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PDL 1714-A 1713-A-bis

XVI LEGISLATURA
CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 1714-A-bis
   N. 1713-A-bis


DISEGNO DI LEGGE
(N.  1714)

presentato dal ministro dell'economia e delle finanze
(TREMONTI)

Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2009
e bilancio pluriennale per il triennio 2009-2011

Presentato il 30 settembre 2008

e

DISEGNO DI LEGGE
(N.  1713)

presentato dal ministro dell'economia e delle finanze
(TREMONTI)

Disposizioni per la formazione del bilancio annuale
e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2009)

Presentato il 30 settembre 2008

(Relatore di minoranza: BARETTA)


      

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Onorevoli Colleghi! - Il gruppo del Partito Democratico presenta questa relazione alla finanziaria 2009 per contribuire ad una discussione politica che consideriamo necessaria ed urgente sullo stato dei problemi del Paese, sulla situazione economica e sociale, a fronte della grave crisi che investe la comunità globale.
      Questa discussione avviene quotidianamente negli organi di informazione. Gli esperti e gli operatori economici e finanziari ci propongono molte vie di uscita, diverse e controverse, ma tutte partono dalla convinzione della gravità della situazione.
      La discussione avviene anche, in verità con maggior coinvolgimento diretto, nelle famiglie, soprattutto quelle, crescenti nel numero e nella diffusione territoriale, che faticano a sbarcare il lunario - sono stimate in oltre sette milioni le persone coinvolte nei nuclei famigliari più a rischio - che sono in difficoltà a mantenere un livello accettabile di consumi, che rischiano di non pagare i mutui della loro prima casa - sono cresciuti del 20 per cento, nel giro di un anno, nelle grandi città, i contenziosi ed i pignoramenti immobiliari.
      Si discute nelle imprese, a cominciare da quelle medie e piccole che sono l'ossatura del nostro sistema produttivo e competitivo e che soffrono, ogni giorno di più, di scarsa liquidità.
      Si discute, insomma, ovunque, nella società italiana, come è giusto che sia, delle difficoltà, delle preoccupazioni, delle attese che questa difficile situazione provoca. È mai possibile che solo il Parlamento Italiano non ne discuta?
      Il Presidente del Consiglio non è mai venuto in quest'aula a riferire e confrontarsi, da quando la emergenza ci attanaglia; il Ministro dell'economia, ancor più colpevolmente, date le sue dirette competenze e la sua fertilità letteraria e giornalistica, si è presentato una sola volta, per pochissimo tempo, senza dibattito, qualche settimana fa. Ma, da allora, la situazione è radicalmente cambiata e peggiorata.
      In questi giorni il Governo, nel corso dei lavori della Commissione bilancio, ha ripetuto che la finanziaria non è la sede per affrontare questa situazione, ma ha anche comunicato che il Governo non intende operare alcun intervento di politica economica che si discosti dalla linea di rientro finanziario prevista dalla manovra anticipata di bilancio che si è conclusa prima dell'estate.
      Questa impostazione, gestita con incredibile rigidità, ha provocato una crisi dei lavori della Commissione, la quale si è trovata stretta tra la presenza di un convitato di pietra - il Governo - che ha reiteratamente negato ogni disponibilità ad affrontare alcunché ed una situazione di allarme avvertita, va detto ad onor del vero, non solo dalla minoranza, ma anche dalla maggioranza. Un crescente disagio, ben rappresentato dalla scelta, grave, ma significativa, dei relatori di rinunciare ad operare delle proposte e delle scelte di merito, nel dichiarato tentativo di produrre nell'esecutivo una ulteriore riflessione e nel tentativo estremo di evitare un latente ricorso al voto di fiducia.
