XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di martedì 27 ottobre 2009

TESTO AGGIORNATO AL 24 NOVEMBRE 2009

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:

La Camera,
premesso che:
a seguito dell'accordo bilaterale stipulato dal Governo italiano con il Governo della Repubblica libica a Bengasi il 30 agosto del 2008 - legge di autorizzazione alla ratifica 6 febbraio 2009, n. 7 - è stata introdotta, in maniera operativa a partire dal maggio 2009, la nuova politica dei respingimenti in Libia delle persone intercettate nel canale di Sicilia, quali misure volte a contrastare il fenomeno dell'immigrazione clandestina;
nel summenzionato accordo bilaterale del 2008 non è possibile rinvenire alcun riferimento ai respingimenti bensì esclusivamente alle operazioni di pattugliamento congiunto;
allo stesso modo non è rinvenibile alcun riferimento alla possibilità di effettuare dei respingimenti di cittadini di Stati terzi nel protocollo firmato a Tripoli il 29 dicembre del 2007, né nel protocollo operativo che ha dato seguito a tale accordo, né tantomeno all'interno del testo dell'Accordo di cooperazione nel campo della lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata, ed al traffico degli stupefacenti e sostanze psicotrope, sottoscritto tra i due Paesi a Roma il 13 dicembre del 2000, al quale pure si fa riferimento nei suddetti protocolli firmati a Tripoli;
nel periodo compreso tra il 7 maggio e il 30 agosto 2009 sono state compiute 8 operazioni di respingimento nel corso di cui 757 persone sono state ricondotte verso la Libia, secondo quanto dichiarato dal Sottosegretario all'interno, Alfredo Mantovano, nel corso di un'audizione svoltasi davanti al Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione in data 22 settembre 2009;
il primo di tali respingimenti risale al 7 maggio 2009 quando 227 persone tra
cui 3 donne incinte che viaggiavano su tre barconi nel canale di Sicilia sono state fatte salire su navi militari italiane e sono state riportate in Libia e lì consegnate alle autorità libiche;
il più recente caso di respingimento risale invece al 30 agosto 2009 e ha interessato 75 migranti raccolti in mare da una motovedetta italiana e riaccompagnati nel porto libico di Zawia nei pressi di Tripoli. Tra di essi vi erano 15 donne e 3 minorenni;
secondo quanto si apprende da informazioni giornalistiche e dalle segnalazioni di varie organizzazioni umanitarie internazionali e non governative, in tutti i casi di respingimento che hanno avuto luogo dal maggio 2009 alla data odierna, non vi è stata da parte delle autorità italiane alcuna procedura di identificazione dei migranti né un rilevamento delle loro condizioni di salute né la verifica dei requisiti per la concessione della protezione internazionale;
secondo dati ufficiali, nel 2008 circa il 75 per cento di coloro che hanno raggiunto l'Italia ha inoltrato formale richiesta di protezione internazionale e al 50 per cento di questi è stata concessa tale protezione o per lo meno un permesso di soggiorno per motivi umanitari;
inoltre, a seguito di un respingimento avvenuto il 1o luglio 2009 ad opera della Marina militare italiana, sono state ricondotte in Libia 82 persone tra cui sono stati individuati dai rappresentanti dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) 76 cittadini eritrei, un numero significativo dei quali risultava essere bisognoso di protezione internazionale, secondo quanto riportato nel corso del briefing per la stampa che l'UNHCR ha tenuto a Ginevra il 14 luglio 2009;

tali dati e informazioni rendono molto plausibile l'ipotesi che tra i migranti riportati in Libia dal maggio 2009 alla data odierna, vi fossero anche numerosi individui che avrebbero avuto il diritto di usufruire di protezione internazionale nel nostro Paese e che probabilmente, se questi stessi avessero avuto la possibilità di chiedere asilo, un gran numero di essi avrebbe ottenuto la protezione internazionale nel nostro Paese;
oltre a non aver accertato la sussistenza dei requisiti per l'ottenimento della protezione internazionale le autorità italiane dal maggio 2009 ad oggi hanno respinto i migranti verso un Paese ove i diritti dei rifugiati sanciti dalle norme internazionali non sono riconosciuti, dal momento che la Libia non ha ratificato la Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati e non ha dato attuazione alla Convenzione dell'Organizzazione dell'Unione africana del 1969 sui problemi dei rifugiati in Africa;
secondo il rapporto che Human Rights Watch - nota organizzazione umanitaria non governativa con sede negli Stati Uniti d'America - ha pubblicato il 21 settembre 2009, in Libia non esistono le strutture per la verifica delle richieste d'asilo e i migranti, pur essendo cittadini di Stati terzi, sono imprigionati e sottoposti a trattamenti inumani e degradanti e detenuti presso strutture sovraffollate, in precarie condizioni igieniche e senza alcuna assistenza di tipo legale;
il principio di non respingimento (non-refoulement) è uno dei principi fondamentali del diritto internazionale relativo ai diritti umani e si configura come il divieto per gli Stati di respingere o reindirizzare una persona verso luoghi ove la sua libertà e la sua incolumità personale possano essere messe a repentaglio;
l'articolo 33 della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati del 1951, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 e ratificata dall'Italia con legge 24 luglio 1954, n. 722, stabilisce che: «nessuno Stato contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche.»;
l'articolo 14 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, sancisce il diritto di chiedere asilo in caso di persecuzione;
la Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare del 1974 (acronimo inglese SOLAS) nonché la Convenzione internazionale marittima sulla ricerca e il salvataggio marittimo del 1979 (acronimo inglese SAR) obbligano gli Stati a condurre le persone salvate in mare in un porto sicuro;
è ormai unanimemente ritenuto che il principio di non-refoulement si configuri quale diritto internazionale consuetudinario ovvero appartenga alle norme che vincolano ugualmente tutti gli stati appartenenti alla Comunità internazionale;
è inoltre possibile affermare che il principio di non-refoulement abbia assunto natura di carattere cogente (jus cogens) in quanto «norma che sia stata accettata e riconosciuta dalla Comunità internazionale degli Stati (...) in quanto norma alla quale non è permessa alcuna deroga e che non può essere modificata che da una nuova norma di diritto internazionale generale avente lo stesso carattere», secondo quanto codificato dall'articolo 53 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969;
il summenzionato principio di non-refoulement non si applica solamente quando una persona si trova nel territorio di uno Stato (territorio, acque territoriali e spazio aereo), ma anche quando un individuo è sottoposto alla effettiva giurisdizione di uno Stato, come nel caso di pattugliamenti e respingimenti che avvengono ad opera di appartenenti alle forze armate italiane;

in ogni caso l'articolo 4 del Codice della navigazione stabilisce che una nave italiana sia che essa si trovi in acque territoriali, zona contigua, alto mare o mare di altro Stato, è considerata territorio italiano e quindi su di essa si applicano tutte le norme in vigore nella Repubblica italiana;
l'articolo 3 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 1984 vieta di respingere o estradare una persona verso un altro Stato, qualora vi siano serie ragioni di credere che in tale Stato essa rischia di essere sottoposta a tortura o a violazioni sistematiche dei diritti dell'uomo;
analogamente l'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), come interpretato dalla Corte europea di Strasburgo, stabilisce che nessun individuo possa essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti e che non possa essere allontanato verso uno Stato dove rischi di subire un tale trattamento e la giurisprudenza della stessa Corte ha più volte sottolineato che tale divieto si applica anche nel contesto di espulsioni o respingimenti e qualora vi sia un rischio di espulsioni o respingimenti a catena;
l'articolo 4 del Protocollo n. 4 aggiuntivo alla già citata Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali vieta le espulsioni collettive dì stranieri e va ricordato che secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo sono da considerarsi espulsioni collettive tutte quelle misure di allontanamento degli stranieri effettuate senza un esame individuale della situazione di ciascuna persona;
l'articolo 13 del regolamento (CE) n. 562/2006 consente agli Stati di respingere gli stranieri che non soddisfino i requisiti per l'ingresso ma prevede anche che tali respingimenti debbano sempre avvenire nel rispetto delle norme relative al diritto d'asilo ed esclusivamente attraverso un provvedimento motivato che indichi le ragioni precise di tale respingimento;
l'articolo 21 della direttiva 2004/83/CE richiede agli Stati membri di rispettare il principio di non-refoulement in conformità dei propri obblighi internazionali;
l'articolo 6, comma 5, della direttiva 2005/85/CE stabilisce che allo straniero venga garantita la possibilità di accedere alla procedura volta all'ottenimento della protezione internazionale;
l'articolo 10 della Costituzione italiana sancisce che l'ordinamento giuridico italiano si conforma a tutte le norme di diritto internazionale generalmente riconosciute (primo comma), che esiste una riserva di legge rinforzata in materia di status giuridico dello straniero (secondo comma), che nel territorio della Repubblica è garantito il diritto d'asilo allo straniero al quale sia impedito nel suo Paese l'esercizio delle libertà democratiche;
l'articolo 10 del Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, prevede che il respingimento non possa applicarsi nei casi previsti dalle disposizioni vigenti disciplinanti l'asilo politico, il riconoscimento dello status di rifugiato o la concessione di misure di protezione temporanea per motivi umanitari;
l'articolo 19 del suddetto Testo unico prevede che in nessun caso sia ammissibile il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere perseguitato per motivi di sesso, razza, religione, lingua, cittadinanza, orientamento politico, di condizioni personali e sociali ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione;
l'articolo 5, comma 2, della Convenzione europea per la salvaguardia dei

diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) stabilisce che vi sia l'obbligo di informazione, in lingua comprensibile alla persona interessata, sui motivi alla base della privazione della libertà;
l'articolo 3 del regolamento di attuazione del Testo unico fa obbligo di comunicare allo straniero, mediante consegna a mani proprie, un provvedimento di respingimento scritto e motivato;
alla luce di tutte le precedenti affermazioni, si deduce che non possono essere invocati a fondamento giuridico degli atti di respingimento il fatto che essi vengano attuati in virtù di un accordo bilaterale con la Repubblica libica, dal momento che il principio di non-refoulement, in quanto norma di jus cogens, è del tutto inderogabile e gerarchicamente sovraordinato rispetto a qualsiasi altra fonte giuridica,

impegna il Governo:

ad assicurare che le attività di contrasto dell'immigrazione clandestina siano conformi alle norme internazionali consuetudinarie e pattizie, alle norme comunitarie e alle disposizioni costituzionali e ordinarie del nostro Paese;
a rivedere, anche alla luce delle dichiarazioni rilasciate in data 21 settembre 2009 a Bruxelles dal vice presidente della Commissione europea con delega all'immigrazione, Jacques Barrot, e dall'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, Antonio Guterres, le politiche di gestione dei flussi migratori nel canale di Sicilia nonché l'implementazione pratica dell'accordo con la Libia, chiarendo la sostanziale differenza tra il pattugliamento del tratto di mare tra Italia e Libia e un comportamento attivo quale quello del respingimento dei migranti intercettati;
ad assicurare procedure d'asilo eque e complete, compreso il diritto di eccepire il timore di trattamento contrario all'articolo 3 della CEDU per ciascuna persona sotto il controllo delle autorità italiane, compresi coloro che vengono intercettati in mare nonché il rispetto della inviolabilità della libertà personale così come stabilito dall'articolo 13 della Costituzione italiana.
(1-00260)
«Soro, Zaccaria, Sereni, Bressa, Castagnetti, Livia Turco, Amici, Bachelet, Boccuzzi, Boffa, Brandolini, Marco Carra, Causi, Cavallaro, Cenni, Corsini, D'Antona, De Biasi, De Pasquale, Duilio, Esposito, Farinone, Fedi, Ferranti, Fontanelli, Froner, Ghizzoni, Gnecchi, Graziano, Lucà, Lulli, Marchi, Marchioni, Mazzarella, Melis, Mogherini Rebesani, Motta, Murer, Pistelli, Quartiani, Rampi, Realacci, Rigoni, Samperi, Siragusa, Tullo, Maurizio Turco, Vannucci, Vassallo, Velo, Vernetti, Vico, Villecco Calipari, Viola, Zampa, Lo Moro, Narducci, Andrea Orlando, Tidei, Touadi, Gianni Farina».

TESTO AGGIORNATO AL 15 MARZO 2011

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ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA
DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:

GALATI e CARLUCCI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
il Governatore Piero Marrazzo aveva ricevuto in data 4 luglio 2008 la nomina a Commissario straordinario della sanità del Lazio;
appare grave la situazione del buco sanitario in cui versa la regione Lazio, così come esaminato nel corso del convegno organizzato in data 24 ottobre 2009 dal Movimento civico per la salute dei cittadini del Lazio;

il Presidente della giunta della regione Lazio Piero Marrazzo si è autosospeso da tutte le funzioni da lui esercitate -:
in che tempi il Governo intenda provvedere alla nomina di un nuovo commissario straordinario per la sanità del Lazio e se non ritenga opportuno e utile individuare tale figura in un rappresentante della comunità scientifica laziale che abbia, in particolar modo, competenze specifiche nel campo dell'organizzazione ospedaliera.
(4-04716)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
i quotidiani continuano a diffondere notizie di denunce, arresti e carcerazioni riguardanti la coltivazione domestica di una o di poche piante di marijuana;
in particolare, secondo l'ITALPRESS del 12 ottobre 2009, nel quartiere Zen 2 di Palermo, è stato arrestato il ventisettenne Riccardo Aronica per aver coltivato una pianta di marijuana sul balcone di casa. La pianta, scrive l'agenzia di stampa, «particolarmente curata ed alta già una novantina di centimetri, è stata sequestrata insieme a circa 20 grammi di marijuana già essiccata che il giovane custodiva all'interno di un barattolo tenuto nella dispensa della cucina. L'arrestato dovrà rispondere di coltivazione e detenzione ai fini dispaccio di stupefacenti»;
secondo il Quotidiano Catania oggi, il 24 ottobre, i Carabinieri di Camporotondo Etneo, hanno denunciato in stato di libertà, B. M, G., un 35enne incensurato del luogo, per produzione e detenzione di sostanza stupefacente. I Militari, già da tempo stavano prestando particolare attenzione ai suoi movimenti, decidendo, ieri mattina, di effettuare una perquisizione domiciliare che ha permesso di rinvenire nel giardino pertinente dell'abitazione, una pianta di cannabis indica dell'altezza di oltre un metro, nonché circa 12 grammi di stupefacente della stessa natura già essiccato e pronto per essere confezionato. La droga è stata posta Sotto sequestro;
appare censurabile il fatto che sovente i mezzi di informazione pubblichino nomi e cognomi degli autori di condotte come nel caso del ventisettenne del quartiere Zen 2 di Palermo -:
se con riferimento alla vicende esposte in premessa non ritengano di dover assumere ulteriori informazioni dirette ad accertare quale fosse la quantità di principio attivo ricavabile dalla pianta sequestrata al signor Riccardo Aronica nel quartiere Zen 2 di Palermo e da quella requisita al signor B. M. G. di Camporotondo Etneo;
se, più in generale e come richiesto in altre interrogazioni, il Ministro della giustizia non ritenga di dover presentare una dettagliata relazione riferita agli arresti e alle denunce per coltivazione illegale di sostanze stupefacenti (hashish e marijuana) avvenuti in seguito alla entrata in vigore della legge n. 49 del 2006 e riportante: 1) i casi in cui la quantità di principio attivo contenuta nelle piante di cannabis sequestrate era superiore a 500 milligrammi ed inferiori ad 1 grammo; 2) i casi in cui la detenzione delle piante di cannabis derivava da attività di coltivazione finalizzata allo spaccio; 3) i casi in cui l'attività di coltivazione della sostanza stupefacente era destinata al consumo meramente personale del coltivatore; 4) se ed in che misura, dopo l'entrata in vigore della legge n. 49 del 2006, gli arresti e le denunce per coltivazione non autorizzata di Sostanze stupefacenti siano aumentati rispetto al passato;
se non reputino di intervenire, attraverso iniziative normative, affinché il consumo personale di marijuana sebbene ricavata da attività di coltivazione cosiddetta «domestica» - venga depenalizzato e punito solo in via amministrativa.
(4-04737)

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BERNARDINI, BELTRANDI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto si legge in un articolo della giornalista Daniela De Crescenzo, pubblicato sul quotidiano Il Mattino del 25 ottobre 2009, la società romana Jacorossi, attualmente coinvolta in un'inchiesta della procura di Napoli per presunte irregolarità nell'affidamento di lavori di bonifica del territorio, avrebbe dovuto prelevare 350 mila tonnellate di rifiuti tossici e pericolosi fino alla fine del mese di settembre 2009, ma ne avrebbe portati via solo 40 mila, cosicché a quasi due anni dalla firma del contestato (dalla magistratura) contratto tra l'azienda, i commissariati alle bonifiche e ai rifiuti e la regione, la Campania continua a essere il ricettacolo di veleni di ogni tipo;
come spiega il report di giugno 2009 del commissario delegato per le bonifiche e la tutela delle acque nella regione Campania, Massimo Menegozzo, (anche lui indagato nell'ambito dell'inchiesta Arpac), la regione non si è ancora dotata di una rete di smaltimento dei rifiuti speciali; perciò si continua ad appaltare la rimozione a ditte esterne con risultati definiti catastrofici;
il contratto con la ditta Jacorossi, oltre al prelievo di 350 mila tonnellate di rifiuti speciali e pericolosi, prevede la rinaturalizzazione della cava Cavone di Capua che è tuttora in corso, e una serie di bonifiche che stentano a decollare. Il citato report di giugno 2009 dà conto dello stato degli interventi. Si tratta di un elenco a dir poco allarmante: sul sito Masseria Annunziata di Villa Literno, si studia e si progetta almeno dal 2004, quando la conferenza di servizi ha chiesto integrazioni al piano della caratterizzazione. Cinque anni dopo, nel giugno del 2009, la Jacorossi ha comunicato che è stato predisposto il progetto del cantiere e che l'Agenzia regionale per la protezione ambientale della Campania (Arpac) ha chiesto approfondimenti su alcuni punti. Quindi nulla di fatto;
a Villa Literno è prevista pure la bonifica dei «Cuponi di Sagliano». Anche in questo caso il sopra citato report ricostruisce la vicenda a partire dal 2004, quando si chiedono integrazioni al piano di caratterizzazione. Quattro anni dopo, nell'agosto del 2008, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non condivide il progetto della ditta Jacorossi; il si arriva solo sei mesi dopo. Da allora il commissariato sollecita tre volte la trasmissione del progetto esecutivo e a giugno del 2009 l'azienda fa sapere di aver ricevuto richieste di approfondimento dall'Arpac. Anche in questo caso la bonifica è ancora sulla carta;
nel giugno del 2008 il commissariato dispone che la Jacorossi metta in sicurezza il Sito di Calabricito di Acerra e lo bonifichi, ma non tutti i rifiuti hanno potuto essere asportati: una buona parte resta ancora sul terreno anche se coperta da teli, mentre il resto è stato portato in un impianto di Melfi o in Germania;
anche sulla vicenda dell'ex deposito di fitofarmaci Agrimonda di Mariglianella è nato un contenzioso: la ditta Jacorossi aveva proposto di intervenire con il metodo del bioventing, e nel dicembre del 2008 il commissariato aveva dato il suo sì con riserva, segnalando alcune prescrizioni, ma un mese dopo si è visto ripresentare lo stesso progetto. Nel maggio del 2009 l'impresa ha poi avviato il contratto di subappalto;
alla ditta Jacorossi è stata affidata anche la bonifica della ex discarica della Sogeri di Castelvolturno, quella che secondo alcuni collaboratori di giustizia già affiliati a clan della camorra conterrebbe i resti del relitto della nave «Moby Prince». Il piano di caratterizzazione era già stato fatto dal consorzio Ce4 (disciolto per mafia e finito nel mirino della magistratura). Nel gennaio del 2009 il commissariato ha trasferito al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il progetto per la messa in sicurezza. Poi più niente;

ancora solo sulla carta restano anche i progetti di bonifica dei siti «Curcio sperduto» di Acerra, di Villa Literno, e «Foro Boario» di Maddaloni. Per quest'ultimo, però, la ditta Jacorossi ha presentato uno schema di subappalto -:
di quali elementi disponga il Governo in ordine a quanto esposto in premessa e quali iniziative siano state adottate, promosse o sollecitate, ovvero si intendano adottare, promuovere o sollecitare al riguardo, al fine di tutelare l'ambiente e la salute delle popolazioni residenti.
(4-04741)

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AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta scritta:

CASSINELLI. - Al Ministro degli affari esteri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
giovedì 22 ottobre 2009, due navi mercantili italiane della compagnia Messina, la «Jolly Rosso» e la «Jolly Smeraldo», hanno subito attacchi di pirateria rispettivamente al largo delle coste del Kenya e nel mar arabico;
fortunatamente nessun membro dei due equipaggi è rimasto ferito e le imbarcazioni hanno subito solo danni lievi, grazie alle manovre diversive attuate dal comandante della «Jolly Rosso» ed ai due elicotteri militari intervenuti in aiuto dopo le segnalazioni inviate dalla «Jolly Smeraldo»;
ormai da tempo si verificano con frequenza tentativi di abbordaggio da parte di commandos armati ai danni delle navi mercantili battenti bandiera italiana, i quali mettono così a repentaglio l'incolumità degli equipaggi, causano danni alle imbarcazioni e disincentivano la percorrenza di talune determinate rotte considerate «a rischio», pregiudicando di fatto gli scambi commerciali -:
quali iniziative il Governo intenda assumere, anche coinvolgendo Stati esteri ed istituzioni internazionali, affinché sia attuato con maggior criterio un controllo dei mari più pericolosi, non concentrando le risorse in un'unica area limitata ma ampliando lo specchio d'azione, valutando l'opportunità di autorizzare gli armatori ad imbarcare personale armato ed eventualmente predisponendo, nelle aree più critiche, una «scorta» militare alle imbarcazioni, sì da proteggere l'incolumità dei marinai, tutelare i beni degli armatori e consentire la massima serenità nell'esercizio del commercio internazionale.
(4-04723)

