XVI LEGISLATURA
COMUNICAZIONI
Missioni valevoli nella seduta dell'11 gennaio 2010.
Albonetti, Alfano Angelino, Berlusconi, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brunetta, Buonfiglio, Buttiglione, Carfagna, Casero, Cicchitto, Colucci, Cosentino, Cossiga, Cota, Craxi, Crimi, Crosetto, Fitto, Franceschini, Frattini, Gelmini, Gibelli, Giorgetti Alberto, Giorgetti Giancarlo, Giro, La Russa, Mantovano, Maroni, Martini, Mazzocchi, Meloni, Menia, Miccichè, Orlando Leoluca, Prestigiacomo, Roccella, Romani, Ronchi, Rotondi, Saglia, Stefani, Tremonti, Urso, Vito.
Annunzio di proposte di legge.
In data 4 gennaio 2010 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
PILI: «Piano attuativo per il riequilibrio dell'insularità della Sardegna (PARIS), in attuazione dell'articolo 13 dello Statuto speciale per la Sardegna, di cui alla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, e dell'articolo 22 della legge 5 maggio 2009, n. 42» (3087);
JANNONE: «Incentivi in favore delle imprese che finanziano opere pubbliche» (3088);
JANNONE: «Interventi per agevolare la libera imprenditorialità e per il sostegno del reddito» (3089);
JANNONE: «Disposizioni in materia di sicurezza negli istituti di credito» (3090);
JANNONE: «Norme in materia di definizione transattiva dei crediti erariali derivanti da sentenze di condanna della Corte dei conti» (3091).
In data 5 gennaio 2010 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
SAMPERI: «Disposizioni concernenti le attività terapeutiche di riabilitazione eseguite attraverso l'utilizzo del cavallo e istituzione del Registro nazionale degli operatori della riabilitazione equestre» (3092);
BERNARDINI ed altri: «Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, concernenti l'introduzione di una misura alternativa alla detenzione denominata "patto per il reinserimento e la sicurezza sociale"» (3093);
BERNARDINI ed altri: «Introduzione dell'articolo 593-bis del codice penale, concernente il reato di tortura, e altre norme in materia di tortura» (3094);
MAURIZIO TURCO ed altri: «Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle vicende dello stabilimento della società FIAT di Termini Imerese» (3095);
JANNONE: «Modifiche all'articolo 35 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, in materia di trasferimenti pubblici in favore dell'INPDAP a sostegno delle gestioni previdenziali» (3096).
In data 8 gennaio 2010 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
ANNA TERESA FORMISANO: «Modifica all'articolo 1 della legge 12 marzo 1999, n. 68, e altre disposizioni in materia di collocamento obbligatorio in favore delle persone invalide a causa di calamità naturali e dei congiunti delle vittime di calamità naturali» (3098);
RAZZI: «Disposizioni per l'introduzione del voto diretto mediante sistema elettronico per lo svolgimento delle elezioni e dei referendum in favore di tutti i cittadini italiani residenti in Italia e all'estero» (3099).
Saranno stampate e distribuite.
Annunzio di un disegno di legge.
In data 7 gennaio 2010 è stato presentato alla Presidenza il seguente disegno di legge:
dal Presidente del Consiglio dei ministri e dai ministri degli affari esteri, della difesa, dell'interno, della giustizia e dell'economia e delle finanze:
«Conversione in legge del decreto-legge 1o gennaio 2010, n. 1, recante disposizioni urgenti per la proroga degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia e disposizioni urgenti per l'attivazione del Servizio europeo per l'azione esterna e per l'Amministrazione della Difesa» (3097).
Sarà stampato e distribuito.
Adesione di deputati a proposte di legge.
La proposta di legge BRESSA ed altri: «Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza» (457) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Marco Carra.
La proposta di legge RAISI e BERNINI: «Modifica all'articolo 54 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, in materia di deducibilità delle spese di partecipazione a convegni e corsi ai fini della determinazione del reddito di lavoro autonomo» (1007) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Reguzzoni.
La proposta di legge FARINONE ed altri: «Norme per il reinserimento dei lavoratori con qualifica di dirigente o di quadro espulsi precocemente dal mondo del lavoro» (1033) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Mosca.
La proposta di legge SERVODIO ed altri: «Disposizioni in favore degli agrumeti caratteristici delle fasce costiere di particolare pregio paesaggistico e a rischio di dissesto idrogeologico» (1140) è stata successivamente sottoscritta dai deputati Di Giuseppe e Rota.
La proposta di legge VIGNALI ed altri: «Disposizioni per la liberalizzazione dell'attività d'impresa» (1325) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Reguzzoni.
La proposta di legge PAGLIA: «Estensione del diritto all'assegno supplementare, corrisposto alle vedove dei grandi invalidi di guerra, in favore delle vedove dei grandi invalidi per servizio» (1421) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Marinello.
La proposta di legge PAGLIA: «Disposizioni per l'adeguamento economico e normativo delle pensioni di guerra e dell'indennità di assistenza e di superinvalidità in favore dei grandi invalidi di guerra e per servizio e dei loro superstiti» (1457) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Marinello.
La proposta di legge REALACCI ed altri: «Norme per la valorizzazione dei prodotti alimentari provenienti da filiera corta a chilometro zero e di qualità» (1481) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Di Giuseppe.
La proposta di legge PAGLIA: «Modifiche al testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092, e altre disposizioni concernenti il trattamento pensionistico del personale militare riformato per causa di servizio» (1554) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Marinello.
La proposta di legge SBAI e CONTENTO: «Modifica all'articolo 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152, concernente il divieto di indossare gli indumenti denominati burqa e niqab» (2422) è stata successivamente sottoscritta dai deputati Angeli, Barbieri, Cosenza, Di Biagio, Angela Napoli, Rubinato e Saltamartini.
La proposta di legge LULLI ed altri: «Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale» (2653) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Vico.
La proposta di legge SCILIPOTI ed altri: «Incentivi per la ricerca e disposizioni per favorire l'accesso alle terapie nel settore delle malattie rare, ai sensi dell'articolo 9 del regolamento (CE) n. 141/2000 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 1999» (2770) è stata successivamente sottoscritta dai deputati Rampi e Tassone.
La proposta di legge SORO ed altri: «Norme per la tutela delle vittime di reati per motivi di omofobia e transfobia» (2802) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Marco Carra.
Restituzione di disegni di legge di conversione al Governo per la presentazione al Senato della Repubblica.
Il ministro per i rapporti con il Parlamento, con lettere in data 7 gennaio 2010, ha chiesto che i seguenti disegni di legge, presentati alla Camera dei deputati il 30 dicembre 2009, siano trasferiti al Senato della Repubblica:
«Conversione in legge del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative» (3085);
«Conversione in legge del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 195, recante disposizioni urgenti per la cessazione dello stato di emergenza in materia di rifiuti nella regione Campania, per l'avvio della fase post emergenziale nel territorio della regione Abruzzo ed altre disposizioni urgenti relative alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed alla protezione civile» (3086).
I disegni di legge sono stati pertanto restituiti al Governo per essere presentati al Senato della Repubblica e saranno cancellati dall'ordine del giorno.
Annunzio di una domanda di autorizzazione all'utilizzo di intercettazioni di conversazioni.
Con nota pervenuta l'8 gennaio 2010, il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Napoli ha trasmesso una domanda di autorizzazione all'utilizzo di intercettazioni di conversazioni del deputato Nicola COSENTINO nell'ambito del procedimento penale n. 36856/01 RGNR - n. 74678/02 RGGIP. La domanda è stata trasmessa alla competente Giunta per le autorizzazioni.
Copia della domanda sarà stampata e distribuita (doc. IV, n. 6).
Trasmissione dal Presidente del Consiglio dei ministri.
Il Presidente del Consiglio dei ministri, con lettera in data 29 dicembre 2009, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 8, comma 4, della legge 12 giugno 1990, n. 146, copia di una ordinanza, emessa dal ministro delle infrastrutture e dei trasporti in data 10 dicembre 2009, relativa allo sciopero proclamato per i giorni 12 e 13 dicembre 2009, riguardante il personale di macchina e il personale viaggiante dipendente dalla società Trenitalia.
Questa documentazione è trasmessa alla IX Commissione (Trasporti) e alla XI Commissione (Lavoro).
Annunzio di sentenze della Corte costituzionale.
La Corte costituzionale ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 30, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, copia delle seguenti sentenze che, ai sensi dell'articolo 108, comma 1, del regolamento, sono inviate alle sottoindicate Commissioni competenti per materia, nonché alla I Commissione (Affari costituzionali), se non già assegnate alla stessa in sede primaria:
con lettera in data 30 dicembre 2009, sentenza n. 339 del 16 - 30 dicembre 2009 (doc. VII, n. 335),con la quale:
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 8, comma 3, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, nella parte in cui non prevede un adeguato coinvolgimento delle regioni nel procedimento finalizzato all'adozione del decreto del Ministero dello sviluppo economico, concernente le modalità delle procedure competitive per l'attribuzione della concessione ad altro titolare;
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 10 del decreto-legge n. 112 del 2008, nella parte in cui non prevede che il Ministero dello sviluppo economico assuma sui programmi ivi previsti il parere della Conferenza Stato-regioni di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 7 del decreto-legge n. 112 del 2008, promosse, in riferimento all'articolo 117, terzo comma, della Costituzione e al principio di leale collaborazione, dalla regione Piemonte e, limitatamente al comma 2, dalla regione Emilia-Romagna;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 8,comma 3, del decreto-legge n. 112 del 2008, promossa, in riferimento all'articolo 117, terzo comma, della Costituzione e al principio di leale collaborazione, dalla regione Emilia-Romagna, nella parte in cui tale disposizione non prevederebbe la necessità dell'intesa con la regione interessata, in sede di rilascio della concessione di coltivazione di idrocarburi:
alla X Commissione (Attività produttive);
con lettera in data 30 dicembre 2009, sentenza n. 340 del 16 - 30 dicembre 2009 (doc. VII, n. 336),con la quale:
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 58, comma 2, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, esclusa la proposizione iniziale: «L'inserimento degli immobili nel piano ne determina la conseguente classificazione come patrimonio disponibile e ne dispone espressamente la destinazione urbanistica»;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 58, commi 1 e da 3 a 9, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, sollevata dalla regione Veneto, in riferimento all'articolo 117, terzo comma, della Costituzione;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 58, comma 1, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, sollevata dalla regione Piemonte, in riferimento agli articoli 117, terzo e quarto comma, e 118, secondo comma, della Costituzione;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 58, comma 1, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, sollevata dalla regione Emilia-Romagna, in riferimento all'articolo 117, terzo comma, della Costituzione:
alla VIII Commissione (Ambiente);
con lettera in data 30 dicembre 2010, sentenza n. 341 del 16 - 30 dicembre 2009 (doc. VII, n. 337), con la quale:
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 61, comma 17, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, nella parte in cui si applica all'università della Valle d'Aosta;
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 61, comma 14, del decreto-legge n. 112 del 2008, nella parte in cui si applica alle Province autonome di Trento e di Bolzano;
dichiara la cessazione della materia del contendere in ordine alle questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 61, comma 8, del decreto-legge n. 112 del 2008, proposte dalle regioni Piemonte, Emilia-Romagna, Veneto e Toscana;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 18, comma 4-sexies, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, proposta, in relazione all'articolo 119 della Costituzione, dalla regione Veneto;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 18, comma 4-sexies, del decreto-legge n. 185 del 2008, proposte, in relazione all'articolo 117 della Costituzione, dalle regioni Toscana e Veneto;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 18, comma 4-sexies, del decreto-legge n. 185 del 2008, proposta, in relazione al principio di leale collaborazione, dalla regione Veneto;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 61, comma 9, del decreto-legge n. 112 del 2008, proposte, in relazione all'articolo 119 della Costituzione, dalle regioni Emilia-Romagna e Veneto;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 61, commi 14 e 16, del decreto-legge n. 112 del 2008, proposte, in relazione agli articoli 117 e 119 della Costituzione, dalla regione Emilia-Romagna;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 61, comma 20, lettera b), del decreto-legge n. 112 del 2008, proposta, in relazione all'articolo 119 della Costituzione, dalla regione Emilia-Romagna;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 61, comma 21, del decreto-legge n. 112 del 2008, proposta, in relazione all'articolo 119 della Costituzione e al principio di leale collaborazione, dalla regione Emilia-Romagna;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 61, commi 14, 19, 20, lettera b), e 21, del decreto-legge n. 112 del 2008, proposte, in relazione agli articoli 117 e 119 della Costituzione, dalla regione Veneto;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 61, commi 14, 16, 19, 20, lettera b), e 21, del decreto-legge n. 112 del 2008, proposte, in relazione agli articoli 117 e 119 della Costituzione, nonché al principio di leale collaborazione, dalla regione Calabria;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 18, comma 4-sexies, del decreto-legge n. 185 del 2008, proposte, in relazione agli articoli 3, 97 e 118 della Costituzione, dalla regione Veneto;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 61, comma 9, del decreto-legge n. 112 del 2008, proposte, in relazione agli articoli 117 e 119 della Costituzione, dalla regione Piemonte;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 61, comma 15, primo periodo, del decreto-legge n. 112 del 2008, proposta dalla Provincia autonoma di Trento, in relazione agli articoli 117 e 119 della Costituzione, agli articoli 8, comma 1, numero 1), 9, comma 1, numero 10), 16 e da 69 a 86 (Titolo VI) del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), nonché all'articolo 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento):
alla V Commissione (Bilancio).
Trasmissioni dalla Corte dei conti.
La Corte dei conti - sezione di controllo per gli affari comunitari ed internazionali - con lettera in data 24 dicembre 2009, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 3, comma 6, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, la delibera n. 5 del 2009, con la quale la sezione stessa ha approvato la relazione per l'anno 2009 sui rapporti finanziari con l'Unione europea e sull'utilizzazione dei fondi comunitari al 31 dicembre 2008.
Questa documentazione è trasmessa alla V Commissione (Bilancio) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).
La Corte dei conti - sezione del controllo sugli enti - con lettera in data 29 dicembre 2009, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relativa relazione riferita al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria delle Autorità portuali di Ancona, di Augusta, di Bari, di Brindisi, di Cagliari, di Catania, di Civitavecchia, di Genova, di Gioia Tauro, di La Spezia, di Livorno, di Manfredonia, di Marina di Carrara, di Messina, di Napoli, di Olbia e Golfo Aranci, di Palermo, di Piombino, di Ravenna, di Salerno, di Savona, di Trapani, di Trieste e di Venezia, per l'esercizio 2006. Alla determinazione sono allegati i documenti rimessi dagli enti ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (doc. XV, n. 158).
Questo documento - che sarà stampato - è trasmesso alla V Commissione (Bilancio) e alla IX Commissione (Trasporti).
La Corte dei conti - sezione del controllo sugli enti - con lettera in data 29 dicembre 2009, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relativa relazione riferita al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'Ente nazionale di previdenza e di assistenza per i lavoratori dello spettacolo (ENPALS), per gli esercizi 2007 e 2008. Alla determinazione sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (doc. XV, n. 160).
Questo documento - che sarà stampato - è trasmesso alla V Commissione (Bilancio) e alla XI Commissione (Lavoro).
La Corte dei conti - sezione del controllo sugli enti - con lettera in data 30 dicembre 2009, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relativa relazione riferita al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'ANAS Spa, per l'esercizio 2008. Alla determinazione sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (doc. XV, n. 159).
Questo documento - che sarà stampato - è trasmesso alla V Commissione (Bilancio) e alla VIII Commissione (Ambiente).
La Corte dei conti, con lettera in data 31 dicembre 2009, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 4, comma 2, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, il bilancio di previsione della Corte stessa, approvato con decreto del presidente della Corte dei conti in data 31 dicembre 2009, relativo all'anno finanziario 2010.
Questa documentazione è trasmessa alla V Commissione (Bilancio).
La Corte dei conti - sezione del controllo sugli enti - con lettera in data 8 gennaio 2010, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relativa relazione riferita al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'Opera nazionale di assistenza per il personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, per gli esercizi dal 2003 al 2008. Alla determinazione sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (doc. XV, n. 161).
Questo documento - che sarà stampato - è trasmesso alla I Commissione (Affari costituzionali) e alla V Commissione (Bilancio).
La Corte dei conti - sezione del controllo sugli enti - con lettera in data 8 gennaio 2010, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relativa relazione riferita al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria del Parco nazionale Gran Paradiso, per l'esercizio 2008. Alla determinazione sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (doc. XV, n. 162).
Questo documento - che sarà stampato - è trasmesso alla V Commissione (Bilancio) e alla VIII Commissione (Ambiente).
Trasmissione dal sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri.
Il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettera in data 29 dicembre 2009, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 8, comma 3, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303, il bilancio di previsione per l'anno 2010 e il bilancio pluriennale 2010-2012 della Presidenza del Consiglio dei ministri, approvati in data 17 dicembre 2009.
Questo documento è trasmesso alla I Commissione (Affari costituzionali) e alla V Commissione (Bilancio).
Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.
La Commissione europea, tra il 23 dicembre 2009 e l'11 gennaio 2010, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del regolamento, alle sottoindicate Commissioni, con il parere, se non già assegnati alla stessa in sede primaria, della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
relazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni: Parità tra donne e uomini - 2010 (COM(2009)694 definitivo) (trasmessa il 23 dicembre 2009), che è assegnata in sede primaria alla I Commissione (Affari costituzionali);
relazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale europeo: relazione annuale 2008 sullo strumento di assistenza preadesione (IPA) (COM(2009)699 definitivo) (trasmessa il 23 dicembre 2009), che è assegnata in sede primaria alle Commissioni riunite III (Affari esteri) e XIV (Politiche dell'Unione europea);
comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni: Seconda relazione sull'attuazione del programma comunitario di Lisbona 2008-2010 (COM(2009)678 definitivo) (trasmessa il 4 gennaio 2010), che è assegnata in sede primaria alle Commissioni riunite V (Bilancio) e XIV (Politiche dell'Unione europea);
comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni relativa all'applicazione della direttiva 2004/23/CE sulla definizione di norme di qualità e di sicurezza per la donazione, l'approvvigionamento, il controllo, la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e cellule umani (COM(2009)708 definitivo) (trasmessa il 6 gennaio 2010), che è assegnata in sede primaria alla XII Commissione (Affari sociali);
relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo conformemente all'articolo 16 del regolamento (CE) n. 273/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 febbraio 2004, e all'articolo 32 del regolamento (CE) n. 111/2005 del Consiglio relativi all'applicazione e al funzionamento della legislazione comunitaria in materia di controllo del commercio dei precursori di droghe (COM(2009)709 definitivo) (trasmessa il 7 gennaio 2010), che è assegnata in sede primaria alle Commissioni riunite II (Giustizia) e XII (Affari sociali);
relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sull'applicazione del regolamento (CE) n. 2111/2005, relativo all'istituzione di un elenco comunitario di vettori aerei soggetti a un divieto operativo all'interno della Comunità e alle informazioni da fornire ai passeggeri del trasporto aereo sull'identità del vettore aereo effettivo e che abroga l'articola 9 della direttiva 2004/36/CE (COM(2009)710 definitivo) (trasmessa l'11 gennaio 2010), che è assegnata in sede primaria alla IX Commissione (Trasporti).
Il ministro per le politiche europee, con lettere in data 29 dicembre 2009 e 8 gennaio 2010, ha trasmesso, ai sensi degli articoli 3 e 19 della legge 4 febbraio 2005, n. 11, progetti di atti dell'Unione europea, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi.
Tali atti sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del regolamento, alle Commissioni competenti per materia, con il parere, se non già assegnati alla stessa in sede primaria, della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).
Nell'ambito dei documenti trasmessi il 29 dicembre 2009, il Governo ha richiamato l'attenzione sul documento n. 17691/09 - Libro verde sulla ricerca delle prove in materia penale tra Stati membri e sulla garanzia della loro ammissibilità (COM(2009)624 definitivo), che è assegnato in sede primaria alla II Commissione (Giustizia).
In data 8 gennaio 2010, il Governo ha altresì richiamato l'attenzione sulla relazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sulla valutazione ex-post del programma Erasmus Mundus 2004-2008 (COM(2009)695 definitivo), già trasmessa dalla Commissione europea e assegnata alle Commissioni competenti in data 22 dicembre 2009.
Annunzio di provvedimenti concernenti amministrazioni locali.
Il Ministero dell'interno, con lettere in data 28 dicembre 2009, ha dato comunicazione, ai sensi dell'articolo 141, comma 6, del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, dei decreti del Presidente della Repubblica di scioglimento dei consigli comunali di Bianco (Reggio Calabria), Vermezzo (Milano) e Sant'Anastasia (Napoli).
Questa documentazione è depositata presso il Servizio per i Testi normativi a disposizione degli onorevoli deputati.
Trasmissione dal Garante del contribuente della regione Friuli-Venezia Giulia.
Il Garante del contribuente della regione Friuli-Venezia Giulia, con lettera in data 23 dicembre 2009, ha trasmesso la relazione sullo stato dei rapporti tra fisco e contribuenti nel campo della politica fiscale riferita all'anno 2009, predisposta ai sensi dell'articolo 13, comma 13-bis, della legge 27 luglio 2000, n. 212.
Questa documentazione è trasmessa alla VI Commissione (Finanze).
Trasmissione dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas.
Il presidente dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas, con lettera in data 29 dicembre 2009, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 81, comma 18, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, la relazione relativa all'attività di vigilanza svolta dall'Autorità stessa nel corso dell'anno 2009 ai fini del rispetto del divieto di traslazione dell'onere della maggiorazione di imposta sui prezzi al consumo nel settore energetico e sugli effetti delle disposizioni di cui al comma 16 del citato articolo 81 (doc. XXVII, n. 18).
Questo documento - che sarà stampato - è trasmesso alla X Commissione (Attività produttive).
Trasmissione dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato.
Il presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, con lettera in data 30 dicembre 2009, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 21 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, una segnalazione relativa alla gestione della produzione di energia idroelettrica in provincia di Bolzano, con particolare riferimento all'articolo 19, commi 6 e 7, della legge provinciale 20 luglio 2006, n. 7.
Questa documentazione è trasmessa alla X Commissione (Attività produttive).
Richieste di parere parlamentare su proposte di nomina.
Il ministro per i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 14 dicembre 2009, ha inviato, ai sensi dell'articolo 1 della legge 24 gennaio 1978, n. 14, la richiesta di parere parlamentare sulla proposta di nomina del professor Vincenzo Lorenzelli a presidente dell'Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico «Giannina Gaslini» di Genova (54).
Tale richiesta è assegnata, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del regolamento, alla XII Commissione (Affari sociali).
Il ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con lettera in data 14 dicembre 2009, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 1 della legge 24 gennaio 1978, n. 14, la richiesta di parere parlamentare sulla proposta di nomina del professor Pierleonardo Zaccheo a presidente dell'Ente nazionale parco della Val Grande (55).
Tale richiesta è assegnata, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del regolamento, alla VIII Commissione (Ambiente).
Il ministro per i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 17 dicembre 2009, ha inviato, ai sensi dell'articolo 1 della legge 24 gennaio 1978, n. 14, la richiesta di parere parlamentare sulla proposta di nomina del dottor Davide Giacalone a presidente dell'ente DigitPA (56).
Tale richiesta è assegnata, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del regolamento, alla I Commissione (Affari costituzionali).
Il ministro per i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 21 dicembre 2009, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 1 della legge 24 gennaio 1978, n. 14, la richiesta di parere parlamentare sulla proposta di nomina del dottor Arturo Semerari a presidente dell'Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (ISMEA) (57).
Tale richiesta è assegnata, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del regolamento, alla XIII Commissione (Agricoltura).
Il ministro per i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 21 dicembre 2009, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 1 della legge 24 gennaio 1978, n. 14, la richiesta di parere parlamentare sulla proposta di nomina del dottor Tiziano Baggio a presidente dell'Unione nazionale per l'incremento delle razze equine (UNIRE) (58).
Tale richiesta è assegnata, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del regolamento, alla XIII Commissione (Agricoltura).
Richieste di parere parlamentare su atti del Governo.
Il ministro per i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 28 dicembre 2009, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 25 della legge 23 luglio 2009, n. 99, la richiesta di parere parlamentare sullo schema di decreto legislativo recante la disciplina della localizzazione, della realizzazione e dell'esercizio di impianti di produzione di energia elettrica nucleare, di impianti di fabbricazione del combustibile nucleare, dei sistemi di stoccaggio, nonché delle misure compensative e delle campagne informative (174).
Tale richiesta, in data 8 gennaio 2010, è stata assegnata, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del regolamento, alla X Commissione (Attività produttive) nonché alla V Commissione (Bilancio).
Il ministro dell'economia e delle finanze, con lettera in data 15 dicembre 2009, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 4 della legge 6 febbraio 2009, n. 7, la richiesta di parere parlamentare sullo schema di decreto ministeriale concernente la misura e le modalità di corresponsione di un ulteriore indennizzo, per gli anni dal 2009 al 2011, ai soggetti titolari di beni, diritti e interessi sottoposti in Libia a misura limitative (175).
Tale richiesta è assegnata, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del regolamento, alla V Commissione (Bilancio), che dovrà esprimere il prescritto parere entro il 31 gennaio 2010.
Il ministro per i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 23 dicembre 2009, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 1, commi 3 e 5, della legge 6 febbraio 2007, n. 13, la richiesta di parere parlamentare sullo schema di decreto legislativo recante modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 118, recante attuazione della direttiva 2006/23/CE relativa alla licenza comunitaria dei controllori del traffico aereo (176).
Tale richiesta è assegnata, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del regolamento, alla IX Commissione (Trasporti) nonché, ai sensi del comma 2 dell'articolo 126 del regolamento, alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea) che dovranno esprimere il prescritto parere entro il 20 febbraio 2010. È altresì assegnata, ai sensi del comma 2 dell'articolo 96-ter del regolamento, alla V Commissione (Bilancio), che dovrà esprimere i propri rilievi sulle conseguenze di carattere finanziario entro il 31 gennaio 2010.
Il ministro per i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 30 dicembre 2009, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 53 della legge 23 luglio 2009, n. 99, la richiesta di parere parlamentare sullo schema di decreto legislativo recante riforma dell'ordinamento relativo alle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura (177).
Tale richiesta è assegnata, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del regolamento, alla X Commissione (Attività produttive), che dovrà esprimere il prescritto parere entro il 31 gennaio 2010. È altresì assegnata, ai sensi del comma 2 dell'articolo 96-ter del regolamento, alla V Commissione (Bilancio), che dovrà esprimere i propri rilievi sulle conseguenze di carattere finanziario entro il 21 gennaio 2010.
Atti di controllo e di indirizzo.
Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell'Allegato B al resoconto della seduta odierna.
Annunzio di riposte scritte ad interrogazioni.
Sono pervenute alla Presidenza dai competenti ministeri risposte scritte ad interrogazioni. Sono pubblicate nell'Allegato B al resoconto della seduta odierna.