      Non abbiamo, signor Presidente, condiviso questo atteggiamento di rinuncia dei relatori a svolgere il loro compito, preoccupati, come siamo, del precedente che provoca un totale svuotamento del ruolo del Parlamento e della Commissione bilancio, proprio nell'esercizio di una delle sue funzioni cruciali quale è l'esame del bilancio dello Stato e delle previsioni finanziarie per l'anno successivo. Non lo abbiamo condiviso anche perché questa scelta è stata operata dopo che nell'arco di poche ore, per ben quattro volte consecutive, si è prodotto un risultato di parità nella votazione di emendamenti importanti; dopo che per due volte il relatore si è trovato costretto, per evitare un voto negativo per la maggioranza ed il Governo, a ritirare emendamenti significativi e dopo che una volta lo stesso relatore è stato messo in minoranza dalla sua maggioranza.
      Si è, così, sfociati in una oggettiva situazione di impraticabilità del campo, che non è imputabile alla conduzione della Commissione, ma alle conseguenze istituzionali e politiche che si sono determinate e che hanno portato alla nostra decisione di abbandonare il lavoro della Commissione non condividendo la decisione di affidare, comunque, in questo quadro, il mandato al relatore. Mandato che, di fatto, è stato dato sul testo originario del Governo, visto che, non certo per ostruzionismo, il lavoro della Commissione si è rivelato sterile.
      Eppure, nei giorni precedenti, si è tentato, da parte nostra, con grande senso di responsabilità, di trovare qualche via di uscita. Lo abbiamo fatto proponendo, all'inizio dei lavori, di individuare alcuni temi sensibili (la casa, gli ammortizzatori sociali, il patto di stabilità, il sostegno al reddito) sui quali cercare convergenze. Lo abbiamo fatto dirottando sul decreto salva banche le nostre proposte più importanti, limitandoci, nella finanziaria, a proporre soluzioni compatibili, coscienti che i saldi erano stati, improvvidamente, stabiliti già da luglio. Lo abbiamo fatto presentando un numero di emendamenti francamente contenuto, rispetto alle tradizioni, che dopo la ammissibilità (sulla quale abbiamo limitato i nostri ricorsi) si sono ulteriormente e drasticamente ridotti. Come se non bastasse, abbiamo accettato la proposta di segnalare alcuni emendamenti considerati più significativi. Infine, abbiamo convenuto, nella serata di ieri che su tre argomenti: le scuole paritarie, il patto di stabilità, gli ammortizzatori sociali, sui quali era clamorosamente evidente la difficoltà della maggioranza, che aveva, anch'essa, istanze da sostenere, vi fosse un ulteriore e definitivo approfondimento comune. In tutti questi passaggi il Governo ha dichiarato la propria indisponibilità e la maggioranza si è progressivamente svuotata di ogni agibilità.
      Molti si sono chiesti il perché di questo nostro comportamento, essendo, fin dall'inizio, comprensibile che non vi sarebbero stati margini per nessuna manovra positiva. Non siamo degli ingenui! Avevamo già vissuto le vicende pre estive e temevamo molto il ripetersi di quella situazione. Ma non siamo nemmeno degli sprovveduti e sapevamo che toccava a noi, al nostro senso di responsabilità, il compito che la maggioranza è palesemente incapace di esercitare: quello di mettere a punto una serie di proposte e di possibili interventi che sono necessari per il Paese. Tocca a noi provare a mantenere in piedi il ruolo e la dignità del Parlamento. Sia chiaro, a scanso di inutili polemiche e strumentalizzazioni di comodo, non sto dicendo che nella maggioranza, o in buona parte di essa, c'è un disegno perverso. Azzardo, però, a dire che anche essa rischia di essere vittima di un disegno che vede nel Parlamento un intoppo.
      Ad ogni modo, la paradossalità della situazione che si è creata è tale che, in effetti, non c'è nessuna, proprio nessuna, motivazione perché la discussione che non si è potuto fare in Commissione non si debba riproporre in aula. Il numero irrisorio di emendamenti e la, di fatto, mancata conclusione dei lavori di Commissione, sancita dalla stessa maggioranza, con la decisione di respingere tecnicamente per l'aula tutti gli emendamenti, impedisce al Governo di ricorrere alla fiducia, pena l'accertamento di un atteggiamento di «arroganza», definizione che non abbiamo adoperato noi, ma autorevoli esponenti della stessa maggioranza.