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AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BERNARDINI, BELTRANDI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
il quotidiano Il Mattino, nella sua edizione del 25 ottobre 2009 ha pubblicato un allarmante articolo del giornalista Francesco Gravetti, significativamente intitolato «Discarica nel Parco Vesuvio, poche notizie, cresce l'allarme»;
nel citato articolo, tra l'altro si riferisce che il viceprefetto Luigi Armogida, commissario cui è affidata la gestione del comune di Terzigno ha inviato una nota al sottosegretario con delega all'emergenza rifiuti Guido Bertolaso e al prefetto di Napoli Alessandro Pansa chiedendo «una campagna informativa sull'attività della discarica che sorge nel cuore del Parco Vesuvio, perché i cittadini sono sempre più allarmati da notizie spesso frammentarie e quasi mai ufficiali»;
il viceprefetto chiede la pubblicazione di tutti i dati relativi all'invaso: il numero di camion che vanno a sversare ogni

giorno, la quantità di immondizia depositata e tutte le informazioni utili a rassicurare la popolazione;
il viceprefetto Armogida sostiene di non aver alcun motivo «per dubitare che la gestione della discarica sia rispettosa delle leggi e della salute della gente, ma ritengo che una opportuna campagna di informazione non possa che aiutare il lavoro dello staff di Bertolaso e garantire ai cittadini il diritto di sapere cosa avviene sui loro territorio. I dati potrebbero essere pubblicati su internet, proprio per una questione di trasparenza. Del resto, mi risulta che con altre discariche della Campania questa procedura avviene già»; dello stesso tenore è anche una lettera del presidente del consiglio comunale di Boscoreale Carmine Sodano, che chiede a Bertolaso «chiarimenti sull'attuale stato del servizio di trasporto e deposito presso la discarica ed in particolare il numero di camion e l'elenco dei Comuni autorizzati allo sversamento, la quantità e la tipologia dei rifiuti, le modalità di controllo»;
la discarica di Terzigno è in funzione dal 10 giugno 2009, si tratta di due siti attigui, uno in località Pozzelle (l'unico aperto, finora) e l'altra nella ex San: due invasi nel cuore dell'area protetta, lontani dal centro abitato di Terzigno e paradossalmente più vicini a Boscoreale e Boscotrecase;
proprio da Boscoreale arriva la segnalazione più preoccupante: il consigliere comunale Francesco Paolo Oreste denuncia che i vigneti che stanno intorno allo sversatoio sono coperti da una coltre di cenere. Si tratterebbe delle scorie provenienti dal termovalorizzatore di Acerra, il cui utilizzo è stato autorizzato dai Governo alle società che hanno in gestione il sito, l'Ecodeco e l'Asia;
raccogliendo le lamentele della popolazione residente nell'area interessata, il consigliere comunale Francesco Paolo Oreste ha scritto al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ricordando che la discarica sorge in una zona sottoposta a vincoli di natura paesaggistica e contigua a coltivazioni di vigneti per la produzione di vino doc, a poche centinaia di metri da strutture turistiche ed al centro di un'area a vasta densità demografica -:
se quanto sopra esposto corrisponda a verità e, in caso affermativo, che risposta il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare abbia dato o intenda dare alle legittime o comprensibili preoccupazioni di cui si è reso interprete il consigliere comunale Francesco Paolo Oreste;
quali urgenti iniziative si intendano promuovere, sollecitare e adottare per la tutela della salute delle popolazioni residenti nell'area interessata dalla discarica nel Parco Vesuvio.
(4-04733)

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BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro per i beni e le attività culturali, per sapere - premesso che:
la Soprintendenza archivistica per la Toscana ha notificato al comune di Arezzo, al Presidente della Provincia di Arezzo, al Presidente della Regione Toscana, che in data 23 settembre 2009 i signori Giovanni Festari, proprietario dell'Archivio Vasari, e Enrico De Martino, procuratore speciale del primo, hanno provveduto a perfezionare la denuncia di trasferimento a titolo oneroso, pari a 150 milioni di euro, della proprietà dell'Archivio Vasari stesso;
con medesima nota si comunica che il comune ha tempo 90 giorni, a partire dal 23 settembre 2009, per formulare al Ministero la proposta di prelazione corredata di delibera dell'ente con la voce inserita nel bilancio che garantisca la copertura finanziaria della spesa;

in risposta alle dichiarazioni del indaco di Arezzo onorevole Giuseppe Fanfani, è intervenuta una nota del Ministero, come riportato da un quotidiano locale da cui si apprende che Ministero nei mesi scorsi è venuto a conoscenza di un presunto contratto di compravendita, che tale operazione ha suscitato notevoli perplessità e che del presunto contratto di compravendita è stata informata l'Autorità giudiziaria;
la dirigente della Soprintendenza archivistica della Toscana, come riportato da un quotidiano locale ha riferito che già a luglio era a conoscenza della questione, avendo il 9 luglio 2009 dichiarato non accettabile la documentazione presentata dal proprietario dell'Archivio signor Festari, in quanto mancante dei documenti e delle informazioni;
la lettera della Soprintendenza archivistica per la Toscana inviata alle istituzioni interessate alla vendita dell'Archivio Vasariano, fa esplicitamente riferimento a precisi dati informativi relativi al giorno 23 settembre 2009, ed è stata inviata per posta normale agli enti interessati solo in data 13 ottobre, quindi ben 20 giorni dopo, sottovalutando quindi la gravità della situazione;
in questi mesi nessuna informazione di tale questione è stata data dal Ministero per i beni e le attività culturali alle istituzioni interessate, nonostante la riprovata conoscenza da parte del Ministero stesso del tentativo di vendita dell'Archivio Vasari;
l'acquirente sembra essere una non meglio precisata società russa, la stessa Soprintendente archivistica della Toscana ha affermato ad un quotidiano locale che «saranno fatte tutte le indagini necessarie per verificare la correttezza dell'operazione»;
l'Archivio Vasari è dichiarato di interesse storico particolarmente importante con provvedimento della Soprintendenza Archivistica per la Toscana n. 610 del 23 marzo 1991 e n. 680 del 19 gennaio 1996, nonché oggetto di «vincolo pertinenziale jure pubblico disposto con decreto dell'allora Ministero dei beni culturali ed ambientali, competente pro tempore dell'8 settembre 1994 e trascritto presso la Conservatoria dei registri immobiliari di Arezzo in data 18 ottobre 1994, in ragione del quale l'Archivio Vasari è vincolato alla Casa Vasari in Arezzo;
l'Archivio Vasari è composto da 31 filze, ognuna con un piccolo scrigno con lettere, conti di casa Vasari, documenti legali, ricordi di famiglia. Semplici appunti, scritti a mano, a penna ed a matita, in mezzo a documenti di inestimabile valore: decine e decine di lettere inviate a Vasari da Cosimo I scritte tra il 1542 ed il 1547, le lettere inviate da «diversi huomini dotti a messer Giorgio Vasari» dal 1546 al 1572, tra cui il traduttore dell'Eneide di Virgilio e di Aristotele Annibal Caro, il carteggio tra Michelangelo ed il Vasari dal 1550 al 1557, le lettere di Pio V dal 1566 al 1573;
l'Archivio Vasari è parte integrante del patrimonio artistico-culturale italiano, che va tutelato in nome dell'identità nazionale e la vendita a privati stranieri potrebbe comportare una perdita gravissima per il nostro patrimonio;
nel 2011 decorreranno 500 anni dalla nascita di Vasari e l'anno vasariano sarà celebrato a livello internazionale; l'Italia ed Arezzo saranno al centro dei festeggiamenti e degli eventi collegati, ed è evidente che la vendita dell'Archivio a soggetti stranieri costituirebbe, ad avviso degli interpellanti, un elemento contraddittorio e discreditante della capacità del nostro paese di salvaguardare, tutelare e valorizzare il nostro patrimonio artistico, anche ai fini dell'indispensabile rilancio dello sviluppo economico e turistico dell'Italia;
un comune delle dimensioni di Arezzo non ha nessuna possibilità di esercitare il diritto di prelazione per il valore di 150 milioni di euro;
la comunità aretina tutta s'interroga sulle reali intenzioni di acquirenti stranieri,

disposti a spendere una cifra così ingente, e teme che possa essere aggirato il vigente vincolo pertinenziale e quindi la permanenza in Italia di tale tesoro culturale;
la richiesta del Comune di Arezzo è quella di scongiurare la vendita a stranieri dell'Archivio Vasari, chiedendo al Ministero per i beni e le attività culturali di esercitare il proprio diritto di prelazione, garantendo la valorizzazione e la piena fruizione pubblica di un pezzo pregiato del nostro Rinascimento, che con i dovuti investimenti sulla sua sicurezza, potrebbe costituire un grande incentivo nell'ambito del turismo culturale;
la città di Arezzo non è disponibile a tollerare un evento che soffrirebbe come un affronto alla propria cultura ed alla propria storia sino al punto, come affermato dal sindaco Fanfani di sospendere le celebrazioni per l'anno vasariano, chiedendo nel contempo alla procura della Repubblica, nel caso la vendita andasse avanti, di verificare se siano state rispettate tutte le procedure di legge, il modo in cui sarebbero pagati i 150 milioni e da dove essi provengano -:
dato che il Ministero sapeva da mesi della trattativa in corso, per quali motivi il Ministro interpellato non abbia ritenuto di intervenire e di informare le istituzioni locali interessate, gestendo invece tale vicenda in termini formali e burocratici come se si trattasse della vendita di un qualsiasi bene sottoposto a tutela, con un atteggiamento di totale inadeguatezza;
quali iniziative intenda intraprendere al fine di evitare la vendita a stranieri e, comunque, come intenda assicurare il pieno rispetto del vincolo pertinenziale esistente;
se il Ministero per i beni e le attività culturali intenda avvalersi del diritto di prelazione, così assicurando, con la pubblicità della proprietà, la valorizzazione e la più ampia fruibilità dell'Archivio Vasari.
(2-00520)
«Soro, Mattesini, Nannicini, Ghizzoni, Bindi, Ceccuzzi, Cenni, Cuperlo, De Pasquale, Fluvi, Fontanelli, Froner, Gatti, Giacomelli, Lulli, Mariani, Realacci, Rigoni, Sani, Scarpetti, Velo, Ventura, Argentin, Capano, Pompili, Rossomando, Benamati, Calearo Ciman, Colaninno, Dal Moro, Gasbarra, Gentiloni Silveri, Giachetti, La Forgia, Lanzillotta, Laratta, Levi, Marantelli, Marchignoli, Cesare Marini, Mogherini Rebesani, Narducci, Pistelli, Pizzetti, Rosato, Rugghia, Tocci».

Interrogazioni a risposta scritta:

CARLUCCI. - Al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
nel 1800 le strade sia urbane che interurbane nella zona di Bisceglie erano completamente disastrate, quelle di campagna poi mancavano di brecciame ed in inverno con la pioggia si procedeva spesso su un fiume di fango che si sostituiva alla carreggiata della strada. Sulla consolare (strada statale 16) si decise allora di costruire un ponte per superare il dislivello della Lama Paterno. Il risultato fu un ponte in pietra naturale, costato una fortuna per quel tempo circa 15 mila ducati, così bello da suscitare l'invidia dell'intera provincia;
da allora, il Ponte di Lama, costruito in epoca napoleonica, ad esclusione della strada statale 16, costituisce l'unico collegamento tra la città di Bisceglie e la città di Trani;
a seguito di un incidente, nel quale un camion è precipitato dal ponte, sono stati realizzati, ai lati della carreggiata, dei guard-rails che ne hanno ulteriormente ristretto l'ampiezza, impedendo il passaggio contemporaneo di due automezzi, aumentando enormemente i pericoli di incidenti

in prossimità del ponte e di conseguenza i rischi di danneggiamento del ponte stesso -:
se non sia necessario intervenire immediatamente per costruire un altro ponte che permetta collegamenti sicuri e rapidi tra le città di Bisceglie e Trani;
se non sia necessario prevedere un intervento di manutenzione straordinaria in favore del ponte di Lama in considerazione dell'importanza storica del manufatto, importantissimo snodo di collegamento tra le città di Trani e Bisceglie.
(4-04722)

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BERNARDINI, BELTRANDI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro per le pari opportunità. - Per sapere - premesso che:
quasi tutte le sale cinematografiche del nostro Paese non sono accessibili a persone con problemi di udito e di vista, in quanto non sono attrezzate per la sottotitolazione autonoma dei film e degli apparecchi per l'audiodescrizione;
le poche sale attrezzate incontrano un'enorme difficoltà a trovare pellicole sottotitolate o predisposte per la sottotitolazione e l'audiodescrizione;
anche le opere audiovisive destinate al mercato televisivo sono spesso prive di sottotitolazione, nonostante le nuove tecnologie consentirebbero facilmente di mettere a disposizione il servizio di sottotitolazione attraverso gli attuali terminali in commercio;
pertanto centinaia di migliaia di italiani sordi, sordastri, ciechi ed ipovedenti non possono fruire delle opere cinematografiche, vedendosi così limitati nella loro vita di relazione e inutilmente discriminati rispetto alle persone che si trovano in condizioni diverse dalle loro;
qualora fosse prevista in fase di produzione, la sottotitolazione e l'audiodescrizione avrebbero un costo assai irrisorio, specie se correlato al costo di produzione di un film;
il Ministero per i beni e le attività culturali nonché altre istituzioni pubbliche erogano annualmente ingenti finanziamenti di denaro per la produzione di opere audiovisive;
il numero di sale in Italia è tale per cui ben potrebbe essere organizzato un ampio circuito di cinema accessibili per persone con problemi di udito o di vista, ampliando peraltro considerevolmente il bacino di clienti del mercato cinematografico -:
quante siano in Italia le sale cinematografiche accessibili a persone con limitazioni all'udito e alla vista (dotate quindi di plance per la sottotitolazione e apparecchi per l'audiodescrizione), nonché quante sale siano accessibili per i disabili motori;
quante siano le opere audiovisive italiane (film e fiction, anche televisive) che nel 2008 hanno ricevuto finanziamenti pubblici e quante di esse siano state predisposte per la sottotitolazione e l'audiodescrizione;
se il Ministro intenda assumere iniziative affinché l'erogazione di finanziamenti pubblici in qualsiasi modo distribuiti per la realizzazione di opere audiovisive (sia cinematografiche che televisive) comporti l'obbligo per il produttore di realizzare anche la sottotitolazione e l'audiodescrizione delle stesse;
se il Ministro intenda confrontarsi con l'Anica affinché quest'ultima si adoperi per rendere accessibili a sordi e ciechi le opere cinematografiche, nonché con la Rai per far si che le fiction, i film ed i documentari da essa prodotti siano pienamente accessibili.
(4-04731)

DIFESA

Interrogazioni a risposta scritta:

PALADINI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
il tenente colonnello gp Gianni Luca Marenco, effettivo presso il reparto accademico della scuola di applicazione ed istituto di affari militari dell'Esercito di Torino ha in più occasioni esternato una situazione di particolare disagio quale conseguenza di circostanze occorse in servizio che determinano una non adeguata considerazione della professionalità e del ruolo rivestito dal medesimo ufficiale che si sente destinatario di atteggiamenti che gli impediscono di affrontare con serenità gli impegni istituzionali;
il tenente colonnello Marenco è stato ammesso al corso C-IED AWARENESS, da frequentare presso la scuola del Genio, che da una lettura di struttura ed obiettivi, è oggettivamente indirizzato alla formazione di ufficiali inferiori in grado, per cui la partecipazione di un tenente colonnello non risulta essere assolutamente adeguata in virtù del livello professionale e di esperienza già acquisito, pienamente documentabile anche in virtù di pregresse esperienze del Marenco nell'insegnamento militare, avendo lo stesso financo frequentato il corso antisabotaggio;
la partecipazione del tenente colonnello Marenco al corso C-IED determinerebbe un evidente demansionamento rispetto al grado acquisito e a nulla è valso il tentativo di esporre le dette argomentazioni al comandante generale il quale ha opposto un rifiuto alla richiesta di un incontro chiarificatore;
ancor più penalizzante risulta il recente intendimento dello Stato maggiore dell'Esercito di un trasferimento del tenente colonnello Marenco a Roma presso il 60 reggimento Genio pionieri stante la comprovata situazione familiare caratterizzata dalla presenza di una nonna ultranovantenne con invalidità totale e con riconoscimento dello stato di handicap grave (legge n. 104, articolo 3, comma 3) e da genitori ultrasessantenni con notevoli problemi di salute, che di fatto impediscono all'ufficiale in questione di spostarsi dall'attuale domicilio di Saliceto (Cuneo) e di assumere con la dovuta serenità il nuovo incarico -:
se il Ministro interrogato non ritenga che le descritte vicende si configurino come violazioni dei diritti del tenente colonnello Marenco con conseguenti gravi pregiudizi alla vita di servizio del pubblico dipendente;
se per tali vicende non ritenga opportuno avviare iniziative al fine di verificare eventuali responsabilità ed intervenire di conseguenza mantenendo la sede lavorativa del Marenco in Torino.
(4-04728)

MAURIZIO TURCO, FARINA COSCIONI, BERNARDINI, BELTRANDI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
il sistema sanitario militare presenta criticità in termini di adeguatezza, efficienza e sicurezza delle prestazioni, così come emerso anche dalle recenti vicende sugli organi di stampa con particolare riguardo alla personale impiegato fuori area;
sono sempre più frequenti le denunce, da parte di pazienti o familiari e per i disagi patiti nel rapporto con le strutture sanitarie, con particolare riferimento alla durata di trattazione delle procedure nel settore medico legale;
vanno richiamati:
a) regio decreto 17 novembre 1932 «Regolamento sul servizio sanitario militare territoriale», ed una prassi ormai consolidata ivi compresa la determinazione della Direzione generale per il personale militare del 27 febbraio 2001, consente «per disposizione speciale» al personale medico, in via esclusiva e «per sforzo interpretativo» l'esercizio della libera professione con alcun controllo;

b) il decreto del Presidente della Repubblica n. 461 del 2001, Regolamento recante semplificazione dei procedimenti per il riconoscimento della dipendenza delle infermità da causa di servizio, per la concessione della pensione privilegiata ordinaria e dell'equo indennizzo, nonché per il funzionamento e la composizione del comitato;
c) la legge 10 aprile 1954 n. 113, sullo stato giuridico degli ufficiali e successive modificazioni e integrazioni;
con provvedimenti e disposizioni interne al Ministero della difesa risultano costituite nuove articolazioni ordinative dirigenziali, con conseguenti incrementi organici;
l'organico del personale del ruolo ufficiali dei Corpi sanitari risulta ancorato al decreto legislativo n. 490 del 1997, quando era ancora vigente il servizio di leva e quindi i carichi di lavoro erano notevolmente superiori -:
quali indagini, accertamenti e ricerche abbia fatto o intenda fare il Ministro interrogato per conoscere esattamente l'effettiva consistenza numerica del personale medico, il tipo di prestazioni e la durata oraria dell'impegno settimanale medico militare, che risulta svolgere attività extra-professionale in ambito sanitario, certificativo, clinico e/o medico-legali presso strutture pubbliche e private esterne alla Difesa, in aggiunta all'orario delle attività di servizio settimanali, allo scopo di salvaguardare la salute della collettività non solo militare, quali siano i regimi autorizzativi in vigore, e se non ravveda l'eventuale presenza di conflitti/incompatibilità;
quali indagini abbia fatto per accertare la presenza in più gradi di giudizio medico legale, anche attraverso l'emanazione di certificazioni e/o incarichi di direzione sovraordinata, del personale medico militare, con presunto conflitto di interessi diretto/indiretto e abuso, in particolare la presenza contemporanea in Commissioni di verifica provinciale (svolte in regime extra-professionale) e nel Comitato di verifica del Ministero dell'economia e delle finanze e in collegi/commissioni mediche di 2a istanza/appello/centrali e nel precitato CVCS, e se il Ministro non ritenga opportuno stabilire dei limiti e/o un regime di incompatibilità tra diverse funzioni;
nella circostanza, se il Ministro interrogato non ritenga opportuno ricorrere al collocamento fuori ruolo o in posizione di comando degli attuali componenti medici militari componenti il Comitato di verifica, previsto dall'articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica n. 461 del 2001 allo scopo di ridurre i tempi di trattazione delle dipendenze da causa di servizio che risultano decisamente elevati rispetto ai tempi di norma;
quali siano le motivazioni per cui le certificazioni per il rinnovo delle patenti di guida a firma dei medici militari presso studi medici e/o gabinetti presso autoscuole in regime di attività extraprofessionale e dietro retribuzione, vengano spediti con oneri a carico e a cura di personale dipendente dall'amministrazione difesa e se esista una banca dati centrale che contenga esattamente il numero di certificazioni effettuate per singolo medico;
quali accertamenti e ricerche abbia fatto o se intenda fare il Ministero della difesa per avere contezza del personale sanitario non specialista, se svolga incarichi ad elevata connotazione specialistica all'interno del comparto sanitario militare, se siano state stabilite job description degli incarichi con particolare riferimento al personale impiegato in teatro operativo e se il personale di professionalità non medica (psicologi, farmacisti, veterinari) occupi posizioni organiche riferibili a personale medico;
quali siano le motivazioni che permettono di tenere in operatività, vista l'utenza di ambito, con notevoli costi economici in termini di risorse umane e strumentali, nell'area metropolitana romana, laboratori di analisi chimico-cliniche e di gabinetti diagnostici di radiologia nelle strutture militari di enti sanitari

interforze e dell'Esercito, della Marina, dell'Aeronautica e dell'Arma dei Carabinieri, ricorrendo tra l'altro a personale convenzionato, invece che ridurne il numero, razionalizzando il funzionamento e consentendo le fruizioni in orario prolungato;
quali siano le motivazioni per cui al Policlinico militare di Roma i tempi di attesa per l'effettuazione di alcune prestazioni sanitarie e/o esami diagnostici, tra cui l'ecografia epatica, ammontano ad oltre quattro mesi e quali provvedimenti siano stati eventualmente posti in atto per ridurre i tempi di attesa e venire incontro alle esigenze del personale militare;
quali siano le motivazioni che hanno condotto alla costituzione di ulteriori tre strutture dirigenziali denominate macro-aree al Policlinico militare di Roma, con conseguente incremento organico di personale di grado generalizio, in aggiunta alle già esistenti strutture dipartimentali dirigenziali, e se siano state effettuati studi analitici dettagliati relativamente ai carichi di lavoro per stabilire l'adeguata necessità della presenza di personale dirigenziale, medico, infermieristico, tecnico e di supporto, anche in relazione all'appropriatezza dei ricoveri, all'indice di occupazione ed al numero di posti letto;
quali siano le motivazioni della presenza del personale di truppa aiutante di sanità in numero così considerevole all'interno delle strutture sanitarie militari, quale sia il tipo di formazione erogata, quali siano le loro reali attività svolte e se queste siano compatibili con gli attuali ordinamenti sanitari;
quali siano i criteri per la scelta del personale sanitario militare che opera in regime di servizio presso Commissioni mediche in Aziende sanitarie e Ministeri ed i conseguenti limiti di mandato;
quali indagini siano state effettuate per stabilire se turni continuativi pari a 24 ore effettuati da personale militare sanitario in patria e all'estero, consentano di svolgere con sicurezza le delicatissime attività in carico devolute e se non ritenga opportuno allo scopo di salvaguardare i professionisti della salute e il personale bisognevole di cure, di limitare tale durata, attraverso turni di servizio di durata inferiore, in linea con le disposizioni normative italiane e comunitarie.
(4-04735)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
sul Corriere della Sera edizione online del 20 ottobre 2009 è apparso un articolo intitolato: «Gli danno un sedativo in caserma, muore»; sottotitolo: «Giallo sul decesso di un romeno di 24 anni: i medici del 118 gli avevano dato un calmante dopo l'arresto»;
l'articolo in questione narra l'incredibile vicenda occorsa ad un 24enne di nazionalità romena, di cui viene omesso il nome, arrestato dai carabinieri di Montecatini Terme (Pistoia) perché accusato di aver aggredito e rapinato l'ex fidanzata;
sulla base della ricostruzione dei fatti fornita dalla stampa, pare che lunedì 19 ottobre il giovane romeno abbia malmenato e rapinato la sua ex fidanzata in un locale del centro per poi darsi alla fuga in seguito all'intervento di due albanesi, giunti sul posto per difendere la ragazza;
i carabinieri, preavvertiti di quanto appena successo, sono subito riusciti a rintracciare il giovane che nel frattempo si era rifugiato in un altro bar del centro;
il 24enne, secondo i militari in evidente stato di ubriachezza, è stato quindi tratto in arresto e accompagnato presso la locale caserma, dopodiché, sempre secondo quanto riferito dagli operanti, lo stesso avrebbe cominciato a dare in escandescenze sbattendo più volte la testa contro il muro;
a causa delle predette intemperanze, alla persona arrestata è stato somministrato un calmante dal personale del 118 intervenuto sul posto; successivamente i

militari hanno cercato di svegliare l'indagato, che nel frattempo si era addormentato, ma il romeno era già caduto in un profondo stato di incoscienza al punto che a nulla sono valsi i numerosi tentativi di rianimarlo, cosicché, trasportato all'ospedale di Pistoia, il giovane è morto durante il tragitto;
la morte del ragazzo romeno, per i modi e le circostanze in cui è avvenuta, ha sollevato più di qualche interrogativo al quale è bene che le autorità militari diano esauriente risposta -:
di quali elementi il Ministro interrogato disponga in ordini alla vicenda descritta in premessa e quali iniziative intenda assumere per quanto di Competenza, per far piena luce nella vicenda avvenuta all'interno della caserma dei Carabinieri di Montecatini Terme.
(4-04742)

TESTO AGGIORNATO AL 29 OTTOBRE 2009

...

