XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 213 di lunedì 14 settembre 2009

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI

La seduta comincia alle 16,35.

LORENA MILANATO, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 24 luglio 2009.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Berlusconi, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Bratti, Brunetta, Casero, Cicchitto, Colucci, Cosentino, Cota, Craxi, Crimi, Crosetto, Fava, Fitto, Frattini, Galati, Gelmini, Gibelli, Alberto Giorgetti, Giro, La Russa, Lupi, Mantovano, Maroni, Martini, Meloni, Menia, Miccichè, Leoluca Orlando, Pecorella, Prestigiacomo, Roccella, Romani, Ronchi, Rotondi, Saglia, Stefani, Stucchi, Tremonti, Urso, Vegas, Vito e Volontè sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquanta, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Modifica della denominazione della Commissione parlamentare per l'infanzia.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2009, n. 112, recante «Modifica della denominazione e delle competenze della Commissione parlamentare per l'infanzia, di cui all'articolo 1 della legge 23 dicembre 1997, n. 451», la Commissione parlamentare per l'infanzia ha assunto la seguente nuova denominazione: «Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza».

Discussione del testo unificato delle proposte di legge: BINETTI ed altri; POLLEDRI e RIVOLTA; LIVIA TURCO ed altri; FARINA COSCIONI ed altri; BERTOLINI ed altri; COTA ed altri; DI VIRGILIO ed altri; SALTAMARTINI ed altri: Disposizioni per garantire l'accesso alle cure palliative e alle terapie del dolore (624-635-1141-1312-1738-1764-ter-1830-1968-ter-A).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di legge nn. 624-635-1141-1312-1738-1764-ter, 1830 e 1968-ter-A: Disposizioni per garantire l'accesso alle cure palliative e alle terapie del dolore.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 30 luglio 2009.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 624-A ed abbinate)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare Partito Democratico ne ha chiesto l'ampliamento, senza limitazioni Pag. 2nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Ha facoltà di parlare il relatore, presidente della Commissione Affari sociali, onorevole Palumbo.

GIUSEPPE PALUMBO, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il testo all'attenzione dell'Assemblea, recante disposizioni per garantire l'accesso alle cure palliative e alle terapie del dolore, è volto a tutelare la dignità e a promuovere la qualità della vita del malato, assicurando a lui e alla sua famiglia adeguato sostegno sanitario e socio-assistenziale, anche mediante l'istituzione della rete nazionale per le cure palliative e della rete nazionale per le terapie del dolore.
Per assicurare il concorso delle regioni al conseguimento di tali obiettivi, questo testo stabilisce che l'attuazione dei principi in esso contenuti, con le modalità definite mediante intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, costituisce adempimento regionale ai fini dell'accesso al finanziamento integrativo del Servizio sanitario nazionale a carico dello Stato e costituisce anche obiettivo prioritario per il Piano sanitario nazionale.
Prima di iniziare la discussione della proposta di legge, mi premeva definire cosa si intende per cure palliative. Esse sono nate circa trent'anni fa in Inghilterra e possono definirsi come la cura globale e multidisciplinare per i pazienti affetti da una malattia che non risponde più a trattamenti specifici e di cui la morte è diretta conseguenza. Lo scopo principale di queste cure palliative è quello di migliorare, anzitutto, la qualità della vita, assicurando ai pazienti e alle loro famiglie, ripeto, un'assistenza continua e globale.
L'Organizzazione mondiale della sanità ha qualificato le cure palliative e le ha definite come un approccio che migliora la qualità della vita dei malati e delle loro famiglie, che si trovano ad affrontare le problematiche associate a malattie inguaribili, attraverso la prevenzione ed il sollievo della sofferenza per mezzo di un'identificazione precoce e di un ottimale trattamento del dolore (cosa che in questa proposta di legge viene anche affrontata) e delle altre problematiche di natura fisica, psicofisica e anche spirituale del paziente.
Attualmente in Italia vi è un quadro normativo abbastanza complesso, che parte da molti molti anni fa, che non sono qui ad descrivere in maniera specifica. Ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 novembre 2001, l'assistenza domiciliare, sanitaria e socio-sanitaria ai pazienti terminali, l'assistenza territoriale residenziale e semiresidenziale a favore degli stessi e gli interventi ospedalieri a domicilio costituiscono, dal 2001, livelli essenziali di assistenza: fanno parte dei LEA, e questo è un fatto molto importante; comprendono l'assistenza ambulatoriale, l'assistenza domiciliare integrata, l'assistenza domiciliare specialistica, il ricovero ospedaliero in regime ordinario o di day hospital e l'assistenza residenziale nei centri residenziali di cure palliative, che normalmente, come voi tutti sapete, vengono definiti hospice, e oggi è divenuto un termine, un neologismo che è riconosciuto a livello internazionale, che ha un significato preciso, «centro residenziale di cure palliative».
L'hospice, infatti, è una struttura residenziale per malati terminali che va oltre l'aspetto puramente medico della cura, e che intende, quest'ultima, non tanto come finalizzata alla guarigione fisica, che, abbiamo detto, in questi casi è spesso impossibile, ma letteralmente al prendersi cura della persona malata nel suo insieme.
Vi sono poi tanti altri provvedimenti e decreti ministeriali che sono stati approvati nel tempo sull'organizzazione degli hospice nei programmi nazionali della Presidenza del Consiglio dei ministri, nel 1999, nel 2000, nel 2001; fino all'ultimo, il più recente, il decreto del Ministero della salute del 22 febbraio 2007, n. 43, recante disposizioni sugli standard relativi all'assistenza ai malati terminali in trattamento palliativo in attuazione all'articolo 1, Pag. 3comma 169, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, che ha l'obiettivo di individuare in modo uniforme, per l'intero territorio nazionale, gli standard qualitativi, strutturali e quantitativi delle strutture dedicate alle cure palliative e alla rete di assistenza dei pazienti terminali. Tuttavia, tale decreto non ha prodotto gli effetti dovuti: ancora oggi in Italia abbiamo una rete di cure palliative che non è omogenea per tutta la nazione, ma che si può definire a macchia di leopardo. Anche nel Piano sanitario 2006-2008 sono stati ribaditi questi stessi principi.
Per quanto riguarda poi più specificatamente l'altra parte della legge, riguardante la terapia del dolore, sono state ricordate le innovazioni introdotte dalla legge dell'8 febbraio 2001, n. 12, «Norme per agevolare l'impiego dei farmaci analgesici oppiacei nella terapia del dolore». Il 24 maggio 2001 lo Stato, le regioni e le province autonome hanno poi stipulato l'accordo «Linee guida per la realizzazione dell'ospedale senza dolore»: detto accordo definisce le linee guida che consentono la realizzazione a livello regionale di progetti indirizzati al miglioramento del processo assistenziale specificatamente rivolto al controllo del dolore. Tuttavia, tali linee guida e l'accordo non sono stati, come i provvedimenti relativi alle cure palliative, attuati in maniera conforme in tutta Italia, ma gravi, molto gravi sono le carenze che vi sono per la realizzazione in Italia del cosiddetto «Progetto Ospedale senza dolore»; tant'è che nella legge in esame lo abbiamo ripreso e rifinanziato, e lo chiamiamo «Ospedale-Territorio senza dolore».
Questa è la situazione che registriamo attualmente in Italia; passiamo adesso all'esame del disegno di legge come è risultato dagli emendamenti presentati e dall'ampia discussione, devo dire dal proficuo lavoro che nell'istruttoria legislativa si è svolto nell'aula della XII Commissione. Il testo è frutto di un approfondito esame in sede referente delle varie proposte di legge, alle quali hanno contribuito sia i gruppi di maggioranza che di opposizione.
Il Comitato ristretto ha poi definito un testo unificato al quale sono stati presentati parecchi emendamenti. Sono state anche svolte da parte del Comitato ristretto parecchie audizioni informali con i rappresentanti dell'associazione Antea onlus, della Federazione cure palliative, della Società italiana di cure palliative, dell'Associazione italiana malati di cancro parenti e amici e di altre associazioni che si occupano di questo problema.
La XII Commissione, come dicevo, ha dunque approvato numerosi emendamenti riferiti al testo adottato e soprattutto ha infine recepito i pareri delle Commissioni competenti, e qui vorrei spendere in particolare due parole per il lavoro che è stato svolto insieme alla V Commissione (Bilancio) che ha fornito alcune indicazioni ma che ha poi recepito le stesse indicazioni della Commissione. Il presidente della V Commissione aveva infatti mosso una serie di rilievi in ordine ai profili finanziari della proposta di legge, emersi nel corso dell'esame in sede consultiva, evidenziando, tra l'altro, l'esigenza di rafforzare la coerenza del testo con l'attuale sistema di finanziamento e di organizzazione del sistema sanitario.
La XII Commissione ha quindi provveduto a modificare ampiamente il testo al fine di superare i citati rilievi della V Commissione, con ciò implicitamente accogliendo o superando molte delle osservazioni della stessa Commissione. Infine va ricordato - e lo faccio con particolare soddisfazione, perché ciò è merito dei vari componenti di maggioranza e di opposizione - che sulle risorse destinate, di fatto, alla realizzazione delle finalità della presente proposta di legge incide anche l'articolo 22, comma 2, del decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78, convertito dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, il quale - a seguito delle modifiche apportate nel corso dell'esame in sede referente presso le Commissioni riunite V e VI - stabilisce che, con intesa da stipulare in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, a valere sulle risorse del fondo di 800 milioni di Pag. 4euro istituito dal medesimo comma, sono definiti gli importi, in misura non inferiore a 50 milioni di euro, da destinare a programmi dedicati alle cure palliative, ivi comprese quelle relative alle patologie degenerative neurologiche croniche invalidanti. Questo è stato un grandissimo passo in avanti ed ha rappresentato un importante lavoro realizzato, come dicevo, dalla nostra Commissione e dalla V Commissione che ha poi portato davvero alla realizzazione finale del progetto, che è importante non solo dal punto di vista sociale ma anche economico, perché evidentemente i finanziamenti in precedenza previsti erano un poco più limitati. Passo ora all'illustrazione del testo, ma il mio intervento, signor Presidente, non sarà molto lungo.
Il testo all'esame dell'Assemblea si compone di 12 articoli. L'articolo 1 detta le finalità del provvedimento, che, come già ricordato, è volto a tutelare il diritto di accedere alle cure palliative e alle terapie del dolore, salvaguardando la dignità del malato, promuovendo la qualità della vita del medesimo nella fase terminale della malattia e fornendo a lui e alla sua famiglia adeguato sostegno sanitario e socio-assistenziale.
Cosa si intenda per «cure palliative» e «terapie del dolore» è poi esplicitato e chiarito dal successivo articolo 2, che contiene altresì le definizioni del concetto di «rete», di «assistenza residenziale» e di «assistenza domiciliare».
L'articolo 3 definisce quindi le competenze della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, prevedendo che, per assicurare il concorso delle regioni al conseguimento degli obiettivi fissati dal provvedimento - che costituiscono, ribadisco, obiettivi prioritari del Piano sanitario nazionale - mediante intesa tra lo Stato e le regioni siano definite le linee guida per il coordinamento degli interventi regionali in materia.
Si precisa inoltre - e questo è importante perché abbiamo dato una particolare importanza anche alle cure palliative pediatriche - che l'intesa debba tenere conto dell'accordo già stipulato nel giugno 2007 e confermato con il documento tecnico del marzo 2008 relativamente alle cure palliative destinate ai minori.
La valutazione annuale dello stato di attuazione della legge, e in particolare del grado di efficienza e di appropriatezza dell'utilizzo delle risorse, è demandato al Comitato paritetico permanente per la verifica dei livelli essenziali di assistenza (LEA), istituito presso il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali.
L'articolo 4 riguarda la realizzazione, da parte del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, di campagne informative rivolte ai cittadini per la diffusione di informazioni sulle possibilità di accesso alle cure palliative e al trattamento del dolore connesso a malattie croniche e degenerative. Per la realizzazione di questa campagna, la norma autorizza una spesa di 50 mila euro per l'anno in corso e di 150 mila euro per ciascuno degli anni 2010 e 2011.
Inoltre, per assicurare al malato affetto da una patologia ad andamento cronico ed evolutivo, o per la quale non esistono terapie adeguate, le necessarie cure palliative e il trattamento del dolore connesse a queste patologie (si tratta di un aspetto importante), l'articolo 5 disciplina le modalità per la realizzazione a livello regionale della rete per le cure palliative e le terapie del dolore, cioè dell'insieme delle strutture sanitarie, ospedaliere, territoriali e assistenziali, nonché di figure professionali preposte alla erogazione di dette cure. A tal fine, viene in primo luogo prevista una ricognizione dei presidi e delle prestazioni assicurate attualmente nelle strutture del Servizio sanitario nazionale, in ciascuna regione, che deve essere prodromica all'attivazione della rete a livello regionale. Inoltre, con l'accordo stipulato in sede di Conferenza Stato-regioni saranno individuate le figure professionali con specifiche competenze ed esperienza nel settore delle cure palliative delle terapie del dolore, con particolare riferimento ai medici di medicina generale, ai medici specialisti in anestesia e rianimazione, geriatria, Pag. 5neurologia, oncologia, pediatria, e anche agli infermieri, agli psicologi e agli assistenti sociali che operano in queste strutture già esistenti. Saranno, altresì, individuate le tipologie di strutture nelle quali si articola la rete a livello regionale. L'articolo 5 demanda inoltre ad un'intesa tra Governo e regioni la definizione dei requisiti minimi per l'accreditamento della reti e degli hospice.
Come precedentemente accennato, l'articolo 6 stanzia risorse aggiuntive pari a 450 mila euro per l'anno in corso, 900 mila euro per il 2010 ed a un milione e 100 mila euro per il 2011, al fine di rafforzare l'attività dei comitati istituiti in attuazione del progetto «Ospedale-territorio senza dolore»; si tratta di un altro aspetto importante di questa legge.
Ai sensi del successivo articolo 7, il personale medico e infermieristico è obbligato a riportare all'interno della cartella clinica le caratteristiche del dolore rilevato.
L'articolo 8 riguarda la formazione e l'aggiornamento del personale sanitario sulle cure palliative e sulle terapie del dolore. A tutt'oggi, purtroppo, non esiste un insegnamento universitario sulle cure palliative. Come ho affermato all'inizio del mio intervento si tratta di una materia che viene trattata in maniera multidisciplinare. L'articolo 8 detta disposizioni in materia di ordinamenti didattici universitari e di master professionalizzati per la formazione del personale medico e sanitario sulle cure palliative e sulle terapie del dolore, ai sensi dell'articolo 17, comma 95, legge 15 maggio 1997, n. 127, e successive modificazioni, e per il suo aggiornamento periodico, nell'ambito dei programmi obbligatori di formazione continua in medicina di cui l'articolo 16-bis del decreto legislativo n. 502, del 1992 e successive modificazioni.
L'articolo 9 istituisce presso il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, l'Osservatorio nazionale per le cure palliative e per le terapie del dolore, al quale le regioni hanno l'obbligo di fornire le informazioni e i dati utili alla sua attività, che è sostanzialmente un'attività di monitoraggio sull'andamento delle prescrizioni di farmaci antidolore, e sullo stato di attuazione a livello regionale delle linee guida per l'effettiva erogazione delle cure palliative e delle terapie del dolore, nonché sullo stato di realizzazione e di sviluppo della rete sul territorio nazionale.
Al termine di ogni anno, l'Osservatorio dovrà redigere un rapporto da trasmettere al Ministero, nel quale tra l'altro potranno essere formulate proposte per la risoluzione di problemi eventualmente rilevati. Per il funzionamento di questa struttura è autorizzata una spesa di 150 mila euro annui a decorrere dal 2009.
L'articolo 10 semplifica la procedura di accesso ai farmaci impiegati nelle terapie del dolore, novellando, a tal fine, il testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope.
L'articolo 11 prevede che il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali presenti ogni anno al Parlamento una relazione sullo stato di attuazione della legge, su cui il Parlamento stesso poi eventualmente potrà intervenire.
L'articolo 12, infine, reca norme per la copertura finanziaria degli oneri derivanti dalle disposizioni della legge.
Colleghi, intendo terminare il mio intervento con due citazioni e una piccola conclusione. Questa legge mi sembra particolarmente importante sia dal punto di vista sociale sia dal punto di vista umano per la nostra nazione, e inoltre ritengo che tale legge favorirà una discussione più aperta e più serena per quanto riguarda progetti di legge che ci apprestiamo ad affrontare prossimamente in quest'Aula. Concludo con due citazioni, la prima di Ippocrate, su questo tipo di malattie, il quale diceva, già tanto tempo fa: la funzione della medicina è triplice, alleviare il dolore, mitigare l'aggressività della malattia, astenersi dall'accanirsi su coloro nei quali il male ha ormai preso il sopravvento. L'altra citazione è più recente ed è di un oncologo molto conosciuto (ormai scomparso), il professor Bonadonna, il quale diceva: i medici dovranno contrastare Pag. 6il concetto che si vince la malattia; la malattia si cura, ma i tanti che non guariranno non sono perdenti nella battaglia della vita, poiché vince solo l'ammalato che vive appieno il tempo che ha davanti, qualsiasi esso sia (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

FERRUCCIO FAZIO, Viceministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali. Signor Presidente, mi riservo di intervenire successivamente.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Di Virgilio. Ne ha facoltà.

DOMENICO DI VIRGILIO. Signor Presidente, signor Viceministro, onorevoli colleghi, si stima che ogni anno in Italia circa 150 mila nuovi pazienti oncologici abbino bisogno di cure palliative. Secondo ricerche anche recenti il 12 per cento vive da solo e l'80 per cento ha più di 65 anni di età. Il carico assistenziale di questi pazienti ricade sui familiari e in particolare sulle donne. Considerando oltre alle neoplasie anche le altre malattie cronico-degenerative, la stima della Società italiana di cure palliative è di 250 mila utenti potenziali ogni anno, di cui - bisogna ricordarlo - ben 11 mila sono minorenni, bambini. Inoltre, stime attendibili dicono che il 70 per cento dei malati terminali non gode di adeguate cure antidolore, e ciò purtroppo colloca il nostro Paese tra i peggiori in Europa nella diffusione della cultura della riduzione del dolore, anche al fine di garantire una migliore qualità di vita per i pazienti terminali durante gli ultimi mesi di vita, sebbene tra i 46 centri di eccellenza per le cure palliative riconosciuti in ambito europeo otto siano italiani.
Occorre dire con chiarezza che la condizione di un malato terminale di oggi non è quella di alcuni anni fa. Il grande problema del malato terminale, inoltre, è che non siamo di fronte ad una categoria uniforme, ma che ne esistono vari tipi. Il malato terminale può essere un malato inguaribile il cui destino si compie in poche ore o in pochi giorni, o può anche essere un malato affetto da neoplasia, ad esempio, in stato avanzato, che può vivere alcuni mesi, o può essere, ancora, un paziente in coma prolungato. La linea di comportamento nei riguardi del malato terminale o con dolore cronico dovrà dunque ispirarsi al rispetto della vita e della dignità della persona singola sempre e comunque. Purtroppo, sono ancora pochi i pazienti con malattie terminali che ricevono cure palliative; inoltre, alcuni gruppi di popolazione, particolarmente gli anziani, non ricevono il supporto dei servizi locali per quanto attiene a tale tipologia di terapia.
Sebbene i pazienti tumorali, negli ultimi mesi di vita, abbiano sintomi più numerosi e una maggiore presenza di sintomi fastidiosi, alcune indagini scientifiche hanno dimostrato che anche i pazienti che muoiono per malattia diversa da neoplasie necessitano di un controllo dei sintomi e del dolore. Poiché le patologie oncologica e degenerativa progressiva presentano stati diversi, la relativa domanda di assistenza di ciascun paziente tende a differenziarsi in maniera sostanziale a seconda del proprio livello di sofferenza e delle personali esigenze di carattere assistenziale, sociale e di vita.
Pertanto, l'offerta di prestazioni da parte del Servizio sanitario nazionale deve essere in grado di rispondere a tali variabili. L'attenzione alla qualità della vita del malato terminale deve indurre ad una messa a punto di interventi e di servizi di carattere assistenziale che va oltre il concetto tradizionale di cura. Sappiamo bene che oggi l'obiettivo è un concetto di salute ampio e articolato, nel quale riservare grande attenzione non solo alla pura prospettiva diagnostico-terapeutica ma anche a tutti quegli aspetti di carattere clinico, sociale, psicologico e relazionale che finiscono per avere indubbi benefici e ricadute positive sia per il paziente sia per la sua famiglia. Pag. 7
Appare chiaro, quindi, che è necessaria non soltanto la promozione di specifiche strutture di assistenza residenziale con personale, strumenti e professionalità specifiche nella terapia del dolore, ma anche una maggiore offerta di servizi e di prestazioni di assistenza domiciliare così da permettere al malato piena libertà di scelta. Uno studio americano, noto come Support, riguardante il processo decisionale degli ultimi giorni di vita, ha messo in evidenza che, negli ultimi tre giorni di vita, i due quinti dei pazienti soffre di dolore intenso almeno per la metà del tempo, a prescindere dalla patologia dalla quale sono affetti, e oltre un quarto di questi presenta dispnea di grado da moderato a grave. In due terzi dei casi, i familiari hanno riferito che i pazienti avevano difficoltà a tollerare i problemi fisici ed emozionali.
Ormai è acquisito inoltre che l'obiettivo della medicina palliativa non è quello di curare ma di prendersi cura del malato e dei suoi familiari, migliorando la qualità della vita residua e assicurando una morte dignitosa. Questo concetto, a mio avviso, è fondamentale. La medicina palliativa, dunque, introduce elementi di umanizzazione nell'assistenza sanitaria e segna l'inizio di un percorso volto a riportare il paziente al centro dell'intervento medico.
L'Organizzazione mondiale della sanità afferma che «le cure palliative migliorano la qualità della vita dei malati e delle loro famiglie che si trovano ad affrontare problemi connessi a malattie a rischio per la vita, attraverso la prevenzione e il sollievo della sofferenza, per mezzo della valutazione del trattamento del dolore e degli altri problemi fisici, psico-sociali e spirituali».
Nel nostro piano oncologico nazionale 2006-2008 si parla di miglioramento dell'assistenza ai pazienti oncologici, nel senso di individuare i loro bisogni, attraverso: a) l'ottimizzazione dei percorsi di cura e di assistenza con un'adeguata organizzazione della rete; b) lo sviluppo di cure palliative; c) lo sviluppo della terapia del dolore; d) il riconoscimento della riabilitazione oncologica.
Le regioni d'Italia hanno provveduto, anche se in modo non omogeneo, a definire la programmazione della rete di cure palliative (infatti le modalità applicative si differenziano tra loro). Alcune hanno elaborato programmi regionali specifici per le cure palliative, soprattutto in conseguenza del decreto-legge 28 dicembre 1998, n. 450, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1999, n. 39, e della necessità di elaborare il programma regionale per le cure palliative finalizzato all'accesso ai finanziamenti previsti per la realizzazione dei centri residenziali di cure palliative o hospice. Altre hanno inserito lo sviluppo delle cure palliative all'interno del più vasto programma di riorganizzazione della rete di interventi domiciliari sanitari, sociosanitari e assistenziali. Siamo lontano quindi dall'assicurare ai cittadini una uniformità di trattamento. I dati della pubblicazione «Hospice in Italia 2006. Prima rilevazione ufficiale», effettuata dalla Società italiana cure palliative in partnership con la Fondazione Isabella Seragnoli e la Fondazione Floriani, pubblicati a novembre 2007, evidenziavano che l'applicazione e la diffusione delle cure palliative sono ancora poco sviluppate nel nostro Paese rispetto alla richiesta ufficiale.
Si calcola infatti che a tutt'oggi ci siano circa 114 hospice attivi, strutture residenziali di degenza, con una maggiore concentrazione nel centro-nord, che rispecchiano un terzo del fabbisogno stimato, a cui si aggiunge la quasi assenza delle cure palliative nelle unità domiciliari. Inoltre, particolare attenzione deve essere volta al progetto «Ospedale senza dolore», in cui si parla nel testo in esame, nato dall'accordo approvato in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano il 24 maggio 2001, con l'obiettivo di cambiare l'approccio degli operatori sanitari e dei cittadini nei confronti di un fenomeno spesso sottovalutato e, come già rilevato, considerato fatale.
Noi abbiamo preferito parlare di ospedali e territorio senza dolore, perché il Pag. 8soggetto deve poter scegliere se deve essere curato a domicilio, nel territorio o in ospedale.
La XII Commissione (Affari sociali) ha lavorato su questo importantissimo ed attesissimo tema dall'ottobre 2008 fino al 22 luglio 2009, con il varo del testo che oggi stiamo esaminando. Devo dare atto di un grande senso di responsabilità da parte di tutti, e se non sono mancati momenti di tensione tra maggioranza ed opposizione, questo ha sempre avuto come obiettivo il miglioramento dell'articolato e delle disposizioni previste nel provvedimento in esame, che spero venga votato da tutti i gruppi parlamentari. Devo dare anche atto che la querelle sui finanziamenti della legge è stata, non senza difficoltà, superata dall'impegno in Commissione bilancio del nostro relatore, il presidente Palumbo, e dei colleghi colleghi Polledri, Duilio ed altri.
Non entro nel contenuto degli articoli e rinvio a quanto detto dal nostro relatore, ma mi preme sottolineare quanto previsto nell'articolo 3 sulle campagne di informazione per diffondere nell'opinione pubblica la consapevolezza della rilevanza delle due reti previste: cure palliative e diffusione della cultura della lotta al dolore cronico. Senza una notevole ed impegnativa campagna informativa il provvedimento in esame, a mio avviso, andrà vanificato.
In conclusione, risulta quindi necessaria l'elaborazione di un modello assistenziale di cure palliative flessibile ed articolabile in base alle differenti necessità regionali, ma garantendo comunque su tutto il territorio una risposta ottimale ai bisogni della popolazione, sia per i malati sia per le loro famiglie che si trovano ad affrontare tale realtà.
La rete deve essere composta da un sistema di offerta nel quale la persona malata e la sua famiglia possano essere guidate e coadiuvate nel percorso assistenziale tra il proprio domicilio, sede di intervento privilegiato, in genere preferito dal malato e dal nucleo familiare, e le strutture di degenza, denominate hospice, specificamente dedicate al ricovero e al soggiorno dei malati non assistibili presso la loro abilitazione.
La rete sanitaria e sociosanitaria dovrà essere strettamente integrata con quella socioassistenziale al fine di offrire un approccio completo alle esigenze della persona malata. Si rende quindi necessario un intervento normativo che abbia come obiettivo fondamentale il diritto di accesso alla rete di cure palliative da parte del malato in fase terminale e del malato affetto da patologie degenerative progressive, come è l'intento del progetto di legge in esame (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Murer. Ne ha facoltà.

