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PDL 1343

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 1343



PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

BRESSA, ZACCARIA, AMICI

Modifiche al testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, in materia di diritto di elettorato attivo e passivo degli stranieri legalmente residenti in Italia nelle elezioni provinciali, comunali e circoscrizionali

Presentata il 19 giugno 2008


      

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Onorevoli Colleghi! - Le dimensioni e la crescente intensità del fenomeno migratorio stanno imponendo una decisa accelerazione al dibattito sull'estensione del diritto di voto dei cittadini extracomunitari.
      In Italia vi sono, secondo i dati provenienti dal Ministero dell'interno elaborati dall'ultimo Dossier statistico immigrazione 2007 della Caritas Migrantes, 3.690.000 soggiornanti regolari: il nostro Paese si colloca in termini di rilevanza, dunque, subito dopo la Germania, accanto alla Spagna, come nazione a grande immigrazione.
      Il diritto di voto è lo strumento «principe» della partecipazione politica e l'ammissione effettiva degli stranieri immigrati alle consultazioni elettorali del Paese in cui lavorano e risiedono stabilmente costituirebbe, oltre a un riconoscimento di un vero ruolo nella vita pubblica del Paese, una chiave importantissima per la costruzione di un processo di vera integrazione, offrendo agli immigrati la possibilità di incidere e di sentirsi pienamente coinvolti nel progresso civile, economico e sociale del nostro Paese. Inoltre il coinvolgimento dei cittadini stranieri, fino ad ora esclusi dal processo decisionale, in linea con i princìpi fondamentali della nostra Carta costituzionale, potrebbe contribuire al perfezionamento del nostro sistema democratico: riconoscere il diritto di voto a tutti coloro che stabilmente risiedono in un determinato territorio è, oltre che un atto di civiltà e di democrazia, uno dei modi più efficaci per promuovere coesione e pace sociali.
      Chiamare gli individui a prendere parte alla vita politica significa, infatti, innanzitutto, chiamarli a farsi carico dei problemi della convivenza e dello sviluppo della comunità nel suo insieme, in termini non solo di fruizione e titolarità di diritti, ma anche di piena assunzione di responsabilità.
      Che l'estensione massima del diritto di voto ai componenti dell'aggregato politico costituisca, dunque, il primo fattore di democraticità degli ordinamenti costituzionali contemporanei è cosa pacifica in dottrina; la sua assenza può, infatti, costituire un vulnus alla democrazia intesa in senso sostanziale, quella in cui anche i membri «di fatto» della comunità politica possono partecipare al circuito decisionale. Con l'estensione dell'elettorato attivo e passivo a livello amministrativo agli stranieri non comunitari viene assicurata la formazione di organismi che rappresentano l'intera comunità in quanto eletti da cittadini migranti, parte della nostra società, insieme e alla pari con i cittadini italiani. D'altra parte la garanzia di una piena rappresentanza degli stranieri, qual è il voto, costituisce un elemento basilare per una loro effettiva inclusione nella vita pubblica locale, oltre che per una completa realizzazione della loro appartenenza alla comunità.
      Nel 1992 i Paesi membri del Consiglio d'Europa hanno firmato la «Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale», nota come Convenzione di Strasburgo, che impegna gli Stati firmatari a garantire le libertà «di espressione, riunione ed associazione» (capitolo A) degli stranieri, l'istituzione di «organi consultivi volti a rappresentare i residenti stranieri a livello locale» (capitolo B) e «il diritto di voto alle elezioni locali» (capitolo C), per i «residenti stranieri», ossia «persone che non sono cittadine dello Stato in questione e che risiedono legalmente nel suo territorio». Nella Convenzione si propone che abbiano diritto di voto gli stranieri residenti da almeno cinque anni nel Paese ospitante, ma si specifica che i singoli Stati potranno anche stabilire tempi di residenza minima inferiori. Con la risoluzione n. 136 del 15 gennaio 2003, approvata dal Parlamento europeo nell'ambito della Relazione annuale sui diritti umani nell'Unione europea, si raccomanda agli Stati membri «di estendere il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali e del Parlamento europeo a tutti i cittadini di Paesi terzi che soggiornino legalmente nell'Unione europea da almeno tre anni». L'Italia ha ratificato la Convenzione di Strasburgo con la legge n. 203 del 1994, ma non in modo completo: ha infatti tralasciato proprio il capitolo C, quello sul diritto di voto, con la «giustificazione» che per farlo si sarebbe resa necessaria una modifica costituzionale.
      In seguito alla riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione, segnatamente dell'articolo 117, secondo comma, lettera p), e più in particolare dalla seconda metà del 2003, abbiamo assistito a quello che può essere definito un vero e proprio «movimento dal basso» per il riconoscimento del diritto di voto agli immigrati, un movimento che si è articolato in tipologie di iniziative diverse tra di loro (e che però si è trasformato, in assenza di una vera regolamentazione, in una sorta di conflitto istituzionale e giuridico semi-permanente tra Governo ed enti locali). Le iniziative in questione sono andate da quelle dei comuni per modificare lo statuto comunale, al fine di estendere agli immigrati il diritto di voto per le elezioni comunali e per quelle circoscrizionali, a quelle delle province per la modifica dello statuto provinciale, al fine di estendere il diritto di voto per le elezioni provinciali, delle regioni per riconoscere, all'interno dei nuovi statuti, il diritto di voto agli immigrati (nei quali generalmente non si distingue tra voto amministrativo e voto regionale), fino a quelle dei comuni, delle province e delle regioni insieme, volte a promuovere presso il Governo e il Parlamento l'adozione di una legge nazionale che estenda agli immigrati il diritto di voto, almeno amministrativo.
      Vanno inoltre considerati i «tentativi» dei comuni, delle province e delle regioni di porre in essere forme di rappresentanza o di partecipazione cosiddette «separate», come l'esperienza dei consiglieri aggiunti, delle consulte e dei forum per l'immigrazione, anche se esse vanno ricondotte, più strettamente, nell'ambito della partecipazione alla vita pubblica locale.
      Come è noto, la questione del riconoscimento del diritto di voto ai non cittadini chiama in causa le categorie cardinali dello Stato contemporaneo - popolo, cittadinanza, sovranità, democrazia, diritti fondamentali - ed è vero che nella Carta costituzionale, con gli articoli 48 e 51 (che rispettivamente dispongono che «Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età» e che «Tutti i cittadini [...] possono accedere agli uffici pubblici»), il diritto di voto viene «testualmente» riconosciuto al solo cittadino, e non alla persona in quanto tale: è altrettanto vero, però, che nel nostro ordinamento costituzionale non esiste un principio che imponga l'esclusione assoluta dello straniero dai diritti politici (né tanto meno esiste nelle convenzioni internazionali sui diritti umani o nel diritto internazionale generale); va considerata, inoltre, un'importante e consolidata dottrina che ha interpretato il riferimento testuale ai cittadini nelle disposizioni costituzionali che sanciscono i diritti fondamentali non come esclusione dello straniero, ma piuttosto come garanzia costituzionale per il solo cittadino, prospettando la possibilità di estensione legislativa di quei diritti allo straniero: viene dunque proposta con forza l'interpretazione del riferimento ai cittadini anche nell'articolo 48 non come divieto di estensione del diritto di voto agli stranieri, ma come garanzia di quel voto per i soli cittadini (va ricordata, in questo senso, la sentenza della Corte costituzionale n. 172 del 1999, che prevedeva che «La portata normativa della disposizione costituzionale è [...] quella di stabilire in positivo, non già di circoscrivere in negativo i limiti soggettivi del dovere costituzionale)».
      Per tutte le ragioni esposte e per rendere effettivo il diritto degli stranieri legalmente residenti in Italia da almeno cinque anni a partecipare alle scelte politiche locali, proponiamo di apportare alcune modifiche al testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, concedendo agli stessi il diritto di elettorato attivo e passivo nelle elezioni circoscrizionali, comunali e provinciali.