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

V Commissione:

BITONCI e COMAROLI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 56, comma 2, della legge 23 luglio 2009, n. 99, autorizza la spesa di 70 milioni di euro per ciascuno degli anni 2009 e 2010 per la corresponsione di contributi in favore di imprese operanti nel settore dell'editoria;
alla copertura dei suddetti oneri si provvede mediante le maggiori entrate derivanti dal comma 3 del suddetto articolo, che dispongono l'aumento dell'addizionale sull'aliquota dell'imposta sul reddito delle società di cui all'articolo 75 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, nonché mediante le risorse derivanti dalle disposizioni in materia di agevolazioni postali per la spedizione di prodotti editoriali di cui al comma 4 del suddetto articolo, che stabiliscono che il costo unitario delle spedizioni, al quale si rapporta il rimborso in favore della società Poste italiane S.p.A., sia pari alla tariffa più conveniente praticata alla propria clientela dalla suddetta società;
il disegno di legge finanziaria per l'anno 2010 (Atto Senato n. 1790) prevede, nella tabella C, relativamente all'esercizio finanziario 2010, l'esplicita indicazione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 56, comma 2, della legge n. 99 del 2009 e con uno stanziamento pari a 70 milioni di euro -:
se si sia già provveduto, con riferimento all'esercizio finanziario 2009, a dare attuazione all'articolo 56, comma 2, della legge n. 99 del 2009 mediante l'iscrizione in bilancio delle risorse stanziate per tale anno, anche in considerazione dell'imminente conclusione dell'esercizio finanziario e della necessità di impegnare celermente le risorse al fine di evitare che esse possano costituire economie di bilancio.
(5-02014)

GALLETTI e NARO. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
il Consiglio dei ministri ha dichiarato lo stato di emergenza nel territorio della provincia di Messina a seguito di calamità naturale;
occorre procedere a mettere in sicurezza sia i territori già colpiti da eventi calamitosi sia quelli a rischio;
le somme già impegnate e quelle da impegnare e spendere per la messa in sicurezza dei territori già colpiti dagli eventi calamitosi dell'autunno 2007, dell'autunno 2008 e quelli ancora più gravi del 1o ottobre 2009 non potranno fare rispettare i vincoli imposti dal patto di stabilità interno;

già per gli eventi avvenuti in Abruzzo, con l'articolo 6, comma 1, lettera o), del decreto-legge 28 aprile 2009, n. 39, convertito con modificazioni dalla legge 24 giugno 2009, n. 77, è stata concessa l'esclusione dal patto di stabilità interno relativo agli anni 2009 e 2010 delle spese sostenute dalla regione, dalla provincia di L'Aquila e dai comuni interessati per fronteggiare gli eventi eccezionali -:
se non ritenga opportuno e necessario assumere le opportune iniziative per concedere la stessa esclusione alla provincia regionale di Messina e ai comuni interessati per tutte le spese sostenute per fronteggiare i suddetti eventi eccezionali.
(5-02015)

DUILIO, TEMPESTINI e MECACCI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
il 30 agosto scorso il Presidente del Consiglio dei ministri si è recato a Tripoli al fine di commemorare l'anniversario della firma del Trattato di amicizia partenariato e cooperazione tra la Repubblica italiana e la Grande Giamahiria araba libica popolare socialista, firmato a Bengasi il 30 agosto del 2008 e poi ratificato in Italia con la legge 6 febbraio 2009, n. 7;
sotto il profilo economico, l'accordo prevede un impegno finanziario di cinque miliardi di dollari da corrispondersi 20 anni, destinati a finanziare progetti infrastrutturali e opere pubbliche da realizzarsi in Libia, coperti con un'addizionale Ires sulle società attive nella ricerca e coltivazione di idrocarburi, quotate in borsa e con oltre 20 miliardi di capitalizzazione; tale misura finirebbe per riguardare in via sostanziale l'ENI, trattandosi della principale società a disporre dei requisiti indicati;
a tale somma va poi aggiunta quella necessaria a finanziare un apposito fondo presso il Ministero dell'economia e delle finanze, con un importo pari a 50 milioni l'anno, per il triennio 2009-2011, al fine di indennizzare i soggetti di beni, diritti e interessi che furono sottoposti a limitazioni a seguito delle espulsioni avvenute in Libia nel 1970;
già prima della firma dell'accordo, la Libia rappresentava per l'Eni il bacino più consistente per le sue attività di esplorazione ed estrazione di gas e olio nel mondo, con oltre 500 mila barili di petrolio l'anno, di cui quasi 300.000 di sua competenza, pari al 20 per cento della produzione totale di Eni nel mondo;
è la prima volta che la copertura finanziaria di un trattato internazionale viene reperita attraverso l'introduzione di una tassa specifica, il cui introito peraltro risultava reso incerto essendo la tassa commisurata ai futuri guadagni dell'Eni;
da notizie a mezzo stampa del 14 settembre 2009 pare che l'Eni abbia presentato un'istanza all'Ufficio delle Entrate contestando l'addizionale Ires introdotta con la legge 6 febbraio 2009, n. 7, di ratifica del Trattato di amicizia con la Libia, avendo il Consiglio di amministrazione dell'Eni valutato che il balzello conseguente alla nuova tassa corrisponderebbe a 230-250 milioni l'anno, per il prossimo triennio;
sempre da notizie a mezzo stampa sembrerebbe che alcuni studi di avvocati americani sarebbero già al lavoro per conto di azionisti dell'Eni che raggrupperebbero almeno il 2 per cento del capitale e che promuovendo un'azione legale potrebbero bloccare il tutto -:
se quanto riportato dalle notizie di stampa risultasse vero, il Trattato con la Libia, ratificato dal Parlamento italiano rischierebbe di trovarsi senza copertura finanziaria, con possibili ricadute sul corretto adempimento dello stesso e con rischi di esposizione dell'Italia a responsabilità internazionale, e si aprirebbe altresì una difficile partita all'interno del Ministero dell'economia e delle finanze che oltre ad essere principale azionista dell'Eni, esercita diretta influenza anche sull'agenzia delle entrate;

se quanto riportato corrisponda al vero e quale linea intenda adottare il Governo nella contrapposizione che si sta profilando tra Eni e Agenzia delle entrate, nonché quali iniziative urgenti si intendano adottare al fine di garantire che non vi siano ricadute possibili, anche solo di carattere temporaneo, sulla copertura finanziaria del trattato, così da assicurare il corretto adempimento dei termini del medesimo evitando che esporre l'Italia a eventuali contromisure conseguenti a inadempimento o parziale adempimento dello stesso.
(5-02016)

VI Commissione:

FLUVI, CARELLA, CAUSI, CECCUZZI, CESARIO, D'ANTONI, DE MICHELI, FOGLIARDI, GASBARRA, GRAZIANO, MARCHIGNOLI, PICCOLO, PIZZETTI, SPOSETTI e STRIZZOLO. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 30 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009 n. 2, recante «Controlli sui circoli privati», detta nuove disposizioni per gli enti di tipo associativo e per le organizzazioni di volontariato (ODV);
la norma subordina l'applicabilità del regime fiscale agevolato - consistente nella non imponibilità di corrispettivi, quote e contributi associativi - in favore degli enti di tipo associativo in possesso dei requisiti previsti dalla legge, alla trasmissione all'Agenzia delle entrate per via telematica da parte dei suddetti enti di dati e notizie rilevanti a fini fiscali mediante un apposito modello da approvare con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate;
sono escluse dall'applicazione delle suddette norme le associazioni pro-loco, optanti per il regime fiscale di cui alla legge n. 398 del 1991, e gli enti associativi dilettantistici iscritti all'apposito registro del CONI;
per quel che riguarda le organizzazioni di volontariato, di cui alla legge n. 266 del 1991, la norma detta criteri specifici, disponendo che la qualifica di diritto di organizzazioni non lucrative di utilità sociale (Onlus) con i conseguenti benefici fiscali di cui all'articolo 10, comma 8, del decreto legislativo n. 460 del 1997, si applica alle suddette organizzazioni che non svolgono altre attività commerciali diverse da quelle marginali individuate dal decreto interministeriale del 25 maggio 1995;
pertanto, sono tenuti alla presentazione del modello di comunicazione gli enti associativi di natura privata, con o senza personalità giuridica, che si avvalgono di una o più delle previsioni di decommercializzazione previste dagli articoli 148 del TUIR e 4, quarto comma, secondo periodo, e sesto comma del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972;
l'onere della trasmissione è assolto anche dalle società sportive dilettantistiche di cui all'articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289;
tutte le associazioni del terzo settore, nonché la stessa consulta delle associazioni di promozione sociale, hanno espresso cautela nei confronti della norma e, pur condividendo l'obiettivo di individuare e contrastare eventuali usi distorti della forma associazionistica, hanno chiesto al Governo un approfondimento delle misure introdotte al fine di pervenire a regole che, tenendo conto dell'effettiva realtà del fenomeno associazionistico nelle sue diverse articolazioni, non penalizzi la reale agibilità degli spazi di partecipazione e la stessa libertà di associazione;
l'impostazione seguita nella definizione della normativa non appare del tutto idonea ad una effettiva individuazione di eventuali abusi mentre i nuovi adempimenti burocratici prescritti finiscono per penalizzare soprattutto le esperienze associative più fragili e meno strutturate, che vivono esclusivamente dell'impegno volontario degli associati;

la protesta contro il provvedimento applicativo dell'articolo 30 del decreto-legge n. 185 del 2009 ha determinato l'attivazione di un tavolo di confronto tra l'Agenzia delle entrate il Forum del terzo settore e l'agenzia per le Onlus;
in tale sede l'Agenzia delle entrate ha ribadito il carattere conoscitivo e non sanzionatorio del provvedimento, e la volontà di gestirlo in modo comprensivo e non punitivo: a garanzia di questa impostazione si è deciso di istituire un tavolo tecnico paritetico con la presenza del terzo settore, per affrontare le tante problematiche emergenti in sede di compilazione del modello per la comunicazione dei dati rilevanti ai fini fiscali da parte degli enti associativi (Modello Eas) e dei successivi controlli;
si profila, quindi, la possibilità di una gestione concertata della vicenda che, pur facendo chiarezza nel mondo del no profit isolando gli abusivi, tuteli l'autentico associazionismo, il suo valore sociale, la reale agibilità degli spazi di partecipazione e la stessa libertà di associazione -:
quale sia l'intendimento del Governo nei confronti del mondo associativo italiano, al fine di sostenere le realtà che ha operato con competenza e merito nel campo del sociale.
(5-02013)

Interrogazione a risposta in Commissione:

FUGATTI, CAPARINI e MONTAGNOLI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
il pagamento del canone di abbonamento, istituito con regio decreto n. 246 del 1938 quando ancora non esisteva la televisione, è dovuto per la semplice detenzione di uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle diffusioni televisive, indipendentemente dai programmi ricevuti, a seguito di una sentenza della Corte costituzionale del 2002, che ha riconosciuto la sua natura sostanziale d'imposta, per cui la legittimità dell'imposizione è fondata sul presupposto della capacità contributiva e non sulla possibilità dell'utente di usufruire del servizio pubblico radiotelevisivo al cui finanziamento il canone è destinato;
si tratta di una imposta antiquata e iniqua, che non ha alcun motivo di esistere anche in virtù del maggiore pluralismo indotto dall'ingresso sul mercato di nuovi editori e dall'apporto delle nuove tecnologie (DTT, DDT, DVbh, TV satellitare, ADSL, WI-FI, cavo e analogico);
il canone è un'imposta ingiusta; territorialmente e socialmente, territorialmente, in quanto mentre nel Nord del Paese il mancato pagamento si attesta al 5 per cento, nel Meridione oscilla tra il 30 e il 50 per cento; è un'imposta socialmente iniqua, in quanto colpisce tutte le fasce di reddito, comprese le più deboli nonostante che il comma 132, articolo 1, della legge finanziaria per il 2008, come modificato dal decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248, preveda, a decorrere dall'anno 2008, per i soggetti di età pari o superiore a 75 anni e con un reddito proprio e del coniuge non superiore complessivamente a euro 516,46 per tredici mensilità, senza conviventi, l'abolizione del pagamento del canone RAI esclusivamente per l'apparecchio televisivo ubicato nel luogo di residenza;
vanno altresì considerate le recenti dichiarazioni del Presidente del Consiglio e del Viceministro dello sviluppo economico -:
se non ravvisi l'opportunità di assumere iniziative normative volte ad abolire il canone di abbonamento alla televisione, nonché la relativa tassa di concessione governativa, definendo una forma alternativa di finanziamento del servizio pubblico radiotelevisivo secondo criteri di equità, efficacia ed appropriatezza.
(5-02011)

Interrogazione a risposta scritta:

DI PIETRO. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
in questi giorni è all'attenzione del Consiglio dei ministri lo schema di un

decreto legislativo di attuazione della direttiva 2007/36/CE relativa all'esercizio di alcuni diritti degli azionisti sulle società quotate;
la direttiva 2007/36/CE dell'11 luglio 2007 introduce importanti novità in tema di funzionamento dell'assemblea. Oggetto della disciplina sono i diritti conferiti da azioni con diritto di voto emesse da società con sede legale in uno Stato membro e azioni ammesse alla negoziazione su di un mercato regolamentato europeo;
in un documento predisposto dal Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento del tesoro - Direzione IV - Ufficio VI, si afferma che lo schema di decreto legislativo contempla una profonda rivisitazione della disciplina della sollecitazione di deleghe di voto e, in considerazione del venir meno dei limiti quantitativi al conferimento di deleghe, l'abrogazione della raccolta di deleghe da parte delle associazioni di azionisti;
una eventuale normativa in tal senso recherebbe un gravissimo danno alla democrazia societaria soprattutto per la rappresentanza degli interessi delle minorities che nelle aziende come Telecom Italia, Eni, Enel, e altro rappresentano decine di migliaia di azionisti;
la proposta di abrogazione dell'articolo 141 e di parte dell'articolo 137 del testo unificato della finanza, decreto legislativo n. 58 del 1998) non tiene conto delle peculiarità proprie delle associazioni di azionisti. La sussistenza delle particolari relazioni intercorrenti tra i rappresentanti delle stesse e gli azionisti associati, infatti, è valido motivo per sostenere l'opportunità del mantenimento di una disciplina attenta a tali aspetti, quale è la raccolta deleghe attualmente vigente;
le associazioni di piccoli azionisti (ASATI - Associazione azionisti Telecom Italia, Aceapa - Associazione piccoli azionisti Acea S.p.A., Azione Banca Lombarda, Azione Unicredit, Azione Intesa San Paolo, Azione Alitalia, ANPA BNP Paribas, Associazione amici della Cassa di risparmio di Cento, Azione Banco popolare, ASSCAT - Associazione soci Cattolica assicurazioni, Azione Friuladria, CONAPA - Coordinamento nazionale delle associazioni di piccoli azionisti) hanno assunto una netta posizione di contrarietà in merito alla suddetta modifica proprio perché questa comporterebbe l'azzeramento dell'unico strumento di legge finora disponibile per la rappresentanza degli azionisti dipendenti delle società per azioni quotate, senza che sia contemporaneamente resa fruibile una valida alternativa;
l'adozione del testo proposto risulterebbe quindi lesiva dei diritti esistenti della collettività dei dipendenti azionisti, ed in particolare dei princìpi di partecipazione contenuti nell'articolo 47 della Costituzione: verrebbe mantenuto, ed anzi irrimediabilmente approfondito, il solco che determina la netta separazione, al limite dell'incompatibilità, fra normative finanziarie e normative sociali basate sulla partecipazione. L'opportunità di colmare, al contrario, tale solco è nella gravissima crisi economica e soprattutto occupazionale in essere, che la normativa finanziaria si è dimostrata non adeguata a prevenire;
invece di ipotizzare la cancellazione delle associazioni di piccoli azionisti in tema di rappresentanza nelle assemblee si potrebbe semplificare il meccanismo di raccolta delle deleghe, che comunque oggi vede l'Italia molto indietro; il processo che deve affrontare un azionista per poter dare una delega ad una associazione è infatti piuttosto lungo e farraginoso; c'è bisogno quindi di introdurre moderne tecnologie per consentire la rappresentanza e l'espressione di milioni di piccoli azionisti per delega; le associazioni, infatti, non effettuano attività di sollecitazione al voto, ma aggregazione di rappresentatività per la corretta espressione di volontà dei singoli nelle assemblee societarie -:
quale sia la posizione che il Ministro interrogato intende assumere in merito alla questione della raccolta di deleghe per l'assemblea da parte delle associazioni di

azionisti, soprattutto alla luce dell'annunciata modifica legislativa, e come intenda garantire la massima tutela della democrazia societaria e degli interessi dei piccoli azionisti.
(4-04729)

TESTO AGGIORNATO AL 28 OTTOBRE 2009

...