DELIA MURER. Signor Presidente, signor Viceministro, onorevoli colleghi, con il provvedimento che ci accingiamo a varare il Parlamento potrà fare un importante passo in avanti nel dare concretezza al tema della dignità del fine vita e dell'eguaglianza di fronte alla sofferenza. Questo è un aspetto fondamentale della nostra società e di fronte ad esso le risposte del nostro sistema sanitario sono ancora inadeguate per garantire al meglio la qualità della vita in tutte le fasi della malattia, comprese quelle dell'accompagnamento alla morte. Occuparsi di ciò significa non lasciare da solo il cittadino ed i suoi familiari ed impedire che la sofferenza si trasformi in un impoverimento dei diritti della persona, creando disparità insopportabili. Garantire uguaglianza di fronte al dolore ed alla morte: la sfida non è da poco. Va garantita una reale presa in carico del malato e sappiamo quanto questo sia oggi ancora difficile.
Inoltre, sempre più sta avanzando l'idea che l'accesso alle cure palliative e alle terapie del dolore non deve essere riservato solo ai malati terminali, ma anche ai malati colpiti da malattie degenerative, così come va posta una particolare attenzione e vanno approntate risposte Pag. 9specifiche sul tema delle cure palliative pediatriche.
Stando ai dati del Ministero della salute sono 250 mila i malati terminali che ogni anno necessitano di cure palliative, 160 mila oncologici e 90 mila con altre patologie. Sappiamo che attualmente solo il 40 per cento dei malati oncologici ha accesso al programma di cure palliative, e purtroppo meno dell'1 per cento di quelli non oncologici. Per questo l'istituzione dei LEA è fondamentale: sono necessari per superare la disomogeneità tra regione e regione, che rappresenta uno dei grossi limiti di questa medicina.
Vi sono quindi dei problemi, problemi a cui la legge dovrebbe dare una risposta. È necessario il potenziamento del numero degli hospice, che sono ancora troppo pochi per soddisfare le richieste purtroppo crescenti. Vi è disomogeneità tra nord e sud del Paese: la situazione è estremamente diversificata tra regione e regione.
I finanziamenti previsti dalla legge n. 39 del 1999, ripartiti tra le regioni sulla base dei tassi regionali di mortalità per neoplasie, hanno comportato che le regioni programmassero il numero e la collocazione delle strutture hospice sul loro territorio. Quello che si sta delineando è una notevole diversità fra le regioni nello stato di realizzazione di questa rete e, più in generale, della rete delle cure palliative. Vi è un andamento decrescente da nord a sud sia nel numero degli hospice attivi e da attivare sia nel numero dei posti letto e, fatto preoccupante, questa tendenza rischia di mantenersi nel tempo.
Va, inoltre, garantita l'esigibilità del diritto in ogni regione. Al di là dei dati un po' confusi, ciò che manca a livello nazionale - e pur nel rispetto delle autonomie regionali - è lo sviluppo della rete delle cure palliative che integri gli hospice con le cure domiciliari. Ciò che emerge è la necessità di un modello di intervento di cure palliative flessibile e articolabile in base alle scelte regionali che, inserito nei LEA, garantisca in tutto il Paese una risposta ottimale ai bisogni dei malati e delle loro famiglie, indipendentemente dalla regione di residenza.
Vi è poi l'esigenza della creazione di una rete. Questa deve essere composta da un sistema di offerta nel quale la persona malata e la sua famiglia possano essere guidate e coadiuvate da un'equipe interdisciplinare nel percorso assistenziale tra il proprio domicilio, sede di intervento privilegiata e in genere preferita dal malato e dal nucleo familiare nel 75-85 per cento dei casi (ovviamente se è presente una reale rete di intervento), e le strutture di degenza specificamente dedicate al ricovero e al soggiorno dei malati non assistibili presso la propria abitazione (in genere il 15-25 per cento dei malati assistibili). Vi deve essere la presa in carico della persona malata e della sua famiglia nonché un raccordo tra reparto, hospice, assistenza ambulatoriale e assistenza domiciliare. Sappiamo che questo è un elemento critico, che spesso è carente anche nelle situazioni in cui vi è una presenza di risposte sul tema delle cure palliative.
Vi è la necessità di risorse finanziarie adeguate. Infatti, affinché vi sia la concreta attuazione delle norme in oggetto sono necessari finanziamenti adeguati che fino ad oggi sono stati solo parzialmente trovati.
Il lavoro svolto in Commissione è stato importante e costruttivo ma ha avuto anche momenti aspri nei confronti, in particolare, del Governo. Ma vorrei ricordare che la nostra insistenza, del Partito Democratico, sull'esigenza di non varare una legge manifesto, ma di dotarla di un'adeguata copertura finanziaria derivava e deriva dall'esigenza di fornire risposte serie e concrete. L'approvazione dell'emendamento, cui si è fatto riferimento, al decreto-legge n. 78 del 2009, che destina alle cure palliative e alle terapie del dolore 50 milioni, voluto da tutte le parti politiche, ha posto parziale rimedio alla carenza di risorse. Riteniamo però che vi sia la necessità di incrementare ulteriormente questa dotazione ed abbiamo presentato un emendamento in questo senso. Vi è da parte nostra una preoccupazione su aspetti che riteniamo non trovino adeguata soluzione nel testo, che certamente deve fare i conti con il contesto Pag. 10istituzionale che caratterizza la governance della sanità dopo la riforma del Titolo V della Costituzione ma deve porre al tempo stesso dei vincoli, anche temporali, precisi, su questi aspetti: realizzazione dei LEA, rendendo esigibili queste prestazioni in tutte le regioni; definizione di linee guida che individuino requisiti minimi per le reti di cure palliative e terapia del dolore, affinché il malato sia preso in carico; inoltre, va garantita la continuità assistenziale e vi deve essere un raccordo vero tra reparto, hospice, assistenza ambulatoriale e assistenza domiciliare, garantendo equipe interdisciplinari che aiutino, in tutti gli aspetti della sua esistenza, il malato. Un'adeguata attenzione va riservata a nostro avviso - e su questo punto abbiamo presentato più di un emendamento - al riconoscimento dei titoli di chi ha operato, fino ad oggi, nella rete delle cure palliative.
Su questi punti il nostro gruppo ha presentato emendamenti che auspichiamo possano trovare accoglimento sia da parte del Governo, sia da parte della maggioranza, per poter arrivare ad una positiva e condivisa conclusione dell'esame della proposta di legge, una legge che si deve caratterizzare per efficacia, concretezza e serietà nel rispondere ad un tema così urgente per tantissimi nostri cittadini (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nunzio Francesco Testa. Ne ha facoltà.

NUNZIO FRANCESCO TESTA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il provvedimento in esame scaturisce fondamentalmente da un dibattito condiviso ed affrontato in sede referente dalla Commissione XII (Affari sociali) che ha tenuto conto dei complessi aspetti che ricoprono, nella medicina d'oggi, le cure palliative ormai applicabili non solo in campo oncologico, ma anche per le patologie croniche degenerative.
Abbiamo affrontato un tema complesso, tenendo presente che il malato terminale può essere trattato non solo in ambito ospedaliero, ma anche nelle strutture assistenziali sanitarie e a domicilio sul territorio. Di particolare interesse è l'aiuto che si può destinare alle famiglie di tali pazienti.
Naturalmente, è stato richiesto un impegno specifico per quelle strutture sanitarie che ospitano i minori (l'innaturale condizione di malato terminale di un bimbo di cinque anni è sotto gli occhi di tutti) o i diversamente abili, laddove alla patologia preesistente si associa un'altra patologia che porterà addirittura all'exitus del paziente.
Purtroppo, l'Italia è in notevole ritardo rispetto ad altre nazioni europee, in specie alla Francia ed alla Germania ed inoltre vi è una notevole discrepanza tra le regioni (ossia tra le regioni del nord, quelle del centro e quelle del sud). Diventa, quindi, indispensabile la ricognizione dei presidi presenti, delle prestazioni effettuate e della programmazione futura, al fine di equiparare il livello di assistenza, così come giustamente evidenziato nell'articolo 5.
A nostro avviso, le cure palliative sono un diritto necessario di competenza del Servizio sanitario nazionale e non delle regioni che, attraverso le linee di guida alle regioni, dovrebbero garantire standard di prestazioni sanitarie nazionali, inquadrabili, quindi, nei livelli essenziali di assistenza.
Purtroppo, come dicevo prima, su questo fronte il nostro Paese è in ritardo. In Francia la lotta contro il dolore è considerata parte integrante dell'attività terapeutica. Il sollievo dal dolore è riconosciuto come diritto fondamentale di ogni persona dal codice della sanità nel titolo I dedicato ai diritti delle persone malate e degli utenti del sistema sanitario. Secondo l'ordinamento francese ogni persona malata ha diritto, se il suo stato di salute lo richiede, a ricevere cure palliative e misure di accompagnamento.
In Germania le cure palliative sono terapie finalizzate ad alleviare il dolore e la sofferenza fisica e sono tutte contemplate nel V libro del codice sociale. Solo per Pag. 11fornire alcuni dati (come hanno già fatto i colleghi) vorrei sottolineare che ogni anno vi sono circa 250 mila pazienti malati terminali (di cui 11 mila sono bambini) che necessitano di cure palliative.
Di questi 160 mila sono malati terminali di cancro e la restante parte, invece, sono pazienti che hanno patologie croniche, cardiache, respiratorie, neurologiche, metaboliche e anche infettive. Purtroppo, solo il 60 per cento di questi pazienti malati terminali di tumori e quasi tutti quelli invece che non rappresentano la parte dei malati terminali di tumore sfuggono alla rete delle cure palliative.
I cittadini necessitano di un'informazione maggiore: prima a pioggia (così come il Ministero dovrà fare) e poi da parte dei sanitari addetti ai lavori, ossia del personale sanitario e parasanitario, quando i pazienti vengono a conoscenza della loro malattia, sia informando le famiglie, sia informando gli stessi pazienti sulle strutture a cui possono accedere.
Un'indagine condotta dall'IPSOS per conto della Federazione delle cure palliative dimostra che, già rispetto al 2000, gli italiani conoscono meglio le cure palliative e sono, quindi, più consapevoli della loro importanza.
Risulta, quindi, necessario far corrispondere a questa conoscenza il testo legislativo in modo da inquadrare e regolare in modo appropriato le finalità e gli aspetti della materia per non vanificare questa consapevolezza. Questo testo ha importanza perché tiene conto dell'importanza della famiglia nella presa in carico del paziente e della salvaguardia della vita e, soprattutto, della dignità della persona.
L'impegno economico in tal senso, a nostro avviso, è insufficiente: necessita di ulteriori revisioni al fine di evitare il naufragare dei propositi assunti. Da ciò emerge la necessità di un maggiore sforzo da parte del Governo che garantisca la copertura necessaria alla reale realizzazione delle disposizioni previste dal testo. Si tratta di un testo poi ampiamente rivisto in seguito alle audizioni con le associazioni di volontari e ONLUS, la Federazione delle cure palliative, la Società italiana di cure palliative e tanti altri, nonché medici e docenti universitari esperti in materia.
Il testo è stato, quindi, poi modificato sulla base dei pareri espressi dalle Commissioni. Da questo punto di vista, forse, la questione si è un po' arenata per poi riprendere con uno slancio che non riteniamo ancora sufficiente, per quanto riguarda i rilievi presentati dalla V Commissione in merito all'esigenza di rafforzare la coerenza del testo con l'attuale sistema di finanziamento e di organizzazione del Sistema sanitario nazionale e per quanto riguarda la disponibilità di un importo non inferiore a 50 milioni di euro previsti dal decreto-legge n. 78 del 1o luglio 2009 convertito poi dalla legge n. 102 del 3 agosto 2009.
Il provvedimento contiene altre buone intuizioni. Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca può individuare con uno o più decreti i criteri per la disciplina degli ordinamenti didattici e di specifici percorsi formativi. Ciò è importante perché non basta avere le cure palliative, bisogna saperle attuare. In materia di cure palliative con i medesimi decreti sono specificati i criteri per l'istituzione di master professionalizzanti.
Da risultati ottenuti da ricerche della Federazione cure palliative effettuate anche grazie al sostegno del Ministero della salute emerge l'assoluta necessità di formazione per tutte le figure che lavorano o lavoreranno nella rete, compresi i volontari. In effetti, quasi tutte le organizzazioni di volontariato hanno già e si stanno impegnando in corsi di formazione sia per i propri operatori che per quelli esterni e alcune di esse collaborano con le università per la realizzazione di master di primo e secondo livello.
Vi sono altri elementi positivi: saranno individuate da parte del Ministro le figure professionali con specifiche competenze nelle cure palliative. Con lo stesso accordo sono individuate le tipologie delle strutture con le quali si articola a livello regionale la rete della terapia del dolore, Pag. 12in coordinamento - questo lo voglio sottolineare perché indispensabile - con la rete nazionale. Viene, inoltre, disciplinata in questo testo la semplificazione delle procedure di accesso ai medicinali impiegati nella terapia del dolore (si tratta di un'altra cosa molto positiva, specie in materia di stupefacenti e sostanze psicotrope).
Inoltre, lo schema normativo definito dalla Commissione prevede che, per rafforzare l'attività svolta dai comitati Ospedale senza dolore, è autorizzata una spesa di 450 mila euro per il 2009, 900 mila per il 2010 e 1 milione e 100 mila per l'anno successivo. Mi sembra troppo poco per poter dare veramente l'avvio non solo al rafforzamento di chi già lo fa, ma soprattutto per quanto riguarda l'istituzione di nuovi hospice. Anche in questo vi è poco impegno economico.
Sebbene l'impegno economico sia talmente esiguo da non permettere la realizzazione di quanto esposto, riconosciamo però che non è mancato un gesto di buona volontà. Auspichiamo che l'iter di questo testo all'esame dell'Assemblea contribuisca a ristabilire un clima di confronto positivo tra maggioranza e opposizione, necessario comunque in materia di salute.
Come Unione di Centro abbiamo presentato un unico emendamento volto ad aumentare lo stanziamento previsto dal provvedimento che, qualora dovesse essere accolto, risulterà comunque insufficiente, ma si tratta comunque di un primo passo a coprire l'impegno che deriva dall'applicazione delle presenti disposizioni (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Palagiano. Ne ha facoltà.