      Questa incresciosa situazione è stata rappresentata dai gruppi di opposizione in una lettera inviata al Presidente della Camera. Voglio ribadire tutta la nostra preoccupazione per quanto è avvenuto e facciamo appello al Presidente della Camera perché si rimetta rapidamente nei binari il treno parlamentare che sta rapidamente deragliando.
      Il ripristino di una condizione di agibilità è tanto più necessaria se abbiamo a cuore i gravi problemi che dobbiamo affrontare. L'esame del disegno di legge finanziaria, infatti, si sta svolgendo nel pieno di una tempesta finanziaria che, come ha ricordato il Governatore Draghi, si è già «scaricata» sull'economia reale, attivando un circolo vizioso dal quale ancora non si vede, ancora, via d'uscita.
      La mancanza di fiducia si sta espandendo. Da un lato, le imprese sono costrette a tagliare molti piani di investimento e, come abbiamo già detto, risentono della stretta creditizia; dall'altro, i consumi ristagnano e tendono ad indebolirsi ulteriormente. Vi sono, in sostanza, tutte le condizioni per una rapida e consistente caduta della domanda aggregata. Per l'area euro, inoltre, lo scenario è segnato da un azzeramento della crescita nel 2009.
      Ma in Italia le cose vanno peggio: la crescita del PIL nel 2009 sarà, secondo le previsioni di tutti gli istituti, negativa, per la prima volta da anni, perché il nostro Paese è stato colpito dalla crisi finanziaria mondiale mentre era già alle prese con un ciclo negativo, così che una crescita modestissima si è rapidamente trasformata in recessione. Qualcuno, anche nel Governo, sostiene che, da noi, gli effetti della crisi internazionale sono più contenuti, perché il nostro sistema finanziario si è ammodernato meno che di altri. Non è una gran consolazione sapere che se avremo meno guai è perché siamo più arretrati.
      Ma, avremo meno guai? Alla drammatica congiuntura si somma, per il nostro Paese, una specifica difficoltà competitiva, tutta interna al nostro sistema produttivo ed amministrativo. È la produttività, nella sua più ampia accezione - non solo, e per certi versi, non tanto, nella quantità di ora lavorata - il cuore del problema. Infrastrutture, logistica, organizzazione, formazione, sicurezza sono i fattori sui quali, proprio adesso, bisogna agire. In particolare, saranno le aree a più alto tasso di industrializzazione e i distretti industriali a risentire da subito le conseguenze negative di questo peggioramento, penso, in particolare, ad alcune del centro Italia e del Nord.
      È questo l'approccio che ci propone la finanziaria? No.
      L'errore della manovra economica di luglio appare, oggi, in tutta la sua clamorosità. Una incredibile assenza di lungimiranza ha caratterizzato quelle scelte. Eppure, già in occasione del dibattito parlamentare sul Dpef, era stato avvertito il Governo che bisognava cambiare strada. La crisi, infatti, anche se non nelle dimensioni attuali, era già conosciuta. Il taglio dell'Ici, da solo, ha sottratto alle casse dello Stato più di 3 miliardi di Euro e Dio sa quanto oggi sarebbe utile avere a disposizione quelle risorse. Infatti, in questo difficile contesto, cresce, giorno dopo giorno, quella che si configura come la vera emergenza e priorità sociale ed economica: la crisi del valore nominale e, di conseguenza, del potere di acquisto dei redditi, delle retribuzioni e delle pensioni.
      A questa emergenza va aggiunto un altro elemento cruciale, rappresentato dal rischio, che si va concretizzando, che molte persone, nei prossimi mesi, perdano il lavoro e non vengano compensate, né da un'altra occasione di impiego, ne da un'adeguata copertura sociale ed assicurativa, a causa della incompletezza del nostro sistema di ammortizzatori sociali nei confronti di alcuni settori produttivi e di alcune tipologie di contratto di lavoro. La finanziaria, per fronteggiare questo nubifragio e dopo una forte pressione di molti, ha provato a stanziare, con un emendamento del relatore... 150 milioni. Ma neanche questo emendamento, pur condiviso, è riuscito ad essere approvato.