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta immediata:

COTA, LUCIANO DUSSIN, DAL LAGO, REGUZZONI, ALESSANDRI, ALLASIA, BITONCI, BONINO, BRAGANTINI, BRIGANDÌ, BUONANNO, CALLEGARI, CAPARINI, CHIAPPORI, COMAROLI, CONSIGLIO, CROSIO, D'AMICO, DESIDERATI, DOZZO, GUIDO DUSSIN, FAVA, FEDRIGA, FOGLIATO, FOLLEGOT, FORCOLIN, FUGATTI, GIBELLI, GIDONI, GIANCARLO GIORGETTI, GOISIS, GRIMOLDI, LANZARIN, LUSSANA, MACCANTI, LAURA MOLTENI, NICOLA MOLTENI, MONTAGNOLI, MUNERATO, NEGRO, PAOLINI, PASTORE, PINI, PIROVANO, POLLEDRI, RAINIERI, RIVOLTA, RONDINI, SIMONETTI, STEFANI, STUCCHI, TOGNI, TORAZZI, VANALLI e VOLPI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
attualmente la popolazione carceraria presente negli istituti penitenziari del nostro Paese ammonta a circa 65 mila detenuti (esattamente 64.859 unità), cifra in costante aumento, come ricordato ultimamente durante un'audizione presso la Commissione giustizia della Camera dei deputati dal dottor Franco Ionta, direttore del dipartimento di amministrazione penitenziaria, nonché commissario straordinario per l'edilizia carceraria;
in riferimento al numero complessivo di detenuti presenti all'interno dei 206 istituti penitenziari dislocati nella penisola, i detenuti stranieri ammontano ad oltre 24 mila unità, rappresentando oltre il 37 per cento delle presenze, di cui 4.333 sono di origine comunitaria (3.953 uomini, 380 donne). mentre 19.666 sono di origine extracomunitaria (18.827 sono uomini, mentre 839 sono donne);
secondo gli ultimi dati disponibili, la presenza più significativa dell'ammontare complessivo di detenuti stranieri è rappresentata da albanesi e rumeni, con oltre 6 mila presenze, cui si aggiungono, in percentuali minori, tunisini, marocchini, algerini, nigeriani;
in alcuni istituti penitenziari la popolazione carceraria straniera è presente in percentuale ben superiore alla media nazionale, soprattutto negli istituti penitenziari collocati nel Nord del Paese, dove frequentemente la presenza di detenuti stranieri oscilla tra il 60-70 per cento, come nella casa circondariale di Padova, dove la popolazione straniera raggiunge all'incirca l'83 per cento, o nelle carceri di Alessandria e Brescia, dove i ristretti stranieri raggiungono il 72 per cento delle presenze;
il provvedimento di indulto, adottato con la legge n. 241 del 2006 sotto il precedente Governo Prodi e approvato con il contributo di tutti i gruppi parlamentari, con la sola unica esclusione del gruppo Lega Nord Padania, si è dimostrato fallimentare, dal momento che in breve tempo il problema del sovraffollamento è tornato grave ed oltre un terzo di coloro che hanno beneficiato dell'indulto è incorso nella recidiva e ha fatto rientro in carcere, contribuendo ad aumentare il numero delle presenze negli istituti penitenziari del Paese;
il Sindacato autonomo di polizia penitenziaria ricorda come, oltre al problema di sovraffollamento delle carceri, esista una cronica carenza di organico del personale penitenziario, valutata in oltre 5 mila unità, ed invita il Governo ad attivarsi immediatamente per sopperire a tale situazione, non oltremodo controllabile e differibile;
il trend di implementazione della popolazione carceraria, in ragione dell'afflusso costante e quotidiano, determina

una situazione insostenibile e non risolvibile in breve tempo: sarebbe auspicabile che i detenuti stranieri potessero scontare la pena nelle carceri del loro Paese di origine;
recentemente il Ministro interrogato ha presentato il piano per l'emergenza carceri, che prevede una notevole implementazione dell'edilizia carceraria attraverso la costruzione di nuove carceri e l'ampliamento di quelle esistenti, con investimento pari ad 1 miliardo e 6 milioni di euro spalmato in tre anni;
alcuni organi di stampa riportano notizia di una possibile modifica dell'articolo 385 del codice penale, avente finalità di decongestionamento delle carceri, per consentire a tutti i condannati con pene fino a 12 mesi di poter scontare la pena «nella propria abitazione o in altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza», notizia che, se confermata, rappresenterebbe un nuovo indulto mascherato;
le convenzioni stipulate con i Paesi esteri per fare scontare la pena nei Paesi di origine rappresentano una soluzione utile a diminuire il numero della popolazione detenuta in questo momento in Italia, in ragione del costo giornaliero per ciascun detenuto di 148 euro e dell'immediata impossibilità di risolvere il problema del sovraffollamento -:
quali iniziative intenda assumere per una concreta applicazione delle varie convenzioni stipulate dall'Italia con i Paesi esteri da cui provengono i detenuti stranieri presenti nelle nostre carceri - a partire da Romania, Tunisia, Marocco, Algeria, Albania, Nigeria - affinché costoro scontino integralmente la pena nei Paesi d'origine, promuovendo, altresì, l'applicazione del principio del mutuo riconoscimento tra gli Stati dell'Unione europea delle sentenze penali che irrogano pene detentive e misure di privazione della libertà personale, che consentirebbe al nostro Paese, considerato l'alto tasso di migrazione comunitaria, di alleggerire il peso dell'esecuzione delle sentenze emesse, prescindendo dal consenso della persona trasferita.
(3-00732)

MANTINI, VIETTI, RAO, RIA, VOLONTÈ, COMPAGNON, CICCANTI, NARO, LIBÈ e GALLETTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il Ministro interrogato ha annunciato il sostegno alla riforma dell'ordinamento forense, ora all'esame del Senato della Repubblica, che si ritiene urgente e necessaria;
tuttavia, non si sono sentiti impegni chiari rispetto alla riforma delle professioni, che è considerata altrettanto necessaria per la modernizzazione del nostro Paese, senza dimenticare che il Governo, ad avviso degli interroganti, non ha dimostrato di tenere in considerazione le istanze provenienti dal mondo delle professioni rispetto all'introduzione di agevolazioni e misure a sostegno a favore della categoria, soprattutto nei confronti dei professionisti più giovani;
il gruppo dell'Udc ha, al contrario, avanzato concrete proposte in tale direzione -:
quali iniziative concrete intenda adottare e con quali tempi in favore delle professioni, che rappresentano un settore essenziale per lo sviluppo e per l'occupazione nella società della conoscenza.
(3-00733)

SORO, SERENI, BRESSA, QUARTIANI, GIACHETTI, FERRANTI, AMICI, CAPANO, CAVALLARO, CIRIELLO, CONCIA, CUPERLO, GIANNI FARINA, MELIS, ROSSOMANDO, SAMPERI, TENAGLIA, TIDEI, TOUADI, VACCARO, BORDO, D'ANTONA, FERRARI, FONTANELLI, GIOVANELLI, LANZILLOTTA, LO MORO, MINNITI, NACCARATO, POLLASTRINI, VASSALLO, ZACCARIA e BERNARDINI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
come si apprende dagli organi di informazione, nella notte di giovedì 22

ottobre 2009, presso l'ospedale Sandro Pertini di Roma, moriva il giovane Stefano Cucchi, arrestato la notte del 16 ottobre 2009 dai carabinieri, con l'accusa di spaccio di stupefacenti;
al momento dell'arresto, secondo quanto riferito dai familiari, il giovane stava bene, camminava sulle sue gambe e non aveva segni di alcun tipo sul viso. La mattina seguente, all'udienza per direttissima, il padre ha, però, notato tumefazioni al volto e agli occhi;
il giorno successivo all'udienza per direttissima, un carabiniere comunica alla famiglia Cucchi che Stefano è stato ricoverato in ospedale, ma i genitori, in assenza di un'autorizzazione non possono visitare il proprio figlio, né riescono a parlare con un medico, non riuscendo così, per quasi due giorni, ad acquisire elementi diretti o indiretti sulla condizione fisica del congiunto;
i genitori lamentano, inoltre, di non aver potuto nominare un perito di parte che assistesse all'autopsia, eseguita immediatamente dopo il decesso;
le circostanze della morte del giovane Cucchi e le condizioni fisiche riscontrate sul cadavere dai genitori suscitano dubbi e preoccupazione circa la dinamica dei fatti -:
quali urgenti iniziative intenda assumere al fine di fare piena luce sulle dinamiche che hanno portato all'aggravamento delle condizioni fisiche e quindi al decesso di Stefano Cucchi, verificatosi all'interno di strutture carcerarie.
(3-00734)

PANIZ e BALDELLI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
le Camere hanno approvato di recente il disegno di legge del Governo recante «Disposizioni in materia di sicurezza pubblica» (legge 15 luglio 2009, n. 94), che contempla, tra l'altro, le norme che hanno inasprito il regime del cosiddetto carcere duro, previsto dall'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario;
tale normativa è stata criticata da più parti, mettendone in dubbio la sua conformità ai principi costituzionali previsti in materia di pena;
l'operatività della disciplina - così come modificata dai recenti interventi legislativi - appare destinata ad incidere profondamente sul regime carcerario di moltissimi ristretti;
è recente la notizia secondo cui la corte d'assise di Palermo ha respinto l'eccezione di legittimità costituzionale relativa all'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario -:
quale sia la valutazione del Ministro interrogato sull'efficacia della predetta normativa nel contrasto alla criminalità organizzata.
(3-00735)

Interrogazione a risposta orale:

FEDRIGA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
desta profondo sconcerto la decisione della Corte di assise d'appello di Trieste che per la prima volta in Italia applica il principio della cosiddetta «vulnerabilità genetica» per giustificare la riduzione di un anno della pena inflitta ad un cittadino algerino condannato a nove anni e due mesi di reclusione per omicidio volontario;
in buona sostanza l'omicidio, secondo quanto motivato dalla sentenza, sarebbe giustificato dall'aggressione subita;
la vicenda ha inizio nel marzo del 2007, quando il cittadino algerino Abdelmalek Bayout uccise a coltellate, durante una rissa ad Udine, il colombiano 32enne Walter Felipe Novoa Perez, colpevole di averlo deriso in pubblico perché aveva gli occhi truccati con il kajal, apparentemente per motivi religiosi;
nel giugno del 2008 il Bayout fu condannato in primo grado per omicidio

volontario con rito abbreviato a scontare nove anni e due mesi di reclusione, con applicazione delle attenuanti generiche in luogo delle aggravanti di premeditazione e futili motivi;
nei giorni scorsi, in secondo grado, la Corte d'assise d'appello di Trieste ha riconosciuto a Bayout uno sconto di pena di un anno, in quanto ritenuto «vulnerabile geneticamente»;
contribuisce a rendere quantomeno singolare la vicenda, la motivazione della sentenza che attraverso una cosiddetta indagine cromosomica innovativa avrebbe accertato il possesso, da parte di Bayout, di alcuni geni, che lo renderebbero più incline a manifestare aggressività se provocato o espulso socialmente, vulnerabilità genetica che - come si legge nella sentenza - si sarebbe incrociata con «lo straniamento dovuto all'essersi trovato nella necessità di coniugare il rispetto della propria fede islamica integralista con il modello comportamentale occidentale» e determinando nell'uomo «un importante deficit nella sua capacità di intendere e di volere»;
secondo quanto spiegato dal giudice Amedeo Santosuosso, consigliere della Corte d'appello di Milano, la sentenza applicherebbe l'orientamento espresso nel 2002 da un documento britannico, diventato punto di riferimento in merito alle connessioni fra caratteristiche genetiche, comportamento e responsabilità, denominato «Genetica e comportamento umano: il contesto etico», elaborato dal Nuffield Council on Bioethics;
sempre secondo la spiegazione del giudice Santosuosso «le conclusioni di quel documento, in generale condivise, rilevano che dalle conoscenze genetiche attuali non emerge una sufficiente evidenza scientifica tale da escludere la responsabilità e assolvere persone con determinate caratteristiche; tuttavia possono verificarsi casi in cui parziali evidenze scientifiche possono essere utilizzate per calcolare la pena» -:
se il Ministro sia a conoscenza del fatto esposto e intenda assumere, ove sussistano i presupposti di legge, iniziative ispettive con riferimento alle vicende sopra ricordate.
(3-00731)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
II Commissione:

VIETTI, CIOCCHETTI, RAO e RIA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il sistema penitenziario italiano versa in una situazione di grave crisi di organico;
la casa circondariale Rebibbia femminile di Roma, in particolare, opera in un contesto particolarmente delicato, essendo l'unica struttura femminile presente a Roma ed avendo al suo interno diverse sezioni (massima sicurezza, collaboratrici di giustizia, nido, reati comuni, servizi esterni);
stando ai dati del Sappe, la criticità della situazione non consente livelli di sicurezza adeguati, con grave rischi per lo stesso personale femminile, costretto a turni massacranti: la forza operante attuale di novantasei unità, a fronte di una previsione di centosessantaquattro;
oltre alle difficoltà nello svolgimento dell'operato quotidiano, il personale femminile del penitenziario è sempre più demotivato, a fronte dell'impossibilità di conciliare l'attività professionale con la Vita familiare, a causa delle mancate garanzie sui mantenimenti dei turni prestabiliti, delle ferie, dei riposi e dei congedi;
la situazione è peggiorata dal continuo distaccamento del personale presso altre sedi;
già 15 gennaio 2009 il Sappe aveva provveduto, tramite nota inviata al Capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (DAP), alla richiesta di un impegno programmatico per l'assegnazione di un nutrito contingente di unità

femminili del Corpo, al termine dei corsi per allievi agenti (in atto presso le scuole di formazione di polizia);
lo Stato dovrebbe garantire la possibilità di lavorare in un contesto organizzativo il più possibile «normale», posto che la situazione in cui opera quotidianamente il personale penitenziario è già fortemente provante ed il carico di pressioni sopportate va ben oltre quelle che incombono sul lavoratore medio -:
quali urgenti iniziative intenda adottare al riguardo.
(5-02018)

PALOMBA e MESSINA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
in data 5 ottobre 2000 è stato indetto con provvedimento del direttore generale 5 ottobre 2000 un concorso per titoli relativo a 320 posti di ausiliario A1 e di 50 posti B1 da assumere nel ruolo del personale del Ministero della giustizia - Amministrazione giudiziaria, riservato ai messi di conciliazione non dipendenti comunali;
il 15 aprile 2002 viene pubblicata nel bollettino ufficiale n. 7 del Ministero della giustizia la graduatoria di merito relativa al suddetto concorso, approvata con provvedimento del direttore generale 4 dicembre 2001 e vistata dall'ufficio centrale del bilancio il 3 gennaio 2002;
il decreto-legge n. 207 del 2008 (cosiddetto milleproroghe), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 14 del 2009, prevede, all'articolo 5, la validità delle graduatorie delle amministrazioni pubbliche soggette a limitazioni delle assunzioni approvate successivamente al 1o gennaio 1999;
la nota carenza di personale del comparto giustizia è destinata ad aggravarsi nei prossimi anni con la messa in quiescenza di dipendenti di tutti i livelli -:
se il termine di validità della suddetta graduatoria risulti prorogato al 31 dicembre 2009, per effetto del decreto-legge n, 207 del 2008 (cosiddetto milleproroghe), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 14 del 2009 e, conseguentemente, se si intenda verificare la possibilità di far scorrere la graduatoria prima di bandire eventuali nuovi concorsi.
(5-02019)

Interrogazioni a risposta in Commissione:

NICOLA MOLTENI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
nell'ottobre 2008, a seguito delle segnalazioni dei rappresentanti delle aziende che forniscono apparati e servizi per le attività a supporto delle intercettazioni di conversazioni e comunicazioni il Ministro della giustizia ha istituito l'unità di Monitoraggio sulle spese per intercettazioni telefoniche ed ambientali e per consulenze (U.M.I.) con la quale ha cercato di stimare puntualmente costi e debiti effettivamente accumulati dalle procure della Repubblica nel corso degli esercizi antecedenti il 2009;
il Ministero della giustizia ha ottenuto dal Ministero dell'economia e delle finanze uno stanziamento straordinario con il quale l'U.M.I. nel corso della passata estate, dopo una lunga trattativa con le società fornitrici dei servizi di supporto alle intercettazioni, ha onorato una parte del debito pregresso scongiurando il blocco dei servizi e conseguentemente di importantissime indagini giudiziarie di contrasto alla criminalità, con uno sforzo particolarmente apprezzabile;
dall'audizione delle aziende fornitrici presso la Commissione giustizia della Camera dei deputati si è appreso che tutte le stime fatte dal Ministero della giustizia negli esercizi precedenti si sono sempre rivelate parziali e dunque insufficienti, basate sulla contabilizzazione fornita dalle procure e non sulle fatture effettivamente in giacenza presso le stesse;
le spese per le operazioni di intercettazioni per l'anno corrente insistono sul bilancio del Ministero della giustizia al capitolo n. 1360, destinato genericamente

alle spese di giustizia (comprensive tra l'altro delle spese relative al gratuito patrocinio), gran parte delle spese per intercettazioni del 2009 sono ancora inevase, e, sulla base delle risorse allocate ed in assenza di specifico intervento, sono destinate a rimanere tali;
nel disegno di legge finanziaria per il 2010, ai conti dei residui passivi al 31 dicembre 2008 del Ministero della giustizia, al suddetto capitolo n. 1360 si riporta un residuo di soli euro 8.994.203, quando dalle informazioni avute dalle tre principali aziende fornitrici di servizi per le intercettazioni si è appreso che solo loro vantano crediti fino al 31 dicembre 2008, per oltre 60 milioni;
sempre secondo quanto accertato dai tre maggiori fornitori di servizi a supporto delle attività di intercettazioni, le spese relative alle operazioni di intercettazioni effettuate dal 1o gennaio 2009 sino alla data odierna, per l'intero comparto, ammontano già ad oltre 160.000.000 (centosessantamilioni) di euro, stimati per difetto;
il Ministero dell'economia e delle finanze ha recentemente istituito apposito capitolo di bilancio per le spese delle intercettazioni ed, in particolare, nel disegno di legge recante bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2010 e bilancio pluriennale per il triennio 2010-2012, alla Tabella n. 5, intitolata allo Stato di previsione del Ministero della giustizia per l'anno finanziario 2010 l'apposito capitolo 1363 dedicato alla spese di giustizia per l'intercettazioni di conversazioni e comunicazioni (istituito, come ivi indicato, per una migliore allocazione della spesa già facente carico al capitolo n. 1360) riporta l'importo previsionale e di autorizzazione alla cassa per euro 179.801.120, ovvero di circa 180 milioni di euro e nessun importo residuo;
da quanto esposto emerge che il perdurare della situazione porterà il Ministero della giustizia ad avere un debito effettivo per l'anno 2009 pari o superiore a quello esistente nell'ottobre del 2008, riproponendo la situazione che si era voluto sanare attraverso una faticosa transazione. Tra l'altro, la transazione ha visto la concessione da parte delle imprese di uno sconto pari al 10 per cento sul credito incassato e la rinuncia degli interessi maturati e maturandi in uno scenario di assoluta eccezionalità, giustificato dal mantenimento del dialogo per il difficile accesso al credito bancario e comunque con l'accettazione di un forte impatto economico negativo sui bilanci delle stesse difficilmente ripetibile -:
quale sia l'esatto ammontare del residuo del debito alla data del 30 settembre 2009 nei confronti di tutte le aziende che forniscono prodotti e servizi per le intercettazioni;
quali siano i motivi per cui le suddette cifre continuano ad essere difformi tra quanto maturato dalle aziende che forniscono prodotti e servizi per le intercettazioni ed i residui dichiarati dal Ministero della giustizia nonché le azioni che saranno adottate per una più attendibile ricognizione del debito;
come il Ministro interrogato intenda far fronte alle spese per le operazioni di intercettazioni ancora insolute per l'anno 2008 e per quello corrente al fine di scongiurare il pericolo che le relative società fornitrici si trovino costrette a cessare il servizio per carenza cronica di liquidità, con conseguente impatto devastante sulle attività di indagine.
(5-02010)

BERNARDINI, GIACHETTI, FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia, al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
le associazioni «A buon diritto» e «Antigone», nelle persone dei rispettivi presidenti Luigi Manconi e Patrizio Gonnella, hanno denunciato la morte del detenuto 31enne Stefano Cucchi nella notte tra il 22 e il 23 ottobre 2009, presso il reparto detentivo dell'ospedale Pertini di Roma;

dal racconto di Manconi e Gonnella e da organi di stampa che l'hanno riportato con l'aggiunta di dettagli si apprendono i seguenti fatti:
nella notte tra il 15 e 16 ottobre 2009 Cucchi veniva arrestato dai Carabinieri perché trovato in possesso di 20 grammi di sostanze stupefacenti;
secondo quanto riferito dai familiari, al momento della perquisizione della sua stanza il giovane risultava in buone condizioni, camminava sulle sue gambe e non presentava segni di alcun tipo al viso;
la mattina seguente - all'udienza per direttissima - il padre ha notato tumefazioni al volto e agli occhi del Cucchi;
nonostante i fatti contestati a Stefano Cucchi non fossero di particolare gravità, all'uomo non vengono concessi gli arresti domiciliari e, inspiegabilmente, ai genitori non viene permesso di vederlo;
dal carcere Regina Coeli viene disposto il ricovero all'ospedale Pertini per «dolori alla schiena»;
l'autorizzazione al colloquio per i genitori di Cucchi giunge per il giorno 23 ottobre 2009 quando ormai è troppo tardi, dal momento che la morte sopraggiunge la notte precedente;
la causa del decesso, avvenuto in circostanze poco chiare, dovrebbe essere arresto cardiaco;
i genitori rivedono il giovane solo in obitorio, al momento del riconoscimento, e si trovano di fronte a un «volto devastato»;
ai consulenti di parte è stata negata la possibilità di fare le fotografie di quel viso;
al momento della morte il peso corporeo del 31enne era di 37 chilogrammi, a fronte dei 42 del momento dell'arresto;
dai giornali si apprende inoltre che Carabinieri che hanno effettuato l'arresto la notte del 15 ottobre 2009 hanno dichiarato di aver portato Stefano Cucchi in caserma in una camera di sicurezza, di aver chiamato alle 5 del mattino il 118 perché l'uomo stava male, ma che questi non avrebbe voluto essere curato, e di averlo accompagnato il mattino seguente per il rito direttissimo e consegnato alla polizia penitenziaria;
a giudizio dell'interrogante i fatti richiedono doverosi accertamenti dal momento che Stefano Cucchi è entrato in carcere sulle sue gambe e ne è uscito cadavere -:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto riferito in premessa e se i fatti riportati corrispondano a verità;
che tipo di traumi presentasse Stefano Cucchi il giorno successivo all'arresto e al momento del decesso e come se li sia procurati;
se l'uomo abbia subito violenze all'interno della caserma o del carcere;
per quali ragioni sia stato disposto il ricovero all'ospedale Pertini;
perché i familiari non abbiano avuto l'autorizzazione a vederlo prima del giorno 23 ottobre 2009;
quali siano le cause effettive del decesso;
se ci siano nessi causali tra i traumi riscontrati dalla famiglia sul corpo del detenuto e le cause dei decesso;
per quale ragione i consulenti di parte non abbiano potuto scattare fotografie al volto dell'uomo successivamente alla morte;
quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare per far luce sulla vicenda e dare delle risposte alla famiglia di Stefano Cucchi;
se i Ministri interrogati, negli ambiti di rispettiva competenza, non ritengano opportuno e doveroso avviare un'indagine amministrativa interna al fine di accertare le circostanze in cui è avvenuto il decesso

del signor Cucchi e, se del caso, prendere provvedimenti nei confronti dei responsabili;
se il Ministro della giustizia non ritenga opportuno nonché urgente - come più volte sollecitato dell'interrogante - avviare un'indagine conoscitiva sui decessi in carcere.
(5-02017)

Interrogazioni a risposta scritta:

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
nei giorni scorsi il detenuto albanese Taulant Toma è evaso dal carcere di Terni saltando il muro di cinta con alcune lenzuola annodate mentre altri detenuti giocavano a pallone nel campo di calcio del penitenziario;
al di là di ogni commento e/o interferenza con eventuali responsabilità individuali in corso di accertamento da parte delle competenti autorità ed, in primo luogo, della procura della Repubblica del luogo, deve avviarsi un serio esame sulla situazione in cui attualmente versa il carcere del Sabbione;
l'organico che presta servizio nel carcere di Terni, il quale conta poco meno di 160 agenti per oltre trecento detenuti, risulta fortemente depauperato a causa dei distacchi di diverso personale, che prestano servizio presso altri istituti o altre sedi;
ciò sta provocando un forte abbassamento dei livelli di sicurezza dovuto anche al fatto che il sistema di videosorveglianza non appare funzionare adeguatamente a causa delle carenze strutturali dell'impianto di sicurezza dell'istituto di pena in questione nel quale fra l'altro manca anche la registrazione;
tra l'altro risulta mancante l'impianto antiscavalcamento, in particolare nel punto in cui si è verificato l'evento e, in mancanza di tale impianto, potrebbero verificarsene degli altri;
Giorgio Lucci, rappresentante della Cgil ha dichiarato: «Aspettiamo che si muova qualcosa anche a Terni dove da mesi tutti i sindacati hanno chiesto interventi urgenti per affrontare le questioni legate alla sicurezza»;
già prima dell'evasione del detenuto albanese, i sindacati del corpo della polizia penitenziaria avevano segnalato all'amministrazione penitenziaria alcuni problemi legati alla sicurezza evidenziando diversi punti critici che mettevano a rischio il controllo dei detenuti, soprattutto durante le attività ricreative -:
quale sia l'esatta dinamica di questo episodio e se intenda aprire una rigorosa inchiesta amministrativa sulla evasione dal carcere di Temi;
se l'amministrazione penitenziaria fosse a conoscenza delle anomalie relative al funzionamento del sistema di allarme e se sia mai intervenuta al fine di migliorare la sicurezza dell'istituto;
se non si reputi opportuno intervenire urgentemente al fine di potenziare il sistema di sicurezza dell'istituto;
se non si reputi opportuno intervenire in modo deciso per sopperire alla carenza dell'organico del personale di polizia penitenziaria assegnato al carcere di Terni.
(4-04719)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
in una nota dell'agenzia ANSA del 21 settembre 2009, le organizzazioni sindacali della Polizia penitenziaria sostengono che la chiusura della seconda sezione del carcere di Bari - meglio nota come «la sezione della vergogna» - manderà in tilt tutti gli altri istituti penitenziari della Puglia;

in particolare, nella citata agenzia, vengono riportate le dichiarazioni di Federico Pilotti, segretario nazionale del SAPPE: «La notizia della chiusura della II sezione del carcere di Bari da parte dell'amministrazione penitenziaria centrale è sicuramente una notizia positiva poiché le condizioni di degrado e di allarme igienico-sanitario, avevano superato abbondantemente ogni limite, trasformando la predetta sezione in un inferno. Sconcerta e preoccupa, però, la decisione di allocare gli oltre 200 detenuti (che verranno trasferiti), nelle altre carceri pugliesi che già allo stato, sono oltre qualsiasi limite di capienza sia regolamentare che tollerabile»;
la Puglia, nei cui istituti di pena sono attualmente ristretti 4.250 detenuti a fronte di 2.200 posti disponibili, è una delle dodici regioni italiane dove l'indice medio di sovraffollamento, pari al 68,32 per cento, è ben oltre il consentito essendo stato oltrepassato sia il limite della capienza regolamentare che quello della capienza tollerabile;
il pesante tasso di sovraffollamento in cui versano le carceri pugliesi non consente agli operatori di prestare alcun servizio trattamentale al loro interno, senza considerare che nella situazione data non possono essere garantiti l'assistenza sanitaria, il lavoro, la formazione, le visite dei familiari e le ore d'aria consentite in altri istituti;
la chiusura di un'intera sezione del carcere di Bari dovrebbe indurre il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria a pensare ad una riorganizzazione territoriale anche del personale penitenziario in servizio assicurando quanto meno un rafforzamento nei servizi di traduzione dei detenuti e di piantonamento;
a giudizio dell'interrogante, nella situazione data, non può essere accettato un ulteriore incremento di detenuti nelle altre carceri pugliesi atteso che lo stesso non farebbe altro che provocare una serie di ulteriori ripercussioni e tensioni molto pericolose, sia per gli operatori penitenziari che per i detenuti stessi, anche a causa della grave carenza degli organici della polizia penitenziaria -:
quali provvedimenti deflattivi intenda adottare affinché il trasferimento dei 200 detenuti fino ad oggi ristretti nella II sezione del carcere di Bari presso altri istituti di pena della regione Puglia avvenga nel rispetto dei limiti massimi di presenza ritenuti non oltrepassabili dal Comitato europeo per la prevenzione delle torture e dei trattamenti inumani presso il Consiglio d'Europa;
quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato, con urgenza, anche in previsione del citato trasferimento delle 200 persone detenute presso il carcere di Bari, per garantire normali condizioni di vita alle persone recluse presso gli istituti di pena pugliesi.
(4-04720)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
l'agenzia di stampa Agi del giorno 8 ottobre 2009 riporta il seguente comunicato dell'avv. Desi Bruno, Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del comune di Bologna: «La sottoscritta, avv. Desi Bruno, verificato lo stato delle attuali condizioni di detenzione nel reparto AS Alta Sicurezza Femminile della Casa Circondariale di Bologna e assunte informazioni sulle attività trattamentali di cui le detenute possono fruire, ritiene che il permanere della struttura sia incompatibile con quanto previsto dall'Ordinamento penitenziario e dal Regolamento di esecuzione. Le detenute alla data odierna sono nell'ordine di una decina, quasi tutte lontane dai luoghi di residenza familiare e con difficili rapporti affettivi, per ragioni economiche, sociali, familiari. L'isolamento di questa sezione, ulteriore rispetto al regime differenziato a cui sono sottoposte per il titolo di reato, non è accettabile. Le detenute restano in cella 20

ore su 24, in celle inadatte, piene di umidità e muffa, con presenza di scarafaggi, anche nel cibo, e topi, e nonostante i recenti interventi di manutenzione. In queste condizioni è rimasta sino a pochi giorni fa, e per molti mesi, una madre con un bambino di soli due anni, situazione intollerabile che non deve più ripetersi. Non esiste una tettoia per il riparo dalla pioggia durante l'ora d'aria, e le attività sono di fatto quasi inesistenti, a parte il passaggio in biblioteca e in palestra due volte la settimana per un'ora quando la presenza del personale lo permette. E infatti non esiste personale dedicato a questa sezione, causa il cronico problema del sovraffollamento, il che non fa che aumentare il senso di frustrazione di donne che, in parte, se pure indagate e imputate di gravi reati, sono ancora non colpevoli fino a sentenza definitiva, e in parte hanno condanne a pene di rilevante entità e devono poter affrontare tutte, sia pure nella diversità delle posizioni, una detenzione non contraria al senso di umanità e risocializzante. Anche quest'anno le donne detenute dell'AS non potranno avere corsi di scuola di alcun tipo, dall'alfabetizzazione alla scuola media né inferiore né superiore, né hanno possibilità di lavoro, diritto sacrosanto per tutte le persone recluse, ma che assume valore ancora più pregnante per chi sconta una detenzione diversa e più dura e condanne a molti anni di carcere, né esistono altre reali offerte trattamentali;
a giudizio dell'interrogante il carcere di Bologna, sulla cui complessità non è necessario spendere parola alcuna, non ha bisogno di una sezione così strutturata e le donne presenti, anche per il modesto numero delle stesse, potrebbero benissimo essere collocate nelle apposite sezioni di altri istituti -:
se quanto esposto in premessa corrisponda al vero;
se non ritenga inderogabile ed urgente assumere iniziative volte alla chiusura del reparto alta sicurezza femminile della casa circondariale di Bologna in modo da assicurare alle donne detenute ivi presenti condizioni di restrizione più aderenti al dettato costituzionale e normativo.
(4-04724)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato dall'agenzia Asca del 19 ottobre 2009, nel supercarcere Maiano di Spoleto sono stati trasferiti da varie strutture penitenziarie del nord Italia 50 detenuti per reati a sfondo sessuale, cosiddetti sex offenders;
dalla scorsa settimana è stata già aperta una sezione destinata a ricevere questa tipologia di detenuti, definiti in gergo «protetti» perché non possono avere alcun contatto con altri ospiti della casa di reclusione, ciò per evidenti ragioni di sicurezza visto e considerato che il codice d'onore dei detenuti è durissimo verso chi si è macchiato di delitti sessuali, specie nei confronti di minori;
i predetti trasferimenti stanno causando non pochi disagi e problemi alla direzione dell'istituto di pena umbro, posto che nel carcere di Maiano l'organico degli agenti - in condizioni normali ovvero con non più di 420 detenuti - è già carente di 60 unità;
già nel corso del mese di settembre 2009 gli agenti penitenziari avevano manifestato forti preoccupazioni in vista dell'aumento del numero dei detenuti che passerà dagli attuali 420 a poco meno di 500 unità entro metà novembre 2009;
nonostante il rapporto agente-detenuto, nelle varie sezioni, sia di 1 a 30 circa, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria non ha ancora preso alcun provvedimento volto al rafforzamento dell'organico della polizia penitenziaria assegnato nel carcere umbro;
a giudizio dell'interrogante l'aumento improvviso ed esponenziale del tasso di sovraffollamento del carcere di Maiano,

dopo l'avvenuto trasferimento di 50 detenuti dalle carceri del nord Italia, richiede l'immediato ed urgente adeguamento della pianta organica del personale di polizia penitenziaria, anche perché a detta di pressoché tutte le rappresentanze sindacali la situazione può degenerare in qualsiasi momento, creando situazioni difficilmente ricomponibili nel breve periodo ed un ulteriore senso di frustrazione nel personale -:
quali dati aggiornati siano a disposizione del Governo in relazione alla situazione riscontrata presso il supercarcere di Maiano di Spoleto, con particolare riguardo al numero dei detenuti effettivamente presenti nella struttura e alla percentuale di reclusi per reati a sfondo sessuale;
quali iniziative siano state assunte o programmate e quali misure si intendano attuare per porre urgentemente rimedio alle carenze del personale civile e della polizia penitenziaria assegnato presso la struttura carceraria indicata in premessa.
(4-04725)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
sul Corriere della Sera del 20 ottobre 2009 è apparso un articolo a firma di Lavinia Di Gianvito intitolato «Mafiosi quasi liberi per errore. Il Tribunale azzera l'ufficio»;
nell'articolo in questione si dà conto del fatto che la dirigente del tribunale di Roma, dottoressa Marisa Lia, abbia deciso di trasferire 22 dirigenti, cancellieri e dattilografi, con ciò di fatto azzerando le sezioni del riesame e delle misure di prevenzione;
nel caso di specie agli impiegati rimossi si contesta una clamorosa negligenza che pare abbia seriamente rischiato di rovinare un'inchiesta della Direzione distrettuale antimafia sulla 'ndrangheta a Fondi, posto che a luglio 2009 il tribunale del riesame ha dimenticato di notificare la fissazione di un'udienza a nove personaggi legati ai fratelli Carmelo e Venanzio Tripodo, lasciando così scadere le misure cautelari e costringendo la Procura a riscriverle per non far uscire gli indagati dal carcere;
sempre nel citato articolo si riferisce che secondo alcuni avvocati un errore simile si è ripetuto anche sabato 17 settembre, quando sempre a causa degli errori commessi dai cancellieri nella notifica degli atti, sarebbero tornati in libertà sei indagati legati alla banda della Magliana accusati di usura e riciclaggio;
in una lettera inviata alla dirigente del tribunale, il presidente della sezione del riesame, dottor Giuseppe D'Arma, ha parlato di disguidi «intollerabili» e «insostenibili»;
gli stessi magistrati e avvocati denunciano «ritardi e inerzie» troppo frequenti per non essere allarmanti, anche perché per ciascun errore di notifica saltano misure cautelari e di prevenzione costate mesi di indagini;
i cancellieri rimossi, assegnati ad altre sezioni per «esigenze di servizio», hanno preannunciato di voler ricorrere al giudice del lavoro per impugnare il provvedimento assunto dalla dirigente del tribunale, mentre i sindacati hanno intenzione di voler chiedere un incontro al presidente del tribunale per fare il punto della situazione e trovare idonee soluzioni alle carenze lamentate;
in un lancio dell'agenzia Adnkronos del 20 ottobre 2009, il segretario nazionale della Ugl Ministeri, Paola Saraceni, ha dichiarato quanto segue: «Quando le condizioni di lavoro sono proibitive, il rischio di errori e disguidi va considerato e la Ugl Ministeri l'allarme lo aveva lanciato in tempi non sospetti. Per quanto il rischio delle scarcerazioni possa allarmare anche il sindacato, riteniamo che azzerare l'Ufficio del Riesame di Rosa appare una scelta frettolosa, semplicistica e dannosa all'organizzazione stessa dell'Ufficio visto

che quella tipologia di lavoro, tra l'altro, non può essere appresa dalla sera alla mattina. Inoltre, vogliamo sottolineare che i lavoratori della Giustizia sono gli unici, nel comparto Ministeri, a non essere stati riqualificati»;
secondo un sostituto procuratore, sentito dalla giornalista del Corriere della Sera, «i cancellieri non hanno più il tempo di fare gli avvisi. Si cerca di fare le nozze con i fichi secchi», sicché gli errori si spiegherebbero con i tagli dell'organico;
a causa dell'improvviso trasloco dei 18 dipendenti in forza presso il riesame e dei 4 in servizio presso la sezione misure di prevenzione, nel tribunale di Roma si è venuta a creare una situazione di completa disorganizzazione e confusione, posto che ai nuovi impiegati assegnati presso il riesame non è stato spiegato come fossero dislocati i fascicoli e non sono state assegnate le password per accedere ai computer;
a giudizio dell'interrogante la strutturazione per profili professionali e posizioni economiche del personale giudiziario è stata pensata per altri tempi con una grande massa del vecchio personale d'ordine (gli operatori), una scarsa presenza del personale tecnico (esperti informatici, analisti di organizzazione, contabili) ed un generale appiattimento verso il basso, non tenendo conto non solo delle nuove necessità tecnologiche, ma della fortissima necessità negli uffici di personale di elevata qualificazione che possa essere interfaccia del magistrato e relazionarsi con gli avvocati e gli utenti;
appare pertanto opportuno individuare le idonee soluzioni all'annoso problema che affligge il personale amministrativo della giustizia in ragione della sua omessa riqualificazione, peraltro già definita da tempo in tutti gli altri settori dell'amministrazione dello Stato -:
se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti, e quali iniziative intenda adottare al fine di accertare le responsabilità in ordine ai disguidi «intollerabili» e «insostenibili» denunciati dal /Presidente del tribunale del riesame, dottor Giuseppe D'Arma, così da garantire interventi immediati a tutela del buon andamento dell'attività giudiziaria;
quali iniziative intenda adottare per rafforzare la dotazione organica del personale amministrativo assegnato presso le sezioni del tribunale del riesame e delle Misure di prevenzione del tribunale di Roma, visto e considerato che la stessa appare gravemente sottostimata rispetto a qualsiasi criterio e parametro quantitativo e qualitativo;
se e quali misure intenda prendere al fine di individuare le soluzioni adeguate per definire un'efficace riqualificazione per il personale amministrativo della giustizia penale oltre ad una profonda riorganizzazione e rigenerazione delle risorse umane oggi disponibili, il tutto in un'ottica di generale recupero di efficienza secondo quanto suggerisce nel suo «programma quadro» la Commissione europea per l'efficacia della giustizia in Europa.
(4-04726)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
su La Gazzetta di Reggio del 21 settembre 2009, nell'articolo intitolato: «Reggio Emilia: il carcere fa acqua, nel senso che piove dentro», si può leggere la seguente dichiarazione di Michele Malorni, segretario provinciale del sindacato autonomo di polizia penitenziaria: «La Casa Circondariale di Reggio fa acqua da tutte le parti, nel vero senso della parola. Nelle celle e nei corridoi interni le infiltrazioni di acqua piovana rendono pericolosi e poco salubri i locali, mettendo a rischio la salute degli operatori e della popolazione detenuta. Sollecitiamo le autorità competenti a dichiarare l'inagibilità di una parte dell'istituto penitenziario»;
la denuncia del segretario provinciale del Sappe dimostra come vada oltremodo aggravandosi la situazione di grande disagio

che aveva già indotto le guardie carcerarie a protestare disertando la festa del Corpo della polizia penitenziaria, atteso che attualmente in tutta la regione Emilia Romagna la polizia penitenziaria è chiamata ad operare sotto organico, spesso mettendo a proprio rischio l'incolumità personale essendo comandata in turni di servizio estenuanti e che generano stress psicofisico;
non più tardi di qualche settimana fa i sindacati della polizia penitenziaria hanno lanciato un appello al Capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria affinché al carcere della Pulce venga finalmente assegnato un congruo numero di agenti;
risulta all'interrogante che in Emilia Romagna più che altrove il reclutamento degli agenti di custodia sia stato gravemente penalizzato nell'ultimo decennio, sicché le guardie carcerarie si trovano molto spesso a dover sostenere turni che vanno dalle 6 alle 12, per poi tornare in servizio dalla mezzanotte all'alba, ciò peraltro a fronte di stipendi assolutamente inadeguati;
peraltro il fatto che sia imminente la conclusione di un corso di formazione per neoagenti presso la scuola di Catania non pare destinato a cambiare la situazione, atteso che a Reggio Emilia non viene garantito l'incremento dell'organico, nonostante l'Emilia Romagna risulti essere la regione con il più alto tasso di sovraffollamento (4.600 reclusi contro un tetto di 2.308, ossia il 198 per cento, oltre la capienza massima);
il motivo di tanto malessere delle guardie carcerarie è anche dovuto ai continui tagli finanziari; come in altre regioni, infatti, anche nelle carceri romagnole mancano i soldi per il carburante e non ci sono automezzi sufficienti per garantire i servizi di traduzione dei detenuti -:
quali siano le ragioni, anche alla luce della denuncia del segretario provinciale del Sappe, dello stato in cui versa la struttura della Casa Circondariale di Reggio Emilia;
se il Ministro interrogato intenda accertare la parziale inagibilità l'istituto di pena romagnolo così come richiesto dai sindacati autonomi di polizia penitenziaria e quali provvedimenti urgenti intenda adottare, perlomeno fino alla piena realizzazione del nuovo «piano carceri», per rimediare alle sue insostenibili carenze strutturali, atteso che tale situazione rischia di pregiudicare in modo grave sia le condizioni di vita dei detenuti che la sicurezza dell'istituto, nonché le stesse condizioni lavorative del personale dell'amministrazione e della polizia penitenziaria;
quali provvedimenti intenda adottare al fine di aumentare l'organico degli agenti di polizia penitenziaria in modo da garantire loro migliori condizioni di lavoro e, nel contempo, consentire a tutti gli istituti di pena dell'Emilia Romagna di affrontare con più efficienza e sicurezza il grave problema del sovraffollamento carcerario.
(4-04727)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato dal quotidiano Il Tempo del 19 ottobre 2009, nell'intera regione Lazio vi sarebbero mille agenti penitenziari mancanti a fronte dei mille e trecento detenuti oltre il limite previsto;
a tal proposito Daniele Nicastrini, coordinatore regionale della Uilpa penitenziari ha dichiarato: «Dei mille agenti penitenziari mancanti, più di trecento unità sono distaccate in servizi o uffici dipartimentali dove tra l'altro hanno ben tremila unità presenti, che in molti casi non dovrebbero esserci, visto che ricoprono ulteriori vacanze organiche di altre professionalità in ambito ministeriale ma tutto questo non sembra preoccupare assolutamente il vertice dipartimentale che sembra continuare a sonnecchiare sull'emergenza del Paese. Carceri sovraffollate con 65 mila detenuti e oltre seimila

agenti in meno, di cui ben mille in meno in questa regione rendono vicino il collasso generale delle carceri laziali»;
la prossima apertura del nuovo carcere di Rieti, che dovrebbe aiutare a sfoltire circa 250 detenuti nella regione, è destinato a creare più problemi di quanti ne possa risolvere, atteso che aprire un nuovo penitenziario non significa solo risolvere problemi di spazio ma anche dover ragionare su come organizzarlo, su cosa serve per renderlo funzionalmente sicuro facendo sì che il personale necessario sia presente 24 ore su 24 e tutto ciò, come denunciato dalla Uilpa penitenziari, manca completamente in ambito regionale, sicché anche nel carcere di Rieti si rischia di partire con le stesse defezioni;
questa situazione di grave e prolungato disagio si riflette non solo sugli uomini della Polizia Penitenziaria ma più in generale sulla sicurezza interna degli istituti di pena laziali;
ad aggravare il bilancio della sicurezza nelle carceri laziali pesano anche il mancato funzionamento dei sistemi tecnologici di allarme, di antiscavalcamento, dei sistemi di video sorveglianza interni e perimetrali agli istituti di pena, la assenza di sistemi automatici di apertura di alcuni varchi, la mancanza di sistemi di aria condizionata e di riscaldamento nelle garitte delle sentinelle con temperature proibitive tanto in estate che inverno in totale della spregio della normativa sulla sicurezza sul lavoro;
in queste condizioni disagiate il personale di Polizia penitenziaria svolge quotidianamente il proprio lavoro, con profondo senso del dovere e spirito di abnegazione, affrontando turni lavorativi di 8 ore nonostante il Contratto collettivo nazionale del lavoro ne preveda 6 -:
se quanto dichiarato dal coordinatore della regione Lazio della Uilpa penitenziari trovi effettivamente riscontro nella realtà dei fatti;
se il Ministro intenda attivarsi affinché sia disposto il rientro immediato in sede di tutte le unità di Polizia penitenziaria distaccate presso altri istituti o sedi dell'amministrazione penitenziaria che non siano determinate da gravi motivi di famiglia, secondo quanto prevede il decreto del Presidente della Repubblica n. 254 del 1999;
quali iniziative siano state assunte o programmate e quali misure si vogliano attuare per disporre l'implemento dell'organico di unità di Polizia penitenziaria utile per raggiungere i limiti stabiliti dalla pianta organica prevista dal decreto ministeriale del 2001.
(4-04732)

...