ANTONIO PALAGIANO. Signor Presidente, vorrei innanzitutto ringraziare la Commissione affari sociali per averci dato la possibilità di discutere approfonditamente su questo testo molto importante concernente la terapia del dolore e le cure palliative. Abbiamo ascoltato professionisti provenienti da diverse parti d'Italia e rappresentanti di società scientifiche che hanno arricchito la nostra conoscenza sui problemi delle cure palliative e sulle modalità per affrontarli, sulle esigenze della base e di come colmare quei buchi che vedono l'Italia lontana dagli altri Paesi cosiddetti industrializzati.
Credo che questo sia il sistema, il metodo, presidente Palumbo, di lavorare quando si tratta di una materia così specificatamente tecnica, quando cioè non esiste una contrapposizione tra parti politiche e nell'interesse esclusivo del cittadino. Ci auguriamo che questo sistema verrà seguito anche con l'accoglimento degli emendamenti che sono stati presentati e che serviranno soltanto a migliorare ulteriormente questo testo che, a mio avviso, è buono; rappresenta un punto di partenza indispensabile che può essere migliorato, senza intaccare le risorse che il Governo, dopo lunghe fatiche, ha deciso di stanziare per l'adozione di questa legge che, inizialmente, era soltanto - così potremmo dire - una legge manifesto e che attualmente può godere di qualche finanziamento.
Per sottolineare l'importanza dei buchi e delle lacune che cercheremo di colmare - speriamo che accetterete queste osservazioni - è necessario porre una definizione buona delle terapie del dolore che sono comprese in questa legge. Non dobbiamo confondere due termini che spesso si intersecano, spesso sfumano tra di loro, per cui può non essere comprensibile il punto che a nostro avviso è cruciale. Le «cure palliative» sono le cure strettamente legate al fine vita: è necessario quindi un approccio multidisciplinare; è indispensabile che vi siano pediatri quando si tratta di bambini traumatizzati, che vi siano geriatri quando si tratta di persona di una certa età, anestesisti per la terapia del dolore e così via, con un equipe multidisciplinare. La «terapia del dolore» riguarda, come tutti sanno, soltanto un aspetto dei malati che hanno bisogno di queste cure palliative e terminali; si tratta soltanto di un aspetto.
Questa legge non tratta il problema del dolore, non è la legge sulla terapia Pag. 13del dolore: soltanto il 3-5 per cento dei pazienti che stiamo trattando sono quelli che realmente soffrono; esiste un'enormità di pazienti e di cittadini italiani - si stima che siano circa il 25 per cento gli italiani che hanno problemi - che continuano a soffrire perché affetti da malattie come l'artrosi, l'artrite reumatoide, la lombosciatalgia, l'emicrania, l'endometriosi nelle donne e via seguitando. Questa legge non offre una soluzione a tali problemi in termini di riduzione della sofferenza. Occorrerebbe fare un progetto a parte per eradicare questa cultura del dolore, anzi questa sub-cultura del dolore per cui le donne che partoriscono devono farlo soffrendo, il malato terminale deve morire ma anche soffrendo, la donna deve soffrire perché ha una soglia del dolore più bassa. Sono bazzecole che andrebbero affrontate perché oggi, occorre dirlo forte e chiaro, qualsiasi forma di dolore può essere curata.
Questa legge non si prende cura di questi pazienti e di questi malati, ma rappresenta a nostro avviso un punto di inizio per affrontare il problema e per far mostrare al Governo se ha sensibilità in ordine a questo problema. Non parlo soltanto del parto indolore, ma di tutti quei piccoli interventi ambulatoriali che affliggono tutti i giorni i cittadini e che prima o poi affliggeranno anche noi: endoscopie, interventi di chirurgia ambulatoriale e quant'altro.
Questa è la legge del dolore che avremmo voluto ad integrazione del testo unificato in esame, ma mi rendo conto che avete dei problemi di bilancio, di finanziamenti e mi auguro che questo sia un punto di partenza per affrontare una problematica più vasta.
Il problema della sofferenza riguarda particolarmente le donne. Già in una mozione che abbiamo presentato riguardo alle malattie femminili ebbi modo di dire che oggi l'industria farmaceutica non dispone di cure specifiche per le donne, per quelle che hanno il problema dei flussi ormonali, e che quindi esse non rappresentano un animale da laboratorio (scusate la brutalità) per fare degli esperimenti. Si tratta di soggetti poco convenienti perché molto disomogenei fra loro e quindi le donne non godono di specifiche terapie, ma hanno delle specifiche malattie, ad esempio l'endometriosi, e anche in questo caso la legge dovrebbe affrontare la questione e stimolare anche l'industria all'uso di farmaci che siano specifici per le donne ed anche per i bambini, se mi consentite.
Vi è inoltre il problema dei derivati dell'oppio: l'Italia - lo sapete tutti - è l'ultimo Paese in Europa per la somministrazione degli oppiacei. Esiste un lavoro italiano recentissimo, svolto in collaborazione con l'Associazione italiana oncologia medica, che prende in esame 129 reparti di oncologia in Italia, 2.655 pazienti affetti da tumore, dei quali 901 dichiarano di soffrire molto. Il problema è gravissimo se si considera poi che, in base ai numeri di questa pubblicazione internazionale, dall'82 al 93 per cento dei malati affetti da cancro vengono curati in Italia con farmaci antinfiammatori non steroidei e chi è medico sa bene che si tratta di terapie a lunga portata, mentre gli antinfiammatori non steroidei possono essere impiegati soltanto per brevi periodi perché danno effetti collaterali. Allora, da un lato, salutiamo con favore l'intervento in questo testo volto ad agevolare la prescrizione degli oppiacei, rendendo più snella la procedura, dall'altro lato, vorremmo che la campagna di informazione venisse rivolta, oltre che alla popolazione, anche ai medici, affinché questi ultimi, e quindi i tecnici, si adeguino alla prescrizione degli oppiacei per lenire le sofferenze di questi pazienti.
È vero, inoltre, che sono state affrontate delle questioni sulla professionalità, sull'aggiornamento professionale, sull'obbligo degli E.C.M. di questi operatori del settore, ma lamentiamo - qui, onorevole Palombo, vi è una grossa lacuna - l'impossibilità di inserire un anestesista. Mi rendo conto che vi sono dei doveri in capo alla Conferenza Stato-regioni su cui noi non possiamo entrare nel merito; non abbiamo chiesto di disporre di un'equipePag. 14multidisciplinare, dicendo per filo e per segno chi deve appartenervi, ma lei, presidente Palumbo, in Commissione (e questo risulta nel resoconto) ha sostenuto l'indispensabilità di avere almeno un anestesista, perché altrimenti chi cura il dolore?
Purtroppo, oggi viviamo una condizione strana in Italia: esistono degli hospice che sono retti talvolta dall'oncologo, quando va bene; certe volte anche da medici non specialisti che hanno preso la mano, hanno fatto pratica e quindi sono diventati bravi, ma lei sa, perché è medico, che soltanto dando una giusta quantità, una giusta posologia degli oppiacei, possiamo ottenere effettivamente una certa risposta terapeutica. Infatti, se le terapie sono sottodimensionate, non sono efficaci e lei sa bene che molti farmaci derivati dell'oppio se dati in dosi estreme possono portare ad apnea respiratoria, e quindi a morte. Quindi, ovviamente, vi è una certa titubanza da parte degli specialisti, che reggono gli hospice in Italia e che non hanno magari la specializzazione in anestesia e rianimazione, a dare con disinvoltura un oppiaceo.
Questo è un problema che, a mio avviso, va sviscerato. Abbiamo visto recentemente un famoso artista che è morto all'improvviso dopo che ha ricevuto un farmaco anestetico per combattere la lombosciatalgia di cui era schiavo, quindi stiamo parlando di qualcosa di concreto: per curare il dolore ci vuole l'anestesista. Vorremmo poter suggerire alla Commissione e a quest'Aula un emendamento a costo zero, perché si tratta di inserire un professionista che è presente sempre, in tutte le regioni d'Italia, alla guida di queste strutture o che comunque possa essere presente per poter somministrare la terapia adeguata, presidente Palumbo. Gli anestesisti sono presenti negli ospedali, è possibile fare una convenzione, un comando; quindi non proponiamo di assumere e, dunque, non diciamo di incrementare la spesa, ma soltanto di fare in maniera tale che questi specialisti del dolore, e sono gli unici, presidente, riescano ad essere inseriti per legge in questo contesto. Così come mi sembra adeguato e giusto dover imporre la legge a tutte le regioni.
Non possiamo dire che la legge obbliga le amministrazioni regionali a dover presentare un progetto per costruire gli hospice e tutte le strutture che servono per la terapia del dolore. Ciò non basta ma è necessario aggiungere delle sanzioni in quanto una legge senza sanzioni non è una buona legge, anzi non è nessuna legge perché ovviamente le regioni certe volte non rispettano queste disposizioni centrali e non parlo in senso astratto. Ricordo, infatti, che la legge del 26 febbraio 1999, n. 39, che avete citato, affrontava già i problemi della terapia del dolore e dell'hospice.
Andiamo a vedere i numeri. Lei ha parlato di una disomogeneità in Italia a macchia di leopardo - uso le sue parole - sulla presenza degli hospice. Come vogliamo combattere questa disomogeneità, con un'altra legge che non impone delle sanzioni alle regioni inadempienti? Abbiamo 147 hospice in Italia di cui cinquanta in Lombardia, quattro in Sicilia e zero in Abruzzo: è veramente scandaloso! Allora, a mio avviso, o la legge è stata troppo larga di manica ed è stata oggetto di interpretazioni personalistiche, o credo che i cittadini della Lombardia si ammalino più frequentemente, non vi è dubbio. Quindi, se si hanno cinquanta hospice contro lo zero in Abruzzo bisogna vedere come mai i cittadini lì si ammalano più frequentemente. Questi sono i due problemi più gravi.
Come dicevo prima il provvedimento è un buon punto di partenza, ma non affronta il problema del dolore (tutto il dolore, quello che affligge un cittadino italiano su quattro) ma prende a cuore soltanto i 250 mila malati terminali che ogni anno si registrano in Italia. Ciò quindi non basta, ma occorre che vi siano delle sanzioni per gli inadempienti. Mi rivolgo anche al Viceministro Fazio affinché con i fondi stanziati per questo provvedimento una volta tanto l'attribuzione in Italia avvenga - è questo il mio auspicio - in maniera disomogenea. Vorremmo Pag. 15che questi 50 milioni di euro recuperati dal decreto-legge anticrisi vengano dati in maniera disomogenea per poter colmare quelle lacune di cui parlavo prima, ovvero i buchi presenti in quest'ambito specialistico. Dobbiamo far sì che tutte le regioni abbiano gli hospice necessari per poter far fronte a questo problema. Credo che dovremo tener conto dell'indice di mortalità, ad esempio, delle varie regioni e sicuramente favorire le regioni che non hanno ancora oggi hospice attivi, come l'Abruzzo e come in genere accade nelle regioni del sud.
Il problema del dolore va affrontato adeguatamente e bisogna cominciare a pensare al futuro in quanto il dolore (quando specialmente è cronico) non può essere considerato un sintomo, ma è una malattia nella malattia. Quindi la malattia come tale deve essere affrontata e noi abbiamo l'obbligo di dare al cittadino italiano tutte quelle risorse che devono essere incanalate nei settori in cui l'Italia è carente.
Circa il provvedimento in esame, crediamo che il punto principale attuato è quello del dolore e del rapporto con le cure palliative; tuttavia, crediamo che sia stato stanziato poco per le terapie, per la diffusione e per l'informazione. Crediamo che proprio questa subcultura del dolore debba in qualche maniera essere superata: 350 mila euro ci sembrano pochini e si potrebbe un poco rivedere la distribuzione per eradicare la sottocultura del dolore. È necessario in questo Paese far comprendere a tutti (dai medici ai pazienti e anche ai familiari di questi ultimi) che qualunque forma di dolore può essere combattuta e quindi abbiamo il dovere di agire in questo senso attraverso informazione, informazione, informazione (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Iannaccone. Ne ha facoltà.

ARTURO IANNACCONE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole Viceministro, come è stato già ricordato i dati recentemente diffusi dall'ISTAT stimano in circa 250 mila i malati in fase terminale, di cui oltre 160 mila affetti da malattia neoplastica.
Le istituzioni e il Parlamento non possono non farsi carico dell'esigenza di garantire agli stessi una migliore qualità della vita durante gli ultimi mesi di vita. Fino al momento della morte, il malato ha il diritto di vivere nel migliore dei modi possibile e ha il diritto di non soffrire inutilmente. Ciononostante, fino a pochi anni fa, la medicina ufficiale ha considerato la medicina palliativa, proprio perché non orientata alla guarigione, come un aspetto marginale nella vita dei malati terminali. Trattandosi di pazienti per i quali non c'è più da sperare, il nostro sistema sanitario ha finito con l'emarginarli, riducendo l'assistenza medica ed infermieristica, particolarmente necessaria proprio in questa ultima fase della vita del malato. Nel dramma dinanzi al quale si trova chi è colpito da malattie non guaribili sono coinvolti non soltanto il malato terminale, ma anche il medico di base, che si trova di fronte a situazioni di particolare gravità, e soprattutto la famiglia, che matura un enorme disagio psicologico e si trova impreparata e piena di problemi e di incertezze.
Le cure palliative servono proprio a mettere il paziente nella condizione di avere un'assistenza tale che gli consenta di vivere gli ultimi mesi di vita nella massima dignità possibile di essere umano, non solo limitandosi ad un'efficace terapia del dolore, ma anche guardando ai tanti risvolti che afferiscono alla vita del nucleo familiare, che inevitabilmente è coinvolto appieno nel dramma del proprio congiunto. Nel nostro Paese resiste ancora la convinzione che le cure palliative debbano essere assimilate esclusivamente alla somministrazione di farmaci utili ad alleviare il dolore. Con questa normativa il Parlamento si pone invece un duplice obiettivo: non solo quello di garantire il totale supporto medico e psicologico alla persona malata, ma anche quello di cambiare la concezione predominante, che riduce le cure palliative alla semplice terapia del dolore. In questo senso, una normativa Pag. 16realmente adeguata alle richieste che vengono dalle famiglie coinvolte in simili situazioni non può che puntare l'attenzione alla persona e solo successivamente alla malattia che l'ha coinvolta. In nessun caso le cure palliative devono affrettare la morte e in nessun caso debbono ritardarla, scadendo in un inutile accanimento terapeutico. Nello stesso tempo, siamo dell'avviso che un'assistenza adeguata debba tenere in debito conto gli aspetti psicologici che riguardano il paziente e i suoi familiari e la dimensione religiosa del paziente stesso, qualora credente. Occorre, inoltre, sforzarsi, nei limiti del possibile, di rendere normale la vita del paziente, attraverso il supporto fisioterapico. La società italiana di cure palliative, nel 2006, ha pubblicato la prima rilevazione sugli hospice, ovverosia i centri residenziali di cure palliative. Stando ai dati, gli hospice attivi al 31 ottobre 2007 sono centoquattordici. Il dato ufficiale, elaborato sui dati raccolti entro il 31 dicembre 2006, è di centocinque hospice attivi, con 1.229 posti letto concretamente operativi. Secondo i dati di programmazione forniti dalle regioni, gli hospice operativi entro i prossimi anni, indicativamente entro il 2011, dovrebbero essere duecentoquarantatre, con 2.736 posti letto totali e un indice globale nazionale di 0,47 posti letto ogni diecimila residenti.
Stando a quanto riportato nella rilevazione, come pure è stato già ricordato, si sta delineando una notevole diversità interregionale nello stato di realizzazione della rete degli hospice e più in generale della rete per le cure palliative. In generale, vi è un andamento decrescente da nord a sud sia nel numero degli hospice attivi e da attivare, sia nel numero dei posti letto.
Fatto preoccupante, questa tendenza si manterrà nel tempo sulla base dei dati di programmazione regionale forniti. Al 31 dicembre 2006 la Lombardia aveva un tasso di posti letto in hospice di 0,46 per 10 mila residenti, mentre ben quattro regioni non ne avevano alcuno in funzione (Abruzzo, Campania, Umbria e Valle d'Aosta). In altre cinque regioni l'indice era sotto lo 0,1 per 10 mila residenti (Calabria, Puglia, Sardegna, Sicilia e Toscana). Anche in questo caso, onorevoli colleghi, onorevole Viceministro, il Mezzogiorno è costretto a pagare il prezzo di un divario che si ripercuote, per l'appunto, non solo nel campo economico, ma anche nel campo dell'assistenza sanitaria ai malati terminali.
Con la proposta di legge che ora stiamo esaminando ci poniamo i seguenti obiettivi: promuovere l'adeguamento strutturale del Servizio sanitario nazionale alle esigenze assistenziali connesse al trattamento dei pazienti affetti da dolore severo; incentivare la realizzazione a livello regionale di progetti indirizzati al miglioramento del processo assistenziale rivolto al controllo del dolore di qualsiasi origine; perseguire l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza come strumento di adeguamento dell'offerta di servizi alle specifiche esigenze assistenziali dei pazienti affetti da dolore severo in fase terminale e delle loro famiglie; promuovere la realizzazione di programmi regionali di cure domiciliari palliative integrate; semplificare le procedure di distribuzione e facilitare la disponibilità dei medicinali utilizzati nel trattamento del dolore severo, al fine di agevolare l'accesso dei pazienti alle cure palliative, mantenendo controlli adeguati volti a prevenirne abusi e distorsioni; promuovere il continuo aggiornamento del personale medico e sanitario del Servizio sanitario nazionale sui protocolli diagnostico-terapeutici utilizzati nella terapia del dolore; utilizzare la comunicazione istituzionale come strumento di informazione e di educazione sulle potenzialità assistenziali delle terapie del dolore e sul corretto utilizzo dei farmaci in esse impiegati. Riteniamo, così, di poter contribuire efficacemente a garantire la dignità della vita delle persone colpite da malattie inguaribili e di supportare in ogni modo le famiglie coinvolte in un dramma di questo genere.
Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, onorevole Viceministro, noi del Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud continueremo a dare il nostro contributo Pag. 17e il nostro supporto ad una legislazione orientata all'uomo, alla tutela della sua dignità, alla strenua difesa della vita.
Lo faremo avendo un occhio di particolare attenzione al sud, affinché si eviti che, anche in questa occasione, i nostri cittadini debbano pagare un prezzo maggiore a causa dell'arretratezza e del divario che li separa dal resto del Paese.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Castellani. Ne ha facoltà.

CARLA CASTELLANI. Signor Presidente, signor Viceministro, onorevoli colleghi, l'invecchiamento della popolazione e un'aspettativa di vita sempre crescente ci mettono di fronte, ormai da tempo, ad un ampliamento dei bisogni sanitari e assistenziali della popolazione stessa.
Anche malattie come il cancro, le gravi patologie cardiologiche e respiratorie, l'Aids, gli esiti di traumi gravi ed alcune patologie neurologico-degenerative, che un tempo erano rapidamente mortali, oggi, curate, controllate o rallentate verso gli effetti ultimi dalla medicina contemporanea, hanno determinato un contesto nuovo per le scelte delle politiche sanitarie e sociali. Un contesto che ci impone non solo la necessità di continuare a curare, e curare bene, ma anche di considerare la qualità della vita di questi pazienti come parte integrante ed obiettivo nobile di percorsi terapeutico-assistenziali.
Il dolore cronico o il dolore severo, presenti nelle malattie neurologico-degenerative ed oncologiche, specie nelle fasi avanzate o terminali, può assumere caratteristiche di dolore globale, legato a motivazioni fisiche, psicologiche e sociali, e se non adeguatamente curato può avere un impatto devastante su tutti gli aspetti della salute e della qualità della vita del paziente e della sua famiglia. È evidente, allora, che il trattamento del dolore, in specie quello severo, rappresenta una necessità anche etica e non solo terapeutica, essendo determinante nel favorire l'autonomia del paziente, e riducendo significativamente la morbilità e la mortalità permette di contenere anche i costi sociali.
Combattere il dolore fisico, indipendentemente dal processo morboso che lo produce, significa di certo avere attenzione per la qualità della vita dei pazienti; ma combattere il dolore nella sua globalità rappresenta la vera sfida che la moderna società deve affrontare per dare senso compiuto al concetto di umanizzazione dell'assistenza sanitaria e sociale. Le cure palliative, allora, rappresentano la risposta più appropriata ai bisogni di questi pazienti, che si trovano nella fase avanzata e terminale della malattia.
Secondo la più recente definizione dell'Organizzazione mondiale della sanità, le cure palliative sono un approccio che migliora la qualità della vita dei malati e delle loro famiglie, che si trovano ad affrontare le problematiche associate a malattie inguaribili, attraverso la prevenzione ed il sollievo della sofferenza, per mezzo di una identificazione precoce e di un ottimale trattamento del dolore e delle altre problematiche di natura fisica, psico-sociale e spirituale. Sempre nella definizione dell'Organizzazione mondiale della sanità, le cure palliative sono garanti della vita, e considerano la morte un processo naturale che non intendono né affrettare né ritardare; devono essere proposte con gradualità ed appropriatezza, ma certamente prima che le problematiche cliniche diventino ingestibili; non devono essere prerogativa solo di team specializzati a livello domiciliare, residenziale o ospedaliero, ed attivati solo quando tutti gli altri interventi terapeutici sono stati sospesi o interrotti, ma devono diventare parte integrante di tutto il percorso di cura e garantite in ogni ambiente assistenziale. Si stima infatti che in Italia ogni anno 150 mila nuovi pazienti oncologici abbiano bisogno di cure palliative; e considerando anche le malattie cronico-degenerative, secondo una stima della Società italiana di cure palliative, sarebbero addirittura 250 mila ogni anno gli utenti potenziali, di cui 11 mila in età pediatrica ed adolescenziale.
Alla luce di questi dati, soprattutto negli ultimi anni la razionalizzazione degli interventi sanitari, socio-sanitari ed assistenziali per persone affette da malattie in Pag. 18fase terminale ha rappresentato un obiettivo importante degli ultimi Piani sanitari nazionali. La previsione di realizzare e rafforzare la rete nazionale di cure palliative è un contenuto importante del Piano sanitario nazionale 2003-2005. Anche la legge n. 328 del 2000 ed i successivi decreti attuativi contengono importanti indicazioni alle regioni, finalizzate a raggiungere la piena integrazione tra interventi sanitari, socio-sanitari e socio-assistenziali, soprattutto nell'ambito delle cure e dell'assistenza domiciliare. Inoltre, l'assistenza domiciliare sanitaria e socio-sanitaria ai pazienti terminali, l'assistenza territoriale residenziale e semi-residenziale a favore dei pazienti terminali, i trattamenti erogati sempre per i pazienti terminali nel corso del ricovero ospedaliero costituiscono a tutti gli effetti livelli essenziali di assistenza, secondo quanto indicato nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 novembre 2001, e le prestazioni rivolte alle patologie terminali sono state inserite con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 14 febbraio 2001 nelle prestazioni socio-sanitarie ad elevata integrazione sanitaria.
Dopo l'emanazione della legge n. 39 del 1999, e grazie soprattutto alla collaborazione del privato no profit, che ha favorito in maniera determinante la nascita e la crescita di una nuova sensibilità verso le cure palliative nel nostro Paese, molte regioni hanno provveduto a definire la programmazione degli interventi in maniera diversa. Alcune regioni li hanno finalizzati prevalentemente alla realizzazione degli hospice; altre regioni hanno preferito implementare i servizi delle strutture ospedaliere, ed altre ancora hanno inserito il servizio delle cure palliative all'interno di un programma di riorganizzazione dell'assistenza domiciliare, che è quella percentualmente più gradita dai cittadini come risposta a questo tipo di bisogni.
Quello che emerge comunque dall'analisi dell'esistente è la necessità di realizzare un modello di cure palliative flessibile, articolato ed integrato che, essendo a tutti gli effetti un livello essenziale di assistenza, garantisca in tutto il Paese la risposta più efficace ed efficiente ai bisogni dei malati e delle loro famiglie.
La necessità pertanto di offrire livelli assistenziali a complessità differenziata, adeguati alle necessità del malato ed adattabili alle diverse esigenze rende necessaria una legge-quadro per programmare un sistema a rete che offra la maggiore integrazione possibile tra i differenti modelli e livelli di intervento e tra i numerosi soggetti professionali coinvolti.
Ed è in questo quadro di risposte a macchia di leopardo già presenti nel Paese, nella necessità di stimolare quelle aree del Paese in netto ritardo su questi temi e soprattutto nella volontà di mettere in rete i servizi già presenti e quelli in fieri che - prima nella Commissione di merito dove è stato svolto un ampio e produttivo lavoro ed ora in Aula - la Camera si accinge a varare un testo unificato che ha come obiettivi di fondo quelli di: istituire il diritto e la facilitazione dell'accesso alla rete di cure palliative da parte del malato in fase terminale per garantire il rispetto della dignità umana, la qualità delle cure, la loro appropriatezza ed una adeguata continuità assistenziale al paziente stesso ed alla sua famiglia; definire - questo è un altro degli obiettivi - le cure palliative e la terapia del dolore obiettivi primari del Piano sanitario nazionale al fine di poter vincolare le risorse a questi specifici obiettivi; prevedere che dall'anno 2010 l'attuazione degli obiettivi della legge costituiranno adempimento regionale ai fini dell'accesso al finanziamento integrativo del Sistema sanitario nazionale; stabilire requisiti stringenti e criteri di qualità per le cure palliative domiciliari e residenziali; istituire percorsi formativi per il personale medico-sanitario e per tutte le figure professionali necessari alla costituzione di un'equipe multidisciplinare in grado di affrontare al meglio questo tipo di problematiche; facilitare la disponibilità dei presidi e dei farmaci impiegati nella terapia del dolore severo permettendo la prescrizione semplificata di questi farmaci con il ricettario del Servizio sanitario Pag. 19nazionale; promuovere campagne di informazione per diffondere nel Paese la consapevolezza che il dolore può essere combattuto in tutte le sue forme e che le cure palliative possono essere un valido aiuto ai pazienti ed alle loro famiglie in momenti così difficili della loro vita; istituire un osservatorio apposito che monitori l'esistente e getti le basi per un sistema di risposte più organico ed articolato sia a livello regionale, sia nazionale.

PRESIDENTE. Onorevole Castellani, la invito a concludere.

CARLA CASTELLANI. Concludo con l'auspicio che questo provvedimento, considerato il prezioso lavoro bipartisan già profuso in Commissione, possa essere varato da questo ramo del Parlamento con un ampio consenso, anche perché - grazie pure all'impegno del Viceministro Fazio, dei componenti della Commissione affari sociali, della Commissione bilancio e del relatore - è stato superato l'ostacolo più difficile: sono state infatti finalmente reperite, nel decreto-legge anticrisi, le risorse finanziarie per dare più forza al provvedimento stesso. Grazie (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Binetti. Ne ha facoltà.