      La riduzione dei risparmi accumulati e la crescita dell'indebitamento (impressionanti i dati sulla cessione del quinto), da parte delle famiglie per tentare di mantenere, inutilmente, un livello di consumi, che infatti cala nettamente, la crisi dei mutui, alla quale il Governo non ha ancora risposto, la crescita rapida e fuori controllo della inflazione dei mesi passati, superiore alla media europea e non ascrivibile né alla domanda interna né alle retribuzioni, sostenuta dagli aumenti, talvolta sconsiderati, dei prezzi e delle tariffe, delineano un quadro davvero preoccupante sul quale è urgente e non procrastinabile prevedere un intervento organico ed efficace, di cui sin qui non c'è traccia.
      Altrettanto importante, come ho accennato in apertura, è il rischio di riduzioni delle linee di credito da parte delle banche, soprattutto a carico delle piccole e medie imprese del Nord e del Mezzogiorno. Mentre l'economia del Nord, tutta proiettata sui mercati internazionali, ha urgente bisogno di una maggiore strumentazione che la sostenga nel processo di rinnovamento, le imprese del Sud hanno perduto, con la manovra finanziaria triennale della scorsa estate, lo strumento del credito d'imposta automatico sui nuovi investimenti e contro il cui ripristino si è pronunciato, in Commissione, il Governo. Scelta grave, perché, tutti questi fenomeni sono ancora più drammatici al Sud. Gli indicatori sono tutti negativi, il divario si accentua. Siamo di fronte all'abbandono di ogni politica sul divario e a una indiscriminata rapina delle risorse destinate al Mezzogiorno, con il FAS che è ormai diventato un salvadanaio a cui attingere in ogni occasione, dal dissesto di Catania ai finanziamenti per Roma.
      In definitiva, va detto che sarebbe stato necessario, in questa situazione, che il Governo rivedesse la scelta di concentrare tutta l'azione economico-finanziaria nel decreto-legge n. 112. Quello strumento e quella impostazione sono superati dai fatti. Si possono avere opinioni diverse sulla gestione della flessibilità finanziaria da adottare nei confronti dei vincoli europei, su come utilizzare un margine di uno 0,5 disponibile, se forzare per togliere, definitivamente, alcune voci di investimento dai saldi, e via dicendo. Ciò che è stupefacente ed inaccettabile è che di tutto questo non si discuta in quest'aula.
      Invece, il Governo è muto.
      Non c'è una politica economica e non è questione di assenza di risorse. Se si vuole, le risorse si trovano. Il 2007 si è chiuso con conti pubblici sensibilmente più favorevoli del previsto. È il risultato di una politica economica che ha perseguito l'obiettivo della crescita e del risanamento. Ai risultati ottenuti hanno concorso sia le entrate sia le spese e, per le entrate, il grosso contributo è venuto dai frutti della lotta all'evasione fiscale, mentre l'espansione della spesa primaria è stata rallentata.
      Invece il Governo, sebbene abbia riconosciuto che l'Italia si trova in una fase di emergenza economica (tanto da rivedere al ribasso le stime di crescita del PIL per l'anno in corso e per i prossimi), mantiene sostanzialmente inalterati gli obiettivi rispetto al DPEF di giugno, fingendo che nulla sia accaduto negli ultimi mesi. Va in questa direzione la Nota di aggiornamento al DPEF. Per tutto il periodo di previsione mantiene un livello molto elevato di pressione fiscale, che solo a partire dal 2012 scenderà sotto il 43 per cento, con una ricomposizione del gettito che vede aumentare le entrate da imposte dirette e diminuire quelle da imposte indirette, dove l'aumento del gettito derivante dalle imposte dirette prefigura un ulteriore appesantimento del carico gravante sui redditi da lavoro e da pensione, già duramente colpiti, accentuando l'effetto depressivo della strategia economica del Governo.
      A fronte di questo insieme di problemi, il DDL Finanziaria è assolutamente inadeguato, omissivo, ed in tal senso non risolutivo, ma dannoso per il futuro del Paese. Sembra più l'elaborato tecnico della Ragioneria Generale dello Stato che un intervento politico all'altezza dei problemi dell'Italia.
      La manovra complessiva continua ad avere un segno recessivo, prociclico, ossia accentua le difficoltà dell'economia, delle famiglie e delle imprese italiane.