MOZIONI BERNARDINI ED ALTRI N. 1-00288, VIETTI ED ALTRI N. 1-00240, DI STANISLAO ED ALTRI N. 1-00301, FRANCESCHINI ED ALTRI N. 1-00302 E VITALI ED ALTRI N. 1-00309 CONCERNENTI LA SITUAZIONE DEL SISTEMA CARCERARIO ITALIANO
Mozioni
La Camera,
premesso che:
il numero elevato ed in costante crescita della popolazione detenuta, che ad oggi si avvicina alle 66.000 presenze - a fronte di una capienza regolamentare di 43.074 posti e «tollerabile» di 64.111 -, produce un sovraffollamento insostenibile delle nostre strutture penitenziarie. Si tratta di una cifra record che non è stata mai registrata dai tempi dell'amnistia di Togliatti del 1946; basti pensare al fatto che il tasso di crescita dei detenuti è di poco inferiore alle 800 unità al mese, sicché si prevede che a fine anno la popolazione carceraria potrebbe sfiorare le 67.000 presenze (100.000 nel giugno del 2012). In alcune regioni il numero delle persone recluse è addirittura il doppio di quello consentito: in Emilia Romagna il tasso di affollamento è del 193 per cento; in Lombardia, Sicilia, Veneto e Friuli è intorno al 160 per cento;
come riscontrato anche nel corso dell'iniziativa «Ferragosto in carcere 2009» promossa dai Radicali Italiani, alla quale hanno partecipato parlamentari nazionali ed europei, consiglieri regionali ed alcuni garanti dei diritti dei detenuti, i nostri istituti di pena stanno affrontando una fase di profonda regressione che li rende non più aderenti al dettato costituzionale e all'ordinamento penitenziario;
ciò che accade nelle nostre carceri è soltanto l'epifenomeno della ben più ampia e grave situazione in cui versa il nostro apparato giudiziario posto che, attualmente, lo stato della giustizia ha raggiunto livelli di inefficienza assolutamente intollerabili, sconosciuti in altri Paesi democratici, per i quali l'Italia, da anni ed in modo permanente, sconta quella che ai firmatari del presente atto di indirizzo appare come una situazione di illegalità tale da aver generato numerosissime condanne da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo. Per questa situazione il nostro Paese è stato richiamato all'ordine a più riprese dal Consiglio d'Europa, che proprio di recente ha riconfermato nei contenuti e nei richiami un rapporto presentato dal Commissario Gil-Robles già nel 2005, il quale sottolineava proprio la necessità di un ripristino della legalità nel sistema giudiziario italiano. Nella relazione presentata alla Camera dei deputati il 27 gennaio 2009, il Ministro della giustizia ha, tra l'altro, detto: «Quello che di impressionante vi è da sottolineare immediatamente all'attenzione di tutti voi è la mole dei procedimenti pendenti, cioè, detto in termini più diretti, dell'arretrato o meglio ancora del debito giudiziario che lo Stato ha nei confronti dei cittadini: 5 milioni 425mila i procedimenti civili, 3 milioni 262mila quelli penali [che arrivano a 5 milioni e mezzo con i procedimenti pendenti nei confronti di ignoti]. Ma il vero dramma è che il sistema non solo non riesce a smaltire questo spaventoso arretrato, ma arranca faticosamente, senza riuscire neppure ad eliminare un numero almeno pari ai sopravvenuti, così alimentando ulteriormente il deficit di efficienza del sistema». Dunque secondo i dati ufficiali in Italia, l'arretrato pendente sfiora la cifra iperbolica di 5 milioni e mezzo di procedimenti penali, che sarebbero molti si più se solo negli ultimi dieci anni non si fossero contate ben 2 milioni di prescrizioni (nel nostro Paese secondo i dati ufficiali forniti dal ministero della giustizia si contano circa 200 mila procedimenti penali prescritti ogni anno). Occorre essere consapevoli che in un contesto del genere i concetti di «pena certa» e di esecuzione «reale» della stessa rischiano di risultare fortemente limitativi se non del tutto fuorvianti. In questo quadro e per queste ragioni, contro quella che, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, è un'amnistia anonima, banale, di classe ed illegale chiamata prescrizione, solo un ampio e definitivo provvedimento di amnistia e di indulto potrebbe consentire, da un lato, una sensibile riduzione della popolazione carceraria entro i limiti della capienza effettiva e regolamentare e, dall'altro, l'eliminazione di più della metà degli attuali procedimenti penali pendenti, ciò che darebbe il via a quelle riforme strutturali del sistema giudiziario e penitenziario senza le quali appaiono seriamente a rischio gli stessi diritti civili e della persona previsti dalla nostra Costituzione;
da un recente studio del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria risulta che, degli oltre 65.000 detenuti presenti nelle carceri italiane, circa la metà è costituito da persone in attesa di giudizio, e tra questi circa un 30 per cento verrà assolto all'esito del processo; un dato abnorme, un'anomalia tipicamente italiana che non trova riscontro negli altri Paesi europei; in pratica il ricorso sempre più frequente alla misura cautelare in carcere e la lunga durata dei processi costringe centinaia di migliaia di presunti innocenti a scontare lunghe pene in condizioni spesso poco dignitose;
sulla base delle statistiche e di alcuni studi dell'amministrazione penitenziaria, la metà degli imputati che lascia il carcere vi è rimasto non più di dieci giorni, mentre circa il 35 per cento esce dopo appena 48 ore; questo pesante turn over non fa altro che alimentare l'intasamento, il sovraffollamento ed il blocco dell'intero sistema penitenziario, dissipando energie nonché risorse umane ed economiche;
quasi il 40 per cento dei 65.000 carcerati si trova recluso in cella per aver violato le disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 (cosiddetto testo unico sulle droghe); mentre il 27 per cento della popolazione detenuta è tossicodipendente. Secondo il sesto rapporto sulle carceri redatto dalla associazione Antigone, il numero di tossicodipendenti che annualmente transitano nelle carceri italiane (26.646 nel 2006, 24.371 nel 2007, solo per fare un esempio) è decisamente superiore a quello di coloro che transitano nelle comunità terapeutiche (17.042 nel 2006; 16.433 nel 2007), il che dimostra come l'approccio terapeutico per questo tipo di detenuti sia stato concretamente dismesso. Quanto poi al sistema delle misure alternative per la presa in carico dei tossicodipendenti previsto dal citato testo unico sulle droghe (così come modificato dal decreto-legge n. 272 del 2005), va purtroppo segnalato come l'accesso alle stesse sia fermo a un quinto di quel che era prima dell'indulto. Al sistema penitenziario viene dunque affidata la maggiore responsabilità nel contrasto al fenomeno delle tossicodipendenze, quando è ormai noto che i tassi di recidiva per chi esce dal carcere sono estremamente elevati, assai più di quelli di chi sconta la propria pena in misura alternativa, e che il gruppo con il maggior tasso di recidiva è proprio quello dei tossicodipendenti;
al 10 novembre 2009, i detenuti stranieri reclusi negli istituti di pena risultavano essere 24.190 (pari a circa il 37 per cento del totale); gli stranieri ristretti nei nostri istituti di pena sono, nella maggioranza dei casi, esclusi dall'accesso ai benefici penitenziari per la carenza di supporti esterni (famiglia, lavoro ed altro) ed il loro reinserimento sociale appare sempre più problematico a causa della condizioni di irregolarità che li riguarda;
tra quanti in Italia stanno scontando una condanna definitiva, il 32,4 per cento ha un residuo di pena inferiore ad un anno, addirittura il 64,9 per cento inferiore a tre anni, soglia che rappresenta il limite di pena per l'accesso alle misure alternative della semilibertà e dell'affidamento in prova, il che dimostra come in Italia il sistema delle misure alternative si sia sostanzialmente inceppato; ciò accade nonostante le statistiche abbiano dimostrato, oltre ogni ragionevole dubbio, che il detenuto che sconta la pena con una misura alternativa ha un tasso di recidiva molto basso (circa il 28 per cento), mentre chi sconta la pena in carcere torna a delinquere con una percentuale del 68 per cento; le misure alternative quindi abbattono i costi della detenzione, riducono la possibilità che la persona reclusa commetta nuovi reati, aumentando la sicurezza sociale, e sconfiggono il deleterio «ozio del detenuto», avviandolo a lavori socialmente utili con diretto vantaggio per l'intera comunità;
nella realtà del nostro ordinamento giuridico, la misura di sicurezza detentiva è divenuta una variante solo nominalistica della pena, riducendosi a strumento per aggirare i principi di garanzia propri delle sanzioni. La questione è diventata ancora più grave laddove si consideri che la misura di sicurezza - che, è d'uopo ricordare, non è correlata alla colpevolezza ma alla pericolosità sociale - non solo si è trasformata nella sua pratica attuazione in una pena mascherata, ma è addirittura una pena a tempo indeterminato. Il rilievo va riferito, in particolar modo, alla misura di sicurezza detentiva della casa di lavoro, in quanto misura riservata agli imputabili, a differenza della casa di cura e di custodia, dell'ospedale psichiatrico giudiziario e del riformatorio giudiziario, applicabili ai non imputabili. A tal proposito, si segnalano i principali progetti di riforma del codice penale (progetto Commissione Pagliaro; progetto Commissione Grosso; progetto Commissione Nordio e da ultimo il progetto della Commissione Pisapia), tutti ugualmente concordi nel proporre l'abolizione del sistema del doppio binario, limitando l'applicazione delle misure di sicurezza ai soli soggetti non imputabili;
solo un detenuto su quattro ha la possibilità di svolgere un lavoro, spesso peraltro a stipendio dimezzato perché condiviso con un altro detenuto che altrimenti non avrebbe questa opportunità, mentre la percentuale delle persone recluse impegnate in corsi professionali è davvero irrisoria e non arriva al 10 per cento. Circa l'85 per cento dei lavoranti è alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria e svolge lavori di pulizia o di preparazione e distribuzione del vitto; il restante 15 per cento è costituito per la maggior parte da semiliberi che svolgono attività lavorativa in proprio o alle dipendenze di datori di lavoro esterni. Nella stragrande maggioranza dei casi, l'impossibilità di avviare a programmi di lavoro i detenuti è dovuta all'insufficienza degli educatori presenti in carcere, cioè di coloro che sono chiamati a stilare le relazioni a sostegno della concessione del lavoro esterno;
attualmente nelle carceri poco meno di 650 persone sono sottoposte al cosiddetto «carcere duro», ossia a quel regime detentivo speciale di cui all'articolo 41-bis della legge n. 354 del 1975 sull'ordinamento penitenziario che è stato sensibilmente inasprito con l'approvazione della recente legge n. 94 del 2009, la quale ha definitivamente reso la detenzione speciale una modalità ordinaria e stabile di esecuzione della pena, ciò, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, in evidente e aperto contrasto non solo con i nostri principi costituzionali che vietano qualsiasi trattamento contrario al senso di umanità e prevedono la funzione rieducativa della pena, ma anche con l'articolo 3 della Convenzione europea per la salva guardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali che vieta ogni forma di pena inumana e degradante;
a causa del sovraffollamento, un numero sempre maggiore di detenuti è costretto a scontare la condanna all'interno di istituti di pena situati a notevole distanza dalla propria regione di residenza, il che - oltre a contrastare con il principio della territorialità della pena previsto dall'ordinamento penitenziario - non consente di esercitare al meglio tutte quelle attività di sostegno e trattamento del detenuto che richiedono relazioni stabili e assidue della persona reclusa con i propri familiari e con i servizi territoriali della regione di residenza; senza considerare gli ingenti ed elevati costi, sia in termini economici che umani, che le continue e lunghe traduzioni dei detenuti, dal luogo di esecuzione della detenzione al luogo di celebrazione del processo, comportano per i bilanci dell'amministrazione penitenziaria;
in una recente occasione pubblica, il Ministro della giustizia ha dichiarato che la detenzione carceraria consiste nella privazione della libertà, ma non deve comportare anche la privazione della dignità delle persone. Dall'affermazione di questo elementare ma fondamentale principio, che deve ispirare lo Stato di diritto in rapporto alle persone detenute, consegue la necessità di affrontare il problema del diritto all'affettività in carcere (affettività intesa in senso ampio, dalla sessualità, all'amicizia, al rapporto sessuale); un diritto all'affettività che sia, in primo luogo, diritto ad avere incontri, in condizioni di intimità, con le persone con le quali si intrattiene un rapporto di affetto;
da un recente rapporto sullo stato della sanità all'interno degli istituti di pena predisposto dalla Commissione giustizia del Senato risulta che appena il 20 per cento dei detenuti risulta sano, mentre il 38 per cento di essi si trova in condizione di salute mediocri, il 37 per cento in condizioni scadenti ed il 4 per cento in condizioni gravi e con alto indice di co-morbilità, vale a dire più criticità ed handicap in uno stesso paziente. Solo per limitarsi alle cinque patologie maggiormente diffuse, ben il 27 per cento dei detenuti è tossicodipendente (2.159 di loro sono in terapia metadonica), il 15 per cento ha problemi di masticazione, altrettanti soffrono di depressione e di altri disturbi psichiatrici, il 13 per cento soffre di malattie osteo-articolari ed il 10 per cento di malattie al fegato; oltre al fatto che la stessa tossicodipendenza è spesso associata ad aids (circa il 2 per cento dei detenuti è sieropositivo), epatite C e disturbi mentali;
a fronte di una morbosità così elevata, la medicina penitenziaria continua a scontare una evidente insufficienza di risorse, di strumenti e di mezzi, il che svilisce i servizi e la professionalità degli operatori sanitari, oltre ovviamente a pregiudicare le attività di trattamento, cura e assistenza degli stessi detenuti. L'attuale situazione di sofferenza in cui versa la medicina penitenziaria è anche dovuta al fatto che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1o aprile 2008, recante «modalità e criteri per il trasferimento al Servizio sanitario nazionale delle funzioni sanitarie dei rapporti di lavoro, delle risorse finanziarie e delle attrezzature e beni strumentali in materia di sanità penitenziaria», non risulta essere stato ancora attuato nella parte in cui stabilisce il trasferimento alle regioni delle risorse finanziarie relative all'ultimo trimestre dell'anno 2008 (per una somma pari ad 84 milioni di euro) e a tutto il 2009, il che non consente di attuare una seria e radicale riorganizzazione del servizio sanitario all'interno degli istituti di pena;
nonostante il passaggio delle competenze al Servizio sanitario nazionale delle funzioni sanitarie, dei rapporti di lavoro, delle risorse finanziarie e delle attrezzature e beni strumentali in materia di sanità penitenziaria, non risultano ancora essere stati definiti modelli operativi adeguati all'assistenza in carcere, ciò a causa del fatto che le stesse regioni sono ben lungi dall'essere attrezzate in modo da poter fornire i servizi medici nei penitenziari, così come peraltro ancora ambigua risulta la gestione dei relativi contratti di lavoro e ruoli professionali;
negli istituti di pena italiani sono rinchiusi 71 bambini sotto i tre anni che vivono in carcere con le madri detenute, il che continua ad accadere nonostante risulti ampiamente dimostrato quanto lo stato di reclusione prolungato possa esporre questi soggetti a seri rischi per la loro salute. A questo proposito, nella XVI legislatura è stato depositato un progetto di legge alla cui elaborazione ha contribuito l'associazione Il Detenuto Ignoto, che attende ancora di essere calendarizzato e discusso;
le piante organiche della polizia penitenziaria, stabilite con decreto ministeriale dell'8 febbraio 2001, prevedono l'impiego di 41.268 unità negli istituti di pena per adulti; al 20 settembre 2009 nelle carceri italiane risultavano in forza 35.343 persone, con uno scoperto di 5.925 unità (circa il 14 per cento); per il personale amministrativo è previsto un organico di 9.486 unità, mentre i posti coperti risultano essere 6.300, con uno scarto di 3.186 persone. Complessivamente, quindi, nell'amministrazione penitenziaria il personale mancante è pari a 8.882 unità;
anche il numero degli educatori è insufficiente, posto che in pianta organica ne sono previsti 1.088, mentre sono appena 686 quelli effettivamente in servizio; così come risulta deficitaria l'assistenza psicologica, a cominciare da quella legata alle attività di osservazione e trattamento dei detenuti, visto e considerato che a fronte di quasi 66.000 detenuti gli psicologi che prestano effettivamente servizio sono appena 352, il che comporta, come naturale conseguenza, che gli istituti di pena siano diventati un'istituzione a carattere prevalentemente, se non esclusivamente, afflittivo. A questo proposito il ministero della giustizia, proprio al fine di coprire almeno parzialmente la totale carenza di organico di tali figure professionali, aveva avviato, fin dal 2004, un concorso per l'assunzione di 39 psicologi, arrivando anche ad approvare la relativa graduatoria nel 2006; nonostante ciò, da quel momento, l'Amministrazione penitenziaria, pur in presenza di tutte le risorse economiche, non ha proceduto ad alcuna assunzione dei vincitori del concorso, di fatto preferendo affidarsi, a quanto consta ai firmatari del presente atto di indirizzo, ad un sistema di frammentate collaborazioni precarie e insufficienti;
il sovraffollamento, la mancanza di spazi, l'inadeguatezza delle strutture carcerarie, la carenza degli organici e del personale civile, lo stato di sofferenza in cui versa la sanità all'interno delle carceri, tutto ciò provoca una situazione contraria ai principi costituzionali ed alle norme del regolamento penitenziario impedendo il trattamento rieducativo e minando l'equilibrio psico-fisico dei detenuti, con incremento, nel 2009, dei suicidi e di gravi malattie; ed invero il sovraffollamento ha effetti dirompenti, tra l'altro, proprio sulle condizioni di salute dei reclusi, ai quali non vengono garantite le più elementari norme igieniche e sanitarie, atteso che gli stessi sono costretti a vivere in uno spazio che non corrisponde a quello minimo vitale, con una riduzione della mobilità che è causa di patologie specifiche;
l'alto numero dei suicidi in carcere registrato nel 2009 dipende anche dalle condizioni di sovraffollamento degli istituti di pena e dalle aspettative frustrate di migliori condizioni di vita al loro interno, soprattutto per quanto riguarda le persone sottoposte a regimi carcerari più restrittivi rispetto a quello ordinario - ad esempio quello di cui all'articolo 41-bis della legge n. 354 del 1975, sull'ordinamento penitenziario - le quali, non a caso, registrano una percentuale di suicidi più elevata rispetto a chi sconta la pena senza essere sottoposto a particolari restrizioni;
senza l'indulto approvato tre anni fa, le nostre carceri oggi sarebbero al collasso ed il sovraffollamento assumerebbe dimensioni tali da creare addirittura problemi di ordine pubblico; in questa situazione di emergenza la funzione rieducativa e riabilitativa della pena è venuta meno; il rapporto numerico tra detenuti ed educatori e assistenti sociali ha frustrato ogni possibile serio tentativo di intraprendere e seguire, per la maggior parte dei reclusi, percorsi individualizzati così come previsto dall'ordinamento penitenziario;
nel 2006 il dottor Sebastiano Ardita - responsabile della Direzione generale dei detenuti e trattamento del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - ha dichiarato: «Siamo consapevoli di versare in una situazione di grave, perdurante, quanto involontaria ed inevitabile divergenza dalle regole, per il fatto di non essere nella materiale possibilità di garantire, a causa del sovraffollamento, quanto previsto dalle normative vigenti e dal recente regolamento penitenziario; la salute dei detenuti, ad esempio, non è solo un problema politico e neanche solo una questione tecnica o medico legale. È molto altro ancora. È il luogo privilegiato per valutare le politiche sociali di uno Stato. È una questione di politica criminale. È il banco di prova della pena costituzionalmente intesa» (fonte Ansa 1o marzo 2006); lo stesso Ministro della giustizia, onorevole Angelino Alfano, ha definito la situazione attuale del nostro sistema penitenziario sostanzialmente al di fuori della legalità costituzionale;
l'enorme tasso di sovraffollamento comporta automaticamente porsi fuori dalle regole minime, costituzionalmente previste, della funzione rieducativa della pena per scadere in quei trattamenti contrari al senso di umanità sanzionati non solo dal nostro ordinamento giuridico, ma anche dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, se è vero, come è vero, che recentemente lo Stato italiano è stato condannato a mille euro di risarcimento per aver costretto un detenuto a vivere due mesi e mezzo all'interno di una cella in uno spazio di appena 2,7 metri quadrati (Sulejmanovic c. Italia - ricorso n. 22635/03); nella circostanza la Corte europea dei diritti dell'uomo ha affermato che la mancanza di spazio personale per i detenuti (meno di 3 metri quadrati) giustifica, di per sé, la constatazione della violazione dell'articolo 3 della Convenzione (divieto di pene o trattamenti inumani o degradanti);
i fondi della Cassa delle ammende, con i quali lo Stato dovrebbe investire in progetti educativi e/o di reinserimento sociale dei detenuti, non vengono utilizzati o vengono destinati ad altre finalità, il che continua ad accadere nonostante il sostegno economico-finanziario delle iniziative volte al reinserimento sociale e alla riabilitazione dei detenuti, insieme all'applicazione delle misure alternative alla detenzione, costituisca lo strumento più significativo di contrasto alla recidiva e quindi di tutela e sicurezza dei cittadini. Ed invero la bassa percentuale di detenuti che lavorano, unita alla cronica esiguità delle risorse finanziarie destinate al loro reinserimento sociale, comporta un alto tasso di recidiva, come dimostrato dalle più recenti evidenze statistiche sopra richiamate;
alcuni dei più rilevanti interventi legislativi adottati in questi ultimi anni - a partire dalla legge n. 251 del 2005 (cosiddetta legge «ex Cirielli») - hanno introdotto forti limitazioni all'applicazione dei vari benefici «extramurari» ai recidivi, i quali costituiscono la maggior parte degli attuali detenuti: si pensi all'aumento della popolazione carceraria a seguito delle introdotte limitazioni per i recidivi specifici o infraquinquennali reiterati per quanto riguarda i permessi premio, la detenzione domiciliare o l'affidamento in prova al servizio sociale, posto che gli stessi non possono più usufruire della sospensione dell'esecuzione della pena ex articolo 656, comma 5, del codice di procedura penale, ciò a seguito dell'inserimento di una nuova lettera c) al comma 9 del predetto articolo;
occorre dunque riavviare il sistema delle misure alternative, ripensando quel meccanismo di preclusioni automatiche che - soprattutto con riferimento ai con dannati a pene brevi - ha finito per imprimere il colpo «mortale» alla capacità di assorbimento del sistema penitenziario; su tale versante è anche necessario generalizzare l'applicazione della detenzione domiciliare quale strumento centrale nell'esecuzione penale relativa a condanne di minore gravità anche attraverso l'attivazione di serie ed efficaci misure di controllo a distanza dei detenuti;
è pertanto necessaria ed urgente un'azione riformatrice che - partendo da una comune riflessione sulle cause che hanno generato quella che per i firmatari del presente atto di indirizzo è l'attuale situazione di illegalità in cui versa il nostro sistema penitenziario - favorisca la reale attuazione del principio costituzionale di cui all'articolo 27, terzo comma, della Costituzione; dette riforme devono procedere nel senso di garantire al detenuto il rispetto delle norme sul «trattamento» all'interno delle carceri e sull'accesso alle misure alternative, risolvendo in maniera radicale non solo il problema del sovraffollamento delle carceri ma anche tutti i problemi del mondo giudiziario che ruotano intorno ad esso,
impegna il Governo:
ad assumere iniziative, anche di carattere normativo, volte ad attuare, con il più ampio confronto con le forze politiche presenti in Parlamento, una riforma davvero radicale in materia di custodia cautelare preventiva, di tutela dei diritti dei detenuti, di esecuzione della pena e, più in generale, di trattamenti sanzionatori e rieducativi, che preveda:
a) la riduzione dei tempi di custodia cautelare, perlomeno per i reati meno gravi, nonché del potere della magistratura nell'applicazione delle misure cautelari personali a casi tassativamente previsti dal legislatore, previa modifica dell'articolo 280 del codice di procedura penale;
b) l'introduzione di meccanismi in grado di garantire una reale ed efficace protezione, del principio di umanizzazione della pena e del suo fine rieducativo, assicurando al detenuto un'adeguata tutela giurisdizionale nei confronti degli atti dell'amministrazione penitenziaria lesivi dei suoi diritti;
c) l'istituzione a livello nazionale del Garante dei diritti dei detenuti, ossia di un soggetto che possa lavorare in coordinamento e su un piano di reciproca parità con la magistratura di sorveglianza, in modo da integrare quegli spazi che non possono essere tutti occupati in via giudiziaria;
d) il rafforzamento sia degli strumenti alternativi al carcere previsti dalla cosiddetta legge «Gozzini», da applicare direttamente anche nella fase di cognizione, sia delle sanzioni penali alternative alla detenzione intramuraria, a partire dall'estensione dell'istituto della messa alla prova, previsto dall'ordinamento minorile, anche al procedimento penale ordinario;
e) l'applicazione della detenzione domiciliare, quale strumento centrale nell'esecuzione penale relativa a condanne di minore gravità, anche attraverso l'attivazione di serie ed efficaci misure di controllo a distanza dei detenuti;
f) l'istituzione di centri di accoglienza per le pene alternative degli extra-comunitari, quale strumento per favorirne l'integrazione ed il reinserimento sociale e quindi ridurre il rischio di recidiva;
g) la creazione di istituti «a custodia attenuata» per tossicodipendenti, realizzabili in tempi relativamente brevi anche ricorrendo a forme di convenzioni e intese con il settore privato e del volontariato che già si occupa dei soggetti in trattamento;
h) la piena attuazione del principio della territorialità della pena previsto dall'ordinamento penitenziario, in modo da poter esercitare al meglio tutte quelle attività di sostegno e trattamento del detenuto che richiedono relazioni stabili e assidue tra quest'ultimo, i propri familiari e i servizi territoriali della regione di residenza;
i) la revisione del sistema di sospensione della pena al momento della definitività della sentenza di condanna, abolendo i meccanismi di preclusione per i recidivi specifici e infraquinquennali reiterati nonché per coloro che rientrano nell'articolo 4-bis della legge n. 354 del 1975, sull'ordinamento penitenziario; introducendo, nel contempo, termini perentori entro i quali i tribunali di sorveglianza devono decidere sulla misura alternativa richiesta;
l) l'abolizione del meccanismo delle preclusioni di cui all'articolo 41-bis della citata legge n. 354 del 1975 sull'ordinamento penitenziario con recupero da parte della magistratura di sorveglianza e degli organi istituzionalmente competenti del potere di valutare i singoli percorsi rieducativi in base alla personalità del condannato, alla sua pericolosità sociale e a tutti gli altri parametri normativamente previsti;
m) la radicale modifica dell'articolo 41-bis della citata legge n. 354 del 1975, sull'ordinamento penitenziario in modo da rendere il cosiddetto «carcere duro» conforme alle ripetute affermazioni della Corte costituzionale sulla necessità che sia rispettato, in costanza di applicazione del regime in questione, il diritto alla rieducazione e ad un trattamento penitenziario conseguente;
n) l'adeguamento degli organici del personale penitenziario ed amministrativo, nonché dei medici, degli infermieri, degli assistenti sociali, degli educatori e degli psicologi, non solo per ciò che concerne la loro consistenza numerica, ma anche per ciò che riguarda la promozione di qualificazioni professionali atte a facilitare il reinserimento sociale dei detenuti;
o) il miglioramento del servizio sanitario penitenziario, dando seguito alla riforma della medicina penitenziaria già avviata con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1o aprile 2008, in modo che la stessa possa trovare, finalmente, effettiva e concreta applicazione;
p) l'applicazione concreta della legge 22 giugno 2000, n. 193 (cosiddetta legge Smuraglia), anche incentivando la trasformazione degli istituti penitenziari, da meri contenitori di persone senza alcun impegno ed in condizioni di permanente inerzia, in soggetti economici capaci di stare sul mercato e, come tali, anche capaci di ritrovare sul mercato stesso le risorse necessarie per operare, riducendo gli oneri a carico dello Stato e, quindi, della collettività;
q) l'esclusione dal circuito carcerario delle donne con i loro bambini;
r) la limitazione dell'applicazione delle misure di sicurezza ai soli soggetti non imputabili (abolendo il sistema del doppio binario) o comunque l'adozione delle opportune iniziative normative volte ad introdurre una maggiore restrizione dei presupposti applicativi delle misure di sicurezza a carattere detentivo, magari sostituendo al criterio della «pericolosità» (ritenuto di dubbio fondamento empirico) quello del «bisogno di trattamento»;
s) la possibilità per i detenuti e gli internati di coltivare i propri rapporti affettivi anche all'interno del carcere, consentendo loro di incontrare le persone autorizzate ai colloqui in locali adibiti o realizzati a tale scopo, senza controlli visivi e auditivi;
t) l'istituzione di un'anagrafe digitale pubblica delle carceri in modo da rendere la gestione degli istituti di pena trasparente al pubblico;
u) una forte spinta all'attività di valutazione e finanziamento dei progetti di reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti, nonché di aiuti alle loro famiglie, prevista dalla legge istitutiva della Cassa delle ammende;
v) la modifica del testo unico sulle sostanze stupefacenti di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, in particolare prevedendo che anche l'attività di coltivazione di sostanza stupefacente il cui ricavato sia destinato ad un uso esclusivamente personale venga depenalizzata ed assuma quindi una rilevanza meramente amministrativa in conformità a quanto previsto dal referendum del 1993.
(1-00288)
«Bernardini, Maurizio Turco, Beltrandi, Farina Coscioni, Mecacci, Zamparutti, Della Vedova, Mario Pepe (PD), Duilio, Giachetti, Calvisi, Fiano, Corsini, Margiotta, Argentin, Barbato, Barbi, Barbieri, Benamati, Binetti, Boccuzzi, Boffa, Bossa, Brandolini, Bressa, Bucchino, Enzo Carra, Causi, Cavallaro, Cenni, Cimadoro, Codurelli, Colombo, Concia, Cuperlo, De Angelis, De Torre, De Biasi, Esposito, Renato Farina, Farinone, Ferrari, Fogliardi, Fontanelli, Froner, Ginefra, Giulietti, Giovanelli, Gozi, Gnecchi, Grassi, Laratta, Lenzi, Madia, Mariani, Mattesini, Milo, Mogherini Rebesani, Mosca, Motta, Nirenstein, Arturo Mario Luigi Parisi, Pes, Picierno, Pizzetti, Porta, Rampi, Razzi, Realacci, Ria, Rigoni, Rossa, Rugghia, Scarpetti, Schirru, Siragusa, Sposetti, Torrisi, Vannucci, Vassallo, Velo, Vico, Verini, Servodio, Burtone, Pistelli».
