XVI LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di martedì 12 gennaio 2010

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 12 gennaio 2010.

Albonetti, Angelino Alfano, Berlusconi, Bindi, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brugger, Brunetta, Buonfiglio, Buttiglione, Caparini, Carfagna, Casero, Cicchitto, Cirielli, Colucci, Conte, Cosentino, Cossiga, Cota, Craxi, Crimi, Crosetto, Donadi, Fitto, Franceschini, Frattini, Gelmini, Gibelli, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, La Russa, Leo, Leone, Lombardo, Lo Monte, Lupi, Mantovano, Maroni, Martini, Mazzocchi, Melchiorre, Meloni, Menia, Miccichè, Migliavacca, Migliori, Molgora, Mura, Nucara, Leoluca Orlando, Pescante, Prestigiacomo, Roccella, Romani, Ronchi, Rotondi, Saglia, Scajola, Stefani, Stucchi, Tremonti, Urso, Vito.

Annunzio di proposte di legge.

In data 11 gennaio 2010 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
BELTRANDI ed altri: «Disposizioni per l'indicazione obbligatoria delle fonti nel caso di divulgazione di ricerche, dati o grafici nel corso di trasmissioni radiotelevisive» (3100);
ZAMPARUTTI ed altri: «Disposizioni per il censimento e il recupero di immobili pubblici inutilizzati e per la loro destinazione a fini di edilizia sociale» (3101);
DONADI ed altri: «Disposizioni temporanee concernenti l'estensione della durata del trattamento ordinario di integrazione salariale per superare l'attuale situazione di crisi economica» (3102);
VIOLA: «Disposizioni per la regolarizzazione del mancato versamento di imposte e contributi» (3103).

Saranno stampate e distribuite.

Annunzio di una proposta di inchiesta parlamentare.

In data 11 gennaio 2010 è stata presentata alla Presidenza la seguente proposta di inchiesta parlamentare d'iniziativa dei deputati:
BELTRANDI ed altri: «Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sull'uso, sulla diffusione e sui problemi tecnici e giuridici connessi all'utilizzo delle nuove tecnologie» (doc. XXII, n. 15).

Sarà stampata e distribuita.

Trasmissione dalla Corte dei conti.

La Corte dei conti - sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato - con lettera in data 8 gennaio 2010, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 3, comma 6, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, la deliberazione n. 24 del 2009, emessa dalla sezione stessa nell'adunanza del 15 dicembre 2009, e la relativa relazione concernente l'indagine sugli esiti dei finanziamenti per il ponte sullo stretto di Messina.

Questa documentazione è trasmessa alla V Commissione (Bilancio) e alla VIII Commissione (Ambiente).

Trasmissione dal ministro della giustizia.

Il ministro della giustizia, con lettera in data 11 gennaio 2010, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 5, comma 3, della legge 22 giugno 2000, n. 193, la relazione, riferita all'anno 2009, sullo svolgimento da parte dei detenuti di attività lavorative e di corsi di formazione professionale per qualifiche richieste da esigenze territoriali (doc. CXCIV, n. 2).

Questo documento - che sarà stampato - è trasmesso alla II Commissione (Giustizia) e alla XI Commissione (Lavoro).

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

La Corte dei conti europea, con lettera in data 16 dicembre 2009, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, la relazione annuale della Corte medesima sull'esecuzione del bilancio per l'esercizio finanziario 2008, che è assegnata, ai sensi dell'articolo 127 del regolamento, alle Commissioni riunite V (Bilancio) e XIV (Politiche dell'Unione europea).

Il Consiglio dell'Unione europea, con lettera in data 22 dicembre 2009, ha trasmesso, ai sensi del Trattato sull'Unione europea, il progetto presentato dal Governo spagnolo il 4 dicembre 2009, inteso a modificare le disposizioni transitorie sulla composizione del Parlamento europeo contenute nel Protocollo n. 36 allegato al Trattato di Lisbona, che è assegnato, ai sensi dell'articolo 127 del regolamento, alla III Commissione (Affari esteri), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

Annunzio di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee.

Nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea del 5 dicembre 2009, C. 297, e del 19 dicembre 2009, C. 312, sono state pubblicate le seguenti sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee, relative a cause in cui la Repubblica italiana è parte o adottate a seguito di domanda di pronuncia pregiudiziale proposta da un'autorità giurisdizionale italiana, che sono inviate, ai sensi dell'articolo 127-bis del regolamento, alle sottoindicate Commissioni competenti per materia nonché alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea);
2009/C 297/07 Causa C-196/08: Sentenza della Corte (Terza sezione) 15 ottobre 2009 (domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia - Italia) - Acoset SpA/Conferenza sindaci e presidenza provincia regionale ATO Idrico Ragusa, comune di Comiso (Ragusa), comune di Modica (Ragusa), provincia regionale di Ragusa, comune di Acate (Ragusa), comune di Chiaramonte Gulfi (Ragusa), comune di Giarratana (Ragusa), comune di Ispica (Ragusa), comune di Monterosso Almo (Ragusa), comune di Pozzallo (Ragusa), comune di Ragusa, comune di Vittoria (Ragusa), comune di Santa Croce Camerina (Ragusa), comune di Scicli (Ragusa) (Articoli 43 CE, 49 CE e 86 CE - Aggiudicazione di appalti pubblici - Attribuzione del servizio idrico a una società a capitale misto - Procedura a evidenza pubblica - Designazione del socio privato incaricato della gestione del servizio - Attribuzione al di fuori delle norme relative all'aggiudicazione degli appalti pubblici) (doc. LXXXIX, n. 87) dalla VIII Commissione (Ambiente);
2009/C 312/11 Causa C-249/08: Sentenza della Corte (Settima sezione) 29 ottobre 2009 - Commissione delle Comunità europee/Repubblica italiana (Inadempimento di uno Stato - Politica comune della pesca - Conservazione delle risorse - Regime di controllo nel settore della pesca - Regolamento (CE) n. 894/97 - Articolo 11 - Regolamento (CEE) n. 2241/87 - Articolo 1, nn. 1 e 2 - Regolamento (CEE) n. 2847/93 - Articoli 2, n. 1, e 31, nn. 1 e 2 - Divieto di reti da posta derivanti - Assenza di sistemi di controllo efficaci volti al rispetto di tale divieto) (doc. LXXXIX, n. 88) - dalla XIII Commissione (Agricoltura).

Richieste di parere parlamentare su atti del Governo.

Il ministro dell'economia e delle finanze, con lettera in data 31 dicembre 2009, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 4, comma 177-bis, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, e dell'articolo 6, comma 2, del decreto-legge 7 ottobre 2008, n. 154, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 2008, n. 189, la richiesta di parere parlamentare sullo schema di decreto ministeriale diretto a consentire il ricorso al Fondo per la compensazione degli effetti finanziari non previsti a legislazione vigente, conseguenti all'utilizzo, mediante operazioni di attualizzazione, dei contributi da parte di ARCUS Spa per la realizzazione di interventi di restauro e recupero del patrimonio culturale e di altri interventi a favore delle attività culturali e dello spettacolo (178).

Tale richiesta è assegnata, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del regolamento, alla VII Commissione (Cultura) nonché alla V Commissione (Bilancio), che dovranno esprimere il prescritto parere entro il 1o febbraio 2010.

Il ministro dell'economia e delle finanze, con lettera in data 31 dicembre 2009, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 4, comma 177-bis, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, e dell'articolo 6, comma 2, del decreto-legge 7 ottobre 2008, n. 154, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 2008, n. 189, la richiesta di parere parlamentare sullo schema di decreto ministeriale diretto a consentire il ricorso al Fondo per la compensazione degli effetti finanziari non previsti a legislazione vigente, conseguenti all'utilizzo, mediante operazioni di attualizzazione, di contributi pluriennali per la realizzazione di interventi infrastrutturali nei settori dei trasporti stradali, portuali e ferroviari (179).

Tale richiesta è assegnata, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del regolamento, alle Commissioni riunite VIII (Ambiente) e IX (Trasporti) nonché alla V Commissione (Bilancio), che dovranno esprimere il prescritto parere entro il 1o febbraio 2010.

Atti di controllo e di indirizzo.

Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell'Allegato B al resoconto della seduta odierna.

DISEGNO DI LEGGE: RATIFICA ED ESECUZIONE DELL'ACCORDO DI SEDE TRA IL GOVERNO DELLA REPUBBLICA ITALIANA E IL NETWORK INTERNAZIONALE DI CENTRI PER L'ASTROFISICA RELATIVISTICA IN PESCARA - ICRANET, FATTO A ROMA IL 14 GENNAIO 2008 (A.C. 2815-A)

A.C. 2815-A - Parere della V Commissione

PARERE DELLA V COMMISSIONE SUL TESTO DEL PROVVEDIMENTO

Sul testo del provvedimento elaborato dalla Commissione di merito:

PARERE FAVOREVOLE

con la seguente condizione, volta a garantire il rispetto dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione:
all'articolo 3, comma 1, sostituire le parole: valutati in con le seguenti: pari a.

Conseguentemente, al medesimo articolo 3, sopprimere il comma 2.

A.C. 2815-A - Articolo 1

ARTICOLO 1 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO DEL GOVERNO

Art. 1.
(Autorizzazione alla ratifica).

1. Il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare l'Accordo di Sede tra il Governo della Repubblica italiana e il Network internazionale di Centri per l'Astrofisica Relativistica in Pescara - ICRANET, fatto a Roma il 14 gennaio 2008.

A.C. 2815-A - Articolo 2

ARTICOLO 2 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO DEL GOVERNO

Art. 2.
(Ordine di esecuzione).

1. Piena ed intera esecuzione è data all'Accordo di cui all'articolo 1, a decorrere dalla data della sua entrata in vigore, in conformità a quanto disposto dall'articolo 16 dell'Accordo stesso.

A.C. 2815-A - Articolo 3

ARTICOLO 3 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE

Art. 3.
(Copertura finanziaria).

1. Agli oneri derivanti dall'attuazione della presente legge, valutati in euro 440.000 annui a decorrere dall'anno 2010, si provvede mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 3, comma 1, della legge 4 giugno 1997, n. 170.
2. Il Ministro dell'economia e delle finanze provvede al monitoraggio degli oneri di cui alla presente legge, anche ai fini dell'adozione dei provvedimenti correttivi di cui all'articolo 11-ter, comma 7, della legge 5 agosto 1978, n. 468 e successive modificazioni.
3. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

PROPOSTA EMENDATIVA RIFERITA ALL'ARTICOLO 3 DEL DISEGNO DI LEGGE

ART. 3.

Al comma 1, sostituire le parole: valutati in con le seguenti: pari a.

Conseguentemente sopprimere il comma 2.
3. 100. (da votare ai sensi dell'articolo 86, comma 4-bis, del Regolamento).
(Approvato)

MOZIONI BERNARDINI ED ALTRI N. 1-00288, VIETTI ED ALTRI N. 1-00240, DI STANISLAO ED ALTRI N. 1-00301, FRANCESCHINI ED ALTRI N. 1-00302 E VITALI, BRIGANDÌ, BELCASTRO ED ALTRI N. 1-00309 CONCERNENTI LA SITUAZIONE DEL SISTEMA CARCERARIO ITALIANO

