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Seduta del 6/7/2011


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Audizione del professor Raffaello Lupi, ordinario di diritto tributario presso l'Università di Roma.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno prevede l'audizione del professor Raffaello Lupi, ordinario di diritto tributario presso l'Università di Roma.
L'audizione si inquadra nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'anagrafe tributaria nella prospettiva del federalismo fiscale.
Cedo la parola al professor Lupi, con la riserva per me e per i colleghi di rivolgergli, al termine del suo intervento, eventuali domande o di formulare talune osservazioni.

RAFFAELLO LUPI, professore ordinario di diritto tributario presso l'Università di Roma. L'anagrafe tributaria tendenzialmente è gestita dall'Agenzia delle entrate, dagli organi centrali, non è un aspetto del federalismo fiscale. Quanto c'è di tributario nel federalismo fiscale? L'ambito fiscale è più grande dell'ambito tributario: contiene tutte le entrate non tributarie, tutto il mondo delle tariffe, acqua, ACEA, luce, trattamento rifiuti, e comprende anche i trasferimenti dello Stato centrale.
Il federalismo fiscale mi pare più un problema di allocazione di trasferimenti che arrivano dai tributi erariali per finire in una cassa che poi li redistribuisce con il criterio dei costi standard. L'elemento più rivoluzionario mi sembra quello dei costi standard, che non ha nulla di tributario. Qual è la parte tributaria del federalismo fiscale? Dove le aziende non arrivano, siccome le tasse vengono pagate solo se qualcuno lo chiede, è necessario che qualcuno lo faccia (come sono gli esattori secondo quello che ho scritto nel libro e che non ripeto per questione di tempo). Domandare alle aziende di chiedere le tasse per conto dello Stato va bene finché funziona; è un mondo molto simpatico, in cui se scrivo qualcosa sulla Gazzetta Ufficiale le aziende lo rispettano e i soldi arrivano. Dove, però, le aziende non arrivano, non arriva nessuno. Lo stesso avviene laddove i loro titolari mentono come nel capitalismo familiare, per esempio. Prima Si tassano i dipendenti, ma si lasciano per sé i margini di flessibilità residua, per fare la cresta e nascondere il proprio, fino a quando quei dipendenti non creino problemi. Questo però è un altro film, relativo alla tassazione attraverso le aziende. Qui, però, parliamo della tassazione attraverso gli uffici tributari, che è quella che non funziona in questo Paese, perché la facilità con cui si chiede ad altri di riscuotere le tasse ha atrofizzato la muscolatura della richiesta statale delle imposte. La stessa idea di autotassazione è una stupidaggine: la tassazione non è mai «auto», è sempre «etero», nel senso che le tasse vengono pagate se c'è qualcuno che ne richiede il pagamento.


