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Seduta del 15/7/2009


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TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO FRANCO CECCUZZI

Va innanzitutto sottolineato come il documento in esame appaia costruito intorno al concetto che uno dei problemi principali della lotta all'evasione fiscale sia rappresentato dal coordinamento delle fonti informative e dei dati disponibili.
Si tratta sicuramente di una problematica rilevante, su cui il Parlamento è chiamato a legiferare, ma che deve essere accompagnata da indirizzi politici chiari ed efficaci che supportino l'azione investigativa. La relazione è infatti carente rispetto a qualsiasi seria riflessione sulle strategie generali di lotta all'evasione da percorrere, che consenta quindi un utilizzo incisivo razionale e coordinato dei dati disponibili.
La convinzione di fondo che emerge dal documento sembra infatti quella che le attuali strutture e competenze dell'amministrazione finanziaria siano in grado, grazie al potenziamento esclusivo delle basi dati, di portare avanti efficientemente la lotta all'evasione fiscale. Una strategia quindi basata grazie ai controlli, e sintetizzata nell'affermazione secondo cui «l'evasione dipende dalla probabilità di essere scoperti, conseguendo redditi che, non essendo visibili al fisco, più difficilmente possono essere individuati dagli uffici finanziari. L'utilizzo di una spiegazione "moralistica" all'evasione è quindi censurabile perché genera lacerazioni sociali dannose e inutili».
Al di là della discutibile valenza morale che genera questo approccio, del fatto che questa visione ha come supporto una teoria economica che risale a 35 anni fa e che le teorie più accreditate spiegano che senza considerare gli aspetti psicologici e morali l'evasione rimane difficile da interpretare, il problema principale è che questa impostazione non sembra efficace proprio rispetto al «modello Italia».
È infatti la stesso l'ufficio studi dell'Agenzia delle Entrate a ricordare, ad esempio, che «il fenomeno evasivo ha cause molteplici che non possono essere unicamente ricondotte all'efficacia dell'attività di contrasto (...) le ultime posizioni (nella graduatoria della fedeltà fiscale) sono occupate da Campania, Puglia, Sicilia e Calabria tutte regioni nelle quali la probabilità di essere accertati è significativamente superiore a quella nazionale».
Un altro aspetto che viene affrontato nel documento, e che sarebbe di importanza vitale, è quello che riguarda la funzione obiettivo degli enti di controllo, ovvero il modo in cui gli obiettivi vengono oggi definiti e remunerati. Fino a che i dati


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verranno utilizzati da strutture il cui obiettivo è semplicemente la massimizzazione degli accertamenti fatti, senza che vi sia alcuna verifica sulla solidità e fondatezza di quegli accertamenti (e quindi sul rapporto tra definito e accertato) prima di remunerare le relative strutture, l'utilizzo dei dati, per quanto coordinati e arricchiti, sarà sempre distorto. Alla luce del fatto che la relazione in esame abbia come obiettivo primario un'indagine sull'amministrazione tributaria, ed anche considerando il numero di pagine utilizzate per discernere di aspetti che con questo obiettivo non hanno alcuna pertinenza (ad esempio, quelle sulla ricostruzione della crisi), ciò che colpisce è che non si sia trovato lo spazio adeguato per definire le strategie di lotta all'evasione e delle competenze necessarie ad attuarle.
Su quest'ultimo aspetto, sarebbe stato necessario chiedersi, ad esempio, in che misura le attuali competenze dei vertici delle strutture sono preposte all'attuazione, ed anche al disegno delle politiche fiscali (Agenzia delle entrate e, in posizione peraltro sempre più defilata, il Dipartimento delle finanze). La maggior parte dei dirigenti e la quasi totalità dei vertici di queste due amministrazioni è composta da giuristi e funzionari pubblici, di formazione giuridica e quindi assolutamente privi di competenze economiche, statistiche e informatiche. Senza queste competenze la lotta all'evasione continuerà a fondarsi su assunti (come quelli relativi all'efficacia dei controlli) falsificati dalla realtà dei fatti.