La Camera,
premesso che:
secondo quanto emerge dal sesto rapporto sulle carceri, presentato il 30 giugno 2009 dall'associazione Antigone che opera per la difesa dei diritti negli istituti di pena in Italia, i detenuti hanno raggiunto una quota superiore a 63.000, ben 20 mila in più rispetto alla capienza regolamentare e oltre anche la cosiddetta capienza tollerabile, l'indice che individua il limite massimo per la stessa amministrazione penitenziaria;
il 52,2 per cento delle persone oggi detenute nel nostro Paese - sottolinea il rapporto - è sottoposto a custodia cautelare: si tratta di una delle percentuali più alte d'Europa che fotografa «un'anomalia tutta italiana»;
una situazione questa che definire «allarmante» è quasi riduttivo: sono 11 infatti le regioni italiane «fuori legge» per sovraffollamento;
nel febbraio 2009, il Ministro Alfano aveva trionfalmente annunciato il varo di un piano carceri e la nomina di un commissario con poteri speciali che avrebbe dovuto risolvere l'emergenza del sovraffollamento;
ad oggi, nessun effetto del piano carceri si è prodotto o almeno è stato portato a conoscenza del Parlamento;
se il trend dovesse continuare, a fine anno la popolazione carceraria raggiungerebbe quota 70 mila detenuti, fino ad arrivare nel giugno 2012 a 100 mila unità, a fronte di un calo di 5.500 agenti già da otto anni, stando alla denuncia delle organizzazioni sindacali della polizia carceraria;
nello specifico, l'organico degli agenti di custodia, fissato l'ultima volta proprio nel 2001, prevedeva un numero di 42.268, a fronte di 55.000 detenuti. Oggi i carcerati, come sopra anticipato, sono diventati più di 63.000 e gli agenti in servizio sono 40.000, ma diventano 38.000 se si considerano i duemila in malattia o in aspettativa per motivi di salute o in via di pensionamento;
con questi numeri, ovviamente pesano le unità, le centinaia, le migliaia di agenti sottratti ai loro compiti principali per essere dirottati su mansioni amministrative o di servizio agli uffici;
in una circolare del 6 luglio 2009, avente per oggetto la «tutela della salute e della vita delle persone detenute», il Dipartimento per l'amministrazione penitenziaria ha fortemente raccomandato ai provveditori regionali di offrire ai reclusi più colloqui e maggiori occasioni di intrattenimento, di aumentare le ore d'aria, di tenere aperte le porte delle celle e di non far mancare l'acqua;
di carcere si può anche morire: un terzo dei decessi che si verificano dietro le sbarre sono dovuti a suicidio, come rivelano i dati raccolti dal centro di ricerca «Ristretti orizzonti» del carcere di Padova;
come se non bastasse, da circa un anno i detenuti sono in sostanza privi di assistenza psicologica: le 384 persone che lavorano su tutte le 205 carceri italiane sono in grado di offrire soltanto tre ore di trattamento annuo, compreso il tempo per la lettura dei fascicoli e le riunioni;
infine, e questo costituisce il dato più inquietante, nei sedici asili nido funzionanti negli istituti penitenziari stanno crescendo 70 bambini sotto i tre anni di età, figli di detenute, mentre circa una trentina di donne sta trascorrendo i mesi di gravidanza in cella: una situazione che, come ha dimostrato uno studio condotto nel 2008 nel nido del carcere di Rebibbia, può avere gravi conseguenze sul nascituro;
ciò esprime la contraddizione di una politica forte con i deboli e debole con i forti che introduce nuovi reati e immette nel circuito giudiziario e carcerario un gran numero di nuovi detenuti, specie immigrati;
quanto denunciato costituisce, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, una palese violazione dei principi della Carta costituzionale, in particolare dell'articolo 32, che tutela la salute come «fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività», e dell'articolo 27, secondo il quale «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato»;
in una sentenza del 16 luglio 2009, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato per la prima volta l'Italia per violazione dell'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (divieto di tortura e delle pene inumane e degradanti), proprio in ragione delle condizioni di sovraffollamento sopra descritte;
infatti, secondo gli standard di riferimento utilizzati dalla Corte di Strasburgo, ogni detenuto ha diritto a 7 metri quadrati di spazio in cella singola e 4,5 metri quadrati in quella multipla: questa è la ragione per cui il nostro Paese è stato condannato al risarcimento di mille euro per aver inflitto un danno morale al cittadino bosniaco Sulejmanovic, un rom condannato per furto nel 2002,
impegna il Governo:
ad adottare una politica carceraria tendente a contenere il sovraffollamento, attraverso la riduzione dei tempi di custodia cautelare, la rivalutazione delle misure alternative al carcere, la riduzione delle pene per chi commette fatti di lieve entità, nonché l'attuazione immediata del piano carceri, presentato il 27 febbraio 2009 dal capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, con l'indicazione delle reali coperture finanziarie;
a garantire le risorse necessarie per una dotazione di polizia giudiziaria adeguata a gestire una situazione a dir poco «esplosiva»;
ad assumere un congruo numero di psicologi, indispensabili per la vita dei reclusi;
ad adottare le iniziative necessarie per istituire un organo di monitoraggio indipendente che controlli i luoghi di detenzione, in linea con quanto stabilito dal protocollo addizionale alla Convenzione Onu contro la tortura, firmato anche se non ancora ratificato dall'Italia, che ne prevede l'istituzione in tutti gli Stati aderenti entro il termine di un anno dalla ratifica;
a stipulare eventuali accordi internazionali per far scontare ai detenuti stranieri le pene nei rispettivi Paesi d'appartenenza.
(1-00240)
«Vietti, Rao, Mantini, Volontè, Compagnon, Naro, Ciccanti».
La Camera,
premesso che:
secondo quanto emerge dai dati forniti dall'associazione Antigone che opera per la difesa dei diritti dei detenuti negli istituti di pena in Italia, nel corso del 2009 la popolazione carceraria è aumentata di 8.000 unità, passando dai 58 mila reclusi del 31 dicembre 2008 ai circa 66 mila di quest'anno: oltre 20 mila detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare e oltre anche la cosiddetta capienza tollerabile, l'indice che individua il limite massimo per la stessa amministrazione penitenziaria;
quasi il 50 per cento (30.818) delle persone oggi detenute nel nostro Paese è in attesa di giudizio (7 mila in più rispetto a quelle che si trovavano in questa situazione prima dell'indulto del 2006): si tratta di una delle percentuali più alte d'Europa che fotografa «un'anomalia tutta italiana»;
una situazione questa che definire «allarmante» è quasi riduttivo: 34 dei 204 istituti penitenziari italiani ospitano più del doppio delle persone previste, mentre 171 carceri sono «fuori legge», dal momento che accolgono più persone di quante la capienza regolamentare consenta;
nel febbraio 2009, il Ministro Alfano aveva trionfalmente annunciato il varo di un piano carceri e la nomina di un commissario con poteri speciali che avrebbe dovuto risolvere l'emergenza del sovraffollamento;
questa soluzione proposta dal Governo è, nelle attuali e descritte condizioni, semplicemente irrealizzabile. Infatti, il ritmo di costruzione delle nuove carceri (in un piano più che approssimativo e con finanziamenti che non superano un terzo del fabbisogno) è incomparabilmente più lento della velocità di crescita della popolazione detenuta. E, nella più ottimistica delle previsioni, i nuovi posti promessi potranno essere disponibili solo quando il numero dei detenuti sarà ulteriormente aumentato di 30 mila unità;
ad oggi, infatti, nessun effetto positivo del piano carceri si è prodotto o almeno è stato portato a conoscenza del Parlamento;
se il trend dovesse continuare, la popolazione carceraria potrebbe arrivare nel giugno 2012 a 100 mila unità, a fronte di un calo di 5.500 agenti negli ultimi otto anni, stando alla denuncia delle organizzazioni sindacali della polizia carceraria che prevedono, per il prossimo triennio, l'uscita di 2.500 persone, da contrastare con l'assunzione di almeno 1.800 unità;
nello specifico, l'organico degli agenti di custodia, fissato l'ultima volta proprio nel 2001, prevedeva un numero di 42.268, a fronte di 55.000 detenuti. Oggi i carcerati, come sopra anticipato, sono diventati circa 66.000 e gli agenti in servizio sono 40.000, ma diventano 38.000 se si considerano i duemila in malattia o in aspettativa per motivi di salute;
con questi numeri, ovviamente pesano le unità, le centinaia, le migliaia di agenti sottratti ai loro compiti principali per essere dirottati su mansioni amministrative o di servizio in uffici sguarniti da più di un decennio di blocco delle assunzioni e di tagli nella pubblica amministrazione;
come se non bastasse, anche il numero degli educatori è insufficiente, posto che in pianta organica ne sono previsti 1.088, mentre sono appena 686 quelli effettivamente in servizio; così come risulta deficitaria l'assistenza psicologica, a cominciare da quella legata alle attività di osservazione e trattamento dei detenuti, visto e considerato che a fronte di quasi 66.000 detenuti gli psicologi che prestano effettivamente servizio sono appena 352 (ciascuno in rapporto libero-professionale, retribuito molto al di sotto dei minimi di categoria e per poche ore al mese), il che comporta, come naturale conseguenza, che gli istituti di pena siano diventati un'istituzione a carattere prevalentemente, se non esclusivamente, afflittivo. A questo proposito il ministero della giustizia, proprio al fine di coprire almeno parzialmente la totale carenza di organico di tali figure professionali, aveva avviato, fin dal 2004, un concorso per l'assunzione di 39 psicologi, arrivando anche ad approvare la relativa graduatoria nel 2006; nonostante ciò, da quel momento, l'Amministrazione penitenziaria non ha proceduto ad alcuna assunzione dei vincitori del concorso, di fatto preferendo affidarsi ad un sistema di frammentate collaborazioni precarie e insufficienti;
in una circolare del 6 luglio 2009, avente per oggetto la «tutela della salute e della vita delle persone detenute», il dipartimento per l'amministrazione penitenziaria ha fortemente raccomandato ai provveditori regionali di offrire ai reclusi più colloqui e maggiori occasioni di intrattenimento, di aumentare le ore d'aria, di tenere aperte le porte delle celle e di non far mancare l'acqua;
di carcere si può anche morire: generalmente, un terzo dei decessi che si verificano dietro le sbarre sono infatti dovuti a suicidio, come rivelano i dati raccolti dal centro di ricerca «Ristretti orizzonti» del carcere di Padova. Nel 2009 è stato registrato il numero più alto di detenuti suicidi nella storia della Repubblica (72 su 171 persone morte in carcere). I morti - secondo l'Osservatorio permanente sulle morti in carcere - sarebbero molti di meno se nel carcere non fossero rinchiuse decine di migliaia di soggetti che provengono da realtà di emarginazione sociale. Il 30 per cento dei detenuti è tossicodipendente, il 10 per cento ha una malattia mentale, il 5 per cento è sieropositivo, il 60 per cento ha una qualche forma di epatite. Negli anni Sessanta - stando sempre ai dati forniti dall'Osservatorio - i suicidi in carcere erano tre volte meno frequenti di oggi, i tentativi di togliersi la vita addirittura quindici volte meno frequenti. Complessivamente, dal 2000 al 2009, sono state 558 le persone che si sono tolte la vita dietro le sbarre, mentre i tentati suicidi (nello stesso arco di tempo) sono stati 7.717;
la situazione è resa ancora più grave dalla diminuzione delle risorse economiche: dai 13 mila euro all'anno spesi nel 2007 per ogni detenuto per vitto, assistenza sanitaria e attività trattamentale (escluso il costo del personale) si è passati ai 6.383 del 2009;
infine, e questo costituisce il dato più inquietante, nei sedici asili nido funzionanti negli istituti penitenziari stanno crescendo 80 bambini sotto i tre anni di età, figli di detenute, mentre circa una trentina di donne sta trascorrendo i mesi di gravidanza in cella: una situazione che, come ha dimostrato uno studio condotto nel 2008 nel nido del carcere di Rebibbia, può avere gravi conseguenze sul nascituro;
ci sono, inoltre, 40 mila minori (tra i tre e i dieci anni) che hanno in carcere un genitore con il quale non possono vivere: l'attuale legislazione prevede che, soltanto in presenza di determinati requisiti, la condanna possa essere scontata agli arresti domiciliari insieme al proprio figlio;
ciò esprime la contraddizione di una politica forte con i deboli e debole con i forti che introduce nuovi reati e immette nel circuito giudiziario e carcerario un gran numero di nuovi detenuti, specie immigrati;
quanto denunciato costituisce, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, una palese violazione dei principi della Carta costituzionale, in particolare dell'articolo 32, che tutela la salute come «fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività», e dell'articolo 27, secondo il quale «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato»;
in una sentenza del 16 luglio 2009, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato per la prima volta l'Italia per violazione dell'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (divieto di tortura e delle pene inumane e degradanti), proprio in ragione delle condizioni di sovraffollamento delle carceri sopra descritte;
infatti, secondo gli standard di riferimento utilizzati dalla Corte di Strasburgo, ogni detenuto ha diritto a 7 metri quadrati di spazio in cella singola e 4,5 metri quadrati in quella multipla: questa è la ragione per cui il nostro Paese è stato condannato al risarcimento di mille euro per aver inflitto un danno morale al cittadino bosniaco Sulejmanovic, un rom condannato per furto nel 2002;
nelle più alte sedi è stata recentemente ribadita la necessità di una maggiore vicinanza a tutte le realtà in cui c'è sofferenza a causa della privazione dei diritti elementari, tra cui quella della carceri terribilmente sovraffollate, nelle quali non si vive decentemente, si è esposti ad abusi e rischi, e di certo non ci si rieduca,
impegna il Governo:
ad adottare una politica carceraria tendente a contenere il sovraffollamento, attraverso la riduzione dei tempi di custodia cautelare, la rivalutazione delle misure alternative al carcere, la riduzione delle pene per chi commette fatti di lieve entità;
a predisporre un nuovo piano carceri, rispetto a quello presentato il 27 febbraio 2009 dal capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, con l'indicazione di reali coperture finanziarie e prospettive di una concreta ed efficace attuazione;
a garantire le risorse necessarie per una dotazione di polizia penitenziaria adeguata a gestire una situazione a dir poco «esplosiva»;
ad assumere iniziative di competenza per l'assunzione di un congruo numero di psicologi, indispensabili per la vita dei reclusi, nonché ad adoperarsi in sede di conferenza Stato-Regioni, affinché sia garantita ai detenuti dal Servizio sanitario nazionale la migliore assistenza medica e psicologica;
ad istituire case famiglia protette in cui accogliere mamme e bambini;
ad adottare le iniziative necessarie per istituire un organo di monitoraggio indipendente che controlli i luoghi di detenzione, in linea con quanto stabilito dal protocollo addizionale alla Convenzione Onu contro la tortura, firmato anche se non ancora ratificato dall'Italia, che ne prevede l'istituzione in tutti gli Stati aderenti entro il termine di un anno dalla ratifica;
a stipulare eventuali accordi internazionali per far scontare ai detenuti stranieri le pene nei rispettivi Paesi d'appartenenza.
(1-00240)
(Nuova formulazione) «Vietti, Rao, Mantini, Volontè, Compagnon, Naro, Ciccanti».
La Camera,
premesso che:
la situazione delle carceri italiane era ed è, purtroppo, in una fase emergenziale. Un surplus di 23mila detenuti, circa 66 mila presenze a fronte delle 43 mila possibili; una deficienza organica del corpo di polizia penitenziaria di circa 5.500 unità. La gran parte delle strutture penitenziarie sono fatiscenti, obsolete e non adatte;
la popolazione delle carceri continua a crescere, con tutte le relative valenze connesse al pericolo e al trattamento, e gli agenti penitenziari, sono costretti a lavorare in condizioni sempre peggiori, così come gli educatori, gli psicologi, i medici. Sono in costante aumento gli attacchi al personale che ormai è demotivato, stanco e mal pagato;
su tutto il territorio nazionale si registrano manifestazioni e proteste, giustificate dalle condizioni di insicure a in cui sono costretti a lavorare. Mediamente un agente deve sorvegliare 100 detenuti di giorno, circa 250 nei turni notturni; per garantire le traduzioni il personale è costretto a viaggiare anche per 20 ore consecutive su mezzi non idonei;
sebbene il Presidente del Consiglio dei ministri abbia reso noto il famoso piano carceri, della cui copertura finanziaria, a quanto consta ai firmatari del presente atto di indirizzo, non vi è certezza, i primi risultati, qualora vi fossero, non arriveranno prima di due anni;
solo pochi mesi fa la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato l'Italia a risarcire con mille euro un detenuto costretto a stare per due mesi e mezzo in una cella sovraffollata. Una pena naturalmente simbolica, ma che mette in evidenza una terribile realtà. Ogni detenuto nelle carceri italiane ha mediamente a disposizione meno di tre metri quadrati di spazio, ben al di sotto dei 7 metri stabiliti dal comitato europeo per la prevenzione della tortura. Ciò vuol dire che normalmente una cella deve ospitare tre detenuti, oggi nei penitenziari italiani ce ne sono in media nove in ogni cella. Dall'inizio dell'anno, 65 sono i suicidi verificatisi all'interno delle strutture;
bisogna dare luce ad una realtà penitenziaria taciuta, ignorata o dimenticata, emarginata e abbandonata per mettere in evidenza l'emergenza del sistema carcere con il rischio sommosse e il rischio morte presenti ogni giorno. Un sistema che alimenta gli effetti criminogeni delle pene. Un sistema in cui l'articolo 27 della nostra Costituzione, che prevede che «l'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva» e che «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato», e l'articolo II-64 della Costituzione europea, che stabilisce che «nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti», non trovano applicazione;
l'Unione europea si fonda sul rispetto dei diritti dell'uomo, delle istituzioni democratiche e dello Stato di diritto. La Carta dei diritti fondamentali sancisce tutti i diritti - personali, civili, politici, economici e sociali - dei cittadini dell'Unione europea. Nel marzo 2007 l'Unione europea ha istituito l'Agenzia europea per i diritti fondamentali, che ha il compito di aiutare l'Unione europea e gli Stati membri ad elaborare la normativa in questo campo e di sensibilizzare l'opinione pubblica ai diritti fondamentali. Del resto, in un mondo globalizzato, è fondamentale che i Paesi dell'Unione europea collaborino efficacemente per combattere la criminalità e il terrorismo;
dal giugno 2004 l'Unione europea ha adottato un trattato che, attraverso le tappe previste, ambisce a diventare una Costituzione per l'intero continente. La creazione di uno spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia, richiede necessariamente un coordinamento dei sistemi giuridico-penali dei Paesi membri. Uno spazio sovranazionale deve essere però altresì capace di farsi garante del riconoscimento e del rispetto dei diritti umani di tutti i cittadini, europei e extracomunitari, che vivono e risiedono in Europa. Il diritto penale è stato sempre confinato nei limiti del territorio nazionale, ancorato al principio della territorialità. Uno dei baluardi della sovranità nazionale è appunto l'esclusività del sistema penale. D'altro canto, a partire dal 1948, il diritto internazionale classico, ossia quello interstatuale, è progressivamente stato eroso da una nuova concezione del diritto internazionale che sostituisce all'intergovernativismo la sovranazionalità. Il processo, lento e fortemente contrastato dagli Stati-Nazione, ha avuto il suo culmine con la nascita della Corte penale internazionale. Il suo statuto, firmato solennemente a Roma nel 1998, contiene all'interno embrioni del superamento del principio della nazionalità nel sistema processuale penale laddove vi siano gravi violazioni dei diritti umani (crimini di guerra, genocidi, crimini contro l'umanità). Sia nella fase del riconoscimento che in quella della progressiva omogeneizzazione dei sistemi penali vanno tenute presenti garanzie e tutele irrinunciabili, vanno identificati minimi e massimi edittali delle pene, vanno enucleati i comuni ed essenziali interessi da proteggere in Europa con gli strumenti del diritto penale, evitando che i singoli Stati si limitino ad adattarsi al diritto penale di derivazione europea, conservando allo stesso tempo intatto tutto il proprio armamentario repressivo;
i diritti delle persone sottoposte a procedimento giudiziario, a misure penali o detenute vanno tutelati, senza eccezioni e senza timori. La dignità umana non può essere calpestata in alcuna circostanza. L'esperienza europea degli ultimi anni suggerisce l'attivazione di organismi indipendenti di nomina parlamentare che abbiano poteri informali di visita e controllo dei luoghi di detenzione. Tali organismi svolgono una funzione di riconciliazione sociale, di mediazione e di soluzione in chiave preventiva dei conflitti. Si tratterebbe di una sorta di difensori istituzionali dei diritti in carcere, per i quali va data altresì piena attuazione sia alla sentenza della Corte costituzionale del febbraio del 1999 che prevede la tutela giurisdizionale dei diritti dei detenuti, sia al nuovo regolamento di esecuzione della legge sull'ordinamento penitenziario che nelle sue norme vuole migliorare la qualità della vita in carcere;
lotta al razzismo, libera circolazione delle coppie senza discriminazioni fondate sull'orientamento sessuale e difesa delle donne, dei minori e degli immigrati: è quanto chiede il Parlamento per lo spazio europeo di giustizia, auspicando più diritti per i detenuti e fondi dell'Unione europea per la costruzione di nuove carceri. Occorre combattere la criminalità informatica, garantire una maggiore solidarietà tra i Paesi dell'Unione europea per l'accoglienza dei rifugiati e tutelare i cittadini da terrorismo e criminalità. Il Parlamento europeo, in tal senso, qualche giorno fa ha adottato una risoluzione con la quale indica la sua posizione riguardo al cosiddetto Programma di Stoccolma che stabilisce le priorità europee nel campo della giustizia e degli affari interni per i prossimi cinque anni. Il Parlamento chiede norme minime relative alle condizioni delle carceri e dei detenuti e una serie di diritti comuni per i detenuti nell'Unione europea, «incluse norme adeguate in materia di risarcimento dei danni per le persone ingiustamente arrestate o condannate». Auspica inoltre la messa a disposizione da parte dell'Unione europea di sufficienti risorse finanziarie per la costruzione «di nuove strutture detentive negli Stati membri che accusano un sovraffollamento delle carceri e per l'attuazione di programmi di reinsediamento sociale». Sollecita anche la conclusione di accordi fra l'Unione europea e i Paesi terzi sul rimpatrio dei loro cittadini che hanno subito condanne e la piena applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali ai fini della loro esecuzione nell'Unione europea. Sostiene poi la necessità di uno strumento giuridico globale sull'ammissibilità della prova nei procedimenti penali;
l'attuale legge sull'ordinamento penitenziario stabilisce «le misure alternative alla detenzione»; esse danno la possibilità di scontare le pene non in carcere, vengono concesse solo a determinate condizioni e si applicano esclusivamente ai detenuti definitivi;
le misure alternative sono numerose e con caratteristiche peculiari, ciascuna tendente comunque alla risocializzazione del condannato. Esse sono: a) affidamento in prova al servizio sociale (pena residua 3 anni), articolo 47 della legge sull'ordinamento penitenziario; b) detenzione domiciliare (pena residua 4 anni o nei casi di condizioni di salute incompatibili con il regime detentivo pena residua anche superiore ai 4 anni), articolo 47-ter della legge sull'ordinamento penitenziario; c) semilibertà (metà pena o 2/3 in caso di reati gravi - reati di cui all'articolo 4-bis - o 6 mesi solo dalla libertà), articoli 46, 50 della legge sull'ordinamento penitenziario; d) liberazione condizionale (pena residua 5 anni), articolo 176 del codice penale; e) sospensione della pena per gravi motivi di salute (incompatibilità con il regime detentivo - qualunque sia la durata della pena) articolo 147 del codice penale;
queste misure, però, non possono essere la soluzione concreta e definitiva all'emergenza carceri e al sovraffollamento. Al di là di ciò, aspettando il piano carceri, è necessario avviare una riflessione e pensare ai processi brevi e alla certezza della pena dando strumenti e risorse. In sostanza, il carcere - servizio pubblico - deve essere un luogo che produce sicurezza collettiva, nel rispetto della dignità dei detenuti;
nel mese di agosto del 2009 si è svolta l'iniziativa nazionale «Ferragosto in carcere 2009» che ha visto coinvolti deputati, senatori, consiglieri regionali di tutta Italia e di tutte le forze politiche. L'obiettivo di tale iniziativa era di verificare e conoscere meglio le condizioni tanto dei detenuti, quanto di direttori, agenti, medici, psicologi, educatori che lavorano al suo interno al fine di poter formulare proposte legislative o organizzative adeguate;
tra suicidi, morti, vite salvate, tentate evasioni, evasioni compiute e spazi che mancano nelle nostre prigioni è sempre più evidente l'emergenza «soluzioni». A fronte di questa spaventosa e preoccupante situazione tutto il personale penitenziario, tra l'altro, è chiamato ad operare senza alcuna linea guida, senza mezzi idonei e con scarsissime risorse;
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 30 del 16 aprile 2004 veniva bandito un concorso pubblico per esami a 397 posti nel profilo professionale di educatore, area c, posizione economica C1, indetto con provvedimento del direttore generale del 21 novembre 2003. Dopo ben quattro anni di procedura concorsuale, il 15 dicembre 2008 nel Bollettino ufficiale del Ministero della giustizia n. 23, viene pubblicata la graduatoria ufficiale definitiva del suddetto concorso;
ad oggi il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha assunto solo i primi 97 vincitori, a cui, si spera a breve, seguirà l'assunzione dei restanti 300, dopo aver proceduto alle istanze di interpello annuale nazionale di mobilità interna del personale;
lo scorrimento della graduatoria con assunzione di tutti i suoi idonei trova già un precedente nel panorama legislativo-procedurale italiano, poiché effettuata per le graduatorie dei concorsi banditi dall'Agenzia delle entrate per 1500 posti di funzionari per la terza area funzionale, fascia retributiva F1, attività amministrativa-tributaria, bandito dall'Agenzia delle entrate (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana - 4a Serie speciale «Concorsi ed esami» - n. 84 del 21 ottobre 2005);
queste nuove forze potranno, sicuramente, rappresentare un valido supporto, ma si rivelano, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, palesemente e gravemente insufficienti. Infatti, per questa figura professionale sono state già apportate drastiche riduzioni, tanto da portare la pianta organica del 2009 a sole 1088 unità, rispetto alla pianta del 2008 che ne prevedeva circa 1400 in organico (riduzione operata dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria per adeguarsi alle disposizioni del cosiddetto decreto Brunetta (decreto legislativo n. 150 del 2009) che ha imposto un ridimensionamento delle piante organiche in diminuzione delle unità affinché le pubbliche amministrazioni possano procedere all'assunzione di nuovo personale). In realtà, ad oggi, in servizio ci sono soltanto 686 educatori a cui si aggiungeranno i 300 restanti vincitori, giungendo ad una quota di 968 unità, a fronte di una popolazione detenuta di circa 66.000 unità, ancora in crescita;
è lampante, pertanto, la mancanza di ben 102 educatori rispetto alla pianta organica del 2009 (mancanza ancor maggiore se riferita alla pianta organica del 2008 e pari a circa 400 unità di educatori) a cui andranno ad aggiungersi tutti quegli educatori che verranno collocati in pensione, avendone ormai maturato i requisiti;
la sostanziosa assenza dei citati operatori aggrava ed aggraverà ancor più il clima e la vita detentiva dei ristretti e dei medesimi operatori ancora in servizio, oltre ad accrescere l'inadempienza al dettato legislativo vigente, dal momento che la maggior parte dei detenuti non riescono ad avere per anni colloqui con gli educatori, non riuscendo, pertanto, a conseguire alcun giovamento dall'ingresso in carcere;
quest'ultima previsione, che viene chiaramente disattesa nelle realtà carcerarie italiane, com'è noto dal caso Castrogno, uno dei tanti emersi negli ultimi tempi, ma anche dall'aumento dei suicidi, degli atteggiamenti autolesionistici, della richiesta di psicofarmaci e non ultimo dell'aggressività dei detenuti nei confronti del personale penitenziario ad ulteriore dimostrazione dell'emergenza in cui i circuiti detentivi versano a causa della mancanza di operatori a fronte di uno spropositato aumento del numero di detenuti ospitati in strutture inidonee ed evidentemente non a norma dal punto di vista strutturale e delle risorse umane;
bisogna, inoltre, anche specificare che nonostante l'assunzione dei restanti 300 vincitori del concorso per il profilo di educatore, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria avrà un avanzo di fondi a disposizione per assumere subito all'incirca 70 unità lavorative, grazie al decreto del Presidente della Repubblica del 28 agosto 2009, adottato a seguito della deliberazione del Consiglio dei Ministri del 31 luglio 2009. che ha autorizzato l'assunzione di un contingente di 1.370 unità di personale a tempo indeterminato per l'anno 2009 per le Amministrazioni dello Stato;
in particolare, per il Ministero della giustizia le nuove assunzioni autorizzate sono 223 unità, di cui 110 per l'amministrazione penitenziaria, che dovrebbero essere ripartite tra vincitori ed idonei di tutti i concorsi aventi graduatorie ancora valide presso quest'ultima amministrazione. Stando, tuttavia, alle allarmanti condizioni delle carceri italiane buona parte di questi fondi che avanzeranno dovranno essere destinati primariamente e celermente, senza indugio alcuno, all'assunzione degli idonei al concorso per educatori per incamminarsi verso quella condizione di rieducazione che il carcere deve dare a chi ne entra a far parte, per non smarrire quella presa di coscienza e civiltà che la nostra carta costituzionale gli affida;
è necessario, pertanto, attivare dei seri e proficui percorsi di rieducazione dei detenuti la cui realizzazione sia promossa e attivata dagli educatori penitenziari, veri coordinatori e catalizzatori degli strumenti utili per la composizione di tale iter risocializzativo - come la norma del 1975 dispone - affinché la dimensione del vissuto carcerario sia foriera di profonda autoriflessione sulle proprie apicalità e crei momenti di autoprogettazione, di formazione e costruzione di un sé nuovo, positivo, propositivo, generatore di valori riconosciuti e condivisi dal comune senso civico;
occorrono soluzioni e un modello di recupero e di rieducazione prima di pensare a nuove strutture, ai fine di un immediato e concreto supporto al mondo penitenziario,
impegna il Governo:
a convocare i sindacati di polizia penitenziaria e le rappresentanze di tutto il personale penitenziario al fine di un confronto concreto e costruttivo sulle problematiche delle carceri in Italia e degli operatori;
a procedere all'assunzione immediata dei restanti educatori penitenziari previsti dalla pianta organica, da attingersi dagli idonei della vigente e menzionata graduatoria risultata dal concorso bandito per tale profilo professionale, affinché anche costoro possano partecipare ai previsti corsi di formazione che il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria deve attivare per questi operatori prima dell'ingresso nelle carceri a cui sono destinati, onde evitare sprechi di danaro per doverli riattivare in seguito;
a prorogare di almeno un quinquennio la validità della graduatoria di merito del concorso citato in premessa, in linea con gli orientamenti del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione nonché con le disposizioni in materia di razionalizzazione delle spese pubbliche in vigore - per permetterne un graduale scorrimento parimenti all'avvicendarsi dei fisiologici turn-over pensionistici, al fine di evitare l'indizione di nuovi concorsi per il medesimo profilo che comporterebbero inutili oneri pubblici;
ad assumere iniziative per lo stanziamento di fondi necessari per completare l'organico di educatori previsti dalla pianta organica attualmente vigente presso il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, considerato che lo sforzo economico da sostenere è annualmente molto esiguo, ma necessario per far funzionare meglio ed in modo più umano una branca importantissima del nostro sistema giustizia che non può più attendere;
a procedere all'alienazione di immobili ad uso penitenziario siti nei centri storici e alla costruzione di nuovi e moderni istituti penitenziari in altro sito;
a procedere alla dismissione di immobili ad uso penitenziario e riassegnazione del ricavato al Ministero della giustizia per il potenziamento dell'edilizia penitenziaria esistente;
ad assumere le iniziative di competenza per il rifinanziamento dell'articolo 6 della legge n. 259 del 2002, prevedendo limiti di impegno per un arco di tempo compatibile con l'utilizzo della locazione finanziaria;
in relazione all'esperienza europea degli ultimi anni, ad adottare iniziative per l'attivazione di organismi indipendenti di nomina parlamentare che abbiano poteri informali di visita e controllo dei luoghi di detenzione al fine di svolgere una funzione di riconciliazione sociale, di mediazione e di soluzione in chiave preventiva dei conflitti;
secondo quanto stabilito dal Parlamento europeo, ad utilizzare le risorse finanziarie per la costruzione «di nuove strutture detentive negli Stati membri che accusano un sovraffollamento delle carceri e per l'attuazione di programmi di reinsediamento sociale»;
in relazione al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1o aprile 2008 recante «Modalità e criteri per il trasferimento al Servizio sanitario nazionale delle funzioni sanitarie, dei rapporti di lavoro, delle risorse finanziarie e delle attrezzature e beni strumentali in materia di sanità penitenziaria», a dare conto della sua applicazione e dei risultati e ad illustrare e definire, nel passaggio delle competenze, funzioni e risorse.