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Abbiamo mandato le aziende, nella misura in cui sono rigide, a chiedere le tasse; l'azienda in realtà non esiste, si tratta piuttosto di gruppi di persone in cui nessuno si può prendere la responsabilità di nascondere. Ovviamente, il padrone, nella misura in cui può padroneggiare, tassa i dipendenti e i consumatori ma non sé stesso. È come comprare i prodotti dalla Cina a un euro dal fornitore vero, mettere in mezzo un fornitore finto che li fattura a un euro e mezzo.
Passiamo agli aspetti tributari del federalismo fiscale. I comuni dovrebbero chiedere le imposte dove le aziende non arrivano perché sono vicini al territorio, vedono le botteghe, rilasciano le licenze e le DIA: se qualcuno esegue un lavoro in un appartamento, i vigili urbani lo vedono e si può verificare se ci sono le fatture o se il lavoro viene svolto in nero. I vigili certamente notano se è stata chiusa un'enoteca ed è stata aperta una sala bingo; vedono se qualcuno gira per il comune con un furgone con la scritta «infissi in alluminio». Insomma, far gestire lo spesometro all'Agenzia delle entrate, che ha un ufficio provinciale, ad esempio, a Bergamo, per tutta la provincia, non avrebbe senso: se c'è un unico ufficio provinciale a Bergamo, in Val Brembana c'è un paradiso fiscale, perché non c'è nessuno che controlla. Chi lo vede il cittadino che circola con la Ferrari in Val Brembana? L'ufficio comunale funzionerebbe meglio, se vogliamo gestire la fiscalità non in senso ragionieristico-contabile, mentre la tassazione attraverso le aziende ha un modello ragionieristico-contabile. Se noto che le aziende si tengono la contabilità, usufruisco di quel sistema e chiedo loro di recuperare i soldi anche per me su ciò che registrano. Dove però le aziende non arrivano, non ha senso il modello della contabilità. Bisogna, come ha sempre fatto il fisco, andare a spanna, ad occhio. La tassazione è sempre stata così, prima della tassazione dei conti attraverso le aziende. Avete visto quello che è successo con i prelevamenti? Erano vent'anni - questo è un discorso fra tributaristi - che si diceva che prelevando dal conto si trattava di ricavi neri. Era giusto in caso di versamento, ma non di prelievo! Comunque, sono stati eliminati.
Tutti questi indizi di tipo finanziario non sono elementi di somme e sottrazioni come in un conto «dare e avere» ma sono fonti di presunzioni. Non esiste il CUD degli autonomi. Sono indizi numerici che vanno gestiti e valutati: ed è questo ciò che non sanno fare, non per colpa dell'Agenzia delle entrate, ma perché la nostra cultura tributaristica prevede come modello l'azienda e tassa allo stesso modo il bancario e il gioielliere. È chiaro che così non funziona. I gioiellieri alla fine non vengono tassati per niente. Siccome non si possono tassare in un certo modo, siccome si richiama la capacità contributiva, si parla di somma e sottrazione, ricavi meno costi, alla fine nemmeno il gioielliere stesso sa esattamente quanto ha guadagnato; prendeva i soldi e li spendeva, non aveva motivo di dare conto a sé stesso dei propri guadagni. La contabilità degli autonomi non ha senso perché non serve a loro, serve solo al fisco. Chi interviene laddove non arrivano le aziende? L'assessore al bilancio del comune di Roma può confermare che la gestione della TARSU o dell'ICI, nel momento in cui ci sono tre milioni di contribuenti e non ci sono in mezzo aziende, è molto difficile; bisogna diventare azienda in prima persona, con costi di gestione che, riferiti a duecento euro di TARSU o di DIA, o di DIA 2, sono esorbitanti. Chi può farlo, però, se non lo fanno gli enti locali? Si deve considerare lo squilibrio della tassazione attraverso le aziende, i nostri malesseri sociali, il mal di pancia dei sindacati. I sindacati, effettivamente, sono rappresentanti di coloro che vengono più facilmente tassati attraverso le aziende e si rendono conto che il padrone li tassa, obbligato dal fisco, mentre tiene per sé dei margini per sfuggire. Le aziende in Italia non godono di buona fama, al contrario degli imprenditori. L'azienda non è nella nostra cultura. È giusto quindi che i sindacati sentano il malessere; è giusto che si dica da vent'anni che è necessaria la riforma, anche se siamo sempre allo stesso punto. Se tutto