Mozioni

La Camera,
premesso che:
il numero elevato ed in costante crescita della popolazione detenuta, che ad oggi si avvicina alle 66.000 presenze - a fronte di una capienza regolamentare di 43.074 posti e «tollerabile» di 64.111 -, produce un sovraffollamento insostenibile delle nostre strutture penitenziarie. Si tratta di una cifra record che non è stata mai registrata dai tempi dell'amnistia di Togliatti del 1946; basti pensare al fatto che il tasso di crescita dei detenuti è di poco inferiore alle 800 unità al mese, sicché si prevede che a fine anno la popolazione carceraria potrebbe sfiorare le 67.000 presenze (100.000 nel giugno del 2012). In alcune regioni il numero delle persone recluse è addirittura il doppio di quello consentito: in Emilia Romagna il tasso di affollamento è del 193 per cento; in Lombardia, Sicilia, Veneto e Friuli è intorno al 160 per cento;
come riscontrato anche nel corso dell'iniziativa «Ferragosto in carcere 2009» promossa dai Radicali Italiani, alla quale hanno partecipato parlamentari nazionali ed europei, consiglieri regionali ed alcuni garanti dei diritti dei detenuti, i nostri istituti di pena stanno affrontando una fase di profonda regressione che li rende non più aderenti al dettato costituzionale e all'ordinamento penitenziario;
ciò che accade nelle nostre carceri è soltanto l'epifenomeno della ben più ampia e grave situazione in cui versa il nostro apparato giudiziario posto che, attualmente, lo stato della giustizia ha raggiunto livelli di inefficienza assolutamente intollerabili, sconosciuti in altri Paesi democratici, per i quali l'Italia, da anni ed in modo permanente, sconta quella che ai firmatari del presente atto di indirizzo appare come una situazione di illegalità tale da aver generato numerosissime condanne da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo. Per questa situazione il nostro Paese è stato richiamato all'ordine a più riprese dal Consiglio d'Europa, che proprio di recente ha riconfermato nei contenuti e nei richiami un rapporto presentato dal Commissario Gil-Robles già nel 2005, il quale sottolineava proprio la necessità di un ripristino della legalità nel sistema giudiziario italiano. Nella relazione presentata alla Camera dei deputati il 27 gennaio 2009, il Ministro della giustizia ha, tra l'altro, detto: «Quello che di impressionante vi è da sottolineare immediatamente all'attenzione di tutti voi è la mole dei procedimenti pendenti, cioè, detto in termini più diretti, dell'arretrato o meglio ancora del debito giudiziario che lo Stato ha nei confronti dei cittadini: 5 milioni 425mila i procedimenti civili, 3 milioni 262mila quelli penali [che arrivano a 5 milioni e mezzo con i procedimenti pendenti nei confronti di ignoti]. Ma il vero dramma è che il sistema non solo non riesce a smaltire questo spaventoso arretrato, ma arranca faticosamente, senza riuscire neppure ad eliminare un numero almeno pari ai sopravvenuti, così alimentando ulteriormente il deficit di efficienza del sistema». Dunque secondo i dati ufficiali in Italia, l'arretrato pendente sfiora la cifra iperbolica di 5 milioni e mezzo di procedimenti penali, che sarebbero molti si più se solo negli ultimi dieci anni non si fossero contate ben 2 milioni di prescrizioni (nel nostro Paese secondo i dati ufficiali forniti dal ministero della giustizia si contano circa 200 mila procedimenti penali prescritti ogni anno). Occorre essere consapevoli che in un contesto del genere i concetti di «pena certa» e di esecuzione «reale» della stessa rischiano di risultare fortemente limitativi se non del tutto fuorvianti. In questo quadro e per queste ragioni, contro quella che, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, è un'amnistia anonima, banale, di classe ed illegale chiamata prescrizione, solo un ampio e definitivo provvedimento di amnistia e di indulto potrebbe consentire, da un lato, una sensibile riduzione della popolazione carceraria entro i limiti della capienza effettiva e regolamentare e, dall'altro, l'eliminazione di più della metà degli attuali procedimenti penali pendenti, ciò che darebbe il via a quelle riforme strutturali del sistema giudiziario e penitenziario senza le quali appaiono seriamente a rischio gli stessi diritti civili e della persona previsti dalla nostra Costituzione;
da un recente studio del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria risulta che, degli oltre 65.000 detenuti presenti nelle carceri italiane, circa la metà è costituito da persone in attesa di giudizio, e tra questi circa un 30 per cento verrà assolto all'esito del processo; un dato abnorme, un'anomalia tipicamente italiana che non trova riscontro negli altri Paesi europei; in pratica il ricorso sempre più frequente alla misura cautelare in carcere e la lunga durata dei processi costringe centinaia di migliaia di presunti innocenti a scontare lunghe pene in condizioni spesso poco dignitose;
sulla base delle statistiche e di alcuni studi dell'amministrazione penitenziaria, la metà degli imputati che lascia il carcere vi è rimasto non più di dieci giorni, mentre circa il 35 per cento esce dopo appena 48 ore; questo pesante turn over non fa altro che alimentare l'intasamento, il sovraffollamento ed il blocco dell'intero sistema penitenziario, dissipando energie nonché risorse umane ed economiche;
quasi il 40 per cento dei 65.000 carcerati si trova recluso in cella per aver violato le disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 (cosiddetto testo unico sulle droghe); mentre il 27 per cento della popolazione detenuta è tossicodipendente. Secondo il sesto rapporto sulle carceri redatto dalla associazione Antigone, il numero di tossicodipendenti che annualmente transitano nelle carceri italiane (26.646 nel 2006, 24.371 nel 2007, solo per fare un esempio) è decisamente superiore a quello di coloro che transitano nelle comunità terapeutiche (17.042 nel 2006; 16.433 nel 2007), il che dimostra come l'approccio terapeutico per questo tipo di detenuti sia stato concretamente dismesso. Quanto poi al sistema delle misure alternative per la presa in carico dei tossicodipendenti previsto dal citato testo unico sulle droghe (così come modificato dal decreto legge n. 272 del 2005), va purtroppo segnalato come l'accesso alle stesse sia fermo a un quinto di quel che era prima dell'indulto. Al sistema penitenziario viene dunque affidata la maggiore responsabilità nel contrasto al fenomeno delle tossicodipendenze, quando è ormai noto che i tassi di recidiva per chi esce dal carcere sono estremamente elevati, assai più di quelli di chi sconta la propria pena in misura alternativa, e che il gruppo con il maggior tasso di recidiva è proprio quello dei tossicodipendenti;
al 10 novembre 2009, i detenuti stranieri reclusi negli istituti di pena risultavano essere 24.190 (pari a circa il 37 per cento del totale); gli stranieri ristretti nei nostri istituti di pena sono, nella maggioranza dei casi, esclusi dall'accesso ai benefici penitenziari per la carenza di supporti esterni (famiglia, lavoro ed altro) ed il loro reinserimento sociale appare sempre più problematico a causa della condizioni di irregolarità che li riguarda;
tra quanti in Italia stanno scontando una condanna definitiva, il 32,4 per cento ha un residuo di pena inferiore ad un anno, addirittura il 64,9 per cento inferiore a tre anni, soglia che rappresenta il limite di pena per l'accesso alle misure alternative della semilibertà e dell'affidamento in prova, il che dimostra come in Italia il sistema delle misure alternative si sia sostanzialmente inceppato; ciò accade nonostante le statistiche abbiano dimostrato, oltre ogni ragionevole dubbio, che il detenuto che sconta la pena con una misura alternativa ha un tasso di recidiva molto basso (circa il 28 per cento), mentre chi sconta la pena in carcere torna a delinquere con una percentuale del 68 per cento; le misure alternative quindi abbattono i costi della detenzione, riducono la possibilità che la persona reclusa commetta nuovi reati, aumentando la sicurezza sociale, e sconfiggono il deleterio «ozio del detenuto», avviandolo a lavori socialmente utili con diretto vantaggio per l'intera comunità;
nella realtà del nostro ordinamento giuridico, la misura di sicurezza detentiva è divenuta una variante solo nominalistica della pena, riducendosi a strumento per aggirare i principi di garanzia propri delle sanzioni. La questione è diventata ancora più grave laddove si consideri che la misura di sicurezza - che, è d'uopo ricordare, non è correlata alla colpevolezza ma alla pericolosità sociale - non solo si è trasformata nella sua pratica attuazione in una pena mascherata, ma è addirittura una pena a tempo indeterminato. Il rilievo va riferito, in particolar modo, alla misura di sicurezza detentiva della casa di lavoro, in quanto misura riservata agli imputabili, a differenza della casa di cura e di custodia, dell'ospedale psichiatrico giudiziario e del riformatorio giudiziario, applicabili ai non imputabili. A tal proposito, si segnalano i principali progetti di riforma del codice penale (progetto Commissione Pagliaro; progetto Commissione Grosso; progetto Commissione Nordio e da ultimo il progetto della Commissione Pisapia), tutti ugualmente concordi nel proporre l'abolizione del sistema del doppio binario, limitando l'applicazione delle misure di sicurezza ai soli soggetti non imputabili;
solo un detenuto su quattro ha la possibilità di svolgere un lavoro, spesso peraltro a stipendio dimezzato perché condiviso con un altro detenuto che altrimenti non avrebbe questa opportunità, mentre la percentuale delle persone recluse impegnate in corsi professionali è davvero irrisoria e non arriva al 10 per cento. Circa l'85 per cento dei lavoranti è alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria e svolge lavori di pulizia o di preparazione e distribuzione del vitto; il restante 15 per cento è costituito per la maggior parte da semiliberi che svolgono attività lavorativa in proprio o alle dipendenze di datori di lavoro esterni. Nella stragrande maggioranza dei casi, l'impossibilità di avviare a programmi di lavoro i detenuti è dovuta all'insufficienza degli educatori presenti in carcere, cioè di coloro che sono chiamati a stilare le relazioni a sostegno della concessione del lavoro esterno;
attualmente nelle carceri poco meno di 650 persone sono sottoposte al cosiddetto «carcere duro», ossia a quel regime detentivo speciale di cui all'articolo 41-bis della legge n. 354 del 1975 sull'ordinamento penitenziario che è stato sensibilmente inasprito con l'approvazione della recente legge n. 94 del 2009, la quale ha definitivamente reso la detenzione speciale una modalità ordinaria e stabile di esecuzione della pena, ciò, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, in evidente e aperto contrasto non solo con i nostri principi costituzionali che vietano qualsiasi trattamento contrario al senso di umanità e prevedono la funzione rieducativa della pena, ma anche con l'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali che vieta ogni forma di pena inumana e degradante;
a causa del sovraffollamento, un numero sempre maggiore di detenuti è costretto a scontare la condanna all'interno di istituti di pena situati a notevole distanza dalla propria regione di residenza, il che - oltre a contrastare con il principio della territorialità della pena previsto dall'ordinamento penitenziario - non consente di esercitare al meglio tutte quelle attività di sostegno e trattamento del detenuto che richiedono relazioni stabili e assidue della persona reclusa con i propri familiari e con i servizi territoriali della regione di residenza; senza considerare gli ingenti ed elevati costi, sia in termini economici che umani, che le continue e lunghe traduzioni dei detenuti, dal luogo di esecuzione della detenzione al luogo di celebrazione del processo, comportano per i bilanci dell'amministrazione penitenziaria;
in una recente occasione pubblica, il Ministro della giustizia ha dichiarato che la detenzione carceraria consiste nella privazione della libertà, ma non deve comportare anche la privazione della dignità delle persone. Dall'affermazione di questo elementare ma fondamentale principio, che deve ispirare lo Stato di diritto in rapporto alle persone detenute, consegue la necessità di affrontare il problema del diritto all'affettività in carcere (affettività intesa in senso ampio, dalla sessualità, all'amicizia, al rapporto sessuale); un diritto all'affettività che sia, in primo luogo, diritto ad avere incontri, in condizioni di intimità, con le persone con le quali si intrattiene un rapporto di affetto;
da un recente rapporto sullo stato della sanità all'interno degli istituti di pena predisposto dalla Commissione giustizia del Senato risulta che appena il 20 per cento dei detenuti risulta sano, mentre il 38 per cento di essi si trova in condizione di salute mediocri, il 37 per cento in condizioni scadenti ed il 4 per cento in condizioni gravi e con alto indice di co-morbosità, vale a dire più criticità ed handicap in uno stesso paziente. Solo per limitarsi alle cinque patologie maggiormente diffuse, ben il 27 per cento dei detenuti è tossicodipendente (2.159 di loro sono in terapia metadonica), il 15 per cento ha problemi di masticazione, altrettanti soffrono di depressione e di altri disturbi psichiatrici, il 13 per cento soffre di malattie osteo-articolari ed il 10 per cento di malattie al fegato; oltre al fatto che la stessa tossicodipendenza è spesso associata ad aids (circa il 2 per cento dei detenuti è sieropositivo), epatite C e disturbi mentali;
a fronte di una morbosità così elevata, la medicina penitenziaria continua a scontare una evidente insufficienza di risorse, di strumenti e di mezzi, il che svilisce i servizi e la professionalità degli operatori sanitari, oltre ovviamente a pregiudicare le attività di trattamento, cura e assistenza degli stessi detenuti. L'attuale situazione di sofferenza in cui versa la medicina penitenziaria è anche dovuta al fatto che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1o aprile 2008, recante «modalità e criteri per il trasferimento al Servizio sanitario nazionale delle funzioni sanitarie dei rapporti di lavoro, delle risorse finanziarie e delle attrezzature e beni strumentali in materia di sanità penitenziaria», non risulta essere stato ancora attuato nella parte in cui stabilisce il trasferimento alle regioni delle risorse finanziarie relative all'ultimo trimestre dell'anno 2008 (per una somma pari ad 84 milioni di euro) e a tutto il 2009, il che non consente di attuare una seria e radicale riorganizzazione del servizio sanitario all'interno degli istituti di pena;
nonostante il passaggio delle competenze al Servizio sanitario nazionale delle funzioni sanitarie, dei rapporti di lavoro, delle risorse finanziarie e delle attrezzature e beni strumentali in materia di sanità penitenziaria, non risultano ancora essere stati definiti modelli operativi adeguati all'assistenza in carcere, ciò a causa del fatto che le stesse regioni sono ben lungi dall'essere attrezzate in modo da poter fornire i servizi medici nei penitenziari, così come peraltro ancora ambigua risulta la gestione dei relativi contratti di lavoro e ruoli professionali;
negli istituti di pena italiani sono rinchiusi 71 bambini sotto i tre anni che vivono in carcere con le madri detenute, il che continua ad accadere nonostante risulti ampiamente dimostrato quanto lo stato di reclusione prolungato possa esporre questi soggetti a seri rischi per la loro salute. A questo proposito, nella XVI legislatura è stato depositato un progetto di legge alla cui elaborazione ha contribuito l'associazione Il Detenuto Ignoto, che attende ancora di essere calendarizzato e discusso;
le piante organiche della polizia penitenziaria, stabilite con decreto ministeriale dell'8 febbraio 2001, prevedono l'impiego di 41.268 unità negli istituti di pena per adulti; al 20 settembre 2009 nelle carceri italiane risultavano in forza 35.343 persone, con uno scoperto di 5.925 unità (circa il 14 per cento); per il personale amministrativo è previsto un organico di 9.486 unità, mentre i posti coperti risultano essere 6.300, con uno scarto di 3.186 persone. Complessivamente, quindi, nell'amministrazione penitenziaria il personale mancante è pari a 8.882 unità;
anche il numero degli educatori è insufficiente, posto che in pianta organica ne sono previsti 1.088, mentre sono appena 686 quelli effettivamente in servizio; così come risulta deficitaria l'assistenza psicologica, a cominciare da quella legata alle attività di osservazione e trattamento dei detenuti, visto e considerato che a fronte di quasi 66.000 detenuti gli psicologi che prestano effettivamente servizio sono appena 352, il che comporta, come naturale conseguenza, che gli istituti di pena siano diventati un'istituzione a carattere prevalentemente, se non esclusivamente, afflittivo. A questo proposito il ministero della giustizia, proprio al fine di coprire almeno parzialmente la totale carenza di organico di tali figure professionali, aveva avviato, fin dal 2004, un concorso per l'assunzione di 39 psicologi, arrivando anche ad approvare la relativa graduatoria nel 2006; nonostante ciò, da quel momento, l'Amministrazione penitenziaria, pur in presenza di tutte le risorse economiche, non ha proceduto ad alcuna assunzione dei vincitori del concorso, di fatto preferendo affidarsi, a quanto consta ai firmatari del presente atto di indirizzo, ad un sistema di frammentate collaborazioni precarie e insufficienti;
il sovraffollamento, la mancanza di spazi, l'inadeguatezza delle strutture carcerarie, la carenza degli organici e del personale civile, lo stato di sofferenza in cui versa la sanità all'interno delle carceri, tutto ciò provoca una situazione contraria ai principi costituzionali ed alle norme del regolamento penitenziario impedendo il trattamento rieducativo e minando l'equilibrio psico-fisico dei detenuti, con incremento, nel 2009, dei suicidi e di gravi malattie; ed invero il sovraffollamento ha effetti dirompenti, tra l'altro, proprio sulle condizioni di salute dei reclusi, ai quali non vengono garantite le più elementari norme igieniche e sanitarie, atteso che gli stessi sono costretti a vivere in uno spazio che non corrisponde a quello minimo vitale, con una riduzione della mobilità che è causa di patologie specifiche;
l'alto numero dei suicidi in carcere registrato nel 2009 dipende anche dalle condizioni di sovraffollamento degli istituti di pena e dalle aspettative frustrate di migliori condizioni di vita al loro interno, soprattutto per quanto riguarda le persone sottoposte a regimi carcerari più restrittivi rispetto a quello ordinario - ad esempio quello di cui all'articolo 41-bis della legge n. 354 del 1975, sull'ordinamento penitenziario - le quali, non a caso, registrano una percentuale di suicidi più elevata rispetto a chi sconta la pena senza essere sottoposto a particolari restrizioni;
senza l'indulto approvato tre anni fa, le nostre carceri oggi sarebbero al collasso ed il sovraffollamento assumerebbe dimensioni tali da creare addirittura problemi di ordine pubblico; in questa situazione di emergenza la funzione rieducativa e riabilitativa della pena è venuta meno; il rapporto numerico tra detenuti ed educatori e assistenti sociali ha frustrato ogni possibile serio tentativo di intraprendere e seguire, per la maggior parte dei reclusi, percorsi individualizzati così come previsto dall'ordinamento penitenziario;
nel 2006 il dottor Sebastiano Ardita - responsabile della Direzione generale dei detenuti e trattamento del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - ha dichiarato: «Siamo consapevoli di versare in una situazione di grave, perdurante, quanto involontaria ed inevitabile divergenza dalle regole, per il fatto di non essere nella materiale possibilità di garantire, a causa del sovraffollamento, quanto previsto dalle normative vigenti e dal recente regolamento penitenziario; la salute dei detenuti, ad esempio, non è solo un problema politico e neanche solo una questione tecnica o medico legale. È molto altro ancora. È il luogo privilegiato per valutare le politiche sociali di uno Stato. È una questione di politica criminale. È il banco di prova della pena costituzionalmente intesa» (fonte Ansa 1o marzo 2006); lo stesso Ministro della giustizia, onorevole Angelino Alfano, ha definito la situazione attuale del nostro sistema penitenziario sostanzialmente al di fuori della legalità costituzionale;
l'enorme tasso di sovraffollamento comporta automaticamente porsi fuori dalle regole minime, costituzionalmente previste, della funzione rieducativa della pena per scadere in quei trattamenti contrari al senso di umanità sanzionati non solo dal nostro ordinamento giuridico, ma anche dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, se è vero, come è vero, che recentemente lo Stato italiano è stato condannato a mille euro di risarcimento per aver costretto un detenuto a vivere due mesi e mezzo all'interno di una cella in uno spazio di appena 2,7 metri quadrati (Sulejmanovic c. Italia - ricorso n. 22635/03); nella circostanza la Corte europea dei diritti dell'uomo ha affermato che la mancanza di spazio personale per i detenuti (meno di 3 metri quadrati) giustifica, di per sé, la constatazione della violazione dell'articolo 3 della Convenzione (divieto di pene o trattamenti inumani o degradanti);
i fondi della Cassa delle ammende, con i quali lo Stato dovrebbe investire in progetti educativi e/o di reinserimento sociale dei detenuti, non vengono utilizzati o vengono destinati ad altre finalità, il che continua ad accadere nonostante il sostegno economico-finanziario delle iniziative volte al reinserimento sociale e alla riabilitazione dei detenuti, insieme all'applicazione delle misure alternative alla detenzione, costituisca lo strumento più significativo di contrasto alla recidiva e quindi di tutela e sicurezza dei cittadini. Ed invero la bassa percentuale di detenuti che lavorano, unita alla cronica esiguità delle risorse finanziarie destinate al loro reinserimento sociale, comporta un alto tasso di recidiva, come dimostrato dalle più recenti evidenze statistiche sopra richiamate;
alcuni dei più rilevanti interventi legislativi adottati in questi ultimi anni - a partire dalla legge n. 251 del 2005 (cosiddetta legge «ex Cirielli») - hanno introdotto forti limitazioni all'applicazione dei vari benefici «extramurari» ai recidivi, i quali costituiscono la maggior parte degli attuali detenuti: si pensi all'aumento della popolazione carceraria a seguito delle introdotte limitazioni per i recidivi specifici o infraquinquennali reiterati per quanto riguarda i permessi premio, la detenzione domiciliare o l'affidamento in prova al servizio sociale, posto che gli stessi non possono più usufruire della sospensione dell'esecuzione della pena ex articolo 656, comma 5, del codice di procedura penale, ciò a seguito dell'inserimento di una nuova lettera c) al comma 9 del predetto articolo;
occorre dunque riavviare il sistema delle misure alternative, ripensando quel meccanismo di preclusioni automatiche che - soprattutto con riferimento ai condannati a pene brevi - ha finito per imprimere il colpo «mortale» alla capacità di assorbimento del sistema penitenziario; su tale versante è anche necessario generalizzare l'applicazione della detenzione domiciliare quale strumento centrale nell'esecuzione penale relativa a condanne di minore gravità anche attraverso l'attivazione di serie ed efficaci misure di controllo a distanza dei detenuti;
è pertanto necessaria ed urgente un'azione riformatrice che - partendo da una comune riflessione sulle cause che hanno generato quella che per i firmatari del presente atto di indirizzo è l'attuale situazione di illegalità in cui versa il nostro sistema penitenziario - favorisca la reale attuazione del principio costituzionale di cui all'articolo 27, terzo comma, della Costituzione; dette riforme devono procedere nel senso di garantire al detenuto il rispetto delle norme sul «trattamento» all'interno delle carceri e sull'accesso alle misure alternative, risolvendo in maniera radicale non solo il problema del sovraffollamento delle carceri ma anche tutti i problemi del mondo giudiziario che ruotano intorno ad esso,

