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PDL 198

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 198



PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE

d'iniziativa dei deputati

CIRIELLI, BARANI, BARBARO, BELLOTTI, CARLUCCI, CASTELLANI, CASTIELLO, CATONE, CICCIOLI, DE CAMILLIS, DE CORATO, FUCCI, GERMANÀ, GRANATA, HOLZMANN, LAMORTE, GIULIO MARINI, MURGIA, PAGLIA, MARIO PEPE (PdL), PUGLIESE, RAISI, SBAI, SCAPAGNINI, SILIQUINI, VELLA, VESSA

Modifica dell'articolo 27 della Costituzione in materia di responsabilità penale

Presentata il 29 aprile 2008


      

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Onorevoli Colleghi! - Il principale problema teorico che pone la pena del crimine è quello relativo alla sua stessa ragion d'essere: ci si chiede, cioè, perché sia necessario ricorrere a una sanzione afflittiva.
      Le risposte che sono state date al quesito possono essere ricondotte a tre teorie fondamentali.
      Secondo la «teoria della retribuzione», la pena è esclusivamente il mezzo per riaffermare il principio di giustizia violato dal reo.
      Secondo la «teoria dell'intimidazione», o della prevenzione generale, funzione della pena è quella di dissuadere gli altri consociati dal violare le norme dell'ordinamento. Tale funzione è attuata intimidendo i consociati stessi con la minaccia di quel male che è, appunto, la pena.
      Infine, secondo la «teoria dell'emen- da», o della prevenzione speciale, la pena è destinata a spiegare il suo effetto non già sulla collettività, ma sulla stessa persona del reo: la pena, cioè, deve impedire che il reo, in futuro, delinqua nuovamente. Tale effetto può essere realizzato con la rieducazione, la dissuasione o la neutralizzazione del condannato.
      La Costituzione accoglie un'idea della pena chiaramente ispirata alla teoria dell'emenda. Il legislatore costituzionale prende esplicitamente posizione al riguardo affermando, all'articolo 27, terzo comma, che «Le pene (...) devono tendere alla rieducazione del condannato».
      Due sono le teorie giurisprudenziali che contemplano e analizzano il concetto di rieducazione espresso dal legislatore.
      Parte della dottrina, facente capo ai professori Petrocelli, Spasari, Bettiol e Grosso, coeva all'emanazione della Carta costituzionale, ha interpretato la disposizione cercando di restringerne la portata. Infatti, facendo leva sul verbo «tendere», si è sostenuto che la rieducazione sia non una finalità essenziale, ma soltanto uno scopo «eventuale» della pena; se ne è dedotto che scopo «necessario» rimane sempre la retribuzione, mentre la funzione rieducativa resterebbe confinata nella fase dell'esecuzione della pena.
      In senso contrario, i professori Fiandaca e Musco hanno osservato che il Costituente ha voluto prendere esplicitamente posizione sulla funzione della pena in quanto nulla avrebbe impedito al legislatore, ove egli avesse inteso esprimere un'idea diversa da quella esplicitamente manifestata, di usare i termini più appropriati affermando, ad esempio, che le pene devono tendere alla «retribuzione» o impiegando espressioni simili.
      La dottrina ha acutamente osservato, peraltro, che la finalità rieducativa della pena presenta degli evidenti limiti.
      Un primo limite va individuato nel fatto che la rieducazione non è da sola sufficiente ad esaurire tutte le funzioni che oggi la sanzione relativa alla responsabilità penale deve assolvere.
      Se la rieducazione assume un ruolo primario nella fase dell'esecuzione e della commisurazione giudiziale della pena, altrettanto non può dirsi nella fase della minaccia: l'obiettivo perseguito in questa fase è quello della «prevenzione generale», proprio perché la minaccia della pena serve a distogliere la generalità dei consociati dalla commissione di fatti penalmente illeciti.
      Il secondo limite della finalità rieducativa è ravvisabile nella stessa «genericità» del concetto di rieducazione.
      In questo contesto l'interprete è obbligato a precisare la portata e i limiti della rieducazione alla stregua dell'insieme dei princìpi che caratterizzano il nostro sistema costituzionale.
      In proposito, è opportuno osservare che, affinché il processo rieducativo possa avere corso senza tradursi in una imposizione coercitiva nei confronti del destinatario, occorre che vi sia la «disponibilità psicologica» di quest'ultimo.
      In altri termini, dal momento che non può essere coercitivamente imposta, la rieducazione trova un ostacolo nell'eventuale rifiuto opposto dal soggetto destinatario della sanzione. Una simile tensione conflittuale tra esigenza rieducativa e indisponibilità psicologica del reo si fa più acuta quando il delitto costituisce il frutto di una scelta politico-ideologica, come, ad esempio, nei fenomeni di eversione dell'ordine costituito quali quello delle «brigate rosse», che si pone in contrasto con i princìpi ispiratori dell'ordinamento.
      In tale caso il principio rieducativo entra in crisi poiché è necessario rispettare un altro valore dotato di rilevanza costituzionale: l'autonomia morale dell'individuo.
      Più in generale, sembra condivisibile l'idea che, se nell'ambito dell'ordinamento è da un lato necessario imporre il rispetto delle forme minime di vita comune, d'altro lato, in una società «pluralistica» quale la nostra, non si può pretendere l'adesione di tutti ai valori dominanti. A tale proposito, è stato giustamente affermato dal professor Mantovani che «lo Stato pluralista non può imporre ma solo "proporre" i valori dominanti nella società».
      Vi sono, ancora, ipotesi in cui la rieducazione del reo non è sufficiente ovvero non è necessaria.
