Organo inesistente

XVI LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 3303


PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
LUCÀ, LIVIA TURCO, LENZI, SBROLLINI, CASTAGNETTI, CAPITANIO SANTOLINI, CALGARO, ARGENTIN, BARBA, BELLANOVA, BOCCIA, BORDO, BUCCHINO, BURTONE, MARCO CARRA, CESARO, CODURELLI, CONCIA, D'ANTONA, DELFINO, DI STANISLAO, D'INCECCO, ESPOSITO, FADDA, FERRARI, GARAVINI, GIOVANELLI, GNECCHI, GOZI, JANNONE, LAGANÀ FORTUGNO, LARATTA, GIORGIO MERLO, MIGLIOLI, MINARDO, MOGHERINI REBESANI, OLIVERIO, PEDOTO, PELUFFO, PORTA, ROSSO, ROSSOMANDO, RUBINATO, RUGGHIA, SARDELLI, SCALERA, SCHIRRU, SERVODIO, TIDEI, VELO
Norme riguardanti interventi in favore delle gestanti e delle madri volti a garantire il segreto del parto alle donne che non intendono riconoscere i loro nati
Presentata il 10 marzo 2010


      

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Onorevoli Colleghi! — Al fine di evitare gli infanticidi e gli abbandoni, che mettono a repentaglio la sopravvivenza dei neonati, le disposizioni di legge vigenti riconoscono alle donne tre importanti diritti:

          a) il diritto di riconoscere o meno il neonato come figlio, diritto che vale sia per la donna che ha un bambino fuori dal matrimonio che per la donna coniugata: la Corte costituzionale, infatti, con sentenza n. 171 del 5 maggio 1994 ha stabilito che «qualunque donna partoriente, ancorché da elementi informali risulta trattarsi di coniugata, può dichiarare di non volere essere nominata nell'atto di nascita»;

          b) il diritto alla segretezza del parto, che deve essere garantito da tutti i servizi sanitari e sociali coinvolti, con la previsione che, nei casi in cui il neonato non venga riconosciuto o non sia dichiarato dalla donna come figlio, nell'atto di nascita del bambino, che deve essere redatto entro dieci giorni dal parto, risulti scritto: «figlio di donna che non consente di essere nominata».

L'ufficiale di stato civile, a seguito della dichiarazione del personale medico che ha assistito al parto, attribuisce al suddetto neonato un nome e un cognome, procede alla formazione dell'atto di nascita e alla segnalazione alla procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni per la sua dichiarazione di adottabilità ai sensi della legge n. 184 del 1983;

          c) la sospensione dello stato di adottabilità per un periodo massimo di due mesi, disposta dal tribunale per i minorenni su richiesta di chi afferma di essere uno dei genitori biologici «sempre che nel frattempo il minore sia assistito dal genitore naturale o dai parenti fino al quarto grado o in altro modo conveniente, permanendo comunque un rapporto con il genitore naturale» (articolo 11 della legge n. 184 del 1983). Se il neonato non può essere riconosciuto perché il o i genitori hanno meno di sedici anni, l'adottabilità può essere rinviata anche d'ufficio dal tribunale per i minorenni fino al compimento di tale età. Un'ulteriore sospensione di due mesi può essere concessa al compimento del sedicesimo anno di età.

      È quindi evidente che i diritti della gestante non si contrappongono ai diritti del bambino che dà alla luce ma sono funzionali all'affermazione dei diritti del neonato a crescere in una famiglia anche diversa da quella di origine e a godere in essa di condizioni adeguate per un armonico sviluppo della personalità, secondo le priorità previste dalla legge n. 184 del 1983 (sostegno del nucleo familiare di origine, affidamento familiare, adozione).
      Dunque, la scelta di non riconoscere il proprio nato come figlio, nella consapevolezza di non poterlo crescere, non può essere considerata una scelta negativa o riprovevole: molto spesso è una scelta responsabile verso la nuova vita, che può poi svilupparsi in modo idoneo in una famiglia adottiva.
      Va inoltre segnalato che il non riconoscimento rappresenta anche una concreta possibilità per le donne che non intendono abortire e, nello stesso tempo, non se la sentono di allevare il loro nato.
      Per quanto riguarda i dati sul fenomeno, si rileva che nel 2007, ultimo dato dell'Istituto nazionale di statistica disponibile, su 1.344 minori adottabili, 641 sono stati quelli non riconosciuti alla nascita. Nel 2006 erano stati 501 su 1.254, nel 2005 erano 429 su 1.168, mentre nel 2004 erano 410 su 1.064.
      Sulla base delle pluriennali esperienze realizzate nel nostro Paese, va ribadito che è però importante offrire alla gestante la possibilità anticipata di riflettere, di verificarsi e di decidere con serenità e autonomia, con le opportune informazioni sugli aiuti che possono esserle offerti in merito al riconoscimento o al non riconoscimento del loro nato. Occorre quindi che le istituzioni, in ottemperanza della normativa vigente, garantiscano il sostegno di personale preparato (psicologo, assistenti sociali, educatori eccetera) che aiuti la gestante prima, durante e dopo il parto, l'accompagni a decidere responsabilmente se riconoscere o meno il bambino e la sostenga fino a quando è in grado di provvedere autonomamente a se stessa e, se ha riconosciuto il bambino, al proprio figlio. La donna in difficoltà ha diritto a non essere lasciata sola né prima, né durante, né dopo il parto e spesso l'intervento assistenziale di supporto è necessario anche per le gestanti e per le madri coniugate con situazioni personali e familiari difficili.
      Occorre anche segnalare che molti ritengono che la soluzione di queste complesse situazioni personali e familiari non possa essere individuata nell'istituzione di «culle termiche» recentemente aperte presso alcuni ospedali, finalizzate, nell'intenzione dei loro promotori, a contrastare «l'abbandono dei neonati nei cassonetti». Queste culle, pur se attrezzate secondo le tecniche più moderne, e al di là delle intenzioni dei loro promotori, possono produrre effetti del tutto negativi, in quanto non tengono conto né delle esigenze delle donne in gravi condizioni di disagio e dei loro nati, né delle leggi vigenti e rischiano di incentivare i parti «fai da te» in ambienti inidonei, privi della più elementare assistenza sanitaria, con gravi