PAOLA BINETTI. Onorevoli colleghi, in Italia come hanno già ribadito molti dei colleghi si stima che vi siano 250 mila malati in fase terminale, di cui oltre 160 mila affetti da malattia neoplastica. La maggior parte di loro ha bisogno di un piano di cure e di assistenza che nella sua complessità coinvolga anche la loro famiglia e consenta loro di vivere nel miglior modo possibile durante gli ultimi mesi di vita.
L'universo del malato in fase terminale apre una serie di problematiche e di sfide di portata non indifferente: è evidente infatti che la domanda di cura che ogni paziente pone al medico tende a differenziarsi in maniera sostanziale a seconda della malattia e del livello di sofferenza che provoca in lui e nella sua famiglia, ma anche a seconda del suo stile di vita, dei suoi valori e della sua personalità.
Per questo l'offerta di prestazioni da parte del Sistema sanitario nazionale, per essere davvero efficace, deve essere in grado di adattarsi a tutte queste variabili.
Nella nostra cultura la sofferenza ha assunto un peso rilevante, forse persino maggiore della morte, e se la morte appartiene alla natura ed è qualcosa con cui tutti noi, prima o poi, dobbiamo confrontarci, la sofferenza appartiene alla vita e grazie ai progressi della scienza e della tecnica sta diventando sempre più governabile da parte dell'uomo.
Ma la scienza e la tecnica da sole non basterebbero a migliorare la qualità di vita dei pazienti, se non ci fosse anche una diversa sensibilità che permette alle famiglie di poter stare vicine alle persone care e ammalate. Si tratta di familiari che vanno considerati come parte integrante di questo processo di cura che caratterizza le ultime fasi della vita e che, perciò, sono anche loro meritevoli di cure e di attenzione da parte del nostro sistema; è uno degli aspetti più positivi ed interessanti che questo testo unificato prende in considerazione.
Tutto l'impianto della legge tende a mettere al centro dell'attenzione non la malattia, ma il malato. Il malato non nella sua pura individualità, ma come soggetto al centro di una rete di affetti ed di relazioni. L'obiettivo delle cure palliative è, appunto, quello di prendersi cura del paziente con tutti i suoi bisogni, tanto che, non a caso, accanto alle terapie farmacologiche necessarie, prevedono un supporto di tipo psicologico, spirituale e sociale rivolto sia alla persona malata sia al nucleo familiare o amicale. Le cure palliative hanno bisogno di poter contare sul sostegno sociale necessario, perché l'attenzione per la dignità del vivere e del morire, e l'umanizzazione dei percorsi assistenziali, siano salvaguardate da una consapevolezza e da un consenso diffusi. Mai come in questi casi la medicina può mostrare il suo volto più umano, quello che Pag. 20consente ad una persona di morire, apprezzando le cure che riceve e l'attenzione di cui è oggetto.
Questo testo unificato ribadisce come l'accesso alle prestazioni erogate dalla rete di cure palliative e dalla rete per la terapia contro il dolore è regolato dai principi generali dell'universalità, equità ed appropriatezza. I malati hanno tutto il diritto di scegliere il luogo di cura nell'ambito delle diverse opzioni offerte dalle due reti del Sistema sanitario nazionale in relazione al loro livello di consapevolezza della diagnosi e della prognosi. Anche in questo caso si tratta di garantire al malato che non sarà lasciato solo, che gli verranno fornite tutte le cure necessarie, senza mai incorrere in inutili forme di accanimento diagnostico o terapeutico. L'Organizzazione mondiale della sanità afferma che proprio per questo motivo sono nate le cure palliative, ovvero l'insieme degli interventi terapeutici e assistenziali finalizzati alla cura dei pazienti la cui malattia presenta una rapida evoluzione e una prognosi infausta, ma soprattutto non risponde più a trattamenti specifici. Secondo l'European Association for Palliative Care, le cure palliative rispettano la vita e considerano il morire un processo naturale. Il loro scopo non è quello di accelerare o di ferire la morte, ma quello di preservare la migliore qualità della vita possibile fino alla fine. Ancora oggi in Italia esiste confusione sulla natura di queste cure, spesso identificate con la sola terapie del dolore, mentre le caratteristica del cure palliative è ben più ampia e si fonda su una serie di principi frutto di una lunga esperienza che si è andata consolidando negli ultimi anni.
Storicamente le cure palliative sono state introdotte in Italia attraverso una serie di attività promosse da istituzioni di carattere religioso ovvero da iniziative proprie del terzo settore. Il loro carattere principale era quello dell'accoglienza e dell'assistenza del malato in hospice appositamente strutturati oppure attraverso varie forme di assistenza domiciliare. Scarso era sia il loro collegamento con gli ospedali, da cui spesso questi pazienti provenivano, sia il rapporto con i rispettivi medici di famiglia. Questo aveva contribuito a fare degli hospice una sorta di ultima spiaggia, dove il paziente andava per morire, e la stessa assistenza domiciliare sembrava rispondere più a criteri di umana pietà che ad una vera e propria competenza professionale. Oggi le cose non stanno più così e quegli inizi coraggiosi, di persone competenti e generose hanno saputo creare una nuova scienza: la scienza della palliazione. Questo testo unificato vuole valorizzare anche questo aspetto concreto, sottolineando come negli anni si è andato formandosi un sapere esperto che sintetizza preparazione scientifica e sensibilità sociale, nuove tecnologie e medical humanities.
Il problema di fondo che questo provvedimento affronta è appunto quello della necessità di creare una rete di cure palliative efficace affiancata ad un'altra rete, quella per le terapie contro il dolore, ma distinta da quest'ultima. L'insieme delle cure palliative definisce la rete assistenziale che si prende cura della persona anche quando la guarigione è un obiettivo impossibile. La creazione della rete serve ad assicurare al paziente la continuità delle cure, anche nei momenti in cui cambiano le sue necessità e si rende necessario fare fronte alla sua malattia in contesti di cura diversi collegati tra di loro. Il concetto di continuità di cura va garantito al malato come un filo d'Arianna che permetta a lui e ai suoi familiari di non smarrirsi nel labirinto burocratico in cui a volte scivolano le persone obbligate a muoversi tra una struttura e l'altra, nei frequenti rimandi con cui le istituzioni fanno rimbalzare le proprie responsabilità.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE (ore 18,10)

PAOLA BINETTI. Il circuito virtuoso della rete è comunemente chiamato il circuito delle tre h (home, hospice, hospital), in stretto collegamento tra di loro perché il paziente possa muoversi agevolmente tra la struttura ospedaliera, nei Pag. 21momenti di particolare criticità clinica, e l'hospice come luogo di accoglienza ad alta densità assistenziale hi-touch, ma non necessariamente ad alta tecnologia hi-tech, e infine la sua casa (home) dove dovrebbe poter stare il più a lungo possibile, godendo di tutte le cure che una buona assistenza domiciliare deve assicurare a lui e alla sua famiglia; fa parte della rete anche il medico di famiglia, un centro di telemedicina, la farmacia distrettuale ed ospedaliera, e tutti insieme compongono l'equipe professionale di cure palliative. Questa legge però presenta anche un bisogno di fare chiarezza rispetto ad una particolare questione; infatti, la legge n. 39 del 1999 dell'allora Ministro Bindi, pur avendo creato l'opportunità di dare vita a diversi hospice ha ottenuto risultati molto diversi da una regione all'altra. Il tema delle difformità regionali si impone alla nostra attenzione come un criterio di equità. In questi ultimi dieci anni infatti tutte le regioni hanno provveduto a definire la programmazione della rete di cure palliative anche se con modalità tra loro differenti per accedere ai finanziamenti previsti per la realizzazione dei centri residenziali di cure palliative. Alcune regioni hanno inserito lo sviluppo delle cure palliative all'interno del più vasto programma di organizzazione della rete di interventi domiciliari sanitari, socio-sanitari e assistenziali. Le modalità e la tempistica di utilizzo dei finanziamenti però sono state molto diverse tra una regione e l'altra. In alcune regioni vi è stata un'apparente inerzia nell'affidare il processo di realizzazione degli hospice, e le regioni più svantaggiate (quelle del centro sud) non sono ancora in grado di assicurare a tutt'oggi un'offerta di assistenza a domicilio commisurata alla copertura dei bisogni. Inoltre fra le regioni è molto diverso il processo di certificazione dei requisiti minimi necessari per poter attuare il servizio sanitario nazionale sul territorio nazionale. Non tutte le regioni infatti hanno concluso il percorso di accreditamento, per cui manca la possibilità di creare un unico modello di riferimento nazionale della rete in considerazione dell'autonomia regionale in campo sanitario definita dal titolo V della Costituzione. Il provvedimento inizialmente presentava una sorta di modello in modo da garantire livelli di assistenza altamente qualificati a tutto il territorio nazionale, ma non è stato possibile mantenere questa posizione per non entrare in conflitto con l'autonomia di cui godono le regioni. È importante però che la flessibilità che scaturisce dall'autonomia non accentui le differenze a scapito della qualità dell'assistenza erogata. Il testo in esame insiste soprattutto sul concetto di rete perché dove ci sono più hospice migliori la qualità dell'assistenza domiciliare e viceversa. Occorre tener presente che attualmente il 59,4 per cento degli hospice operanti non prevede l'erogazione di una qualche forma di assistenza domiciliare da parte dell'equipe che opera nell'hospice. È un aspetto che dovrà essere approfondito, ma fin da ora è evidente che se si vuole ottenere che gli hospice operino in modo integrato nella rete è necessario che l'accreditamento delle strutture preveda come standard fondamentale la condivisione di procedure definite con gli altri poli della rete, in particolare con l'assistenza domiciliare. Emerge quindi la necessità di un modello assistenziale di cure palliative flessibile ed articolabile in base alle scelte regionali, ma essendo a tutti gli effetti un livello essenziale di assistenza è necessario che si garantisca in tutto il Paese la risposta ottimale ai bisogni della popolazione, sia per i malati sia per le famiglie che si trovano ad affrontare tale realtà.
Il testo unificato in esame presenta alcune luci ed ombre sulle quali mi fa piacere soffermarmi. Il primo punto riguarda la formazione. Per raggiungere questi obiettivi è necessario infatti assicurare un adeguato livello di formazione al personale impegnato nelle due reti. È imprescindibile infatti istituire percorsi formativi di tipo interdisciplinare e multiprofessionale affinché tutti i professionisti impegnati nei programmi di cure palliative e nell'assistenza ai malati terminali ricevano un'adeguata formazione nel trattamento del paziente in fase terminale e Pag. 22nell'applicazione della terapia del dolore severo, anche per evitare fenomeni di burnout e di conflitto relazionale in un campo così delicato. Per questo è necessario garantire coloro che da molti anni stanno lavorando in campi in cui sono stati pionieri anche senza particolari titoli accademici. Il loro è un sapere esperto costruito fianco a fianco con i malati, con le loro famiglie e con i continui progressi della scienza e della tecnica.
In tal senso vale la pena auspicare che presto le cure palliative abbiano una duplice forma di visibilità. Nel curriculum di tutti gli studenti di medicina e di scienze infermieristiche con il preciso percorso di specializzazione in cure palliative, come sempre accade quando si aprono nuove strade, occorre vigilare perché coloro che da sempre le hanno percorse ricevano i giusti riconoscimenti e, nello steso tempo, incoraggiare nuove leve di studenti e di professionisti a dedicarsi con passione e competenza al campo della medicina palliativa. Un buon livello di formazione in tal senso è un'eccellente prevenzione di possibili forme di richiesta eutanasica.
Il secondo tema che a mio avviso rientra tra le luci e le ombre del testo unificato riguarda la comunicazione. È necessario promuovere una campagna di informazione ed educazione sulle potenzialità assistenziali delle cure palliative e dell'applicazione della terapia del dolore mettendo al riparo da due rischi ben precisi. Infatti questa presentazione non sarebbe completa se non facessi riferimento ad un nuovo, importante rischio che sembra profilarsi all'orizzonte. La nuova frontiera dell'eutanasia potrebbe diventare la sedazione profonda. Inizialmente avevo proposto un emendamento in tal senso: ho ritirato tuttavia tale emendamento anche perché la giusta interpretazione dei passaggi cruciali di questa legge esclude in ogni modo che le terapie palliative possano essere utilizzate per accorciare la vita del paziente. Un ulteriore rischio da evitare è quello che l'uso degli oppiodi nella terapia del dolore possa diventare un modo surrettizio di liberalizzare l'uso delle droghe, prescritte inizialmente a scopo antalgico. Anche questo aspetto che per molto tempo ha fatto da freno ad un uso più ampio e consapevole di questi farmaci nella terapia contro il dolore merita di essere tenuto sotto controllo: un controllo clinico e sociale proprio perché timori e pregiudizi non privino i pazienti di un'importante risorsa ma non creino neppure rischi e tentazioni di altro genere.
Terzo ed ultimo punto come ombra di questo testo unificato riguarda gli investimenti. È il vero punto dolens della legge. Le risorse attuali sono appena sufficienti a sdoganare una legge che pone un problema essenziale: l'assistenza al malato terminale. Ma le cure palliative e la terapia del dolore richiedono un approccio sistemico e integrato e non possono limitarsi ad interventi sporadici e scollegati tra di loro.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Binetti.

PAOLA BINETTI. Il senso profondo di questo testo unificato è rilanciare un modello di assistenza in cui il soggetto è al centro di una rete di servizi che ruota intorno a lui offrendogli di volta in volta ciò di cui ha più bisogno nei tempi nei luoghi e nei modi più opportuni. Servono risorse e serve un impegno economico forte e significativo da parte del Governo. L'autonomia delle regioni non può risolversi, come è accaduto in talune regioni in tempi recenti, in una sorta di abbandono del paziente o nell'offerta di un servizio minimalistico ed insufficiente. Per questo occorre un controllo chiaro e forte perché non ci siano né sprechi né dirottamenti di fondi su altri obiettivi. L'aspetto economico è tutt'altro che irrilevante per il raggiungimento degli obiettivi di una legge parlamentare che ci sembra tra le più importanti di questo ultimo anno (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nizzi. Ne ha facoltà.

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SETTIMO NIZZI. Signor Presidente, colleghi, finalmente anche la nostra Italia si dota di una norma che dà la possibilità di approfondire i rapporti tra Sistema sanitario nazionale e sistema sanitario regionale, che ha di fatto la delega alla realizzazione delle strutture sanitarie di supporto agli ammalati in questa fase.
Lo Stato - il Governo e il Parlamento - con l'approvazione della normativa in esame provvederà ad indicare agli operatori del Sistema sanitario nazionale la strada per poter ridurre il disagio delle molte famiglie che soffrono spesso di solitudine, di abbandono, e che si sentono incapaci ed impotenti di fronte alla tragedia della morte spesso prematura dei propri congiunti. Attualmente nelle regioni, soprattutto nelle regioni del sud, esiste ancora una notevole difficoltà a sostenere dal punto di vista sanitario i malati allo stadio terminale. Ancora esistono i viaggi della speranza e molti di noi, molti sanitari e molti medici, devono spesso rispondere alle famiglie della difficoltà al trasporto e soprattutto al ricovero dei pazienti per i quali difficilmente può esistere una terapia che possa alleviare le loro sofferenze oppure che possa avere la possibilità di dare guarigione.
Le cure palliative che possono essere realizzate sono indicate nella normativa in esame, che finalmente ci pone al livello degli altri Stati europei e soprattutto di quelli più avanzati. Certamente tale norma non è la panacea per tutti i disagi a cui vanno incontro le famiglie degli ammalati, ma è un primo passo importante, perché porrà e costituirà uno stimolo importante per tutta la nazione e per tutte le persone che hanno competenze in questo settore, a partire dal Ministero, per arrivare agli assessorati regionali, per arrivare alle direzioni generali delle aziende, per arrivare infine ai medici e agli infermieri, soprattutto a quelli che fino ad oggi hanno praticato e praticano la terapia palliativa solo ed esclusivamente per propria iniziativa.
Norme precise, ma anche finanziamenti adeguati. Non è facile parlare di finanziamenti adeguati in periodi di grave crisi economica come quella che stiamo attraversando, però già il fatto di aver provveduto a stanziare i primi 50 milioni per lo start up della nuova normativa in esame penso che possa essere un utile strumento per iniziare concretamente a compiere i primi passi per alleviare la sofferenza dei malati terminali. Molti di noi, che hanno purtroppo occasioni multiple di avere contatti con pazienti in fase terminale, si trovano dinanzi a concrete e reali difficoltà ad operare. In ciò ci è venuto incontro il decreto del Ministero per la prescrizione su ricettario normale dei farmaci oppiacei. Però d'altra parte troviamo ancora difficoltà, come medici di medicina generale, a ritirare gli stessi ricettari, quelli normali. Vi sono ancora aziende sanitarie locali che non danno il ricettario su delega scritta e sottoscritta del medico. In banca ci danno i libretti degli assegni, la delega è prevista per le prescrizioni dei farmaci oppiacei, mentre ciò non accade per i ricettari normali. Penso che un interessamento da parte del Ministero, con una direttiva, possa in tempi molto brevi risolvere anche questo problema.
Tra le cose che mi interessa sottolineare per questa nuova e importante normativa è che il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali deve provvedere a sollecitare, non appena il provvedimento in esame verrà approvato, tutte le regioni affinché gli assessorati pongano in essere le misure per realizzare le adeguate strutture normative in tempi brevissimi, in modo che si parta realmente con le strutture adeguate alla realizzazione della reale terapia palliativa. Altrimenti potremmo anche trovarci di fronte a regioni che dopo una settimana o venti giorni riescono ad adempiere a questa norma e ad altre regioni, ugualmente destinatarie della normativa, che, invece, potrebbero anche impiegare sei mesi, un anno o anche di più. Dobbiamo essere tutti solleciti in questo campo.
Voglio sottolineare un ultimo aspetto. Abbiamo sentito in questi giorni della richiesta da parte del personale che ha gestito autonomamente gli hospice o che Pag. 24ha lavorato autonomamente negli hospice di potersi vedere riconosciuta quella professionalità che si è guadagnata negli anni. Credo che sia utile che a questo personale possa essere riconosciuto qualcosa, ma a seguito anche di un piccolo e formale esame da superare, altrimenti andiamo sempre alla ricerca di titoli che possono essere poi utilizzati come titoli professionali, creando delle disparità tra coloro che hanno delle specialità e coloro che, invece, non hanno provveduto a sostenere gli esami per ottenere le specialità che vorrebbero venissero riconosciute.
Penso che dopo la discussione sulle linee generali, nel corso dell'esame degli articoli, si possano apportare alcune piccole modifiche, senza stravolgere il provvedimento, perché si tratta di un ottimo provvedimento, che è stato discusso e portato avanti in maniera bipartisan. Tuttavia, alcuni piccoli aspetti si possono modificare, e ne parleremo sicuramente in Aula (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Polledri. Ne ha facoltà.

