Organo inesistente

XVI LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 4953


PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
RAZZI, ROMANO, ANGELI, BARANI, CATONE, D'ANNA, DI VIRGILIO, FUCCI, GIANNI, GRASSANO, LEHNER, MOTTOLA, PORFIDIA, SANTORI, SCILIPOTI
Disposizioni in materia di finanziamento e bilanci dei partiti politici
Presentata il 14 febbraio 2012


      

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Onorevoli Colleghi! — La lunghissima querelle che ha riguardato il finanziamento pubblico ai partiti ha visto, nel corso degli anni, degli eccessi e delle storture che ancora oggi turbano sia la trasparenza sia le modalità d'uso di questo che è denaro pubblico.
      A partire dalla legge n. 195 del 1974, la cosiddetta «legge Piccoli», approvata in soli sedici giorni. Con l'intento di porre fine agli scandali Trabucchi del 1965 e petroli del 1973, essa l'introduceva l'obbligo, dal parte dei partiti, della pubblicità e dell'iscrizione a bilancio dei finanziamenti di provenienza privata. Lo scopo, seppur nobile, di interrompere rapporti di collusione e di corruzione tra i partiti e le grandi lobby economiche andò però miseramente fallito, basti pensare alla reiterazione di fenomeni illeciti nei casi Lockheed e Sindona.
      Subito dopo il fallimento, nel 1978, del referendum abrogativo della legge n. 195 del 1974, indetto dai radicali, seguirono proposte di modifiche con la legge n. 659 del 1981, con le quali i finanziamenti pubblici venivano addirittura raddoppiati ed erano introdotte nuove forme di pubblicità dei bilanci in ambedue le voci di entrata e di uscita, sottolineando, in pratica, che gli stessi non erano soggetti a controlli effettivi.
      Tutti noi sappiamo che il referendum abrogativo promosso e vinto dai radicali nel 1993 vide una schiacciante volontà dell'abrogazione del finanziamento pubblico pari al 90 per cento dei suffragi. Tangentopoli aveva scoperchiato una «pentola» marcia e malsana mettendo in luce prassi disdicevoli e sconcertanti di illegalità diffusa, ed era da lì che si doveva partire per stabilire una prassi etica che poteva e doveva porre termine a una «convenienza» a volte addirittura scandalosa che faceva e fa comodo a tutti i partiti anche, e forse soprattutto, a quelli che si dicono a favore dell'abolizione dei finanziamenti pubblici ma che contemporaneamente ne godono senza «battere ciglio».
      Nulla di tutto questo fu fatto, anzi, tutto ricominciò prima sotto il titolo di «rimborsi elettorali» nel 1994, e poi con la possibilità di destinare lo 0,4 per cento dell'imposta sul reddito delle persone fisiche ai partiti politici prevista dalla legge 2 gennaio 1997, n.2, recante «Norme per la regolamentazione della contribuzione volontaria ai movimenti o partiti politici». Si reintroduceva in questo modo il finanziamento pubblico ai partiti.
      Nel 1999, la legge n.157, recante «Nuove norme in materia di rimborso delle spese per consultazioni elettorali e referendarie e abrogazioni delle disposizioni concernenti la contribuzione volontaria ai movimenti e partiti politici», conclama una volontà generale di tutte le forze politiche dell'arco costituzionale di voler godere di questo enorme flusso di denaro.
      La legge introduce, però, un principio veramente singolare, quasi fosse stato voluto come giustificazione della scarsissima quando non addirittura assente trasparenza che si sarebbe fornita sull'uso di queste enormi somme di denaro, e cioè che il rimborso elettorale non ha attinenza diretta con le spese effettivamente sostenute per le campagne elettorali. La legge istituì cinque fondi per le spese elettorali sostenute per le campagne per il rinnovo della Camera dei deputati, del Senato della Repubblica, del Parlamento europeo e dei consigli regionali nonché per i referendum, erogati in rate annuali, per 193.713.000 euro in caso di legislatura politica completa (l'erogazione è interrotta in caso di fine anticipata della legislatura). La legge è entrata in vigore con le elezioni politiche italiane del 2001. La normativa è stata modificata dalla legge 26 luglio 2002, n.156, recante «Disposizioni in materia di rimborsi elettorali», che trasforma in annuale il fondo e che abbassa dal 4 per cento all'1 per cento il quorum per ottenere il rimborso elettorale. L'ammontare da erogare, per la Camera dei deputati e per il Senato della Repubblica, nel caso di legislatura completa, è pari a oltre il doppio passando da 193.713.000 euro a 468.853.675 euro. Con il decreto-legge n. 273 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 51 del 2006, l'erogazione è dovuta per tutti e cinque gli anni di legislatura, indipendentemente dalla sua durata effettiva. Con quest'ultima modifica l'aumento è esponenziale. Con la crisi politica italiana del 2008, i partiti iniziano a percepire il doppio dei fondi, giacché ricevono contemporaneamente le quote annuali relative alla XV legislatura e alla XVI legislatura.
      Il breve escursus, qualora ce ne fosse stato bisogno, mette in rilievo quale e quanta fosse e sia la passione da parte dei partiti, di tutti i partiti, a godere di questo denaro pubblico, di quanti e quali fossero e sono i controlli solo nominali da parte dello Stato e di come fosse e sia del tutto sconosciuto l'uso dello stesso.
      Noi tutti siamo ben consapevoli che il finanziamento pubblico ai partiti non sarà mai abolito. Onestamente occorre riconoscere che questa volontà non esiste e che le forze politiche sono piuttosto riluttanti a parlarne. Il breve escursus della storia del finanziamento pubblico ai partiti deve servire a dimostrarci che, anche se fosse abolito, sarebbe reintrodotto sotto un'altra veste ma con la stessa sostanza di sempre. Se allora abbiamo questa consapevolezza, dobbiamo pur prevedere un rimedio che perlomeno da un punto di vista etico e legale non sconcerti le coscienze e non produca latrocini sempre più eclatanti.
      La proposta di legge, dunque prevede:

          1) l'obbligo di trasparenza da parte dei partiti sui loro bilanci in tutte le loro voci di spesa;

          2) la restituzione del denaro avuto in finanziamento qualora il partito cambi veste e nome oppure non esista più a causa di una sua evoluzione o involuzione;

          3) che il finanziamento duri per il perdurare dell'intera legislatura in quanto,

in caso contrario, i partiti dovranno restituire le somme inutilizzate per l'interruzione anticipata della legislatura, cosa agevole e veloce dal momento che i conti dovranno sempre essere in ordine.

      Partendo dal presupposto niente affatto scontato che questo denaro è denaro dei contribuenti, è giusto che a questi si debba dare conto di come lo si è speso e di cosa si è inteso fare. Altrettanto giusto e niente affatto scontato è che, qualora la legislatura non arrivi alla sua conclusione naturale, non ci sarebbe alcuna ragione di trattenere denaro che ormai non serve più allo scopo.

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PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.

      1. I bilanci dei partiti politici sono sottoposti a controlli annuali da parte della Corte dei conti. In caso di accertate violazioni alle disposizioni sulla trasparenza, l'intero importo del bilancio è confiscato dallo Stato.

Art. 2.

      1. I rimborsi per le spese elettorali concessi ai partiti politici sono ridotti del 50 per cento. Tali rimborsi devono essere iscritti a bilancio corredati delle documentazioni atte a dimostrare le spese effettivamente sostenute per la campagna elettorale.
      2. L'erogazione dei rimborsi di cui al comma 1 è concessa solo in relazione agli anni di legislatura effettivi. In caso di chiusura anticipata delle Camere, i partiti politici sono tenuti a restituire allo Stato le somme residue indicate a bilancio.

Art. 3.

      1. Nell'ipotesi di cambio di denominazione o di chiusura delle formazioni politiche che hanno goduto di finanziamenti pubblici, le relative somme iscritte a bilancio sono restituite allo Stato.