Ad esempio, una proposta da cui si potrebbe partire è quella di chiedere all'ufficio studi dell'Agenzia delle entrate, all'ISTAT, e ad altri enti pubblici e privati di ricerca di fornire annualmente e pubblicamente una stima al Parlamento dell'evasione per le diverse categorie di imposta, a cominciare da quelle che, per loro natura (IVA e IRAP), più si prestano al confronto con la contabilità nazionale, come accade, ad esempio, nel Regno Unito.
La disponibilità di questa stima consentirebbe di disporre di uno strumento di valutazione circa l'efficacia delle politiche di lotta all'evasione nel contrasto della propensione ad evadere, che si situa a monte del processo, ed è quantitativamente e qualitativamente più importante del processo stesso, quando cioè l'evasione è di fatto già avvenuta.
Un contrasto efficace all'evasione fiscale rappresenta, infatti, non soltanto uno strumento per migliorare i bilanci dello Stato, ma una opportunità preziosa di perequazione e ridistribuzione della ricchezza. Anche alla luce dei circa 300 miliardi di euro di imponibile che vengono sottratti ogni anno all'erario: una cifra, stimata da Krls Network of Business Ethics per conto dell'Associazione contribuenti italiani, elaborando dati ministeriali e dell'ISTAT. Dividendo l'elusione per voci troviamo che l'evasione di imposte dirette è 115 miliardi di euro (pari al triplo di quella di altri paesi comunitari e al doppio della media europea), l'economia sommersa sottrae 105 miliardi, la criminalità organizzata 40 miliardi e 25 miliardi chi porta avanti il secondo o terzo lavoro.
Va ricordato, in questo contesto, che nel 2007, con il governo Prodi, le entrate dello Stato aumentarono di 27,2 miliardi di euro rispetto al 2006, grazie soprattutto alla lotta contro l'evasione fiscale. Le maggiori risorse furono utilizzate per ridurre le imposte a famiglie e imprese (il cosiddetto «tesoretto»), ma anche a garantire il rispetto dei parametri dell'Unione Europea sul debito pubblico e sul rapporto deficit PIL.
Il 34 per cento dell'extragettito derivò infatti direttamente dagli interventi contro l'evasione fiscale attuati con la legge finanziaria 2007 e dal miglioramento della tax compliance.
Le politiche di contrasto all'evasione fecero rientrare complessivamente nelle casse dello Stato 20 miliardi tra il 2006 e il 2007 ed anche la stessa Finanziaria 2008 prevedeva un aumento del 12,5 per cento annuo dei controlli effettuati: dai 350 mila del 2007 ai 500 mila nel 2010, predisponendo


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contestualmente procedure più efficaci per gli accertamenti ed un forte potenziamento degli organici.
Con il nuovo governo di centrodestra, nonostante i proclami elettorali del Presidente del Consiglio contro l'evasione, si è subito manifestata una rapida inversione di tendenza rispetto alle politiche di contrasto all'elusione fiscale. Indirizzi che si sono concretizzati in particolare con la legge 133 del 2008, con la quale il Governo ha abolito molti provvedimenti presi dal precedente esecutivo per contrastare l'evasione fiscale a partire dalla cancellazione della tracciabilità degli assegni, dall'abolizione delle norme sulla tracciabilità dei pagamenti, e dall'obbligo di allegare l'elenco fornitori - clienti alle dichiarazioni dei redditi, oltre alla riduzione delle sanzioni, e dei relativi interessi, per gli evasori totali e parziali.
Misure che sono state criticate anche dalla Corte dei conti, che ha rilevato una netta inversione rispetto alle politiche settoriali precedenti. L'evasione fiscale, ha affermato il procuratore generale Furio Pasqualucci, rappresenta «un vero e proprio tesoro che, ove acquisito all'erario, risolverebbe non pochi problemi, consentendo una sollecita riduzione del debito, una riduzione della pressione fiscale ed un incremento delle spese in conto capitale tale da rilanciare l'economia».