impegna il Governo:

ad assumere iniziative, anche di carattere normativo, volte ad attuare, con il più ampio confronto con le forze politiche presenti in Parlamento, una riforma davvero radicale in materia di custodia cautelare preventiva, di tutela dei diritti dei detenuti, di esecuzione della pena e, più in generale, di trattamenti sanzionatori e rieducativi, che preveda:
a) la riduzione dei tempi di custodia cautelare, perlomeno per i reati meno gravi, nonché del potere della magistratura nell'applicazione delle misure cautelari personali a casi tassativamente previsti dal legislatore, previa modifica dell'articolo 280 del codice di procedura penale;
b) l'introduzione di meccanismi in grado di garantire una reale ed efficace protezione, del principio di umanizzazione della pena e del suo fine rieducativo, assicurando al detenuto un'adeguata tutela giurisdizionale nei confronti degli atti dell'amministrazione penitenziaria lesivi dei suoi diritti;
c) l'istituzione a livello nazionale del Garante dei diritti dei detenuti, ossia di un soggetto che possa lavorare in coordinamento e su un piano di reciproca parità con la magistratura di sorveglianza, in modo da integrare quegli spazi che non possono essere tutti occupati in via giudiziaria;
d) il rafforzamento sia degli strumenti alternativi al carcere previsti dalla cosiddetta legge «Gozzini», da applicare direttamente anche nella fase di cognizione, sia delle sanzioni penali alternative alla detenzione intramuraria, a partire dall'estensione dell'istituto della messa alla prova, previsto dall'ordinamento minorile, anche al procedimento penale ordinario;
e) l'applicazione della detenzione domiciliare, quale strumento centrale nell'esecuzione penale relativa a condanne di minore gravità, anche attraverso l'attivazione di serie ed efficaci misure di controllo a distanza dei detenuti;
f) l'istituzione di centri di accoglienza per le pene alternative degli extra-comunitari, quale strumento per favorirne l'integrazione ed il reinserimento sociale e quindi ridurre il rischio di recidiva;
g) la creazione di istituti «a custodia attenuata» per tossicodipendenti, realizzabili in tempi relativamente brevi anche ricorrendo a forme di convenzioni e intese con il settore privato e del volontariato che già si occupa dei soggetti in trattamento;
h) la piena attuazione del principio della territorialità della pena previsto dall'ordinamento penitenziario, in modo da poter esercitare al meglio tutte quelle attività di sostegno e trattamento del detenuto che richiedono relazioni stabili e assidue tra quest'ultimo, i propri familiari e i servizi territoriali della regione di residenza;
i) la revisione del sistema di sospensione della pena al momento della definitività della sentenza di condanna, abolendo i meccanismi di preclusione per i recidivi specifici e infraquinquennali reiterati nonché per coloro che rientrano nell'articolo 4-bis della legge n. 354 del 1975, sull'ordinamento penitenziario; introducendo, nel contempo, termini perentori entro i quali i tribunali di sorveglianza devono decidere sulla misura alternativa richiesta;
l) l'abolizione del meccanismo delle preclusioni di cui all'articolo 41-bis della citata legge n. 354 del 1975 sull'ordinamento penitenziario con recupero da parte della magistratura di sorveglianza e degli organi istituzionalmente competenti del potere di valutare i singoli percorsi rieducativi in base alla personalità del condannato, alla sua pericolosità sociale e a tutti gli altri parametri normativamente previsti;
m) la radicale modifica dell'articolo 41-bis della citata legge n. 354 del 1975, sull'ordinamento penitenziario in modo da rendere il cosiddetto «carcere duro» conforme alle ripetute affermazioni della Corte costituzionale sulla necessità che sia rispettato, in costanza di applicazione del regime in questione, il diritto alla rieducazione e ad un trattamento penitenziario conseguente;
n) l'adeguamento degli organici del personale penitenziario ed amministrativo, nonché dei medici, degli infermieri, degli assistenti sociali, degli educatori e degli psicologi, non solo per ciò che concerne la loro consistenza numerica, ma anche per ciò che riguarda la promozione di qualificazioni professionali atte a facilitare il reinserimento sociale dei detenuti;
o) il miglioramento del servizio sanitario penitenziario, dando seguito alla riforma della medicina penitenziaria già avviata con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1o aprile 2008, in modo che la stessa possa trovare, finalmente, effettiva e concreta applicazione;
p) l'applicazione concreta della legge 22 giugno 2000, n. 193 (cosiddetta legge Smuraglia), anche incentivando la trasformazione degli istituti penitenziari, da meri contenitori di persone senza alcun impegno ed in condizioni di permanente inerzia, in soggetti economici capaci di stare sul mercato e, come tali, anche capaci di ritrovare sul mercato stesso le risorse necessarie per operare, riducendo gli oneri a carico dello Stato e, quindi, della collettività;
q) l'esclusione dal circuito carcerario delle donne con i loro bambini;
r) la limitazione dell'applicazione delle misure di sicurezza ai soli soggetti non imputabili (abolendo il sistema del doppio binario) o comunque l'adozione delle opportune iniziative normative volte ad introdurre una maggiore restrizione dei presupposti applicativi delle misure di sicurezza a carattere detentivo, magari sostituendo al criterio della «pericolosità» (ritenuto di dubbio fondamento empirico) quello del «bisogno di trattamento»;
s) la possibilità per i detenuti e gli internati di coltivare i propri rapporti affettivi anche all'interno del carcere, consentendo loro di incontrare le persone autorizzate ai colloqui in locali adibiti o realizzati a tale scopo, senza controlli visivi e auditivi;
t) l'istituzione di un'anagrafe digitale pubblica delle carceri in modo da rendere la gestione degli istituti di pena trasparente al pubblico;
u) una forte spinta all'attività di valutazione e finanziamento dei progetti di reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti, nonché di aiuti alle loro famiglie, prevista dalla legge istitutiva della Cassa delle ammende;
v) la modifica del testo unico sulle sostanze stupefacenti di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, in particolare prevedendo che anche l'attività di coltivazione di sostanza stupefacente il cui ricavato sia destinato ad un uso esclusivamente personale venga depenalizzata ed assuma quindi una rilevanza meramente amministrativa in conformità a quanto previsto dal referendum del 1993.
(1-00288)
«Bernardini, Maurizio Turco, Beltrandi, Farina Coscioni, Mecacci, Zamparutti, Della Vedova, Mario Pepe (PD), Duilio, Giachetti, Calvisi, Fiano, Corsini, Margiotta, Argentin, Barbato, Barbi, Barbieri, Benamati, Binetti, Boccuzzi, Boffa, Brandolini, Bressa, Bucchino, Enzo Carra, Causi, Cavallaro, Cenni, Cimadoro, Codurelli, Colombo, Concia, Cuperlo, De Angelis, De Torre, De Biasi, Esposito, Renato Farina, Farinone, Ferrari, Fogliardi, Fontanelli, Froner, Ginefra, Giulietti, Giovanelli, Gozi, Gnecchi, Grassi, Laratta, Lenzi, Madia, Mariani, Mattesini, Milo, Mogherini Rebesani, Mosca, Motta, Nirenstein, Arturo Mario Luigi Parisi, Pes, Picierno, Pizzetti, Porta, Rampi, Razzi, Realacci, Ria, Rigoni, Rossa, Rugghia, Scarpetti, Schirru, Sposetti, Torrisi, Vannucci, Vassallo, Velo, Vico, Verini, Servodio, Pistelli».
(19 novembre 2009)

La Camera,
premesso che:
secondo quanto emerge dai dati forniti dall'associazione Antigone che opera per la difesa dei diritti dei detenuti negli istituti di pena in Italia, nel corso del 2009 la popolazione carceraria è aumentata di 8.000 unità, passando dai 58 mila reclusi del 31 dicembre 2008 ai circa 66 mila di quest'anno: oltre 20 mila detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare e oltre anche la cosiddetta capienza tollerabile, l'indice che individua il limite massimo per la stessa amministrazione penitenziaria;
quasi il 50 per cento (30.818) delle persone oggi detenute nel nostro Paese è in attesa di giudizio (7 mila in più rispetto a quelle che si trovavano in questa situazione prima dell'indulto del 2006): si tratta di una delle percentuali più alte d'Europa che fotografa «un'anomalia tutta italiana»;
una situazione questa che definire «allarmante» è quasi riduttivo: 34 dei 204 istituti penitenziari italiani ospitano più del doppio delle persone previste, mentre 171 carceri sono «fuori legge», dal momento che accolgono più persone di quante la capienza regolamentare consenta;
nel febbraio 2009, il Ministro Alfano aveva trionfalmente annunciato il varo di un piano carceri e la nomina di un commissario con poteri speciali che avrebbe dovuto risolvere l'emergenza del sovraffollamento;
questa soluzione proposta dal Governo è, nelle attuali e descritte condizioni, semplicemente irrealizzabile. Infatti, il ritmo di costruzione delle nuove carceri (in un piano più che approssimativo e con finanziamenti che non superano un terzo del fabbisogno) è incomparabilmente più lento della velocità di crescita della popolazione detenuta. E, nella più ottimistica delle previsioni, i nuovi posti promessi potranno essere disponibili solo quando il numero dei detenuti sarà ulteriormente aumentato di 30 mila unità;
ad oggi, infatti, nessun effetto positivo del piano carceri si è prodotto o almeno è stato portato a conoscenza del Parlamento;
se il trend dovesse continuare, la popolazione carceraria potrebbe arrivare nel giugno 2012 a 100 mila unità, a fronte di un calo di 5.500 agenti negli ultimi otto anni, stando alla denuncia delle organizzazioni sindacali della polizia carceraria che prevedono, per il prossimo triennio, l'uscita di 2.500 persone, da contrastare con l'assunzione di almeno 1.800 unità;
nello specifico, l'organico degli agenti di custodia, fissato l'ultima volta proprio nel 2001, prevedeva un numero di 42.268, a fronte di 55.000 detenuti. Oggi i carcerati, come sopra anticipato, sono diventati circa 66.000 e gli agenti in servizio sono 40.000, ma diventano 38.000 se si considerano i duemila in malattia o in aspettativa per motivi di salute;
con questi numeri, ovviamente pesano le unità, le centinaia, le migliaia di agenti sottratti ai loro compiti principali per essere dirottati su mansioni amministrative o di servizio in uffici sguarniti da più di un decennio di blocco delle assunzioni e di tagli nella pubblica amministrazione;
come se non bastasse, anche il numero degli educatori è insufficiente, posto che in pianta organica ne sono previsti 1.088, mentre sono appena 686 quelli effettivamente in servizio; così come risulta deficitaria l'assistenza psicologica, a cominciare da quella legata alle attività di osservazione e trattamento dei detenuti, visto e considerato che a fronte di quasi 66.000 detenuti gli psicologi che prestano effettivamente servizio sono appena 352 (ciascuno in rapporto libero-professionale, retribuito molto al di sotto dei minimi di categoria e per poche ore al mese), il che comporta, come naturale conseguenza, che gli istituti di pena siano diventati un'istituzione a carattere prevalentemente, se non esclusivamente, afflittivo. A questo proposito il ministero della giustizia, proprio al fine di coprire almeno parzialmente la totale carenza di organico di tali figure professionali, aveva avviato, fin dal 2004, un concorso per l'assunzione di 39 psicologi, arrivando anche ad approvare la relativa graduatoria nel 2006; nonostante ciò, da quel momento, l'Amministrazione penitenziaria non ha proceduto ad alcuna assunzione dei vincitori del concorso, di fatto preferendo affidarsi ad un sistema di frammentate collaborazioni precarie e insufficienti;
in una circolare del 6 luglio 2009, avente per oggetto la «tutela della salute e della vita delle persone detenute», il dipartimento per l'amministrazione penitenziaria ha fortemente raccomandato ai provveditori regionali di offrire ai reclusi più colloqui e maggiori occasioni di intrattenimento, di aumentare le ore d'aria, di tenere aperte le porte delle celle e di non far mancare l'acqua;
di carcere si può anche morire: generalmente, un terzo dei decessi che si verificano dietro le sbarre sono infatti dovuti a suicidio, come rivelano i dati raccolti dal centro di ricerca «Ristretti orizzonti» del carcere di Padova. Nel 2009 è stato registrato il numero più alto di detenuti suicidi nella storia della Repubblica (72 su 171 persone morte in carcere). I morti - secondo l'Osservatorio permanente sulle morti in carcere - sarebbero molti di meno se nel carcere non fossero rinchiuse decine di migliaia di soggetti che provengono da realtà di emarginazione sociale. Il 30 per cento dei detenuti è tossicodipendente, il 10 per cento ha una malattia mentale, il 5 per cento è sieropositivo, il 60 per cento ha una qualche forma di epatite. Negli anni Sessanta - stando sempre ai dati forniti dall'Osservatorio - i suicidi in carcere erano tre volte meno frequenti di oggi, i tentativi di togliersi la vita addirittura quindici volte meno frequenti. Complessivamente, dal 2000 al 2009, sono state 558 le persone che si sono tolte la vita dietro le sbarre, mentre i tentati suicidi (nello stesso arco di tempo) sono stati 7.717;
la situazione è resa ancora più grave dalla diminuzione delle risorse economiche: dai 13 mila euro all'anno spesi nel 2007 per ogni detenuto per vitto, assistenza sanitaria e attività trattamentale (escluso il costo del personale) si è passati ai 6.383 del 2009;
infine, e questo costituisce il dato più inquietante, nei sedici asili nido funzionanti negli istituti penitenziari stanno crescendo 80 bambini sotto i tre anni di età, figli di detenute, mentre circa una trentina di donne sta trascorrendo i mesi di gravidanza in cella: una situazione che, come ha dimostrato uno studio condotto nel 2008 nel nido del carcere di Rebibbia, può avere gravi conseguenze sul nascituro;
ci sono, inoltre, 40 mila minori (tra i tre e i dieci anni) che hanno in carcere un genitore con il quale non possono vivere: l'attuale legislazione prevede che, soltanto in presenza di determinati requisiti, la condanna possa essere scontata agli arresti domiciliari insieme al proprio figlio;
ciò esprime la contraddizione di una politica forte con i deboli e debole con i forti che introduce nuovi reati e immette nel circuito giudiziario e carcerario un gran numero di nuovi detenuti, specie immigrati;
quanto denunciato costituisce, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, una palese violazione dei principi della Carta costituzionale, in particolare dell'articolo 32, che tutela la salute come «fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività», e dell'articolo 27, secondo il quale «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato»;
in una sentenza del 16 luglio 2009, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato per la prima volta l'Italia per violazione dell'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (divieto di tortura e delle pene inumane e degradanti), proprio in ragione delle condizioni di sovraffollamento delle carceri sopra descritte;
infatti, secondo gli standard di riferimento utilizzati dalla Corte di Strasburgo, ogni detenuto ha diritto a 7 metri quadrati di spazio in cella singola e 4,5 metri quadrati in quella multipla: questa è la ragione per cui il nostro Paese è stato condannato al risarcimento di mille euro per aver inflitto un danno morale al cittadino bosniaco Sulejmanovic, un rom condannato per furto nel 2002;
nelle più alte sedi è stata recentemente ribadita la necessità di una maggiore vicinanza a tutte le realtà in cui c'è sofferenza a causa della privazione dei diritti elementari, tra cui quella della carceri terribilmente sovraffollate, nelle quali non si vive decentemente, si è esposti ad abusi e rischi, e di certo non ci si rieduca,

impegna il Governo:

ad adottare una politica carceraria tendente a contenere il sovraffollamento, attraverso la riduzione dei tempi di custodia cautelare, la rivalutazione delle misure alternative al carcere, la riduzione delle pene per chi commette fatti di lieve entità;
a predisporre un nuovo piano carceri, rispetto a quello presentato il 27 febbraio 2009 dal capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, con l'indicazione di reali coperture finanziarie e prospettive di una concreta ed efficace attuazione;
a garantire le risorse necessarie per una dotazione di polizia penitenziaria adeguata a gestire una situazione a dir poco «esplosiva»;
ad assumere iniziative di competenza per l'assunzione di un congruo numero di psicologi, indispensabili per la vita dei reclusi, nonché ad adoperarsi in sede di conferenza Stato-Regioni, affinché sia garantita ai detenuti dal Servizio sanitario nazionale la migliore assistenza medica e psicologica;
ad istituire case famiglia protette in cui accogliere mamme e bambini;
ad adottare le iniziative necessarie per istituire un organo di monitoraggio indipendente che controlli i luoghi di detenzione, in linea con quanto stabilito dal protocollo addizionale alla Convenzione Onu contro la tortura, firmato anche se non ancora ratificato dall'Italia, che ne prevede l'istituzione in tutti gli Stati aderenti entro il termine di un anno dalla ratifica;
a stipulare eventuali accordi internazionali per far scontare ai detenuti stranieri le pene nei rispettivi Paesi d'appartenenza.
(1-00240)
(Nuova formulazione) «Vietti, Rao, Mantini, Volontè, Compagnon, Naro, Ciccanti».
(23 settembre 2009)