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viene spiegato attraverso l'onestà e la disonestà, non si può dire che le aziende sono buone. L'azienda va benissimo come capro espiatorio, ma ha un solo difetto: è innocente. Il problema, semmai, in alcuni casi riguarda le persone che la possiedono. Quello che è successo non è il frutto di una deliberata volontà politica che ha tenuto i fili della tassazione attraverso le aziende per un'oscura volontà perversa. È successo così perché nessuno ci capiva nulla, perché in materia tributaria non abbiamo un'accademia. Gli accademici più svegli fanno gli avvocati. Gli economisti sanno sistematizzare le vicende della società, ma non hanno la conoscenza delle aziende, dei meccanismi giuridici; non comprendono la differenza tra un pasticciere e la Ferrero; procedono tramite schemi e grafici che attengono all'esame di Economia 1, insomma, non arrivano alla spiegazione di cosa succede in materia tributaria. I giuristi fanno gli avvocati - il caso professionale, l'interpello sui soggetti il cui esercizio non coincide con l'anno solare - ma non spiegano: quindi c'è un buco nero enorme. Le istituzioni vanno alla cieca, cercano di cavalcare la conferenza stampa del giorno dopo e poi chi vivrà vedrà. Farei anch'io in questo modo: quando si agisce diversamente, se non si è in grado, si fallisce. Le persone a cui si è fatto un favore, mantengono il silenzio, allineati e coperti per evitare di precludersi la possibilità di chiedere altri favori. In politica, poi, domina l'ingratitudine. Quelle persone, invece, alle quali si è creato uno svantaggio creano problemi. Se si fanno dieci interventi, ognuno dei quali avvantaggia un 90 per cento e svantaggia un 10 per cento, beccando sempre un 10 per cento diverso, si perdono le elezioni. La politica non è la sistematizzatrice della tassazione attraverso le aziende o attraverso gli uffici. La politica si occupa della coesione sociale e del consenso. In questi termini ognuno può fare quello che vuole, perché il consenso va preso... à la guerre comme à la guerre. Parliamo di politica e quindi è meglio prendere più voti rispetto a un altro candidato. Può essere del tutto legittimo inoltre considerare la lotta all'evasione come strumento di lotta politica, quale surrogato della vecchia lotta di classe. Se un soggetto è di non so quale schieramento, passa da un padrone sfruttatore a un padrone evasore, conquista uno o due punti percentuali in più e le elezioni vanno meglio. L'importante è che non ci crediamo noi quando lo facciamo; «a caval votato non si guarda in bocca», ma non bisogna crederci. La spiegazione non è questa. Si può usare l'argomento in una tribuna politica, ma non bisogna crederci. Come diceva Befera, il problema non è la lotta all'evasione, ma è la richiesta delle imposte dove le aziende non arrivano. In questo caso chi va a chiedere i soldi? Quando c'è un milione di persone fisiche che devono pagare l'ICI, come ci organizziamo a Roma? A quel punto dobbiamo fare noi l'azienda. Quando ci sono 800 mila autonomi non congrui e coerenti con gli studi di settore, bisogna che qualcuno vada e chieda come mai una pasticceria ha soltanto dieci mila euro di ricavi l'anno. Non si può, però, immaginare un'impalcatura contabile sopra all'idraulico, sopra al pasticciere, sopra alla persona fisica, col contrasto di interessi che prospetta di dedurre il parrucchiere così poi da farlo segnalare. Non si può trasformare in ragioniere ogni contribuente italiano solo perché c'è la tassazione attraverso le aziende. Si dice che la tassazione attraverso le aziende funziona perché hanno la contabilità. Non è detto che funzioni allo stesso modo se viene messa la contabilità su tutti. Le aziende hanno la contabilità perché ne ammortizzano i costi, essendo più grandi. Non si può caricare un adempimento contabile su chi è piccolo perché non solo non ne sopporta i costi, ma non ha le rigidità. Nella contabilità scrive quello che gli pare, tanto la stessa persona è direttore amministrativo, fattorino, autista, direttore di produzione e direttore vendite. Eppure fa il pasticciere. Il commercialista non ha mai visto la pasticceria; una volta al mese telefona e chiede quanti sono i ricavi da segnare. Non ha senso l'imitazione delle aziende. Chi deve andare, allora, dal pasticciere? I vigili urbani, altrimenti non se ne viene