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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Elezione del sindaco e del presidente della provincia).

      1. All'articolo 46, comma 1, del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, dopo le parole: «sono eletti dai cittadini» sono inserite le seguenti: «e dagli stranieri che risiedono regolarmente e stabilmente in Italia da almeno cinque anni».

Art. 2.
(Elettorato attivo e passivo).

      1. L'articolo 55 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, è sostituito dal seguente:

      «Art. 55. - (Elettorato attivo e passivo). - 1. Il sindaco, il presidente della provincia, i consiglieri comunali, provinciali e circoscrizionali sono eletti a suffragio universale e diretto dai cittadini e dagli stranieri che risiedono regolarmente e stabilmente in Italia da almeno cinque anni e che abbiano compiuto il diciottesimo anno di età nel primo giorno fissato per la votazione.
      2. Sono eleggibili a sindaco, a presidente della provincia, a consigliere comunale, provinciale e circoscrizionale coloro che, ai sensi del comma 1, sono titolari del diritto di elettorato attivo.
      3. Ai fini di cui al presente articolo, ai cittadini dell'Unione europea, residenti in Italia, si applicano le disposizioni del decreto legislativo 12 aprile 1999, n. 197».

Art. 3.
(Modifica della definizione di amministratore locale).

      1. Al comma 1 dell'articolo 77 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, le parole: «cittadino chiamato» sono sostituite dalle seguenti: «persona chiamata».


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