MASSIMO POLLEDRI. Signor Presidente, signor Viceministro, onorevoli colleghe e colleghi, vi è il momento della battaglia e quello della tregua e della pace. Le strade si dividono, ma a volte si incontrano, e poi ognuno prosegue per la sua. Vi è il momento della battaglia, che ha un sapore aspro e odori forti. Il momento della tregua è un momento sereno, una brezza, e ha un sapore dolce. Oggi respiriamo un rientro sereno in Parlamento, ma credo che abbiamo comunemente un sapore dolce in bocca e un pezzettino di buona pratica, di buone idee e di buona politica. Non credo che la politica sia così malata come viene detto ma penso che la politica, come questo Paese, abbia grandi opportunità. Oggi credo che possiamo dire di aver fatto tutti il nostro dovere, come parlamentari e come uomini. Non è un momento salvifico, non abbiamo fatto filantropia, non abbiamo fatto né i fenomeni né gli eroi, ma penso che abbiamo fatto il nostro dovere. Gran parte di quelli che hanno scritto la legge e che hanno votato gli emendamenti sono coinvolti, in qualche modo, nel processo sanitario.
Sono medici, sono operatori del servizio sanitario, sono persone che magari hanno vissuto una storia personale di dolore al fianco di malati e di persone che hanno sofferto, che tutti ricordiamo in questi momenti, e per questo vi è un carico emotivo, dei propri cari e di persone che ancora adesso sono presenti.
Si tratta, quindi, di una proposta di legge che, a nostro giudizio, tecnicamente è ben fatta e che segna un momento importante, anche dal punto di vista tecnico, nella strutturazione della rete. C'è ancora da fare e vi sono ricerche in merito. Successivamente ci soffermeremo sulle possibili strade (che possono essere diverse), ma ora vorrei tener conto degli interventi che mi hanno preceduto.
Il collega Iannaccone ha parlato della necessità di mantenere anche nelle cure palliative una «barra» (come ha detto: né una medicina in più, né una medicina in meno), ovviamente in modo non fiscale, ma per mantenere una finalità particolare. La collega Binetti ha parlato del valore della sofferenza, e certamente questo è un tema filosofico-culturale con cui i medici si scontrano, con cui i politici si scontrano e con cui la società si scontra, a partire dalla Chiesa fino all'ultimo dei laici. È un tema di cui dobbiamo parlare: il valore che diamo alla malattia e cosa pensiamo della malattia e delle cure terminali. Ricordo una bella frase del premio Nobel Montalcini, che ha detto che la vita vale in ogni minuto e fino all'ultimo minuto prima di morire ed in ogni minuto deve valere la gioia per questo miracolo che si chiama vita. Non penso che parlasse in nome di una confessione, ma di una ragione profondamente umana.
Certamente il momento in cui pensiamo che la malattia sia una sconfitta e che il dolore nella nostra esperienza possa essere considerato una sconfitta, allora le scorciatoie possono essere giustificate. Abbiamo un modello di società in cui ci Pag. 25sentiamo onnipotenti, e noi medici pensiamo di poter salvare tutto e di poter guarire tutto. Bene ha detto il relatore nell'ultima frase della relazione, quando ha ricordato che non possiamo guarire tutto; possiamo, però, curare. È un senso di impotenza, ma possiamo offrire una cura, un conforto e un'attenzione. Shakespeare, nel Macbeth, parlava del dolore: date al dolore la parola, il dolore che non parla sussurra al cuore di scoppiare e di spegnersi.
Credo che questo sia un atteggiamento culturale che vada portato avanti, e quindi che la sofferenza non sia una sconfitta. Nella nostra cultura il mito del superuomo rimane, ma mentre una volta il superuomo era un eroe, ossia qualcuno che dimostrava valore in battaglia, oggi i nostri modelli di supereroe sono le veline ed i calciatori. Lo dico forse per invidia, poiché tutti ameremmo essere persone di successo, ma esistono anche le persone normali. In seguito magari leggerò un pezzo del libro Un medico, un malato, un uomo che fornisce una visione di insieme.
Ma, al di là di queste considerazioni - chiedo scusa se forse sono andato un po' sul filosofico, ma credo che quest'Aula possa «sopportare» anche queste considerazioni, in quanto credo che vi sia anche un messaggio che si deve dare al Paese - tecnicamente oggi c'è sicuramente da migliorare una rete di cure palliative.
C'è prima di tutto da estendere - come è stato ricordato anche dalla collega del Partito Democratico - un criterio di uguaglianza e di giusta distribuzione. Oggi viviamo un'insopportabile differenza geografica e di diritti tra chi è magari fortunato di vivere in Lombardia e anche nel Lazio (dove non dimentichiamoci che vi è, almeno dai dati che ci sono stati presentati, una buona rete di cure palliative) e chi in altre regioni meno fortunate, quindi c'è da colmare un gap. I diritti essenziali, i LEA (i livelli essenziali di assistenza), debbono essere uguali dalla punta alla fine del nostro stivale, cioè deve esserci il diritto a vivere e a curarsi con dignità ovunque.
Si potrà dire che forse l'impegno economico non è sufficiente. Debbo ringraziare per questo personalmente il collega Duilio, ma anche la tenacia e le critiche che sono arrivate dall'onorevole Turco, che sono state di stimolo anche per la maggioranza. Probabilmente se non ci fosse stato, nel ruolo delle parti, uno stimolo così elevato non si sarebbe compiuto uno sforzo che ritengo forte. Il Parlamento e il Governo hanno dato un segnale forte e unitario su un emendamento presentato. Quindi, c'è da fare molto per l'universalità di un diritto, per accrescere il livello di qualità degli hospice, per uniformare il livello di qualità delle prestazioni sanitarie offerte, per le cure domiciliari.
Oggi tra i diritti e gli indicatori di qualità dovrebbe esserci anche il rispetto della volontà del paziente. Quando parliamo di rispetto della volontà in fase di fine vita registriamo che circa il 75 per cento dei malati oggi chiede di morire a casa. Questo è un dato che viene registrato. Il 50-60 per cento di malati gravi - quindi già consci della propria gravità - chiede di essere curato a domicilio. Oggi la fase domiciliare non è propriamente efficace, nei vari studi che abbiamo visto. Non c'è un'assistenza 24 ore su 24. Per quanto riguarda ambulatori e day hospital ci sono da migliorare i rapporti di invio. Oggi il rapporto tra unità di cure palliative (dove esistono) e il medico di base non funziona tanto: alle unità di cure palliative si arriva per invio dai reparti oncologici.
C'è da attivare questa cultura della lotta contro il dolore, della presa in carico del paziente e dei suoi familiari, perché ricordiamoci che il day hospital non dà solo medicine, non fa solo punture, non solo terapie endovena, ma sostiene la famiglia nel momento dell'elaborazione del lutto. Sono momenti molto concentrati: stiamo parlando di pazienti, uomini e donne, che si rivolgono a questi servizi in media per 49 giorni. Sono pazienti che vivono in questa struttura uscendo ed entrando per 49 giorni. La media è questa, poi ci sono persone che sopravvivono più a lungo. Stiamo parlando di una fase forse Pag. 26piccola della vita, ma intensa, in cui succedono tante cose al malato, che molte volte entra per la cura del dolore, ma molte altre anche per il sostegno psicologico (nel 59 per cento dei casi), magari per sostenere la famiglia. Ricordiamoci che oggi è la famiglia il vero ammortizzatore sociale. È la famiglia che si prende carico per la maggior parte dell'intensità delle cure dei pazienti. A questa deve andare un nostro ringraziamento e una nostra particolare devozione, al sacrificio di tante persone che fanno quello che magari la società e lo Stato non riescono a fare. Noi crediamo che ci debba essere un'integrazione. Quindi, c'è da fare molto in questo caso anche per migliorare la qualità.
Vi è un'articolazione della rete di cura, con riferimento a quattro asset di cura: ambulatorio, day hospital, hospice, cure ambulatoriali. Vi è molto da fare anche per comunicare a queste famiglie, soprattutto del sud che molte volte possono sentirsi abbandonate, che non lo sono: vi è una rete di protezione, in qualche modo c'è qualcuno, lo Stato, una regione, una provincia, un'azienda sanitaria, che può tendere una mano e fare il proprio dovere, perché è attrezzato culturalmente e dal punto di vista tecnico. Tutto questo c'è. Forse quella delle cure palliative è una pagina meno nota, forse mediaticamente è un po' più nota l'altra battaglia, quella dello scontro sul testamento biologico in merito al quale vi sarà un bivio naturale su come interpretare la qualità della vita. Oggi in bioetica si parla di qualità della vita, è un termine essenziale. Vi è uno schieramento ed un'interpretazione pro choice che parla di qualità della vita, riferendola all'individuo singolo, per cui è l'individuo che interpreta soggettivamente questa qualità di vita e, in determinate condizioni, può derivarne l'equazione che la vita è indegna di essere vissuta. Vi è un'altra parte che sostiene che non esiste la possibilità di poter diminuire la qualità della vita, in quanto è un dato non a disposizione dell'individuo, ma che viene dall'esterno e che, naturalmente, in quanto non nelle proprie disponibilità, non può essere messo in discussione; pertanto può essere altrettanto degna la vita del moribondo. Nella cultura cattolica questo è un po' più facile perché ogni minuto vi è la possibilità di riscoperta di un'umanità piena: ad esempio, il ladrone, condannato, all'ultimo secondo riesce a riscoprire una qualità di vita enorme, per cui valeva forse la pena di aver vissuto anche altre situazioni.
Il bivio rimane, come anche la necessità di interpretare, come diceva Iannaccone, le cure palliative in modo corretto. Bisogna tener ben presente quello che succede, per esempio, in Olanda. Di solito chi è molto favorevole alle cure palliative difficilmente accetta il discorso dell'eutanasia, in qualche modo c'è una relazione tra le due problematiche. Cito lo studio di Fenigsen, Dutch euthanasia: the new government ordered study, Summer 2004, dove si rileva che dal 2002, ovvero da quando esiste una legislazione che ha introdotto l'eutanasia in Olanda, si è riscontrata una diminuzione dell'intensità delle cure palliative. Questo è un dato di fatto riportato dal dato scientifico che sto citando e non so se ve ne sono altri di senso contrario.
Si tratta di una legge che si pone su un bivio culturale, questo è sicuro, ma credo che la malattia, in qualche modo, abbia la possibilità di insegnare. Vorrei dedicare questa legge ad un collega e amico, Mario Melazzini, un medico, che ricordava anche come di cure palliative si parli poco: fa più scalpore una richiesta di morire piuttosto che una richiesta di vivere.
Nel suo libro cita anche un episodio di protesta da parte di una persona, Maria Concetta, che, con 1.200, firme chiedeva alcune cose alla politica: il diritto di essere curati, di essere assistiti al meglio, anche della sperimentazione, su cui so che gli amici radicali sono molto sensibili: 1.200 firme, una protesta e non se ne parlò. Vi furono altre lettere inviate al Presidente Napolitano ed una conteneva affermazioni del tipo: «io voglio vivere, ma l'assistenza mi costa 6 mila euro al mese, come faccio?» Questa lettera ottenne una risposta Pag. 27privata del Presidente della Repubblica, ma sui giornali, però, non ne venne pubblicata neanche una riga.
Quindi, su questi temi siamo di fronte ad un bivio di idee, però dopo le idee dobbiamo andare a trovare la persona e troviamo un uomo come tutti noi, che non è un supereroe, non è infinito, perché per la nostra stessa umanità siamo condannati in qualche modo a dover essere malati, a dover morire. È bello leggere come un medico, un malato, un uomo, alla fine di un percorso personale sicuramente molto pesante, possa dire una frase di questo tipo e arrivare in qualche modo a rivalutare il termine della malattia, considerandola non come una sconfitta: «Vivere la malattia come un'opportunità, fare della sofferenza una fortissima esperienza - afferma Melazzini - tutto ciò mi permette di affrontare la vita in un modo diverso. Prima di essere malato non avevo contatto con me stesso, credevo di non avere bisogno di nulla, ma invece ero insoddisfatto perché, pur avendo tutto, ero sempre alla ricerca di qualcosa che non possedevo. Ora invece conosco i miei limiti, non sento di dover dimostrare niente a nessuno, ma posso accettare la mia dipendenza dagli altri, mi sono riconciliato con me stesso».
Con queste parole vorrei concludere, ringraziando i colleghi per il passo in avanti che è stato compiuto. Questo progetto di legge, che la mia parte politica aveva presentato nel 2006, è oggi motivo di grande soddisfazione collettiva e personale, ed è importante, anche per il ruolo della politica, vedere che sarà discusso e approvato in questa legislatura. La ringrazio, signor Presidente (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Farina Coscioni. Ne ha facoltà.

MARIA ANTONIETTA FARINA COSCIONI. Signor Presidente, il testo di legge in esame è atteso da molto tempo e da un numero molto elevato di cittadini, e dovrà delineare i nuovi confini per le cure palliative e la terapia del dolore, una legge che dovrebbe corrispondere alle istanze di quanti sono colpiti da malattie inguaribili e da dolore severo che minano non solo l'integrità fisica e psichica della persona malata, ma anche delle persone che vi convivono.
Occorre porre tutta la nostra attenzione sui destinatari di tali disposizioni che non sono, e non devono essere, solo i malati oncologici; oggi reclamano il giusto diritto ad essere inseriti nell'ambito delle cure palliative e della terapia del dolore anche coloro che sono colpiti da gravi sindromi neurologiche e degenerative. Chi viene colpito da una di queste gravi sindromi nel nostro Paese assume immediatamente lo status di figlio di un Dio minore perché di colpo perde tutti quei diritti che sono garantiti ad una persona sana, una privazione tanto maggiore quanto più gravi sono le condizioni in cui la persona malata si viene a trovare.
Lo affermo con assoluta certezza, quella di chi questa situazione l'ha dovuta vivere in prima persona, a fianco di Luca, Luca Coscioni: quando ci si ammala di una malattia neurodegenerativa emergono tutti i vuoti latenti sulla salvaguardia dei diritti della persona. A tutti i destinatari delle cure palliative e delle terapie del dolore va garantito l'accesso non solo nella fase più avanzata della malattia, ma dal momento della diagnosi a quella del lutto, garantendo la presa in carica del malato e della famiglia che lo circonda.
L'Organizzazione mondiale della sanità definisce le cure palliative come un approccio che migliora la qualità della vita dei malati e delle loro famiglie che si trovano di fronte a problemi connessi a malattie a rischio per la vita attraverso la prevenzione e il sollievo della sofferenza per mezzo di una precoce identificazione e di un'impeccabile valutazione e trattamento del dolore e degli altri problemi fisici, psicosociali e spirituali.
Si tratta di un approccio focalizzato sul carattere onnicomprensivo della cura, sulla condizione del malato a 360 gradi, nonché sulla scelta della qualità della vita Pag. 28come obiettivo primario da perseguire piuttosto che su quella del suo prolungamento a tutti i costi (e che costi). Ciò vuol dire che tutti auspicheremmo una morte umana che perdesse quel carattere di estraneità che certamente ha quando è affidata al destino biologico dell'organismo e si trasformasse in un so che di familiare con la vita stessa e che non taglia i legami con il passato, né con i legami affettivi, ma si fa accompagnare da questi ultimi per i quali e con i quali abbiamo convissuto.
A questo proposito, i dati italiani sono avvilenti. In Italia, infatti, è evidente che la cultura medica considera la sofferenza altrui come un valore da preservare, altrimenti non si spiegherebbe come mai il nostro Paese si collochi al centunesimo posto al mondo per consumo di morfina: quarantasei dosi medie quotidiane per milioni di abitanti contro le 1.462 dosi della vicinissima Francia e le 6.430 dosi della Danimarca. In questa graduatoria dell'indifferenza e della noncuranza per la sofferenza siamo preceduti anche dall'Eritrea, dal Congo e dalla Cambogia. Quella in atto nel nostro Paese è una vera e propria resistenza all'impiego di farmaci analgesici oppioidi, nonostante uno degli indicatori impiegati dall'Organizzazione mondiale della sanità per valutare la qualità della vita e dei trattamenti per curare tutti i tipi di dolore si basi sulle dosi pro capite di morfina e di farmaci oppioidi utilizzati. Ciò non basta se pensiamo alle gravi limitazioni all'utilizzo dei farmaci cannabinoidi: due farmaci derivati dalla cannabis, non tutti. Si tratta di un vero e proprio proibizionismo che deriva non dalla sua inefficacia, in quanto basta andare a leggere le quantità enormi di studi in materia, ma dall'approccio culturale che si ha nell'associarli all'uso non terapeutico della sostanza stessa. Ma i due farmaci derivanti dalla cannabis, il dronabinol e il nabilone, utilizzati in terapie farmacologiche, non sono ancora sul mercato nazionale, ovvero non sono reperibili nelle farmacie e sono farmaci non ancora registrati. E il malato cosa è costretto a fare? È costretto a richiederne l'importazione dall'estero a suo carico (tranne nei casi di somministrazioni in regime di ricovero ospedaliero), o, se è fortunato, ad ammalarsi in un luogo piuttosto che in un altro, come Bolzano, Crotone e Roma, le cui aziende sanitarie locali prevedono un rimborso.
C'è la volontà politica per cambiare questo stato di cose? Questo è il banco di prova per noi legislatori; questo è il banco di prova di quanti dicono e vogliono difendere la vita e la dignità della vita. La volontà e l'impegno politico dei deputati radicali va nella direzione di eliminare le discriminazioni di trattamento tra malati, con l'obiettivo di superare sia il deficit assistenziale che la disomogeneità a livello territoriale. Dal corpo del malato al cuore della politica è la sintesi di tutto quel percorso che, dall'esperienza personale all'impegno politico con Luca Coscioni e l'associazione che ha fondato con radicali italiani e il partito radicale non violento, transnazionale e transpartito, mi portano a sostenere questa posizione ed a non aver paura di utilizzare alcune parole piuttosto che altre solo perché c'è in qualche modo una sorta di manipolazione dell'informazione e della conoscenza.
Si parla molto di diritti di coscienza che occorre garantire e tutelare. Io credo che nelle questioni che attengono alla vita e alla morte la coscienza anzitutto è da rispettare sia essa quella degli interessati, dei pazienti e dei malati. È una coscienza che non può e non deve essere espropriata e sequestrata da una decisione politica.
Oggi discutiamo di cure palliative e terapie del dolore e tra qualche settimana qui in Aula di dichiarazioni anticipate di trattamento e di testamento biologico.
Sono due delicatissime questioni, che per motivi politici saranno trattate separatamente, ma che potevano e dovevano essere discusse insieme, perché esiste un nesso strettissimo tra cure palliative, terapia del dolore e autodeterminazione del malato. Il nesso è ribadito con forza da una risoluzione del Consiglio d'Europa del gennaio di quest'anno, adottata all'unanimità. Diversi sono i punti di questa risoluzione che vorrei citare, perché nei fatti Pag. 29evidenziano che i ritardi italiani, accumulati su questo versante, sono moltissimi. Parto dal punto 5, laddove, tra l'altro, si afferma che l'autonomia è il presupposto per una forma soggettiva di salute, che include la libertà di ciascuno di decidere per sé su come affrontare la malattia e la morte, mentre al punto 6 si afferma che le cure palliative permettono a chi è affetto da gravi malattie, a chi è in una condizione di dolore o di profonda disperazione, di esercitare la propria autodeterminazione.
Non si tratta, quindi, di un approccio basato sul semplice bisogno, ma di un contributo all'esercizio dei diritti di partecipazione, umani e civili, da affermare fino alla morte. Il concetto è ribadito al punto 9, quando l'Assemblea si richiama alle conclusioni del dibattito sull'eutanasia, che hanno indicato che uno Stato di diritto e liberale non può lasciare senza risposta le questioni etiche concernenti la vita e la morte degli individui, e al punto 12, dove si riconosce che tutti gli interventi medici trovano un loro limite nell'autonomia del paziente, nella misura in cui esprime la sua volontà di rinunciare ad un trattamento curativo o quando, indipendentemente da tutte le valutazioni mediche sul suo stato di salute, la esprime chiaramente, per esempio, in un testamento biologico.
Ci tengo a ripetere che questa risoluzione del Consiglio d'Europa è stata approvata all'unanimità, cioè con il consenso di tutti i gruppi politici, e quindi con il voto di tutta la delegazione dei parlamentari italiani, per lo meno di quelli presenti. Nella risoluzione è, inoltre, possibile leggere che le cure palliative offrono anche la prospettiva di una morte degna per i pazienti che hanno abbandonato tutte le speranze e che, quando gli è stata offerta la possibilità, hanno rinunciato a trattamenti curativi, ma che accettano di essere sollevati dal loro dolore e di avere un sostegno sociale. Infine, la risoluzione considera che l'efficace controllo dei sintomi per pazienti seriamente ammalati è una condizione centrale per la relazione medico-paziente, per l'autodeterminazione del paziente e per la promozione delle sue opinioni. Promozione delle sue opinioni, appunto, vuol dire conoscere e mettersi dalla parte della persona malata, conoscere le sue volontà, ed il testamento biologico può esserne un esempio. Ma non è solo la risoluzione del Consiglio d'Europa a cogliere quanto questa maggioranza e questo Governo non sono riusciti fino ad ora a comprendere. Cito quanto scritto dalla Società italiana di cure palliative a commento del testo di legge Calabrò: questo disegno di legge - è evidente - ci imporrebbe, in ambito palliativo, di attuare delle pratiche contrarie al bene dei pazienti. La Società italiana di cure palliative si riferisce ad alcune patologie, nelle quali, nella fase terminale, l'alimentazione e l'idratazione artificiali sono trattamenti addirittura dannosi. Questo perché i liquidi iniettati nel corpo, non potendo più essere eliminati dai reni, che smettono di funzionare molto prima della morte, si infiltrano nei tessuti, provocando un edema polmonare e quindi la morte per soffocamento.
Il testo sulle cure palliative e le terapie del dolore di cui si sta dibattendo è il risultato di un percorso ad ostacoli, una sorta di compromesso al ribasso tra Governo e maggioranza, che ha vanificato il dibattito iniziato in Commissione, che ci vedeva tutti dalla parte del malato. Poi, questa volontà è cambiata e noi ci siamo opposti al rischio di arrivare solo ad una legge manifesto. Questo testo può essere migliorato con i numerosi emendamenti che sono stati depositati e potrà rappresentare una grande opportunità per migliorare la condizione dei malati inguaribili in Italia. Per citare solo l'ultima di una serie di prese di posizione scientifiche e istituzionali: l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa ha anch'essa sottolineato - lo ripeto, all'unanimità - che vi è una stretta connessione tra cure palliative, terapie del dolore e testamento biologico, che, pertanto, devono essere trattate insieme.
Quanti in quest'Aula perseguono quella politica che fa della sofferenza un valore da preservare e del medico un dominusPag. 30assoluto della vita e della morte di una persona malata, hanno deciso coerentemente di affrontarle separatamente, ma è una coerenza nel nome della quale sacrificate la libertà di ricerca, la scienza, la conoscenza e milioni di malati (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 624-A ed abbinate)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore e il rappresentante del Governo rinunciano ad intervenire in sede di replica.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione congiunta del disegno di legge e del documento: Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 2009 (A.C. 2449-A); Relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea per l'anno 2008 (Doc. LXXXVII, n. 2) (ore 18,58).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione congiunta del disegno di legge e del documento: Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 2009; Relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea per l'anno 2008.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 30 luglio 2009.

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione congiunta sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare del Partito Democratico ne ha chiesto l'ampliamento, senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore sul disegno di legge comunitaria 2009, onorevole Formichella, ha facoltà di svolgere la relazione.