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fuori. Per questo, nel federalismo fiscale bisogna dire che gli enti locali devono richiedere le imposte. Diversamente le imposte non vengono chieste da nessuno. Gli enti locali si devono improvvisare tassatori; invece non vogliono chiedere le imposte, ma vogliono i soldi. Gli enti locali sono vicini agli elettori, alla comunità. Io credo nel federalismo nel complesso, nel localismo, nella sussidiarietà. È sempre stato così, tutto sommato: le piccole comunità si sono sempre autorganizzate. Nella storia l'economia agricolo-mercantile-artigianale è tutta locale. I grandi mercanti e i grandi banchieri erano pochi per i consumi di lusso, ma il 90 per cento della popolazione era formata da contadini, fabbri, allevatori o rivenditori al mercato del posto. La politica era una cosa che stava molto lontana, riservata alle classi dirigenti che erano ricche e che allora potevano andare a combattere per l'indipendenza greca. Il contadino invece stava lì a coltivare il terreno. Gli enti locali - non so se ci avete mai pensato - erano dei tassatori per conto dello Stato; si chiedeva alle comunità locali di tirare fuori un tot per la contribuzione: un tot di soldati o un tot di quattrini. Allora, le comunità locali, col sistema a ripartizione, si tassavano. Non c'erano gli uffici periferici dell'organo centrale, ma le comunità locali svolgevano, in buona parte, quel ruolo di intermediazione tra singoli contribuenti e Stato che oggi svolgono le aziende. Gli Stati antichi non chiedevano le imposte ai singoli commercianti o coltivatori, ma chiedevano le imposte attraverso le collettività locali, perché erano collettività locali coese, ci si conosceva, si andava alla messa tutte le domeniche, c'era un controllo reciproco. Quando al gruppo venivano chiesti, ad esempio, tot fiorini, attraverso il giro di conoscenze si riusciva a trovare il denaro in un modo tendenzialmente equo, non contabile, ovviamente, ma equo, sentito e condiviso dal gruppo. Adesso quella collettività locale si è frantumata, almeno nella società urbana, e questo non funziona più. Non si conosce nemmeno chi abita nello stesso pianerottolo. Quel sistema, quindi, non può più funzionare: dovrebbe essere compito dei vigili urbani o di qualcun altro.
Il presidente parla sempre del gettito. Potrebbe anche accadere che le necessità di gettito fossero la metà. Immaginiamo che il debito pubblico ce lo rimettano tutti, che in un momento di bontà nessuno voglia più i soldi dello Stato italiano, che ci sia una grande sopravvenienza attiva di 2.500 miliardi di euro e che, quindi, servano meno soldi. In ogni caso, non li si può chiedere solo attraverso le aziende, perché c'è una fetta di popolazione importante che non passa dal circuito della richiesta attraverso le aziende. Questa fetta di popolazione non verrebbe mai tassata, nemmeno se la pressione fiscale fosse il 20 per cento del PIL. Quel 20 per cento dovrebbe essere ripartito in modo perequato. Se chiediamo alle aziende di prendere i soldi da chi fa la spesa al supermercato, ci può stare, ma sui loro dipendenti: il problema grosso è il sostituto di imposta: chi tassa chi non è dipendente, ma è fisioterapista, barbiere, parrucchiere? C'è un problema di tassazione perequata che prescinde dal gettito. Anche se ci fosse bisogno di meno quattrini, bisogna cercare di riscuoterli in modo non ragionieristicamente minuto, alla lira, perequato. L'idea ragionieristica, minuta, perequata è una sciocchezza indotta dalla tassazione attraverso le aziende. Non si può esportare la cultura del Cud su tutta l'Italia: diventeremmo matti. Il barista pagherà sempre un po' meno imposte del bancario; a questo possiamo rassegnarci, perché il bancario lo tassiamo alla lira e il barista no. Siccome è molto più facile non tassare qualcuno su un reddito che ha, piuttosto che tassarlo sul reddito che non ha, il barista pagherà sempre un po' meno, ma dobbiamo stare attenti a non esagerare. Non si può dire a qualcuno che paga per un reddito che non ha di considerare che qualcun altro non paga per un reddito che ha. È abbastanza intuitivo che, essendo la pietra di paragone quella analitica e contabile con cui si tassa il 70 per cento della popolazione alla lira, non si può dire che dove si pialla si fa