      Il DDL Finanziaria non torna indietro rispetto ai tagli alla spesa per investimenti. Non li rimodella, nemmeno li riduce, alla luce delle nuove emergenze. In questo modo non si tagliano gli sprechi, sui quali è opportuno continuare ad intervenire, ma che vanno distinti dagli interventi che tagliano potenzialità di sviluppo. L'esempio della gestione inconsulta del patto di stabilità, incapace di distinguere tra enti locali virtuosi e viziosi, penalizzati tutti ed addirittura allo stesso modo, è clamoroso.
      Il DDL Finanziaria non prevede neanche le risorse per la social card e per gli incentivi fiscali per gli straordinari. Noi avevamo criticato entrambe le misure. La prima perché è una risposta non dignitosa e assolutamente inadeguata alle difficoltà di milioni di famiglie. La seconda perché interviene su una nicchia e non sostiene la produttività diffusa e strutturale; inoltre è fuori contesto, visto che, purtroppo, quando c'è la crisi, il problema è la mobilità e non gli straordinari, come dimostra l'aumento del 68 per cento delle ore di cassa integrazione in un anno. Ora, delle due l'una: o il Governo ha ascoltato le nostre critiche e con un eccesso di zelo ha addirittura cancellato i provvedimenti, o eravamo di fronte ad interventi dettati da pura demagogia post elettorale. Nel corso della sua audizione il Ministro del welfare ha risposto alla mia domanda sul tema, dicendo che aspetta l'accordo sindacale per destinare le risorse necessarie. Devo, francamente, dire che ho l'impressione che se il Governo cominciasse a mettere a disposizione delle risorse più cospicue per ammortizzatori e sgravi fiscali aiuterebbe l'accordo sindacale e non il contrario.
      Restando in tema, le previsioni di stanziamento per il rinnovo dei contratti dei dipendenti pubblici sono inadeguate. Ma non basta. Al comma 35 dell'articolo 2 si prevede la possibilità per il Governo di erogare unilateralmente, ovvero senza il contratto, sino al 90 per cento dell'aumento. Non ho bisogno di spiegare il senso di questa scelta e le conseguenze pesantemente negative che ha nel ruolo e nella rappresentatività del sindacato. In Commissione il Governo non l'ha giustificata, ma l'ha teorizzata proprio sostenendo la assoluta opinabilità della contrattazione. I sindacati non hanno bisogno di tutori, tanto meno politici, ma tantomeno hanno bisogno di governi che si sostituiscano all'azione collettiva. Non vorrei che partiti, come sento dire, per abolire l'Aran, si fosse tentati, nel sacro furore dei tornelli, di abolire i sindacati.
      Per il resto, nella finanziaria c'è ben poco. Qualche proroga di agevolazioni fiscali stabilite dal precedente Governo e altre misure che, in un testo composto di tre soli articoli, francamente non sembrano corrispondere a esigenze primarie. Come definire altrimenti l'ennesima proroga per la ricostruzione nel Belice, mentre si tagliano in più parti le risorse per gli investimenti infrastrutturali nel Mezzogiorno?
      Le tabelle scontano i tagli imposti dal decreto-legge n. 112 e, pertanto, presentano importi contenutissimi e inadeguati.
      In sostanza, la caratteristica di questo disegno di legge non è data da ciò che c'è, quanto piuttosto da quello che non c'è.
      Come opposizione abbiamo provato ad agire su alcuni aspetti che potrebbero avere un positivo impatto sui cittadini. Abbiamo presentato emendamenti contenenti agevolazioni per i mutui sulla prima casa, varie forme di estensione degli sgravi fiscali per le ristrutturazioni edilizie, misure in favore del Mezzogiorno e, soprattutto, una proposta finalizzata a fronteggiare la diminuzione della domanda interna e le gravi conseguenze della crisi economica internazionale sul credito alle imprese e alle famiglie, mediante la destinazione delle maggiori disponibilità di Finanza pubblica che si realizzassero nel 2009 rispetto alle previsioni del DPEF alla riduzione della pressione fiscale nei confronti dei lavoratori dipendenti e pensionati con reddito inferiore a 50 mila euro e a misure di sostegno al credito delle PMI. Si tratta di una proposta programmatica e non onerosa - sulla quale il Gruppo del PD presenterà una mozione - ma ancora una volta è stata respinta dal Governo e dalla sua maggioranza.