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere - premesso che:
a distanza di tredici mesi dalla nascita di CAI - Compagnia Aerea Italiana, lo stato dei voli da essa gestiti e dei servizi erogati si rivela secondo gli interpellanti ogni giorno più inquietante, profilandosi gli estremi di una vera e propria «emergenza nazionale», anche sotto l'aspetto della sicurezza dei voli;
i disagi che gli utenti segnalano quotidianamente sono relativi a: continui, reiterati e pesanti ritardi, cancellazioni per guasti o per altri ingiustificati motivi tecnici, comunicazione scarsa o non corretta accompagnata da atteggiamenti spesso poco professionali da parte degli addetti ai lavori e dei capo-scalo, bagagli perduti, servizi igienici inutilizzabili, refrigeratori per i pasti non funzionanti, compattatori dei rifiuti fuori uso, magazzini senza scorte ed altro ancora;
di notevole allarme risultano essere le notizie, pubblicate qualche tempo fa da alcuni organi di stampa, sulle inefficienze evidenti dei sistemi di sicurezza dei voli, come il malfunzionamento delle telecamere

di sorveglianza anti-terrorismo, o delle certificazioni di aero-navigabilità scadute, con la relativa messa in revisione degli aerei interessati;
le inefficienze della Compagnia rischiano di abbassare la sicurezza del trasporto aereo, oltre ad arrecare continui disagi ai passeggeri, con un processo lento che tende a vanificare gli standard richiesti;
risultano, così, ad avviso degli interpellanti di fatto aggirati i «fondamentali» del trasporto aereo, basati sull'integrazione di alcuni principi cardine, quali: la competitività (Intesa anche in termini di tariffe più basse), (la sicurezza dei voli, l'efficienza della Compagnia, l'idoneità dei servizi delle società aeroportuali;
è in itinere un provvedimento del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che aumenterà le tariffe aeroportuali di circa 3 euro a passeggero per gli scali con più di 10 milioni di viaggiatori (Aeroporti di Roma e Sea), 2 euro per gli scali che ne ospitano fra i 5 e i 10, ed 1 euro per gli scali più piccoli;
tale incremento tariffario finirà per gravare sui conti delle compagnie aeree, le quali, a loro volta, scaricheranno l'aumento sulla clientela senza, però, garantire il massimo degli standard qualitativi;
il «piano Fenice» prevedeva di trasportare 28 milioni di passeggeri nel 2009 per contenere le perdite a 200 milioni di euro, ma ad oggi questo obiettivo risulta essere impossibile da raggiungere con un probabile aggravio di conseguenze per gli utenti;
la nuova compagnia aerea, nelle intenzioni del Governo, doveva essere lo strumento per incentivare la ripresa nel settore del turismo, ma la strategia della ricerca di una posizione di rendita sul mercato domestico è fallita, in quanto passeggeri hanno «tradito» le attese, un po' per la crisi economica, un po' perché hanno trovato più conveniente viaggiare con la Freccia rossa di Trenitalia o con compagnie aeree low cost;
l'ingente esborso di denaro pubblico avrebbe potuto avere una destinazione più proficua senza contare la perdurante chiusura del mercato del servizio di trasporto aereo ed i disservizi recati alla clientela, che si sta orientando verso altre compagnie che forniscono migliori servizi a costi inferiori, non curandosi detta difesa dell'italianità -:
quali urgenti misure intenda adottare per ripristinare il rispetto delle regole più elementari nell'ambito del sistema del trasporto aereo nazionale, secondo gli interpellanti ormai alla deriva, e quali iniziative intenda intraprendere nei confronti di CAI - Compagnia Aerea Italiana, al fine di rendere il servizio di trasporto aereo erogato più efficiente in termini di sicurezza e operatività ed in linea con gli standard delle concorrenti compagnie europee, evitando le ricadute che i disservizi provocano sulla vita privata e lavorativa degli utenti e sull'intera economia nazionale.
(2-00519)
«Compagnon, Adornato, Bosi, Buttiglione, Capitanio Santolini, Cera, Ciccanti, Ciocchetti, De Poli, Delfino, Dionisi, Drago, Anna Teresa Formisano, Galletti, Libè, Mannino, Mereu, Mantini, Mondello, Naro, Occhiuto, Pezzotta, Pisacane, Poli, Rao, Romano, Ruggeri, Ruvolo, Tabacci, Tassone, Nunzio Francesco Testa, Vietti, Volontè, Zinzi».

Interrogazione a risposta immediata:

BELCASTRO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
le Ferrovie della Calabria srl gestiscono gran parte del trasporto pubblico locale nella regione Calabria;
all'interno della suddetta società a responsabilità limitata si è costituito il sindacato Fast-FerroVie, con una rappresentanza

sindacale corposa, costituita da agenti con la qualifica di macchinisti e capitreno;
con una serie di motivazioni, in atto oggetto di un ricorso giacente presso il tribunale di Catanzaro, le Ferrovie della Calabria srl non hanno inteso riconoscere la suddetta organizzazione sindacale e addirittura hanno negato l'accredito delle relative deleghe sottoscritte dai lavoratori;
in data 17 giugno 2008, il sindacato Fast-FerroVie ha promosso ed effettuato una prima azione di sciopero per contestare alcune gravi inadempienze da parte aziendale, con conseguenze pesanti per la circolazione dei treni interprovinciali (sui sei treni previsti cinque sono stati soppressi);
a seguito di tale protesta le Ferrovie della Calabria srl, con un grave atto di imperio, hanno proceduto con provvedimenti disciplinari contro i lavoratori che hanno partecipato alla stessa, adducendo che il sindacato, in quanto non firmatario di contratto del settore, non avrebbe potuto proclamare la protesta sindacale, il tutto in contrasto, secondo l'interrogante, con il dettato costituzionale e il diritto di sciopero, nonché, come sembra, ignorando i livelli più elementari di rispetto del diritto di associazione e libertà di espressione;
per tali ragioni la Commissione di garanzia sui servizi essenziali nel settore dei trasporti pubblici, dopo aver sollecitato più volte le Ferrovie della Calabria srl ad attenersi alle procedure previste dalle leggi n. 146 del 1990 e n. 83 del 2000, ha deliberato l'apertura di un procedimento di valutazione e di eventuale successiva sanzione amministrativa contro le stesse (delibera n. 30944 del 17 settembre 2008);
le Ferrovie della Calabria srl, a seguito di detta deliberazione, chiedevano un'audizione presso la suddetta Commissione di garanzia in Roma e nel contempo avviavano un ricorso presso il tribunale amministrativo regionale del Lazio (quest'ultimo ricorso non risulta ancora discusso);
nel corso dell'audizione le Ferrovie della Calabria srl si impegnavano, con la Commissione, a convocare la Fast-FerroVie per i turni aziendali in vigore dal 2009;
in data 24 novembre 2008, la Commissione di garanzia deliberava di accogliere le motivazioni addotte dalle Ferrovie della Calabria srl (anche alla luce della disponibilità ad aprire il tavolo delle trattative con la Fast-FerroVie), per cui decideva di deliberare l'archiviazione del provvedimento sanzionatorio aperto con la precedente deliberazione. Tuttavia quest'ultima procedura, giudiziosamente non impugnata dalla Fast-FerroVie, appare legalmente anomala rispetto al dettato della legge n. 146 del 1990, che di fatto era stato già disatteso (delibera n. 08/612);
a seguito di ciò si teneva un incontro informale tra la Fast-FerroVie e il presidente pro tempore delle Ferrovie della Calabria srl, il quale confermava l'intendimento e l'impegno della società a convocare regolarmente il sindacato e ad accreditare le relative somme dovute quali deleghe sindacali;
nonostante tali impegni assunti, di fronte ad un'istituzione prestigiosa quale appunto la Commissione di garanzia nonché lo stesso sindacato, le Ferrovie della Calabria srl non hanno inteso onorare l'impegno, né tanto meno conciliare il contenzioso giudiziario giacente, oltre che presso il tribunale di Catanzaro anche presso quello di Cosenza;
nonostante in data 30 aprile 2009, presso il ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sia stato siglato il protocollo preliminare che ha sancito l'apertura del tavolo negoziale, finalizzato alla firma del contratto collettivo nazionale del lavoro unico degli addetti al trasporto locale e servizi, di cui la Fast-FerroVie è firmataria unitamente a tutte le altre sigle sindacali di livello nazionale (firma che ha consentito la regolarizzazione economica di tutti i dipendenti del gruppo Ferrovie dello Stato e degli autoferrotranvieri), da parte delle Ferrovie della Calabria srl si è continuato

a ignorare ogni forma di relazione industriale con la suddetta organizzazione sindacale;
le precedenti interrogazioni parlamentari e relative risposte da parte del ministero delle infrastrutture e dei trasporti non hanno sortito alcuna inversione di rotta, nonostante nell'ultima risposta scritta il Ministro interrogato avesse assicurato la risoluzione della vertenza, anche per effetto degli impegni assunti dalle Ferrovie della Calabria srl in sede di audizione di fronte alla Commissione di garanzia (risposta all'interrogazione dell'onorevole Dima del 24 novembre 2009);
la società Ferrovie della Calabria srl sembrerebbe interessata ad allargare le proprie competenze anche alla rete ferroviaria nazionale, e ciò di per sé richiederebbe alla stessa un atteggiamento più lineare e rispettoso delle leggi dello Stato, cosa che dai fatti denunciati ripetutamente dalla Fast-FerroVie, anche attraverso comunicati stampa, non corrisponderebbe ad una società di trasporto dove vigono trasparenza e corrette relazioni industriali;
non si giustifica e non si comprende l'atteggiamento della società volto a non far entrare in azienda un sindacato con oltre settantanni di storia e per contro volto a convocare una miriade di sigle sindacali, tra cui alcune non presenti nel tavolo nazionale, a differenza della Fast-FerroVie, che risulta firmataria, come già detto, sia con il Governo che con le parti datoriali dell'ultimo accordo preliminare al contratto nazionale unico della mobilità -:
quali provvedimenti o iniziative intenda assumere il Ministro interrogato al fine di far cessare quelli che l'interrogante ritiene iniqui comportamenti assunti dalle Ferrovie della Calabria srl, favorendo la definizione del contenzioso giudiziario, così come da disponibilità offerta dal sindacato Fast-FerroVie, e convocando il suddetto sindacato al tavolo negoziale aziendale secondo gli impegni assunti e non onorati, dimostrando cosi che le Ferrovie della Calabria srl sono una società a responsabilità limitata all'insegna della trasparenza amministrativa e nulla hanno da temere dalla presenza di un sindacato rispettoso delle leggi e, soprattutto, riconosciuto per le grandi battaglie di trasparenza e legalità.
(3-00736)

Interrogazione a risposta scritta:

ZAMPARUTTI, BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
come riferito da un recente articolo del Sole 24 ore, il trentasettesimo rapporto «Conto nazionale delle infrastrutture e dei trasporti», redatto dal centro studi del Ministero, conferma come non risulti realizzato «quel riequilibrio logistico» dal trasporto via terra in trasporto via mare e come «l'Italia rimane sempre e comunque un Paese di guidatori»;
circa il 66 per cento delle merci viaggia infatti su gomma, mentre solo il 4 per cento del carico generale trasportato, su distanze superiori ai 500 chilometri, si sposta per mare. Questa percentuale, se elevata al 10 per cento eliminerebbe dalla strada 240 mila mezzi pesanti l'anno;
secondo i dati forniti da Ram Spa «i mezzi pesanti che utilizzano abitualmente le cosiddette autostrade del mare sono circa 1.500.000 l'anno. In tali condizioni, le navi destinate allo scopo possono contare su una capacità di riempimento di stiva che si attesta intorno al 50 per cento. Un ulteriore aumento pari al 50 per cento è ottenibile senza aggiuntivi costi economici, sociali ed ambientali»;
tuttavia, nonostante le potenzialità del vettore marittimo, peraltro riconosciute a livello comunitario ed enunciate nel libro bianco del 2001, sono diversi gli ostacoli strutturali che ne impediscono il definitivo decollo in Italia. Secondo Francesco Saverio Coppola, direttore responsabile di Srm (Associazione studi e ricerche per il mezzogiorno), che a giugno 2009

ha presentato a Roma uno studio meticoloso sul comparto, «le difficoltà dipendono da alcuni fattori: innanzitutto, dalla concorrenza del trasporto su gomma visto che l'operatore su strada, a differenza di quello marittimo, offre un servizio regolare in qualsiasi momento e in qualsiasi periodo dell'anno. Disparità che, in parte, si potrebbe risolvere facendo applicare rigorosamente ai camionisti il codice della strada»;
ad oggi, il traffico merci via mare in Italia è solo al 5 per cento del totale. I programmi del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti prevedono di arrivare all'8 per cento entro il 2011, in linea con quanto previsto dal piano generale della mobilità che punta allo sviluppo dell'intermodalità e al trasferimento di una quota sempre maggiore di traffico dalla strada verso ferrovie e autostrade del mare. Un aumento, a questo punto, che si rende necessario visto che, secondo le previsioni di studiosi ed esperti, «entro il 2010 il volume del traffico merci movimentato sul territorio nazionale crescerà di circa il 40 per cento». In assenza di interventi correttivi, ciò si tradurrà in «una crescita del traffico su gomma in misura superiore ai 100 mila veicoli commerciali al giorno» -:
quali iniziative intenda adottare il Ministro per accelerare il riequilibrio logistico del trasporto su gomma verso quello ferroviario e via mare.
(4-04717)

...

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:

MAURIZIO TURCO, BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
in un comunicato stampa del 23 ottobre 2009, diffuso alle agenzie di stampa dal Coisp, (Coordinamento per l'indipendenza sindacale delle forze di polizia), dal titolo «Ancora aspettiamo l'indennità di risultato per il 2008. Questo Governo non conosce vergogna, è come se rubasse le caramelle ai bambini», si legge «... qualcuno ha preso i soldi già destinati agli Operatori della Polizia di Stato e... li ha spesi praticamente di nascosto. Cioè, per dirla in altri termini, li ha rubati! ... Siamo alla fine del 2009 ed ancora i colleghi attendono l'indennità di risultato della seconda metà del 2008. Se non fosse che materialmente questi soldi in cassa non ci sono, allora ci sarebbe da perdere le staffe veramente! ... Ma quand'è che i nostri politici andranno a seguire appositi corsi per imparare a dire la verità ed a non prendere per i fondelli quelli nel cui interesse dovrebbero governare?";
nel medesimo comunicato Franco Maccari, Segretario generale del Coisp - Sindacato indipendente di Polizia, non nasconde «la rabbia per la sconcertante situazione di incuria e di menefreghismo in cui gli Operatori della Polizia sono costantemente abbandonati»;
si apprende inoltre che il COISP ha protestato formalmente, inviando una lettera al Presidente del Consiglio dei ministri, Silvio Berlusconi; al Ministro dell'interno, Roberto Maroni; al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, Renato Brunetta, ricordando loro che «l'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2009 n. 51, ha previsto, a favore del personale della Polizia di Stato, un incremento, per l'anno 2008, di circa 46 milioni di euro delle risorse del Fondo per l'efficienza dei servizi istituzionali»; si legge ancora nella missiva «ad oggi gli uomini e le donne della Polizia di Stato sono in credito di circa 450,00 euro ciascuno, in quanto i 46 milioni dell'incremento sopra specificato non sono ancora nella disponibilità del Ministero dell'interno!»;
a parere degli interroganti, il mancato pagamento degli emolumenti spettanti rappresenta l'evidenza di una politica degli annunci che contrasta apertamente con la realtà vissuta quotidianamente degli operatori

della Polizia di Stato, fatta di sacrifici e rinunce, che, nonostante tutto, non hanno impedito al Corpo di raggiungere importanti obiettivi sia a livello nazionale che internazionale nella lotta alla criminalità -:
quale sia l'effettivo importo residuo del compenso per l'efficienza dei servizi istituzionali (F.E.I.) ancora non corrisposto agli appartenenti alla Polizia di Stato e quali le ragioni di questo inammissibile ritardo nel pagamento di tali somme;
quali siano le immediate azioni che il Ministro interrogato intenda adottare per dare una puntuale applicazione alle norme di riferimento, e quali i tempi di attesa perché tali somme siano corrisposte al personale della Polizia di Stato, comprensive di interessi di legge e rivalutazione monetaria, dalla data di effettiva insorgenza del credito fino a quella dell'effettivo soddisfo.
(4-04718)

MAURIZIO TURCO, BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
con un comunicato del 23 ottobre 2009, diffuso alle agenzie di stampa dal Coisp, (Coordinamento per l'indipendenza sindacale delle forze di polizia) al termine della visita del segretario generale Franco Maccari presso i Centri di accoglienza (C.D.A.), di identificazione ed espulsione (C.I.E.) e di accoglienza richiedenti asilo (C.A.R.A.) di Crotone in località Sant'Anna dal titolo «Il Centro accoglienza per immigrati è un mostro, va chiuso» viene rappresentata una situazione logistica e sanitaria insostenibile per gli operatori di polizia, delle Forze armate e del Corpo della guardia di finanza;
nel comunicato si legge «Un assembramento di strutture che non dovrebbe sussistere, in una realtà che è la più grande d'Europa e probabilmente la più critica, sia sotto il profilo della pericolosità, sia per le condizioni igienico-sanitarie in cui - oltre agli ospiti - sono costretti ad operare gli uomini della Polizia di Stato, i Carabinieri, la Guardia di finanza ed i militari che sono chiamati a operare nel centro», «C'è una forte disattenzione degli organi preposti per la situazione sanitaria e ciò è confermato anche da un fatto eclatante avvenuto pochi giorni fa: la scoperta di un caso di tubercolosi che l'Asl incredibilmente non ha segnalato alla Questura, che nel centro ha personale che lavora. E non sono rari i casi di scabbia e di altre malattie infettive. Ci sono carenze fortissime, che tra l'altro troviamo inspiegabili a fronte dei cospicui finanziamenti elargiti a chi gestisce l'accoglienza degli immigrati e la manutenzione del centro, che presenta tra l'altro gravissime carenze strutturali. A nostro avviso andrebbe rivisto tutto l'impianto di Sant'Anna, unica struttura in Italia in cui convivono C.D.A., C.I.E. e C.A.R.A.», «Nel centro di Crotone si verificano continui momenti di tensione e scontri con le Forze dell'Ordine di cui nessuno dà notizia, ma che hanno portato a registrare un centinaio di feriti negli ultimi mesi. Senza contare che i circa 8 chilometri di recinzione esterna sono incontrollabili, e dai tanti varchi ogni notte entrano centinaia di immigrati per mangiare e dormire: gli ospiti del campo raddoppiano, e non ci sono Forze di Polizia sufficienti ad assicurare un controllo. Per questo si moltiplicano i fenomeni di prostituzione o di spaccio di droga. Il centro va chiuso, perché costituisce un insulto alla dignità non solo degli ospiti, ma degli uomini delle Forze dell'Ordine chiamati ad operare al suo interno»;
a parere degli interroganti, la situazione descritta nel comunicato diffuso dal Coisp rappresenta l'evidenza di una politica sul tema fatta di soli annunci, che contrasta apertamente con la realtà vissuta quotidianamente degli operatori della Polizia di Stato e delle altre forze di polizia quotidianamente impegnate a mantenere l'ordine e la sicurezza nei C.D.A./C.I.E./C.A.R.A. -:
quali siano le reali condizioni igienico-sanitarie delle strutture dei Centri indicati

in premessa e quali eventualmente gli immediati interventi per garantire agli ospiti dei centri e al personale addetto alla vigilanza e l'assistenza il pieno rispetto delle norme di sicurezza e della tutela dell'integrità fisica, della profilassi vaccinale e dell'assistenza sanitaria;
quanti e di quale entità siano stati gli scontri che hanno contrapposto gli ospiti di detti Centri agli operatori delle Forze dell'ordine, quali le immediate misure di sicurezza per evitare il ripetersi di tali episodi;
quali siano le immediate azioni che il Ministro interrogato intenda adottare per dare una puntuale applicazione alle norme di riferimento in materia di immigrazione, e se sia intenzionato a mantenere operanti i Centri in premessa, con quali limiti e a quali condizioni.
(4-04721)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
nel lontano 1983 i deputati radicali Emma Bonino, Roberto Cicciomessere ed Adelaide Aglietta, con un atto di sindacato ispettivo (n. 3-07881 dell'VIII legislatura), interrogarono i Ministri dell'epoca sulla vicenda del residence di Via Mastrigli a Roma;
purtroppo, a distanza di ventisei anni, i problemi denunciati allora non solo non sono stati risolti ma, se possibile, si sono addirittura aggravati;
nell'interrogazione radicale del 1983 si denunciava lo scandalo abitativo di «celle, loculi» di 10 metri quadrati affittati come appartamenti, dove centinaia di persone, spesso famiglie intere, erano costrette a tenere fuori all'aperto, durante il giorno mobili, oggetti, cucine perché altrimenti non vi sarebbe stato lo spazio fisico per le persone; famiglie che durante la notte dormivano in letti (alcuni forzatamente a castello) che occupavano l'intera superficie a disposizione; famiglie che per ognuna di queste «unità abitative», erano costrette a pagare affitti di oltre 120.000 lire al mese;
già all'epoca, «l'estorsione ed il ricatto» apparivano «tanto più vergognosi» in quanto le vittime erano cittadini stranieri, spesso provenienti da Paesi poverissimi, uniti a cittadini italiani altrettanto indigenti, costretti tutti a vivere in drammatiche condizioni di sovraffollamento, privati delle più elementari norme igienico-sanitarie e di sicurezza;
nell'interrogazione radicale del 1983 i deputati Bonino, Cicciomessere e Aglietta sottolineavano come questo vero e proprio scandalo si svolgesse sotto gli occhi «indifferenti» e «compiacenti» del locale commissariato di polizia, ubicato a duecento metri dal residence di via Mastrigli;
venendo ai nostri giorni e fotografando la situazione attuale, allo scandalo abitativo si è aggiunto quello ambientale di una vicina discarica dove, secondo la ditta Geopolis s.r.l. che ha effettuato operazioni di carotaggio per conto dell'AMA, sono seppellite tonnellate di rifiuti pericolosi tra i quali non sono esclusi elettrodomestici e batterie di auto;
illuminante è la relazione della ASL RM E del 28 settembre 2009 nella quale si ripercorre la travagliata storia del residence d'immigrati al Villaggio dei cronisti;
nella suddetta relazione, si afferma che «è conservata agli atti una relazione tecnica che nell'anno 1983 individuava ben 293 locali, simili a loculi in quanto stretti, bassi, senza luce e ricambio d'aria»; «suddetti locali - si legge nella relazione - risultano locati a circa 430 a 660 euro/mensili per "alloggio" e per far fronte a tali richieste gli occupanti, prevalentemente di origine filippina o sudamericana, necessitano talora di condividere le spese con altri, pertanto molti locali risultano sovraffollati»;