Tra le proposte presenti nel documento vi è quella di un concordato preventivo di massa basato su «un'attenta analisi della realtà produttiva italiana, da aggiornare periodicamente anche in funzione dei cicli dell'economia, per giungere a una definizione dei differenti settori di riferimento e di livelli reddituali, territorialmente distinti, riferibili ai soggetti che operano in tali settori».
Nella relazione però l'articolazione di come quest'attenta analisi andrebbe effettuata non è spiegata. Non si tratta di un problema minimo, come evidenzia la vicenda degli studi di settore sui quali la relazione afferma che «si sono rivelati ancora una volta uno strumento particolarmente rigido, non in grado di cogliere le specificità, anche territoriali, che caratterizzano i singoli contribuenti».
Conseguentemente, se gli studi di settore, che si fondano su basi dati estremamente dettagliate e su un apparato tecnico-statistico particolarmente sofisticato, non sono stati in grado di cogliere le specificità settoriali, con quali metodologie e basi dati ci si dovrebbe riuscire per realizzare l'attenta analisi prodromica al concordato preventivo di massa?
Il rischio risultante è che questa operazione si risolva o in un gigantesco condono o in una griglia di «offerte» al contribuente così grossolana ed iniqua da essere del tutto inutilizzabile.
Il documento in esame, dopo aver esaminato storia e struttura dell'Amministrazione Tributaria, afferma che «la governance della lotta all'evasione debba rimanere in via esclusiva agli organi dello Stato, gli unici che per norma e per mandato ne hanno la diretta responsabilità. Essi devono richiedere ai partner tecnologici di realizzare al meglio ciò che a loro viene chiesto». Il principio espresso è evidentemente corretto e pienamente condivisibile, ma la sua attuazione implicherebbe che i non meglio definiti «organi dello Stato» avessero le competenze per esercitare questa funzione di indirizzo nei confronti dei partner, cioè la SOGEI.
La realtà, tuttavia è ben diversa. Nessuno dei due organi che potrebbero esercitare questa funzione (Dipartimento delle finanze e Agenzia delle entrate) ha sviluppato le competenze necessarie per governare effettivamente il sistema di gestione ed utilizzo dei dati. La maggior parte dei dirigenti e la quasi totalità dei vertici, come accennato in precedenza, di queste due amministrazioni è composta da giuristi e funzionari pubblici, di formazione giuridica e assolutamente privi di competenze economiche, statistiche e informatiche. Ne consegue che nei rapporti effettivi tra Agenzia e SOGEI e, ancor di più, tra Dipartimento e SOGEI, sia molto spesso il partner, cioè la SOGEI, a decidere concretamente come intervenire (nell'ambito di generiche direttive


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politiche i cui margini di attuazione sono comunque piuttosto indefiniti) e non viceversa.
Il modo in cui vengono gestite le relazioni tecniche e la discrezionalità lasciata a SOGEI ne sono la diretta testimonianza. Del resto, è inutile nascondersi che questo schema funziona perfettamente anche per l'autorità politica, che spesso si limita a chiedere un risultato finale (ad esempio, che la relazione tecnica evidenzi l'assenza di perdite di gettito) delegando completamente a SOGEI la gestione delle tecnicalità.
Non va poi dimenticato come l'attuale governo abbia ulteriormente peggiorato questa situazione, allontanando tutti o quasi gli economisti che lavoravano al Dipartimento, mentre si appresta ad avallare una riforma dell'Agenzia delle entrate nella quale il ruolo dell'ufficio studi (l'unico dotato delle competenze economiche e statistiche necessarie) viene fortemente ridimensionato.