(1-00301)
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)«Di Stanislao, Donadi, Paladini».
La Camera,
premesso che:
i detenuti ospitati nelle strutture carcerarie italiane sono circa 66.000, una cifra che è destinata ad aumentare nei prossimi mesi,
si tratta di un «primato» mai raggiunto nella storia repubblicana che pone problemi molto rilevanti. I 206 istituti di pena possono, infatti, «tollerare» 64.237 detenuti nonostante, da regolamento, non potrebbero ospitarne più di 43.087, come del resto confermano le dichiarazioni del direttore del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, che, in una recente audizione presso la Commissione Giustizia della Camera dei deputati, ha parlato di situazione in grado di compromettere la sicurezza del Paese;
siamo, dunque, ampiamente oltre la soglia massima di tolleranza, in una situazione di emergenza che investe l'intero territorio nazionale, come evidenziato di recente nelle più alte sedi, ricordando la situazione dei detenuti in carceri terribilmente sovraffollate, nelle quali non si vive decentemente, si è esposti ad abusi e rischi e di certo non ci si rieduca,
di fronte a una tanto grave situazione, anche nella recente audizione davanti alla Commissione giustizia, il dottor Ionta, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, non ha saputo rispondere esaurientemente su tempi effettivi e fonti di finanziamento, limitandosi a ripetere (come del resto aveva già detto il Ministro sin dal mese di agosto 2009) che il piano carceri «costerà» circa 1 miliardo e 600 milioni di euro, dei quali sarebbero disponibili solo 250 milioni, ai quali la legge finanziaria per il 2010 ha aggiunto un finanziamento di soli 500 milioni di euro, per un importo complessivo che, quindi, non raggiunge la metà delle ipotizzate necessità di investimento. Peraltro, i tagli alle risorse destinate alla giustizia conseguenti alla cosiddetta finanziaria triennale dell'estate 2008 (decreto legge n. 112 del 2008, convertito con modificazioni dalla legge n. 133 del 2008), stanno causando, invece, quelle che ai firmatari del presente atto di indirizzo appaiono come esiziali difficoltà di gestione ed efficienza amministrativa in tutti gli istituti penitenziari, difficoltà che, in taluni casi, raggiungono punte di vera e propria «emergenza umanitaria», in palese contraddizione con i diritti costituzionalmente garantiti;
diverse associazioni hanno lanciato l'allarme sulle condizioni delle carceri: dall'Unione delle camere penali, all'Associazione dei dirigenti dell'amministrazione carceraria, dal Sappe (sindacato della polizia penitenziaria), da Cgil, Cisl e Uil al Garante dei detenuti della regione Lazio, tutti concordi nell'affermare che le condizioni attuali di vita carceraria sono spesso lontane dai normali livelli di civiltà e di rispetto della dignità del detenuto;
il drammatico sovraffollamento degli istituti di pena è all'ordine del giorno in tutto il Paese, con punte molto preoccupanti in alcune realtà regionali (Campania, Emilia Romagna, Lombardia, Puglia, Sicilia, Toscana e Veneto);
è evidente che il sovraffollamento sarà destinato ad aumentare sempre più se le carceri continueranno ad essere considerate il luogo in cui riversare tutti gli esclusi sociali e i soggetti deboli della società, in un regime che per nulla garantisce il rispetto del dettato costituzionale;
ulteriori dati preoccupanti derivano dall'analisi dello status della popolazione detenuta. Il 50 per cento del totale dei detenuti sono imputati in attesa di giudizio, costretti per periodi di tempo troppo lunghi a convivere fianco a fianco con i già condannati. Assolutamente insufficiente appare il ricorso alle misure alternative alla detenzione. Va ancora rilevato, più in generale, che accanto ad un sovraffollamento che è definibile come quantitativo, esiste anche un affollamento di carattere qualitativo. Esso si può ricondurre alle diverse tipologie di popolazione detenuta, ciascuna di essa portatrice di diverse istanze ed esigenze. La forzata convivenza in pochi metri quadri, per mancanza di idonee strutture, di detenuti giovani e adulti, imputati e condannati, di diverse razze e religioni, soggetti sani e con problemi psichiatrici e/o di tossicodipendenza, quando non addirittura di sieropositività (i dati più recenti dimostrano, infatti, che solo un terzo dei nuovi giunti in carcere si sottopone a screening volontario per l'accertamento del virus Hiv), crea notevoli problemi di promiscuità e di tensione anche in situazioni dove l'affollamento non è particolarmente rilevante;
relativamente al programma per le carceri, riguardante sia i nuovi interventi edilizi che la ristrutturazione degli edifici esistenti, si deve prendere atto dei ritardi di tale programma e del progressivo degrado di molti degli istituti penitenziari. Oltre all'assoluta inosservanza degli standard europei sulla dimensione e gli spazi delle celle, sono da rilevare carenze gravi nell'igiene, nell'illuminazione, nel decoro e nel clima delle celle (riscaldamento e refrigerazione) nonché nella presenza difettosa dei presidi sanitari (infermerie, centri clinici, numero di medici), il che aggrava a sua volte le patologie più frequenti. Sono da registrare inoltre carenze negli spazi destinati alla socialità e all'attività di studio e di lavoro dei detenuti, cui si deve aggiungere l'effetto deleterio dei recenti ulteriori tagli anche sulle mercedi e il lavoro dei custoditi nonché la patente violazione, in particolare, del principio della territorializzazione della pena, così come garantito dall'inapplicata legge n. 354 del 1975 e successive modifiche, laddove all'articolo 4 stabilisce che «nel disporre i trasferimenti deve essere favorito il criterio di destinare i soggetti in istituti prossimi alla residenza delle famiglie»;
preoccupano poi le frequenti segnalazioni di maltrattamenti e violenze, i casi di morte in carcere (da ultimi i casi di Stefano Cucchi e Uzoma Umeka) e quelli di suicidio. D'altronde, il citato aumento esponenziale delle aggressioni ad agenti di polizia penitenziaria, la paventata rivolta carceraria dell'estate 2009, le reiterate proteste delle associazioni sindacali del personale carcerario, sono tutti segnali di un malessere ormai ad un punto di non ritorno;
d'altra parte l'aumento della popolazione carceraria risulta essere inversamente proporzionale alla presenza del personale di polizia penitenziaria. Nel 2001 erano presenti 41.608 agenti penitenziari a fronte di 53.165 detenuti, nel 2009 gli agenti sono stati 39.000 e i detenuti 64.859. La pianta organica della polizia penitenziaria è fissata per legge in 45.121 unità. Ci si trova, pertanto, con circa 6.000 unità in meno, per di più rispetto ad un organico ormai certamente di per sé inadeguato. A ciò si devono sommare le carenze di personale amministrativo e l'assoluta inadeguatezza delle presenze degli assistenti sociali, degli psicologi e degli educatori. Senza parlare degli effetti negativi di una transizione senza fine dalla sanità penitenziaria alle aziende sanitarie locali, il che si riverbera in una drastica riduzione dei servizi di cura e recupero per i detenuti,
impegna il Governo:
ad affrontare concretamente, mediante una mirata e lungimirante programmazione, la grave emergenza del sovraffollamento degli istituti di pena, ponendo particolare attenzione alle condizioni di vita dei detenuti, allo stato dell'edilizia penitenziaria, agli spazi detentivi e a quelli comuni, in relazione anche al profilo specifico dei detenuti medesimi (tossicodipendenti e affetti da malattie psichiatriche) e la cui pericolosità sociale è ridotta ab origine, dovendosi ritenere superata l'attuale unicità del modello strutturale e organizzativo del carcere;
a disporre in tempi brevi un monitoraggio delle strutture penitenziarie esistenti al fine di individuare quelle che in una prima fase sperimentale possano prestarsi all'attivazione ed espansione delle esperienze di trattamento avanzato, quali quelle realizzate nell'istituto penitenziario di Milano Bollate, anche con il supporto di sistemi di controllo a distanza (cosiddetto braccialetto elettronico), opportunamente tarati per i soggetti, condannati o in misura cautelare, anche nuovi giunti, ai quali non siano attribuiti fatti-reato caratterizzati da abituale violenza;
ad ampliare la tipologia delle misure alternative in favore di quelle specificamente supportate da progetti professionalmente strutturati volti al reinserimento sociale, quali l'istituto della messa alla prova, positivamente sperimentato nei campo del trattamento dei minori, ovvero da patti per il reinserimento e la sicurezza sociale fondati su attività di giustizia riparativa a favore delle vittime dei reati o da programmi di istruzione, di attività sociali e culturali, di formazione professionale e di inserimento lavorativo;
a sostenere il sistema delle misure alternative alla pena detentiva mediante un sistema dì cofinanziamento dei progetti finalizzati al reinserimento sociale dei detenuti e degli internati, garantito da una parte dai fondi della Cassa delle ammende e dall'altra dalla reti integrate degli interventi e dei servizi sociali territoriali previste dalla legge n. 328 del 2000, anche mediante l'istituzione di centri di accoglienza per le pene alternative per i condannati che non dispongano di supporto socio familiare;
ad evitare il susseguirsi di iniziative normative settoriali in campo penale, volte al mero inasprimento delle pene, all'irrigidimento degli strumenti processuali che non realizzano un'efficace e coordinata azione di contrasto alla criminalità, ma acuiscono le problematiche connesse al sovraffollamento carcerario;
a promuovere una riforma di sistema che preveda la riduzione dell'area dell'illecito penale laddove riferito a comportamenti di scarso disvalore sociale con un ampliamento ed una differenziazione delle tipologie sanzionatorie, con l'affiancamento alla pena detentiva di altre pene interdittive, ma non privative delle libertà personali, irrogabili dal giudice penale di cognizione allo scopo di ridurre il ricorso alla pena detentiva, laddove non necessaria, e nel contempo di rendere più efficace il sistema sanzionatorio nel suo insieme, soprattutto con riferimento ai reati non gravi;
ad intensificare l'azione diplomatica per concludere accordi finalizzati a far scontare ai detenuti stranieri, per quanto possibile, la detenzione nei Paesi d'origine, nella garanzia del rispetto dei diritti fondamentali della persona;
a vigilare sull'applicazione della normativa in materia di edilizia carceraria al fine di superare l'attuale modello di istituto penitenziario per affrontare le nuove esigenze e i nuovi bisogni dei detenuti, anche nell'ambito degli interventi di ristrutturazione in corso, cui dare priorità, e a garantire, nell'ambito dei progetti della nuova edilizia penitenziaria, i criteri di trasparenza delle procedure e l'economicità delle opere fissando regole rigorose per la valutazione del patrimonio dello Stato in relazione al cosiddetto project financing, evitando il ricorso a procedure straordinarie anche se legislativamente previste;
ad accertare la corretta e compiuta attuazione dei regolamenti penitenziari, in particolare per la parte concernente le garanzie dei diritti delle persone detenute nonché a garantire la piena applicazione dell'articolo 4 della legge n. 354 del 1975 concernente il principio della territorializzazione della pena;
a verificare l'adeguatezza, in proporzione alla popolazione carceraria, delle piante organiche riferite non solo al personale di polizia penitenziaria ma anche alle figure degli educatori, degli assistenti sociali e degli psicologi, avviando un nuovo piano programmato di assunzioni che vada oltre il turn-over dovuto ai pensionamenti previsto dalla legge finanziaria per il 2010 e che garantisca le risorse umane e professionali necessarie all'attivazione delle nuove strutture penitenziarie, anche distribuendo meglio il personale sul territorio, concentrandolo nei compiti di istituto, sottraendolo ai servizi estranei, consentendogli un adeguato, costante ed effettivo aggiornamento professionale;
a risolvere le attuali disfunzioni della sanità penitenziaria acuitesi in concomitanza della delicata fase di trasferimento delle funzioni al Sistema sanitario nazionale, sia assicurando adeguate risorse finanziarie alle regioni sia prevedendo l'adozione, da parte delle regioni stesse, di modelli organizzativi adeguati alla specificità del contesto carcerario, che sconta, oltre alla particolarità delle patologie, specifiche ed inderogabili esigenze di sicurezza;
ad affrontare una buona volta le cause dell'elevato numero di morti e di suicidi in carcere ed i fenomeni di autolesionismo e di violenza in genere;
ad affrontare, assumendo a tal fine le necessarie iniziative normative, il problema dei detenuti tossicodipendenti, in particolare valutando la possibilità che l'esecuzione della pena avvenga in istituti a custodia attenuata, idonei all'effettivo svolgimento di programmi terapeutici e socio-riabilitativi;
ad assicurare, con adeguati provvedimenti organizzativi e di finanziamento, l'attuazione del diritto allo studio e al lavoro in carcere;
a garantire l'effettiva destinazione alla realizzazione dei programmi di riabilitazione e di reinserimento sociale dei condannati dei fondi a ciò vincolati della Cassa delle ammende;
a favorire l'approvazione di una legge per l'istituzione a livello nazionale del Garante dei diritti dei detenuti, ossia di un soggetto che possa lavorare in coordinamento con i garanti regionali e comunali e con la magistratura di sorveglianza, in modo da integrare quegli spazi di intervento rispetto alle diffuse situazioni di difficoltà del nostro sistema carcerario, che non possono essere risolte in via giudiziaria;
all'applicazione concreta della legge 22 giugno 2000, n. 193, la cosiddetta legge Smuraglia, al fine di incentivare la trasformazione degli istituti penitenziari da meri luoghi di permanenza di persone in condizioni di prevalente e permanente inerzia di per sé distruttiva, in soggetti economici capaci di svolgere parte attiva e competitiva sul mercato, anche al fine di autoalimentare le risorse economico-finanziarie necessarie per operare, riducendo così gli oneri a carico dello Stato e quindi della collettività;
ad eliminare gli ostacoli che ancora non permettono alle madri e ai loro piccoli, quelli di età compresa tra zero a tre anni, di scontare la pena detentiva in un luogo diverso dal carcere nonché ad istituire le case famiglia protette, al di fuori delle strutture penitenziarie, da considerarsi una forma detentiva privilegiata quando sia indirettamente coinvolto un bambino.
(1-00302)
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)«Franceschini, Ventura, Maran, Villecco Calipari, Amici, Boccia Giachetti, Lenzi, Quartiani, Rosato, Ferranti, Andrea Orlando, Melis, Samperi, Tidei, Touadi, Bernardini, Capano, Cavallaro, Ciriello, Concia, Cuperlo, Gianni Farina, Rossomando, Tenaglia, Vaccaro, Bellanova, Boccuzzi, Bossa, Binetti, Braga, Brandolini, Capodicasa, Causi, Cenni, De Biasi, De Pasquale, De Torre, D'Antona, Esposito, Ferrari, Fontanelli, Garavini, Ghizzoni, Gnecchi, Lovelli, Lucà, Margiotta, Mattesini, Mazzarella, Murer, Narducci, Rigoni, Rugghia, Schirru, Vannucci, Vassallo, Zucchi, Bachelet, Berretta, Capano, Carella, Marco Carra, Ciriello, Codurelli, Giovanelli, Fedi, Froner, Marchi, Motta, Oliverio, Arturo Mario Luigi Parisi, Pedoto, Pistelli, Rossomando, Siragusa, Tullo, Velo, Vico».
La Camera,
premesso che:
il sistema penitenziario italiano, programmaticamente delineato nell'articolo 27 della Costituzione, oltre a rappresentare un presidio di sicurezza per la società, deve ancor prima garantire percorsi di risocializzazione in contesti di umanità, nel rispetto dei valori di prevalenza e di inviolabilità riferibili alla persona umana;
l'attuale condizione di affollamento delle carceri italiane - e di conseguente inevitabile negazione dei diritti individuali dei ristretti - ha assunto dimensioni senza eguali nella storia della nostra Repubblica. Allo stato sono presenti negli istituti penitenziari oltre 65.000 ristretti, e tale cifra continua a crescere ininterrottamente e geometricamente con medie di ingressi mensili che non appaiono suscettibili di attenuazione. Oltre un terzo dei reclusi - pari al 37 per cento - sono stranieri, in gran parte di provenienza extracomunitaria; oltre un quarto - il 27 per cento - sono tossicodipendenti; una consistente parte soffre di patologie di tipo psichiatrico. Se si eccettuano gli appartenenti alla criminalità organizzata, la restante parte dei reclusi è per lo più espressione del disagio e dell'emarginazione. Negli istituti penitenziari sono inoltre presenti oltre 71 bambini di età inferiore ai tre anni al seguito delle loro mamme sottoposte a provvedimenti restrittivi della libertà;
il carcere ha dunque perduto la sua caratterizzazione di luogo per l'espiazione delle pene, divenendo sede di transito per arrestati, la gran parte dei quali non tornerà più dalla struttura penitenziaria per espiare la pena, e luogo di raccolta della emarginazione sociale. Più del 50 per cento dei reclusi sono imputati, solo il 46 per cento sono in espiazione di pena definitiva, il 3 per cento sottoposti ad una misura di sicurezza. Uno studio recente del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha messo in luce come il 35 per cento degli arrestati viene scarcerato dopo appena 48 ore; oltre il 50 per cento entro i primi 10 giorni di detenzione;
il Ministro della giustizia, intervenendo pubblicamente, ha affermato che la situazione delle carceri italiane è «fuori dalla Costituzione» con riguardo al principio di umanità nell'esecuzione della pena ed ha assunto un impegno per la costruzione di nuove carceri e per migliorare le condizioni di vita dei detenuti. Il Ministro ha poi ribadito la volontà di far uscire dagli istituti di pena i bambini rinchiusi con le loro mamme, e di utilizzare i beni confiscati alla mafia destinandoli a case famiglia per accogliere le madri recluse con minori al seguito;
con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1o aprile 2008 sono state trasferite alle regioni le competenze sulla erogazione dei servizi sanitari alla popolazione detenuta. I dati sulla salute in carcere - ivi compreso il numero rilevantissimo dei suicidi registrati nel corso del 2009: circa 60 secondo i dati ufficiali, oltre 70 sulla base di quanto riferito da alcune associazioni - non consentono di affermare che l'applicazione della riforma abbia comportato concreti benefici. Si è anzi determinata una regressione nell'assistenza sanitaria presso le strutture di pena. Numerosi istituti penitenziari denunciano una contrazione dei servizi ed alcune difficoltà nella erogazione dei servizi presso i luoghi di reclusione;
nel 2006 il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, direzione generale dei detenuti e del trattamento ha effettuato uno studio sulla salute mentale dei ristretti, attraverso la predisposizione di apposite schede di valutazione delle patologie compilate dopo l'ingresso in carcere. L'esito della rilevazione ha fornito risultati impressionanti. Su 105.752 rilevamenti, effettuati nell'arco di due anni, sono state riscontrate le seguenti patologie mentali: depressione in 10.837 detenuti (pari al 10,25 per cento sulle schede raccolte); altre patologie mentali (psicosi e nevrosi, esclusa la depressione) in 6.383 detenuti (pari al 6,04 per cento); malattie neurologiche e malattie del sistema nervoso centrale in 2915 casi (dato di poco inferiore al 3 per cento); deterioramento psichico in 823 soggetti (0,8 per cento). Il totale dei pazienti che in carcere soffrono di disturbi psichici e legati al sistema nervoso è dunque superiore al 20 per cento;
un recente studio, effettuato a margine di un'attività ispettiva sulle carceri, ha messo in luce che nell'anno 2008 il 31,8 per cento delle persone che hanno fatto ingresso in carcere rispondeva di violazioni alla legge sulla droga. Una rilevante parte di essi era tossicodipendente. Da un'analisi statistica condotta due anni fa si è appurato che 16.478 persone sono state arrestate nel corso del periodo gennaio 2005-giugno 2006 per il solo reato di cui all'articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990. Le stesse, successivamente scarcerate, hanno avuto una permanenza media in carcere di soli 88 giorni. Da un recente rilevamento risulta che dei 18.225 arrestati (non in espiazione di pena definitiva) entrati in carcere nel 2009 per il solo reato di cui all'articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ben 5.005 sono stati scarcerati dopo appena 2 giorni, 2.903 sono rimasti in un periodo ricompreso tra i 3 ed i 10 giorni, 1.841 tra 11 e 30 giorni. Ciò significa che la grande parte di essi è rimasta in carcere per meno di un mese. Inoltre su 48 morti accertate per suicidio fino al novembre 2009, ben 14 avevano riguardato soggetti tossicodipendenti. E delle 106 morti naturali avvenute tra gennaio e novembre 2009, 30 avevano riguardato soggetti con patologie connesse alla dipendenza dalla droga, alcuni dei quali giovanissimi;
con la circolare Pea (Programma esecutivo di azione) 16 il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, direzione generale dei detenuti e del trattamento, ha inteso valorizzare il ruolo di genitore del detenuto con la sperimentazione di attività di sostegno al rientro in famiglia, eventualmente finalizzate anche alla fruizione di permessi premio e misure alternative. Nell'attuale situazione penitenziaria i rapporti con la famiglia risultano particolarmente compromessi, con il rischio di propagare sulle famiglie dei detenuti - che non hanno colpe - il disagio della condizione penitenziaria. La tutela di tali rapporti, che appare allo stato fortemente deficitaria, trova una sua fonte in numerosi atti internazionali: a) la Convenzione Onu sui diritti del fanciullo (articoli 5, 7 e 9); b) i rapporti al Comitato sui diritti dell'infanzia (organo deputato a vigilare sull'applicazione della Convenzione e i relativi protocolli); c) la proposta di risoluzione del Parlamento europeo (A6-0033/2008), formulata sulla base della relazione della Commissione per i diritti della donna e l'uguaglianza in genere «sulla particolare situazione delle detenute e l'impatto dell'incarcerazione dei genitori sulla vita sociale e familiare»;
la questione penitenziaria non può essere affrontata in modo separato dalla più generale questione penale, rispetto alla quale essa rappresenta il tratto terminale ed il termine di riscontro più concreto sul raggiungimento delle finalità di giustizia;
sul carcere grava dunque in modo inesorabile la crisi del sistema penale che riguarda: l'inevitabile ampiezza del modello di repressione delle condotte; l'elevato numero di fatti reato; l'incapacità del sistema processuale di tenere dietro alla moltitudine delle regiudicande; ma soprattutto l'intollerabile lunghezza del processo, che frustra la pretesa di giustizia delle vittime del reato, e rappresenta al contempo un'inaccettabile via crucis per la persona chiamata a giudizio dinanzi al giudice penale. Le lungaggini del processo e la mancata previsione di termini perentori alla sua durata hanno determinato una generale situazione di precarietà dello stato detentivo, di mancata stabilità dei provvedimenti cautelari, di sovraccarico dei ruoli giudiziari e di ritardo nell'esecuzione delle pene;
il metodo per affrontare la questione del sovraffollamento negli ultimi 60 anni è consistito nell'adozione di trenta provvedimenti di clemenza, tra amnistie ed indulti. Da ultimo la legge 31 luglio 2006, n. 241, che ha previsto il condono delle pene residue sino a tre anni, ha comportato la fuoriuscita dal carcere di oltre 25.000 detenuti, la gran parte dei quali, in poco tempo, ha fatto rientro nel sistema penitenziario. L'assenza di qualsivoglia intervento volto a modificare il sistema delle pene ha comportato il fallimento del provvedimento di clemenza e l'imponente realizzazione di condotte recidivanti: ciò perché i detenuti non sono stati messi nelle condizioni di potere evitare la ricaduta nel delitto. Nessuna iniziativa, in particolare, è stata assunta per garantire il collocamento lavorativo dei detenuti dimittendi dal carcere, per consentire loro di svolgere un ruolo nella vita normale;
il patrimonio immobiliare destinato a scopi penitenziari ammonta oggi a 205 istituti di pena e di internamento attivi sul territorio, ed è per il 70 per cento di epoca anteriore al 1900. Esso risente di una concezione della pena ottocentesca, non rispettosa dei diritti umani e della sacralità della persona. La questione penitenziaria va dunque affrontata in primo luogo con la dotazione ingente di nuove strutture, progettate e realizzate con criteri razionali ed in coerenza con le finalità rieducative della pena. Nella realizzazione delle nuove carceri occorrerà tenere conto della effettiva pericolosità delle persone che vi verranno ascritte, dei tempi medi di detenzione, della corretta e completa allocazione dei servizi essenziali di accoglienza e di trattamento che contribuiscano alla realizzazione di una pena che sia finalizzata alla rieducazione e non contraria al principio di umanità;
l'attuale carenza di organico della polizia penitenziaria risulta essere pari a quasi 6.000 unità rispetto a quello previsto. A tale deficit andrà ad aggiungersi inesorabilmente la quota annuale dei pensionamenti ed il fabbisogno connesso alle sopravvenute esigenze connesse all'aperture di nuovi istituti. Vi è poi una rilevante carenza degli organici del personale amministrativo che è pari a 3.186 unità, giacché, a fronte di un organico di 9.486 unità, vi sono solo 6.300 presenze effettive. La maggiore carenza riguarda il ruolo degli educatori che conta complessivamente poco meno di 700 unità, che determina un rapporto di uno a cento rispetto ai detenuti attualmente presenti. L'intervento per affrontare l'attuale crisi del sistema carcerario deve dunque prioritariamente fare leva sulle risorse di personale, civile e di polizia, che a causa del sovraffollamento hanno sopportato finora un sacrificio grave, condividendo con i reclusi i disagi conseguenti alla invivibilità degli ambienti. Occorrerà pertanto procedere non solo ad aumenti di organico, ma anche ad una valorizzazione del ruolo e delle funzioni del personale di polizia penitenziaria da effettuarsi con interventi di tipo normativo;