      In definitiva, la manovra complessiva prospettata continua ad essere recessiva, di tipo prociclico, ossia accentua le difficoltà dell'economia, delle famiglie e delle imprese italiane. Sarebbero, al contrario, necessarie politiche e misure di tutela dei redditi e di rilancio dell'economia. Per affrontare la difficilissima congiuntura economica e sociale, servono interventi per sostenere la domanda interna, agendo sui redditi e sulla spesa per investimenti.
      Infine, il ruolo dello Stato non può essere tendenzialmente pervasivo quando ci si occupa di banche, sino al punto di prevedere di entrarvi quasi direttamente e riduttivo quando si tratta di garantire le protezioni sociali. In tal senso, spetta allo Stato garantire politiche fiscali progressive e redistributive più efficaci.
      Queste emergenze: più crescita, più reddito, meno deficit non sono separabili, né nell'approccio strategico, né nelle scelte di merito, né nella tempistica con la quale combatterle.
      La finanziaria non adotta questa linea di intervento. Per esplicita dichiarazione degli estensori viene scelto, in via esclusiva, di proseguire sulla strada del «presunto» risanamento finanziario, confermando un intervento mastodontico di tagli che mettono in ginocchio settori strategici, a cominciare dagli Enti locali, dalla scuola e dalla sicurezza.
      Insomma, proprio nel momento in cui se ne sente più il bisogno, il Governo rinuncia, con questa impostazione e le scelte collegate, ad un progetto ambizioso sia economicamente che socialmente. Al contrario, il Governo si rifugia in una linea difensiva e rinunciataria sul piano della sfida globale e non dà, nemmeno, risposte alla società italiana sia per quanto riguarda la competitività (la semplificazione burocratica è un mezzo, pur utile, ma non fine a sé stesso), sia, soprattutto per quanto riguarda la sostenibilità economica delle famiglie.
      Sono queste vistose e pesanti assenze, che rendono il disegno di legge finanziaria inadeguato ed inefficace. Anzi, per dirla tutta, rischia, addirittura, di essere controproducente proprio ai fini di quell'aggiustamento della finanza pubblica che il Governo sostiene di voler perseguire. Si rifletta sul fatto che le autorità europee hanno annunciato uno sforzo comune per fermare la crisi finanziaria. Nelle circostanze attuali, tuttavia, non è scontato che la politica monetaria da sola riesca a contrastare la caduta della domanda aggregata: l'onere di sostenere l'economia dovrà coinvolgere anche la politica fiscale, aprendo gli spazi a politiche fiscali di segno espansivo. Tali politiche stanno già tornando in campo come primaria discussione politica e non solo economica, si veda la decisione della Francia di rinviare la scadenza per il pareggio di bilancio. In tal senso, ci sono le condizioni per procedere su un percorso concertato a livello europeo finalizzato alla riduzione delle imposte, che darebbe un immediato sostegno alla domanda interna e alla crescita e avrebbe effetti moltiplicativi significativi, considerato il livello di integrazione tra i Paesi, poiché ciascuno di essi vende oltre la metà delle proprie esportazioni ad un altro paese membro. L'intervento non comprometterebbe gli obiettivi di bilancio di medio periodo, in quanto stimolerebbe crescita e gettito, non sarebbe alternativo ad altre proposte in campo, orientate a sostenere la spesa in conto capitale, ma è l'unico in grado di produrre effetti nel breve periodo.
      Questo approccio, ben diverso e strategicamente più coraggioso di quello messo in campo dal Governo, consentirebbe di migliorare il rapporto deficit/Pil puntando ad innalzare, con la politica di bilancio, lo stesso denominatore (Pil). Invece, il Governo si ostina ad agire esclusivamente sul numeratore. Ecco perché l'effetto sarà quello di avvitarsi in una ragnatela dalla quale non verrà nemmeno raggiunto lo stesso risanamento. Avevamo già fatto questa critica in occasione del Dpef. Ci sentiamo di confermarla ancor di più oggi, alla luce degli avvenimenti che nel frattempo sono intervenuti.