pericoli per la salute e per la sopravvivenza stessa della donna e del neonato.
      La gravidanza può innestarsi, come accennato, in una condizione di disagio preesistente delle gestanti, sovente cittadine straniere, a volte molto giovani, che necessitano di supporto di natura socio-assistenziale per decidere consapevolmente in merito al riconoscimento o al non riconoscimento del proprio nato e per acquisire gli strumenti necessari per il proprio reinserimento sociale.
      Il regio decreto-legge n. 798 del 1927, convertito dalla legge n. 2838 del 1928, concernente l'ordinamento del servizio di assistenza dei fanciulli illegittimi, abbandonati o esposti all'abbandono, ha disposto che siano le amministrazioni provinciali a dover assistere i fanciulli figli di ignoti e i bambini nati fuori dal matrimonio riconosciuti dalla madre e in condizione di disagio socio-economico, a meno che la legislazione regionale abbia attribuito tali compiti ad altri organismi.
      La legge n. 328 del 2000, recante «Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali», all'articolo 8, comma 5, ha poi attribuito alle regioni il compito di disciplinare il trasferimento ai comuni o ad altri enti locali delle funzioni di cui al citato regio decreto-legge n. 798 del 1927 e del decreto-legge n. 9 del 1993, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 67 del 1993, concernenti rispettivamente le prestazioni obbligatorie relative alle gestanti e alle madri, ai nati fuori dal matrimonio e ai bambini non riconosciuti. Alle regioni compete, inoltre, in base alla stessa legge n. 328 del 2000, di definire il passaggio ai comuni o ad altri enti locali delle risorse umane, finanziarie e patrimoniali occorrenti per l'esercizio delle citate funzioni.
      Purtroppo vi sono regioni che hanno approvato proprie leggi senza tenere conto dell'esigenza delle gestanti che si trovino in gravi difficoltà psico-sociali di essere adeguatamente supportate per quanto riguarda la delicatissima decisione di riconoscere o di non riconoscere il loro nato e di poter partorire in assoluto segreto.
      Segnaliamo al riguardo, invece, la positiva legge della regione Piemonte n. 16 del 2006, che, modificando l'articolo 9 della legge regionale n. 1 del 2004, ha affidato ai comuni di Novara e di Torino, nonché ai consorzi intercomunali del cuneese e dell'alessandrino, «le funzioni relative agli interventi socio-assistenziali nei confronti delle gestanti che necessitano di specifici sostegni in ordine al riconoscimento o non riconoscimento dei loro nati e al segreto del parto»; gli interventi socio-assistenziali previsti riguardano, quindi non solo le gestanti che hanno deciso di non riconoscere il loro nato e «sono erogati su richiesta delle donne interessate e senza ulteriore formalità, indipendentemente dalla loro residenza anagrafica», quindi sono rivolti anche alle gestanti senza permesso di soggiorno, che altrimenti non avrebbero accesso ai servizi socio-assistenziali.
      La stessa legge attribuisce ai comuni singoli o associati la continuità delle prestazioni alle donne che hanno riconosciuto il bambino, ma che si trovano in difficoltà.
      Va infine segnalato che nel 3o Rapporto supplementare alle Nazioni Unite sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza in Italia, pubblicato nel novembre 2009, in cui il Gruppo di lavoro, costituito da oltre settanta organizzazioni e coordinato da «Save the Children Italia», raccomanda al Parlamento «di approvare una legge che, in attuazione dell'articolo 8 comma 5 della legge n. 328 del 2000, preveda la realizzazione, da parte delle Regioni, di almeno uno o più servizi altamente specializzati, gestiti dagli enti gestori delle prestazioni socio assistenziali in grado di fornire alle gestanti, indipendentemente dalla loro residenza anagrafica e cittadinanza, le prestazioni necessarie e i supporti perché possano assumere consapevolmente le decisioni circa il riconoscimento o il non riconoscimento dei loro nati».
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PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.

      1. Al fine di garantire una uniforme attuazione in tutto il territorio nazionale delle disposizioni di cui all'articolo 8, comma 5, della legge 8 novembre 2000, n. 328, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano assicurano l'informazione, la consulenza e le prestazioni socio-assistenziali diurne e residenziali occorrenti alle gestanti e alle madri che necessitano di specifici sostegni in ordine al riconoscimento o al non riconoscimento dei loro nati e alla garanzia della segretezza del parto.
      2. Gli interventi di cui al comma 1, che costituiscono livello essenziale ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, sono promossi dagli enti locali titolari delle funzioni socio-assistenziali di cui alla legge 8 novembre 2000, n. 328, secondo le modalità stabilite dalle leggi regionali e delle province autonome di Trento e di Bolzano.
      3. I soggetti di cui al comma 2 garantiscono, altresì, alle partorienti e ai loro nati i necessari interventi per la continuità socio-assistenziale e per sostenere il loro reinserimento sociale.
      4. Gli interventi socio-assistenziali in favore dei neonati non riconosciuti sono garantiti dai soggetti di cui al comma 2 fino all'adozione definitiva.
      5. Gli interventi di cui al presente articolo alle gestanti e alle madri sono erogati su semplice richiesta delle donne interessate senza ulteriori formalità, indipendentemente dalla loro residenza anagrafica e dalla loro nazionalità.