il lavoro penitenziario rappresenta un elemento essenziale del trattamento e una condizione imprescindibile per il reinserimento nella società. Alla data del 31 dicembre 2008 su una presenza di 58.127 detenuti, 13.413 svolgevano attività lavorativa. Di questi, 10.032 erano impiegati nei lavori domestici e 866 erano addetti alla manutenzione ordinaria del fabbricato (al 31 dicembre 2007, su una popolazione detenuta di 48.693 unità, 9.418 erano impiegati nei lavori domestici e 801 erano addetti alla manutenzione ordinaria del fabbricato) tutti alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria. Si è registrato poi un incremento dei detenuti assunti da imprese e cooperative all'interno degli istituti penitenziari (740 unità al 31 dicembre 2008 rispetto alle 647 unità al 31 dicembre 2007). Il totale dei detenuti lavoranti non alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria (comprensivo di semiliberi e ammessi al lavoro all'esterno ex articolo 21 della legge sull'ordinamento penitenziario) era di 1.825 unità al 31 dicembre 2008 (erano 1.609 al 31 dicembre 2007). Si è notato un risveglio di interesse verso la manodopera detenuta, dovuto soprattutto all'incessante opera di sensibilizzazione posta in essere dall'amministrazione presso il mondo imprenditoriale. Si segnalano i poli artigianali di Verona e Padova, quest'ultimo in particolare per l'attività di gestione in cooperativa e fornitura del servizio mensa detenuti, esperimento presente anche a Torino, Roma e Milano. Al 31 dicembre 2008 le lavorazioni presenti all'interno degli istituti penitenziari (si considerano anche tutte le attività di tipo agricolo) erano 260, di cui 200 funzionanti. Di queste 114 erano gestite da soggetti terzi. Benché siano presenti segnali di espansione, il lavoro non riesce a raggiungere tutti i detenuti, la gran parte dei quali, tuttavia, transita per periodi così brevi da non consentire l'impiego in attività lavorative. L'esperienza del lavoro non di meno va incrementata e favorita nei confronti di tutti coloro che permangano in carcere per un apprezzabile periodo di tempo;
da studi condotti nel dipartimento dell'amministrazione penitenziaria si rileva che un numero notevole di detenuti risulta essere costituito da soggetti a bassa pericolosità, condannati a pene brevi, o con breve fine pena. Per costoro si registra uno scarso ricorso alle misure alternative. In particolare - secondo una rilevazione effettuata alla data del 31 ottobre 2009 - 10.278 persone espiavano in carcere pene inferiori ad un anno ed, al contrario, solo 2.973 allo stesso giorno si trovavano in detenzione domiciliare. Prima della legge di indulto del luglio 2006, nel corso dell'intero anno 2005 erano state ammesse alla detenzione domiciliare 14.527 persone. Sul punto va evidenziata la difficoltà per i condannati stranieri non appartenenti all'Unione europea di fissare la dimora. Molti di essi pur essendo dichiarati non pericolosi, e dunque giuridicamente legittimati alle misure alternative, sovente ne sono esclusi de facto, contribuendo a generare inutili forme di sovraffollamento;
in Inghilterra e Galles, a seguito del Criminal Justice Act 2003, è stata prevista la dimissione dal carcere con apposizione di licence conditions, istituto analogo alla detenzione domiciliare in Italia, che si rivolge ai condannati ad una o più pene che non abbiano durata complessiva superiore ai dodici mesi. Il provvedimento che dispone l'applicazione della sanzione include le prescrizioni definite dall'autorità competente (cosiddetto Board, Criminal Justice Service Act 2000) che il condannato è tenuto a rispettare durante l'esecuzione della pena nella comunità. Con tale sistema si è evitato di far transitare dal carcere i condannati a pene detentive brevi, con modalità che prevedono una probation consistente nel compiuto adempimento delle prescrizioni imposte;
i fenomeni di immigrazione clandestina, con illecito attraversamento delle frontiere gestito da organizzazioni criminali, fungono da moltiplicatore dei fatti che conducono alla carcerazione. Deve darsi atto al Governo di avere innovato l'agenda europea sulla questione della detenzione, intesa per la prima volta come questione strettamente legata ai fenomeni del transito ed alla permanenza di soggetti sui territori degli Stati dell'Unione europea. Gli effetti di tale iniziativa del Governo italiano sono costituiti dall'inserimento del delicato tema delle politiche carcerarie nel programma di Stoccolma, e nell'approvazione di una apposita risoluzione da parte del Parlamento europeo;
il Ministro della giustizia - in un recente intervento - ha rappresentato come nelle carceri italiane, rispetto alla totalità dei detenuti, oltre 20 mila sono stranieri: il che vuol dire che le carceri italiane sono idonee ad ospitare i detenuti italiani, ma con l'aggiungersi degli stranieri si supera la capienza regolamentare ed anche quella tollerabile. Egli ha sottolineato come l'Unione europea «non possa da un lato esercitare sanzioni e dall'altro chiudere gli occhi sul fenomeno del sovraffollamento carcerario che deriva dalla presenza di detenuti stranieri»;
necessita dunque un intervento di ampio respiro concertato in sede comunitaria. Occorre partire da normative condivise per l'esecuzione in patria delle condanne riportate dagli stranieri, prevedendo l'impiego delle risorse necessarie per affrontare la questione penitenziaria;
l'Unione europea, attraverso il portavoce Dennis Abbott, si è detta pronta ad accogliere direttamente i suggerimenti delle autorità italiane, ed a valutare il modo col quale migliorare il trasferimento di detenuti fra uno Stato e l'altro in base alla decisione quadro dei Ministri dell'interno e della giustizia del novembre 2008, sulle sentenze penali che prevedono misure di detenzione;
è necessaria una riforma che consenta di recuperare i contenuti ed il pieno vigore del dettato costituzionale sulla pena, affinché la detenzione carceraria che consiste nella privazione della libertà non debba mai comportare anche la privazione della dignità delle persone,
impegna il Governo:
ad assumere a tal fine le necessarie iniziative, anche di carattere legislativo, volte ad attuare - con il più ampio confronto con le forze politiche presenti in Parlamento - un'importante riorganizzazione del sistema penitenziario, una riforma dei trattamenti sanzionatori e rieducativi ed una revisione del processo penale, che abbiano a compendiare le seguenti azioni:
a) prevedere nell'emanando piano carceri la progettazione e la realizzazione di nuovi istituti penitenziari che tengano conto dell'effettiva pericolosità delle persone che vi verranno ascritte, dei tempi medi di detenzione, della corretta e completa allocazione dei servizi essenziali di accoglienza e di trattamento, contribuendo alla espiazione di una pena che non appaia contraria al senso di umanità;
b) monitorare attraverso la collaborazione delle regioni e del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria lo stato di attuazione del passaggio dell'erogazione dei servizi sanitari alle regioni, nonché l'attuale qualità del livello di assistenza sanitaria alla popolazione detenuta, effettuando ogni possibile intervento teso a migliorare l'efficienza del servizio sanitario in ambito penitenziario;
c) intervenire con apposite iniziative e progetti, da effettuarsi attraverso il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, sul tema della prevenzione dei suicidi in ambiente penitenziario, rafforzando i presidi nuovi giunti e quelli del trattamento attraverso l'impiego qualificato di gruppi di ascolto formati da psicologi ed operatori penitenziari;
d) intensificare, attraverso il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, le politiche di promozione dei rapporti familiari per la popolazione detenuta, attraverso la predisposizione di progetti che puntino al miglioramento della quantità e qualità delle occasioni di incontro, coinvolgendo i nuclei familiari nelle dinamiche del trattamento penitenziario e nelle politiche di socializzazione;
e) approvare modifiche alle norme dell'ordinamento penitenziario che prevedano, all'interno di strutture protette, la coabitazione dei figli minori al seguito di madri detenute e vietino la permanenza di bambini all'interno di strutture penitenziarie ordinarie;
f) adottare iniziative normative che comportino la semplificazione dei meccanismi processuali ed impongano limiti di tempo alla celebrazione dei processi, allo scopo di rendere più rapida ed efficiente la risposta alle istanze di giustizia dei cittadini;
g) adottare iniziative legislative che prevedano direttamente forme diverse dalla detenzione in carcere - eventualmente accompagnate da programmi di cura - per soggetti con conclamate patologie derivanti da tossicodipendenza e che siano esclusivamente autori di reati previsti dal testo unico delle leggi sulla droga;
h) assumere iniziative straordinarie per garantire il collocamento lavorativo dei detenuti dimittendi dal carcere, anche attraverso la costituzione di agenzie, allo scopo di consentire loro lo svolgimento di un'attività nella vita normale, che prevenga la recidiva nel reato;
i) prevedere nell'emanando piano carceri il reclutamento straordinario di un adeguato contingente di polizia penitenziaria e del personale amministrativo mancante, nonché promuovere iniziative per l'incremento degli organici degli psicologi;
l) rilanciare il lavoro penitenziario attraverso appositi strumenti legislativi volti a promuoverne lo sviluppo e disciplinarne i contenuti e stimolare, attraverso l'amministrazione penitenziaria e la Cassa delle ammende, le necessarie iniziative volte a dare sviluppo alle esperienze più significative;
m) rilanciare l'attuazione delle misure alternative, anche attraverso interventi normativi;
n) evitare interventi sul sovraffollamento incentrati su provvedimenti di clemenza tout court, prediligendo le forme di probation e utilizzare la detenzione domiciliare in probation per le pene detentive brevi, prendendo spunto da esperienze di altri Paesi europei;
o) ad adottare iniziative in sede di Unione europea per la realizzazione di interventi normativi che prevedano il trasferimento dei detenuti nei Paesi di origine per l'esecuzione delle pene, e la destinazione di risorse alla questione penitenziaria, che risulta connessa all'ingente presenza di detenuti stranieri.
(1-00309)
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)«Vitali, Brigandì, Belcastro, Baldelli, Costa, Consolo, Contento, Ghedini, Mariarosaria Rossi, Sisto, Casinelli, D'Ippolito Vitale, Lehner, Lo Presti, Angela Napoli, Paniz, Papa, Pittelli, Scelli, Siliquini, Torrisi, Lussana, Follegot, Nicola Molteni, Paolini».
MOZIONI GHIGLIA ED ALTRI N. 1-00269, PIFFARI ED ALTRI N. 1-00303 E LIBÈ ED ALTRI N. 1-00306 CONCERNENTI INIZIATIVE PER LA RIDUZIONE DELLE EMISSIONI DI GAS-SERRA, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLO SVILUPPO DELLE RETI DI RICARICA DEI VEICOLI ELETTRICI SUL TERRITORIO NAZIONALE
Mozioni
La Camera,
premesso che:
ancora oggi, la strada rappresenta, nel nostro Paese, la forma di trasporto privilegiata rispetto alle altre modalità di trasporto. Basti pensare, infatti, che la quota del trasporto stradale, in Italia, è pari al 90 per cento della mobilità totale e che su questa percentuale incide in maniera elevata l'utilizzo dell'automobile privata;
negli ultimi anni, le città hanno registrato un aumento senza precedenti del traffico automobilistico, anche a causa della scarsa efficienza del settore del trasporto pubblico locale, con la grave conseguenza di un peggioramento dell'inquinamento ambientale e di un deterioramento della qualità della vita nelle aeree urbane;
l'Italia, nell'ambito della convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) del 1992 e del protocollo di Kyoto, adottato l'11 dicembre 1997 dalla terza conferenza Onu sul clima, ha assunto precisi impegni in termini di riduzione delle emissioni di gas-serra;
con la legge 1o giugno 2002, n. 120, di ratifica ed esecuzione del protocollo di Kyoto, l'Italia ha sottoscritto l'impegno di ridurre del 6,5 per cento - rispetto ai livelli del 1990 - le emissioni di gas serra nell'ambiente;
sulla base dei citati impegni assunti in sede internazionale, il Governo italiano ha adottato nel corso del tempo numerose iniziative legislative e diplomatiche finalizzate alla drastica riduzione delle emissioni di gas serra nell'ambiente;
rileva, in particolare, a questo proposito l'adesione dell'Italia nel dicembre 2008 al cosiddetto «pacchetto clima-energia», attraverso il quale l'Unione europea ha rafforzato la propria azione in tema di politiche ambientali ed energetiche, fissando quali obiettivi strategici - da conseguire entro il 2020 - la riduzione del 20 per cento delle emissioni di CO2, l'incremento dell'efficienza energetica del 20 per cento e l'aumento al 20 per cento della quota di energia prodotta da fonti rinnovabili (cosiddetto 20-20-20);
il percorso per raggiungere gli obiettivi prefissi non risulta agevole: il trasporto urbano, infatti, contribuisce in misura significativa alle emissioni complessive dei gas serra e, secondo quanto emerge nel piano nazionale per la riduzione delle emissioni di tali gas nel periodo 2003-2010, le sostanze responsabili dell'inquinamento atmosferico sono in continua crescita, tanto da ritenere che le emissioni dei gas responsabili dell'effetto serra da parte dei trasporti saranno nel 2010 superiori almeno dell'8 per cento rispetto ai livelli del 1990, anziché inferiori del 6,5 per cento secondo l'obiettivo prefissato dal Governo italiano;
soltanto l'innovazione tecnologica è in grado di fornire nel breve termine una risposta concreta ed efficace alla lotta contro l'inquinamento ambientale, aiutando lo Stato e gli enti locali a controllare e contenere l'emissione di sostanze inquinanti, nel rispetto degli standard comunitari ed internazionali;
a tale proposito, nel 2009, il ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si è fatto promotore dell'iniziativa di finanziare l'installazione di dispositivi per l'abbattimento delle emissioni di particolato dei gas di scarico su veicoli di classe euro 0, euro 1, euro 2 di proprietà di aziende che svolgono servizi di pubblica utilità e, attraverso i programmi di finanziamento di propria competenza (piano stralcio di tutela ambientale, domeniche ecologiche e interventi radicali), ha, negli anni passati, finanziato la realizzazione di colonnine di ricarica per veicoli elettrici in diversi comuni, tra cui Roma, Milano, Firenze, Bologna, Genova, Livorno, Lucca, Catania, Palermo, Torino, Pescara e Catanzaro;
i veicoli elettrici a batteria sono una soluzione tecnicamente disponibile, in grado di garantire risparmi energetici e riduzioni delle emissioni di polveri sottili nell'ambiente anche superiori al 50 per cento in rapporto ai veicoli equivalenti con motore endotermico e sono caratterizzati da emissioni locali ridotte se non del tutto nulle;
le nuove batterie al litio o al Na/NiCl (al sale fuso, ricaricabili) permettono di raggiungere autonomie di percorso tra i 150 e i 250 chilometri, che porterebbero questi veicoli ad aggiudicarsi il 20-35 per cento del mercato complessivo della mobilità su strada: tali prestazioni, infatti, sono perfettamente compatibili con le esigenze di una frazione significativa della mobilità pendolare, con le «seconde» vetture di famiglia e con gran parte dei veicoli leggeri per usi commerciali e aziendali;
una tale diffusione sul mercato porterebbe il prezzo dei veicoli a batteria a valori non molto superiori a quello dei veicoli convenzionali e la differenza di prezzo verrebbe compensata dal loro basso consumo di energia, che permetterebbe il recupero dell'extracosto in meno della metà della vita del veicolo, con un vantaggio economico netto sull'intero arco di vita dello stesso;
non ci sono - dunque - logiche economiche che possano frenare lo sviluppo delle auto elettriche, mentre è decisiva, come dimostrato dai falliti tentativi di elettrificazione dell'auto fatti negli anni ottanta, la realizzazione delle infrastrutture adeguate;
così come l'avvento della locomotiva a vapore ha richiesto la costruzione di ferrovie e la diffusione del motore a combustione interna ha richiesto strade, autostrade e distributori di benzina, l'affermazione dell'utilizzo dell'auto elettrica richiede lo sviluppo di infrastrutture per la ricarica dei veicoli e, soprattutto, la relativa standardizzazione dei sistemi di alimentazione, dal punto di vista delle variabili elettriche, tensione e corrente, e della frequenza, nonché la definizione di opportune norme di sicurezza;
la realizzazione di questi interventi infrastrutturali finalizzati all'eliminazione degli ostacoli alla diffusione della propulsione elettrica passa necessariamente attraverso l'azione coordinata e sinergica tra Stato, enti locali, industria, gestori delle reti stradali e degli spazi pubblici e privati dedicati ai parcheggi,
impegna il Governo:
ad adottare, nell'ambito delle proprie competenze e nel rispetto delle competenze attribuite alle regioni e agli enti locali dalla legislazione vigente, provvedimenti - anche di natura economica - finalizzati a:
a) creare un sistema di ricarica dei veicoli - a partire dalle aree urbane - applicabile estensivamente sia nell'ambito del trasporto privato che pubblico e che sia compatibile con quanto in fase di sviluppo in tutti i Paesi dell'Unione europea, al fine di garantire l'interoperabilità dei sistemi in ambito internazionale;
b) introdurre procedure di gestione del servizio di ricarica facendo leva sulle peculiarità e potenzialità dell'infrastruttura del contatore elettronico, con particolare attenzione:
1) all'assegnazione dei costi di ricarica al cliente che la effettua, identificandolo univocamente;
2) alla predisposizione di un sistema ad applicazioni tariffarie differenziate;
3) alla regolamentazione dei tempi e dei modi di ricarica, coniugando le esigenze dei clienti con l'ottimizzazione delle disponibilità di rete elettrica, assicurando la realizzazione di una soluzione compatibile con le regole del libero mercato che caratterizzano il settore elettrico;
c) prevedere da parte del ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il cofinanziamento, fino ad un massimo del 50 per cento delle spese sostenute per l'acquisto e l'installazione degli impianti, dei progetti presentati dalle regioni e dagli enti locali relativi allo sviluppo di infrastrutture per la ricarica dei veicoli;
d) prevedere che il ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con i ministeri dello sviluppo economico e delle infrastrutture e dei trasporti predisponga le regole per garantire lo sviluppo unitario delle reti di ricarica sul territorio nazionale.
(1-00269)
«Ghiglia, Bocchino, Guido Dussin, Iannaccone, Garofalo, Tommaso Foti, Germanà, Pili, Vella, Gibiino, Di Cagno Abbrescia, Aracri, Rampelli, Scalera, Iannarilli, Scalia».
La Camera,
premesso che:
ancora oggi, la strada rappresenta, nel nostro Paese, la forma di trasporto privilegiata rispetto alle altre modalità di trasporto. Basti pensare, infatti, che la quota del trasporto stradale, in Italia, è pari al 90 per cento della mobilità totale e che su questa percentuale incide in maniera elevata l'utilizzo dell'automobile privata;
negli ultimi anni, le città hanno registrato un aumento senza precedenti del traffico automobilistico, anche a causa della scarsa efficienza del settore del trasporto pubblico locale, con la grave conseguenza di un peggioramento dell'inquinamento ambientale e di un deterioramento della qualità della vita nelle aeree urbane;
l'Italia, nell'ambito della convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) del 1992 e del protocollo di Kyoto, adottato l'11 dicembre 1997 dalla terza conferenza Onu sul clima, ha assunto precisi impegni in termini di riduzione delle emissioni di gas-serra;
con la legge 1o giugno 2002, n. 120, di ratifica ed esecuzione del protocollo di Kyoto, l'Italia ha sottoscritto l'impegno di ridurre del 6,5 per cento - rispetto ai livelli del 1990 - le emissioni di gas serra nell'ambiente;
sulla base dei citati impegni assunti in sede internazionale, il Governo italiano ha adottato nel corso del tempo numerose iniziative legislative e diplomatiche finalizzate alla drastica riduzione delle emissioni di gas serra nell'ambiente;
rileva, in particolare, a questo proposito l'adesione dell'Italia nel dicembre 2008 al cosiddetto «pacchetto clima-energia», attraverso il quale l'Unione europea ha rafforzato la propria azione in tema di politiche ambientali ed energetiche, fissando quali obiettivi strategici - da conseguire entro il 2020 - la riduzione del 20 per cento delle emissioni di CO2, l'incremento dell'efficienza energetica del 20 per cento e l'aumento al 20 per cento della quota di energia prodotta da fonti rinnovabili (cosiddetto 20-20-20);
il percorso per raggiungere gli obiettivi prefissi non risulta agevole: il trasporto urbano, infatti, contribuisce in misura significativa alle emissioni complessive dei gas serra e, secondo quanto emerge nel piano nazionale per la riduzione delle emissioni di tali gas nel periodo 2003-2010, le sostanze responsabili dell'inquinamento atmosferico sono in continua crescita, tanto da ritenere che le emissioni dei gas responsabili dell'effetto serra da parte dei trasporti saranno nel 2010 superiori almeno dell'8 per cento rispetto ai livelli del 1990, anziché inferiori del 6,5 per cento secondo l'obiettivo prefissato dal Governo italiano;
soltanto l'innovazione tecnologica è in grado di fornire nel breve termine una risposta concreta ed efficace alla lotta contro l'inquinamento ambientale, aiutando lo Stato e gli enti locali a controllare e contenere l'emissione di sostanze inquinanti, nel rispetto degli standard comunitari ed internazionali;
a tale proposito, nel 2009, il ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si è fatto promotore dell'iniziativa di finanziare l'installazione di dispositivi per l'abbattimento delle emissioni di particolato dei gas di scarico su veicoli di classe euro 0, euro 1, euro 2 di proprietà di aziende che svolgono servizi di pubblica utilità e, attraverso i programmi di finanziamento di propria competenza (piano stralcio di tutela ambientale, domeniche ecologiche e interventi radicali), ha, negli anni passati, finanziato la realizzazione di colonnine di ricarica per veicoli elettrici in diversi comuni, tra cui Roma, Milano, Firenze, Bologna, Genova, Livorno, Lucca, Catania, Palermo, Torino, Pescara e Catanzaro;
i veicoli elettrici a batteria sono una soluzione tecnicamente disponibile, in grado di garantire risparmi energetici e riduzioni delle emissioni di polveri sottili nell'ambiente anche superiori al 50 per cento in rapporto ai veicoli equivalenti con motore endotermico e sono caratterizzati da emissioni locali ridotte se non del tutto nulle;
le nuove batterie al litio o al Na/NiCl (al sale fuso, ricaricabili) permettono di raggiungere autonomie di percorso tra i 150 e i 250 chilometri, che porterebbero questi veicoli ad aggiudicarsi il 20-35 per cento del mercato complessivo della mobilità su strada: tali prestazioni, infatti, sono perfettamente compatibili con le esigenze di una frazione significativa della mobilità pendolare, con le «seconde» vetture di famiglia e con gran parte dei veicoli leggeri per usi commerciali e aziendali;
una tale diffusione sul mercato porterebbe il prezzo dei veicoli a batteria a valori non molto superiori a quello dei veicoli convenzionali e la differenza di prezzo verrebbe compensata dal loro basso consumo di energia, che permetterebbe il recupero dell'extracosto in meno della metà della vita del veicolo, con un vantaggio economico netto sull'intero arco di vita dello stesso;
non ci sono - dunque - logiche economiche che possano frenare lo sviluppo delle auto elettriche, mentre è decisiva, come dimostrato dai falliti tentativi di elettrificazione dell'auto fatti negli anni ottanta, la realizzazione delle infrastrutture adeguate;
così come l'avvento della locomotiva a vapore ha richiesto la costruzione di ferrovie e la diffusione del motore a combustione interna ha richiesto strade, autostrade e distributori di benzina, l'affermazione dell'utilizzo dell'auto elettrica richiede lo sviluppo di infrastrutture per la ricarica dei veicoli e, soprattutto, la relativa standardizzazione dei sistemi di alimentazione, dal punto di vista delle variabili elettriche, tensione e corrente, e della frequenza, nonché la definizione di opportune norme di sicurezza;
la realizzazione di questi interventi infrastrutturali finalizzati all'eliminazione degli ostacoli alla diffusione della propulsione elettrica passa necessariamente attraverso l'azione coordinata e sinergica tra Stato, enti locali, industria, gestori delle reti stradali e degli spazi pubblici e privati dedicati ai parcheggi,
impegna il Governo:
ad adottare, nell'ambito delle proprie competenze e nel rispetto delle competenze attribuite alle regioni e agli enti locali dalla legislazione vigente, provvedimenti - anche di natura economica - finalizzati a:
a) creare un sistema di ricarica dei veicoli - a partire dalle aree urbane - applicabile estensivamente sia nell'ambito del trasporto privato che pubblico e che sia compatibile con quanto in fase di sviluppo in tutti i Paesi dell'Unione europea, al fine di garantire l'interoperabilità dei sistemi in ambito internazionale;
b) introdurre procedure di gestione del servizio di ricarica facendo leva sulle peculiarità e potenzialità dell'infrastruttura del contatore elettronico, con particolare attenzione:
1) all'assegnazione dei costi di ricarica al cliente che la effettua, identificandolo univocamente;
2) alla predisposizione di un sistema ad applicazioni tariffarie differenziate;
3) alla regolamentazione dei tempi e dei modi di ricarica, coniugando le esigenze dei clienti con l'ottimizzazione delle disponibilità di rete elettrica, assicurando la realizzazione di una soluzione compatibile con le regole del libero mercato che caratterizzano il settore elettrico;
c) dotare il ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare delle risorse necessarie per il cofinanziamento, fino ad un massimo del 50 per cento delle spese sostenute per l'acquisto e l'installazione degli impianti, dei progetti presentati dalle regioni e dagli enti locali relativi allo sviluppo di infrastrutture per la ricarica dei veicoli;
d) prevedere che il ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con i ministeri dello sviluppo economico e delle infrastrutture e dei trasporti predisponga le regole per garantire lo sviluppo unitario delle reti di ricarica sul territorio nazionale.
(1-00269)
(Nuova formulazione) «Ghiglia, Bocchino, Guido Dussin, Iannaccone, Garofalo, Tommaso Foti, Germanà, Pili, Vella, Gibiino, Di Cagno Abbrescia, Aracri, Rampelli, Scalera, Iannarilli, Scalia».