NICOLA FORMICHELLA, Relatore sul disegno di legge n. 2449-A. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il 28 luglio la XIV Commissione ha concluso l'iter in sede referente del disegno di legge comunitaria 2009, dopo aver svolto un approfondito esame del testo, a cui ha dedicato ben sette sedute.
Nel corso dell'esame in Commissione si è tenuto conto in massima parte degli elementi di valutazione forniti sia dal Comitato per la legislazione sia dalla Commissione parlamentare per le questioni regionali sia dalle Commissioni di settore. Desidero sottolineare che in Commissione abbiamo avuto un clima costruttivo ed aperto, nel quale è maturato il dibattito nella nostra Commissione alla costante presenza del Ministro Ronchi.
Prima di illustrare i contenuti del disegno di legge, desidero rilevare come la legge comunitaria annuale continui a costituire uno snodo cruciale nel complesso reticolo di interventi finalizzati al recepimento e all'attuazione della normativa comunitaria e al pieno rispetto dei vincoli fissati in seno all'Unione europea.
È un momento di viva e consapevole partecipazione del Parlamento al processo di integrazione europea, anche al fine di assolvere agli impegni assunti in sede comunitaria nel rispetto delle specificità di ordine giuridico, istituzionale, economico e sociale del contesto nazionale.
L'importanza di tale passaggio è tanto maggiore se si tiene conto degli appuntamenti istituzionali che attendono l'Unione europea nei prossimi mesi, a partire dalla auspicabilmente sempre più Pag. 31vicina entrata in vigore del Trattato di Lisbona, che comporta un ridisegno generale dell'impalcatura costituzionale dell'Unione europea.
Al disegno di legge comunitaria si è affiancato, proprio in questi giorni, il decreto-legge recante disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee, approvato dal Consiglio dei ministri mercoledì 9 settembre. Il provvedimento di urgenza risponde alla diversa esigenza di dare tempestiva risposta agli obblighi comunitari più impellenti, in linea con quanto previsto dall'articolo 10 della legge n. 11 del 2005, cosiddetta legge Stucchi-Buttiglione.
Il Governo ha presentato alla Camera un disegno di legge comunitaria particolarmente contenuto, composto di nove articoli e volto al recepimento di 10 direttive. La XIV Commissione, anche grazie al lavoro svolto da tutte le Commissioni coinvolte in sede consultiva, ha arricchito l'articolato, che ora è composto da 18 articoli e ha previsto il recepimento di 30 direttive.
Ulteriori modifiche ed aggiunte potranno essere apportate durante l'esame in Assemblea, anche per dare risposta ad alcuni nodi che la Commissione ha concordato di affrontare in questa sede.
Alcune rilevanti informazioni sono contenute nella relazione illustrativa allegata al testo originale del disegno di legge, ove è riportato, oltre ai dati relativi al contenzioso, l'elenco delle direttive per le quali è prevista l'attuazione in via amministrativa, nonché il complesso dei provvedimenti adottati dalle regioni e dalle province autonome per il recepimento degli atti comunitari.
Tali dati consentono di mettere in risalto l'opportunità di un costante coordinamento e di una piena partecipazione di diversi soggetti istituzionali, incluse le autonomie locali, ai fini del puntuale rispetto dei principi e delle regole comunitarie.
Dal punto di vista della struttura generale, il provvedimento conferma l'impianto già sperimentato negli anni precedenti, essenzialmente fondato sul conferimento di deleghe legislative al Governo finalizzate alla trasposizione delle direttive comunitarie da recepire. Ove necessario, le nuove disposizioni modificano direttamente la legislazione vigente al fine di garantire la piena conformità agli obblighi comunitari.
Vanno inoltre evidenziati due profili, che confermano le novità introdotte nelle ultime due leggi comunitarie: da un lato, la volontà del legislatore di garantire maggiore celerità al processo di adeguamento agli obblighi assunti a livello europeo, mediante disposizioni che consentano un più rigoroso rispetto dei termini di recepimento delle direttive; dall'altro lato, l'esigenza di favorire la codificazione e la semplificazione, nonché il riordino della normativa interna di derivazione comunitaria, come espressamente previsto dall'articolo 2, comma 1, lettere b), e), f-bis) e h), e dall'articolo 5 del disegno di legge, in coerenza con l'obiettivo della riduzione degli oneri amministrativi posto anche dalla Commissione europea.
Più in dettaglio, il Capo I reca le disposizioni generali sui procedimenti per gli adempimenti degli obblighi comunitari, riproducendo in gran parte nei primi cinque articoli le previsioni già contenute nelle precedenti leggi comunitarie. La Commissione ha introdotto due ulteriori disposizioni, volte a modificare la legge n. 11 del 2005.
L'articolo 1, nel conferire la delega al Governo per il recepimento delle direttive riportate negli allegati A e B, stabilisce i termini e le modalità di emanazione dei relativi decreti legislativi. Il termine per l'esercizio della delega varia in funzione del termine di recepimento previsto da ciascuna direttiva, in modo da consentire il rispetto dei tempi di adeguamento imposti in sede comunitaria. Ove le direttive non indichino un termine per il recepimento, il Governo è tenuto ad adottare i decreti legislativi entro un anno dall'entrata in vigore della legge. Nel caso di direttive il cui termine sia scaduto, il termine per il recepimento scade nei tre mesi successivi all'entrata in vigore della Pag. 32legge comunitaria. Il procedimento per l'attuazione delle direttive incluse nell'allegato B prevede l'espressione del parere da parte dei competenti organi parlamentari, che è richiesto anche per i decreti legislativi di recepimento delle direttive di cui all'allegato A, qualora sia previsto il ricorso a sanzioni penali. Le direttive che comportano conseguenze finanziarie devono essere sottoposte anche al parere delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari. Specifiche disposizioni riguardano l'eventuale intervento dello Stato in materia di competenza regionale, nonché l'obbligo del Ministro per le politiche europee di relazionare alle Camere in ordine all'esercizio delle deleghe da parte del Governo ed in merito all'attuazione delle direttive da parte delle regioni.
L'articolo 2 detta i principi e i criteri direttivi di carattere generale per l'esercizio delle deleghe.
L'articolo 3 delega il Governo ad adottare disposizioni recanti sanzioni penali o amministrative per la violazione di obblighi contenuti in provvedimenti attuativi di direttive comunitarie di natura regolamentare o amministrativa, o in regolamenti comunitari pubblicati alla data di entrata in vigore della legge.
L'articolo 4 detta disposizioni circa gli oneri derivanti dalle prestazioni e dai controlli che gli uffici pubblici sono chiamati a sostenere in applicazione della normativa comunitaria. A tal fine, viene richiamato il disposto dell'articolo 9, commi 2 e 2-bis, della legge n. 11 del 2005, che pone a carico dei soggetti interessati i predetti oneri per prestazioni e controlli, secondo tariffe determinate sulla base del costo effettivo del servizio, purché ciò non risulti in contrasto con la disciplina comunitaria (comma 2). Dispone inoltre che le entrate derivanti dalle tariffe siano attribuite, nei limiti previsti dalla legislazione vigente, alle amministrazioni che effettuano le prestazioni e i controlli, mediante riassegnazione alle unità previsionali di base del bilancio statale ai sensi del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1999, n. 469; in questo modo assume rango di disciplina generale una norma in passato riprodotta in tutte le leggi comunitarie (comma 2-bis).
L'articolo 5, come già evidenziato, conferisce una delega al Governo per l'adozione di testi unici o di codici di settore finalizzati al coordinamento delle disposizioni attuative delle direttive comunitarie adottate sulla base delle deleghe contenute nel provvedimento con le norme già vigenti nei settori interessati.
Gli articoli 5-bis e 5-ter, la cui formulazione è stata condivisa dal Governo, sono stati introdotti durante l'esame in Commissione e concernono il flusso di informazioni tra l'Esecutivo e il Parlamento.
L'articolo 5-bis riformula l'articolo 15 della legge n. 11 del 2005 concernente la relazione che il Governo presenta annualmente al Parlamento, prevedendo la redazione di due distinte relazioni. La prima, da presentare entro il 31 dicembre, riguarderà la fase ascendente del processo comunitario con l'indicazione di orientamenti e priorità che il Governo intende seguire in ambito europeo nell'anno successivo tenendo conto del Programma legislativo della Commissione europea e con particolare riguardo alle prospettive ed alle iniziative di politica estera e di sicurezza comune, degli orientamenti assunti o da assumere in merito a specifici progetti di atti normativi dell'Unione europea, delle strategie di comunicazione sull'attività dell'Unione europea e sulla partecipazione italiana alle politiche europee.
La seconda, da presentare entro il 31 gennaio, tratterà i medesimi argomenti che vengono attualmente sviluppati ai sensi dell'articolo 15 della legge n. 11 del 2005, con maggiore rilievo per la politica estera e di sicurezza comune e con l'indicazione degli esiti dati dal Governo ai pareri, alle osservazioni e agli atti di indirizzo formulati sia dal Parlamento sia dalla Conferenza Stato-regioni. Sarà compito del Governo trasmettere entrambe le relazioni, oltre che alle Camere, anche alla Conferenza Stato-regioni.
L'articolo 5-ter modifica la periodicità della trasmissione al Parlamento ed alla Pag. 33Corte dei conti delle relazioni previste dai commi 1 e 2 dell'articolo 15-bis della legge n. 11 del 2005, abbreviandone i termini da sei a tre mesi. Ogni tre mesi quindi il Governo dovrà trasmettere al Parlamento un elenco articolato per settore e materia contenente l'indicazione di sentenze della Corte di giustizia e di altri organi giurisdizionali dell'Unione relativi a giudizi in cui l'Italia sia direttamente o indirettamente coinvolta, cause sollevate in via pregiudiziale ai sensi dell'articolo 234 del TCE e dell'articolo 35 del TUE da organi giurisdizionali italiani, procedure di infrazione avviate nei confronti dell'Italia ai sensi degli articoli 226 e 228 del TCE corredate da informazioni sintetiche sul procedimento e sulla natura delle violazioni contestate all'Italia, procedimenti di esame di aiuti di Stato avviati ai sensi dell'articolo 88 del Trattato dalla Commissione europea nei confronti dell'Italia, informazioni sulle eventuali conseguenze di carattere finanziario degli atti giurisdizionali e delle procedure di precontenzioso che riguardano l'Italia. Nel caso in cui le informazioni riguardino eventuali conseguenze di carattere finanziario degli atti giurisdizionali e delle procedure di precontenzioso, esse dovranno essere trasmesse ogni mese anziché semestralmente.
Il capo II reca modifiche e abrogazioni delle disposizioni vigenti in contrasto con gli obblighi derivanti dall'appartenenza all'Unione europea nonché principi e criteri specifici di delega per il recepimento di alcune direttive comunitarie. I settori maggiormente interessati sono quelli afferenti all'ambiente, all'agricoltura e all'alimentazione.
Più nel dettaglio, l'articolo 6 non modificato dalla Commissione, recependo la direttiva 2008/46/CE che modifica la direttiva 2004/40/CE sulle prescrizioni minime di sicurezza e di salute relative all'esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (campi elettromagnetici, in particolare), differisce al 30 aprile 2012 l'entrata in vigore delle disposizioni di cui al titolo VIII capo IV del decreto legislativo n. 81 del 2008.
L'articolo 7, non modificato dalla Commissione, dispone l'abrogazione della norma (articolo 14, comma 8, della legge n. 82 del 2006) che impone ai laboratori di analisi i quali sottopongano ad analisi ufficiali qualsiasi prodotto vinoso di effettuare la ricerca sistematica dei denaturanti di cui alla stessa legge. Seguono sette nuovi articoli introdotti durante l'esame in Commissione. L'articolo 7-bis novella l'articolo 2-bis, comma 1, del decreto-legge n. 171 del 2008 al fine di consentire, previa autorizzazione degli enti competenti per territorio, di considerare la pollina, cioè le deiezioni di animali domestici, qualora destinata alla combustione nel medesimo ciclo produttivo, come sottoprodotto e quindi non come rifiuto, soggetto alla disciplina di cui alla sezione 4 della parte seconda dell'allegato 10 alla parte V del codice ambientale.
L'articolo 7-ter prevede l'obbligo in capo ai produttori di apparecchiature elettriche ed elettroniche di comunicazione al registro nazionale dei soggetti obbligati al finanziamento dei sistemi di gestione dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, da espletarsi entro il 31 dicembre 2009 e con le modalità previste dall'articolo 3 del decreto ministeriale n. 185 del 2007, dei dati relativi alle quantità ed alle categorie di apparecchiature elettriche ed elettroniche immesse sul mercato negli 2007 e 2008 (comma 1).
Lo stesso comma dispone che i produttori sono tenuti contestualmente a conformare, o a rettificare, il dato relativo all'anno 2006 comunicato al registro al momento dell'iscrizione. Il comma 2 introduce per i sistemi collettivi di gestione di rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche obblighi di comunicazione analoghi a quelli previsti al comma 1.
L'articolo 7-quater apporta talune modifiche formali alla sezione III dell'allegato 2 del decreto legislativo n. 109 del 1992 che individua gli allergenici alimentari, rendendo le norme interne più aderenti al tenore delle disposizioni comunitarie in materia. Pag. 34
L'articolo 7-quinquies integra, con la lettera a), l'articolo 19 della legge comunitaria 2008 (legge n. 88 del 2009), aggiungendovi un comma 1-bis volto a conferire una delega al Governo per il riordino delle norme in materia di latte alimentare parzialmente o totalmente disidratato, che tenga conto delle modifiche recate dalla materia della direttiva 2007/61/CE. Sono altresì definite le modalità di adozione del provvedimento delegato.
L'articolo 7-sexies si compone di due commi riguardanti rispettivamente le risorse attribuite all'AGEA e le sanzioni amministrative e penali in materia di aiuti comunitari nel settore agricolo.
L'articolo 7-septies modifica l'articolo 15 della legge comunitaria 2008, che conferisce una delega al Governo per l'adeguamento delle disposizioni nazionali alla riforma della organizzazione comune del mercato vitivinicolo, e gli articoli 4 e 5 della legge n. 77 del 2006 che hanno recato disposizioni speciali per la tutela e la fruizione dei siti nazionali posti sotto la protezione UNESCO, allo scopo di rafforzare la tutela delle produzione vinicole di pregio che si fregiano della certificazione DOC o IGP.
L'articolo 7-octies è volto a novellare il comma 2 dell'articolo 14-bis della legge n. 125 del 2001, introdotto dalla legge comunitaria del 2008, che prevede specifiche sanzioni per la vendita o la somministrazione di bevande alcoliche in aree pubbliche diverse dalle pertinenze degli esercizi muniti di apposita licenza. La modifica è diretta a consentire, in deroga alla previsione sanzionatoria, la vendita e la somministrazione di bevande alcoliche in occasione di fiere, sagre, o altre riunioni straordinarie, o di manifestazioni promozionali di prodotti tipici locali, previamente autorizzate e su aree pubbliche da parte degli operatori commerciali autorizzati ai sensi delle relative discipline di settore.
Il capo III, con gli articoli 8 e 9, modificati in maniera non sostanziale dalla Commissione, prevede due deleghe volte all'attuazione di alcune decisioni quadro adottate nell'ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale. In particolare, l'articolo 8 reca una delega al Governo per la piena attuazione di quattro decisioni quadro: 2001/413/GAI relativa alla lotta contro le frodi e la falsificazione di mezzi di pagamento diversi dai contanti; 2002/946/GAI per la repressione del favoreggiamento dell'ingresso, del transito e del soggiorno illegali; 2004/757/GAI per la fissazione di norme minime relative agli elementi costitutivi dei reati e dalle sanzioni applicabili in materia di traffico illecito di stupefacenti; 2008/841/GAI relativa alla lotta contro la criminalità organizzata.
L'articolo 9 delega il Governo ad introdurre nell'ordinamento due nuove fattispecie penalmente rilevanti al fine di attuare la decisione quadro 2001/413/GAI del Consiglio dell'Unione europea del 28 maggio 2001.
Concludo, signor Presidente, rinnovando l'auspicio che il dibattito in Assemblea possa proseguire nello stesso clima costruttivo registrato in Commissione, apportando, eventualmente, le opportune migliorie ad un testo che comunque noi riteniamo già positivo.

PRESIDENTE. La relatrice sul Doc. LXXXVII, n. 2, onorevole Centemero, ha facoltà di svolgere la relazione. Onorevole relatrice, le ricordo che il tempo a disposizione dei relatori è stato quasi totalmente utilizzato dal collega relatore, onorevole Formichella. Prego, onorevole Centemero.

ELENA CENTEMERO, Relatore sul Doc. LXXXVII, n. 2. Signor Presidente, l'esame sulla relazione della partecipazione dell'Italia all'Unione europea nel 2008 costituisce il primo documento di carattere generale che il Governo presenta alle Camere in questa legislatura per un confronto articolato su tutte le politiche e le principali questioni relative all'Unione europea e sugli strumenti e le procedure per l'intervento dell'Italia, quindi specificamente del Parlamento, nella formazione della normativa europea. Pag. 35
Lo scorso 18 maggio la Camera ha approvato all'unanimità una risoluzione stabilendo alcune linee generali per il riassetto del quadro normativo e regolamentare relativo all'intervento del Parlamento in materia europea, in particolare al fine di rafforzare l'intervento della cosiddetta fase ascendente ricordata in precedenza anche dall'onorevole Formichella, riassetto e revisione delle norme necessari come la riflessione in merito condotta dalla Commissione Politiche dell'Unione europea ha messo in evidenza. In particolar modo all'interno dell'analisi condotta nella precedente relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea per il 2007 e all'interno della Commissione Politiche dell'Unione europea si è ritenuto opportuno sottolineare la necessità di rivedere anche la struttura della relazione e la procedura di esame. In particolar modo voglio risottolineare quanto l'onorevole Formichella, il relatore della legge comunitaria, ha già indicato prima, mettendo in evidenza la ricezione di un emendamento che permetterà di modificare la procedura di esame della relazione annuale, prevedendo due fasi: una fase programmatica da presentarsi entro il 31 dicembre di ogni anno che indichi gli obiettivi e le priorità e gli ordinamenti che il Governo intende seguire a livello europeo nell'anno successivo; e poi un rendiconto da presentare entro il 31 dicembre di ogni anno delle attività svolte dal Governo nell'anno precedente con l'indicazione del seguito dato agli indirizzi del Governo, documento questo che potrebbe anche essere oggetto di un autonomo esame. All'interno della relazione depositata si analizza inoltre la struttura e i criteri di redazione della relazione, che risultano ancora poco efficaci proprio per la voluminosità della relazione e per la disomogeneità che non permette di definire esattamente quali siano gli orientamenti che il Governo intende seguire per il 2009, e quindi la stessa risulta di scarsa utilità e incisività per l'esame parlamentare. Vengono inoltre presentate l'attività del CIACE e le procedure d'infrazione, e qui si sottolinea un importante elemento di riflessione. Dai dati riportati nella relazione emerge infatti una significativa riduzione delle procedure di infrazione: nel corso del 2008 queste sono passate da 109 a 159, ben 43 delle quali in ambito ambiente. Questo è un dato assolutamente significativo perché è il più basso a partire dal 2000. Viene inoltre sottolineata all'interno della relazione la necessità di un sempre maggiore raccordo tra Camere e Governo, e vengono altresì sottolineati la presenza italiana nelle istituzioni dell'Unione europea e il raccordo con il Parlamento europeo che si intende proprio rafforzare. Da ultimo vi è un tema che sta particolarmente a cuore alla relatrice ma anche a tutti i componenti della Commissione Politiche dell'Unione europea e al suo presidente, l'onorevole Pescante, e che riguarda le strategie di comunicazione. La relazione richiama per la prima volta le numerose iniziative di comunicazione promosse dalle istituzioni dell'Unione europea e dal Governo italiano per avvicinare i cittadini all'Europa, affinché appunto l'Europa non sia più qualcosa di distante dai cittadini ma sia sentito come qualcosa di non gravoso, di vicino. Nonostante le attività avviate si avverte l'assenza di un'iniziativa di portata generale, volta ad informare i cittadini ad esempio sul Trattato di Lisbona e sui principali sviluppi dell'Unione europea, sul modello di quanto realizzato da altri Stati membri. Come già sottolineato nella risoluzione della Camera dello scorso maggio, occorre quindi definire una strategia complessiva in questa direzione, privilegiando in particolare le iniziative di formazione e comunicazione anche presso le scuole e le università, nonché prevedendo anche la trasmissione da parte del servizio pubblico nazionale della RAI in fasce orarie di ascolto medio-alte di contenuti europei appropriati. Anche la Camera può contribuire a questo processo mediante l'organizzazione di seminari di approfondimento su temi specifici e la promozione di eventi aperti al pubblico (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

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PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in una fase successiva. È iscritto a parlare l'onorevole Farinone. Ne ha facoltà.

ENRICO FARINONE. Signor Presidente, ritengo che sia sicuramente di buon auspicio - voglio iniziare così - dare avvio alla nuova stagione parlamentare con un messaggio positivo in riferimento ai nostri lavori. Finalmente discutiamo la legge comunitaria nell'anno di competenza. È una piccola cosa ma vale la pena sottolinearla. Infatti, dopo aver votato la legge comunitaria 2008 a metà del 2009, riuscire a votare quella del 2009 a settembre 2009 è un successo. Di questo do atto al Ministro Ronchi - che so essere indisposto e che quindi voglio salutare in questa circostanza - il quale, sospinto anche dalla critica sempre costruttiva (lo ha rilevato anche il relatore dell'opposizione e, in modo particolare, del Partito Democratico) si era impegnato ad ottenere questo risultato ed è riuscito. Riteniamo che il prossimo anno si possa fare ancora meglio. Sì, perché si può e si deve fare meglio. Infatti la legge 4 febbraio 2005, ci ricorda che dovremmo svolgere questo nostro dibattito entro i primi mesi dell'anno e la relazione dovrebbe essere presentata entro il 31 gennaio. Siamo quindi sulla strada buona e tuttavia c'è ancora tanta strada da fare.
Come è noto - ed è giusto ricordarlo - la legge comunitaria è uno strumento normativo volto ad assicurare il periodico adeguamento dell'ordinamento nazionale a quello comunitario. Siamo, quindi, sul terreno della concreta costruzione dell'Unione europea e dimostrare serietà anche in queste piccole cose - che poi tanto piccole non sono - non è davvero irrilevante, soprattutto se si considera - voglio dirlo al rappresentante del Governo e al Ministro - che il Governo del quale il Ministro Ronchi e pure il sottosegretario Fazio autorevolmente fanno parte è guidato da un Premier le cui sconcertanti e improbabili performance dialettiche al cospetto dei suoi colleghi suscitano malcelate perplessità e comprensibili imbarazzi in interlocutori che, come da ultimo è capitato al Primo Ministro spagnolo, da un lato, hanno meglio elaborato un giudizio consolidato sul nuovo collega italiano - e mi astengo dal dire quale - e dall'altro non possono e non vogliono creare casi diplomatici con un partner comunitario così importante quale è l'Italia.
Questa situazione motiva ulteriormente la nostra modalità di essere opposizione, in specie nella Commissione XIV che tratta le politiche dell'Unione: inflessibile sui principi e sulla politica, serrata sui contenuti, aperta al confronto nel merito e mai pregiudizialmente ostile con riguardo ai temi specifici. Così è stato anche questa volta e in sede di dichiarazione di voto. Con una risoluzione che presenteremo eventualmente in Assemblea motiveremo al meglio le nostre determinazioni.
Per dire alcune parole sulla relazione e poi qualche altra sulla legge, per quanto riguarda la relazione sulla partecipazione del nostro Paese all'Unione europea nel 2008, aldilà dei problemi di tempistica e di quelli strutturali, che peraltro sono oggetto della riflessione in corso sulla necessità di intervenire per modificare l'impianto e il periodo temporale del suo esame, conferma una qual certa nebulosità nell'illustrazione dell'azione politica svolta dal Governo italiano in seno al Consiglio europeo nell'ambito nei diversi negoziati che si sono tenuti nel 2008.
Registro che non vengono puntualmente precisate le iniziative assunte dal Governo così come non vengano analiticamente descritti i provvedimenti adottati per dare attuazione agli atti di indirizzo delle Camere. Ancora non mi pare di scorgere una sufficiente informazione con riguardo agli orientamenti che il Governo intende seguire nell'anno in corso rispetto ai principali provvedimenti all'esame dell'Unione europea.
Come rilevato più volte in Commissione, anche nel corso di audizioni specifiche, Pag. 37si conforma povero e residuale il ruolo riservato al Comitato interministeriale per gli affari comunitari europei, il CIACE, che, come ci informa la relazione, si è riunito nel 2008 al massimo livello in sole quattro occasioni e per sole sette volte a livello di comitato tecnico-permanente.
Ben diverso è lo spazio di lavoro che la legge istitutiva prevede per questo organismo, pensato proprio per rendere sistematico il coordinamento della formazione della posizione italiana sulla tematica europea. La relazione curiosamente non contiene alcun riferimento a temi quali la riforma del bilancio dell'Unione e la connessa riforma della politica di coesione. Ciò pare a me strano, ove si considerino le numerose consultazioni che le istituzioni europee hanno avviato in argomento alle quali il Governo italiano ovviamente ha partecipato. Analoga riservatezza, per così dire, la relazione dedica all'attuazione in Italia della strategia di Lisbona e la conseguente adozione del piano nazionale di riforme per il 2008-2010 approvata dal Governo nell'ottobre del 2008. Sul punto tornerò per un secondo tra poco.
Interessanti invece e come sempre preoccupanti sono i dati riportati nella relazione relativamente alle procedure di infrazione nelle quali è incappato il nostro Paese: scendono da 198 a 159, un trend migliorativo già avviato con il Ministro Bonino nel 2007 dal precedente Governo, ma il numero è sempre eccessivo, se si pensa che in 15 casi l'Italia è stata già condannata dalla Corte di giustizia europea e che per altri 13 casi sono addirittura già state avviate le procedure di infrazione a nostro carico per mancata attuazione di sentenze della Corte medesima. Sappiamo tutti che potrebbero derivarne condanne molto onerose per la finanza pubblica.
Ecco perché, colleghi, il monitoraggio scrupoloso di quanto ha a che fare con la vita dell'Unione e lo scambio comunicativo con le Camere da parte del Governo sono essenziali. Infatti l'Europa c'è e non conviene a nessuno, nel contesto internazionale segnato dalla grave crisi economica e finanziaria che non si è conclusa, un suo indebolimento: non conviene proprio a nessuno, tanto meno a noi.
Più attenzione quindi e meno estemporaneità, verrebbe da dire. Quegli atteggiamenti - da ultimo quello del Presidente del Consiglio contro i portavoce dei Commissari, con la minaccia del veto italiano - che tradiscono la tentazione, presente temo in alcuni ambienti del Governo Berlusconi, di contrapporsi alle istituzioni europee quasi per allontanarle, rischiano in realtà di isolare l'Italia nel contesto comunitario. È un rischio che noi dobbiamo assolutamente evitare. Quindi - lo dico caldamente al Governo - dobbiamo migliorare la comunicazione Governo-Parlamento non per astratti motivi formali, bensì per utilizzare al meglio e nell'interesse del nostro Paese le competenze e le idee presenti e farle operare sinergicamente, dell'opposizione e della maggioranza, così come molte volte riusciamo a fare - bisogna riconoscerlo - nella nostra Commissione.
Ecco perché sarà opportuno, come si dice da tempo, introdurre una sessione comunitaria di fase ascendente, da svolgersi all'inizio di ogni anno per discutere degli indirizzi del Governo sia su aspetti di carattere generale sia su questioni specifiche, abbinando sin dall'inizio l'esame del programma legislativo della Commissione europea e degli altri strumenti di programmazione dell'Unione con quello della relazione annuale sulla partecipazione italiana alla stessa Unione. Ecco perché, come avviene nei principali Paesi europei, anche il Parlamento italiano dovrà ricevere con sistematicità note esplicative di fonte governativa in merito ai contenuti, al quadro negoziale, all'impatto normativo ed economico ed alle posizioni assunte dal Governo nelle diverse istituzioni europee, quanto meno per i temi più significativi. Ciò per favorire le Camere nella selezione delle questioni più rilevanti da esaminare nella fase ascendente, quella della formazione delle norme europee, quella che più di ogni altra sarà il futuro dell'Europa. Pag. 38
Passando invece a qualche commento relativamente alla legge comunitaria, devo dire che contrariamente a quella dell'anno precedente non contiene capitoli estranei per così dire al suo contenuto proprio, così come previsto dalla legge n. 11 del 2005 all'articolo 9, che regola la procedura di recepimento della normativa comunitaria. Desidero sottolineare questo fatto positivo perché obiettivamente utilizzare la legge comunitaria per inserirvi una miscellanea dei provvedimenti più vari, come si è fatto per il 2008, non è indice di attenzione e scrupolo nei confronti di una norma che attiene nello specifico al nostro modo di fare Europa e di essere Europa. Credo sia questo innanzitutto il compito precipuo, in questo Parlamento, di chi lavora nella XIV Commissione: distillare gradualmente ma continuativamente una consapevolezza adeguata del fatto che l'edificazione dell'Unione europea è un work in progress esigente ma utile ai cittadini, non strumentale ai fini di politica interna, non confinato nell'ambito nazionale, non limitato nelle sue potenzialità.
Infine, mi sembra opportuno evidenziare un paio di questioni molto importanti: la prima in realtà riprende cose già dette con riferimento alla relazione, ma secondo me è quella più di prospettiva ed importante, perché non si limita al contingente ma guarda alla prospettiva, al futuro ed all'Europa, riguarda il Trattato di Lisbona ed è di assoluto rilievo; mi riferisco all'importanza o direi meglio all'insostituibilità - osando citare le autorevolissime e recentissime parole del Presidente della Repubblica - del Parlamento, del suo ruolo, delle sue prerogative e alla necessità che il Governo consideri nel giusto modo questo ruolo delle Camere, espressione della democrazia.
Si tratta di un tema di nuovo - vorrei dire al Ministro Ronchi - che, udite certe espressioni che con cadenza periodica il Presidente del Consiglio dei ministri pronuncia quasi con rabbia e registrato il confronto in merito, ormai aperto da mesi, fra lo stesso premier e il Presidente di questa Camera, non può apparire estraneo all'oggetto del quale stiamo ora discutendo.
In questo senso abbiamo proposto un emendamento che modificando alcune disposizioni della legge n. 11 del 2005, del quale si è discusso in Commissione e di cui ridiscuteremo sicuramente in Aula, assegna al Governo il compito di tenere nella giusta considerazione gli indirizzi definiti in sede parlamentare su ogni atto o questione relativa all'Unione europea, ogni qual volta debba rappresentare la posizione dell'Italia in sede di Consiglio dei ministri dell'Unione ovvero nelle relazioni con altre istituzioni o organi dell'Unione medesima.
Abbiamo inteso così porre questa questione e non solo esplicitare su questo tema quello che è un dettato costituzionale che ci pare opportuno ormai richiamare con continuità, a tutela dell'istituto parlamentare in ogni occasione e della sua sancita capacità rappresentativa dei cittadini e del lavoro di noi tutti legislatori. Inoltre, abbiamo soprattutto voluto rimarcare l'utilità del lavoro che si sta svolgendo nella Commissione XIV, il cui contenuto è stato ricordato anche prima dal relatore insieme al Comitato permanente per il monitoraggio sull'attuazione delle politiche dell'Unione europea, che ha ormai messo a disposizione di tutti noi gli elementi necessari per lavorare efficacemente ad una modifica ragionata della legge n. 11 del 2005. Questo perché, come da tutti auspicato, l'ormai prossima entrata in vigore del Trattato di Lisbona - se naturalmente non interverranno notizie negative dall'esito del referendum irlandese, come tutti speriamo - dischiuderà le porte ad una nuova fase dell'Unione, con inedite possibilità di sviluppo in settori strategici quali, per citarne due così rilevanti, la difesa comune e la politica estera e perché, come è noto, il Trattato di Lisbona accentua il ruolo dei parlamenti nazionali e gli obblighi in capo alla Commissione nei loro confronti. Vi si dice, infatti, che i parlamenti nazionali contribuiscono attivamente al buon funzionamento Pag. 39dell'Unione, che vengono informati dalle istituzioni dell'Unione ricevendo i progetti di atti legislativi europei, che vigilano sul rispetto del principio di sussidiarietà, che partecipano, nell'ambito dello spazio di libertà sicurezza e giustizia, ai meccanismi di valutazione ai fini dell'attuazione delle politiche dell'Unione in tale settore e altro ancora.
L'Europa ci indica dunque una via, quella di un maggior coinvolgimento dei parlamenti e credo che sia la via giusta da percorrere proprio quando vi è chi immagina la completa subordinazione di quest'Aula ai voleri dell'Esecutivo. Sottolineo questo concetto perché conosco la personale sensibilità del Ministro Ronchi al tema che, peraltro, vede nel Presidente della Camera dei deputati il più autorevole e determinando sostenitore.
Una seconda questione - e concludo rapidamente - di particolare rilievo è senz'altro quella relativa all'attuazione delle direttive riguardanti lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia (ne parlerà nei dettagli la collega Garavini tra poco). In particolare, voglio accennare solo una battuta sulla direttiva 08/115/CE, la cosiddetta «direttiva rimpatri» che, voglio qui precisarlo, probabilmente avremmo preferito diversa ma che, in ogni caso, va applicata. In realtà il Governo italiano ne ha invocato i contenuti quando si è trattato di individuare una sponda di legittimità per il decreto-legge sulla sicurezza - pensiamo alle misure che estendono il periodo di trattenimento delle persone nei centri di identificazione - ma poi non si è premurato di attuare anche gli altri elementi previsti dalla direttiva. Questa legge comunitaria 2009, secondo noi, era l'occasione. Non lo si è fatto, né lo si è voluto fare. Perché, signor Ministro, non lo si è voluto fare? Mentre invece è fondamentale - e solo questo voglio dire in conclusione - prevedere che le disposizioni di recepimento della direttiva ...