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segatura. Non si può imporre, per esempio, a un salumiere che ha un tot di metri quadri e un tot di dipendenti la stessa tassazione del commerciante accanto che invece guadagna il triplo: questo meccanismo non funziona. Dove le aziende con i loro conti non arrivano si deve valutare: o si fa così o non se ne viene fuori. È necessario che qualcuno valuti, con tutte le difficoltà organizzative che emergono quando i soggetti da valutare sono 800.000 e con tutti i problemi dei rapporti con i singoli contribuenti, ognuno dei quali comporta una grana. Nella tassazione attraverso le aziende è tutto facile. Basta scrivere una norma in Gazzetta Ufficiale e subito arriva il jackpot, come dicevamo prima: le aziende fanno tutto e portano i soldi. Nessuno si è sporcato le mani bussando alla porta dei cittadini per chiedere se hanno pagato l'ICI. A san Giovanni a Roma è un fiorire di affitti in bed & breakfast, affitti a studenti. Ma qualcuno paga le tasse? È necessario un controllo. Con l'idea ragionieristico-contabile, con l'indisponibilità del credito tributario, il vigile urbano ha paura di andare a chiedere. C'è chi fa finta di niente, chi fa finta di non capire, chi dice di essere un amico del proprietario, di trovarsi lì per caso. Sono, senza dubbio, problemi. A questa area i soldi non li chiede nessuno. Una cosa che si potrebbe fare sull'anagrafe tributaria è vedere i dati della cedolare secca, con la registrazione dei contratti. Secondo me, c'è stato un exploit di registrazioni di contratti, perché è stato sfruttato, finalmente, il contrasto di interessi fra inquilini e proprietari: se non viene registrato il contratto, l'inquilino ha diritto di stare in affitto a un canone risibile; chi lo ha capito ha fatto la corsa a registrare i contratti. E il fisco non ha fatto nulla. Quando il fisco trova un contrasto di interessi fra i privati, succede che fra i due litiganti il fisco gode.
Il meccanismo può ancora funzionare da solo. Le ristrutturazioni edilizie avrebbero funzionato se ci fosse stata una segnalazione incrociata fra cliente e fornitore, invece di quella stupida ritenuta del 10 per cento che adesso è stata fortunatamente abbassata, perché mandava tutti a credito. C'era tantissima gente che emetteva le fatture ma non le registrava. Le fatture non venivano mai controllate. Quante volte mi è stato detto che mi rilasciavano la fattura perché tanto non c'era nessun controllo.
Capisco l'idea politica dello spesometro - geniale per lenire il malessere sociale, le contrapposizioni - sebbene sul piano della determinazione della ricchezza non funzioni. Quando ce ne accorgeremo chissà dove saranno coloro che ci hanno pensato, quindi è un problema dei posteri.
Penso a Goria, al 1993, laddove c'era la stessa idea che si potesse ricostruire il reddito attraverso le spese. È un meccanismo che non funziona, sembra il grande fratello (scemo, però). Se un contribuente fa il pasticciere, non ci vuole il premio Nobel per capire che bisogna andare a vedere la pasticceria. I sostituti di imposta, le aziende e gli enti pubblici piuttosto che segnalare solo l'avvocato, solo i professionisti, dovrebbero segnalare anche il falegname, gli artigiani. Tutti coloro che vogliono dedurre una spesa di tipo non aziendale, cioè che viene da un autonomo, da qualcuno soggetto agli studi di settore, devono dichiararlo. Gira credibilmente l'idea che quelli che si sono occupati del trasloco dell'Agenzia delle entrate dall'Eur a via del Giorgione dichiaravano - certo, avevano emesso la fattura, altrimenti non avrebbero beccato nemmeno un centesimo - un volume d'affari inferiore alle fatture emesse. Insomma, fatturavano dieci ma avevano un volume d'affari pari a otto. Non era possibile. Siccome non c'è una segnalazione, se faccio la fattura mi fanno la ritenuta, quindi c'è la ragionevole aspettativa (in realtà non funziona neanche quello) che mi incrocino: se io prendo 100.000 euro da Benetton, non si tratta tanto della ritenuta che può essere anche pari a zero, ma Benetton dichiara all'Agenzia delle entrate di avermi dato quella somma. L'incrocio avviene con il vecchio modello 770. Il fisco, dunque, saprà che Raffaello Lupi ha preso 100.000 euro. Raffaello Lupi sa che il fisco ne è a conoscenza e, quindi, tendenzialmente li