La Camera,
premesso che:
i mezzi di trasporto privati sono i responsabili della maggior parte delle emissioni di CO2 nelle nostre città. Un recente rapporto dell'associazione «Amici della terra» ha denunciato come nel periodo compreso tra il 1990 e il 2006, in Europa, le emissioni di gas serra prodotte dai veicoli a motore sono aumentate del 25 per cento, e l'Italia è quella che presenta l'incremento percentuale maggiore;
la voce trasporto, di cui quello urbano compone una fetta molto significativa, rappresenta in Italia circa un terzo delle emissioni totali di gas-serra. Una quantità di veleni ancor più impressionante se si considera che per grossa parte viene prodotta e respirata nelle grandi città, ovvero le zone più densamente abitate del nostro Paese. Un problema questo che rende fondamentale il potenziamento del trasporto pubblico e la riduzione progressiva del trasporto privato e l'innovazione verso una mobilità alternativa, dal trasporto collettivo, a quello pedonale e ciclabile, a quello privilegiato per vetture elettriche o ibride, al fine di favorire il decongestionamento e la riduzione dei gas inquinanti nelle nostre città;
in assenza di provvedimenti adeguati, il traffico veicolare continuerà a contribuire notevolmente all'inquinamento atmosferico, rendendo sempre più difficile il raggiungimento degli obiettivi che l'Unione europea si è prefissata. Gli Stati membri dell'Unione europea, infatti, si sono impegnati a ridurre le emissioni di gas serra del 20 per cento entro il 2020;
per sensibilizzare l'opinione pubblica e i governi, dal 16 al 22 settembre 2009, per iniziativa del dipartimento all'ambiente della Commissione europea si è svolta in più di duemila città europee la sesta edizione della «settimana europea della mobilità sostenibile», al fine di sollecitare i comuni nello sforzo di creare sistemi di mobilità più efficienti, fondamentali tanto nella lotta all'inquinamento globale quanto nel migliorare la qualità della vita dei milioni di cittadini che vivono nelle città;
in occasione della suddetta manifestazione, il Commissario europeo per l'ambiente, Stavros Dimas, dichiarava: «Le automobili private sono tra le maggiori fonti di emissione dei gas serra che contribuiscono ai cambiamenti climatici e hanno anche un serio impatto sulla qualità della vita in città. Per questo è importante, per le autorità locali e i cittadini dell'Unione europea, adottare modalità di trasporto più sostenibili. Fare questa scelta aiuterebbe a ridurre l'impatto dei cambiamenti climatici e migliorerebbe le condizioni di vita nei nostri centri urbani»;
va purtroppo invece sottolineato, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, come non vi sia alcun incremento di risorse per migliorare le politiche di mobilità urbana, ma al contrario si assiste ad una sostanziale riduzione delle già scarse risorse, a disposizione della mobilità ecosostenibile;
con il decreto legge n. 5 del 2009, è stato infatti ridotto di 11 milioni di euro il Fondo per la mobilità sostenibile, istituito dall'articolo 1, comma 1121, della legge finanziaria per il 2007;
va ricordato che il Fondo per la mobilità sostenibile è strumento fondamentale per le politiche di mobilità urbana ecosostenibile. Il Fondo finanzia una serie d'interventi tra i quali: a) potenziamento ed aumento dell'efficienza dei mezzi pubblici, con particolare riguardo a quelli meno inquinanti e a favore dei comuni a maggiore crisi ambientale; b) incentivazione dell'intermodalità; c) valorizzazione degli strumenti del mobility management e del car sharing; d) riorganizzazione e razionalizzazione del settore di trasporto e consegna delle merci, attraverso la realizzazione di centri direzionali di smistamento che permetta una migliore organizzazione logistica, nonché il progressivo obbligo di utilizzo di veicoli a basso impatto ambientale; e) realizzazione e potenziamento della rete di distribuzione del gas metano, del gpl, dell'elettricità e dell'idrogeno; f) promozione di reti urbane di percorsi destinati alla mobilità ciclistica;
per quanto riguarda il trasporto pubblico nelle aree urbane più grandi, dove il problema della congestione e dell'inquinamento rappresenta una vera e propria emergenza quotidiana, è indispensabile indirizzarsi e procedere a un'incentivazione della mobilità pubblica, agendo in particolare a favore del suo svecchiamento introducendo autobus a metano ed elettrici;
per quanto concerne invece il trasporto privato, è altresì indispensabile favorire la diffusione e la commercializzazione delle auto elettriche e a metano, non solo con incentivi fiscali mirati, ma anche e soprattutto attraverso la realizzazione capillare sul territorio di reti di distribuzione (colonnine di ricarica e stazioni di rifornimento per il metano), attualmente praticamente inesistenti;
le vetture elettriche e a metano infatti, si vendono bene solo là dove c'è una sufficiente rete di rifornimento. Ci sono regioni, come la Campania, dove, per esempio, è presente una sola pompa di metano, mentre in Sardegna tali impianti sono totalmente assenti;
il Governo deve in questo ambito sostenere la crescita del settore dell'auto elettrica o comunque a ridottissimo impatto ambientale, come una concreta opportunità di crescita industriale, per una mobilità urbana alternativa agli attuali modelli alimentati da combustibili fossili;
il settore dell'auto e dei veicoli elettrici è in questo senso ormai maturo per una sua reale diffusione nel mercato. Le principali grandi marche di autovetture europee, Mercedes, Bmw, Citroen, per fare solo alcuni esempi, stanno lanciando nuovi modelli a emissioni zero. Altre industrie automobilistiche si stanno muovendo anche loro nella medesima direzione. Il futuro prossimo è di un'auto che si potrà ricaricare in 6-8 ore, con un'autonomia di oltre 130 chilometri, a fronte di una spesa di due o tre euro, con benefici altissimi in termini di riduzione dell'inquinamento atmosferico;
l'auto a trazione elettrica può quindi realmente fare da «apripista» verso nuovi scenari e una nuova era dell'automobile, con ricadute importanti e vantaggi non solo in termini di evidenti benefici ambientali ma anche in termini industriali e occupazionali;
l'ipotesi, a quanto pare allo studio da parte del Governo, di una possibile proroga degli incentivi auto in continuità con quanto già previsto dal decreto legge n. 5 del 2009, se confermata, deve in questo senso essere l'occasione per attivare interventi fiscali agevolativi mirati a favorire i mezzi di trasporto ad emissioni zero o a ridottissimo impatto ambientale, quali appunto le autovetture a metano, a trazione elettrica o ibrida, e parallelamente ad avviare la creazione delle conseguenti indispensabili infrastrutture relative alle reti di distribuzione;
parallelamente, andranno altresì incentivati gli acquisti di biciclette, biciclette a pedalata assistita, nonché di ciclomotori a trazione elettrica. Va ricordato in questo senso come il fondo finalizzato a finanziare i suddetti incentivi, a seguito dell'accordo siglato fra Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e Ancma (Associazione nazionale ciclo e motociclo accessori aderente a Confindustria), aveva consentito nella primavera del 2009 a circa 60 mila acquirenti di poter beneficiare dei medesimi incentivi,
impegna il Governo:
ad assumere iniziative per un incremento della dotazione del Fondo per la mobilità sostenibile, quale fondamentale strumento di finanziamento a disposizione delle grandi aree urbane per interventi finalizzati alla riduzione dell'inquinamento atmosferico e per lo sviluppo della mobilità urbana a minore impatto ambientale;
al fine di favorire lo sviluppo del mercato dei veicoli a propulsione elettrica, e nell'ambito delle proprie competenze e in coordinamento con gli enti locali, a prevedere le opportune risorse e iniziative volte alla realizzazione di una rete di punti di ricarica, quali premessa indispensabile per la crescita del medesimo mercato;
a dare un forte impulso, anche attraverso appositi accordi di programma con gli enti locali coinvolti e le associazioni e le categorie interessate, allo sviluppo della rete di distribuzione sul territorio nazionale di carburanti a minore impatto ambientale, con specifico riferimento al metano per autotrazione;
ad adottare le necessarie iniziative per il rifinanziamento del fondo messo a disposizione dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare finalizzato al contributo statale per l'acquisto di una nuova bicicletta, comprese quelle elettriche a pedalata assistita, nonché di ciclomotori euro 2 termici o elettrici;
a prevedere - con particolare riferimento alle aree urbane - interventi miranti ad incentivare il trasporto pubblico locale e una mobilità alternativa, anche attraverso la riproposizione di importanti strumenti che hanno mostrato in questi anni tutta la loro efficacia, quali il rimborso parziale dell'abbonamento al trasporto pubblico locale, e maggiori incentivi per la diffusione del servizio di condivisione degli autoveicoli (car-sharing).
(1-00303)
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)«Piffari, Scilipoti, Donadi, Borghesi, Evangelisti».
La Camera,
premesso che:
negli ultimi 19 anni si è avuto un forte incremento delle emissioni di CO2 provenienti da automezzi, ivi compresi i mezzi per il trasporto pubblico;
nonostante l'impegno delle amministrazioni locali in progetti di limitazione del traffico nelle aree urbane sensibili incentivando così l'utilizzo dei mezzi pubblici, il trasporto pubblico locale non riesce a rispondere in modo efficiente ai requisiti di mobilità sostenibile;
il traffico registrato nelle aree metropolitane ha subito un forte incremento negli ultimi anni con evidenti effetti negativi sulle emissioni nocive per la popolazione evidenziando così l'inefficacia delle azioni strategiche intraprese sia a livello nazionale che locale dalle amministrazioni;
secondo l'Eurostat, in Italia solo il 9,9 per cento dei prodotti viene trasportato per mezzo dei treni, rispetto all'11,8 per cento dell'Inghilterra, il 15,7 per cento della Francia e il 21,4 per cento della Germania. La media europea si attesta intorno al 17 per cento;
nel 2007 il traffico combinato si trovava agli stessi livelli del 2002; anche per gli ultimi due anni il trend è in calo. Mentre i binari movimentano una quantità di merce che a fatica raggiunge il 10 per cento, i trasporti via camion raggiungono quote del 60 per cento, secondo il Conto nazionale dei trasporti 2009. L'Eurostat, addirittura, rileva che i prodotti movimentati attraverso tir raggiungono il 90 per cento;
nel 2008 le aziende che producono automezzi hanno ridotto le emissioni di CO2 dei modelli complessivamente venduti sul mercato europeo del 3,3 per cento, portando la media di settore a 153,5 gCO2/km: un miglioramento notevole rispetto agli anni precedenti, secondo il Rapporto "Reducing CO2 Emissions from New Cars: A Study of Major Car Manufacturers'' pubblicato da Transport and Environment;
complessivamente il trasporto su gomma contribuisce al 19 per cento del totale della CO2 emessa in Europa e rispetto al 1990, anno di riferimento per la riduzione di emissioni prevista dal protocollo di Kyoto, le emissioni provenienti da questo settore sono aumentate del 28 per cento;
i dati confermano come la riduzione delle emissioni di CO2 sia un obiettivo comune delle case automobilistiche europee, ma non bisogna dimenticare l'influenza che in questo settore hanno avuto l'aumento del prezzo del petrolio tra 2007 e 2008, e la crisi finanziaria, che hanno spinto verso l'economicità e l'efficienza di qualsiasi scelta produttiva e degli investimenti in ricerca e sviluppo;
è più che mai doveroso prevedere una politica coordinata in materia di trasporti e ambiente, che si basi su una più efficace ed efficiente qualità dell'offerta e una migliore cura nella comunicazione nei confronti del consumatore;
l'emergenza ambientale impone un forte impegno sulle politiche da adottare in tema di trasporto ferroviario delle merci, prendendo atto del fatto che la liberalizzazione non ha sviluppato un vero e proprio mercato dei servizi ferroviari e non ha neanche aumentato il volume delle merci trasportate;
negli ultimi anni le politiche a favore della modalità ferroviaria sono state inefficaci ed al limite dell'inesistente se paragonate alle politiche adottate da altri Paesi come la Francia, che sta investendo sul trasporto delle merci per ferrovia, a tal punto che alcuni treni Tgv sono stati appositamente adibiti per garantire alle derrate viaggi rapidi ed efficienti;
in Italia il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha delegato tutta la gestione dei trasporti alle Ferrovie, le quali tuttavia possiedono una percezione erronea dei treni merci, considerati un tipico esempio di inefficienza e di perdita economica. All'inizio del 2008 il Gruppo Ferrovie dello Stato ha creato con Poste Italiane una società, Italia Logistica, dedicata al trasporto merci su rotaia con consegna 'fino all'ultimo miglio', cioè direttamente al dettaglio e in modo capillare. La società, attiva su tutta la rete nazionale, opera con soltanto 12 treni la settimana per un totale di 7.200 tonnellate di prodotti;
nel nostro Paese la maggior parte delle aziende ferroviarie private, molte delle quali acquistate da grandi gruppi europei, concentrano la loro attività nelle regioni settentrionali, sulle direttrici nord-sud in quanto il quadro normativo comunitario ha reso possibile lo sviluppo di un mercato interno. Le differenze territoriali hanno favorito l'aumento del divario nell'offerta dei servizi di logistica tra le diverse aree territoriali in quanto si tratta ancora di un mercato non competitivo con la gomma, che attrae poco gli investimenti privati ed è ingessato da un contesto di servizi e infrastrutture insufficienti;
l'inefficienza dei trasporti pubblici rilevata soprattutto nelle grandi città, nonché il loro utilizzo di carburanti fossili, crea enormi problemi di congestione del traffico che influisce sulla qualità di vita e la salute dei cittadini, da una parte, ed evidenzia un enorme aumento dell'inquinamento da gas di scarico, dall'altro, in quanto incentiva i cittadini all'utilizzo dei mezzi di trasporto privati, con conseguente aumento delle emissioni di CO2 nell'atmosfera;
l'economia evidenzia un momento di profonda crisi in tutta Europa, con preoccupante calo della domanda, aumento della disoccupazione, tutti elementi che influenzano il crollo dei trasporti di tutte le modalità. Basti considerare che un recente studio dell'università di Karlsruhe evidenzia che più di 100 km di linea ferroviaria in Germania sono divenuti un parcheggio per i carri ferroviari non utilizzati;
non si può prescindere dalla inaccettabilità di prevedere il costo della congestione solo per una categoria di operatori che rappresenta il 15 per cento del circolante nelle strade europee, in quanto ogni costo aggiuntivo all'autotrasporto comporterà un inevitabile aumento del costo dei prodotti e non porterà effetti positivi sulla modifica del peso e dei volumi trasportati in assenza di alternative efficienti e valide all'autotrasporto,
impegna il Governo:
ad adottare, nell'ambito delle proprie competenze e nel rispetto delle competenze attribuite alle regioni ed agli enti locali dalla legislazione vigente, provvedimenti - anche di natura economica - finalizzati a:
a) sviluppare un sistema di sostegno finanziario alla ricerca ed allo sviluppo di nuove forme di alimentazione dei mezzi pubblici, siano esse elettriche o da biodiesel derivante dallo scarto agricolo;
b) avviare un piano di incentivi - finanziari o fiscali - per lo sviluppo di tutta la catena del valore per la produzione di mezzi per il trasporto pubblico e delle merci alimentati con sistemi a basso impatto ambientale al fine di creare una massa critica industriale nel nostro Paese che possa essere destinataria degli sforzi e degli impegni del Governo;
c) consentire, soprattutto nelle grandi aree metropolitane, iniziative volte a favorire lo sviluppo dei trasporti pubblici eco-sostenibili, in particolar modo quelli alimentati a biocarburanti, anche inserendoli in un contesto di piani di viabilità volti a disincentivare il traffico privato a vantaggio di quello pubblico e la ciclabilità;
d) introdurre un sistema di finanziamenti che permettano l'adeguamento e la progressiva sostituzione dei mezzi di trasporto con veicoli a basso impatto ambientale e che utilizzino combustibili alternativi ed a bassa produzione di CO2;
e) prevedere un piano nazionale di investimento in progetti di ricerca e sviluppo di soluzioni applicative che permettano la riduzione delle emissioni inquinanti nel settore dei trasporti;
f) scoraggiare l'utilizzo dei veicoli più inquinanti anche con incentivi di natura fiscale.
(1-00306)
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)«Libè, Vietti, Mondello, Dionisi, Mereu, Compagnon, Volontè, Galletti, Ciccanti, Naro».
MOZIONI IANNACCONE ED ALTRI N.1-00265, D'ANTONI ED ALTRI N.1-00300, LEOLUCA ORLANDO ED ALTRI N.1-00304, MOFFA ED ALTRI N.1-00305, PEZZOTTA ED ALTRI N.1-00307 E BARBATO ED ALTRI N.1-00308 CONCERNENTI INIZIATIVE PER FAVORIRE L'OCCUPAZIONE NEL MEZZOGIORNO
Mozioni
La Camera,
premesso che:
«il lavoro non è una merce», come sancisce il primo dei princìpi su cui si fonda l'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL);
una Repubblica fondata sul lavoro, quale l'Italia, oltre a riconoscere il lavoro come diritto inalienabile dell'uomo, ha il compito di promuovere le condizioni, che rendano effettivo l'esercizio di tale diritto;
l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) ha stabilito come propria guideline quella in base alla quale una politica attiva del lavoro debba dedicare grande cura sia ad un'informazione tempestiva e significativa sulla struttura e dinamica della domanda e dell'offerta sia all'orientamento e alla formazione professionale dell'offerta medesima;
nell'attuale situazione di crisi economica è assolutamente necessario continuare ed accrescere le azioni di contrasto al lavoro nero, favorire l'inserimento lavorativo dei lavoratori svantaggiati attraverso specifici percorsi di formazione, facilitare le prime esperienze dei giovani e le opportunità di reimpiego per gli «over» espulsi dal mercato;
la crisi attuale impone un potenziamento delle politiche attive del lavoro, chiamate ad agevolare i processi di transizione sul mercato del lavoro, garantendo l'equità, ma anche l'efficienza e la selettività degli interventi, mantenendo e sviluppando l'occupabilità delle persone, favorendo il ritorno al lavoro da parte dei percettori dei sussidi;
i public employment services (servizi pubblici per l'impiego) hanno un ruolo di primaria importanza nell'ambito della Strategia europea per l'occupazione, che prevede esplicitamente la possibilità di un «affiancamento» ad altri intermediari pubblici e/o privati;
sul livello dei servizi offerti dai centri per l'impiego pubblici appare persistente un «dualismo territoriale, caratterizzato dallo costruzione di servizi altamente personalizzati ed in chiave »proattiva« al centro-nord e dalla prevalenza di servizi di natura più tradizionale e di un'attività prevalentemente incentrata sugli adempimenti amministrativi al sud», come sostenuto dal ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, segretariato generale, nella pubblicazione Welfare to work: un quadro della normativa comunitaria, nazionale e regionale in materia di offerta congrua;
a tale dualismo va sommata la complessità del sistema di competenze in materia di servizi per l'impiego che sovente aggrava il dualismo di cui si è detto;
in particolare, le competenze nazionali concernono essenzialmente indirizzo, promozione, coordinamento, conduzione dei servizi per il lavoro (SIL) e valutazione dell'efficacia delle politiche del lavoro; le competenze regionali concernono: funzioni di indirizzo relative al collocamento, concertazione regionale e relativo coordinamento; programmazione, promozione del lavoro autonomo e delle nuove imprese, promozione di iniziative di collocamento per le fasce deboli, affiancamento al ministero del lavoro e delle politiche sociali per iniziative in materia di gestione delle eccedenze, raccordo delle funzioni, politiche attive e monitoraggio del mercato del lavoro; le competenze provinciali concernono: gestione dei servizi di collocamento e preselezione attraverso i centri provinciali per l'impiego (CPI), promozione di iniziative e di interventi attivi, in relazione con la concertazione e la programmazione territoriale con particolare riferimento ad iniziative integrate di orientamento e formazione; sono competenze comunali: l'avvio e la gestione di servizi integrati in connessione con i centri provinciali per l'impiego nonché le iniziative di orientamento e promozione;
il ministero del lavoro e delle politiche sociali ha recentemente preannunciato di voler costituire un tavolo di concertazione con le parti sociali, al fine di prevedere la possibilità di stabilire una deroga in pejus al trattamento economico previsto dalla contrattazione collettiva, tale regime derogatorio dovrebbe applicarsi alle nuove imprese, che assumono nel Mezzogiorno;
nonostante sia condivisibile il fine di aumentare l'occupazione nelle regioni meridionali, l'obiettivo de quo deve essere perseguito senza penalizzare le condizioni economico-giuridiche dei lavoratori che prestano la propria opera nelle regioni del sud e con la garanzia che la misura ipotizzata non si risolva in un mero vantaggio competitivo temporaneo per imprenditori poco affidabili. Ne consegue la necessità di approfondire la proposta e di adottare le necessarie garanzie in ordine alla sua temporaneità, alle sue concrete modalità applicative e ai meccanismi da adottare, al fine di rendere stabile la nuova occupazione così incentivata;
nelle regioni del Mezzogiorno la lotta al lavoro senza tutele, al lavoro nero, agli appalti cosiddetti «non genuini» deve rappresentare, ancora di più che in altre zone del Paese, un obiettivo imprescindibile dell'azione governativa, volta a combattere e, in prospettiva, ad eliminare forme di utilizzo della forza lavoro, che costituiscono sfruttamento del lavoro stesso e producono distorsione della concorrenza;
la diretta conseguenza di tali forme di utilizzo illegale delle prestazioni di lavoro è la penalizzazione delle imprese, che applicano correttamente la normativa e la difficoltà a mantenere e, vieppiù, a creare occupazione legale e stabile;
in svariate zone del Paese e principalmente nelle regioni del Mezzogiorno si sono formati dei cosiddetti «bacini di crisi», a seguito delle difficoltà di tipo industriale e, conseguentemente, occupazionale, che si sono venute a determinare a causa del recente default di alcuni grossi operatori finanziari internazionali;
tali «bacini di crisi» devono essere oggetto di una gestione legislativa e amministrativa, che, ottimizzando l'utilizzo della formazione professionale, consenta il reimpiego dei lavoratori espulsi dal ciclo produttivo;
quanto alla formazione professionale, essa, anche ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione costituisce il momento di raccordo tra l'istruzione ed il lavoro, tra il diritto allo studio e il diritto al lavoro, tra il significato culturale e l'aspetto produttivistico dell'istruzione;
in sintesi, la formazione professionale consente di adeguare la qualità dell'offerta di lavoro alle esigenze della domanda, sopperendo così alle carenze della normale dinamica di mercato,
impegna il Governo:
a riconoscere che l'aumento della disoccupazione nel Mezzogiorno costituisce un'emergenza nazionale e, conseguentemente, a porre in essere interventi che favoriscano e incentivino l'incontro tra domanda e offerta di lavoro, con la previsione di misure specifiche rivolte al Mezzogiorno;
ad aumentare il livello di efficienza dei servizi pubblici per l'impiego del Mezzogiorno, anche attraverso una più proficua collaborazione con soggetti privati, che si concretizzi nello scambio di informazioni, ai fini della messa a disposizione dei nominativi dei lavoratori svantaggiati da parte dell'Inps e dei centri per l'impiego, con l'obiettivo di aumentare le occasioni di lavoro da proporre a questi soggetti;
a prevedere nelle aree del Mezzogiorno, nelle quali si siano determinate crisi industriali e per ciò stesso, occupazionali, la gestione di comunicazioni specifiche da parte di soggetti pubblici (ivi compresa l'agenzia tecnica del ministero del lavoro e delle politiche sociali, Italia lavoro) contenenti l'indicazione dei nominativi dei lavoratori che possono essere assunti con l'erogazione di specifici incentivi, da inviare alle associazioni imprenditoriali, e sindacali;
a varare un piano di formazione professionale straordinario per il sud, erogato dai servizi pubblici per l'impiego in concorso con le agenzie per il lavoro legittimate all'esercizio di questa attività per espressa disposizione di legge (articolo 2, lettere b), c) e d), del decreto legislativo n. 276 del 2003), che preveda la «presa in carico» del lavoratore disoccupato o inoccupato da parte dell'agenzia, la quale, attraverso un percorso formativo concepito ad personam, dovrà condurlo ad una (nuova) occupazione;
a prevedere, a tal fine, meccanismi incentivanti e disincentivanti, correlati al numero di lavoratori che verranno effettivamente occupati al termine del percorso formativo e ciò in netta contrapposizione alle logiche assistenzialistiche utilizzate in passato.
(1-00265)
«Iannaccone, Lo Monte, Belcastro, Commercio, Latteri, Lombardo, Milo, Sardelli, Brugger».