La Camera,
premesso che:
la situazione delle carceri italiane era ed è, purtroppo, in una fase emergenziale. Un surplus di 23mila detenuti, circa 66 mila presenze a fronte delle 43 mila possibili; una deficienza organica del corpo di polizia penitenziaria di circa 5.500 unità. La gran parte delle strutture penitenziarie sono fatiscenti, obsolete e non adatte;
la popolazione delle carceri continua a crescere, con tutte le relative valenze connesse al pericolo e al trattamento, e gli agenti penitenziari, sono costretti a lavorare in condizioni sempre peggiori, così come gli educatori, gli psicologi, i medici. Sono in costante aumento gli attacchi al personale che ormai è demotivato, stanco e mal pagato;
su tutto il territorio nazionale si registrano manifestazioni e proteste, giustificate dalle condizioni di insicure a in cui sono costretti a lavorare. Mediamente un agente deve sorvegliare 100 detenuti di giorno, circa 250 nei turni notturni; per garantire le traduzioni il personale è costretto a viaggiare anche per 20 ore consecutive su mezzi non idonei;
sebbene il Presidente del Consiglio dei ministri abbia reso noto il famoso piano carceri, della cui copertura finanziaria, a quanto consta ai firmatari del presente atto di indirizzo, non vi è certezza, i primi risultati, qualora vi fossero, non arriveranno prima di due anni;
solo pochi mesi fa la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato l'Italia a risarcire con mille euro un detenuto costretto a stare per due mesi e mezzo in una cella sovraffollata. Una pena naturalmente simbolica, ma che mette in evidenza una terribile realtà. Ogni detenuto nelle carceri italiane ha mediamente a disposizione meno di tre metri quadrati di spazio, ben al di sotto dei 7 metri stabiliti dal comitato europeo per la prevenzione della tortura. Ciò vuol dire che normalmente una cella deve ospitare tre detenuti, oggi nei penitenziari italiani ce ne sono in media nove in ogni cella. Dall'inizio dell'anno, 65 sono i suicidi verificatisi all'interno delle strutture;
bisogna dare luce ad una realtà penitenziaria taciuta, ignorata o dimenticata, emarginata e abbandonata per mettere in evidenza l'emergenza del sistema carcere con il rischio sommosse e il rischio morte presenti ogni giorno. Un sistema che alimenta gli effetti criminogeni delle pene. Un sistema in cui l'articolo 27 della nostra Costituzione, che prevede che «l'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva» e che «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato», e l'articolo II-64 della Costituzione europea, che stabilisce che «nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti», non trovano applicazione;
l'Unione europea si fonda sul rispetto dei diritti dell'uomo, delle istituzioni democratiche e dello Stato di diritto. La Carta dei diritti fondamentali sancisce tutti i diritti - personali, civili, politici, economici e sociali - dei cittadini dell'Unione europea. Nel marzo 2007 l'Unione europea ha istituito l'Agenzia europea per i diritti fondamentali, che ha il compito di aiutare l'Unione europea e gli Stati membri ad elaborare la normativa in questo campo e di sensibilizzare l'opinione pubblica ai diritti fondamentali. Del resto, in un mondo globalizzato, è fondamentale che i Paesi dell'Unione europea collaborino efficacemente per combattere la criminalità e il terrorismo;
dal giugno 2004 l'Unione europea ha adottato un trattato che, attraverso le tappe previste, ambisce a diventare una Costituzione per l'intero continente. La creazione di uno spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia, richiede necessariamente un coordinamento dei sistemi giuridico-penali dei Paesi membri. Uno spazio sovranazionale deve essere però altresì capace di farsi garante del riconoscimento e del rispetto dei diritti umani di tutti i cittadini, europei e extracomunitari, che vivono e risiedono in Europa. Il diritto penale è stato sempre confinato nei limiti del territorio nazionale, ancorato al principio della territorialità. Uno dei baluardi della sovranità nazionale è appunto l'esclusività del sistema penale. D'altro canto, a partire dal 1948, il diritto internazionale classico, ossia quello interstatuale, è progressivamente stato eroso da una nuova concezione del diritto internazionale che sostituisce all'intergovernativismo la sovranazionalità. Il processo, lento e fortemente contrastato dagli Stati-Nazione, ha avuto il suo culmine con la nascita della Corte penale internazionale. Il suo statuto, firmato solennemente a Roma nel 1998, contiene all'interno embrioni del superamento del principio della nazionalità nel sistema processuale penale laddove vi siano gravi violazioni dei diritti umani (crimini di guerra, genocidi, crimini contro l'umanità). Sia nella fase del riconoscimento che in quella della progressiva omogeneizzazione dei sistemi penali vanno tenute presenti garanzie e tutele irrinunciabili, vanno identificati minimi e massimi edittali delle pene, vanno enucleati i comuni ed essenziali interessi da proteggere in Europa con gli strumenti del diritto penale, evitando che i singoli Stati si limitino ad adattarsi al diritto penale di derivazione europea, conservando allo stesso tempo intatto tutto il proprio armamentario repressivo;
i diritti delle persone sottoposte a procedimento giudiziario, a misure penali o detenute vanno tutelati, senza eccezioni e senza timori. La dignità umana non può essere calpestata in alcuna circostanza. L'esperienza europea degli ultimi anni suggerisce l'attivazione di organismi indipendenti di nomina parlamentare che abbiano poteri informali di visita e controllo dei luoghi di detenzione. Tali organismi svolgono una funzione di riconciliazione sociale, di mediazione e di soluzione in chiave preventiva dei conflitti. Si tratterebbe di una sorta di difensori istituzionali dei diritti in carcere, per i quali va data altresì piena attuazione sia alla sentenza della Corte costituzionale del febbraio del 1999 che prevede la tutela giurisdizionale dei diritti dei detenuti, sia al nuovo regolamento di esecuzione della legge sull'ordinamento penitenziario che nelle sue norme vuole migliorare la qualità della vita in carcere;
lotta al razzismo, libera circolazione delle coppie senza discriminazioni fondate sull'orientamento sessuale e difesa delle donne, dei minori e degli immigrati: è quanto chiede il Parlamento per lo spazio europeo di giustizia, auspicando più diritti per i detenuti e fondi dell'Unione europea per la costruzione di nuove carceri. Occorre combattere la criminalità informatica, garantire una maggiore solidarietà tra i Paesi dell'Unione europea per l'accoglienza dei rifugiati e tutelare i cittadini da terrorismo e criminalità. Il Parlamento europeo, in tal senso, qualche giorno fa ha adottato una risoluzione con la quale indica la sua posizione riguardo al cosiddetto Programma di Stoccolma che stabilisce le priorità europee nel campo della giustizia e degli affari interni per i prossimi cinque anni. Il Parlamento chiede norme minime relative alle condizioni delle carceri e dei detenuti e una serie di diritti comuni per i detenuti nell'Unione europea, «incluse norme adeguate in materia di risarcimento dei danni per le persone ingiustamente arrestate o condannate». Auspica inoltre la messa a disposizione da parte dell'Unione europea di sufficienti risorse finanziarie per la costruzione «di nuove strutture detentive negli Stati membri che accusano un sovraffollamento delle carceri e per l'attuazione di programmi di reinsediamento sociale». Sollecita anche la conclusione di accordi fra l'Unione europea e i Paesi terzi sul rimpatrio dei loro cittadini che hanno subito condanne e la piena applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali ai fini della loro esecuzione nell'Unione europea. Sostiene poi la necessità di uno strumento giuridico globale sull'ammissibilità della prova nei procedimenti penali;
l'attuale legge sull'ordinamento penitenziario stabilisce «le misure alternative alla detenzione»; esse danno la possibilità di scontare le pene non in carcere, vengono concesse solo a determinate condizioni e si applicano esclusivamente ai detenuti definitivi;
le misure alternative sono numerose e con caratteristiche peculiari, ciascuna tendente comunque alla risocializzazione del condannato. Esse sono: a) affidamento in prova al servizio sociale (pena residua 3 anni), articolo 47 della legge sull'ordinamento penitenziario; b) detenzione domiciliare (pena residua 4 anni o nei casi di condizioni di salute incompatibili con il regime detentivo pena residua anche superiore ai 4 anni), articolo 47-ter della legge sull'ordinamento penitenziario; c) semilibertà (metà pena o 2/3 in caso di reati gravi - reati di cui all'articolo 4-bis - o 6 mesi solo dalla libertà), articoli 46, 50 della legge sull'ordinamento penitenziario; d) liberazione condizionale (pena residua 5 anni), articolo 176 del codice penale; e) sospensione della pena per gravi motivi di salute (incompatibilità con il regime detentivo - qualunque sia la durata della pena) articolo 147 del codice penale;
queste misure, però, non possono essere la soluzione concreta e definitiva all'emergenza carceri e al sovraffollamento. Al di là di ciò, aspettando il piano carceri, è necessario avviare una riflessione e pensare ai processi brevi e alla certezza della pena dando strumenti e risorse. In sostanza, il carcere - servizio pubblico - deve essere un luogo che produce sicurezza collettiva, nel rispetto della dignità dei detenuti;
nel mese di agosto del 2009 si è svolta l'iniziativa nazionale «Ferragosto in carcere 2009» che ha visto coinvolti deputati, senatori, consiglieri regionali di tutta Italia e di tutte le forze politiche. L'obiettivo di tale iniziativa era di verificare e conoscere meglio le condizioni tanto dei detenuti, quanto di direttori, agenti, medici, psicologi, educatori che lavorano al suo interno al fine di poter formulare proposte legislative o organizzative adeguate;
tra suicidi, morti, vite salvate, tentate evasioni, evasioni compiute e spazi che mancano nelle nostre prigioni è sempre più evidente l'emergenza «soluzioni». A fronte di questa spaventosa e preoccupante situazione tutto il personale penitenziario, tra l'altro, è chiamato ad operare senza alcuna linea guida, senza mezzi idonei e con scarsissime risorse;
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 30 del 16 aprile 2004 veniva bandito un concorso pubblico per esami a 397 posti nel profilo professionale di educatore, area c, posizione economica C1, indetto con provvedimento del direttore generale del 21 novembre 2003. Dopo ben quattro anni di procedura concorsuale, il 15 dicembre 2008 nel Bollettino ufficiale del Ministero della giustizia n. 23, viene pubblicata la graduatoria ufficiale definitiva del suddetto concorso;
ad oggi il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha assunto solo i primi 97 vincitori, a cui, si spera a breve, seguirà l'assunzione dei restanti 300, dopo aver proceduto alle istanze di interpello annuale nazionale di mobilità interna del personale;
lo scorrimento della graduatoria con assunzione di tutti i suoi idonei trova già un precedente nel panorama legislativo-procedurale italiano, poiché effettuata per le graduatorie dei concorsi banditi dall'Agenzia delle entrate per 1500 posti di funzionari per la terza area funzionale, fascia retributiva F1, attività amministrativa-tributaria, bandito dall'Agenzia delle entrate (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana - 4a Serie speciale «Concorsi ed esami» - n. 84 del 21 ottobre 2005);
queste nuove forze potranno, sicuramente, rappresentare un valido supporto, ma si rivelano, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, palesemente e gravemente insufficienti. Infatti, per questa figura professionale sono state già apportate drastiche riduzioni, tanto da portare la pianta organica del 2009 a sole 1088 unità, rispetto alla pianta del 2008 che ne prevedeva circa 1400 in organico (riduzione operata dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria per adeguarsi alle disposizioni del cosiddetto decreto Brunetta (decreto legislativo n. 150 del 2009) che ha imposto un ridimensionamento delle piante organiche in diminuzione delle unità affinché le pubbliche amministrazioni possano procedere all'assunzione di nuovo personale). In realtà, ad oggi, in servizio ci sono soltanto 686 educatori a cui si aggiungeranno i 300 restanti vincitori, giungendo ad una quota di 968 unità, a fronte di una popolazione detenuta di circa 66.000 unità, ancora in crescita;
è lampante, pertanto, la mancanza di ben 102 educatori rispetto alla pianta organica del 2009 (mancanza ancor maggiore se riferita alla pianta organica del 2008 e pari a circa 400 unità di educatori) a cui andranno ad aggiungersi tutti quegli educatori che verranno collocati in pensione, avendone ormai maturato i requisiti;
la sostanziosa assenza dei citati operatori aggrava ed aggraverà ancor più il clima e la vita detentiva dei ristretti e dei medesimi operatori ancora in servizio, oltre ad accrescere l'inadempienza al dettato legislativo vigente, dal momento che la maggior parte dei detenuti non riescono ad avere per anni colloqui con gli educatori, non riuscendo, pertanto, a conseguire alcun giovamento dall'ingresso in carcere;
quest'ultima previsione, che viene chiaramente disattesa nelle realtà carcerarie italiane, com'è noto dal caso Castrogno, uno dei tanti emersi negli ultimi tempi, ma anche dall'aumento dei suicidi, degli atteggiamenti autolesionistici, della richiesta di psicofarmaci e non ultimo dell'aggressività dei detenuti nei confronti del personale penitenziario ad ulteriore dimostrazione dell'emergenza in cui i circuiti detentivi versano a causa della mancanza di operatori a fronte di uno spropositato aumento del numero di detenuti ospitati in strutture inidonee ed evidentemente non a norma dal punto di vista strutturale e delle risorse umane;
bisogna, inoltre, anche specificare che nonostante l'assunzione dei restanti 300 vincitori del concorso per il profilo di educatore, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria avrà un avanzo di fondi a disposizione per assumere subito all'incirca 70 unità lavorative, grazie al decreto del Presidente della Repubblica del 28 agosto 2009, adottato a seguito della deliberazione del Consiglio dei Ministri del 31 luglio 2009. che ha autorizzato l'assunzione di un contingente di 1.370 unità di personale a tempo indeterminato per l'anno 2009 per le Amministrazioni dello Stato;
in particolare, per il Ministero della giustizia le nuove assunzioni autorizzate sono 223 unità, di cui 110 per l'amministrazione penitenziaria, che dovrebbero essere ripartite tra vincitori ed idonei di tutti i concorsi aventi graduatorie ancora valide presso quest'ultima amministrazione. Stando, tuttavia, alle allarmanti condizioni delle carceri italiane buona parte di questi fondi che avanzeranno dovranno essere destinati primariamente e celermente, senza indugio alcuno, all'assunzione degli idonei al concorso per educatori per incamminarsi verso quella condizione di rieducazione che il carcere deve dare a chi ne entra a far parte, per non smarrire quella presa di coscienza e civiltà che la nostra carta costituzionale gli affida;
è necessario, pertanto, attivare dei seri e proficui percorsi di rieducazione dei detenuti la cui realizzazione sia promossa e attivata dagli educatori penitenziari, veri coordinatori e catalizzatori degli strumenti utili per la composizione di tale iter risocializzativo - come la norma del 1975 dispone - affinché la dimensione del vissuto carcerario sia foriera di profonda autoriflessione sulle proprie apicalità e crei momenti di autoprogettazione, di formazione e costruzione di un sé nuovo, positivo, propositivo, generatore di valori riconosciuti e condivisi dal comune senso civico;
occorrono soluzioni e un modello di recupero e di rieducazione prima di pensare a nuove strutture, ai fine di un immediato e concreto supporto al mondo penitenziario,

impegna il Governo:

a convocare i sindacati di polizia penitenziaria e le rappresentanze di tutto il personale penitenziario al fine di un confronto concreto e costruttivo sulle problematiche delle carceri in Italia e degli operatori;
a procedere all'assunzione immediata dei restanti educatori penitenziari previsti dalla pianta organica, da attingersi dagli idonei della vigente e menzionata graduatoria risultata dal concorso bandito per tale profilo professionale, affinché anche costoro possano partecipare ai previsti corsi di formazione che il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria deve attivare per questi operatori prima dell'ingresso nelle carceri a cui sono destinati, onde evitare sprechi di danaro per doverli riattivare in seguito;
a prorogare di almeno un quinquennio la validità della graduatoria di merito del concorso citato in premessa, in linea con gli orientamenti del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione nonché con le disposizioni in materia di razionalizzazione delle spese pubbliche in vigore - per permetterne un graduale scorrimento parimenti all'avvicendarsi dei fisiologici turn-over pensionistici, al fine di evitare l'indizione di nuovi concorsi per il medesimo profilo che comporterebbero inutili oneri pubblici;
ad assumere iniziative per lo stanziamento di fondi necessari per completare l'organico di educatori previsti dalla pianta organica attualmente vigente presso il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, considerato che lo sforzo economico da sostenere è annualmente molto esiguo, ma necessario per far funzionare meglio ed in modo più umano una branca importantissima del nostro sistema giustizia che non può più attendere;
a procedere all'alienazione di immobili ad uso penitenziario siti nei centri storici e alla costruzione di nuovi e moderni istituti penitenziari in altro sito;
a procedere alla dismissione di immobili ad uso penitenziario e riassegnazione del ricavato al Ministero della giustizia per il potenziamento dell'edilizia penitenziaria esistente;
ad assumere le iniziative di competenza per il rifinanziamento dell'articolo 6 della legge n. 259 del 2002, prevedendo limiti di impegno per un arco di tempo compatibile con l'utilizzo della locazione finanziaria;
in relazione all'esperienza europea degli ultimi anni, ad adottare iniziative per l'attivazione di organismi indipendenti di nomina parlamentare che abbiano poteri informali di visita e controllo dei luoghi di detenzione al fine di svolgere una funzione di riconciliazione sociale, di mediazione e di soluzione in chiave preventiva dei conflitti;
secondo quanto stabilito dal Parlamento europeo, ad utilizzare le risorse finanziarie per la costruzione «di nuove strutture detentive negli Stati membri che accusano un sovraffollamento delle carceri e per l'attuazione di programmi di reinsediamento sociale»;
in relazione al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1o aprile 2008 recante «Modalità e criteri per il trasferimento al Servizio sanitario nazionale delle funzioni sanitarie, dei rapporti di lavoro, delle risorse finanziarie e delle attrezzature e beni strumentali in materia di sanità penitenziaria», a dare conto della sua applicazione e dei risultati e ad illustrare e definire, nel passaggio delle competenze, funzioni e risorse.
(1-00301)
«Di Stanislao, Donadi, Paladini».
(11 gennaio 2010)