Sugli studi di settore il documento è poi particolarmente contraddittorio. Dopo aver affermato che il sistema non funziona, si evidenzia che «il software Gerico, com'è noto, ha al suo interno non una sola formula fissa, ma piuttosto svariate migliaia di formule, ognuna calibrata capillarmente su ciascuna tipologia di attività economica» evidenziandone quindi la maggior precisione rispetto ai calcoli per il redditometro.
La rinuncia agli studi di settore che arriva quindi a prefigurare il loro «progressivo superamento» avviene, nel documento, senza aver sviluppato alcuna riflessione approfondita sui possibili miglioramenti nella governance e nella gestione tecnica dello strumento, e ignorando del tutto, ad esempio, le conclusioni e le indicazioni della cosiddetta commissione Rey che aveva segnalato, tra l'altro la necessità di rendere lo strumento degli studi di settore più chiaro e trasparente, migliorando così anche il rapporto tra fisco e contribuente.
Rinunciare agli studi di settore, senza prendere in esame una loro, peraltro necessaria, riforma organica rappresenta quindi una forzatura unilaterale e la rinuncia ad un sistema di confronto e concertazione che si è posto come obiettivo il rapporto corretto e virtuoso fra contribuente e fisco.
Il documento, dopo aver elencato le numerose lacune del redditometro, prospetta la possibilità di un nuovo redditometro «profondamente diverso da quello oggi vigente, e basato sulla universale capacità dello strumento di calcolare in modo automatizzato e verso chiunque il reddito presunto in base al tenore di vita».
Si tratterebbe, infatti, «di individuare, rispetto alla tabella di redditometro odierno, un nuovo paniere di beni e servizi da assoggettare a un calcolo automatico che possa essere eseguito "a tavolino", allo stesso modo in cui l'odierno redditometro già funziona singolarmente con l'autovettura. La formula di calcolo dovrebbe essere costituita da un software abbastanza complesso, da costruire con l'ausilio di sofisticate tecniche statistiche e previa approfondita elaborazione su base econometrica».
Anche in questo caso va rilevata l'assoluta mancanza di una analisi complementare sulle strategie che concretamente dovrebbero essere attuate per analizzare i dati e produrre questo nuovo redditometro. Per l'efficiente funzionamento del redditometro, non c'è solo il problema del mancato aggiornamento del Pubblico registro automobilistico (PRA), delle intestazioni fittizie e del mancato collegamento tra le basi dati.
Il problema fondamentale di qualsiasi strumento che deduca il reddito a partire dal consumo è rappresentato, in un paese come l'Italia, dagli altissimi tassi di evasione dei consumi. Questo problema diviene ancora più acuto se si pensa di ampliare il redditometro ad un «nuovo paniere di beni e servizi», e non è certamente risolutivo affidarsi a non meglio identificate tecniche statistiche ed econometriche.
Emerge, anche in questa occasione, il fatto che per disegnare una politica antievasione non basta ottenere i dati, ma sapere anche come utilizzarli, ad esempio, per arrivare ad un censimento territoriale


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dell'evasione dei consumi incrociando l'Indagine sui consumi delle famiglie italiane dell'ISTAT con i dati del quadro VT della dichiarazione IVA. Al riguardo, risulta quindi vana la speranza che il nuovo redditometro venga elaborato in modo tale «da rendere impercettibile» al contribuente il collegamento tra il consumo e il reddito presunto.