La Camera,
premesso che:
la Costituzione italiana sancisce che «L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro» (articolo 1), che «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali» (articolo 3), che la Repubblica «riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto» (articolo 4), che lo Stato cura «la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori» (articolo 35), i quali hanno diritto ad una retribuzione «in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa» (articolo 36);
la più recente rilevazione dell'Istat sulle forze lavoro, diffusa il 17 dicembre 2009 e relativa al terzo trimestre del 2009, indica una condizione critica soprattutto nelle aree deboli del Mezzogiorno. Il rapporto mette in guardia dal nuovo e sensibile incremento dell'inattività lavorativa, fenomeno concentrato nelle regioni meridionali e dovuto principalmente a fenomeni di scoraggiamento, alla mancata ricerca del lavoro di molte donne per motivi familiari, al ritardato ingresso dei giovani nel mercato del lavoro. Nel Mezzogiorno il tasso di occupazione registra un ulteriore e allarmante calo rispetto allo stesso periodo del 2008 (dal 46,5 per cento al 45 per cento). In particolare, il tasso di inattività femminile nelle regioni meridionali si attesta al 69,2 per cento, con un calo di un punto percentuale rispetto al terzo trimestre del 2008. Il tasso di disoccupazione, all'8,2 per cento su scala nazionale, raggiunge nelle regioni meridionali la preoccupante soglia del 12,4 per cento;
questi numeri naturalmente non tengono conto della quota del lavoro sommerso, che specialmente nel Mezzogiorno rappresenta una fetta assai importante dell'intera forza lavoro. Secondo recenti stime Svimez, il Sud presenta tassi di irregolarità particolarmente elevati, pari circa al doppio rispetto al resto del Paese. Nel 2008 - prima dello scatenarsi della crisi economica - risultava irregolare nel meridione circa una persona su cinque (con punte di una su due in alcune regioni e in alcuni settori come l'agricoltura e l'edilizia), vale a dire 1,3 milioni di persone. Va aggiunto che nel Mezzogiorno la quasi totalità delle famiglie vive con un solo reddito;
secondo il rapporto Censis 2009 sulla situazione sociale del Paese, in Italia, quasi una famiglia su tre ha difficoltà ad arrivare a fine mese. Ma se la media nazionale si attesta sul 28,5 per cento, nelle regioni del Sud tale indice si alza fino al 36,5 per cento. A metà 2009, rileva ancora l'istituto, si sono persi 378 mila posti di lavoro di cui 271 mila al Sud. Ad essere colpite sono soprattutto le forme di lavoro a termine (-9,4 per cento) e le collaborazioni a progetto (-12,1 per cento). Tale effetto grava in particolare sui ragazzi: il 45,4 per cento di chi ha perso il lavoro nell'ultimo anno ha infatti meno di 34 anni. È stato rilevato che l'Italia è il paese europeo a più alto divario tra tasso medio di disoccupazione e tasso di disoccupazione giovanile. Questo fenomeno è più che mai acuto nei territori del Sud;
dalle analisi dei dati Ocse e Istat sul rapporto tra livello di istruzione e condizione lavorativa, risulta che il rendimento dell'investimento formativo è nel Mezzogiorno notevolmente più basso rispetto alle altre parti d'Italia a causa del ritardato o mancato ingresso nel mercato del lavoro una volta concluso il processo di formazione. Le difficoltà dei giovani diplomati e laureati del Sud a trovare una collocazione nel circuito del lavoro riflette sia inadeguatezze nella rete formativa, che presenta standard qualitativi inferiori agli altri Paesi europei e occidentali, sia criticità del sistema di transizione scuola-lavoro;
dal rapporto Svimez 2009 emerge che ogni anno 300 mila giovani meridionali abbandonano il Sud per cercare fortuna altrove. Di questi, quasi uno su due deciderà di non tornare più a casa. La fuga dal Mezzogiorno avviene in due tempi. La prima emorragia coincide con la scelta del corso di studi: al momento dell'iscrizione all'università un ragazzo su quattro decide di frequentare un ateneo del Centro-Nord. La fuga decisiva è connessa con la ricerca di un posto di lavoro: a tre anni dal conseguimento della laurea, oltre il 4 per cento dei giovani meridionali occupati lavora al Centro-Nord. L'aspetto più allarmante di questa nuova migrazione interna sta nel fatto che coinvolge i giovani culturalmente e professionalmente più attrezzati: il 40 per cento dei laureati meridionali che hanno trovato lavoro al Nord si è laureato infatti con il massimo dei voti;
le dinamiche relative all'emigrazione dal Sud al Nord sono l'effetto più evidente dello stallo del sistema sociale e produttivo del Mezzogiorno. Se i ragazzi vanno via è perché il sistema delle imprese meridionali non è in grado di competere con quello settentrionale quanto a capacità di assorbire forza lavoro altamente qualificata. Un gap al quale si aggiunge uno squilibrio vertiginoso nei sistemi di transizione scuola-lavoro e nei livelli del servizio sociale. Questo quadro condanna oggi il Mezzogiorno ad essere il maggiore fornitore di risorse umane delle zone forti del Centro Nord;
il fenomeno dell'emigrazione interna si traduce anche in un'allarmante emorragia economica dalle fasce e dalle zone deboli a quelle forti del Paese. Tra tasse universitarie e integrazioni alle magre buste paga che i ragazzi percepiscono per molti anni dopo aver finito il corso di studi, ogni anno dal Sud al Nord si spostano non meno di 2 miliardi di euro. Così il Mezzogiorno si trova a dover pagare un dazio insieme economico e culturale, che inverte letteralmente la storica logica delle «rimesse». Per uscire da questa condizione occorre agire su due nodi fondamentali: lo sviluppo del comparto produttivo del Sud e l'implementazione di efficaci strumenti di raccordo tra le università e il mondo del lavoro;
dai dati appena illustrati appare evidente come nell'attuale fase di crisi è nel Mezzogiorno che si registrano gli effetti più devastanti sia in termini economici che sociali. Ciò malgrado nelle passate fasi congiunturali il Sud abbia reagito meglio rispetto alle aree forti proprio a causa della sua scarsa apertura ai mercati internazionali. L'economia meridionale somma all'inversione ciclica debolezze strutturali che affondano le loro radici nel tempo e che si aggravano nell'attuale fase congiunturale. Come ha rilevato la Banca d'Italia in uno studio pubblicato nel luglio 2009, tutte le debolezze economiche e sociali del Paese - dall'occupazione alla povertà, dalla disuguaglianza sociale alla mancanza di competitività - si manifestano con maggior intensità nelle regioni deboli del Mezzogiorno. Questo fatto, unitamente alla rilevanza macroeconomica del Mezzogiorno, rende evidente l'importanza che riveste lo sviluppo del Sud per le prospettive di crescita nazionale. Senza abbattere il cronico sotto utilizzo delle risorse umane e materiali nelle regioni meridionali, ammonisce ancora la Banca d'Italia, l'obiettivo di uscire dal ristagno appare del tutto velleitario;
in contrasto con questa indicazione, l'attuale Governo ha assunto finora, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, una strategia sostanzialmente antimeridionalista. I provvedimenti varati sin qui, non ultima la legge finanziaria per il 2010, hanno di fatto azzerato ogni intervento a favore del Mezzogiorno sia in termini di risorse stanziate che di strumenti specifici. Il continuo ricorso al Fondo per le aree sottoutilizzate (Fas) nazionale per la copertura di provvedimenti di carattere generale ha determinato nei fatti un'ulteriore divaricazione tra le condizioni economiche e sociali delle zone forti e quelle delle zone deboli. Questa sistematica distrazione di fondi, valutabile nella somma di 35 miliardi di euro, oltre a compromettere il rispetto dell'originario vincolo di ripartizione delle risorse del Fondo (si riconosceva alle regioni sottoutilizzate meridionali almeno 1'85 per cento del complesso delle risorse) ha di fatto azzerato le politiche di sviluppo che le regioni del Sud realizzano solo grazie al trasferimento di fondi stanziati dal Governo centrale e dall'Unione europea;
a questa sistematica distrazione di fondi, si è aggiunta una miope politica di tagli per gli imprenditori meridionali. In una fase congiunturale così difficile, invece di supportare le imprese del Sud, il Governo, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, ha di fatto annullato l'operatività del credito d'imposta per i nuovi investimenti, lasciando le aziende del Sud senza alcuna fiscalità di sviluppo e deprimendo ancora di più le prospettive di crescita delle zone sottosviluppate;
i tagli imposti dal Governo al sistema scolastico colpiscono quasi esclusivamente il Sud. Più di 14 mila supplenze sulle 19 mila che scompariranno quest'anno (il 71 per cento) sono localizzate nelle otto regioni meridionali;
il progresso nei livelli di scolarizzazione delle nuove generazioni meridionali è riconosciuto da tutti i più importanti osservatori. La Svimez rileva come, in media, non ci sia più una differenza apprezzabile tra i livelli qualitativi della didattica negli istituti meridionali e quelli del Centro-Nord. Il divario aumenta però in termini di opportunità di impiego. Occorre dunque dare risposte concrete attivando un confronto con le parti sociali e i rappresentanti istituzionali dei territori del Mezzogiorno, al fine di mettere in campo un programma di interventi anticiclici per favorire l'ingresso delle nuove generazioni meridionali nel mercato del lavoro meridionale;
come rilevato dalla Banca d'Italia nel rapporto di fine anno 2008 e ribadito recentemente dal governatore Mario Draghi, il sistema vigente di ammortizzatori sociali esclude una fascia molto ampia di lavoratori atipici e parasubordinati. L'analisi della Banca d'Italia mette in evidenza che 1,6 milioni di lavoratori non godono attualmente di alcuna forma di copertura e rischiano, dunque, di rimanere a zero euro in caso di licenziamento o scadenza dei termini di contratto;
intorno alla risorsa che rappresentano le giovani generazioni meridionali vanno costruiti progetti di intervento in grado di aumentare la qualità dell'istruzione e di accompagnare i ragazzi nella difficile fase di accesso al lavoro, di offrire loro adeguati sistemi di formazione fuori e dentro le aziende, anche per impedire che continui l'esodo verso il Nord dei giovani diplomati e laureati del Mezzogiorno,
impegna il Governo:
a finanziare un piano volto a inserire nel mercato del lavoro almeno 100 mila giovani diplomati e laureati delle otto regioni del Mezzogiorno mediante stage presso imprese private, a tal fine prevedendo un compenso mensile a carico dello Stato per un periodo non inferiore a sei mesi, cui aggiungere un incentivo di 3.000 euro a favore dell'azienda in caso di assunzione a tempo indeterminato;
a reintegrare le risorse impegnate del Fondo per le aree sottoutilizzate per destinarle a un programma mirato al rilancio del tessuto produttivo meridionale e, conseguentemente, dei livelli occupazionali del Mezzogiorno, ripristinando a tal fine un meccanismo di fiscalità di sviluppo concreto ed efficace quale è l'automatismo del credito d'imposta per i nuovi investimenti nel Mezzogiorno;
a predisporre in tempi rapidi un piano organico di riforma degli ammortizzatori sociali, che includa lavoratori a progetto, parasubordinati, lavoratori atipici e le altre categorie contrattuali attualmente escluse da ogni copertura, garantendo almeno il 60 per cento del reddito percepito nell'ultimo anno.
(1-00300)
«D'Antoni, Boccia, Maran, Villecco Calipari, Baretta, Fluvi, Lulli, Damiano, Bellanova, Berretta, Boffa, Bonavitacola, Bordo, Bossa, Burtone, Calvisi, Capano, Capodicasa, Cardinale, Enzo Carra, Causi, Ciriello, Concia, Cuomo, D'Alema, D'Antona, D'Incecco, Fadda, Genovese, Ginefra, Ginoble, Grassi, Graziano, Iannuzzi, Laganà Fortugno, Laratta, Levi, Lo Moro, Lolli, Losacco, Luongo, Margiotta, Cesare Marini, Marrocu, Pierdomenico Martino, Mastromauro, Mazzarella, Melis, Minniti, Nicolais, Oliverio, Arturo Parisi, Pedoto, Mario Pepe (Pd), Pes, Piccolo, Picierno, Antonino Russo, Samperi, Santagata, Sarubbi, Schirru, Servodio, Siragusa, Tenaglia, Livia Turco, Vaccaro, Vico».
La Camera,
premesso che:
l'ultimo rapporto Svimez, presentato nel luglio 2009, ha fotografato un Mezzogiorno in recessione, colpito particolarmente dalla crisi nel settore industriale, che da sette anni consecutivi cresce meno del Centro-Nord;
le prospettive per i prossimi mesi, nonostante qualche segnale di miglioramento soprattutto nel clima di fiducia di imprese e cittadini, appaiono particolarmente gravi per zone deboli del Paese. La diffusa percezione di una crisi che avrebbe riguardato soprattutto le aree più industrializzate del Paese, perché più aperte alla competizione internazionale, è purtroppo smentita dai dati relativi sia alla seconda metà del 2008 che ai primi tre trimestri del 2009;
l'impatto della crisi internazionale, infatti, si sta riflettendo con particolare intensità sul mercato del lavoro meridionale, con brusche riduzioni dell'occupazione e contemporanei incrementi del tasso di disoccupazione e conseguente contrazione dei redditi da lavoro delle famiglie. Tali dinamiche si riflettono in un'ulteriore contrazione della domanda interna che va ad aggravare la tendenza recessiva;
la disoccupazione preoccupa come non mai: nel 2008 i disoccupati al Sud sono aumentati del 9,8 per cento. Crescono in particolare, sempre secondo il rapporto Svimez del 2009, i disoccupati di lunga durata che sono il 6,4 per cento del totale, mentre erano il 5,9 per cento nel 2007 e cresce la «zona grigia» della disoccupazione, che raggruppa scoraggiati e lavoratori potenziali: 95 mila persone in più dell'anno precedente. Dal 2004 al 2008 i cosiddetti disoccupati impliciti e gli scoraggiati sono aumentati di 424 mila unità. Considerando anche questa componente, il tasso di disoccupazione effettivo del Sud salirebbe a oltre il 22 per cento. Secondo dati Istat l'occupazione nel Mezzogiorno nel terzo trimestre 2009 è diminuita dell'0,8 per cento rispetto al primo trimestre del 2009 (dato destagionalizzato);
all'Italia spetta il non invidiabile primato del tasso di disoccupazione giovanile più alto in Europa, di cui è responsabile soprattutto il Mezzogiorno. Nel 2008 solo il 17 per cento dei giovani meridionali in età 15-24 anni lavora, contro il 30 per cento del Centro-Nord. Nella stessa classe di età la disoccupazione è invece del 14,5 per cento al Centro-Nord mentre al Sud arriva al triste primato del 33,6 per cento;
nel 2008 al Sud è irregolare 1 lavoratore su 5, pari, in valori assoluti, a 1 milione 300 mila persone, con tassi di irregolarità del 12,8 per cento nell'industria e del 19 per cento nelle costruzioni. A livello territoriale la regione più «nera» è la Calabria, con il 26 per cento di manodopera irregolare, che sale a quasi il 50 per cento in agricoltura e al 40 per cento nelle costruzioni. A seguire, la Basilicata (20,3 per cento), con un forte peso del settore industriale, Sicilia (19,8 per cento), Sardegna (19,5 per cento) e Puglia (17,4 per cento). Il più alto numero di lavoratori in nero in valori assoluti spetta alla Campania (329 mila persone), che dal 2000 ha però perso il 19,4 per cento (79 mila unità);
caso unico in Europa, l'Italia continua a presentarsi come un Paese spaccato in due sul fronte migratorio: a un Centro-Nord che attira e smista flussi al suo interno corrisponde un Sud che espelle giovani e manodopera senza rimpiazzarla con pensionati, stranieri o individui provenienti da altre regioni. I posti di lavoro del Mezzogiorno sono in numero assai inferiore a quello degli occupati. Ed è la carenza di domanda di figure professionali di livello medio-alto a costituire la principale spinta all'emigrazione;
tra il 1997 e il 2008 circa 700 mila persone hanno abbandonato il Mezzogiorno. Nel 2008 il Mezzogiorno ha perso oltre 122 mila residenti a favore delle regioni del Centro-Nord a fronte di un rientro di circa 60 mila persone. Riguardo alla provenienza, oltre l'87 per cento delle partenze ha origine in tre regioni: Campania, Puglia, Sicilia. L'emorragia è più forte in Campania (-25 mila), a seguire Puglia e Sicilia rispettivamente con 12 mila e duecento e 11 mila e seicento unità in meno;
nel 2008 sono stati 173 mila gli occupati residenti nel Mezzogiorno ma con un posto di lavoro al Centro-Nord o all'estero, 23 mila in più del 2007 (+15,3 per cento). Sono i pendolari di lungo raggio, cittadini a termine che rientrano a casa nel week-end o un paio di volte al mese. Giovani e con un livello di studio medio-alto: l'80 per cento ha meno di 45 anni e quasi il 50 per cento svolge professioni di livello elevato. Il 24 per cento è laureato. Non lasciano la residenza generalmente perché non lo giustificherebbe né il costo della vita nelle aree urbane né un contratto di lavoro a tempo;
la crisi ha colpito anche i pendolari meridionali. Se infatti il movimento Sud-Nord è cresciuto nei primi sei mesi del 2008, con l'aggravarsi del quadro economico 20 mila persone sono rientrate al Sud, soprattutto donne;
in vistosa crescita le partenze dei laureati «eccellenti»: nel 2004 partiva il 25 per cento dei laureati meridionali con il massimo dei voti; tre anni più tardi la percentuale è balzata a quasi il 38 per cento. La mobilità geografica Sud-Nord permette una mobilità sociale. I laureati meridionali che si spostano dopo la laurea al Centro-Nord vanno incontro a contratti meno stabili rispetto a chi rimane, ma a uno stipendio più alto. Il 50 per cento dei giovani che restano al Sud non arriva a 1000 euro al mese, mentre il 63 per cento di chi è partito dopo la laurea guadagna tra 1000 e 1500 euro e oltre il 16 per cento più di 1500 euro;
molte importanti aziende del Mezzogiorno sono a rischio di chiusura, tra le altre, il calzaturificio Adelchi di Tricase in Puglia, lo stabilimento di Termini Imerese della Fiat da cui dipende l'economia di una vasta area della Sicilia e quello di Pomigliano d'Arco della stessa Fiat in relazione al quale va segnalata la drammatica situazione in cui versano i lavoratori, molti dei quali in cassa integrazione ed altri con il contratto di lavoro di prossima scadenza;
l'eventuale chiusura dello stabilimento di Termini Imerese, in particolare, avrebbe pesanti e gravissime ricadute sull'occupazione, non solo nell'ambito del comprensorio cittadino ma anche in tutto il territorio delle Madonie. L'incertezza delle notizie circa la sorte dello stabilimento sta provocando gravi preoccupazioni in tutto il tessuto sociale e grande apprensione nelle famiglie, dal momento che non è dato conoscere soluzioni che in prospettiva garantiscano il futuro dei lavoratori;
le difficoltà in cui versa l'agricoltura nel Mezzogiorno, sono ben note e si potrebbero sintetizzare nel dato, da cui si rileva che si è arrivati, addirittura, a registrare aumenti nella produzione con una, obiettiva, riduzione dei ricavi. Ciò, prevalentemente, a causa della scarsa competitività dovuta alla carenza di infrastrutture, agli alti costi energetici, all'alto costo del denaro. Urgono, dunque, politiche, a sostegno dell'agricoltura di livello nazionale ad integrazione di quelle comunitarie che, si prevede, diminuiranno costantemente entro il 2013;
l'agricoltura e l'agroalimentare legate al territorio possono essere una delle carte vincenti per un vero sviluppo del Mezzogiorno;
la spesa pubblica pro capite nel Mezzogiorno è stata nel 2008 pari a 10.490 euro, inferiore rispetto ai 12.300 euro pro capite del Centro Nord. Per di più, nel Mezzogiorno, c'è una tendenza all'incremento delle spese correnti che invece si riducono nel Centro Nord e a una diminuzione di quelle per investimenti, che invece aumentano in misura doppia nelle zone più sviluppate del Paese. La quota del Mezzogiorno sulla spesa in conto capitale è stimata nel 2008 al 34,9 per cento, una percentuale ben più bassa del 41,1 per cento del 2001 e lontanissima dall'obiettivo del 45 per cento, che ormai appare come una chimera. Ha inciso su tale riduzione il ridimensionamento dei trasferimenti di capitale per agevolazioni alle imprese, che non è stato sostituito, come nei programmi, da un maggior impegno per la dotazione di infrastrutture;
dall'analisi Svimez pubblicata su il Sole 24 Ore Sud del 28 ottobre 2009, sul monitoraggio degli indicatori previsti dagli obiettivi di Lisbona 2010, emerge la fotografia di un Sud sempre più periferico, che si allontana dall'Europa soprattutto per il basso tasso di attività, la scarsa spesa per l'innovazione e la diffusa povertà;
confrontando l'andamento dei dati 2001-2005, le ultime rilevazioni dei principali indicatori (situazione economica generale, occupazione, innovazione, riforma economica, coesione sociale, sostenibilità ambientale) e i target programmati, spicca in generale un gap impossibile da recuperare entro la scadenza prevista. Per molti indicatori addirittura si profila un ulteriore allontanamento dall'obiettivo;
in particolare, rispetto alla situazione economica generale, fatto pari a 100 il prodotto interno lordo pro capite medio dell'Unione europea, il Sud è passato dal 78 per cento del valore medio europeo del 2001 al 69 per cento del 2006;
situazione peggiore per l'occupazione: la strategia di Lisbona prevedeva un tasso di occupazione nella classe di età 15-64 anni del 70 per cento entro il 2010. Ma il Sud, fermo nel 2001 al 45,5 per cento, nel 2009 ha subito un ulteriore ribasso, arrivando al 44,7 per cento. Riguardo al tasso di occupazione degli adulti in età compresa tra 55 e 64 anni c'è da segnalare un recupero (da circa il 30 per cento del 2001 al 34 per cento del 2009), comunque distante dal 50 per cento previsto per il 2010;
secondo le stime dello Svimez, per raggiungere, come da obiettivo, il tasso di occupazione del 70 per cento, servirebbero 3,5 milioni di posti di lavoro. Al contrario, dal 2001, se ne sono persi 74mila. Problema specifico del Mezzogiorno, che va guardato come un tutt'uno con la difficile situazione dell'occupazione, resta la povertà, che riguarda una quota superiore di tre volte e mezza quella indicata dall'obiettivo di Lisbona, con il caso limite della Sicilia che raggiunge il 42 per cento;
quello che appare dai dati e dalle statistiche sul mezzogiorno è che le cause principali dell'andamento recessivo sono il rallentamento degli investimenti e dei consumi delle famiglie. Gli investimenti industriali sono scesi del 2,1 per cento annuo dal 2001 al 2008, tre volte tanto rispetto al Centro-Nord (-0,6 per cento), anche a seguito della riduzione o abolizione di alcune agevolazioni (credito d'imposta, legge 488), che fa il pari con la riduzione al Sud della spesa delle famiglie dell' 1,4 per cento contro il calo dello 0,9 per cento del Centro-Nord;
le differenze tra lo sviluppo del Mezzogiorno e quello del resto del paese non si sono ridotte nel corso dell'ultimo decennio. La quota di prodotto interno lordo del Mezzogiorno rispetto all'intero Paese è scesa dal 24,2 per cento nel 2002 al 23,6 nel 2007. Dal 2007 la crescita del prodotto meridionale è stata più debole di quella del Centro Nord ed il divario è ulteriormente aumentato;
il Mezzogiorno può invece rappresentare la grande opportunità italiana, per ragioni diverse: quelle, in primo luogo, legate alla sua centralità geopolitica in un Mediterraneo destinato a divenire nei prossimi anni area di libero scambio ed economia sempre più integrata; al capitale umano, ad un Sud giovane in un Paese che invecchia. Il Meridione è l'area in cui il potenziale di crescita è maggiore, in cui gli spazi di specializzazione, proprio in quei settori, la mancanza dei quali rende meno competitivo il Paese, permetterebbero di affrontare e risolvere, finalmente insieme, i problemi dell'Italia e quelli del suo Mezzogiorno;
è anche sulla proiezione internazionale del Mezzogiorno che occorre lavorare, sul rafforzamento dei legami con il Mediterraneo. L'Italia deve essere in prima linea nel processo di ridefinizione delle reti che collegheranno le due sponde;
ad avviso dei firmatari del presente atto d'indirizzo, il Mezzogiorno è, nella sostanza, dimenticato dall'azione di Governo. Ma sono state anche «contro» il Sud le scelte sbagliate di politica industriale e il cattivo utilizzo delle risorse registrato in tutti questi anni;
viceversa serve una politica che affronti i problemi delle imprese e dell'occupazione, che ne rafforzi il tessuto, ma che, al contempo agisca sul contesto;
lo Stato deve garantire nel Mezzogiorno innanzitutto legalità, sicurezza, una giustizia adeguata e tutte le forze politiche devono porsi come vera e propria priorità, quella della riforma etica della politica e dello smantellamento delle reti clientelari veicoli della corruzione e dell'infiltrazione delle organizzazioni criminali nelle istituzioni;
si deve agire sulle infrastrutture: il Sud registra un deficit infrastrutturale rispetto al Centro-Nord stimato intorno al 50 per cento. Gli investimenti in opere pubbliche sono assenti; le poche risorse disponibili destinate ad opere che, ai firmatari del presente atto d'indirizzo appaiono non prioritarie, come il ponte sullo Stretto di Messina. L'infrastrutturazione del Mezzogiorno deve essere pesante e pensante: ferrovie, acque, strade, aeroporti e porti, ma anche fibre ottiche, telecomunicazioni, ricerca e sviluppo;
l'intervento «aggiuntivo» per le infrastrutture a favore del Mezzogiorno ha spesso infatti, sostituito l'intervento ordinario. La spesa in conto capitale per il Mezzogiorno è rimasta praticamente costante negli ultimi anni: ad un aumento dei finanziamenti europei (compreso il cofinanziamento nazionale) ha corrisposto una diminuzione di circa il 20 per cento delle altre fonti;
sono stati disposti finanziamenti pubblici per la costruzione del ponte sullo Stretto di Messina dirottando risorse da altre opere più utili per lo sviluppo del Mezzogiorno e concedendo al general contractor, ovvero alla società Impregilo, non solo la possibilità di firmare un contratto senza un progetto esecutivo (progetto per la realizzazione del quale occorrono circa 36 mesi), ma anche di riaprire la questione delle penali, a suo tempo congelata senza costi per la collettività dal Governo Prodi. Dietro la vicenda di un ponte che probabilmente non verrà mai costruito si attua, secondo i firmatari del presente atto d'indirizzo, un vero e proprio spreco di denaro pubblico: lo stesso progetto dello «stralcio binario» della variante Cannitello della linea ferroviaria del nodo di Villa San Giovanni manca della procedura di valutazione d'impatto ambientale come tutte le opere connesse al ponte. Quindi, non solo il ponte è lontanissimo ma anche l'avvio dei «precantieri» non è possibile a breve;
un fattore essenziale che concorre, inoltre, a formare il ritardo di sviluppo del Sud è il divario nella qualità della formazione scolastica. Si deve dunque promuovere la qualità delle risorse umane attraverso una offerta formativa all'altezza, migliorando in questo senso la capacità di spesa delle regioni e degli enti locali,
impegna il Governo:
a riconoscere che l'aumento della disoccupazione, in particolare nel Mezzogiorno, costituisce un'emergenza nazionale e, conseguentemente, a porre in essere interventi che favoriscano e incentivino il consolidamento di un tessuto imprenditoriale meridionale creando un contesto favorevole allo sviluppo economico ed alla crescita dell'occupazione, prevedendo anche l'introduzione di un credito d'imposta, in particolare nelle regioni obiettivo-convergenza, a favore dei datori di lavoro che trasformano in contratti a tempo indeterminato quelli che non lo sono;
a predisporre misure per aumentare l'efficienza dei servizi pubblici nel Mezzogiorno, con specifico riferimento all'Inps, ai centri per l'impiego ed agli organi ispettivi per il contrasto del lavoro sommerso e per il controllo della sicurezza nei luoghi di lavoro;
ad assumere, nel rispetto delle prerogative delle regioni, iniziative volte alla razionalizzazione e all'orientamento della spesa regionale per la formazione professionale, troppo spesso fonte di sprechi e clientelismo, e non sempre finalizzata all'effettiva qualificazione per l'inserimento nel mondo del lavoro;
ad assumere una posizione chiara, netta ed univoca riguardo alla necessità di salvaguardare i siti produttivi presenti sul territorio nazionale, ed in particolare nel Mezzogiorno;
ad assumere, in particolare per quanto concerne gli stabilimenti della Fiat di Pomigliano d'Arco e di Termini Imerese, iniziative a tutela dei livelli occupazionali al fine di salvaguardare migliaia di posti di lavoro e realtà economiche importanti la cui scomparsa, in un momento di grave crisi quale quello in corso, avrebbe pesanti ripercussioni sul piano sociale;
ad assumere concrete e rapide iniziative normative volte a vincolare i finanziamenti pubblici stanziati in favore delle imprese alla presentazione e realizzazione di piani per lo sviluppo del territorio e la salvaguardia dei siti produttivi e dei livelli di occupazione, con particolare riferimento alle aree del Mezzogiorno;
ad operare, partendo dall'esigenza di tutelare e valorizzare le produzioni tipiche del Mezzogiorno, per l'affermazione di una filiera agricola tutta italiana che parta proprio dalla specifica vocazione del territorio e che voglia investire sulle positività, per garantire i livelli occupazionali e dare ai produttori la giusta remunerazione;
a sostenere le innovazioni in agricoltura e le produzioni tipiche, con particolare attenzione all'economia del Mezzogiorno, mettendo in evidenza i riferimenti culturali dei territori, per portare valore aggiunto alle stesse produzioni, aiutando la commercializzazione internazionale dei nostri prodotti di qualità.
(1-00304)
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)«Leoluca Orlando, Barbato, Donadi, Borghesi, Evangelisti, Aniello Formisano, Paladini, Messina, Scilipoti, Zazzera, Di Giuseppe, Di Stanislao».