PRESIDENTE. La prego di concludere.

ENRICO FARINONE. Ho concluso, signor Presidente. Siano strettamente conformi al rispetto dei diritti umani fondamentali in quanto principi generali del diritto comunitario e del diritto internazionale, compresi gli obblighi in materia di protezione dei rifugiati e dei diritti dell'uomo, come stabilito dall'articolo 1, appunto, della direttiva. Principi di civiltà, colleghi, che l'Europa - e l'Italia con lei - non potrà mai trascurare. Questa è la nostra cultura, nostra di noi cittadini europei (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pini. Ne ha facoltà.

GIANLUCA PINI. Signor Presidente, relatore, rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, parto da una considerazione di carattere generale prendendo spunto proprio dalle ultime parole del collega Farinone che solitamente in Commissione è assolutamente collaborativo nel cercare di prendere le politiche (quelle concrete) che ci sono all'interno dell'Unione europea ed applicarle con buonsenso all'interno dell'ordinamento italiano (questo è il compito principale cui è chiamata la nostra Commissione).
Capisco che in momenti difficili, come quelli che stanno attraversando gli esponenti del Partito Democratico, ogni appiglio sia buono per fare polemiche nei confronti di un Governo che invece riesce, nonostante le difficoltà esterne non ascrivibili alla sua azione di Governo, ad ottenere dei risultati, però è abbastanza sterile far polemica sulla scelta dei tempi di recepimento di una direttiva (la direttiva sui rimpatri) che già in parte - come è stato ricordando dallo stesso Farinone - grazie all'azione svolta dal Ministro Maroni, è invece stata anticipata nei contenuti.
È stata però anticipata in quei contenuti che sappiamo funzionare e che sappiamo essere applicabili con efficacia sui vari territori. È stato citato, a ragione, il fatto che vi sia stato un prolungamento nei tempi di trattenimento all'interno dei centri di identificazione e di espulsione, ma questa è stata un'armonizzazione Pag. 40della norma all'interno degli Stati membri dell'Unione europea. Si è trattato, anzi, di un'armonizzazione morbida, perché in alcuni Paesi addirittura i tempi arrivano a 18 mesi e non a sei come indicato da noi. Tuttavia, ci sono altre parti all'interno di quella direttiva che non possono essere prese a scatola chiusa, perché tale direttiva è stata scritta - bisogna anche ragionare bene sui temi della politica - in una fase di chiusura della legislatura del Parlamento europeo e di conclusione di un'esperienza della prima Presidenza Barroso.
In quella fase, la Commissione europea non aveva ancora preso coscienza, come poi ha dovuto ammettere, che il problema dell'immigrazione debba essere gestito in maniera coesa da tutti gli Stati membri. Nel momento in cui è stata scritta la direttiva - ed è stata un'ammissione di colpa degli stessi commissari europei - in qualche modo si lasciavano ai loro destini tutti i vari Stati membri. Siamo pertanto sicuri che quella direttiva a breve verrà modificata, cambierà e delle parti verranno stralciate dalla stessa Commissione europea.
In politica, se non si vogliono sbagliare le scelte strategiche che devono essere fatte per il futuro, bisogna anche saper mediare bene i tempi e noi stiamo aspettando di capire se dall'Europa, non solo a parole, ma anche nei fatti, arrivino poi sul tema dell'immigrazione, oltre alle risorse che sono necessarie per contrastare il fenomeno della clandestinità e magari aiutare queste persone a casa loro, segnali concreti di coesione in ordine alla clandestinità e allo sfruttamento dei migranti, che non sono altro che carne da macello per i trafficanti, i veri schiavisti del nuovo millennio, cioè coloro che gestiscono questi flussi. Pertanto, fuori da ogni ipocrisia, non approveremo assolutamente gli emendamenti presentati dal Partito Democratico domani o dopodomani (quando si arriverà al voto) che chiedono di inserire all'interno del disegno di legge comunitaria in esame la direttiva rimpatri perché non è una direttiva matura e creerebbe danni ad un sistema che, invece, abbiamo messo in piedi con fatica negli ultimi 12 mesi grazie al lavoro del Ministro Maroni e di tutto il Governo e quindi non possiamo far smontare ciò che di buono abbiamo fatto in questo periodo.
Però, al di là della polemica politica (sicuramente non personale) sul tema dell'immigrazione, questa legge comunitaria porta con sé tanti recepimenti di direttive che sono veramente innovativi e funzionali ad una qualità della vita migliore per tutti i cittadini italiani. Mi riferisco al recepimento (finalmente) della direttiva sull'elettromagnetismo, della direttiva sullo smaltimento dei rifiuti da apparecchiature elettroniche e di problemi che si procrastinavano da tempo immemore e che nessuno voleva mai risolvere. Invece fortunatamente, questa volta in maniera organica e condivisa - questo va detto - finalmente si è arrivati alla definizione di principi generali nel recepimento di queste direttive che possono portare rapidamente all'emanazione di decreti legislativi volti a risolvere i problemi.
Non vado oltre, perché parecchi emendamenti verranno illustrati nella fase di esame degli articoli. Noi siamo particolarmente orgogliosi di aver presentato alcuni emendamenti - non c'era il tempo tecnico di farlo in Commissione, per alcuni è già stato fatto - che riguardano lo stoccaggio geologico dell'anidride carbonica, la possibilità di trading delle emissioni dei gas ad effetto serra e, soprattutto, lo sviluppo delle fonti di energia rinnovabili. Mi auguro che questi emendamenti vengano approvati. So che il Governo e i Ministeri ci stanno lavorando, ma il parere - da quanto mi riferiva prima il relatore - dovrebbe essere assolutamente positivo. Questi sono quei segnali, che possiamo dare all'Europa, che l'Italia non è indietro per quanto riguarda le scelte strategiche per il futuro.
Infatti, parliamo di scelte che debbono essere fatte sul piano ambientale, ma anche su quello energetico, che richiedono Pag. 41in fase di applicazione sette o dieci anni. Queste tecnologie diventeranno mature probabilmente in un lasso di tempo simile (tra i cinque e dieci anni) e noi, se siamo dei legislatori responsabili e lungimiranti, dobbiamo essere in grado - prima che avvengano queste trasformazioni e che queste tecnologie diventino mature - di dare al sistema produttivo e di fornitura energetica e protezione ambientale norme adeguate per poter creare uno sviluppo e, in definitiva, anche posti di lavoro.
Signor Presidente, concludo con alcuni cenni brevissimi per quello che riguarda la Relazione, che sottoscriviamo attraverso la firma della risoluzione presentata dalla collega Centemero. Tante volte la Lega Nord è stata accusata di «euroscetticismo». Noi abbiamo sempre risposto che siamo «eurorealisti»: laddove ci sono indicazioni strategiche, come quelle che ho citato prima, sulle energie rinnovabili vanno sposate e portate avanti; laddove, invece, ci sono situazioni fumose occorre valutare se queste debbono essere applicate.
Il Trattato di Lisbona sotto molti profili ci convince con riserva, mentre su altri, citati nella risoluzione, in particolare per quanto riguarda il rafforzamento del ruolo dei Parlamenti nazionali nelle fasi decisionali e di redazione dei regolamenti e delle direttive, riteniamo si tratti di aspetti fondamentali, vista comunque la debolezza congenita del Parlamento europeo. Riteniamo, inoltre, fondamentale anche puntare concretamente ad un investimento pesante in risorse umane, per quello che riguarda i funzionari da mantenere nelle sedi europee dove vengono prese le decisioni tecniche dopo che la parte politica ha dato l'indirizzo. Per noi è fondamentale per non rimanere indietro e non farci schiacciare magari da alleanze trasversali all'interno di altri Stati membri o da lobby economiche che, purtroppo, ancora troppo condizionano le scelte della Commissione europea.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zinzi. Ne ha facoltà.

DOMENICO ZINZI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, solo nel mese del giugno scorso questa Assemblea ha approvato definitivamente la legge comunitaria per il 2008, discutendola congiuntamente alla Relazione annuale sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea per l'anno 2007, come previsto dal Regolamento della Camera. Immediatamente dopo, a fine giugno, è partito l'iter di esame del disegno di legge comunitaria per il 2009 e della Relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea per l'anno 2008, da tempo depositati per il loro esame e oggi all'attenzione dell'Assemblea.
Questo è il contesto in cui ci troviamo a discutere ed è il motivo per il quale da una parte il disegno di legge comunitaria ha contenuti molto circoscritti rispetto ai precedenti e dall'altra molti elementi della discussione richiamano questioni emerse nel recente dibattito che ha portato all'approvazione della legge comunitaria per il 2008.
In ogni caso abbiamo un'ulteriore occasione per svolgere riflessioni generali sul problema dell'adattamento del diritto italiano al diritto comunitario, che ritengo importanti. In particolare, credo utile riflettere sul rapporto Governo-Parlamento, partendo dalla Relazione annuale sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea riferita all'anno 2008, alla nostra attenzione. La valutazione del documento presentato dal Governo in relazione alla struttura e ai criteri di redazione è positiva, ma non mancano criticità. Si possono condividere le osservazioni formulate dal relatore, che sembrano andare nella direzione di riconoscere lo sforzo fatto dal Governo, ma nel contempo di chiedere che le attività di informazione e raccordo di responsabilità del Governo siano più efficaci.
Onorevoli colleghi, da anni si dibatte in quest'Aula sul fatto che una buona partecipazione nella fase di formazione della norma comunitaria ne facilita l'attuazione Pag. 42e consente di incidere sui processi decisionali comunitari. Tuttavia, in concreto l'azione di coordinamento e supporto del Governo appare ancora debole e disorganica, lontana cioè dagli obiettivi che si vorrebbero perseguire. In realtà, anche se si registrano nella Relazione 2008 dei passi avanti nella partecipazione dell'Italia all'Unione europea, i risultati non sono ancora sostanzialmente soddisfacenti. La complessità delle attività, nel quadro delle responsabilità dei diversi livelli decisionali, anche con riferimento alle competenze regionali, fa sì che continuiamo ad inseguire ed in parte a subire le ricadute del diritto comunitario nel diritto nazionale.
Se i dati relativi al contenzioso migliorano e l'Italia si avvicina alla media europea nella percentuale di attuazione, rimane il fatto che nella classifica europea sull'attuazione il nostro Paese risulta ancora in coda, al ventiquattresimo posto, seguito nell'ordine da Lussemburgo, Portogallo e Grecia. Inoltre, la recente evoluzione del processo di integrazione europea e la maggiore responsabilità dei Parlamenti nazionali richiede azioni per rendere effettivo questo ruolo. A tal fine non basta la trasmissione di documenti per assicurare un'efficace azione nei processi decisionali dell'Unione europea. Non bisogna poi trascurare alcuni aspetti strategici come la presenza dell'Italia nelle istituzioni dell'Unione europea. Sul punto la Relazione del Governo evidenzia dati quantitativi che rappresentano un segnale positivo su cui occorre continuare a lavorare.
L'invio a Bruxelles di persone professionalmente preparate, che possano operare presso la Commissione e tornare dopo alcuni anni con un bagaglio di esperienze, continua ad essere strategico: persone da utilizzare presso i nuclei degli affari comunitari, presso i Ministeri, ove operare negli altri gradi della Commissione in rappresentanza dell'Italia, così come fanno Francia e Germania.
Ad ogni modo, dall'esame congiunto degli atti all'attenzione dell'Assemblea emerge un segnale concreto: mi riferisco alle prospettive di modifica delle procedure di esame della Relazione annuale, anche in vista delle modifiche dei Regolamenti parlamentari. Per quanto riguarda il disegno di legge all'esame dell'Assemblea osserviamo preliminarmente che la struttura del disegno di legge rispetta, con pochi aggiustamenti, l'impostazione generale tradizionale. Sono definiti gli aspetti procedurali ovvero i principi e i criteri direttivi generali, le norme per il coordinamento, la semplificazione della normativa di attuazione e di esecuzione, le deleghe per le sanzioni penali ed amministrative; sono dettate disposizioni particolari per l'adempimento di obblighi ed alcuni criteri specifici di delega. Il disegno di legge complessivamente consente di dare attuazione a quattro decisioni quadro e a circa trenta direttive che coprono numerose e diverse materie, trattandosi di un disegno di legge per sua natura omnibus.
Costituisce una novità l'inserimento degli articoli aggiuntivi 5-bis e 5-ter che modificano gli articoli 15 e 16-bis della legge n. 11 del 2005 relativi alla Relazione annuale al Parlamento e alle informazioni al Parlamento su procedure giurisdizionali e di precontenzioso riguardanti l'Italia.
Sul punto appare chiaro, anche alla luce dei due dibattiti che si sono succeduti in questa materia, che le procedure attuali presentano alcune criticità tanto sul piano del Regolamento della Camera, quanto su quello delle disposizioni di raccordo tra Governo e Parlamento. D'altra parte, le soluzioni inserite nel provvedimento sembrano andare in una direzione da tempo auspicata dall'UdC. Faccio riferimento all'ordine del giorno a prima firma Casini, presentato il 31 luglio 2008 in occasione dell'approvazione del decreto-legge per l'autorizzazione alla ratifica del Trattato di Lisbona, ordine del giorno discusso e approvato dalla Camera.
L'atto di indirizzo in questione, oltre alle specifiche indicazioni al Governo, sottolineava nelle premesse la portata del Trattato di Lisbona rispetto al più incisivo Pag. 43ruolo riconosciuto ai Parlamenti nazionali; rimarcava come la partecipazione dei Parlamenti nazionali nei processi decisionali comunitari si ponga oggi come un elemento che contribuisce alla legittimazione democratica del sistema comunitario ed auspicava, infine, che si intervenisse con delle modifiche alle procedure di coordinamento degli organismi comunitari previste dai regolamenti parlamentari per rafforzare le procedure di coordinamento istituzionale per la partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'Unione europea e per l'attuazione del diritto UE, previsto dalla legge 4 febbraio 2005, n. 11, la cui attuazione, si diceva espressamente, anche a prescindere dal Trattato di Lisbona, si è rivelata ancora insufficiente.
Per questo ritengo positiva la direzione intrapresa dal provvedimento con riferimento ai due articoli aggiuntivi. L'introduzione di due distinte relazioni in luogo dell'attuale dovrebbe consentire un approccio più organico; in particolare, la previsione della presentazione a dicembre della relazione del Governo al Parlamento sull'impostazione di orientamento e priorità con riferimento allo sviluppo delle politiche di integrazione e al programma legislativo delle istituzioni comunitarie dovrebbe consentire un dibattito utile sul programma legislativo dell'Unione europea e favorire la funzione di indirizzo e controllo del Parlamento italiano.
Se la direzione è giusta, occorre però avvertire che non è sufficiente cambiare le regole, ma occorre anche creare le condizioni affinché siano applicate quelle esistenti. Gli elementi critici evidenziati dalla relatrice Centemero al Documento relativo alla partecipazione dell'Italia all'Unione europea nel 2008 devono essere superati; per fare ciò occorre che si rendano disponibili gli strumenti, anche in termini di risorse umane, strumentali e finanziarie che consentano l'applicazione delle disposizioni. Nel caso dell'attività del Comitato interministeriale per gli affari comunitari europei, osserviamo che l'operatività del CIACE, cui è affidato il compito di assicurare il coordinamento e la definizione della posizione italiana per i dossier di carattere orizzontale nella fase ascendente, è ancora troppo limitata rispetto a quanto previsto nella legge n. 11 del 2005. Per le ragioni esposte occorre che le modifiche legislative e quelle relative al Regolamento della Camera che dovessero intervenire siano seguite da un investimento in termini politici per cambiare passo.
In conclusione, onorevoli colleghi, la legge comunitaria per il 2007 è stata approvata nel mese di febbraio 2008, quella per il 2009 nel mese di giugno 2009: si è accumulato un certo ritardo, per questo l'approvazione sollecita del testo e la trasmissione al Senato potrebbero consentire un recupero che consideriamo positivo per mettere a regime il sistema.
Nel merito delle diverse materie trattate dalle direttive da attuare con delega legislativa, che nel corso dell'esame in Commissione sono aumentate significativamente, ci riserviamo di intervenire in corso di esame. L'UdC aveva presentato un solo emendamento, dichiarato inammissibile, rivolto a risolvere una situazione di sostanziale iniquità scaturita da diversi e disorganici interventi in materia di sanzioni amministrative per violazione di norme comunitarie che disciplinano la produzione e la commercializzazione di vini. Nel caso specifico, la successione nel tempo delle disposizioni sanzionatorie per violazione delle norme europee, a suo tempo introdotta d'urgenza con decreto-legge e modifiche negli anni con diversi strumenti legislativi, ha provocato una situazione irrazionale fortemente penalizzante per alcuni operatori del settore.
Si tratta evidentemente di un problema molto specifico che, in questa sede, richiamo in quanto rappresenta una distorsione dovuta a difetti delle procedure di attuazione che ritroviamo con frequenza e a cui dovrà porsi rimedio (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

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PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Garavini. Ne ha facoltà.

