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PDL 2092

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 2092


PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

TENAGLIA, VELTRONI, FERRANTI, D'INCECCO, GIANNI FARINA, FERRARI, LARATTA, MARCHIONI, MELIS, MERLONI, GIORGIO MERLO, CASTAGNETTI, VICO, MARGIOTTA, TIDEI, VELO, LOSACCO, CARELLA, MARCHI, GINEFRA, D'ANTONA, BOCCI, GARAVINI, PELUFFO, SCHIRRU, ZAMPA, MIGLIOLI, BRANDOLINI, VANNUCCI, PIERDOMENICO MARTINO, NARDUCCI, REALACCI, CAPANO, CAVALLARO, CIRIELLO, CONCIA, CUPERLO, VACCARO

Modifiche al decreto legislativo 20 febbraio 2006, n. 106, e all'articolo 86 dell'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, in materia di determinazione delle priorità per l'esercizio dell'azione penale

Presentata il 22 gennaio 2009

      

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Onorevoli Colleghi! - L'intervento normativo proposto intende farsi carico delle tante critiche alle disfunzioni organizzative e processuali che oggi vanificano il principio di obbligatorietà, affinché esso possa, con opportuni accorgimenti, conquistarsi la necessaria effettività. L'obbligatorietà dell'azione penale, se si pone attenzione alla giurisprudenza costituzionale, rivela un fondamento di valore che merita di essere preservato. Con la sentenza n. 88 del 1991 la Corte costituzionale ricordò le statuizioni contenute nella sua sentenza n. 84 del 1979 circa il fatto che l'obbligatorietà dell'azione penale concorre a garantire, da un lato, l'indipendenza del pubblico ministero nell'esercizio della funzione e, dall'altro, l'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge penale.
      Aggiunse quindi che il principio di legalità, caposaldo della legislazione penale, esige la legalità nel procedere e che la realizzazione della legalità nell'eguaglianza non è concretamente possibile se il pubblico ministero dipende da altri poteri. Da qui l'affermazione che l'obbligatorietà dell'azione penale è il punto di convergenza di un complesso di princìpi basilari del sistema costituzionale, cosicché, se essa venisse meno, si avrebbe un'alterazione dell'assetto complessivo.
      Non vi è dubbio, invero, che l'elevatissimo numero di procedimenti non consente agli uffici delle procure della Repubblica di perseguire con la stessa tempistica tutti i fatti penalmente rilevanti e la conseguenza è quanto meno l'appannamento della necessaria trasparenza nella gestione dell'azione penale; ed è appena il caso di sottolineare che stabilire criteri di priorità non significa abbandonare all'oblio le altre notizie di reato.
      Il problema è stato affrontato e risolto guardando alla realtà organizzativa degli uffici delle procure della Repubblica e alle loro risorse umane, economiche e strumentali.
      Lo spunto iniziale è offerto dalla previsione dell'articolo 4 del decreto legislativo 20 febbraio 2006, n. 106 (in materia di impiego della polizia giudiziaria), che mette in luce come l'ufficio della procura della Repubblica, come ogni altro ufficio o nucleo organizzativo, debba impostare la sua azione facendo i conti con le limitate risorse di cui dispone. In particolare, la norma conferisce al procuratore della Repubblica, al fine di assicurare l'efficienza dell'attività dell'ufficio, il potere di fissare criteri generali ai quali i magistrati, nell'esercizio delle funzioni inquirenti, devono attenersi per l'impiego della polizia giudiziaria, per l'uso delle risorse tecnologiche assegnate e per l'utilizzazione delle risorse finanziarie di cui l'ufficio può disporre.
      Ebbene, se non vi è dubbio che è la legge a conferire tale potere al procuratore della Repubblica (e non potrebbe essere diversamente), in concreto spetta a questi definire le priorità di trattazione degli affari penali, imposte dalla necessità di «fare i conti» con le risorse non infinite e comunque non tali da poter consentire la trattazione uniforme e allo stesso modo tempestiva di tutti i procedimenti penali pendenti.
      Peraltro, anche le scelte organizzative in punto di formazione dei gruppi di lavoro, i cosiddetti «pool», sono scelte di priorità. Il potenziamento numerico di un gruppo di lavoro specializzato rivela la preferenza accordata dal procuratore della Repubblica per il contrasto di uno specifico settore criminale, che non può non tradursi nel «sacrificio» di altre esigenze repressive, ovvero quelle che afferiscono alla materia criminale a cui risulta preposto il gruppo di lavoro specializzato più esiguo e meno attrezzato.
      È evidente, allora, che le scelte di priorità già esistono e sono inserite in un modulo procedimentale, quello della formazione degli assetti organizzativi interni, che andrebbe ulteriormente arricchito per consentire una più ampia partecipazione di soggetti istituzionali alle determinazioni di fondo sull'azione penale.