La Camera,
premesso che:
i detenuti ospitati nelle strutture carcerarie italiane sono circa 66.000, una cifra che è destinata ad aumentare nei prossimi mesi,
si tratta di un «primato» mai raggiunto nella storia repubblicana che pone problemi molto rilevanti. I 206 istituti di pena possono, infatti, «tollerare» 64.237 detenuti nonostante, da regolamento, non potrebbero ospitarne più di 43.087, come del resto confermano le dichiarazioni del direttore del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, che, in una recente audizione presso la Commissione Giustizia della Camera dei deputati, ha parlato di situazione in grado di compromettere la sicurezza del Paese;
siamo, dunque, ampiamente oltre la soglia massima di tolleranza, in una situazione di emergenza che investe l'intero territorio nazionale, come evidenziato di recente nelle più alte sedi, ricordando la situazione dei detenuti in carceri terribilmente sovraffollate, nelle quali non si vive decentemente, si è esposti ad abusi e rischi e di certo non ci si rieduca,
di fronte a una tanto grave situazione, anche nella recente audizione davanti alla Commissione giustizia, il dottor Ionta, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, non ha saputo rispondere esaurientemente su tempi effettivi e fonti di finanziamento, limitandosi a ripetere (come del resto aveva già detto il Ministro sin dal mese di agosto 2009) che il piano carceri «costerà» circa 1 miliardo e 600 milioni di euro, dei quali sarebbero disponibili solo 250 milioni, ai quali la legge finanziaria per il 2010 ha aggiunto un finanziamento di soli 500 milioni di euro, per un importo complessivo che, quindi, non raggiunge la metà delle ipotizzate necessità di investimento. Peraltro, i tagli alle risorse destinate alla giustizia conseguenti alla cosiddetta finanziaria triennale dell'estate 2008 (decreto legge n. 112 del 2008, convertito con modificazioni dalla legge n. 133 del 2008), stanno causando, invece, quelle che ai firmatari del presente atto di indirizzo appaiono come esiziali difficoltà di gestione ed efficienza amministrativa in tutti gli istituti penitenziari, difficoltà che, in taluni casi, raggiungono punte di vera e propria «emergenza umanitaria», in palese contraddizione con i diritti costituzionalmente garantiti;
diverse associazioni hanno lanciato l'allarme sulle condizioni delle carceri: dall'Unione delle camere penali, all'Associazione dei dirigenti dell'amministrazione carceraria, dal Sappe (sindacato della polizia penitenziaria), da Cgil, Cisl e Uil al Garante dei detenuti della regione Lazio, tutti concordi nell'affermare che le condizioni attuali di vita carceraria sono spesso lontane dai normali livelli di civiltà e di rispetto della dignità del detenuto;
il drammatico sovraffollamento degli istituti di pena è all'ordine del giorno in tutto il Paese, con punte molto preoccupanti in alcune realtà regionali (Campania, Emilia Romagna, Lombardia, Puglia, Sicilia, Toscana e Veneto);
è evidente che il sovraffollamento sarà destinato ad aumentare sempre più se le carceri continueranno ad essere considerate il luogo in cui riversare tutti gli esclusi sociali e i soggetti deboli della società, in un regime che per nulla garantisce il rispetto del dettato costituzionale;
ulteriori dati preoccupanti derivano dall'analisi dello status della popolazione detenuta. Il 50 per cento del totale dei detenuti sono imputati in attesa di giudizio, costretti per periodi di tempo troppo lunghi a convivere fianco a fianco con i già condannati. Assolutamente insufficiente appare il ricorso alle misure alternative alla detenzione. Va ancora rilevato, più in generale, che accanto ad un sovraffollamento che è definibile come quantitativo, esiste anche un affollamento di carattere qualitativo. Esso si può ricondurre alle diverse tipologie di popolazione detenuta, ciascuna di essa portatrice di diverse istanze ed esigenze. La forzata convivenza in pochi metri quadri, per mancanza di idonee strutture, di detenuti giovani e adulti, imputati e condannati, di diverse razze e religioni, soggetti sani e con problemi psichiatrici e/o di tossicodipendenza, quando non addirittura di sieropositività (i dati più recenti dimostrano, infatti, che solo un terzo dei nuovi giunti in carcere si sottopone a screening volontario per l'accertamento del virus Hiv), crea notevoli problemi di promiscuità e di tensione anche in situazioni dove l'affollamento non è particolarmente rilevante;
relativamente al programma per le carceri, riguardante sia i nuovi interventi edilizi che la ristrutturazione degli edifici esistenti, si deve prendere atto dei ritardi di tale programma e del progressivo degrado di molti degli istituti penitenziari. Oltre all'assoluta inosservanza degli standard europei sulla dimensione e gli spazi delle celle, sono da rilevare carenze gravi nell'igiene, nell'illuminazione, nel decoro e nel clima delle celle (riscaldamento e refrigerazione) nonché nella presenza difettosa dei presidi sanitari (infermerie, centri clinici, numero di medici), il che aggrava a sua volte le patologie più frequenti. Sono da registrare inoltre carenze negli spazi destinati alla socialità e all'attività di studio e di lavoro dei detenuti, cui si deve aggiungere l'effetto deleterio dei recenti ulteriori tagli anche sulle mercedi e il lavoro dei custoditi nonché la patente violazione, in particolare, del principio della territorializzazione della pena, così come garantito dall'inapplicata legge n. 354 del 1975 e successive modifiche, laddove all'articolo 4 stabilisce che «nel disporre i trasferimenti deve essere favorito il criterio di destinare i soggetti in istituti prossimi alla residenza delle famiglie»;
preoccupano poi le frequenti segnalazioni di maltrattamenti e violenze, i casi di morte in carcere (da ultimi i casi di Stefano Cucchi e Uzoma Umeka) e quelli di suicidio. D'altronde, il citato aumento esponenziale delle aggressioni ad agenti di polizia penitenziaria, la paventata rivolta carceraria dell'estate 2009, le reiterate proteste delle associazioni sindacali del personale carcerario, sono tutti segnali di un malessere ormai ad un punto di non ritorno;
d'altra parte l'aumento della popolazione carceraria risulta essere inversamente proporzionale alla presenza del personale di polizia penitenziaria. Nel 2001 erano presenti 41.608 agenti penitenziari a fronte di 53.165 detenuti, nel 2009 gli agenti sono stati 39.000 e i detenuti 64.859. La pianta organica della polizia penitenziaria è fissata per legge in 45.121 unità. Ci si trova, pertanto, con circa 6.000 unità in meno, per di più rispetto ad un organico ormai certamente di per sé inadeguato. A ciò si devono sommare le carenze di personale amministrativo e l'assoluta inadeguatezza delle presenze degli assistenti sociali, degli psicologi e degli educatori. Senza parlare degli effetti negativi di una transizione senza fine dalla sanità penitenziaria alle aziende sanitarie locali, il che si riverbera in una drastica riduzione dei servizi di cura e recupero per i detenuti,

impegna il Governo:

ad affrontare concretamente, mediante una mirata e lungimirante programmazione, la grave emergenza del sovraffollamento degli istituti di pena, ponendo particolare attenzione alle condizioni di vita dei detenuti, allo stato dell'edilizia penitenziaria, agli spazi detentivi e a quelli comuni, in relazione anche al profilo specifico dei detenuti medesimi (tossicodipendenti e affetti da malattie psichiatriche) e la cui pericolosità sociale è ridotta ab origine, dovendosi ritenere superata l'attuale unicità del modello strutturale e organizzativo del carcere;
a disporre in tempi brevi un monitoraggio delle strutture penitenziarie esistenti al fine di individuare quelle che in una prima fase sperimentale possano prestarsi all'attivazione ed espansione delle esperienze di trattamento avanzato, quali quelle realizzate nell'istituto penitenziario di Milano Bollate, anche con il supporto di sistemi di controllo a distanza (cosiddetto braccialetto elettronico), opportunamente tarati per i soggetti, condannati o in misura cautelare, anche nuovi giunti, ai quali non siano attribuiti fatti-reato caratterizzati da abituale violenza;
ad ampliare la tipologia delle misure alternative in favore di quelle specificamente supportate da progetti professionalmente strutturati volti al reinserimento sociale, quali l'istituto della messa alla prova, positivamente sperimentato nei campo del trattamento dei minori, ovvero da patti per il reinserimento e la sicurezza sociale fondati su attività di giustizia riparativa a favore delle vittime dei reati o da programmi di istruzione, di attività sociali e culturali, di formazione professionale e di inserimento lavorativo;
a sostenere il sistema delle misure alternative alla pena detentiva mediante un sistema dì cofinanziamento dei progetti finalizzati al reinserimento sociale dei detenuti e degli internati, garantito da una parte dai fondi della Cassa delle ammende e dall'altra dalla reti integrate degli interventi e dei servizi sociali territoriali previste dalla legge n. 328 del 2000, anche mediante l'istituzione di centri di accoglienza per le pene alternative per i condannati che non dispongano di supporto socio familiare;
ad evitare il susseguirsi di iniziative normative settoriali in campo penale, volte al mero inasprimento delle pene, all'irrigidimento degli strumenti processuali che non realizzano un'efficace e coordinata azione di contrasto alla criminalità, ma acuiscono le problematiche connesse al sovraffollamento carcerario;
a promuovere una riforma di sistema che preveda la riduzione dell'area dell'illecito penale laddove riferito a comportamenti di scarso disvalore sociale con un ampliamento ed una differenziazione delle tipologie sanzionatorie, con l'affiancamento alla pena detentiva di altre pene interdittive, ma non privative delle libertà personali, irrogabili dal giudice penale di cognizione allo scopo di ridurre il ricorso alla pena detentiva, laddove non necessaria, e nel contempo di rendere più efficace il sistema sanzionatorio nel suo insieme, soprattutto con riferimento ai reati non gravi;
ad intensificare l'azione diplomatica per concludere accordi finalizzati a far scontare ai detenuti stranieri, per quanto possibile, la detenzione nei Paesi d'origine, nella garanzia del rispetto dei diritti fondamentali della persona;
a vigilare sull'applicazione della normativa in materia di edilizia carceraria al fine di superare l'attuale modello di istituto penitenziario per affrontare le nuove esigenze e i nuovi bisogni dei detenuti, anche nell'ambito degli interventi di ristrutturazione in corso, cui dare priorità, e a garantire, nell'ambito dei progetti della nuova edilizia penitenziaria, i criteri di trasparenza delle procedure e l'economicità delle opere fissando regole rigorose per la valutazione del patrimonio dello Stato in relazione al cosiddetto project financing, evitando il ricorso a procedure straordinarie anche se legislativamente previste;
ad accertare la corretta e compiuta attuazione dei regolamenti penitenziari, in particolare per la parte concernente le garanzie dei diritti delle persone detenute nonché a garantire la piena applicazione dell'articolo 4 della legge n. 354 del 1975 concernente il principio della territorializzazione della pena;
a verificare l'adeguatezza, in proporzione alla popolazione carceraria, delle piante organiche riferite non solo al personale di polizia penitenziaria ma anche alle figure degli educatori, degli assistenti sociali e degli psicologi, avviando un nuovo piano programmato di assunzioni che vada oltre il turn-over dovuto ai pensionamenti previsto dalla legge finanziaria per il 2010 e che garantisca le risorse umane e professionali necessarie all'attivazione delle nuove strutture penitenziarie, anche distribuendo meglio il personale sul territorio, concentrandolo nei compiti di istituto, sottraendolo ai servizi estranei, consentendogli un adeguato, costante ed effettivo aggiornamento professionale;
a risolvere le attuali disfunzioni della sanità penitenziaria acuitesi in concomitanza della delicata fase di trasferimento delle funzioni al Sistema sanitario nazionale, sia assicurando adeguate risorse finanziarie alle regioni sia prevedendo l'adozione, da parte delle regioni stesse, di modelli organizzativi adeguati alla specificità del contesto carcerario, che sconta, oltre alla particolarità delle patologie, specifiche ed inderogabili esigenze di sicurezza;
ad affrontare una buona volta le cause dell'elevato numero di morti e di suicidi in carcere ed i fenomeni di autolesionismo e di violenza in genere;
ad affrontare, assumendo a tal fine le necessarie iniziative normative, il problema dei detenuti tossicodipendenti, in particolare valutando la possibilità che l'esecuzione della pena avvenga in istituti a custodia attenuata, idonei all'effettivo svolgimento di programmi terapeutici e socio-riabilitativi;
ad assicurare, con adeguati provvedimenti organizzativi e di finanziamento, l'attuazione del diritto allo studio e al lavoro in carcere;
a garantire l'effettiva destinazione alla realizzazione dei programmi di riabilitazione e di reinserimento sociale dei condannati dei fondi a ciò vincolati della Cassa delle ammende;
a favorire l'approvazione di una legge per l'istituzione a livello nazionale del Garante dei diritti dei detenuti, ossia di un soggetto che possa lavorare in coordinamento con i garanti regionali e comunali e con la magistratura di sorveglianza, in modo da integrare quegli spazi di intervento rispetto alle diffuse situazioni di difficoltà del nostro sistema carcerario, che non possono essere risolte in via giudiziaria;
all'applicazione concreta della legge 22 giugno 2000, n. 193, la cosiddetta legge Smuraglia, al fine di incentivare la trasformazione degli istituti penitenziari da meri luoghi di permanenza di persone in condizioni di prevalente e permanente inerzia di per sé distruttiva, in soggetti economici capaci di svolgere parte attiva e competitiva sul mercato, anche al fine di autoalimentare le risorse economico-finanziarie necessarie per operare, riducendo così gli oneri a carico dello Stato e quindi della collettività;
ad eliminare gli ostacoli che ancora non permettono alle madri e ai loro piccoli, quelli di età compresa tra zero a tre anni, di scontare la pena detentiva in un luogo diverso dal carcere nonché ad istituire le case famiglia protette, al di fuori delle strutture penitenziarie, da considerarsi una forma detentiva privilegiata quando sia indirettamente coinvolto un bambino.
(1-00302)
«Franceschini, Ventura, Maran, Villecco Calipari, Amici, Boccia Giachetti, Lenzi, Quartiani, Rosato, Ferranti, Andrea Orlando, Melis, Samperi, Tidei, Touadi, Bernardini, Capano, Cavallaro, Ciriello, Concia, Cuperlo, Gianni Farina, Rossomando, Tenaglia, Vaccaro, Bellanova, Boccuzzi, Bossa, Binetti, Braga, Brandolini, Capodicasa, Causi, Cenni, De Biasi, De Pasquale, De Torre, D'Antona, Esposito, Ferrari, Fontanelli, Garavini, Ghizzoni, Gnecchi, Lovelli, Lucà, Margiotta, Mattesini, Mazzarella, Murer, Narducci, Rigoni, Rugghia, Schirru, Vannucci, Vassallo, Zucchi, Bachelet, Berretta, Capano, Carella, Marco Carra, Ciriello, Codurelli, Giovanelli, Fedi, Froner, Marchi, Motta, Oliverio, Arturo Mario Luigi Parisi, Pedoto, Pistelli, Rossomando, Siragusa, Tullo, Velo, Vico, Rubinato».
(11 gennaio 2010)