LAURA GARAVINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, maggiore cooperazione a livello europeo contro il crimine organizzato transnazionale vuol dire più sicurezza anche per i nostri cittadini in Italia. Da tempo l'Unione europea sta costruendo una comune ed efficace azione di prevenzione e lotta contro la criminalità transnazionale fondata su tre pilastri: lo scambio di informazioni, la cooperazione tra giudici e forze dell'ordine nazionali e la condivisione di regole e di leggi. Tra queste tre, la condivisione delle regole e delle leggi ricopre un ruolo fondamentale proprio perché, armonizzando i diversi ordinamenti all'interno dell'Unione europea, possiamo dare un forte contributo alla lotta contro la criminalità organizzata.
Noi possiamo realizzare questo obiettivo, utilizzando uno strumento importante e normativo, vale a dire proprio il disegno di legge comunitaria che stiamo affrontando. Questo è un punto che va sottolineato: adeguare le nostre regole a quelle dell'Unione europea non è affatto una formalità, ma un atto importante che può cambiare il futuro di tutti noi ed in meglio. Tuttavia, per arrivare a ciò, è necessario che il Governo, così come raccomandato dalla Commissione europea, abbia la volontà politica di recepire le varie direttive europee così da adattare le nostre norme nazionali alle nuove disposizioni comunitarie ed è questo che noi dell'opposizione vogliamo perseguire.
Se questo Governo avesse davvero a cuore il problema della sicurezza e della criminalità organizzata non esiterebbe un solo giorno a recepire direttive e decisioni europee che possano dare un grande contributo alla lotta alle criminalità organizzate. Purtroppo, non solo il Governo non lo fa e non adatta le nostre norme a quelle europee, ma addirittura agisce contro ordinamenti europei ed internazionali. Da un lato, infatti, il Governo si ostina ad impedire il recepimento di importanti convenzioni internazionali che potrebbero dare un radicale contributo. Si veda, ad esempio, la decisione quadro sul traffico illegale di stupefacenti, o anche la Convenzione di Varsavia in materia di tratta degli esseri umani, Convenzione per la quale il nostro gruppo ha già presentato ad esempio una proposta di applicazione legislativa.
Ma non c'è solo questo aspetto, in quanto questo Governo purtroppo fa molto peggio. Con i recenti respingimenti sommari di immigrati in mare ha violato i principi della Convenzione di Ginevra al punto che la Commissione europea ha giustamente chiesto chiarimenti al Governo su questi respingimenti sommari di donne, bambini, profughi, rifugiati e persone che avrebbero avuto il diritto di chiedere asilo politico al nostro Paese. L'Italia rischia addirittura di subire una procedura di infrazione per violazione del diritto comunitario delle frontiere e di asilo.
La strategia del Governo italiano rischia di creare una disumana catena di desaparecidos del mare. Infatti, grazie alle denunce pervenute ed anche al fatto che si stanno diffondendo notizie, nonostante la rigida censura militare, sappiamo che molti di coloro che sono stati rimandati indietro sono sottoposti a torture e che sono, quindi, imminenti altre ulteriori tragedie. Ciò nonostante, questo Governo non si fa scrupolo di incorrere in infrazioni e, pur di respingere gli immigrati in arrivo, viene meno agli accordi internazionali ed, eventualmente, lascia morire uomini, donne e bambini in mare. Questo Governo non solo non rafforza la cooperazione a livello europeo, ma addirittura la indebolisce.
Non ci si venga a dire - come ha recentemente dichiarato il Ministro dell'interno Maroni - che i respingimenti non sono altro che l'attuazione di un accordo firmato dall'allora Ministro dell'interno di centrosinistra Giuliano Amato, perché è una dichiarazione scorretta.
Il testo dell'Accordo è sì stato firmato a Tripoli dal Ministro Amato nel dicembre del 2007, ma né il testo, né il Protocollo Pag. 45operativo successivo, firmato dal capo della polizia, facevano riferimento alla riconsegna sommaria dei migranti da parte delle autorità italiane. Non solo: entrambi i documenti ponevano come limite invalicabile il rispetto dei diritti fondamentali della persona sanciti dalle Convenzioni internazionali, che i Governi di centrosinistra non hanno mai violato. L'Accordo sancito da questo Governo, invece, è stato perfezionato il 4 febbraio, con la firma a Tripoli di un Protocollo di attuazione siglato tra Maroni e le autorità libiche. È un Protocollo di cui non sono mai stati resi noti i dettagli, ciononostante finora l'ipotesi che la Libia prendesse in carico migranti respinti in mare non era mai emersa, prima del tragico episodio di agosto.
Ecco che i respingimenti di questi migranti, in prevalenza eritrei e somali, cui abbiamo dovuto assistere nel corso delle settimane scorse, vanno contro e violano il diritto internazionale e il diritto di asilo sancito dalla Convenzione di Ginevra. Noi del Partito Democratico abbiamo un'altra visione dell'Italia in Europa e vogliamo un altro futuro per il nostro Paese. Ecco perché, nel contesto dell'approvazione della legge comunitaria, chiediamo il recepimento della direttiva del 16 dicembre 2008, che prevede norme comuni per gli Stati membri proprio in materia di rimpatrio di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare e definisce garanzie giuridiche comuni sulle decisioni di rimpatrio. In relazione a quanto diceva il collega Pini poco fa, mi chiedo quando saranno maturi i tempi per il recepimento di questa direttiva. Quali altre dichiarazioni, oltre a quelle odierne dell'ONU, si dovranno aggiungere, affinché i tempi della politica nel nostro Paese siano maturi? Questa direttiva, infatti, protegge i diritti di quei bambini non accompagnati, che arrivano sui barconi della disperazione, in fuga dalla povertà, dalla dittatura e dalla violenza, perché questa direttiva garantisce la necessaria assistenza legale per chi non ha risorse economiche. Ribadisco: noi del Partito Democratico combattiamo la criminalità organizzata, ma non la vogliamo combattere sulla pelle delle vittime. Noi crediamo che il difficile problema dell'immigrazione clandestina non si risolva con una politica quale quella che si sta mettendo in atto nel nostro Paese da alcune settimane a questa parte, bensì, da un lato, chiediamo e vogliamo che ci sia il rispetto dei diritti fondamentali di ogni essere umano e, dall'altro, chiediamo che ci sia un'azione coordinata a livello europeo in materia di flussi migratori, di integrazione e, anche e soprattutto, in materia di sicurezza e lotta alla criminalità organizzata.
Vogliamo una politica innovativa, democratica ed europea di integrazione, fondata sul rispetto dei diritti e anche dei doveri, che riconosca i diritti di partecipazione, di rappresentanza e di cittadinanza, una politica che ripensi la legge sul diritto d'asilo, che, grazie al coordinamento europeo in materia di sicurezza, giustizia e lotta alle mafie, sia in grado di individuare e rendere inoffensivi eventuali criminali. Ecco che l'approvazione della legge comunitaria diventa, quindi, un atto fondamentale anche per la costruzione di una strategia comune europea per contrastare la criminalità organizzata, che si nasconde talvolta dietro l'immigrazione clandestina. Quindi, in fase di approvazione della comunitaria 2009, noi dell'opposizione insistiamo ancora una volta affinché venga approvato l'emendamento che recepisce la decisione quadro relativa alla creazione di squadre investigative comuni. Le squadre investigative comuni sono uno strumento necessario a rafforzare la cooperazione tra le polizie europee e rendere più forte il contrasto transnazionale alla criminalità organizzata. Con l'approvazione di questo emendamento, l'Italia potrebbe finalmente costituire e partecipare a team investigativi multinazionali, per velocizzare la sua capacità di intervento. Se questo emendamento, al contrario, venisse respinto, Governo e maggioranza dimostrerebbero ancora una volta di essere a favore della sicurezza soltanto a parole e non nei fatti. Pag. 46
Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'attuale Governo usa grandi proclami, ma, in realtà, fa soltanto finta di occuparsi di sicurezza e di lotta alle mafie. In realtà, la politica del pugno duro la attua soltanto verso i più deboli, verso gli immigrati: li lascia morire in mare oppure li rimanda indietro, ledendo i fondamentali diritti di ogni essere umano, venendo meno ai trattati internazionali e mettendoci a rischio di infrazioni.
Viceversa, lì dove si tratta di mettere in campo concreti strumenti per la lotta alla criminalità organizzata in coordinamento con gli altri Paesi europei, il Governo è purtroppo assente.
Ci auguriamo, quindi, che con questa legge comunitaria vengano approvati gli emendamenti presentati dal nostro gruppo, altrimenti sarà un'ulteriore dimostrazione di come il tema della sicurezza, nei fatti, non stia per niente a cuore a questa maggioranza (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, come gruppo dell'Italia dei Valori abbiamo cercato di portare già nel dibattito in Commissione un contributo che speriamo possa essere stato di un qualche significato per il varo di questa legge comunitaria che da oggi affronta l'esame dell'Aula.
Con i nostri emendamenti, infatti, abbiamo chiesto ed ottenuto, così come del resto analogamente aveva fatto anche la Commissione ambiente, che in questo disegno di legge fosse, ad esempio, inserito il recepimento di importanti direttive in tema di ambiente, energia, riduzione dell'inquinamento, il cosiddetto pacchetto clima-energia che il Governo aveva originariamente lasciato fuori.
Tale scelta governativa ci era apparsa come un'ennesima occasione mancata in campo ambientale, ma in questo senso assolutamente in linea con le attività dello stesso Ministero presieduto dall'onorevole Prestigiacomo, che fin qui non ha certo brillato per iniziativa ed incisività, ma tant'è!
Quella del Governo, insomma, ci appare la classica posizione di chi, come già l'amministrazione Bush per otto lunghi anni, non ha voluto risolvere, né affrontare, né ha mai dimostrato interesse a farlo, le grandi questioni ambientali.
La cosa, ovviamente, non ci ha sorpreso più di tanto in verità, anche perché il Governo Berlusconi aveva già saputo distinguersi in sede europea, non avendo dato alcun aiuto al cammino di queste direttive al momento dell'adozione.
L'articolo 3 della legge n. 133, quella dell'anno scorso, aveva infatti previsto la convocazione di una Conferenza nazionale dell'energia e dell'ambiente ai fini dell'elaborazione di una strategia energetica nazionale da parte del Ministro per lo sviluppo economico, ma la Conferenza non si è mai tenuta, non è stata varata alcuna strategia nazionale in merito, né è stato davvero impostato un rilancio della ricerca. Al solito, ci si è distinti, anche per questa materia, la materia ambientale, per la reiterata, consolidata e deprecabile politica degli annunci.
L'atteggiamento del Governo in questa cruciale fase di attuazione in sede nazionale del pacchetto energia-clima si è contraddistinto, poi, per l'estemporaneità degli interventi, mai inseriti in un quadro unitario e globale, per un'attenzione limitata al settore delle fonti rinnovabili e, più in generale, per una scarsa fiducia nelle politiche di efficienza energetica come opportunità di sviluppo e prerogativa nazionale per la riduzione dei gas serra.
La mancanza di iniziativa da parte del Governo sui temi dell'efficienza energetica, a partire dai trasporti, ha reso evidente e rende evidente che è in atto uno squilibrio molto pericoloso in questa delicata fase di raccordo con il pacchetto comunitario. Soltanto la miopia di questo Governo poteva voler tener fuori dal recepimento le direttive del citato pacchetto clima-energia, volte a conseguire gli obiettivi che l'Unione europea si è fissata per il 2020, quel pacchetto più Pag. 47conosciuto come «Accordo 20-20-20», ovvero riduzione del 20 per cento delle emissioni di gas effetto serra, aumento al 20 per cento del risparmio energetico e aumento al 20 per cento del consumo di fonti rinnovabili.
Questi obiettivi sono coerenti con la strategia europea che, per aumentare l'efficienza e la sicurezza energetiche nel nostro continente, tengono conto contestualmente della necessità di diminuire le emissioni inquinanti e di promuovere l'incentivazione degli investimenti e delle azioni mirate all'incremento del contributo di energia da fonti rinnovabili e al miglioramento dell'efficienza energetica.
Si tratta insomma di direttive molto articolate, che comprendono, solo per citare i provvedimenti più importanti, sia la nuova direttiva sullo sviluppo delle fonti rinnovabili, che quella di revisione del sistema comunitario di commercio delle quote di emissione (ETS, ovvero Emission trading scheme), che in pratica interessa i settori industriali cosiddetti energivori: il termoelettrico, la raffinazione, la produzione di cemento, di acciaio, di carta, di ceramica, di vetro; senza dimenticare la decisione «Effort sharing», riguardante invece la ripartizione dello sforzo tra gli Stati membri degli impegni di riduzione delle emissioni di gas serra nei settori non ETS, ovvero nei trasporti, nell'edilizia, nei servizi, nell'agricoltura, per quanto riguarda i rifiuti e piccoli impianti industriali.
I benefici di una politica improntata in maniera così netta all'innovazione e all'acquisizione di vantaggi competitivi per l'industria europea a livello globale dipenderanno proprio dalla capacità degli Stati membri di rispondere tempestivamente a questa sfida; con un insieme di scelte politiche attente, dunque, non solo al rispetto degli obiettivi formali relativi al nostro Paese e al suo territorio, ma anche alla creazione del massimo delle opportunità sociali, economiche, ambientali, molte delle quali riguarderanno la presenza dell'Italia sui mercati e nei contesti globali.
L'importanza di queste scelte in campo ambientale, contrariamente a quello che, con tutta evidenza, immagina il Governo, è testimoniata anche dalle tante iniziative assunte nell'ultimo anno ad esempio da parte del Governo degli Stati Uniti: iniziative che hanno messo in atto un netto cambiamento di rotta, confermando il carattere prioritario dei temi ambientali anche durante la crisi economica, soprattutto a favore delle fonti rinnovabili di energia e di riduzione delle emissioni.
Tra le direttive del pacchetto vorrei quindi ricordare quella sui limiti alle emissioni delle automobili, settore nel quale si intende stimolare, attraverso la direttiva 2009/33/CE, il mercato dei veicoli adibiti a trasporto su strada, veicoli puliti e a basso consumo energetico, e soprattutto ad influenzare il mercato dei veicoli standard prodotti su larga scala: autovetture, autobus, pullman, autocarri, garantendo una tale domanda di veicoli (domanda il cui livello sia sufficientemente sostanzioso, mi si permetta questa espressione) da indurre i costruttori e le imprese ad investire in questo settore ed a sviluppare ulteriormente veicoli con costi ridotti in termini di consumo energetico, emissioni di CO2 ed emissioni di sostanze inquinanti.
Ma il pacchetto clima-energia punta anche ad incrementare la produzione di energia da fonti rinnovabili, diversamente da come pare interessato a fare questo Governo, che invece è tornato a rilanciare il nucleare, un'iniziativa che ci ha visto e ci vedrà sempre contrari. E approfitto dell'occasione che mi è data oggi di intervenire in Aula per ricordare che il Ministro ha firmato il decreto per far partire la macchina, ma il prossimo step sarà quello di pubblicare la lista dei siti. E ne vedremo delle belle, perché dubito che qualcuno vorrà avere una centrale termonucleare nel proprio giardino. Nel frattempo, ovviamente, è però partito il vorticoso giro delle superconsulenze, fatte di studi di fattibilità, cifre milionarie, magari date ai soliti amici degli amici. Pag. 48
Che cosa succederà in futuro? Ce lo chiediamo, come Italia dei Valori; ancora oggi lo abbiamo fatto con il nostro responsabile su questo tema Vatinno. Il nucleare berlusconiano veramente ripartirà in Italia, o è una specie di ponte sullo Stretto di cui tutti parlano perché intanto non si farà mai? Vedremo! Intanto noi ripetiamo che il nucleare voluto da questo Governo, questo nucleare governativo non ci piace, perché l'accordo tra ENEL e l'omonima società francese sembra fatto su misura per rifilare all'Italia un bidone tecnologico: mentre negli altri Paesi si parla già di versione 3.5 e addirittura di tecnologia 4, di quarta generazione, noi ci stiamo preparando a impiantare centrali di terza generazione.
All'Italia capiterà quindi, in sostanza, un nucleare in disuso a livello mondiale. Il nucleare costa - e costa molto - alla comunità, cioè a tutti noi, perché nel computo dei costi si deve mettere anche la costruzione e lo smantellamento della centrale con la conseguenza che, alla fine, il costo unitario di chilowattora prodotto non è per niente così conveniente come si vuol far pensare.
Vi è poi la questione della gestione in sicurezza delle scorie e vi è poi un quarto punto: le emissioni così evitate di CO2, cioè di anidride carbonica (il gas serra responsabile dei cambiamenti climatici) non sono conteggiabili per il Protocollo di Kyoto.
Infine, le centrali nucleari sono un obiettivo sensibile e quindi richiedono una sorveglianza molto costosa ventiquattro ore su ventiquattro; ma soprattutto, il punto che ci preme sottolineare è che, guidato dagli Stati Uniti, il mondo sta ormai dirigendosi con decisione verso le fonti rinnovabili (solare, eolico, biomasse, piccolo idro, energia dalle maree) e davvero tutto questo senza dimenticare che venti anni fa gli italiani con un apposito referendum si sono espressi ed hanno detto con il 70 per cento «no» al nucleare: ma tant'è, questo Governo procede, dal nostro punto di vista, verso un vicolo cieco.
Tornando però ai contenuti di merito del disegno di legge che oggi discutiamo, l'Unione europea con la direttiva 2009/28/CE mira infatti a promuovere il ricorso ai fondi strutturali regionali nel settore delle energie da fonti rinnovabili e fissa gli obiettivi nazionali che ciascun membro deve raggiungere: in questo momento la quota delle energie rinnovabili sul consumo totale di energia in Italia è pari al 5,2 per cento, mentre l'obiettivo nazionale fissato dalla direttiva in questione è del 17 per cento. L'impegno dell'Italia dei Valori si spende quindi in questa direzione e in ciò incalzerà il Governo.
Ovviamente nel dibattito in Commissione con i nostri emendamenti ci siamo occupati non soltanto di ambiente, ma ci siamo impegnati anche per quanto riguarda il tema dell'occupazione. Con i nostri emendamenti - che sono stati, non a caso, respinti - avevamo chiesto infatti di modificare la normativa italiana di cui al decreto legislativo n. 276 del 2003 in materia di lavoro interinale, quella che contiene al suo interno norme che dispongono esattamente il contrario di quanto invece richiesto dalla direttiva 2008/104/CE in materia di agenzie di lavoro interinale in ambito europeo, che il Governo è comunque chiamato a recepire e a mettere in campo.
La direttiva impone chiaramente la nullità delle clausole che vietino o impediscano la stipulazione di un contratto di lavoro o l'avvio di un rapporto di lavoro tra l'impresa utilizzatrice e il lavoratore tramite agenzia interinale al termine della sua missione. Questa norma afferma dunque che l'azienda può assumere al termine di un periodo di lavoro interinale il lavoratore che ha prestato la sua opera all'interno della stessa azienda, e quindi il lavoro interinale diventa una sorta di avviamento al lavoro. Al tempo stesso questa direttiva stabilisce che i lavoratori interinali debbono essere presi in considerazione, alle condizioni stabilite dagli Stati membri, per il calcolo della soglia sopra la quale si devono costituire gli organi rappresentativi dei lavoratori Pag. 49previsti dalla normativa comunitaria e nazionale o dai contratti collettivi di un'agenzia interinale.
Ancora una volta dunque, è il contrario di quanto invece previsto dalla normativa italiana che al momento esclude il prestatore di lavoro dal computo dell'organico dell'utilizzatore ai fini dell'applicazione delle normative di legge e di contratto collettivo, così come prevede che possano esservi clausole che limitano la facoltà dell'utilizzatore ad assumere il lavoratore al termine del contratto di somministrazione in cambio di un'indennità.
Non accogliendo i nostri emendamenti il Governo ha così mostrato la sua scarsa attenzione verso il mondo del lavoro e, in particolare, il suo totale disinteresse nei confronti delle garanzie e della tutela dei lavoratori non a tempo indeterminato, che permangono in una situazione di scarsa protezione.
A favore di tanti lavoratori a tempo determinato, o interinali, e per assicurare loro una maggiore possibilità di permanere nell'impresa presso la quale sono stati occupati per un certo periodo, abbiamo ritenuto di ripresentare in Aula questi emendamenti, e vogliamo sperare, questa volta, in una maggiore attenzione e in un maggior ascolto.
Signor Presidente, noi non possiamo che pensare all'Europa come a quell'istituto cui il contributo dell'Italia deve essere sempre più deciso e proattivo per realizzare quel cammino di democrazia, efficacia, e trasparenza che il Trattato di Lisbona ha definitivamente designato.
Per questo motivo, siamo molto scettici sulla proposta che ci è stata presentata. Tuttavia la nostra valutazione finale sarà misurata anche sulla base delle correzioni che il lavoro dell'Aula potrà apportare al testo presentato dalla Commissione.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione congiunta sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo - A.C. 2449-A e Doc. LXXXVII, n. 2)

PRESIDENTE. Prendo atto che i relatori ed il rappresentante del Governo rinunziano alle repliche.

(Annunzio di risoluzioni - Doc. LXXXVII, n. 2)

PRESIDENTE. Avverto che, ai sensi dell'articolo 126-ter, comma 6, del Regolamento, sono state presentate le risoluzioni Gozi ed altri n. 6-00029 e Centemero ed altri n. 6-00030 riferite alla Relazione annuale sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea nel 2008 (Vedi l'allegato A - Risoluzioni).
Ricordo che, a norma dell'articolo 126-ter, comma 7, del Regolamento, su tali atti di indirizzo l'Assemblea sarà chiamata a deliberare dopo la votazione finale sul disegno di legge comunitaria.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Modifica nella composizione della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, anche straniere.

PRESIDENTE. Comunico che il Presidente della Camera ha chiamato a far parte della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, il deputato Walter Veltroni in sostituzione del deputato Francesco Laratta dimissionario.

In morte dell'onorevole Nello Mariani.

PRESIDENTE. Comunico che è deceduto l'onorevole Nello Mariani, già membro della Camera dei deputati dalla III alla VI legislatura.
La Presidenza della Camera ha già fatto pervenire ai familiari le espressioni della più sentita partecipazione al loro Pag. 50dolore, che desidera ora rinnovare anche a nome dell'Assemblea.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 15 settembre 2009, alle 14:

1. - Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
BINETTI ed altri; POLLEDRI e RIVOLTA; LIVIA TURCO ed altri; FARINA COSCIONI ed altri; BERTOLINI ed altri; COTA ed altri; DI VIRGILIO ed altri; SALTAMARTINI ed altri: Disposizioni per garantire l'accesso alle cure palliative e alle terapie del dolore (624-635-1141-1312-1738-1764-ter-1830-1968-ter-A).
- Relatore: Palumbo.

2. - Seguito della discussione del disegno di legge e del documento:
Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 2009 (2449-A).
- Relatore: Formichella.

Relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea per l'anno 2008 (Doc. LXXXVII, n. 2).
- Relatore: Centemero.

La seduta termina alle 20,25.