      Dunque il problema non riguarda la legittimità del potere, ma la sua «trasparenza».
      Occorre quindi procedimentalizzare l'esercizio del potere di individuazione delle priorità di indagine e ciò può essere fatto utilizzando il modello cosiddetto «tabellare», per il quale spettano al Consiglio superiore della magistratura la fissazione dei criteri generali di organizzazione e ai dirigenti degli uffici il compito di organizzazione nel rispetto di quei criteri.
      In quest'ambito il titolare dell'ufficio della procura della Repubblica è tenuto alle scelte organizzative confrontandosi con quei soggetti che sul territorio di competenza sono espressione degli interessi delle comunità locali o che istituzionalmente sono coinvolti dalle determinazioni sull'azione penale.
      Il preliminare confronto con una pluralità di soggetti, individuati nei componenti dei comitati provinciali per l'ordine e la sicurezza pubblica di cui all'articolo 20 della legge 1o aprile 1981, n. 121, oltre che con le rappresentanze dell'Avvocatura dello Stato, consente una valutazione sugli effettivi bisogni di repressione criminale.
      Si possono così meglio fronteggiare le esigenze repressive per il successivo triennio - periodo temporale di vigenza degli assetti organizzativi degli uffici giudiziari -, calibrando le scelte di allocazione delle risorse, comunque sempre rimesse al procuratore della Repubblica, ma sottratte a pur legittime e apprezzabili «intuizioni» di quest'ultimo, spesso nemmeno esternate e motivate.
      In questa nuova costruzione il ruolo del Parlamento non è quello di fissare, «dall'alto», le priorità con un provvedimento strutturalmente inadeguato alla considerazione dell'eterogeneità dei bisogni di repressione criminale delle varie porzioni del territorio nazionale. Tale provvedimento, nella sua generale previsione, se fosse troppo stringente, finirebbe con lo svuotare di significato molte delle disposizioni incriminatrici, rendendo assai incerta l'effettività del principio di obbligatorietà dell'azione penale, e, all'opposto, se fosse di tipo «generico», o meramente programmatico, sarebbe inevitabilmente destinato a essere superato «nei fatti» dalle emergenze concrete. Però è certo che al Parlamento, anche e soprattutto in ragione del raccordo tra principio di legalità penale e principio di obbligatorietà dell'azione penale, non può essere sottratto un momento di «interlocuzione» significativo sulle scelte all'azione penale.
      Perciò, il Ministro della giustizia, in sede di comunicazioni annuali sull'amministrazione della giustizia ai sensi dell'articolo 86 dell'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, deve dedicare un capitolo, sulla base di una corrispondente relazione del Consiglio superiore della magistratura, all'illustrazione dell'andamento della concreta gestione dell'azione penale nei vari distretti giudiziari.
      Il Parlamento, acquisiti i dati concreti delle scelte di priorità dell'azione penale, può verificarne la congruità, chiederne la correzione e accertare se, e in che misura, sia necessario sollecitare il Governo per un maggiore stanziamento di risorse in modo che, almeno in alcune zone, i criteri di priorità, così strettamente e per necessità legati ai bisogni dell'organizzazione, possano essere rivisti.
      Questo modello «procedimentale partecipato» - che alla fine trova nelle determinazioni (approvazione/non approvazione) del Consiglio superiore della magistratura un altro «luogo» partecipato di valutazione dialettica delle scelte del procuratore della Repubblica - ha i seguenti vantaggi: assicura trasparenza nella gestione dell'azione penale e dà la necessaria effettività all'obbligatorietà dell'azione penale; realizza, se così può dirsi, un «decentramento giudiziario» nell'azione penale che, pur obbligatoria, si incentra sulle specificità di ciascun territorio, determinate dall'eterogeneità delle varie realtà del Paese. Esso, poi, coinvolge nelle scelte di priorità le Forze di polizia, facendo loro carico, all'esito del confronto, di impostare le attività istituzionali di ricerca delle notizie di reato su quella scala di priorità delineata nelle determinazioni assunte dal procuratore della Repubblica sugli assetti organizzativi dell'ufficio e ciò anche al fine di superare il «gap» nel raccordo tra polizia giudiziaria e pubblico ministero sul terreno delle attività preprocedimentali di ricerca della notizia di reato, patrimonio funzionale tipico anche se non esclusivo della polizia, con inevitabili e significative ricadute sulle attività di esercizio dell'azione penale.