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dichiara. Se io, invece, sono il falegname che fa la fattura alla signora Rossi, posso anche non registrare quella fattura. Accade molto spesso. Anche i rumeni che fanno ristrutturazioni rilasciano tante fatture. Potremmo costringere la signora Rossi a fare la segnalazione solo se le diamo qualcosa in cambio con cui lei paga il commercialista o il CAF che fa la segnalazione. Premesso che non si può trasformare la signora Rossi in ragioniera, bisogna darle dei soldi, una deduzione, e magari anche una sanzione se non segnala. Bisognerebbe, insomma, usare il metodo del bastone e della carota. Se la signora fa la segnalazione, riceverà il denaro per pagare il ragioniere che segnalerà al fisco che la signora ha avuto la spesa per il medico, il ristrutturatore e così via. Bisogna concedere una detrazione, ad esempio del 27 per cento. Per questo veniva fuori il 40 per cento che adesso è sceso al 36 per cento. Quello che manca è la punizione. Bisognerebbe fare come con i contratti di locazione e prevedere, ad esempio, che senza fattura non sia possibile fare causa. Se ad esempio, dopo aver rifatto il bagno, si scopre che il pavimento è allagato, si può fare causa a chi ha eseguito i lavori solo se si esibisce la fattura. È necessario penalizzare in altri modi, non si possono solo dare soldi, perché il potere contrattuale dell'idraulico è più alto di quello dell'Agenzia delle entrate: l'idraulico nel piatto ha il 10 per cento di previdenza, il 20 per cento di IVA e, diciamo, un 30 per cento di Irpef. Inoltre, c'è un rapporto intimo con il cliente. L'idraulico, insomma, ha mille mezzi di pressione. La detrazione da sola non basta, è necessaria anche una punizione. Si può prevedere, per esempio, che poiché tutti gli impianti devono essere certificati, la certificazione dovrà essere accompagnata dalla fattura. Si devono cercare delle penalizzazioni extra tributarie per indurre la vecchietta a prendere la detrazione. C'era la logica dello scontrino fiscale, ma veniva applicata cretinamente: ricordo la multa di 400 mila lire al bambino che aveva comprato le caramelle. Se però quella logica viene applicata a spese di 3-4.000 euro, può andare bene. Se è già difficile parlando di persone fisiche, farlo fare alle aziende lo è ancora di più. Nel modello 770 devono essere inseriti anche i piccoli commercianti e gli artigiani. Invece, abbiamo creato questo spesometro in cui Telecom segnalerà l'Enel per le fatture dell'energia elettrica delle sue sedi, e io dovrò segnalare quelli che mi fanno la ritenuta d'acconto. Non ha nessun senso. È un cilicio fiscale collettivo, ma una colossale perdita di tempo. Politicamente può andar bene, si può sfruttare l'effetto di annuncio, può durare due o tre anni, o quel tanto che basta perché la gente dimentichi, però è destinato a non funzionare. Si poteva fare invece una scelta più mirata. Il fisco è come il mare: il pesce grosso segnala quello piccolo, cioè l'azienda strutturata che paga le fatture di chiunque sia piccolo deve segnalarlo. Non mi interessa la differenza tra lavoratore autonomo e non. Perché devo segnalare di aver dato al notaio 30 euro per una stupidissima autentica di firma e non devo segnalare l'idraulico a cui do 15 mila euro, solo perché l'idraulico è imprenditore e il notaio è lavoratore autonomo?
Questo si può fare nel circuito della tassazione aziendale, che può ancora dare parecchio. Le aziende hanno informazioni che nessuno chiede loro e che potrebbero essere utilizzate senza fare nulla, così come non si è fatto nulla per le cedolari secche. È stato solo imposto l'obbligo di registrare i contratti, ma l'Agenzia non ha fatto nulla, non è andata a bussare alla porta per chiedere l'ammontare dell'affitto. È un meccanismo interprivato. Dove questo meccanismo non arriva deve intervenire il vigile urbano. Quando il meccanico, l'artigiano comincia a essere segnalato anche dalle aziende, allora c'è un elemento molto più incisivo degli studi di settore per gestire la parte di lavoro fatta con i privati. Se un trasportatore o un tassista ha 30.000 euro di volume d'affari, che quindi sarebbe congruo, ma poi si scopre che lo ha fatto solo con le convenzioni con l'albergo, con l'Agenzia delle entrate, con la Fiat, allora è ovvio chiedersi se non ha fatturato nemmeno un


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euro con i privati. Quindi, o è verosimile che abbia lavorato solo per loro perché gli hanno dato parecchio lavoro, o bisogna chiedersi se è possibile che non abbia lavorato nemmeno per un solo privato. Diventa un elemento di visibilità importante, perché quando si andrà a fare una valutazione da parte degli enti locali o della stessa Agenzia delle entrate ci sarà una determinazione di ragionevolezza, di credibilità per ordine di grandezza di quanto ha dichiarato questo signore. La segnalazione attraverso le aziende diventa un elemento di valutazione per la parte di lavoro verosimilmente esistente che il lavoratore ha eseguito o meno verso privati, dove per privato intendiamo la persona fisica che non vuole pagare l'Iva.

PRESIDENTE. Professore, lei è una miniera di informazioni. Tutto quello che lei dice è interessantissimo, la sua è stata un'informativa a 360 gradi, preziosa e piena di suggerimenti e chiarimenti, però abbiamo tempi stretti.
Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

GIAMPAOLO FOGLIARDI. Professor Lupi, dei tantissimi temi che ha affrontato ne ho focalizzati due, sui cui in passato, per la mia esperienza, ero piuttosto scettico. In primo luogo, secondo lei i sostituti d'imposta sono un settore da incentivare, da ampliare. Le ritenute d'acconto non devono riguardare solo il commercialista, l'avvocato, il notaio, ma anche l'idraulico e l'elettricista. Inoltre, non si può solo ricorrere alle aziende ma disporre di altri strumenti. Il secondo passaggio è relativo agli enti locali, al ruolo dei vigili urbani, alla vicinanza sul territorio. Io batto sempre il tasto - lo sanno il presidente e il collega D'Ubaldo - su una questione che mi era rimasta impressa dagli studi e che ho poi verificato come amministratore pubblico. L'ente locale, sul territorio, della tassazione fa anche un problema di «clientela», di privilegio politico, di simpatia. Non voglio pensar male, ci mancherebbe altro, però accade che si pensi a un soggetto come a un proprio iscritto cui bisogna dare una mano, perché magari è in difficoltà. Il motivo per cui la riforma del 1973 portò le tasse dagli enti locali a livello centrale - potrei raccontare tantissimi aneddoti, perché mio padre era sindaco e in piazza c'erano code di gente per la tassa famiglia - è che il legislatore ritenne non fosse più possibile mantenerle a livello locale e fosse necessario accentrarle a livello nazionale. Mi fermo qui, anche se si potrebbe parlare a lungo.