      Non è sufficiente nei casi in cui il reo è un soggetto socialmente emarginato. In tale caso non potrà esservi riappropriazione dei valori della convivenza senza un previo superamento della condizione di emarginazione: ecco che il «reinserimento» nella società diventa in questo caso una condizione preventiva per la rieducazione del reo.
      Non è necessaria quando il reo appartiene alla categoria dei «colletti bianchi», soggetti già ben inseriti socialmente. In tale caso più opportuna appare una sanzione di tipo afflittivo.
      Un terzo, notevole, limite imposto dall'attuale formulazione dell'articolo 27, terzo comma, della Costituzione, si ravvisa, infine, all'atto della concreta commisurazione della pena da parte del giudice definita dall'articolo 133 del codice penale. La finalità rieducativa impone, infatti, che già al momento dell'irrogazione il giudice debba scegliere una sanzione finalizzata, sia nel tipo che nella misura, a favorire la risocializzazione del reo.
      Tenuto conto della precisione di tale assunto, attraverso il quale il legislatore detta le regole per la commisurazione della pena, è completamente esclusa la possibilità, per il giudice, di irrogare pene esemplari, che fungano da ammonimento verso tutti i consociati, che pure potrebbero svolgere un'opportuna funzione preventiva.
      Tuttavia, l'introduzione del concetto di prevenzione generale, o di intimidazione dei consociati, tra gli scopi della pena, conduce al riconoscimento di un adeguato spazio a tale funzione anche nello stadio della sua concreta irrogazione.
      I limiti della teoria della funzione rieducativa della pena sono, a prescindere d'altro, testimoniati da un ritorno, cui si è assistito già a partire dagli anni sessanta, all'idea di prevenzione generale.
      Da un lato, infatti, l'aumento della criminalità ha prospettato la necessità di valorizzare l'efficacia deterrente della sanzione penale. Dall'altro lato, i risultati poco confortanti dell'ideologia della risocializzazione hanno indotto gli studiosi a parlare di una vera e propria «crisi dell'ideologia rieducativa».
      Secondo la teoria della prevenzione generale, nella sua più recente elaborazione chiamata «teoria della prevenzione generale positiva», la forte disapprovazione sociale favorisce e stabilizza l'identificazione della maggioranza dei cittadini con il sistema di valori protetto dall'ordinamento giuridico. Considerato dal punto di vista della psicologia collettiva, il diritto penale assolve, dunque, una funzione di socializzazione, allo stesso modo di istituzioni quali la famiglia, la scuola, il gruppo e la comunità.
      L'effettività di questa rimarchevole funzione è tuttavia subordinata al «principio di certezza della pena».
      L'effetto di ammonimento e di moralizzazione prodotto dalla minaccia della pena viene meno se alla minaccia della sanzione non segue la sua effettiva applicazione nei casi di trasgressione del precetto penale: l'obiettivo della prevenzione generale risulterà tanto più raggiungibile quanto minori saranno le chance di impunità degli autori dei reati.
      La presente proposta di legge costituzionale è stata concepita proprio per salvaguardare e garantire il concetto di «certezza della pena». Analizzando a fondo la nuova formulazione proposta dell'articolo 27 della Costituzione, si può notare come al terzo comma che introduce questo principio si sostiene che «La pena (...) assicura la giusta punizione del reo per il fatto commesso e la prevenzione generale e speciale del reato e deve tendere, con la collaborazione del condannato, alla sua rieducazione», confermando così la ferma intenzione di voler subordinare il concetto di «certezza della pena» alla teoria della prevenzione generale o dell'intimidazione e dissuadendo i consociati, con la minaccia di una pena esemplare e senza chance di impunità per i criminali, dal violare le norme dell'ordinamento. In questo modo, uno dei limiti del vigente articolo 27 della Costituzione, e cioè quello relativo all'impossibilità da parte del giudice di erogare pene esemplari che fungano da ammonimento per i consociati, verrebbe automaticamente eliminato.
      Proseguendo nell'analisi del terzo comma, si introduce la volontà di stabilire «con legge i limiti della finalità rieducativa in rapporto con le altre finalità e con le esigenze di difesa sociale», affermando così la netta volontà di subordinare e limitare la finalità rieducativa della pena, ormai definita «in crisi» dalle più autorevoli correnti di pensiero giurisprudenziali, con legge e in rapporto stretto con le altre finalità di interesse collettivo nonché con le esigenze di difesa sociale.


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PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE

Art. 1.

      1. L'articolo 27 della Costituzione è sostituito dal seguente:

    «Art. 27. - La responsabilità penale è personale.
      L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.
      La pena, che non può consistere in trattamenti contrari al senso di umanità, assicura la giusta punizione del reo per il fatto commesso e la prevenzione generale e speciale del reato e deve tendere, con la collaborazione del condannato, alla sua rieducazione. Sono stabiliti con legge i limiti della finalità rieducativa in rapporto con le altre finalità e con le esigenze di difesa sociale.
      Non è ammessa la pena di morte.
      La legge determina, secondo princìpi conformi alle disposizioni di cui al presente articolo, le finalità e le modalità delle misure di sicurezza».


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