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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. All'articolo 1 del decreto legislativo 20 febbraio 2006, n. 106, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) la lettera a) del comma 6 è sostituita dalla seguente:

          «a) l'organizzazione dell'ufficio in attuazione dei criteri generali dettati dal Consiglio superiore della magistratura»;

          b) alla lettera b) del comma 6, la parola: «eventualmente» è soppressa;

          c) al comma 6 è aggiunta, in fine, la seguente lettera:

          «c-bis) le priorità nello svolgimento delle indagini preliminari relative a determinate categorie di reati, ai sensi di quanto previsto dall'articolo 2-bis»;

          d) al comma 7 sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «per l'approvazione. La modifica delle priorità nello svolgimento delle indagini deve essere preceduta dagli adempimenti di cui all'articolo 2-bis, comma 1».

Art. 2.

      1. Dopo l'articolo 2 del decreto legislativo 20 febbraio 2006, n. 106, e successive modificazioni, è inserito il seguente:

      «Art. 2-bis. - (Criteri di priorità nelle indagini preliminari). - 1. Il procuratore della Repubblica, sentiti il questore, i comandanti provinciali dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza, i sindaci dei comuni e il presidente della provincia, i cui territori sono compresi in tutto o in parte nel circondario del tribunale, nonché i presidenti, o loro delegati, dei consigli dell'ordine forense territorialmente interessati, determina le priorità nello svolgimento delle indagini in relazione ai reati che, per la natura degli interessi lesi o messi in pericolo e per la particolare frequenza di commissione, assumono connotazione di maggiore gravità.
      2. Al fine di assicurare tempestività nella conduzione e nella definizione delle indagini preliminari per i reati di trattazione prioritaria individuati ai sensi del comma 1, il procuratore della Repubblica provvede all'organizzazione dell'ufficio individuando gruppi specializzati di magistrati per specifici settori di affari. Allo stesso fine, fissa altresì i criteri per la distribuzione e per l'uso delle risorse tecnologiche e per l'impiego della polizia giudiziaria».

Art. 3.

      1. L'articolo 4 del decreto legislativo 20 febbraio 2006, n. 106, è sostituito dal seguente:

      «Art. 4. - (Impiego della polizia giudiziaria e delle risorse tecnologiche e finanziarie). - 1. Per assicurare l'efficienza dell'attività dell'ufficio, il procuratore della Repubblica, oltre a determinare i criteri generali ai quali i magistrati addetti all'ufficio devono attenersi nell'impiego della polizia giudiziaria e nell'uso delle risorse tecnologiche assegnate ai sensi di quanto previsto dall'articolo 2-bis del presente decreto, determina i criteri per l'utilizzazione delle risorse finanziarie delle quali l'ufficio può disporre, nel rispetto delle disposizioni contenute nel decreto legislativo emanato in attuazione della delega prevista dagli articoli 1, comma 1, lettera a), e 2, comma 1, lettera s), della legge 25 luglio 2005, n. 150, e delle priorità di indagine previamente individuate secondo la procedura di cui al citato articolo 2-bis».

Art. 4.

      1. Dopo il primo periodo del comma 1 dell'articolo 86 dell'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, è inserito il seguente: «Il Ministro della giustizia, inoltre, sulla base di una relazione del Consiglio superiore della magistratura, riferisce alle Camere sulle modalità organizzative delle procure della Repubblica in relazione alle priorità di indagine individuate secondo la procedura di cui all'articolo 2-bis del decreto legislativo 20 febbraio 2006, n. 106».


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