      Signor Presidente, mi rivolgo al Governo e alla maggioranza, scevro da ogni accento polemico, perché, come ci insegnano le grandi democrazie, ci sono momenti nei quali bisogna far prevalere l'interesse generale alle legittime convenienze di parte. Ed allora, prendete sul serio quando vi diciamo che è necessario ed urgente cambiare linea.
      Prendete sul serio quando diciamo che occorre allentare la pressione fiscale, soprattutto sui redditi da lavoro e da pensione medio-bassi, cioè quelli che più subiscono il costo della recessione.
      Prendete sul serio quando vi diciamo che è dobbiamo estendere la copertura assicurativa dal rischio di disoccupazione, per creare un ponte che ci consenta di attraversare la fase più acuta della crisi riducendo il rischio che gli effetti dell'incalzare della crisi provochi un aumento della disoccupazione che blocchi quel processo di allargamento della base occupazionale, altrimenti la ripercussione sulle condizioni sociali di vasti strati di famiglie sarà drammatica, ben più seria dell'obiettivo, oggi ancora perseguibile di rilanciare la loro capacità di consumo.
      Queste misure avrebbero il vantaggio di agire su entrambi i lati, della domanda e dell'offerta. Incrementano la domanda perché sono rivolti alle famiglie, non solo le più bisognose, ma anche a quelle con la più alta propensione al consumo, cioè quei ceti medi che sentono acutamente il peggioramento delle condizioni economiche e i rischi di impoverimento. Incrementano l'offerta perché inducono le persone a lavorare di più senza aumentare il costo del lavoro per le imprese. In tal senso è stupefacente la rinuncia della maggioranza a rifinanziare l'abbassamento fiscale per i premi di produttività. Inoltre, queste misure, possono ottenere l'effetto di ridurre l'economia sommersa, questa piaga che, forse più di ogni altra deprime la nostra economia, la rende distorta ed avrebbe, inoltre, effetti benefici sul bilancio dello Stato.
      Di questo, francamente, pensiamo che la finanziaria avrebbe dovuto parlare. Anche quella finanziaria «leggera» che avete teorizzato. Quando, con il decreto-legge n. 112 di luglio, di anticipo della manovra, il Governo ha modificato, di fatto, la procedura istituzionale sulla manovra di bilancio senza discuterla, ha certamente minato le prerogative del Parlamento, come abbiamo più volte denunciato; ma ha anche creato un vulnus operativo quando non ha previsto la formalizzazione di nuove procedure. Sicché, in questi giorni, se contraddicendo quanto avete dichiarato nel dibattito in Commissione, decideste - come ci auguriamo, per il bene del Paese - di intervenire sulla economia reale, dovrete ricorrere ad un nuovo decreto-legge, o, addirittura, ad una nuova versione di maxiemendamento. Ma, mi chiedo: come farete, alla fine, a quadrare i conti, a gestire i saldi, che risulteranno così modificati? Non era meglio un atteggiamento più semplicemente trasparente e produttivo? Non era la finanziaria la vera occasione?
      C'è un ingarbugliamento nel vostro agire, un limite serio nella gestione della azione di Governo. Mi auguro davvero che, come ho detto all'inizio, non vi sia, almeno, il ricorso alla questione di fiducia. Ipotesi tutt'altro che irrealistica, considerato che, per la prima volta, l'autorizzazione alla fiducia è stata concessa dal Consiglio dei ministri contestualmente all'approvazione del disegno di legge finanziaria in tale sede. Ma, a questo proposito, voglio dire, concludendo, che ho apprezzato le parole pronunciate dal Presidente Fini nella seduta antimeridiana del 6 novembre sulle forme e le modalità con le quali deve procedere la nostra discussione parlamentare e mi auguro che il Governo le tenga nel dovuto conto e, pur in questa situazione, che non promette nulla di buono, si preveda che il Parlamento eserciti il diritto-dovere di discutere nel merito e di decidere in coerenza con quanto disposto dall'articolo 81 della nostra Costituzione che attribuisce al Parlamento la prerogativa di esercitare una funzione di indirizzo e controllo in ordine alla destinazione e allocazione delle risorse pubbliche in relazione ai fini da perseguire nell'interesse della collettività.

Pier Paolo BARETTA,
Relatore di minoranza.


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