La Camera,
premesso che:
il sistema penitenziario italiano, programmaticamente delineato nell'articolo 27 della Costituzione, oltre a rappresentare un presidio di sicurezza per la società, deve ancor prima garantire percorsi di risocializzazione in contesti di umanità, nel rispetto dei valori di prevalenza e di inviolabilità riferibili alla persona umana;
l'attuale condizione di affollamento delle carceri italiane - e di conseguente inevitabile negazione dei diritti individuali dei ristretti - ha assunto dimensioni senza eguali nella storia della nostra Repubblica. Allo stato sono presenti negli istituti penitenziari oltre 65.000 ristretti, e tale cifra continua a crescere ininterrottamente e geometricamente con medie di ingressi mensili che non appaiono suscettibili di attenuazione. Oltre un terzo dei reclusi - pari al 37 per cento - sono stranieri, in gran parte di provenienza extracomunitaria; oltre un quarto - il 27 per cento - sono tossicodipendenti; una consistente parte soffre di patologie di tipo psichiatrico. Se si eccettuano gli appartenenti alla criminalità organizzata, la restante parte dei reclusi è per lo più espressione del disagio e dell'emarginazione. Negli istituti penitenziari sono inoltre presenti oltre 71 bambini di età inferiore ai tre anni al seguito delle loro mamme sottoposte a provvedimenti restrittivi della libertà;
il carcere ha dunque perduto la sua caratterizzazione di luogo per l'espiazione delle pene, divenendo sede di transito per arrestati, la gran parte dei quali non tornerà più dalla struttura penitenziaria per espiare la pena, e luogo di raccolta della emarginazione sociale. Più del 50 per cento dei reclusi sono imputati, solo il 46 per cento sono in espiazione di pena definitiva, il 3 per cento sottoposti ad una misura di sicurezza. Uno studio recente del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha messo in luce come il 35 per cento degli arrestati viene scarcerato dopo appena 48 ore; oltre il 50 per cento entro i primi 10 giorni di detenzione;
il Ministro della giustizia, intervenendo pubblicamente, ha affermato che la situazione delle carceri italiane è «fuori dalla Costituzione» con riguardo al principio di umanità nell'esecuzione della pena ed ha assunto un impegno per la costruzione di nuove carceri e per migliorare le condizioni di vita dei detenuti. Il Ministro ha poi ribadito la volontà di far uscire dagli istituti di pena i bambini rinchiusi con le loro mamme, e di utilizzare i beni confiscati alla mafia destinandoli a case famiglia per accogliere le madri recluse con minori al seguito;
con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1o aprile 2008 sono state trasferite alle regioni le competenze sulla erogazione dei servizi sanitari alla popolazione detenuta. I dati sulla salute in carcere - ivi compreso il numero rilevantissimo dei suicidi registrati nel corso del 2009: circa 60 secondo i dati ufficiali, oltre 70 sulla base di quanto riferito da alcune associazioni - non consentono di affermare che l'applicazione della riforma abbia comportato concreti benefici. Si è anzi determinata una regressione nell'assistenza sanitaria presso le strutture di pena. Numerosi istituti penitenziari denunciano una contrazione dei servizi ed alcune difficoltà nella erogazione dei servizi presso i luoghi di reclusione;
nel 2006 il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, direzione generale dei detenuti e del trattamento ha effettuato uno studio sulla salute mentale dei ristretti, attraverso la predisposizione di apposite schede di valutazione delle patologie compilate dopo l'ingresso in carcere. L'esito della rilevazione ha fornito risultati impressionanti. Su 105.752 rilevamenti, effettuati nell'arco di due anni, sono state riscontrate le seguenti patologie mentali: depressione in 10.837 detenuti (pari al 10,25 per cento sulle schede raccolte); altre patologie mentali (psicosi e nevrosi, esclusa la depressione) in 6.383 detenuti (pari al 6,04 per cento); malattie neurologiche e malattie del sistema nervoso centrale in 2915 casi (dato di poco inferiore al 3 per cento); deterioramento psichico in 823 soggetti (0,8 per cento). Il totale dei pazienti che in carcere soffrono di disturbi psichici e legati al sistema nervoso è dunque superiore al 20 per cento;
un recente studio, effettuato a margine di un'attività ispettiva sulle carceri, ha messo in luce che nell'anno 2008 il 31,8 per cento delle persone che hanno fatto ingresso in carcere rispondeva di violazioni alla legge sulla droga. Una rilevante parte di essi era tossicodipendente. Da un'analisi statistica condotta due anni fa si è appurato che 16.478 persone sono state arrestate nel corso del periodo gennaio 2005-giugno 2006 per il solo reato di cui all'articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990. Le stesse, successivamente scarcerate, hanno avuto una permanenza media in carcere di soli 88 giorni. Da un recente rilevamento risulta che dei 18.225 arrestati (non in espiazione di pena definitiva) entrati in carcere nel 2009 per il solo reato di cui all'articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ben 5.005 sono stati scarcerati dopo appena 2 giorni, 2.903 sono rimasti in un periodo ricompreso tra i 3 ed i 10 giorni, 1.841 tra 11 e 30 giorni. Ciò significa che la grande parte di essi è rimasta in carcere per meno di un mese. Inoltre su 48 morti accertate per suicidio fino al novembre 2009, ben 14 avevano riguardato soggetti tossicodipendenti. E delle 106 morti naturali avvenute tra gennaio e novembre 2009, 30 avevano riguardato soggetti con patologie connesse alla dipendenza dalla droga, alcuni dei quali giovanissimi;
con la circolare Pea (Programma esecutivo di azione) 16 il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, direzione generale dei detenuti e del trattamento, ha inteso valorizzare il ruolo di genitore del detenuto con la sperimentazione di attività di sostegno al rientro in famiglia, eventualmente finalizzate anche alla fruizione di permessi premio e misure alternative. Nell'attuale situazione penitenziaria i rapporti con la famiglia risultano particolarmente compromessi, con il rischio di propagare sulle famiglie dei detenuti - che non hanno colpe - il disagio della condizione penitenziaria. La tutela di tali rapporti, che appare allo stato fortemente deficitaria, trova una sua fonte in numerosi atti internazionali: a) la Convenzione Onu sui diritti del fanciullo (articoli 5, 7 e 9); b) i rapporti al Comitato sui diritti dell'infanzia (organo deputato a vigilare sull'applicazione della Convenzione e i relativi protocolli); c) la proposta di risoluzione del Parlamento europeo (A6-0033/2008), formulata sulla base della relazione della Commissione per i diritti della donna e l'uguaglianza in genere «sulla particolare situazione delle detenute e l'impatto dell'incarcerazione dei genitori sulla vita sociale e familiare»;
la questione penitenziaria non può essere affrontata in modo separato dalla più generale questione penale, rispetto alla quale essa rappresenta il tratto terminale ed il termine di riscontro più concreto sul raggiungimento delle finalità di giustizia;
sul carcere grava dunque in modo inesorabile la crisi del sistema penale che riguarda: l'inevitabile ampiezza del modello di repressione delle condotte; l'elevato numero di fatti reato; l'incapacità del sistema processuale di tenere dietro alla moltitudine delle regiudicande; ma soprattutto l'intollerabile lunghezza del processo, che frustra la pretesa di giustizia delle vittime del reato, e rappresenta al contempo un'inaccettabile via crucis per la persona chiamata a giudizio dinanzi al giudice penale. Le lungaggini del processo e la mancata previsione di termini perentori alla sua durata hanno determinato una generale situazione di precarietà dello stato detentivo, di mancata stabilità dei provvedimenti cautelari, di sovraccarico dei ruoli giudiziari e di ritardo nell'esecuzione delle pene;
il metodo per affrontare la questione del sovraffollamento negli ultimi 60 anni è consistito nell'adozione di trenta provvedimenti di clemenza, tra amnistie ed indulti. Da ultimo la legge 31 luglio 2006, n. 241, che ha previsto il condono delle pene residue sino a tre anni, ha comportato la fuoriuscita dal carcere di oltre 25.000 detenuti, la gran parte dei quali, in poco tempo, ha fatto rientro nel sistema penitenziario. L'assenza di qualsivoglia intervento volto a modificare il sistema delle pene ha comportato il fallimento del provvedimento di clemenza e l'imponente realizzazione di condotte recidivanti: ciò perché i detenuti non sono stati messi nelle condizioni di potere evitare la ricaduta nel delitto. Nessuna iniziativa, in particolare, è stata assunta per garantire il collocamento lavorativo dei detenuti dimittendi dal carcere, per consentire loro di svolgere un ruolo nella vita normale;
il patrimonio immobiliare destinato a scopi penitenziari ammonta oggi a 205 istituti di pena e di internamento attivi sul territorio, ed è per il 70 per cento di epoca anteriore al 1900. Esso risente di una concezione della pena ottocentesca, non rispettosa dei diritti umani e della sacralità della persona. La questione penitenziaria va dunque affrontata in primo luogo con la dotazione ingente di nuove strutture, progettate e realizzate con criteri razionali ed in coerenza con le finalità rieducative della pena. Nella realizzazione delle nuove carceri occorrerà tenere conto della effettiva pericolosità delle persone che vi verranno ascritte, dei tempi medi di detenzione, della corretta e completa allocazione dei servizi essenziali di accoglienza e di trattamento che contribuiscano alla realizzazione di una pena che sia finalizzata alla rieducazione e non contraria al principio di umanità;
l'attuale carenza di organico della polizia penitenziaria risulta essere pari a quasi 6.000 unità rispetto a quello previsto. A tale deficit andrà ad aggiungersi inesorabilmente la quota annuale dei pensionamenti ed il fabbisogno connesso alle sopravvenute esigenze connesse all'aperture di nuovi istituti. Vi è poi una rilevante carenza degli organici del personale amministrativo che è pari a 3.186 unità, giacché, a fronte di un organico di 9.486 unità, vi sono solo 6.300 presenze effettive. La maggiore carenza riguarda il ruolo degli educatori che conta complessivamente poco meno di 700 unità, che determina un rapporto di uno a cento rispetto ai detenuti attualmente presenti. L'intervento per affrontare l'attuale crisi del sistema carcerario deve dunque prioritariamente fare leva sulle risorse di personale, civile e di polizia, che a causa del sovraffollamento hanno sopportato finora un sacrificio grave, condividendo con i reclusi i disagi conseguenti alla invivibilità degli ambienti. Occorrerà pertanto procedere non solo ad aumenti di organico, ma anche ad una valorizzazione del ruolo e delle funzioni del personale di polizia penitenziaria da effettuarsi con interventi di tipo normativo;
il lavoro penitenziario rappresenta un elemento essenziale del trattamento e una condizione imprescindibile per il reinserimento nella società. Alla data del 31 dicembre 2008 su una presenza di 58.127 detenuti, 13.413 svolgevano attività lavorativa. Di questi, 10.032 erano impiegati nei lavori domestici e 866 erano addetti alla manutenzione ordinaria del fabbricato (al 31 dicembre 2007, su una popolazione detenuta di 48.693 unità, 9.418 erano impiegati nei lavori domestici e 801 erano addetti alla manutenzione ordinaria del fabbricato) tutti alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria. Si è registrato poi un incremento dei detenuti assunti da imprese e cooperative all'interno degli istituti penitenziari (740 unità al 31 dicembre 2008 rispetto alle 647 unità al 31 dicembre 2007). Il totale dei detenuti lavoranti non alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria (comprensivo di semiliberi e ammessi al lavoro all'esterno ex articolo 21 della legge sull'ordinamento penitenziario) era di 1.825 unità al 31 dicembre 2008 (erano 1.609 al 31 dicembre 2007). Si è notato un risveglio di interesse verso la manodopera detenuta, dovuto soprattutto all'incessante opera di sensibilizzazione posta in essere dall'amministrazione presso il mondo imprenditoriale. Si segnalano i poli artigianali di Verona e Padova, quest'ultimo in particolare per l'attività di gestione in cooperativa e fornitura del servizio mensa detenuti, esperimento presente anche a Torino, Roma e Milano. Al 31 dicembre 2008 le lavorazioni presenti all'interno degli istituti penitenziari (si considerano anche tutte le attività di tipo agricolo) erano 260, di cui 200 funzionanti. Di queste 114 erano gestite da soggetti terzi. Benché siano presenti segnali di espansione, il lavoro non riesce a raggiungere tutti i detenuti, la gran parte dei quali, tuttavia, transita per periodi così brevi da non consentire l'impiego in attività lavorative. L'esperienza del lavoro non di meno va incrementata e favorita nei confronti di tutti coloro che permangano in carcere per un apprezzabile periodo di tempo;
da studi condotti nel dipartimento dell'amministrazione penitenziaria si rileva che un numero notevole di detenuti risulta essere costituito da soggetti a bassa pericolosità, condannati a pene brevi, o con breve fine pena. Per costoro si registra uno scarso ricorso alle misure alternative. In particolare - secondo una rilevazione effettuata alla data del 31 ottobre 2009 - 10.278 persone espiavano in carcere pene inferiori ad un anno ed, al contrario, solo 2.973 allo stesso giorno si trovavano in detenzione domiciliare. Prima della legge di indulto del luglio 2006, nel corso dell'intero anno 2005 erano state ammesse alla detenzione domiciliare 14.527 persone. Sul punto va evidenziata la difficoltà per i condannati stranieri non appartenenti all'Unione europea di fissare la dimora. Molti di essi pur essendo dichiarati non pericolosi, e dunque giuridicamente legittimati alle misure alternative, sovente ne sono esclusi de facto, contribuendo a generare inutili forme di sovraffollamento;
in Inghilterra e Galles, a seguito del Criminal Justice Act 2003, è stata prevista la dimissione dal carcere con apposizione di licence conditions, istituto analogo alla detenzione domiciliare in Italia, che si rivolge ai condannati ad una o più pene che non abbiano durata complessiva superiore ai dodici mesi. Il provvedimento che dispone l'applicazione della sanzione include le prescrizioni definite dall'autorità competente (cosiddetto Board, Criminal Justice Service Act 2000) che il condannato è tenuto a rispettare durante l'esecuzione della pena nella comunità. Con tale sistema si è evitato di far transitare dal carcere i condannati a pene detentive brevi, con modalità che prevedono una probation consistente nel compiuto adempimento delle prescrizioni imposte;
i fenomeni di immigrazione clandestina, con illecito attraversamento delle frontiere gestito da organizzazioni criminali, fungono da moltiplicatore dei fatti che conducono alla carcerazione. Deve darsi atto al Governo di avere innovato l'agenda europea sulla questione della detenzione, intesa per la prima volta come questione strettamente legata ai fenomeni del transito ed alla permanenza di soggetti sui territori degli Stati dell'Unione europea. Gli effetti di tale iniziativa del Governo italiano sono costituiti dall'inserimento del delicato tema delle politiche carcerarie nel programma di Stoccolma, e nell'approvazione di una apposita risoluzione da parte del Parlamento europeo;
il Ministro della giustizia - in un recente intervento - ha rappresentato come nelle carceri italiane, rispetto alla totalità dei detenuti, oltre 20 mila sono stranieri: il che vuol dire che le carceri italiane sono idonee ad ospitare i detenuti italiani, ma con l'aggiungersi degli stranieri si supera la capienza regolamentare ed anche quella tollerabile. Egli ha sottolineato come l'Unione europea «non possa da un lato esercitare sanzioni e dall'altro chiudere gli occhi sul fenomeno del sovraffollamento carcerario che deriva dalla presenza di detenuti stranieri»;
necessita dunque un intervento di ampio respiro concertato in sede comunitaria. Occorre partire da normative condivise per l'esecuzione in patria delle condanne riportate dagli stranieri, prevedendo l'impiego delle risorse necessarie per affrontare la questione penitenziaria;
l'Unione europea, attraverso il portavoce Dennis Abbott, si è detta pronta ad accogliere direttamente i suggerimenti delle autorità italiane, ed a valutare il modo col quale migliorare il trasferimento di detenuti fra uno Stato e l'altro in base alla decisione quadro dei Ministri dell'interno e della giustizia del novembre 2008, sulle sentenze penali che prevedono misure di detenzione;
è necessaria una riforma che consenta di recuperare i contenuti ed il pieno vigore del dettato costituzionale sulla pena, affinché la detenzione carceraria che consiste nella privazione della libertà non debba mai comportare anche la privazione della dignità delle persone,

impegna il Governo:

ad assumere a tal fine le necessarie iniziative, anche di carattere legislativo, volte ad attuare - con il più ampio confronto con le forze politiche presenti in Parlamento - un'importante riorganizzazione del sistema penitenziario, una riforma dei trattamenti sanzionatori e rieducativi ed una revisione del processo penale, che abbiano a compendiare le seguenti azioni:
a) prevedere nell'emanando piano carceri la progettazione e la realizzazione di nuovi istituti penitenziari che tengano conto dell'effettiva pericolosità delle persone che vi verranno ascritte, dei tempi medi di detenzione, della corretta e completa allocazione dei servizi essenziali di accoglienza e di trattamento, contribuendo alla espiazione di una pena che non appaia contraria al senso di umanità;
b) monitorare attraverso la collaborazione delle regioni e del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria lo stato di attuazione del passaggio dell'erogazione dei servizi sanitari alle regioni, nonché l'attuale qualità del livello di assistenza sanitaria alla popolazione detenuta, effettuando ogni possibile intervento teso a migliorare l'efficienza del servizio sanitario in ambito penitenziario;
c) intervenire con apposite iniziative e progetti, da effettuarsi attraverso il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, sul tema della prevenzione dei suicidi in ambiente penitenziario, rafforzando i presidi nuovi giunti e quelli del trattamento attraverso l'impiego qualificato di gruppi di ascolto formati da psicologi ed operatori penitenziari;
d) intensificare, attraverso il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, le politiche di promozione dei rapporti familiari per la popolazione detenuta, attraverso la predisposizione di progetti che puntino al miglioramento della quantità e qualità delle occasioni di incontro, coinvolgendo i nuclei familiari nelle dinamiche del trattamento penitenziario e nelle politiche di socializzazione;
e) approvare modifiche alle norme dell'ordinamento penitenziario che prevedano, all'interno di strutture protette, la coabitazione dei figli minori al seguito di madri detenute e vietino la permanenza di bambini all'interno di strutture penitenziarie ordinarie;
f) adottare iniziative normative che comportino la semplificazione dei meccanismi processuali ed impongano limiti di tempo alla celebrazione dei processi, allo scopo di rendere più rapida ed efficiente la risposta alle istanze di giustizia dei cittadini;
g) adottare iniziative legislative che prevedano direttamente forme diverse dalla detenzione in carcere - eventualmente accompagnate da programmi di cura - per soggetti con conclamate patologie derivanti da tossicodipendenza e che siano esclusivamente autori di reati previsti dal testo unico delle leggi sulla droga;
h) assumere iniziative straordinarie per garantire il collocamento lavorativo dei detenuti dimittendi dal carcere, anche attraverso la costituzione di agenzie, allo scopo di consentire loro lo svolgimento di un'attività nella vita normale, che prevenga la recidiva nel reato;
i) prevedere nell'emanando piano carceri il reclutamento straordinario di un adeguato contingente di polizia penitenziaria e del personale amministrativo mancante, nonché promuovere iniziative per l'incremento degli organici degli psicologi;
l) rilanciare il lavoro penitenziario attraverso appositi strumenti legislativi volti a promuoverne lo sviluppo e disciplinarne i contenuti e stimolare, attraverso l'amministrazione penitenziaria e la Cassa delle ammende, le necessarie iniziative volte a dare sviluppo alle esperienze più significative;
m) rilanciare l'attuazione delle misure alternative, anche attraverso interventi normativi;
n) evitare interventi sul sovraffollamento incentrati su provvedimenti di clemenza tout court, prediligendo le forme di probation e utilizzare la detenzione domiciliare in probation per le pene detentive brevi, prendendo spunto da esperienze di altri Paesi europei;
o) ad adottare iniziative in sede di Unione europea per la realizzazione di interventi normativi che prevedano il trasferimento dei detenuti nei Paesi di origine per l'esecuzione delle pene, e la destinazione di risorse alla questione penitenziaria, che risulta connessa all'ingente presenza di detenuti stranieri.
(1-00309)
«Vitali, Brigandì, Belcastro, Baldelli, Costa, Consolo, Contento, Ghedini, Mariarosaria Rossi, Sisto, Casinelli, D'Ippolito Vitale, Lehner, Lo Presti, Angela Napoli, Paniz, Papa, Pittelli, Scelli, Siliquini, Torrisi, Lussana, Follegot, Nicola Molteni, Paolini».
(11 gennaio 2010)

La Camera,
premesso che:
il sistema penitenziario italiano, programmaticamente delineato nell'articolo 27 della Costituzione, oltre a rappresentare un presidio di sicurezza per la società, deve ancor prima garantire percorsi di risocializzazione in contesti di umanità, nel rispetto dei valori di prevalenza e di inviolabilità riferibili alla persona umana;
l'attuale condizione di affollamento delle carceri italiane - e di conseguente inevitabile negazione dei diritti individuali dei ristretti - ha assunto dimensioni senza eguali nella storia della nostra Repubblica. Allo stato sono presenti negli istituti penitenziari oltre 65.000 ristretti, e tale cifra continua a crescere ininterrottamente e geometricamente con medie di ingressi mensili che non appaiono suscettibili di attenuazione. Oltre un terzo dei reclusi - pari al 37 per cento - sono stranieri, in gran parte di provenienza extracomunitaria; oltre un quarto - il 27 per cento - sono tossicodipendenti; una consistente parte soffre di patologie di tipo psichiatrico. Se si eccettuano gli appartenenti alla criminalità organizzata, la restante parte dei reclusi è per lo più espressione del disagio e dell'emarginazione. Negli istituti penitenziari sono inoltre presenti oltre 71 bambini di età inferiore ai tre anni al seguito delle loro mamme sottoposte a provvedimenti restrittivi della libertà;
il carcere ha dunque perduto la sua caratterizzazione di luogo per l'espiazione delle pene, divenendo sede di transito per arrestati, la gran parte dei quali non tornerà più dalla struttura penitenziaria per espiare la pena, e luogo di raccolta della emarginazione sociale. Più del 50 per cento dei reclusi sono imputati, solo il 46 per cento sono in espiazione di pena definitiva, il 3 per cento sottoposti ad una misura di sicurezza. Uno studio recente del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha messo in luce come il 35 per cento degli arrestati viene scarcerato dopo appena 48 ore; oltre il 50 per cento entro i primi 10 giorni di detenzione;
il Ministro della giustizia, intervenendo pubblicamente, ha affermato che la situazione delle carceri italiane è «fuori dalla Costituzione» con riguardo al principio di umanità nell'esecuzione della pena ed ha assunto un impegno per la costruzione di nuove carceri e per migliorare le condizioni di vita dei detenuti. Il Ministro ha poi ribadito la volontà di far uscire dagli istituti di pena i bambini rinchiusi con le loro mamme, e di utilizzare i beni confiscati alla mafia destinandoli a case famiglia per accogliere le madri recluse con minori al seguito;
con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1o aprile 2008 sono state trasferite alle regioni le competenze sulla erogazione dei servizi sanitari alla popolazione detenuta. I dati sulla salute in carcere - ivi compreso il numero rilevantissimo dei suicidi registrati nel corso del 2009: circa 60 secondo i dati ufficiali, oltre 70 sulla base di quanto riferito da alcune associazioni - non consentono di affermare che l'applicazione della riforma abbia comportato concreti benefici. Si è anzi determinata una regressione nell'assistenza sanitaria presso le strutture di pena. Numerosi istituti penitenziari denunciano una contrazione dei servizi ed alcune difficoltà nella erogazione dei servizi presso i luoghi di reclusione;
nel 2006 il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, direzione generale dei detenuti e del trattamento ha effettuato uno studio sulla salute mentale dei ristretti, attraverso la predisposizione di apposite schede di valutazione delle patologie compilate dopo l'ingresso in carcere. L'esito della rilevazione ha fornito risultati impressionanti. Su 105.752 rilevamenti, effettuati nell'arco di due anni, sono state riscontrate le seguenti patologie mentali: depressione in 10.837 detenuti (pari al 10,25 per cento sulle schede raccolte); altre patologie mentali (psicosi e nevrosi, esclusa la depressione) in 6.383 detenuti (pari al 6,04 per cento); malattie neurologiche e malattie del sistema nervoso centrale in 2915 casi (dato di poco inferiore al 3 per cento); deterioramento psichico in 823 soggetti (0,8 per cento). Il totale dei pazienti che in carcere soffrono di disturbi psichici e legati al sistema nervoso è dunque superiore al 20 per cento;
un recente studio, effettuato a margine di un'attività ispettiva sulle carceri, ha messo in luce che nell'anno 2008 il 31,8 per cento delle persone che hanno fatto ingresso in carcere rispondeva di violazioni alla legge sulla droga. Una rilevante parte di essi era tossicodipendente. Da un'analisi statistica condotta due anni fa si è appurato che 16.478 persone sono state arrestate nel corso del periodo gennaio 2005-giugno 2006 per il solo reato di cui all'articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990. Le stesse, successivamente scarcerate, hanno avuto una permanenza media in carcere di soli 88 giorni. Da un recente rilevamento risulta che dei 18.225 arrestati (non in espiazione di pena definitiva) entrati in carcere nel 2009 per il solo reato di cui all'articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ben 5.005 sono stati scarcerati dopo appena 2 giorni, 2.903 sono rimasti in un periodo ricompreso tra i 3 ed i 10 giorni, 1.841 tra 11 e 30 giorni. Ciò significa che la grande parte di essi è rimasta in carcere per meno di un mese. Inoltre su 48 morti accertate per suicidio fino al novembre 2009, ben 14 avevano riguardato soggetti tossicodipendenti. E delle 106 morti naturali avvenute tra gennaio e novembre 2009, 30 avevano riguardato soggetti con patologie connesse alla dipendenza dalla droga, alcuni dei quali giovanissimi;
con la circolare Pea (Programma esecutivo di azione) 16 il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, direzione generale dei detenuti e del trattamento, ha inteso valorizzare il ruolo di genitore del detenuto con la sperimentazione di attività di sostegno al rientro in famiglia, eventualmente finalizzate anche alla fruizione di permessi premio e misure alternative. Nell'attuale situazione penitenziaria i rapporti con la famiglia risultano particolarmente compromessi, con il rischio di propagare sulle famiglie dei detenuti - che non hanno colpe - il disagio della condizione penitenziaria. La tutela di tali rapporti, che appare allo stato fortemente deficitaria, trova una sua fonte in numerosi atti internazionali: a) la Convenzione Onu sui diritti del fanciullo (articoli 5, 7 e 9); b) i rapporti al Comitato sui diritti dell'infanzia (organo deputato a vigilare sull'applicazione della Convenzione e i relativi protocolli); c) la proposta di risoluzione del Parlamento europeo (A6-0033/2008), formulata sulla base della relazione della Commissione per i diritti della donna e l'uguaglianza in genere «sulla particolare situazione delle detenute e l'impatto dell'incarcerazione dei genitori sulla vita sociale e familiare»;
la questione penitenziaria non può essere affrontata in modo separato dalla più generale questione penale, rispetto alla quale essa rappresenta il tratto terminale ed il termine di riscontro più concreto sul raggiungimento delle finalità di giustizia;
sul carcere grava dunque in modo inesorabile la crisi del sistema penale che riguarda: l'inevitabile ampiezza del modello di repressione delle condotte; l'elevato numero di fatti reato; l'incapacità del sistema processuale di tenere dietro alla moltitudine delle regiudicande; ma soprattutto l'intollerabile lunghezza del processo, che frustra la pretesa di giustizia delle vittime del reato, e rappresenta al contempo un'inaccettabile via crucis per la persona chiamata a giudizio dinanzi al giudice penale. Le lungaggini del processo e la mancata previsione di termini perentori alla sua durata hanno determinato una generale situazione di precarietà dello stato detentivo, di mancata stabilità dei provvedimenti cautelari, di sovraccarico dei ruoli giudiziari e di ritardo nell'esecuzione delle pene;
il metodo per affrontare la questione del sovraffollamento negli ultimi 60 anni è consistito nell'adozione di trenta provvedimenti di clemenza, tra amnistie ed indulti. Da ultimo la legge 31 luglio 2006, n. 241, che ha previsto il condono delle pene residue sino a tre anni, ha comportato la fuoriuscita dal carcere di oltre 25.000 detenuti, la gran parte dei quali, in poco tempo, ha fatto rientro nel sistema penitenziario. L'assenza di qualsivoglia intervento volto a modificare il sistema delle pene ha comportato il fallimento del provvedimento di clemenza e l'imponente realizzazione di condotte recidivanti: ciò perché i detenuti non sono stati messi nelle condizioni di potere evitare la ricaduta nel delitto. Nessuna iniziativa, in particolare, è stata assunta per garantire il collocamento lavorativo dei detenuti dimittendi dal carcere, per consentire loro di svolgere un ruolo nella vita normale;
il patrimonio immobiliare destinato a scopi penitenziari ammonta oggi a 205 istituti di pena e di internamento attivi sul territorio, ed è per il 70 per cento di epoca anteriore al 1900. Esso risente di una concezione della pena ottocentesca, non rispettosa dei diritti umani e della sacralità della persona. La questione penitenziaria va dunque affrontata in primo luogo con la dotazione ingente di nuove strutture, progettate e realizzate con criteri razionali ed in coerenza con le finalità rieducative della pena. Nella realizzazione delle nuove carceri occorrerà tenere conto della effettiva pericolosità delle persone che vi verranno ascritte, dei tempi medi di detenzione, della corretta e completa allocazione dei servizi essenziali di accoglienza e di trattamento che contribuiscano alla realizzazione di una pena che sia finalizzata alla rieducazione e non contraria al principio di umanità;
l'attuale carenza di organico della polizia penitenziaria risulta essere pari a quasi 6.000 unità rispetto a quello previsto. A tale deficit andrà ad aggiungersi inesorabilmente la quota annuale dei pensionamenti ed il fabbisogno connesso alle sopravvenute esigenze connesse all'aperture di nuovi istituti. Vi è poi una rilevante carenza degli organici del personale amministrativo che è pari a 3.186 unità, giacché, a fronte di un organico di 9.486 unità, vi sono solo 6.300 presenze effettive. La maggiore carenza riguarda il ruolo degli educatori che conta complessivamente poco meno di 700 unità, che determina un rapporto di uno a cento rispetto ai detenuti attualmente presenti. L'intervento per affrontare l'attuale crisi del sistema carcerario deve dunque prioritariamente fare leva sulle risorse di personale, civile e di polizia, che a causa del sovraffollamento hanno sopportato finora un sacrificio grave, condividendo con i reclusi i disagi conseguenti alla invivibilità degli ambienti. Occorrerà pertanto procedere non solo ad aumenti di organico, ma anche ad una valorizzazione del ruolo e delle funzioni del personale di polizia penitenziaria da effettuarsi con interventi di tipo normativo;
il lavoro penitenziario rappresenta un elemento essenziale del trattamento e una condizione imprescindibile per il reinserimento nella società. Alla data del 31 dicembre 2008 su una presenza di 58.127 detenuti, 13.413 svolgevano attività lavorativa. Di questi, 10.032 erano impiegati nei lavori domestici e 866 erano addetti alla manutenzione ordinaria del fabbricato (al 31 dicembre 2007, su una popolazione detenuta di 48.693 unità, 9.418 erano impiegati nei lavori domestici e 801 erano addetti alla manutenzione ordinaria del fabbricato) tutti alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria. Si è registrato poi un incremento dei detenuti assunti da imprese e cooperative all'interno degli istituti penitenziari (740 unità al 31 dicembre 2008 rispetto alle 647 unità al 31 dicembre 2007). Il totale dei detenuti lavoranti non alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria (comprensivo di semiliberi e ammessi al lavoro all'esterno ex articolo 21 della legge sull'ordinamento penitenziario) era di 1.825 unità al 31 dicembre 2008 (erano 1.609 al 31 dicembre 2007). Si è notato un risveglio di interesse verso la manodopera detenuta, dovuto soprattutto all'incessante opera di sensibilizzazione posta in essere dall'amministrazione presso il mondo imprenditoriale. Si segnalano i poli artigianali di Verona e Padova, quest'ultimo in particolare per l'attività di gestione in cooperativa e fornitura del servizio mensa detenuti, esperimento presente anche a Torino, Roma e Milano. Al 31 dicembre 2008 le lavorazioni presenti all'interno degli istituti penitenziari (si considerano anche tutte le attività di tipo agricolo) erano 260, di cui 200 funzionanti. Di queste 114 erano gestite da soggetti terzi. Benché siano presenti segnali di espansione, il lavoro non riesce a raggiungere tutti i detenuti, la gran parte dei quali, tuttavia, transita per periodi così brevi da non consentire l'impiego in attività lavorative. L'esperienza del lavoro non di meno va incrementata e favorita nei confronti di tutti coloro che permangano in carcere per un apprezzabile periodo di tempo;
da studi condotti nel dipartimento dell'amministrazione penitenziaria si rileva che un numero notevole di detenuti risulta essere costituito da soggetti a bassa pericolosità, condannati a pene brevi, o con breve fine pena. Per costoro si registra uno scarso ricorso alle misure alternative. In particolare - secondo una rilevazione effettuata alla data del 31 ottobre 2009 - 10.278 persone espiavano in carcere pene inferiori ad un anno ed, al contrario, solo 2.973 allo stesso giorno si trovavano in detenzione domiciliare. Prima della legge di indulto del luglio 2006, nel corso dell'intero anno 2005 erano state ammesse alla detenzione domiciliare 14.527 persone. Sul punto va evidenziata la difficoltà per i condannati stranieri non appartenenti all'Unione europea di fissare la dimora. Molti di essi pur essendo dichiarati non pericolosi, e dunque giuridicamente legittimati alle misure alternative, sovente ne sono esclusi de facto, contribuendo a generare inutili forme di sovraffollamento;
in Inghilterra e Galles, a seguito del Criminal Justice Act 2003, è stata prevista la dimissione dal carcere con apposizione di licence conditions, istituto analogo alla detenzione domiciliare in Italia, che si rivolge ai condannati ad una o più pene che non abbiano durata complessiva superiore ai dodici mesi. Il provvedimento che dispone l'applicazione della sanzione include le prescrizioni definite dall'autorità competente (cosiddetto Board, Criminal Justice Service Act 2000) che il condannato è tenuto a rispettare durante l'esecuzione della pena nella comunità. Con tale sistema si è evitato di far transitare dal carcere i condannati a pene detentive brevi, con modalità che prevedono una probation consistente nel compiuto adempimento delle prescrizioni imposte;
i fenomeni di immigrazione clandestina, con illecito attraversamento delle frontiere gestito da organizzazioni criminali, fungono da moltiplicatore dei fatti che conducono alla carcerazione. Deve darsi atto al Governo di avere innovato l'agenda europea sulla questione della detenzione, intesa per la prima volta come questione strettamente legata ai fenomeni del transito ed alla permanenza di soggetti sui territori degli Stati dell'Unione europea. Gli effetti di tale iniziativa del Governo italiano sono costituiti dall'inserimento del delicato tema delle politiche carcerarie nel programma di Stoccolma, e nell'approvazione di una apposita risoluzione da parte del Parlamento europeo;
il Ministro della giustizia - in un recente intervento - ha rappresentato come nelle carceri italiane, rispetto alla totalità dei detenuti, oltre 20 mila sono stranieri: il che vuol dire che le carceri italiane sono idonee ad ospitare i detenuti italiani, ma con l'aggiungersi degli stranieri si supera la capienza regolamentare ed anche quella tollerabile. Egli ha sottolineato come l'Unione europea «non possa da un lato esercitare sanzioni e dall'altro chiudere gli occhi sul fenomeno del sovraffollamento carcerario che deriva dalla presenza di detenuti stranieri»;
necessita dunque un intervento di ampio respiro concertato in sede comunitaria. Occorre partire da normative condivise per l'esecuzione in patria delle condanne riportate dagli stranieri, prevedendo l'impiego delle risorse necessarie per affrontare la questione penitenziaria;
l'Unione europea, attraverso il portavoce Dennis Abbott, si è detta pronta ad accogliere direttamente i suggerimenti delle autorità italiane, ed a valutare il modo col quale migliorare il trasferimento di detenuti fra uno Stato e l'altro in base alla decisione quadro dei Ministri dell'interno e della giustizia del novembre 2008, sulle sentenze penali che prevedono misure di detenzione;
è necessaria una riforma che consenta di recuperare i contenuti ed il pieno vigore del dettato costituzionale sulla pena, affinché la detenzione carceraria che consiste nella privazione della libertà non debba mai comportare anche la privazione della dignità delle persone,

