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PDL 2246

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 2246



PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

FRASSINETTI, BARBIERI, CARLUCCI, CATANOSO, CECCACCI RUBINO, COLUCCI, DE ANGELIS, DE NICHILO RIZZOLI, DI VIRGILIO, DIVELLA, VINCENZO ANTONIO FONTANA, TOMMASO FOTI, GERMANÀ, GHIGLIA, GIBIINO, PAGLIA, PELINO, PETRENGA, PORCU, RAISI, SCALERA, SPECIALE, TORRISI, VELLA

Modifiche all'articolo 2233 del codice civile e all'articolo 2 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, in materia di disciplina delle attività professionali e di compensi degli avvocati

Presentata il 26 febbraio 2009


      

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Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge è volta ad apportare modificazioni all'articolo 2233 del codice civile e all'articolo 2 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (più noto come «decreto Bersani»), convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248.
      Il decreto Bersani, oltre ai diversi settori che ha riguardato, ha modificato, fra l'altro, la disciplina relativa ad aspetti civilistici e deontologici della professione forense riguardanti la determinazione del compenso, il cosiddetto «patto di quota-lite» e le associazioni e società professionali.
      Anche l'espressione utilizzata per rubricare l'articolo 2 del citato decreto-legge n. 223 del 2006, «Disposizioni urgenti per la tutela della concorrenza nel settore dei servizi», non sembrerebbe delle più consone, prestandosi a facili osservazioni circa la tendenza a ridurre l'attività forense al mero campo dei servizi, con il rischio di degradare il contenuto di una professione di nobile e antica tradizione alla stregua di un'agenzia per il disbrigo di pratiche.
      Il decantato scopo delle nuove disposizioni era quello di favorire una maggiore liberalizzazione e concorrenza a beneficio dei consumatori. Tuttavia, l'iniziativa, malgrado la pomposità dei proclami con cui venne annunziata dal Governo proponente, non ha prodotto effettivo giovamento in favore di alcun soggetto, rischiando di provocare, per contro, un tendenziale abbassamento del rapporto tra qualità e prezzo, dal punto di vista della prestazione d'opera offerta dal professionista.
      L'esercizio della professione forense, considerata da sempre una nobile arte, è teso alla tutela e all'affermazione dei diritti giuridici posti dal nostro ordinamento a garanzia della collettività. Una figura professionale tanto qualificata non può operare un tale ribasso dei compensi per le prestazioni di lavoro eseguite, pena il rischio di un ingiustificabile e, purtroppo, inevitabile abbassamento della qualità dell'opera.
      D'altro canto è indiscutibile che un compenso irrisorio e non adeguato, al di sotto della soglia ritenuta minima, lederebbe la dignità stessa dell'avvocato, contrastando altresì con il disposto dell'articolo 36 della Costituzione nella parte in cui, al primo comma, recita: «Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro».
      Vi è poi la questione della reintroduzione, ad opera del medesimo decreto-legge n. 223 del 2006, della possibilità di stipulare il cosiddetto «patto di quota-lite».
      Questo patto è un accordo tra l'avvocato e il cliente, in base al quale si attribuisce al primo, quale compenso della sua attività professionale, una parte (quota) dei beni o diritti in lite, oppure si ragguaglia l'onorario al valore dei beni o diritti su cui è controversia, in ragione percentuale o in una somma determinata.
      Anche in considerazione della più consolidata tradizione giuridica, il patto di quota-lite è sempre stato vietato. Nelle legislazioni preunitarie era persino considerato un reato. Ciò deriva dal fatto che ha sempre generato forti perplessità la commistione di interessi che il patto può creare e si è sempre temuto, riprendendo le osservazioni di due esimi intellettuali del '700, quali Diderot e D'Alembert, che i professionisti «abusino del bisogno che si può avere del loro ministero per far così abbandonare una certa parte del credito».
      Inoltre, i tradizionali canoni di commisurazione degli onorari legati «all'importanza dell'opera e al decoro della professione» hanno sempre dipinto il patto di quota-lite come contrario alla probità e alla dignità professionale, a motivo dell'interesse diretto che l'avvocato viene ad avere nell'esito della lite, con il rischio di perdere la necessaria obiettività e serenità professionale.
      Per di più, secondo autorevoli commenti, la legalizzazione del patto di quota-lite potrebbe avere conseguenze in contrasto con lo stesso fine «di assicurare agli utenti un'effettiva facoltà di scelta nell'esercizio dei propri diritti e di comparazione delle prestazioni offerte sul mercato», così come recita l'articolo 2, comma 1, del citato decreto-legge n. 223 del 2006. Basti pensare al disinteresse che gli avvocati potrebbero nutrire nei confronti di cause dallo scarso valore economico, ma sempre importanti per il soggetto coinvolto, oppure al possibile accaparramento di quote consistenti del risarcimento ottenuto per un cliente, altrimenti privo dei mezzi necessari per ottenere la tutela delle proprie ragioni.
      Altro punto in questione concerne la possibilità per gli avvocati (ma la disposizione ha rilevanza generale per tutte le libere professioni regolamentate) di esercitare la professione mediante la partecipazione a società tra professionisti. A tale proposito, la presente proposta di legge esplicita il divieto di svolgimento della professione mediante società di capitali, ferma restando la possibilità di costituire a quest'effetto società di persone. Questa interdizione si giustifica in ragione della volontà di non consentire una limitazione della responsabilità dell'avvocato che, in una società di capitali, invece, sarebbe limitata al valore delle azioni o quote sottoscritte e, comunque, al solo patrimonio sociale.
      Infine, ma non per questo meno importante, vi è la necessità di armonizzare le disposizioni della presente proposta di legge con quelle deontologiche e contenute nei codici di autodisciplina.
      Alla luce di quanto sopra illustrato, l'articolo 1 della presente proposta di legge, modificando l'articolo 2233 del codice civile, prevede la reintroduzione del divieto del cosiddetto «patto di quota-lite», precludendo agli avvocati la possibilità di pattuire compensi in relazione al raggiungimento degli obiettivi perseguiti. Allo stesso tempo, attraverso l'eliminazione dell'obbligo di redigere in forma scritta i patti tra professionista e cliente pena la nullità del patto stesso, il medesimo articolo 2233 del codice civile, riferito al compenso delle professioni intellettuali, è ricondotto alla sua formulazione originaria, antecedente il decreto-legge n. 223 del 2006.
      L'articolo 2, a sua volta:

          a) specifica che dalla concessa facoltà di esercitare le libere professioni mediante costituzione di società tra professionisti deve intendersi comunque escluso lo svolgimento mediante società di capitale, affinché non ne risulti limitata la responsabilità personale del singolo professionista per le obbligazioni assunte;

          b) reintroduce, limitatamente agli avvocati, il divieto di applicare tariffe inferiori ai minimi tariffari;

          c) stabilisce un termine entro il quale dovrà provvedersi ad armonizzare le disposizioni recate dalla presente proposta di legge con quelle deontologiche relative alla professione forense.


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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Modifica all'articolo 2233 del codice civile, in materia di compensi degli avvocati).

      1. Il terzo comma dell'articolo 2233 del codice civile è sostituito dal seguente:

          «Gli avvocati e i praticanti abilitati non possono, neppure per interposta persona, stipulare con i loro clienti alcun patto relativo ai beni che formano oggetto delle controversie affidate al loro patrocinio, sotto pena di nullità e dei danni».

Art. 2.
(Modifiche all'articolo 2 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, in materia di disciplina delle attività professionali e di tariffe degli avvocati).

      1. All'articolo 2 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) al comma 1:

              1) alla lettera a) è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Le disposizioni della presente lettera non si applicano all'esercizio della professione di avvocato»;

              2) alla lettera c) è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «La prestazione dei servizi indicati nella presente lettera rimane comunque vietata ai soggetti costituiti nella forma di società di capitali»;

          b) il comma 2-bis è abrogato.

      2. Le disposizioni deontologiche e pattizie e i codici di autodisciplina relativi all'esercizio della professione di avvocato sono adeguati alle disposizioni dell'articolo 2 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, come da ultimo modificato dal comma 1 del presente articolo, entro centoottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge. In caso di mancato adeguamento, a decorrere dalla medesima data sono in ogni caso nulle le disposizioni contrastanti con quanto previsto dal comma 1.


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