Revisione della pena).

      1. Quando la pena che deve essere scontata nello Stato italiano è stata ridotta dalla Corte penale internazionale, il Ministro della giustizia ne informa il procuratore generale presso la corte di appello di Roma, affinché determini la pena residua.
      2. Il procuratore generale provvede con decreto che deve essere notificato al condannato e al suo difensore.

Art. 109.
(Impossibilità di esecuzione della sentenza).

      1. Se, in qualsiasi momento successivo alla decisione di dare esecuzione alla sentenza, risulta impossibile l'esecuzione della pena, il Ministro della giustizia ne informa senza ritardo la Corte penale internazionale.

Art. 110.
(Trasferimento della persona condannata).

      1. Quando la persona condannata che sconta la pena nel territorio dello Stato italiano deve essere successivamente trasferita alla Corte penale internazionale o ad uno Stato estero designato per l'esecuzione della pena, il Ministro della giustizia ne informa il procuratore generale presso la corte di appello indicata nell'articolo 730, comma 1, del codice di procedura penale.
      2. Il procuratore generale di cui al comma 1 richiede alla corte di appello l'applicazione di una misura coercitiva per il trasferimento del condannato verso la Corte penale internazionale o uno Stato estero designato per l'esecuzione della pena. Contestualmente ha termine l'esecuzione della pena nel territorio dello Stato italiano.


      3. La corte di appello provvede con proprio decreto alla consegna del condannato, senza ritardo, dopo aver ricevuto dal Ministro della giustizia la comunicazione del tempo, del luogo e delle modalità della consegna.
Art. 111.
(Principio di specialità).

      1. La persona condannata che sconta nel territorio dello Stato italiano la pena irrogata dalla Corte penale internazionale non può essere sottoposta a restrizione della libertà personale in esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza né assoggettata ad altre misure restrittive della libertà personale per un fatto anteriore alla consegna, salvo che vi sia il consenso della stessa Corte penale internazionale.
      2. Qualora nei confronti della persona che sconta nel territorio dello Stato italiano la pena irrogata dalla Corte penale internazionale debba essere eseguito un provvedimento restrittivo della libertà personale, il Ministro della giustizia, a richiesta dell'autorità giudiziaria, acquisisce il consenso della stessa Corte penale internazionale.
      3. La persona indicata al comma 1 non può essere estradata ad uno Stato estero senza il consenso della Corte penale internazionale. Qualora uno Stato estero abbia richiesto l'estradizione di tale persona, il Ministro della giustizia acquisisce il consenso della Corte penale internazionale.

Art. 112.
(Modalità dell'esecuzione delle pene pecuniarie, della confisca e della riparazione).

      1. Le pene pecuniarie sono eseguite secondo la legge italiana.


      2. Per determinare la pena pecuniaria l'ammontare stabilito nella sentenza della Corte penale internazionale è convertito nel pari valore in euro al cambio del giorno in cui il riconoscimento è deliberato.
      3. Quando la corte di appello pronuncia il riconoscimento ai fini dell'esecuzione di una confisca o di un provvedimento di riparazione ai sensi dell'articolo 75 dello Statuto, queste sono ordinate con la stessa sentenza di riconoscimento.
      4. Qualora la Corte penale internazionale stabilisca con sentenza princìpi relativi alla riparazione ai sensi dell'articolo 75, comma 1, dello Statuto, senza ordinarne misure specifiche attuative e facendo rinvio alla funzione delle giurisdizioni nazionali, i princìpi affermati dalla Corte penale internazionale in sentenza costituiscono parametri vincolanti per l'autorità giudiziaria nazionale.
      5. Prima di presentare le proprie richieste alla corte di appello, il procuratore generale presso la stessa corte può procedere a indagini al fine di disporre il sequestro delle cose e dei beni indicati al comma 6.
      6. La confisca è eseguita sulle cose che servirono o che furono destinate a commettere il delitto, sulle cose che ne sono il prodotto, il profitto, il prezzo, il compenso, ovvero, quando tale confisca non è possibile, sulle cose di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente, nonché, comunque, sulle somme di denaro, sui beni e sulle altre utilità di cui il reo non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito dichiarato ai fini delle imposte sui redditi o alla propria attività economica.
      7. Le disposizioni del presente articolo non si applicano se le cose e i beni indicati al comma 6 appartengono a persona estranea al reato.
      8. Le cose e i beni indicati al comma 6 sono comunque devoluti in conformità allo Statuto.
Capo V
DISPOSIZIONI VARIE
Art. 113.
(Richieste di assistenza da parte dell'autorità italiana).

      1. Le rogatorie dei giudici e dei magistrati del pubblico ministero dirette, nell'ambito delle rispettive attribuzioni, alla Corte penale internazionale per comunicazioni, notificazioni e per attività di acquisizione di elementi di accusa o di prove, sono trasmesse al Ministro della giustizia, il quale provvede all'invio nelle forme previste dallo Statuto e dalla presente legge.

Art. 114.
(Collaborazione in materia di protezione di vittime, testimoni e loro congiunti).

      1. Il Ministro della giustizia dà corso alle richieste di collaborazione che la Corte penale internazionale formula ai sensi dell'articolo 68 dello Statuto per la protezione di vittime, testimoni e loro congiunti, trasmettendo le stesse al Ministro dell'interno.
      2. Nei confronti delle persone indicate al comma 1 si applicano le misure di protezione e di assistenza previste dalla legge.

Art. 115.
(Tutela di procedimenti in corso).

      1. Nel caso in cui l'esecuzione di una richiesta di cooperazione proveniente dalla Corte penale internazionale possa pregiudicare indagini o procedimenti penali in corso nello Stato italiano, l'autorità giudiziaria competente ai sensi del presente titolo sospende l'esecuzione degli atti richiesti e ne informa il Ministro della giustizia.


      2. Il Ministro della giustizia informa senza ritardo la Corte penale internazionale e assume le opportune iniziative, ai sensi dell'articolo 94 dello Statuto.
Art. 116.
(Applicazione delle norme del codice di procedura penale).

      1. Per quanto non previsto esplicitamente dalla presente legge, si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni del libro undicesimo del codice di procedura penale.

Art. 117.
(Candidature italiane alle cariche di giudice e di procuratore presso la Corte penale internazionale).

      1. Il Ministro della giustizia provvede, con le procedure ritenute opportune, alla ricerca di candidati per le cariche di giudice, procuratore e cancelliere presso la Corte penale internazionale nell'ambito dei docenti universitari, dei magistrati e degli iscritti negli ordini e albi professionali.
      2. Il Governo formula le candidature italiane dopo avere sentito il parere delle Commissioni parlamentari competenti.

Titolo VII
DISPOSIZIONI FINALI
Art. 118.
(Modifiche normative e abrogazioni).

      1. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge:

          a) l'articolo 85 del codice penale militare di guerra è abrogato;

          b) l'articolo 219 del codice penale militare di guerra è abrogato;

          c) il numero 2 del terzo comma dell'articolo 245 del codice penale militare di guerra è abrogato;

          d) all'articolo 65 della legge di guerra, approvata con regio decreto 8 luglio 1938, n. 1415, le parole: «, salvoché esse possano essere ritenute solidalmente responsabili» sono soppresse;

          e) il quarto comma dell'articolo 99 della legge di guerra, approvata con regio decreto 8 luglio 1938, n. 1415, è abrogato;

          f) alla lettera d) del comma 1 dell'articolo 5 del codice di procedura penale, le parole: «, dalla legge 9 ottobre 1967, n. 962» sono soppresse;

          g) la legge 9 ottobre 1967, n. 962, è abrogata.