Sandro Trevisanato, presidente della SOGEI intervenuto in audizione presso la Commissione parlamentare di vigilanza sull'anagrafe tributaria, ha dichiarato: «le leggi finanziarie 2007 e 2008 hanno avviato una serie di interventi sul sistema della fiscalità allargato che, partendo dalle opportunità offerte dalle tecnologie informatiche, dovrebbero delineare un sistema integrato e coordinato di gestione delle banche dati tributarie, al fine di valorizzare il patrimonio informativo, razionalizzarne i processi di governo e potenziare i sistemi di controllo centrali e locali. La normativa attuale recepisce, quindi, le istanze di regioni ed enti locali, di fatto disponendo la trasmissione massiva di dati dal sistema centrale della fiscalità verso la periferia. Tale soluzione, però, è estremamente onerosa. Essa implica, infatti, notevoli costi per la necessità di replicare le banche dati con le correlate misure di sicurezza e complicazioni gestionali dovute al naturale disallineamento che si produce nel tempo tra l'archivio di origine e le sue repliche totali o parziali. Ritengo, perciò, che l'attuale approccio vada rivisto, sfruttando meglio la leva tecnologica che oggi consente una maggiore facilità nell'accesso e nello scambio dei dati fra soggetti della fiscalità, ciascuno identificato per l'esercizio delle rispettive funzioni istituzionali».
«Sarebbe opportuno - ha suggerito il presidente della SOGEI -, a tal fine, prevedere specifici interventi normativi e regolamentari i quali permettano, a livello centrale, di acquisire in modo pianificato, strutturato e sicuro le informazioni provenienti, ciascuno per la propria competenza, da tutti gli attori del sistema della fiscalità allargata; a livello locale, di accedere a tali informazioni, ogni ente per i propri fini di indagine e per la propria competenza, utilizzando gli strumenti forniti dall'amministrazione».
Il direttore generale ha poi posto l'attenzione non soltanto sull'elaborazione quantitativa dei dati, ma su un suo utilizzo qualitativo per garantire «un contrasto efficiente ed efficace» all'evasione fiscale. Fabrizia Lapecorella ha inoltre manifestato la necessità di perseguire politiche di lotta all'evasione calibrate sul modello «Italia»: «Si tratta - ha precisato elencando i dati - indiscutibilmente di un fenomeno di portata molto ampia.. È opportuno, quindi, che la strategia di contrasto all'evasione fiscale sia commisurata alle caratteristiche del fenomeno, che è enorme. Le criticità del disegno di strategie efficienti ed efficaci per il contrasto all'evasione di massa, un fenomeno così pervasivo, sono riconducibili a vari fattori».
«Tra questi, credo sia importante sottolineare le caratteristiche strutturali dell'economia produttiva italiana che, come sappiamo, è contrassegnata dalla polverizzazione del sistema produttivo e da una prevalenza di lavoro autonomo. Alle caratteristiche strutturali dell'economia del nostro paese si aggiungono quelle dell'economia globale che è, ormai, caratterizzata dalla liberalizzazione degli scambi e delle transazioni anche finanziarie. Un altro elemento di criticità è rappresentato dal progresso tecnologico che comporta, tra le tante conseguenze, anche la dematerializzazione della ricchezza. Un'ulteriore criticità è data dai vincoli di risorse a disposizione dell'amministrazione finanziaria che non sono illimitate. Davanti a un fenomeno così complesso quale quello dell'evasione fiscale di massa esiste, comunque, un vincolo: l'amministrazione finanziaria può impegnarsi nell'attività di contrasto compatibilmente con i vincoli delle risorse umane, finanziarie e tecnologiche di cui dispone. Un ulteriore elemento di criticità risiede nel funzionamento della giustizia tributaria. Infatti, il risultato dell'azione amministrativa di contrasto e accertamento finisce spesso in un contenzioso e, poiché l'esito di tale contenzioso ha tempi molto lunghi ed è imprevedibile,


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questo pezzo del sistema non funziona come deterrente rispetto alla scelta di evasione dei contribuenti».
Da queste testimonianze si evince quindi la necessità di elaborare strategie di lotta all'evasione che mettano realmente a sistema i dati in possesso dei soggetti preposti al controllo fiscale in ottica qualitativa ed interpretativa più che quantitativa avvalendosi di competenze e risorse umane e finanziarie specifiche. Una elaborazione che deve essere necessariamente accompagnata da indirizzi politici chiari ed efficaci che tengano in considerazione il modello Italia e le caratteristiche strutturali della sua economia.

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