LUCIO ALESSIO D'UBALDO. Se ho ben capito, il fulcro del suo ragionamento è che occorre chiedersi chi va a scovare il reddito che non si dichiara, chi va a chiedere le tasse dove le aziende non arrivano. Tralascio quello che lei ha citato in premessa, non perché lei non abbia il diritto di dirlo o di scriverlo, ma per una mia pregiudiziale post-ideologica: non sono affatto convinto che la formula del federalismo possa aiutare, perché di fatto sta diventando una mega illusione, un gioco di luci che serve a ciascuno per immaginare un vantaggio. Questo non può funzionare e di fatto non funziona. Lei però afferma che abbiamo la grande opportunità - questo è vero - di attrezzare il territorio e chi lo presiede o lo presidia, quindi sono le autonomie territoriali sancite dalla Carta costituzionale a dover rappresentare la nuova frontiera. Mettendo insieme i due concetti, uno dei vettori della sua proposta è di attrezzare l'ente locale ed emblematicamente sarà il vigile urbano che andrà a verificare cosa succede. Questo in realtà non solo non avviene, ma è difficile immaginarlo e nessuno, al momento, lo sta immaginando. A me è capitato di discutere un giorno in una confidenza salottiera con un anziano signore, che è stato sindaco della città di Roma, il quale mi ha detto qualcosa che, francamente, mi ha sorpreso. Parliamo di una stagione che risale ormai agli anni Settanta. Quando bisognava sgomberare gli alloggi abusivamente occupati occorreva mandare la polizia e i vigili urbani, e secondo la regola i vigili urbani vanno avanti e la polizia sta dietro. Ora, la


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polizia si chiedeva perché dovesse occuparsi dell'abusivo che occupava un appartamento; visto che era un problema del comune, doveva occuparsene il comune. Trattandosi di case popolari, era una questione che atteneva precipuamente all'ente locale. Il vigile urbano, da parte sua, non intendeva occuparsene perché sosteneva che non fosse quello il suo mestiere. Quindi, di fatto, non andavano volentieri a sgomberare gli alloggi né il vigile urbano, che doveva stare in prima fila, né il poliziotto che doveva stare in seconda. Era però necessario fare quegli sgomberi e li si faceva attraverso gli edili della CGIL che, in modo spiccio, erano in grado di ottenere lo sgombero più efficacemente rispetto alla polizia e ai vigili urbani. Questo perché c'era una motivazione di «giustizia» in senso lato: siccome era stato occupato un appartamento che invece doveva essere legittimamente occupato da chi era nella graduatoria regolare del comune di Roma per reddito o per condizione familiare, allora l'abusivo doveva necessariamente andare via. Questa è la motivazione che stava alle spalle, la motivazione che, come sempre, alimentava una ragione per la quale queste operazioni venivano eseguite in via impropria. C'è stata una fase in cui, ad esempio, in una grande città come Roma, gli sgomberi venivano effettuati formalmente attraverso i vigili urbani e la polizia e di fatto attraverso gli edili della CGIL, che erano quelli più «attrezzati» - magari anche fisicamente. Visto che siamo in una fase delicata, il Paese deve fare uno sforzo enorme e deve avere la capacità di mirarlo (anche in palestra si fa uno sforzo, ma non è uno sforzo che produce qualcosa per la società, serve solo a tenersi in forma). Il nostro sforzo deve avere un obiettivo. Se pensiamo che l'ente locale debba avere questa prospettiva, dobbiamo sapere che occorre intervenire perché si modifichi non solo la mentalità, la cultura amministrativa, ma anche il sistema organizzativo. Mi chiedo se questo sia realistico. Ho citato l'esempio degli sgomberi degli anni Settanta perché se diciamo che deve occuparsene il vigile urbano, dobbiamo sapere - chi è passato nei comuni e ha avuto esperienza lo sa - che il vigile non lo farà, perché non ha una formazione adeguata e non vuole averla, perché ha fatto il concorso per entrare nella polizia municipale per dirigere il traffico, fondamentalmente, e controllare la mobilità e non per fare la guardia di finanza di secondo o terzo livello. Inoltre, non c'è nessun sindaco, nessun assessore, nessun presidente di municipio, parlando di una grande città come Roma, che abbia la volontà, il desiderio, il gusto di obbligare i vigili. Ci troviamo allora in una situazione nella quale se intendiamo percorrere questa strada dobbiamo fare una vera rivoluzione. Se dobbiamo avere una mobilitazione dal basso, e quindi un'organizzazione dal basso che sia parallela all'organizzazione del fisco così come oggi lo conosciamo, dobbiamo fare una rivoluzione di tipo amministrativo e di tipo organizzativo. Se questa operazione di tipo amministrativo-organizzativo non siamo in grado di concepirla, prima ancora di realizzarla, allora dobbiamo precisare che questa è, sì, una bellissima e suggestiva idea, ma non possiamo prenderla in considerazione.