La Camera,
premesso che:
il Governo ha dovuto affrontare le ripercussioni di una gravissima crisi internazionale che ha inevitabilmente prodotto delle conseguenze molto serie sul terreno dell'occupazione, che avrebbero potuto essere ben più gravi se l'Esecutivo non avesse accompagnato i processi con provvedimenti di volta in volta adeguati, pur in un quadro di complessa attenzione alla stabilità dei conti pubblici, a fronteggiare l'emergenza: si è trattato di interventi volti non solo a rilanciare la struttura produttiva e dei servizi, ma anche a sostenere i livelli occupazionali, mediante l'estensione dello strumento degli ammortizzatori sociali a beneficio dei lavoratori sospesi dal lavoro a causa delle improvvise ed acute difficoltà di mercato, in cui sono incorse nei mesi scorsi numerose imprese;
anche grazie all'accordo con le regioni, è stato possibile stanziare un ingente ammontare di risorse (8 miliardi in un biennio) per ampliare la cassa integrazione in deroga ed estenderne l'intervento anche nei settori del lavoro dipendente, fino a quel momento sprovvisti;
nell'ambito di tali misure a sostegno delle imprese e dei lavoratori, vanno segnalati taluni interventi di carattere particolarmente innovativo in materia di riqualificazione dei lavoratori, volti a sostenere progetti di autoimprenditorialità, il cui finanziamento è in parte sostenuto dalla possibilità di capitalizzare le risorse derivanti dagli ammortizzatori sociali riconosciuti ai singoli cassintegrati o disoccupati interessati ad intraprendere un lavoro autonomo;
i dati diffusi dall'Istat in data 17 dicembre 2009 a seguito della rilevazione continua sulle forze di lavoro condotta dall'istituto nel terzo trimestre 2009, mostrano una prosecuzione della riduzione delle forze di lavoro anche in tale trimestre: al Nord essa è il risultato di una riduzione marcata dell'occupazione (-274.000 unità rispetto ad un anno prima) e di una crescita della disoccupazione (+218.000 unità), al Sud è spiegata quasi integralmente dalla riduzione dell'occupazione visto che la disoccupazione, anche per effetto del fenomeno dello scoraggiamento dell'offerta di lavoro, cresce in modo lieve; cresce il tasso di disoccupazione (7,3 per cento in termini grezzi e 7,8 per cento in termini destagionalizzati) con una forbice tra le due aree territoriali sempre ampia ma in riduzione (il tasso del Nord passa dal 3,4 per cento al 5,1 per cento, quello del Mezzogiorno dall'11,1 per cento all'11,7 per cento);
i dati sull'occupazione evidenziano quindi le criticità in cui si è trovato ad operare il sistema Paese nel suo complesso; particolarmente accentuata è la contrazione nelle regioni del Sud dove si concentra il 60 per cento delle perdita complessiva di occupati, a prova di una condizione economica e sociale svantaggiata che il Governo sta affrontando, anche tenendo conto delle proposte avanzate dai gruppi parlamentari;
i dati del rapporto elaborato dall'Isfol sull'occupazione relativamente al 2009 indicano che rispetto alla media europea l'occupazione in Italia è diminuita ma in misura inferiore ad altri Paesi - nel secondo trimestre 2009 si registra una contrazione dello 0,9 per cento, contro una media in Europa dell'1,9 per cento - e che la crescita del numero di disoccupati e la contrazione dell'orario di lavoro medio di lavoro appare in Italia più contenuta rispetto all'incremento registrato in molti Paesi comunitari: ciò è imputabile alle scelte del Governo di fronteggiare la crisi attraverso un robusto potenziamento delle risorse degli ammortizzatori sociali e un consistente ampliamento della platea dei beneficiari, sino a coinvolgere anche lavoratori per i quali non era precedentemente prevista alcuna tutela; tuttavia, si evidenzia che la crisi acutizza i divari territoriali: il tasso di occupazione nel Mezzogiorno si è ridotto in modo più accentuato che nel Centro-Nord: è calato del 2 per cento, passando dal 47 per cento del secondo trimestre 2008 al 45 per cento del secondo trimestre 2009; mentre non supera il punto percentuale nel resto del Paese;
tra la forza lavoro del Mezzogiorno un individuo su due è inattivo, contro il 33 per cento del Centro e valori intorno al 30 per cento nel Nord: nessun Paese europeo ha al suo interno divari territoriali cosi ampi come il nostro;
nel Mezzogiorno, inoltre, risulta più diffuso il lavoro atipico, mentre è meno utilizzato lo strumento dell'apprendistato, si fa meno formazione continua e si riscontrano maggiori difficoltà nell'ambito dell'istruzione tecnica e professionale, cioè in quel segmento educativo particolarmente volto a favorire processi più rapidi di ingresso nel mercato del lavoro;
la crisi economica e finanziaria su scala internazionale ha colpito quindi in particolare modo un Mezzogiorno che presenta problemi strutturali ancora irrisolti e una realtà produttiva dalla configurazione assai diversa dal Nord del Paese: in tale ambito, pertanto, la cassa integrazione non può essere l'unica modalità attraverso la quale leggere l'impatto della crisi attraversata dal sistema produttivo nazionale, dal momento che il Mezzogiorno è caratterizzato da una forte presenza di lavoro precario, sommerso e da una disoccupazione rilevante, soprattutto per quanto concerne l'occupazione femminile;
occorre considerare, dunque, la peculiarità del Mezzogiorno d'Italia, della miriade di piccole e piccolissime imprese artigiane, commerciali e produttive che rappresentano il tessuto vitale e fragile di quella società che necessita di risposte flessibili e adattabili ad un modello debole e dalle caratteristiche assolutamente particolari rispetto al resto del territorio nazionale;
l'economia del Mezzogiorno, infatti, attraverso la concatenazione fra problemi irrisolti e minacce derivanti dalla globalizzazione, è ancora più fragile con gravi problemi strutturali, non attraendo investimenti ed esportando in maniera largamente insufficiente;
nell'attuale situazione di crisi economica è pertanto assolutamente necessario continuare ed accrescere le azioni di contrasto al lavoro nero, favorire l'inserimento lavorativo dei lavoratori svantaggiati attraverso specifici percorsi di formazione, facilitare le prime esperienze dei giovani e le opportunità di reimpiego per gli «over» espulsi dal mercato, proseguire nel processo già positivamente intrapreso con una serie di strumenti diversi ma convergenti verso l'unico obiettivo di favorire l'accesso al credito da parte delle piccole e medie imprese;
si impone quindi la realizzazione di un potenziamento delle politiche attive del lavoro, chiamate ad agevolare i processi di transizione sul mercato del lavoro, garantendo l'equità, ma anche l'efficienza e la selettività degli interventi, mantenendo e sviluppando l'occupabilità delle persone, favorendo il ritorno al lavoro da parte dei percettori dei sussidi;
appare urgente dare attuazione a un vero e proprio piano per favorire l'occupazione meridionale, che preveda, anche attraverso un coordinamento dei soggetti pubblici e privati competenti in materia, la promozione di tirocini formativi e il miglioramento del funzionamento dei servizi per l'impiego;
la valorizzazione di strumenti di integrazione tra sistema educativo e mercato del lavoro - come il contratto di apprendistato e i voucher per le attività di assistenza e formazione - unitamente all'implementazione del livello di efficienza dei servizi pubblici per l'impiego del Mezzogiorno, potrebbe rendere più trasparente il mercato del lavoro, attraverso l'incentivazione dell'incontro tra domanda e offerta di lavoro, consentendo di svolgere un effettivo contrasto al lavoro sommerso;
il disegno di riforma in senso federale dello Stato avviato dal Parlamento nella XVI legislatura appare in tal senso significativo in vista di una valorizzazione della dimensione specifica del territorio del Sud;
Stato, regioni e parti sociali sono chiamati a condividere le fondamentali linee guida per orientare la spesa dedicata alla formazione degli inoccupati, dei disoccupati e dei cassaintegrati nel prossimo anno, in relazione ai caratteri discontinui e selettivi della ripresa che indurranno l'allungamento del periodo di inattività o transizione verso altra occupazione di molti lavoratori. La formazione deve quindi risultare quanto più tarata sui fabbisogni professionali dei settori e delle imprese e sulle concrete esigenze delle persone interessate in funzione della loro occupabilità,
impegna il Governo:
a proseguire nelle iniziative intraprese, coniugando, in un quadro di strategia organica, misure a favore delle imprese, provvedimenti di sostegno dell'occupazione e di salvaguardia del reddito, garantendo la necessaria copertura finanziaria, e in ogni caso nel rispetto dei vincoli di stabilità finanziaria previsti a livello internazionale ed europeo, in un'ottica di rilancio del sistema produttivo e occupazionale del Sud del Paese;
a dare attuazione, anche al fine di attenuare il divario tra le diverse aree del Paese, al Piano di azione per l'occupabilità dei giovani attraverso l'integrazione tra apprendimento e lavoro (Italia 2020), facilitando la transizione dalla scuola al lavoro, rilanciando l'istruzione tecnico-professionale ed il contratto di apprendistato, ripensando il ruolo della formazione universitaria e aprendo i dottorati di ricerca al sistema produttivo e al mercato del lavoro, in ogni caso nel rispetto dei vincoli di stabilità finanziaria previsti a livello internazionale ed europeo;
a salvaguardare la corretta applicazione delle norme della cosiddetta legge Biagi, che prevedono, in via presuntiva, la sussistenza di un rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato nei casi in cui sia riconosciuta l'irregolarità del rapporto di collaborazione, favorendo lo sviluppo e l'ampliamento dei centri preposti alla certificazione, in prospettiva di una sostanziale azione di contrasto nei confronti del lavoro sommerso, particolarmente diffuso nelle zone del Sud del Paese, in ogni caso nel rispetto dei vincoli di stabilità finanziaria previsti a livello internazionale ed europeo, e proseguendo nell'opera di adeguamento degli organici delle amministrazioni pubbliche alle effettive esigenze, senza appesantimenti non funzionali di strutture e orpelli burocratici, frutto di prassi deleterie dell'immediato passato fondate sulla diffusione del precariato nelle pubbliche amministrazioni, anche locali, e sulla conseguente stabilizzazione di personale non sempre corrispondente alle effettive necessità istituzionali delle amministrazioni e in violazione di principi costituzionali;
a procedere, in un'ottica di strategia federalista, nella valorizzazione del ruolo delle regioni meridionali per l'attuazione delle politiche attive di lavoro e di sostegno al reddito, per meglio rispondere, anche utilizzando di comune intesa le risorse regionali, alle differenti esigenze territoriali dei lavoratori e dei datori di lavoro;
a dare piena attuazione alle misure volte a favorire iniziative autonome imprenditoriali dei giovani meridionali attraverso il meccanismo del finanziamento della microimpresa, in ogni caso nel rispetto dei vincoli di stabilità finanziaria previsti a livello internazionale ed europeo;
a proseguire, con particolare attenzione alle regioni meridionali, l'azione di contrasto al lavoro nero, anche attraverso l'adozione di misure che puntino più alla prevenzione e alla sensibilizzazione che alla repressione, dando priorità alla semplificazione degli adempimenti fiscali e burocratici a carico delle imprese;
a promuovere, in particolare nelle regioni meridionali, una migliore corrispondenza degli interventi di formazione professionale alle esigenze del sistema produttivo valorizzando il ruolo delle imprese e sviluppando sinergie con il sistema dell'istruzione, adottando una nuova strategia che sottolinei la valenza formativa del lavoro, la centralità dell'impresa come luogo di formazione e l'importanza della certificazione delle conoscenze e delle competenze possedute, comunque acquisite dal lavoratore;
ad assicurare in tutte le regioni del Paese, con particolare riferimento a quelle meridionali, un'informazione esauriente e tempestiva sull'offerta e sulla domanda di lavoro insieme al monitoraggio degli interventi in vista dell'allestimento delle politiche del lavoro e delle politiche sociali, anche avviando quanto prima l'applicazione del «Programma di azioni per l'inclusione delle donne nel mercato del lavoro» (Italia 2020), un piano strategico di azione per la conciliazione dei tempi di lavoro con i tempi dedicati alla cura della famiglia e per la promozione delle pari opportunità nell'accesso al lavoro.
(1-00305)
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)«Moffa, Cazzola, Baldelli, Antonino Foti, Briguglio, Ceccacci Rubino, Di Biagio, Vincenzo Antonio Fontana, Formichella, Giacomoni, Giammanco, Mannucci, Minardo, Mottola, Pelino, Mariarosaria Rossi, Saltamartini, Scandroglio, Taglialatela».
La Camera,
premesso che:
la crisi economica ha inciso e sta incidendo in misura significativa sulla produzione, sui consumi, sull'attività delle piccole e medio imprese soprattutto allocate nel Mezzogiorno d'Italia, mettendo a grave rischio per il 2010 l'occupazione;
la crisi economica evidenzia ogni giorno di più l'esigenza di una rinnovata e prioritaria attenzione in particolare per il sud ai problemi dell'occupazione, del lavoro, dei redditi, dell'impresa. Ultimamente una serie di rapporti hanno concentrato l'attenzione sul Mezzogiorno: il rapporto Svimez, quello del Centro studi di Confindustria, quello del Governatore della Banca d'Italia in occasione della giornata di studio dedicata dalla Banca d'Italia alla questione meridionale e alle organizzazioni sindacali;
ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, l'attuale politica governativa, per molti aspetti sembra non abbia ancora una strategia indirizzata al miglioramento e all'innovazione del contesto (rispetto alle urgenze il piano del sud annunciato dal Governo è in grande ritardo). Ciò crea un vuoto d'iniziativa grave di fronte a una crisi che colpisce particolarmente l'economia meridionale con effetti drammatici, anche se talvolta meno visibili a causa della frammentazione del tessuto imprenditoriale e del peso dell'economia a-legale, sospesa tra sommerso e illegalità; sarebbe quindi urgente un rilancio degli investimenti produttivi - specie nei settori ad alto contenuto innovativo - e delle loro modalità attuative;
recenti studi hanno stimato che le misure di incentivazione determinerebbero investimenti addizionali non superiori al 6 per cento del valore degli incentivi;
gli interventi prioritari in termini di infrastrutture moderne, qualità dei servizi, efficentizzazione della pubblica amministrazione, sicurezza ambientale, lotta alla criminalità organizzata, valorizzazione del capitale umano, processi di innovazione per avere efficacia devono necessariamente coesistere e accompagnarsi con strumenti di sostegno che migliorino le capacità innovative e competitive delle piccole e medie imprese meridionali: il fisco (crediti d'imposta, forme di fiscalità differenziata), la ricerca, l'internazionalizzazione e il risparmio energetico;
occorre considerare che allo stato attuale non esistono strumenti che possano promuovere e sostenere nuovi investimenti produttivi nel Mezzogiorno. L'esaurimento della legge n. 488 del 1992, l'assegnazione della disponibilità finanziaria del credito d'imposta per gli investimenti, il superamento dei contratti di programma, hanno fatto venire meno i riferimenti di accompagnamento delle iniziative delle imprese che intendono investire nel territorio meridionale; è quindi urgente intervenire per dare certezze agli operatori;
ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo c'è l'esigenza di adottare provvedimenti per rilanciare l'economia e uscire dall'attendismo che sta rendendo sempre più dura la vita a chi nel sud si batte per cambiare le cose;
l'intervento si mostra sempre più necessario e urgente se si tiene presente che per circa il 75 per cento delle piccole e medie imprese del Mezzogiorno la crisi ha inciso o sta incidendo in misura significativa sulla propria attività. Da una ricerca effettuata a fine novembre 2009 da Confcommercio in collaborazione con Format-Ricerche di mercato, risulta che soltanto il 13,6 per cento di piccole e medie imprese del Meridione ha effettuato investimenti nel 2009, mentre il 41,6 per cento delle imprese ha intenzione di investire nel 2010. Il 37,9 per cento delle imprese ha difficoltà ad effettuare investimenti per i prossimi due anni a causa della mancanza di risorse. Quasi un terzo delle imprese segnala una diminuzione del livello di occupazione nel secondo semestre del 2009 e il 12,9 per cento delle piccole e medie imprese prevede un taglio di personale nel primo semestre del 2010;
il problema occupazionale in generale e nello specifico nel Mezzogiorno si fa più evidente proprio nei primi giorni del 2010 perché le previsioni positive di fine anno hanno ceduto il passo ai dati non incoraggianti delle recenti statistiche sul territorio;
non è un caso che il diritto al lavoro, ampiamente tutelato dalla nostra Costituzione, (l'articolo 1, comma 1, afferma che «L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro» e, nella parte dedicata ai principi fondamentali, l'articolo 4 sancisce che «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto», mentre gli articoli 35-40 disciplinano le condizioni di lavoro al fine di garantire l'integrità fisica dei lavoratori ed il rispetto della loro dignità) è uno dei diritti maggiormente richiamati nelle Costituzioni di quasi tutti gli Stati al mondo e nelle varie convenzioni e dichiarazioni universali che garantiscono i diritti umani, dal momento che rappresenta per l'individuo una necessità vitale, da cui egli trae la possibilità del proprio sostentamento e di quello della propria famiglia;
le ultime rilevazioni dell'Istat mostrano che in Italia, il numero di occupati a novembre 2009 è pari a 22 milioni 876 mila unità (dati destagionalizzati), in diminuzione rispetto a ottobre dello 0,2 per cento (pari a -44 mila unità) e inferiore dell'1,7 per cento, 389 mila unità in meno, rispetto a novembre 2008. È quanto rileva l'Istat, che segnala come il tasso di disoccupazione, sempre a novembre 2009, raggiunge l'8,3 per cento (+0,1 punti percentuali rispetto al mese precedente e +1,3 punti percentuali rispetto a novembre 2008): è il dato più alto dal 2004;
nel Meridione aumentano mediamente l'inattività femminile e gli abbandoni scolastici e permane l'intrappolamento dei giovani sotto 25 anni in percorsi formativi che portano inevitabilmente all'inoccupazione o al trasferimento in aree del centro-nord e all'estero che offrono occasioni di lavoro. Nel grande dramma dell'assenza di lavoro c'è una sofferenza specifica che riguarda i giovani e che nel nostro Paese rappresenta una duplice variabile di differenziazione: esterna nei confronti dell'Europa, interna nel confronto nord-sud, e il divario tende ad allargarsi sempre più. A fronte del calo dell'occupazione al sud anche il tasso di disoccupazione diminuisce, indice della tendenza di un sempre maggior numero di persone, soprattutto senza esperienza, che smette di cercare un lavoro. Non è da sottovalutare che detta misura sia distorta anche dai crescenti dati sul lavoro nero;
se la crisi ha investito principalmente l'apparato produttivo, al sud le conseguenze si sono riverberate soprattutto sul tessuto sociale aggravando problemi già esistenti, aumentando la disoccupazione, il lavoro nero e sommerso, il precariato, l'emigrazione giovanile e il disagio sociale;
nel corso dell'ultimo anno si è passati dall'emergenza dello stipendio che finisce alla terza settimana del mese allo spettro del reddito zero, da affrontare ormai con scarsi paracadute da aprire. La propensione al risparmio diminuisce e con essa la capacità delle famiglie a mantenere gli attuali standard di vita con quanto messo da parte;
i dati elencati esprimono come le debolezze dell'economia italiana si manifestano soprattutto nel sud dove, nel suo complesso, la partecipazione al mercato del lavoro è in grave ritardo rispetto alle altre economie avanzate. Tuttavia nel Mezzogiorno - in cui si concentra un terzo della popolazione e un quarto del prodotto interno lordo dell'Italia, come evidenziato anche dal rapporto del Governatore di Bankitalia Mario Draghi - sono racchiuse le potenzialità di crescita del Paese e di azione della politica economica per lo sviluppo;
purtroppo a distanza di dieci anni i problemi del Mezzogiorno rimangono in buona parte irrisolti e causati sia dalle politiche pubbliche specificatamente dedicate allo sviluppo del sud sia da quelle nazionali con effetti differenziati sul territorio;
resta all'ordine del giorno una domanda: per quale motivo un intervento pubblico consistente, che non ha uguali in altri Paesi, non è riuscito a innescare uno sviluppo autonomo. Negli scorsi decenni i trasferimenti netti di risorse al Sud hanno oscillato tra il 20 per cento e il 15 per cento del prodotto interno lordo annuo del Mezzogiorno. Eppure, dai primi anni '70 il divario in termini di reddito pro capite è rimasto pressoché invariato (nel Mezzogiorno il reddito pro capite oscilla intorno al 60 per cento del centro-nord). Lo Stato non spende del sud più che nel centro-nord in rapporto agli abitanti (anzi spende un po' meno), ma la spesa pubblica incide molto di più sul prodotto interno lordo (oltre 20 punti percentuali). Tutto questo implica che l'economia e la società meridionali sono molto più dipendenti - direttamente e indirettamente - dal pubblico e che lo spazio per le attività di mercato aperte alla concorrenza resta molto ridotto (gli addetti a tali attività in rapporto alla popolazione con più di 15 anni sono circa il 7 per cento contro il 23 per cento del centro-nord);
bisogna riconoscere che l'intervento pubblico da soluzione si è trasformato in problema e ha generato effetti perversi. Naturalmente, un'immagine tutta negativa del Mezzogiorno sarebbe sbagliata: ci sono segni anche innovativi nell'economia e nella società, alcune imprese e alcune aree sono cresciute, ma nel complesso il salto non c'è stato, un solido sviluppo autonomo non si è ancora affermato. L'espansione del settore pubblico ha finito per ostacolare la crescita delle attività di mercato più aperte alla concorrenza (in particolare l'industria manifatturiera e i servizi alle imprese) per tre motivi principali. Anzitutto, perché ha attratto verso il pubblico e para-pubblico (sanità, formazione) manodopera e energie imprenditoriali. In secondo luogo, perché ha privilegiato i trasferimenti rispetto agli investimenti pubblici e quindi ha comportato una carenza di infrastrutture e servizi che ostacola la crescita delle attività di mercato. Infine, perché la permeabilità della politica alle infiltrazioni criminali ha costituito un potente volano per la crescita della criminalità organizzata, che in alcune aree condiziona a sua volta lo sviluppo;
una recente analisi Svimez condotta monitorando gli indicatori europei regione per regione, denuncia un sud sempre più periferico, che si allontana dall'Europa soprattutto per il basso tasso di attività, la scarsa spesa per l'innovazione e la diffusa povertà, fornendo una fotografia del Mezzogiorno ancora lontano dagli indicatori previsti dagli obiettivi di Lisbona 2010;
nello specifico, i dati Svimez evidenziano come rispetto alla situazione economica generale, considerato pari a 100 il prodotto interno lordo pro capite medio dell'Unione europea, il sud è passato dal 78 per cento del valore medio europeo del 2001 al 69 per cento del 2006, le aree deboli in Europa sono cresciute del 3 per cento annuo mentre il Mezzogiorno dello 0,3 per cento. Una situazione peggiore caratterizza il sistema occupazionale: la strategia di Lisbona prevedeva un tasso di occupazione nella classe di età 15-64 anni del 70 per cento entro il 2010. Il sud, fermo nel 2001 al 45,5 per cento nel 2009 ha subito un ulteriore ribasso, arrivando al 44,7 per cento. Riguardo al tasso di occupazione degli adulti in età compresa tra 55 e 64 anni c'è da segnalare un recupero (da circa il 30 per cento del 2001 al 34 per cento del 2009), comunque distante dal 50 per cento previsto per il 2010;
secondo dette stime, per raggiungere, come da obiettivo Lisbona 2010, il tasso di occupazione del 70 per cento servirebbero 3,5 milioni di posti di lavoro, ma dal 2001, c'è stata una contrazione di 74mila;
il problema del sommerso nelle regioni meridionali continua ad essere un problema primario che contribuisce, tra l'altro a penalizzare gli esercenti di piccole-medie imprese che applicano correttamente la normativa e si trovano sul mercato ad essere meno competitivi di altri a causa degli effetti distorsivi della concorrenza;
i dati suesposti manifestano come, senza una svolta politica radicale basata su una nuova strategia in grado di misurarsi efficacemente con i nodi politico-istituzionali e con quelli economici che gravano sullo sviluppo, il sud vedrà una feroce accentuazione delle disuguaglianze, l'estensione della precarietà e della disoccupazione, soprattutto per le donne e i giovani, che si ripercuoterà su un sistema produttivo ancora più debole,
impegna il Governo:
a promuovere una nuova strategia per il sud fondata su un piano di intervento integrato, organico e di struttura, con logica di medio periodo, in grado di spostare risorse in tempi rapidi da impieghi improduttivi e da aree di rendita protette dalla politica, verso attività capaci di stare sul mercato, con ciò riducendo le esternalità negative (infrastrutture carenti, servizi economici e socio-sanitari malfunzionanti, pubblica amministrazione inefficiente, scuola e formazione inadeguate, criminalità che spadroneggia) e concentrando su questi beni collettivi la spesa;
a sostenere un consistente e coordinato intervento Stato-regioni per la realizzazione di grandi infrastrutture, specie nel Mezzogiorno, con la funzione di rilancio dell'occupazione, facendo si che uno specifico e fondamentale ruolo sia assunto dalle Ferrovie dello Stato nell'ammodernamento/potenziamento della rete ferroviaria;
a operare sulla semplificazione delle procedure burocratiche, in particolar modo per le imprese del Mezzogiorno, per la realizzazione di moderne infrastrutture, la valorizzazione delle risorse locali - da quella umana ai valori della cultura, dell'arte, del paesaggio e dell'ambiente, dell'agroalimentare - e puntare a una migliore qualità dei prodotti e dei servizi rispondendo a una domanda di mercato che sempre più punta sulla qualità;
a valorizzare processi di infrastrutturazione sociale che stimolino - in particolare nel Mezzogiorno - il protagonismo dei soggetti locali, forme di cooperazione tra soggetti privati e pubblici, la mutualità, il microcredito, prestiti d'onore ai giovani, la realizzazione di imprese no profit, di cooperative di produzione e lavoro, l'espansione delle forme di economia civile, anche sostenendo la realizzazione di fondazioni di comunità o istituendo fondi di distretto;
a prevedere finanziamenti rivolti al sostegno dei budget famigliari e delle piccole imprese, che sono il vero motore delle nostre economie, in particolare nelle aree del Mezzogiorno;
a produrre un riordino degli incentivi alle imprese (cosiddetta legge sviluppo n. 99 del 2009 e piano per il sud) puntando sull'innovazione centrata su produzioni con maggior contenuto di conoscenza, riordino da attuare in un confronto con le rappresentanze sociali ed istituzionali e facendo in modo che esso sia assunto come momento per un'attenta ricognizione delle risorse effettivamente disponibili e per un loro rifinanziamento;
a garantire una reale integrazione nel mercato del lavoro, sostenendo le persone svantaggiate con risorse sufficienti e servizi sociali e occupazionali che siano personalizzati e indirizzati soprattutto al Meridione d'Italia, in modo da assicurare una più completa partecipazione sociale e la possibilità di svolgere un'attività lavorativa per le frange di popolazione che maggiormente soffrono la crisi economica;
a incrementare le risorse umane e finanziare a sostegno della lotta alla criminalità organizzata, che, specie ne Mezzogiorno, va considerata fattore di condizionamento e depressivo dello sviluppo, e ciò non solo attraverso le forze dell'ordine ma intensificando l'attività di intelligence e di contrasto;
a promuovere interventi urgenti di contrasto al lavoro nero attraverso controlli stratificati sul territorio e, nello specifico, nelle aree meridionali;
a predisporre un piano che sostenga la permanenza nel mercato del lavoro dei giovani e promuova azioni di contrasto al lavoro precario, irregolare, marginale, particolarmente presente nel Mezzogiorno, garantendo che il precariato non si trasformi in un assetto di lavoro permanente soprattutto per i lavoratori giovani o per chi ha famiglia a carico;
a varare piani di investimenti per le piccole imprese e le cooperative, con particolare attenzione alle realtà produttive meridionali, che, promuovendo lo sviluppo economico specifico delle aree ove sono ubicate, mettono a profitto le produzioni locali;
a prevedere che nelle aree del sud i contributi pagati dalle aziende per i lavoratori siano adeguati attraverso un coefficiente riduttivo proporzionale al numero di addetti tale così da incentivare le assunzioni nelle aree più bisognose;
ad attuare piani di sviluppo per le regioni del sud che tengano conto di pari opportunità nella produzione del reddito attraverso una libera iniziativa controllata da premi sui risultati di sviluppo in un'ottica di sana concorrenza;
a promuovere, con particolare riguardo alle aree del Mezzogiorno, processi di cooperazione e d'integrazione che tengano conto soprattutto dei lavoratori dipendenti e dei pensionati, dei giovani, dei precari, di quanti sono costretti a rinunciare alla formazione e al lavoro, vale a dire di tutti coloro sulle cui spalle grava il peso della crisi;
a definire un piano nazionale di contrasto alla povertà che presti una particolare attenzione alle regioni del Mezzogiorno.
(1-00307)
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)«Pezzotta, Delfino, Poli, Occhiuto, Tassone, Compagnon, Ruvolo, Cera, Nunzio Francesco Testa, Pisacane, Ruggeri, Zinzi, Romano, Mannino, Naro, Drago».
La Camera,
premesso che:
la crisi economica e finanziaria internazionale, che ha interessato inevitabilmente anche il tessuto produttivo italiano, ha determinato gravi conseguenze sul piano occupazionale a causa della contrazione delle attività in tutti i comparti e le aree geografiche del Paese, cui sono seguiti peraltro cospicui tagli di personale non solo da parte di piccole imprese, ma anche nell'ambito di realtà produttive di medie e grandi dimensioni;
tale situazione, pur riguardando l'intero territorio nazionale, desta ancora più preoccupazione nel Mezzogiorno ed, in particolare, in Campania, dove la contemporanea crisi di numerose aziende locali - quali, a solo titolo esemplificativo, la Melpem srl del gruppo IPM di Arzano, la Peroni di Miano a Napoli, la ICMI di San Giovanni a Teduccio, la Cablauto di Mariglianella, la Bitron di Morra de Santis la Scai Sud di Oliveto Citra, i pastifici Russo di Cicciano e di Pomigliano d'Arco - produce effetti devastanti sul piano sociale e occupazionale;
uno dei segnali più allarmanti dell'emergenza in atto giunge dallo stabilimento della Fiat di Pomigliano d'Arco, da anni polo cruciale per l'industria campana e nazionale, dove molti dipendenti sono in cassa integrazione guadagni ed altri hanno un contratto di lavoro in scadenza;
in particolare, per 37 lavoratori del citato stabilimento il contratto è scaduto il 31 dicembre 2009, mentre per altri 55 il contratto scadrà il 31 marzo del 2010. Da ben 4 anni questi lavoratori si vedono rinnovare contratti a termine. Nel protocollo sottoscritto con le organizzazioni sindacali il 18 giugno 2009, la Fiat si impegnava a garantire una «piattaforma» in grado di saturare tutti gli organici e di evitare ulteriori esuberi. Secondo quanto è stato comunicato agli interessati, l'azienda non è intenzionata a rinnovare i contratti in scadenza: tale decisione, che provoca pesanti conseguenze sui lavoratori interessati, richiede ogni attenzione anche per il rischio che essa possa inserirsi in un disegno di ridimensionamento strutturale degli organici e di complessivo depotenziamento dello stabilimento di Pomigliano d'Arco, in linea con quanto sta accadendo, anche lì con gravi conseguenze sociali, a Termini Imerese,
impegna il Governo:
a rafforzare il monitoraggio delle situazioni di crisi aziendale, con specifico riferimento alle imprese che hanno effettuato o si apprestano ad effettuare riduzioni di personale, con particolare attenzione a quelle che operano nelle aree del Mezzogiorno, al fine di assicurare il mantenimento dei livelli occupazionali e di scongiurare ulteriori ripercussioni sul piano sociale;
ad assumere, per quanto di competenza, ogni utile iniziativa - anche attraverso un utilizzo oculato degli strumenti di incentivazione per il settore, ivi compresi quelli di natura fiscale - al fine di favorire una positiva soluzione della vertenza concernente il personale dello stabilimento della Fiat di Pomigliano d'Arco, nel rispetto dei diritti acquisiti dai lavoratori e nella prospettiva di un rilancio delle attività produttive.
(1-00308)
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)«Barbato, Mazzocchi, Mazzarella, Misiti, Cesario, Polidori, Nicolais, Aniello Formisano, Ciriello, Pugliese, Razzi, Leoluca Orlando, Scilipoti, Palagiano».