la relazione della ASL RM E evidenzia come già in passato ci siano stati provvedimenti amministrativi di «inabitabilità e sgombero» (1991) e penali di «sequestro preventivo» (1992), provvedimenti mai eseguiti da parte dell'amministrazione comunale per l'impossibilità di poter garantire un alloggio, anche se temporaneo, per circa 600 persone, di cui molti minori, presenti nel complesso; inoltre, per l'immobile sono state presentate oltre 160 istanze di condono edilizio ancora in itinere sebbene risalenti, per la maggior parte, al primo condono (legge n. 47 del 1985);
il complesso edilizio - si legge ancora nella relazione della ASL RM E - (...) «può essere raggiunto solamente attraverso una strada angusta ad andamento tortuoso che non consente il transito di automezzi pesanti e di soccorso (AMA, VV.FF. e ambulanze o altri automezzi di soccorso»;
la dottoressa Lina Bordi, Dirigente medico della ASL RM E, che ha firmato la relazione ed effettuato il sopralluogo dei «4 livelli» della Palazzina B sita in Via Mastrigli 15/C (il complesso edilizio si compone di tre palazzine in origine denominate A, B, C, ndr), nella stessa relazione scrive «la palazzina B presenta alloggi di ridotte dimensioni, di minore altezza, prive di aerazione e illuminazione diretta, con angolo cottura prevalentemente esterni, quelli interni privi di cappa di aspirazione dei fumi di cottura e canna di esalazione, con gli impianti elettrici e idraulici fatiscenti e privi di impianti di riscaldamento» (...); «tale situazione crea inconvenienti di carattere igienico sanitari quali fenomeno di condensa e infiltrazioni d'acqua che causano estese macchie di umidità, cattivo odore che rendono gli "alloggi" antigienici»;
la relazione della dottoressa Lina Bordi, Dirigente medico della ASL RM E, stilata in data 28 settembre 2009, si conclude con la proposta di «Ordinanza sindacale di sgombero e inabitabilità del fabbricato B immediatamente e comunque non oltre 10 giorni dal ricevimento della presente in quanto gli inconvenienti riscontrati creano pericolo per la salute e la sicurezza pubblica»;
quanto alla discarica abusiva, si rileva quanto segue:
nel mese di novembre dell'anno 2006, il Comitato Cittadini Villaggio dei Cronisti denunciava alle autorità l'esistenza di una discarica abusiva sorta in Roma, su di un terreno privato di proprietà della TOSIROM di Giuseppe Callarà & C., in prossimità del «residence» di Via Mastrigli civico 15/C;
valutata l'effettiva pericolosità ambientale ed al fine di evitare danni alla salute dei cittadini residenti nella zona circostante, il Sindaco di Roma, con atto di ordinanza n. 64 del 25 maggio 2007, ordinava alla società sopracitata di voler provvedere allo sgombero dei rifiuti presenti sul terreno di sua proprietà sito in Via Mastrigli 15/A, 15/B, 29, con espressa avvertenza che in caso di inadempimento si sarebbe proceduto alla denuncia all'autorità giudiziaria ai sensi dell'articolo 650 del codice penale nonché all'esecuzione d'ufficio del suddetto provvedimento con recupero delle spese a carico del trasgressore;
in data 3 dicembre 2007 l'AMA iniziava la bonifica del sito di Via Federico Mastrigli che insiste, peraltro, nella riserva naturale protetta dell'Insugherata;
in data 4 dicembre 2007 la Polizia Municipale poneva sotto sequestro l'area perché, durante l'esecuzione dei lavori di bonifica, si constatava che i rifiuti erano, contrariamente a quanto evidenziato in sede di precedenti sopralluoghi, di un quantitativo nettamente superiore perché interrati e coperti da strati di cemento, nonché da edificazioni abusive destinate a parcheggio ed area sosta;
il 5 dicembre 2007 il quotidiano La Repubblica, nelle sue pagine romane, scriveva: «arrivano con i camion carichi di scarti, brandelli di vita che non servono più, frigoriferi, copertoni, bambole, computer,

televisori, sedie, tavoli, librerie, interni di macchine, lavatrici, scarpe, barattoli di vernice. Arrivano e scaricano tutto li, alla fine di via Mastrigli, una strada privata che scende da via Azzarita, traversa della Cassia, serpeggia un po' e poi finisce a ridosso della Caserma Paolucci, comando logistico della Marina Militare, e dell'area protetta dell'Insugherata, nel cuore del XX municipio. Lo fanno ormai da anni, a giudicare dallo spessore della spazzatura. Uno strato di frigoriferi, materassi, legno, plastica e una colata di cemento; un altro strato, altro cemento e così via, come un piatto di lasagne farcito bene. Il dislivello con la caserma e con quello che c'è intorno è impressionante. E gran parte dell'area, più o meno tremila metri quadrati, è diventata un parcheggio. Un bel parcheggio rialzato che probabilmente poggia in tutta la sua estensione sulla "monnezza"»;
in data 19 dicembre 2007, esponenti del Comitato Cittadini Villaggio dei Cronisti ricevevano telefonicamente minacce di morte che denunciavano immediatamente ai carabinieri della stazione di Via Vibio Mariano;
a seguito dell'ennesima petizione dei residenti e della mobilitazione del Comitato Cittadini Villaggio dei Cronisti, giovedì 17 gennaio 2008 si riuniva il Consiglio del Municipio XX che approvava all'unanimità un ordine del giorno nel quale si richiedeva la ripresa delle operazioni di bonifica dell'area e l'istituzione di una vigilanza da parte delle forze dell'ordine per garantire l'incolumità dei cittadini di Via Mastrigli;
successivamente l'autorità giudiziaria dissequestrava l'area, sulla quale riprendevano in data 29 febbraio 2008 i lavori di bonifica e gli stessi venivano ultimati;
tuttavia, in data 22 aprile 2008, come sopra riportato, la ditta Geopolis s.r.l., su incarico dell'AMA, dopo aver effettuato operazioni di carotaggio dell'area sottoposta a bonifica, redigeva un rapporto dal quale si evidenziava che nel terreno erano seppellite tonnellate di rifiuti pericolosi;
in data 4 luglio 2008 sull'area sottoposta a bonifica veniva effettuato un sopralluogo alla presenza del Presidente del Municipio XX, dell'Assessore all'Ambiente del Comune di Roma, del Direttore del Dipartimento X del Comune di Roma e dei tecnici del Dipartimento e della Commissione incaricata del Municipio XX; a seguito del sopralluogo, il Presidente del Municipio chiedeva all'Assessore all'Ambiente del Comune di Roma di voler provvedere a fare effettuare ulteriori carotaggi, in particolare sull'area parcheggio di più recente costruzione;
l'11 luglio 2008 il Consiglio del Municipio XX deliberava in favore di un'azione di verifica e controllo dell'esistenza dei requisiti di legge di agibilità e di rispetto delle normative di prevenzione incendi e di pubblica sicurezza da effettuarsi unitamente ad ASL, Polizia di Stato, Vigili Urbani e Vigili del Fuoco;
in data 31 ottobre 2008 la Commissione sicurezza del Comune di Roma deliberava di informare la Questura di Roma e la Guardia di Finanza per le valutazioni di competenza;
il 27 ottobre 2008 il quotidiano La Repubblica nelle sue pagine romane, in un articolo titolato «Via Mastrigli, l'hotel dei disperati» scriveva, fra l'altro «Se scoppiasse un rogo, in via Mastrigli sarebbe una strage. La piccola strada senza uscita che scende da via Azzarita, una traversa della Cassia poco prima della Tomba di Nerone, è infatti troppo stretta e tortuosa perché i mezzi dei vigili del fuoco vi possano accedere. Nel caso si sprigionassero le fiamme, che non si parli di una tragica fatalità» commenta Alvise Di Giulio, presidente del Comitato Cittadini Villaggio dei Cronisti, che da tempo denuncia l'esistenza di questa «bomba ad orologeria» alle autorità. Che ne sono perfettamente a conoscenza da almeno 25 anni: il 2 maggio 1983, infatti, gli allora deputati Bonino, Cicciomessere e Aglietta denunciarono

per la prima volta, e in Parlamento, l'esistenza «di questo luogo di sopraffazione e vergogna» a duecento metri di distanza dal locale commissariato di polizia;
il 5 dicembre 2008 il quotidiano romano Il Messaggero pubblica un articolo intitolato «Insugherata, nel verde scheletri di auto e frigoriferi»;
il 21 maggio 2009 il consiglio comunale di Roma approva all'unanimità una mozione, a prima firma del consigliere Athos De Luca, che impegna il Sindaco e la Giunta a bonificare l'area di via F. Mastrigli 15/A, ed a porre fine al degrado del residence ivi ubicato e del parcheggio antistante;
il comma primo dell'articolo 24 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 6 giugno 2001 subordina il rilascio del certificato di agibilità di un alloggio «alla sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità... valutate secondo quanto dispone la normativa vigente»;
l'articolo 26 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 chiarisce, poi, che «il rilascio del certificato di agibilità non impedisce l'esercizio del potere di dichiarazione di inagibilità di un edificio o di parte di esso ai sensi dell'articolo 222 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265»;
l'articolo 222 del regio decreto n. 1265 del 1934 consente lo sgombero da parte dell'Autorità Sanitaria di un alloggio che non rispetti le condizioni igieniche;
l'articolo 2 del decreto ministeriale del 5 luglio 1975 relativo ai principali requisiti igienico-sanitari dei locali di residenza prescrive testualmente che «per ogni abitante deve essere assicurata una superficie abitabile non inferiore a metri quadri 14 per i primi 4 abitanti e metri quadri 10 per ciascuno dei successivi»;
pertanto, allo stato, paiono sussistere dei precisi strumenti giuridici per garantire, anche con forme coattive, un buon livello di qualità della vita ai diretti interessati e alle famiglie che vivono nelle adiacenze degli appartamenti con un'eccessiva presenza di ospiti;
non si comprende per quali motivi, ritenuta congrua la ricostruzione delle norme in materia sanitaria, di agibilità e urbanistica proposta in premessa, l'ente locale capitolino non applichi, con riferimento agli alloggi del residence di Via Mastrigli n. 15/A, gli strumenti giuridici già in suo possesso al fine di evitare il protrarsi di una situazione di evidente disagio sociale, oltre che di mancato rispetto dei più basilari principi igienici -:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti suesposti;
per quali motivi il sindaco non abbia svolto i necessari interventi a tutela dell'incolumità pubblica, agendo quale ufficiale del Governo ai sensi dell'articolo 54 del testo unico delle leggi sugli enti locali;
se non ritengano di dover intervenire, per quando di competenza di ciascuno, per scongiurare l'inquinamento delle falde acquifere, i rischi per la salute dei cittadini, la loro sicurezza e la loro incolumità.
(4-04738)

...

LAVORO, SALUTE E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, per sapere - premesso che:
l'articolo 11 della legge n. 40 del 2004 sulla procreazione medicalmente assistita istituisce «presso l'Istituto superiore di sanità, il registro nazionale delle strutture autorizzate all'applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, degli embrioni formati e dei nati a seguito dell'applicazione delle tecniche medesime»;

è necessario garantire una trasparenza dei metodi e dei risultati ottenuti dai centri di procreazione medicalmente assistita ai fini di una corretta informazione delle coppie sterili e infertili che vi si rivolgono;
si registra una difformità delle procedure dei diversi centri, come risulta dall'ultima relazione al parlamento sull'attuazione della legge 40 del 2004, secondo cui, nel caso delle gravidanze trigemine, la media nazionale supera quella europea, ma, come riportato nella stessa relazione: «Questo è però un risultato medio di valori che - escludendo i centri con meno di dieci parti - variano da zero al 13,3 per cento» e che quindi evidenzia una enorme variabilità, dovuta alle forti differenze nei criteri seguiti e nelle procedure adottate dagli operatori del settore;
tale parametro è considerato uno degli indicatori più significativi del buon esito delle tecniche di fecondazione assistita;
il fatto che esistono centri che ottengono risultati inferiori alla media di riferimento europea ed altri con un numero eccessivo di gravidanze trigemine, dovrebbe indurre gli operatori ad un confronto fra le differenti strategie adottate, sia riguardo alla scelta ed al numero di ovociti da fecondare, soprattutto nelle donne più giovani, che alla possibilità di crioconservazione degli ovociti, per poterne diminuire il numero di quelli che rimangono oggi inutilizzati -:
per quale motivo l'ufficio del registro nazionale di cui in premessa, non abbia ancora attivato i registri degli embrioni e dei nati, come previsto al comma 1 dell'articolo 11 della legge n. 40 del 2004;
perché non siano stati resi pubblici i dati dei singoli centri, senza violare la privacy dei pazienti;
se, e in che modo, sia stata data attuazione al comma 3 dell'articolo 11, dove si prevede che «L'Istituto superiore di sanità raccoglie e diffonde, in collaborazione con gli osservatori epidemiologici regionali, le informazioni necessarie al fine di consentire la trasparenza e la pubblicità delle tecniche di procreazione medicalmente assistita adottate e dei risultati conseguiti»;
quali iniziative siano state intraprese, comunque, dalla data di istituzione del registro Pma, per dare trasparenza ai dati dei singoli centri Pma, e quali in collaborazione con le regioni;
se sia vero che prima della divulgazione dei dati, presso l'istituto superiore di sanità ci siano state riunioni informali con alcuni rappresentanti dei centri (Pma) e che avevano come oggetto la discussione e la modalità di presentazione dei dati ancora non divulgati;
quante riunioni, in caso di risposta affermativa, negli anni ci siano state e se questo sia stato il metodo normalmente seguito;
se i vertici dell'ISS, ne fossero a conoscenza, ed eventualmente se non si profili una inadeguatezza dei responsabili del registro nella gestione dello stesso;
quali azioni intende intraprendere il Ministero per procedere ad una maggiore trasparenza circa metodi, costi e risultati di ogni singolo centro di Pma.
(2-00521)
«Volontè, Buttiglione, Capitanio Santolini, Vietti».

Interrogazioni a risposta scritta:

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
la Costituzione italiana (articolo 27, comma 3: «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato»), le leggi che riguardano l'ordinamento penitenziario (in particolare la legge n. 354 del 1975 e

successive modifiche) e le cosiddette «misure alternative» si incentrano tutte sul principio della rieducazione e della riabilitazione del detenuto;
i suicidi dei detenuti e quelli dei poliziotti, le aggressioni quotidiane che si registrano tutti i giorni nelle carceri italiane, il sovraffollamento costante sono ormai indice di una situazione esplosiva e malata che occorre affrontare urgentemente;
il Ministero della giustizia - Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria - aveva avviato fin dal 2004 un concorso per l'assunzione di 39 psicologi per coprire almeno parzialmente la totale carenza di organico di tale figure professionali (ne sono previste in totale 70) e aveva quindi approvato la graduatoria nel 2006;
nonostante ciò, da quel momento l'Amministrazione penitenziaria non ha proceduto ad alcuna assunzione, pur in presenza di tutte le risorse economiche (disponibilità di risorse per assicurare tali prestazioni essenziali) e giuridiche e pur a fronte dell'aggravarsi della situazione nel sistema penitenziario preferendo, invece, affidarsi ad un sistema di frammentate collaborazioni precarie e insufficienti;
in particolare il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria sostiene che le prestazioni svolte dagli psicologi sarebbero state trasferite al Servizio sanitario nazionale in base alla recente riforma sulla sanità penitenziaria attuata con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1o aprile 2008, ma nel contempo afferma, contraddittoriamente, che le prestazioni psicologiche trattamentali e dell'osservazione sarebbero rimaste alla sua competenza, il tutto senza spiegare il motivo per cui tali prestazioni non possano essere svolte dai vincitori di concorso assunti;
in un comunicato stampa il dottor Antonio De Luca e la dottoressa Mariacristina Tomaselli del Comitato «Per i 39 psicologi non assunti dal Dap», hanno dichiarato quanto segue: «Come è possibile che detenuti e operatori non possano disporre di un aiuto concreto così importante perché si possano realizzare al meglio la rieducazione efficace dei primi e le condizioni di lavoro adeguate per i secondi? A quanti suicidi (12 poliziotti suicidatisi negli ultimi due anni; 46 detenuti nel 2008 e 48 al 31 agosto 2009, secondo i dati consultabili sul sito di Ristretti Orizzonti) dovremo ancora assistere prima della nostra immissione in ruolo: possono consulenze di poche ore al mese affrontare situazioni così drammatiche? Occorrerebbero diversi psicologi a tempo pieno per ogni Istituto Penitenziario e per ogni Uepe esistenti in Italia, ma oggi addirittura non vengono assunti neppure i 39 vincitori del primo e unico concorso a psicologo su scala nazionale, che rappresenterebbero, quanto meno, il primo concreto segnale positivo» -:
se non ritenga inderogabile ed urgente immettere in ruolo i 39 psicologi del concorso avviato nel 2004, la cui graduatoria è stata approvata nel 2006 come da Bollettino Ufficiale del Ministero della giustizia n. 17 del 15 settembre 2006.
(4-04734)

ZAMPARUTTI, BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
attualmente i numeri di targa delle auto dei portatori di handicap titolari di permesso di circolazione sono noti soltanto al sistema di avvistamento (varchi) del comune che ha rilasciato il permesso;
questa situazione crea notevoli disagi con la contestazione di contravvenzioni elevate da parte di altri Comuni qualora non si riesca a comunicare in tempo utile il numero della propria targa per ottenere l'inserimento in altri sistemi di avvistamento;
questa situazione si potrebbe risolvere, facilmente e senza oneri, comunicando via internet a tutti i sistemi ZTL i

numeri delle targhe già inseriti nel sistema dove è stato concesso il permesso in origine -:
quali iniziative intendano adottare per consentire ai diversamente abili di circolare e sostare liberamente nelle zone a traffico limitato di qualsiasi comune sull'intero territorio nazionale.
(4-04736)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
sul Corriere della Sera edizione on line del 21 ottobre 2009 è apparso un articolo intitolato: «Malata di SLA abbandonata: vive con l'ossigeno vicino al gas», sottotitolo: «Vivono in cinque in meno di 50 metri e la donna malata non ha alcuna assistenza pubblica»;
l'articolo in questione narra la dolorosa vicenda di Marisa di Marcantonio, sessantenne affetta da SLA, costretta a vivere in un alloggio popolare di nemmeno 50 metri quadrati insieme alla figlia, al genero e a due ragazzini, tutto ciò senza la possibilità di essere spostata perché l'ambiente domestico è angusto e trovandosi dunque immobilizzata sul letto con la bombola d'ossigeno a ridosso dei fornelli a gas della cucina;
Alessandra, la figlia di Maria di Marcantonio, gestisce l'alimentazione forzata della madre con l'aiuto di un infermiere che passa da casa per cinque minuti al giorno; la paziente è priva persino della carrozzina elettrica in quanto inutile, posto che non riuscirebbe comunque a passare per le altre stanze ed il bagno, per lei totalmente inaccessibili;
nel richiamato articolo di giornale, la figlia Alessandra fa un accorato appello: «Sono ai limiti delle forze e prossima al crollo psico-fisico. Se non cambierà nulla non so cosa accadrà... oltre alla fisioterapia e ad un accesso al giorno di pochi minuti di un'infermiera non abbiamo nulla. Io ormai sono bloccata in casa ad assistere mia madre, non posso allontanarmi neanche un minuto e le notti sono pressoché in bianco. Viviamo con lo stipendio di mio marito che non ci consente, assolutamente, di permetterci una badante. Una mano me la danno i miei figli ma sono minorenni e non posso far pesare su di loro un'assistenza così gravosa. L'anno scorso ho richiesto un nuovo alloggio popolare più grande, almeno adeguato alla condizione di mia madre, non ho ancora ricevuto risposte. La buona notizia è che a gennaio del 2009 i servizi sociali del Comune hanno accettato la domanda per l'assistenza, ma mi hanno prospettato attese che possono arrivare fino a 3 anni...»;
Mauro Pichezzi, presidente dell'Associazione Viva la Vita Onlus che riunisce familiari e malati di SLA, dichiara: «È gravissimo che un caso di SLA in fase avanzata non sia seguito da nessun centro ospedaliero qualificato, ma è ancora più drammatico che la signora sia letteralmente abbandonata a se stessa»;
il legale della predetta associazione, l'avvocato Chiara Madia, ha preannunciato di voler adire le vie legali configurando nel caso di specie il reato di omissione di atti d'ufficio -:
quali iniziative di competenza intenda adottare in relazione a quanto esposto in premessa e in particolare se non ritenga di dover promuovere un'indagine statistica per accertare quante siano le persone che, come la signora Marisa di Marcantonio, necessitano di una assistenza domiciliare 24 ore su 24 in quanto malate di SLA, di quale assistenza effettivamente beneficiano e in quali regioni vivano e risiedano.
(4-04739)