PRESIDENTE. Seguendo il ragionamento che faceva poc'anzi il senatore D'Ubaldo, nell'esperienza che ho fatto a Roma ho cercato di coinvolgere il corpo dei vigili urbani in queste vicende. Sono state anche realizzate delle pubblicazioni che contengono qualche spunto scientifico interessante sul federalismo, sul partecipare alla lotta all'evasione, all'attività di accertamento, però non ci sono stati risultati. Il vero problema è anche il prezzo politico che paga un amministratore locale, soprattutto nei piccoli centri: chi segnala un contribuente che non ha pagato le tasse avrà poi il timore di non ricevere il voto del contribuente stesso e della sua famiglia.

RAFFAELLO LUPI, professore ordinario di diritto tributario presso l'Università di Roma. Quello che si perde da un lato non lo si recupera dall'altro.


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PRESIDENTE. Se questo è vero e se è vero anche che il vigile urbano difficilmente svolgerà questo compito, credo che sia difficile pensare che il comune, al suo interno e con le sue risorse, possa realizzare questa attività incisiva. Non si può studiare, allora, un modello di spersonalizzazione del comune? Penso a una sorta di struttura esterna, una sorta di agenzia delle entrate locale, che non abbia nulla a che fare con le articolazioni e le realtà del comune, a cui chiedere, attraverso un contratto di servizio, di svolgere quell'attività. Naturalmente, è tutto da ipotizzare, da creare, da mettere in cantiere, però se si segue questa strada penso che, alla fine, anche l'amministratore locale potrà dire che non è lui a occuparsi di questa attività, ma applica solo le norme di legge.

RAFFAELLO LUPI, professore ordinario di diritto tributario presso l'Università di Roma. Potrà dire che è la legge che lo obbliga a fare questa azione. Questo discorso non fa una piega, è proprio così che bisognerebbe fare.

PRESIDENTE. Credo che, se si mettesse in atto qualcosa del genere, si potrebbero raggiungere dei risultati. Il comune riuscirebbe a recuperare risorse finanziarie, sempre necessarie. Al cittadino l'amministratore potrà dire che sta seguendo una norma di legge e che esiste una struttura autonoma che non dipende dal comune.

RAFFAELLO LUPI, professore ordinario di diritto tributario presso l'Università di Roma. I soldi li prenderebbe il comune, ma se quella struttura non funziona, il Ministero dell'economia, da cui quella struttura indirettamente dipende, non corrisponderà le somme all'ente. Secondo me, la scelta dei vigili urbani non funzionerebbe. Nel caso dei sostituti, non ci deve essere ritenuta ma solo segnalazione; non si può prevedere la ritenuta per i falegnami che hanno dei costi, però la segnalazione si può fare. Se un cliente paga il falegname deve dichiarare quanto gli ha dato, ma non ci può essere ritenuta. Per questo non si è messa la ritenuta sulle imprese, ma solo sui rappresentanti di commercio.

GIAMPAOLO FOGLIARDI. Stanti alcuni orientamenti localistici, la clientela diventerebbe deleteria dal punto di vista elettoralistico - lungi da me pensare a corruzione e cose similari.

RAFFAELLO LUPI, professore ordinario di diritto tributario presso l'Università di Roma. Certo: anche se gli artigiani rappresentassero il 30 per cento e i dipendenti il 70 per cento, se si tassano gli artigiani si perdono i loro voti, e quei voti non vengono ripresi dai dipendenti. Il bilancio del consenso non è un bilancio contabile. Non è detto che si riceva il voto dalle categorie che si sono avvantaggiate, perché quelle hanno altri problemi.

PRESIDENTE. Ringrazio il professor Lupi che avremo modo di incontrare in altre occasioni. Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 9,50.

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