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BERNARDINI, BELTRANDI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, al Ministro dell'ambiente e della

tutela del territorio e del mare, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il settimanale Magazine - Corriere della Sera del 22 ottobre 2009 n. 42 ha pubblicato una dettagliata inchiesta del giornalista Agostino Gramigna, significativamente intitolato: «Una città veneta accusa: ecco come da noi si muore di cromo»;
nella citata inchiesta si racconta di come, a causa delle venefiche esalazioni di una fabbrica chimica, la ex Tricom-Galvanica di Tezze sul Brenta (Vicenza) almeno quattordici operai siano stati uccisi da tumore;
i parenti delle vittime sono in attesa di un processo che la procura di Bassano, per imprescrutabile motivo non intende celebrare;
era il 1973 quanto la ditta Junior Costruzioni Meccaniche chiese al comune di Tezze l'autorizzazione per la realizzazione di un impianto «galvanico»; e la ditta Tricom si impegnò a collaudare un impianto di depurazione e a contenere il cromo esavalente, di eventuali scarichi liquidi, sotto la soglia dei 0,50 mg per litro;
il signor Silvio Bonan, figlio del signor Domenico Donan operaio per circa trent'anni nel reparto cromatura della Tricom-Galvanica, deceduto nel 1999 per cancro ai polmoni, ha creato un'associazione che si sta battendo per portare sul banco degli imputati i responsabili della ditta per l'omicidio di 14 operai morti;
il dottor Enzo Merler, epidemiologo, per anni ha studiato il caso della fabbrica Tricom-Galvanica su incarico del servizio di prevenzione e igiene della U.L.S.S. n. 3 di Padova, ed è giunto alla conclusione che «il tasso di mortalità per tumore polmonare alla Tricom era superiore di oltre tre volte rispetto alla media della popolazione veneta e nazionale»;
nel 2006 il tribunale di Cittadella ha inflitto al proprietario della Tricom, Paolo Zampierin, due anni e sei mesi e il risarcimento per avvelenamento dei pozzi; ma non ha fatto un solo giorno di carcere e non ha sborsato un euro, avendo dichiarato fallimento; il ministero dell'ambiente ha quantificato in 158 milioni di euro i danni ambientali e in 15 chilometri quadrati l'area della falda inquinata; falda inquinata come quella sotto il giardino della famiglia Milani, residente a Tezze dal 2001: «Abitavamo in una zona in mezzo al verde, con gli animali domestici. Fino a quando ci siamo trovati circondati da capannoni industriali», racconta la signora Gabriella Bragagnolo Milani. «Abbiamo venduto la vecchia abitazione e comperato la nuova a Tezze, in una zona considerata residenziale. Nessuno però ci ha avvertito che il pozzo di casa attingeva l'acqua a 25-30 metri di profondità, dalla falda inquinata. Così tutta la famiglia ha fatto la doccia e bevuto acqua al cromo esavalente. Spesso io, mio marito e le due figlie avevano mal di testa, prurito, rossore e perdita di capelli»;
secondo quanto riferito dal dottor Matteo Lorenzin, responsabile dell'Ufficio ambiente di Tezze, figlio di uno degli operai della Tricom deceduti per cancro, alcune delle sedici vasche di cromo utilizzate dalla ditta, sono state trovate con dei fori rattoppati alla meglio con nastro adesivo; gli impianti di depurazione non sempre erano in funzione; secondo denunce giornalistiche risalenti al 1977 già si ipotizzavano avvelenamenti di acqua e scarico di rifiuti industriali senza autorizzazioni e del pozzo abusivo dove la Tricom versava il cromo;
il signor Gian Pietro Stocco, per quindici anni l'unico addetto all'impianto di depurazione ricorda bene gli operai del reparto di cromatura: «Si prendevano persone dai sanatori, già malate. Non si rendevano conto di che cosa maneggiavano. Gli impianti? A norma. Poi se non si utilizzavano...»;
nell'ultimo periodo di attività della Tricom, gli operai italiani sono stati progressivamente sostituiti con extracomunitari. «C'erano solo loro, il giorno della

chiusura dell'impianto», scrive Gramigna. «Che fine hanno fatto? Sono stati messi a conoscenza dei rischi? Per la Procura sono dispersi. Bonan invece ne ha rintracciati tre, tra cui un pastore protestante... L'Arpa ha analizzato i loro guanti sono pieni di cromo» -:
se quanto pubblicato dal giornalista Agostino Gramigna, e sopra succintamente riportato, corrisponda a verità;
in caso affermativo, quali iniziative si intendano promuovere, sollecitare e adottare perché:
a) la zona interessata dall'inquinamento provocato dalla ditta Tricom sia bonificata;
b) i familiari delle vittime della ditta Tricom siano risarciti;
quali iniziative si intendano promuovere, adottare e sollecitare per accertare l'entità dei danni provocati, i livelli di inquinamenti e i pericoli esistenti per le popolazioni della zona in cui sorgeva e operava la ditta Tricom; specificatamente se non si ritenga di dover accertare se il caso della famiglia Milani sia isolato o se ve ne siano altri; e quanti.
(4-04740)

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POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

XIII Commissione:

OLIVERIO, ZUCCHI, MARCO CARRA, MARIO PEPE (PD), SERVODIO, FIORIO, BRANDOLINI, CENNI, MARROCU, AGOSTINI, TRAPPOLINO, DAL MORO, LUSETTI, SANI e CUOMO. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
in Calabria ci si trova, a seguito del ritrovamento sui fondali del mar Tirreno di una nave contenente fusti con materiale radioattivo, di fronte a un'emergenza di carattere straordinario, che va ben oltre la dimensione locale, con il conseguente rischio di far esplodere una bomba ecologica con ripercussioni gravissime non solo per l'economia calabrese, ma per tutto il paese;
l'attività di monitoraggio necessaria, ma non risolutiva, è partita in ritardo, e continua con indugi, con l'iniziativa della nave «Mare Oceano» per scandagliare il fondale;
a seguito di tale ritrovamento, si è registrato un preoccupante calo delle vendite dei prodotti ittici fino a raggiungere l'80 per cento, accompagnato dal calo vistoso dei prezzi pari almeno al 60 per cento, con ripercussioni sulla filiera e sui mercati che supera di gran lunga l'area del Tirreno cosentino, che rischia di avere un impatto a lungo termine sull'economia ittica regionale anche a causa della nascita di possibili pregiudizi alimentari che è difficile poi rimuovere;
tutto ciò ha creato difficoltà sia sul versante occupazionale di tutta la filiera della coltura ittica e dell'acquacoltura sia per i produttori che per i dipendenti;
positiva la sigla del verbale d'intesa sottoscritta per l'attivazione della cassa in deroga, ma che è rimasta non operativa;
le preoccupazioni e i timori si sono ulteriormente aggravati a seguito anche delle dichiarazioni dei pentiti circa ulteriori segnalazioni di navi affondate non sul litorale tirrenico ma in quello ionico;
l'attività della pesca e dell'acquacoltura rischiano di essere colpite irreversibilmente da questo disastro ambientale, insieme all'attività turistica;
la categoria in Calabria occupa 5.000 addetti dell'intera filiera ittica di cui circa 3.000 lavorano direttamente nell'attività di pesca;
il prossimo 28 ottobre 2009 vi sarà l'incontro con l'Assessore regionale all'agricoltura

On. Pierino Amato per contribuire a fronteggiare la vasta portata di tale emergenza -:
se non si ritenga necessario assumere iniziative volte ad attivare urgentemente le misure previste dal decreto-legge n. 185 del 2008 di sostegno al reddito per tutti i lavoratori interessati e colpiti dalla crisi, ad incentivare l'aggregazione per la nuova imprenditorialità, a dare attuazione all'articolo 40 del Regolamento (CE) n. 1198/2006 relativo al fondo europeo per la pesca che prevede azioni per lo sviluppo dei nuovi mercati promuovendo altresì una campagna volta a sostenere e migliorare l'immagine dei prodotti della pesca e dell'acquacoltura della regione Calabria, con il coinvolgimento degli operatori del settore ittico, attivando infine il sistema di telerilevamento aereo Telaer, gestito dall'AGEA.
(5-02020)

RUVOLO, NARO, ROMANO, MANNINO e DRAGO. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
secondo le associazioni di settore i violenti nubifragi che si sono abbattuti nei giorni scorsi sulla Sicilia, dall'agrigentino al palermitano, hanno provocato danni ancora non calcolabili;
si segnalano campi allagati e strade rurali distrutte dagli smottamenti mentre la grandine e il vento si sono abbattuti, su agrumeti, vigne, uliveti e su molte strutture e serre, distruggendone gran parte e compromettendo anche i raccolti futuri;
l'ondata di maltempo secondo il presidente e direttore della Coldiretti siciliana «arriva in un momento in cui i prezzi alla produzione sono sempre più bassi. Il grano è valutato solo 16 centesimi al chilo così come l'uva, quotata persino 10 centesimi al chilo e in generale tutta l'ortofrutta è deprezzata», creando un aggravamento della situazione dell'agricoltura siciliana -:
quali urgenti iniziative intenda adottare per far fronte all'ennesimo evento calamitoso che si è abbattuto sulla Sicilia distruggendo colture e compromettendo i raccolti futuri.
(5-02021)

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PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E INNOVAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:

DI PIETRO. - Al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. - Per sapere - premesso che:
l'Associazione Serena di Palermo si è costituita quattro anni fa per iniziativa di alcune persone che si sono imbattute nella malattia oncologica, in particolare il carcinoma alla mammella, e che hanno pensato di trasformare la loro dolorosa esperienza in una risorsa ed un contributo per gli altri; l'Associazione, guidata dalla senologa dottoressa Carmela Amato, oltre ad un sostegno psicologico e legale, offre anche un orientamento pratico circa le strutture sanitarie alle quali rivolgersi;
il centro è collegato a Europa Donna, movimento europeo per la lotta al tumore del seno, fondato da Umberto Veronesi;
obiettivo dell'Associazione è quello di diffondere la cultura della prevenzione alle donne di ogni fascia di età e stato sociale; è pure importante fare riavvicinare la donna alla propria femminilità, proprio nel momento in cui la malattia potrebbe metterla in discussione, infondendole fiducia e coraggio ed aiutarla a mantenere il contatto con la via quotidiana e soprattutto con la sua attività lavorativa;
in questo quadro si inserisce la circolare 1/2009 che riguarda le fasce di reperibilità in caso di malattia ed equipara, nella durata, quelle del settore pubblico a quelle vigenti nel settore privato;
l'Amministrazione dispone il controllo in ordine alla sussistenza della malattia

del dipendente anche nel caso di assenza di un solo giorno, tenuto conto delle esigenze funzionali e organizzative;
le fasce orarie di reperibilità del lavoratore, entro le quali devono essere effettuate le visite mediche di controllo, sono dalle ore 8.00 alle ore 13.00 e dalle ore 14 alle ore 20.00 di tutti i giorni, compresi i non lavorativi e i festivi; la circolare poi puntualizza che tale disposizione si applica a tutti i dipendenti delle pubbliche amministrazioni, a prescindere dalle patologie di cui sono affetti;
da quanto scritto si evince chiaramente che ad un malato oncologico non verranno effettuate detrazioni economiche dallo stipendio solo ed esclusivamente se risulta ricoverato in day hospital oppure se è in chemioterapia (terapia salvavita);
chi è malato di cancro, dunque, non ha il diritto di riposare pena la decurtazione degli emolumenti con conseguente peggioramento della qualità della vita;
punire i «fannulloni» è giusto, ma non si può «sparare nel mucchio» calpestando i diritti inalienabili del cittadino così faticosamente conquistati dalla civiltà «occidentale» di cui lo stesso Governo dovrebbe esserne assoluto difensore;
viene offerta ai malati l'opportunità del part time, con relativa decurtazione dello stipendio, senza tener conto delle esigenze di chi deve affrontare spese per visite mediche, spostamenti in centri più specializzati e interventi, e non può permettersi entrate dimezzate -:
se il Ministro non ritenga di dover rivedere in particolare il punto 2 della circolare 1/09 prevedendo distinzioni doverose ed opportune, in base alla prognosi e alla gravità delle varie patologie, per chi è malato di cancro.
(4-04730)

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SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta immediata:

DI PIETRO, DI GIUSEPPE, DONADI, MONAI, CIMADORO, PIFFARI e SCILIPOTI. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 25 della legge n. 99 del 2009 prevede che la costruzione di impianti per la produzione di energia elettrica nucleare e di impianti per la messa in sicurezza di rifiuti radioattivi e tutte le opere connesse siano soggette ad un'autorizzazione unica rilasciata dal Ministro interrogato, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, previo parere della sola Conferenza unificata;
la medesima legge non tiene conto del ruolo delle regioni e dei comuni, limitandosi a prevedere un semplice parere in sede di Conferenza unificata e non una precisa intesa con la regione interessata dalla realizzazione di impianti per la produzione di energia nucleare, scavalcando completamente non solo le regioni stesse, ma anche gli enti locali ai fini della localizzazione di impianti e aree. Insomma, si assiste ad un'evidente sostanziale centralizzazione delle procedure;
la legge prevede, di fatto, che i siti delle nuove centrali e i luoghi per la gestione delle scorie potranno essere localizzati anche contro il parere della regione che dovrà ospitarli, dal momento che gli impianti potranno essere equiparati ad opere d'interesse strategico nazionale (al pari delle installazioni militari) e che, quindi, il Governo può essere legittimato a mandare l'esercito a difendere la sua scelta. Una strada, questa, peraltro già intrapresa con il decreto-legge sui rifiuti in Campania del giugno 2008;
dalla giurisprudenza costituzionale emerge come non si possa procedere alla localizzazione degli impianti senza l'intesa con le singole regioni, in violazione dei

principi sanciti dal titolo V della Costituzione sui poteri concorrenti delle regioni in materia di governo del territorio e di energia;
è per questa esclusione di fatto dall'iter decisionale relativo alla localizzazione degli impianti che numerose regioni hanno già provveduto a impugnare la norma di fronte alla Corte costituzionale ed altre sono in procinto di farlo;
sebbene il Governo smentisca l'esistenza ad oggi di una mappa già definita dove ubicare gli impianti nucleari e di smaltimento delle scorie, si susseguono le notizie di stampa relative ad una lista stilata da incaricati del Governo di dieci siti ospitanti le centrali nucleari e lo smaltimento delle scorie: Trino Vercellese (Vercelli) in Piemonte, Caorso (Piacenza) in Emilia Romagna, Monfalcone (Gorizia) in Friuli Venezia Giulia, Chioggia (Venezia) in Veneto, Montalto di Castro (Viterbo) nel Lazio, Oristano in Sardegna, Termoli (Campobasso) in Molise, Scanzano Jonico (Matera) in Basilicata, Termini Imerese (Palermo) e Palma (Agrigento) in Sicilia;
tra i criteri di esclusione, ai fini dell'individuazione dei siti, dovrebbero, peraltro, essere tenute in debita considerazione sia la vocazione turistica di una determinata area, sia l'eventuale presenza di industrie e di impianti di produzione energetica, e quindi il contributo che già una determinata regione porta alla produzione energetica nazionale, ben oltre il proprio fabbisogno -:
sulla base di quali studi e con quali criteri venga individuata la localizzazione dei siti ospitanti impianti nucleari, nonché lo stoccaggio delle scorie radioattive, se già il Governo abbia un elenco dei probabili siti e con quali modalità e procedure si preveda di coinvolgere nella massima trasparenza le popolazioni e gli enti locali interessati, garantendo un'indispensabile condivisione su scelte così rilevanti per il futuro di quei territori e del nostro Paese.
(3-00737)

Interrogazione a risposta in Commissione:

CIMADORO. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
nell'aprile 2007 fu concluso l'accordo tra Mediobanca, Intesa Sanpaolo, Generali, Benetton e la spagnola Telefonica per il controllo di Telecom Italia attraverso la costituzione di una «newco», Telco Spa, che rilevò il 100 per cento di Olimpia (che controllava Telecom attraverso la propria quota del 18 per cento);
con la medesima operazione Telco Spa arrivò a possedere circa il 23,6 per cento del capitale votante di Telecom Italia, il 18 per cento del quale acquisito tramite Olimpia ed il 5,6 per cento apportato da Generali e Mediobanca; a seguito di quella operazione e ad oggi, i soci italiani possiedono il 57,7 per cento di Telco (in particolare, Generali ha il 28,1 per cento, Intesa Sanpaolo il 10,6 per cento, Mediobanca il 10,6 per cento e Sintonia 18,4 per cento), mentre Telefonica, primo azionista, controlla il restante 42,3 per cento;
la presenza dell'operatore spagnolo ha suscitato fin dall'inizio notevoli perplessità: non si comprendeva come fosse possibile che Telefonica, il più agguerrito concorrente di Telecom Italia in Sud America, fosse presente nella holding di controllo di Telecom, ma soprattutto, non pareva chiaro il perché Telefonica avesse speso 2,90 euro per azione, ossia il 30-40 per cento in più delle quotazioni di allora, senza assicurarsi di poter agire efficacemente sulle strategie della partecipata;
l'unico senso industriale che poteva avere la mossa di Telefonica era quello di costruirsi una base per comprare Telecom o le sue controllate in Brasile, o, comunque, indebolire il socio-competitore;
in questi due anni però, i soci italiani poco hanno potuto ed inciso in termini di impronta «operativa» all'interno

di Telecom Italia; quello che è l'aspetto tecnico-operativo nonché strategico dell'operatore italiano, su cui solo esperti del settore e non semplici soci finanziari avrebbero potuto incidere, è stato totalmente trascurato, e Telecom sta pagando un prezzo davvero alto per il suo mancato sviluppo;
il problema del debito Telecom - che non è certo di solvibilità, ma di flessibilità finanziaria - non è stato risolto, di aumenti di capitale non si parla e il rientro del debito, derivante di fatto dalle precedenti operazioni finalizzate a mantenere in mani italiane il controllo del gruppo, procede col contagocce;
inoltre, la presenza degli spagnoli in Telco ha fornito lo spunto alle autorità di Buenos Aires per intimare a Telecom l'uscita da Telecom Argentina, tanto che l'azienda sta per vendere le sue partecipazioni sottocosto; in Brasile, Tim Partecipatoes cresce di pochi punti percentuali, a differenza di Vivo (Telefonica) e Claro (Carlos Slim);
Telefonica è riuscita invece a bloccare i propri competitor sia in Europa che in Sud America, impedendo così a Telecom qualsiasi tipo di alleanze (come quella, ad esempio, tra Deutsche Telecom e France Telecom); Telefonica ha inoltre impedito lo scorporo della rete, operazione che rappresentava una valida alternativa per il recupero di consistenti risorse economiche da dedicare allo sviluppo internazionale e alla riduzione del debito, una volta archiviato il tema «aumento di capitale» senza chiarirne bene i motivi; inoltre, colpisce la totale assenza di sinergie industriali tra Telecom Italia e Telefonica;
il dato più significativo è comunque quello relativo ai «guadagni»: perché dalla fine del 2006 ad oggi, Telecom Italia ha perso circa il 44 per cento. Telefonica ha guadagnato circa il 40 per cento, rafforzando la propria posizione in Europa e nel mondo, anche attraverso l'acquisizione del 10 per cento di China Unicom;
proprio in questi giorni, in vista della scadenza del termine per il rinnovo del patto Telco (le eventuali disdette devono essere comunicate entro il 28 ottobre 2009), si ripropone il tema del ruolo della spagnola Telefonica nell'azionariato di riferimento del gruppo;
la maggioranza dei soci - oltre a Telefonica, anche Generali, Mediobanca, Intesa-Sanpaolo e Sintonia-Benetton - era già orientata a confermare lo status quo. Qualche dubbio è emerso dal fronte politico (le dichiarazioni pubbliche del vice-ministro Paolo Romani, che ha definito «un problema» la quota del 42,3 per cento che Telefonica detiene in Telco), mentre i piccoli azionisti dell'Asati hanno manifestato senza mezzi termini la loro contrarietà al rinnovo del patto tout court, proprio per i motivi sopra citati;
bisogna riflettere nel trovare altre soluzioni nazionali, alternative al rinnovo del patto con Telefonica, la quale porterebbe ulteriori delusioni facendo rimanere Telecom Italia in una continua fase di «galleggiamento» senza strategie di breve e medio termine, se non quelle di ridurre drasticamente il personale e gli investimenti tecnologici;
in più occasioni esponenti del Governo hanno pubblicamente espresso l'idea che l'infrastruttura di rete di Telecom Italia debba rimanere italiana nonché l'auspicio affinché sia difesa l'italianità della compagnia -:
quali iniziative intenda intraprendere il Governo, nell'ambito delle sue competenze ed esercitando la propria moral suasion sui principali partner italiani, per rilanciare un'azienda, Telecom Italia, che, con la presenza di Telefonica, ha ben poche possibilità di tornare ad essere uno dei principali operatori europei e mondiali del settore, recando un grave danno non solo per il futuro prossimo della società, ma anche per la crescita dell'intero Paese che ha nelle telecomunicazioni un motore per far ripartire

lo sviluppo, soprattutto in questo fase di crisi economica.
(5-02012)

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Apposizione di una firma ad una mozione.

La mozione Ghiglia e altri n. 1-00258, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 ottobre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Stradella.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

L'interrogazione a risposta scritta Speciale e Versace n. 4-04665, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 ottobre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Angela Napoli.
L'interrogazione a risposta scritta Ciocchetti n. 4-04679, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 ottobre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato De Poli.

Pubblicazione di un testo riformulato.

Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta immediata in commissione Toccafondi n. 5-01850, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 223 del 30 settembre 2009.

TOCCAFONDI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
con il bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2009, alla tabella 7, il capitolo di bilancio riguardante l'istruzione scolastica non statale è stato ridotto di oltre 133 milioni di euro, ovvero del 25 per cento rispetto al bilancio assestato 2008;
il bilancio pluriennale per il triennio 2009-2011 assegna al programma 1.9 (Istituzioni scolastiche non statali) oltre 406 milioni di euro per l'anno 2010 e oltre 312 milioni di euro per l'anno 2011; al Senato è stato approvato un emendamento al disegno di legge di bilancio, 2.Tab.2.200-5 del Relatore, che prevede nel 2009 risorse per 120 milioni di euro «Allo stato di previsione del Ministero dell'Istruzione, dell'università e della ricerca»;
l'emendamento sopra citato inserisce nello stato di previsione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca un nuovo programma 1.10 - Interventi in materia di istruzione, con una dotazione di 120 milioni di euro per il 2009 (u.p.b. 1.10.2 - Interventi - capitolo 1299) a fronte della riduzione sopra richiamata di oltre 133 milioni di euro;
con ordine del giorno 9/1714-B/1 presentato nella seduta di venerdì 19 dicembre 2008, n. 108, si impegnava il Governo ad utilizzare le nuove risorse al fine di reintegrare il fondo per l'istituzione scolastica non statale; a reintegrare completamente, entro l'anno, il fondo nel bilancio previsionale 2009 «Istituzioni scolastiche non statali» fino al raggiungimento della quota prevista per il 2008 e a garantire almeno lo stesso livello di finanziamento per i successivi anni; nonché ad adottare le opportune iniziative di propria competenza affinché, nell'arco della legislatura, sia reso possibile il totale raggiungimento della parità scolastica;
con la mozione - Cicchitto, Cota ed altri - n. 1-00154 in materia di parità scolastica e approvata dalla Camera nella seduta di mercoledì 6 maggio 2009, si impegna il Governo, tra le altre cose, a realizzare le condizioni per un'effettiva libertà di scelta educativa fra scuole statali e paritarie incrementando, fin dal disegno di legge di bilancio per il 2010, le risorse destinate al sistema paritario;
nella risposta a una precedente interrogazione a risposta immediata in commissione

(n. 5-01551), in data 25 giugno 2009 il Ministero dell'economia e delle finanze faceva presente che «la richiesta del reintegro delle risorse in questione non potrà che essere valutata in sede di programmazione finanziaria per l'anno 2010», essendo tale documento in fase di predisposizione -:
quali misure intenda adottare al fine di dare attuazione ai sopra richiamati impegni assunti in sede parlamentare dal Governo e di garantire per l'anno 2010 il pieno reintegro delle dotazioni finanziarie relative all'istruzione scolastica non statale.
(5-01850)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
interpellanza urgente Belcastro n. 2-00515 del 20 ottobre 2009;
interrogazione a risposta scritta Occhiuto n. 4-04680 del 22 ottobre 2009;
interrogazione a risposta in Commissione Naro n. 5-01996 del 22 ottobre 2009;
interrogazione a risposta orale Compagnon n. 3-00729 del 26 ottobre 2009.