impegna il Governo:

ad assumere a tal fine le necessarie iniziative, anche di carattere legislativo, volte ad attuare - con il più ampio confronto con le forze politiche presenti in Parlamento - un'importante riorganizzazione del sistema penitenziario, una riforma dei trattamenti sanzionatori e rieducativi ed una revisione del processo penale, che abbiano a compendiare le seguenti azioni:
a) prevedere nell'emanando piano carceri la progettazione e la realizzazione di nuovi istituti penitenziari che tengano conto dell'effettiva pericolosità delle persone che vi verranno ascritte, dei tempi medi di detenzione, della corretta e completa allocazione dei servizi essenziali di accoglienza e di trattamento, contribuendo alla espiazione di una pena che non appaia contraria al senso di umanità;

b) monitorare attraverso la collaborazione delle regioni e del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria lo stato di attuazione del passaggio dell'erogazione dei servizi sanitari alle regioni, nonché l'attuale qualità del livello di assistenza sanitaria alla popolazione detenuta, effettuando ogni possibile intervento teso a migliorare l'efficienza del servizio sanitario in ambito penitenziario;
c) intervenire con apposite iniziative e progetti, da effettuarsi attraverso il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, sul tema della prevenzione dei suicidi in ambiente penitenziario, rafforzando i presidi nuovi giunti e quelli del trattamento attraverso l'impiego qualificato di gruppi di ascolto formati da psicologi ed operatori penitenziari;
d) intensificare, attraverso il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, le politiche di promozione dei rapporti familiari per la popolazione detenuta, attraverso la predisposizione di progetti che puntino al miglioramento della quantità e qualità delle occasioni di incontro, coinvolgendo i nuclei familiari nelle dinamiche del trattamento penitenziario e nelle politiche di socializzazione;
e) approvare modifiche alle norme dell'ordinamento penitenziario che prevedano, all'interno di strutture protette, la coabitazione dei figli minori al seguito di madri detenute e vietino la permanenza di bambini all'interno di strutture penitenziarie ordinarie;
f) adottare iniziative normative che comportino la semplificazione dei meccanismi processuali nel solco del principio della ragionevole durata dei processi allo scopo di rendere più rapida ed efficiente la risposta alle istanze di giustizia dei cittadini;
g) adottare iniziative legislative che prevedano direttamente forme diverse dalla detenzione in carcere - eventualmente accompagnate da programmi di cura - per soggetti con conclamate patologie derivanti da tossicodipendenza e che siano esclusivamente autori di reati previsti dal testo unico delle leggi sulla droga;
h) assumere iniziative straordinarie per garantire il collocamento lavorativo dei detenuti dimittendi dal carcere, anche attraverso la costituzione di agenzie, allo scopo di consentire loro lo svolgimento di un'attività nella vita normale, che prevenga la recidiva nel reato;
i) prevedere nell'emanando piano carceri il reclutamento straordinario di un adeguato contingente di polizia penitenziaria e del personale amministrativo mancante, nonché promuovere iniziative per l'incremento degli organici degli psicologi;
l) rilanciare il lavoro penitenziario attraverso appositi strumenti legislativi volti a promuoverne lo sviluppo e disciplinarne i contenuti e stimolare, attraverso l'amministrazione penitenziaria e la Cassa delle ammende, le necessarie iniziative volte a dare sviluppo alle esperienze più significative;
m) rilanciare l'attuazione delle misure alternative, anche attraverso interventi normativi;
n) evitare interventi sul sovraffollamento incentrati su provvedimenti di clemenza tout court, prediligendo le forme di probation e utilizzare la detenzione domiciliare in probation per le pene detentive brevi, prendendo spunto da esperienze di altri Paesi europei;
o) ad adottare iniziative in sede di Unione europea per la realizzazione di interventi normativi che prevedano il trasferimento dei detenuti nei Paesi di origine per l'esecuzione delle pene, e la destinazione di risorse alla questione penitenziaria, che risulta connessa all'ingente presenza di detenuti stranieri.
(1-00309)
(Testo modificato nel corso della seduta)«Vitali, Brigandì, Belcastro, Baldelli, Costa, Consolo, Contento, Ghedini, Mariarosaria Rossi, Sisto, Casinelli, D'Ippolito Vitale, Lehner, Lo Presti, Angela Napoli, Paniz, Papa, Pittelli, Scelli, Siliquini, Torrisi, Lussana, Follegot, Nicola Molteni, Paolini».
(11 gennaio 2010)

Ordine del giorno

ORDINE DEL GIORNO

La Camera,
viste le mozioni concernenti la situazione del sistema carcerario italiano;
premesso che:
uno dei principali riferimenti normativi per la disabilità in carcere è l'articolo 47-ter dell'ordinamento penitenziario, relativo alla detenzione domiciliare: in base al comma 3, «la pena della reclusione non superiore a quattro anni, anche se costituente parte residua di maggior pena, nonché la pena dell'arresto, possono essere espiate nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo pubblico di cura, assistenza o accoglienza, quando trattasi di persone in condizioni di salute particolarmente gravi, che richiedono costanti contatti con i presidi sanitari territoriali». È però necessaria la perizia di un medico che può essere smentita dal perito peritorum, cioè dal tribunale di sorveglianza. Un'altra norma di riferimento è quella che riguarda il differimento della pena, che però viene utilizzata soprattutto per le detenute incinte. Infine c'è l'articolo 11 dell'Ordinamento penitenziario, che contempla i casi in cui il detenuto entri sano e si ammali all'interno del carcere. In questa eventualità, il direttore, prima del magistrato, può disporre il ricovero in ospedale sulla base dell'articolo 11. Nei casi in cui la perizia medica evidenzia una disabilità che richiede un'assistenza specifica, i detenuti sono destinati in alcune strutture specifiche: ospedali psichiatrici giudiziari e alcune sezioni di osservazione per i detenuti con disabilità mentale; e le sezioni attrezzate per «disabili»;
non esiste un quadro chiaro di quanti siano esattamente i disabili detenuti nelle carceri italiane dal momento che non risulta esista un sistema di monitoraggio nazionale sulle condizioni di salute sui carcerati;
al momento risultano essere quattro, le sezioni attrezzate per i «minorati fisici», 143 posti in tutto, di cui molti ancora inagibili; sette risultano le sezioni per disabili motori, per un totale di -una trentina di posti;
spesso chi varca la soglia di un carcere, porta con sé gli esiti di un trauma o di una malattia che hanno ridotto le sue capacità motorie o mentali;
per quanto riguarda le disabilità fisiche, le strutture con sezioni attrezzate risultano essere a Brindisi, Castelfranco Emilia, Fossano, Parma, Perugia, Pescara, Ragusa, Turi, Udine; per quanto riguarda gli ospedali psichiatrici giudiziari, funzionanti, risultano essere sei per una capienza complessiva di 951 posti: Aversa, Barcellona Pozzo di Gotto, Castiglione Siviere, Montelupo Fiorentino, Napoli Sant'Eframo, Reggio Emilia;
è inaccettabile che vi siano meno di duecento posti riservati ai disabili fisici e disabili motori, che una quantità di detenuti con disabilità siano costretti a vivere in celle troppo strette, all'interno di istituti pieni di barriere architettoniche e affidati in molti casi solo all'assistenza di agenti della polizia penitenziaria e di compagni di cella,

impegna il Governo

a disporre con la massima urgenza un monitoraggio nazionale per accertare quanti siano i detenuti con disabilità fisiche e in quali carceri siano ristretti al fine di dotarsi di un sistema unitario di raccolta dati sull'indice della malattia c/o di disabilità in carcere.
9/1-00240/001. Farina Coscioni, Bernardini, Beltrandi, Mecacci, Maurizio Turco, Zamparutti.

MOZIONI GHIGLIA ED ALTRI N.1-00269, PIFFARI ED ALTRI N.1-00303, LIBÈ ED ALTRI N.1-00306 E MARGIOTTA ED ALTRI N.1-00310 CONCERNENTI INIZIATIVE PER LA RIDUZIONE DELLE EMISSIONI DI GAS-SERRA, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLO SVILUPPO DELLE RETI DI RICARICA DEI VEICOLI ELETTRICI SUL TERRITORIO NAZIONALE

Mozioni

La Camera,
premesso che:
ancora oggi, la strada rappresenta, nel nostro Paese, la forma di trasporto privilegiata rispetto alle altre modalità di trasporto. Basti pensare, infatti, che la quota del trasporto stradale, in Italia, è pari al 90 per cento della mobilità totale e che su questa percentuale incide in maniera elevata l'utilizzo dell'automobile privata;
negli ultimi anni, le città hanno registrato un aumento senza precedenti del traffico automobilistico, anche a causa della scarsa efficienza del settore del trasporto pubblico locale, con la grave conseguenza di un peggioramento dell'inquinamento ambientale e di un deterioramento della qualità della vita nelle aeree urbane;
l'Italia, nell'ambito della convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) del 1992 e del protocollo di Kyoto, adottato l'11 dicembre 1997 dalla terza conferenza Onu sul clima, ha assunto precisi impegni in termini di riduzione delle emissioni di gas-serra;
con la legge 1o giugno 2002, n. 120, di ratifica ed esecuzione del protocollo di Kyoto, l'Italia ha sottoscritto l'impegno di ridurre del 6,5 per cento - rispetto ai livelli del 1990 - le emissioni di gas serra nell'ambiente;
sulla base dei citati impegni assunti in sede internazionale, il Governo italiano ha adottato nel corso del tempo numerose iniziative legislative e diplomatiche finalizzate alla drastica riduzione delle emissioni di gas serra nell'ambiente;
rileva, in particolare, a questo proposito l'adesione dell'Italia nel dicembre 2008 al cosiddetto «pacchetto clima-energia», attraverso il quale l'Unione europea ha rafforzato la propria azione in tema di politiche ambientali ed energetiche, fissando quali obiettivi strategici - da conseguire entro il 2020 - la riduzione del 20 per cento delle emissioni di CO2, l'incremento dell'efficienza energetica del 20 per cento e l'aumento al 20 per cento della quota di energia prodotta da fonti rinnovabili (cosiddetto 20-20-20);
il percorso per raggiungere gli obiettivi prefissi non risulta agevole: il trasporto urbano, infatti, contribuisce in misura significativa alle emissioni complessive dei gas serra e, secondo quanto emerge nel piano nazionale per la riduzione delle emissioni di tali gas nel periodo 2003-2010, le sostanze responsabili dell'inquinamento atmosferico sono in continua crescita, tanto da ritenere che le emissioni dei gas responsabili dell'effetto serra da parte dei trasporti saranno nel 2010 superiori almeno dell'8 per cento rispetto ai livelli del 1990, anziché inferiori del 6,5 per cento secondo l'obiettivo prefissato dal Governo italiano;
soltanto l'innovazione tecnologica è in grado di fornire nel breve termine una risposta concreta ed efficace alla lotta contro l'inquinamento ambientale, aiutando lo Stato e gli enti locali a controllare e contenere l'emissione di sostanze inquinanti, nel rispetto degli standard comunitari ed internazionali;
a tale proposito, nel 2009, il ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si è fatto promotore dell'iniziativa di finanziare l'installazione di dispositivi per l'abbattimento delle emissioni di particolato dei gas di scarico su veicoli di classe euro 0, euro 1, euro 2 di proprietà di aziende che svolgono servizi di pubblica utilità e, attraverso i programmi di finanziamento di propria competenza (piano stralcio di tutela ambientale, domeniche ecologiche e interventi radicali), ha, negli anni passati, finanziato la realizzazione di colonnine di ricarica per veicoli elettrici in diversi comuni, tra cui Roma, Milano, Firenze, Bologna, Genova, Livorno, Lucca, Catania, Palermo, Torino, Pescara e Catanzaro;
i veicoli elettrici a batteria sono una soluzione tecnicamente disponibile, in grado di garantire risparmi energetici e riduzioni delle emissioni di polveri sottili nell'ambiente anche superiori al 50 per cento in rapporto ai veicoli equivalenti con motore endotermico e sono caratterizzati da emissioni locali ridotte se non del tutto nulle;
le nuove batterie al litio o al Na/NiCl (al sale fuso, ricaricabili) permettono di raggiungere autonomie di percorso tra i 150 e i 250 chilometri, che porterebbero questi veicoli ad aggiudicarsi il 20-35 per cento del mercato complessivo della mobilità su strada: tali prestazioni, infatti, sono perfettamente compatibili con le esigenze di una frazione significativa della mobilità pendolare, con le «seconde» vetture di famiglia e con gran parte dei veicoli leggeri per usi commerciali e aziendali;
una tale diffusione sul mercato porterebbe il prezzo dei veicoli a batteria a valori non molto superiori a quello dei veicoli convenzionali e la differenza di prezzo verrebbe compensata dal loro basso consumo di energia, che permetterebbe il recupero dell'extracosto in meno della metà della vita del veicolo, con un vantaggio economico netto sull'intero arco di vita dello stesso;
non ci sono - dunque - logiche economiche che possano frenare lo sviluppo delle auto elettriche, mentre è decisiva, come dimostrato dai falliti tentativi di elettrificazione dell'auto fatti negli anni ottanta, la realizzazione delle infrastrutture adeguate;
così come l'avvento della locomotiva a vapore ha richiesto la costruzione di ferrovie e la diffusione del motore a combustione interna ha richiesto strade, autostrade e distributori di benzina, l'affermazione dell'utilizzo dell'auto elettrica richiede lo sviluppo di infrastrutture per la ricarica dei veicoli e, soprattutto, la relativa standardizzazione dei sistemi di alimentazione, dal punto di vista delle variabili elettriche, tensione e corrente, e della frequenza, nonché la definizione di opportune norme di sicurezza;
la realizzazione di questi interventi infrastrutturali finalizzati all'eliminazione degli ostacoli alla diffusione della propulsione elettrica passa necessariamente attraverso l'azione coordinata e sinergica tra Stato, enti locali, industria, gestori delle reti stradali e degli spazi pubblici e privati dedicati ai parcheggi,

impegna il Governo:

ad adottare, nell'ambito delle proprie competenze e nel rispetto delle competenze attribuite alle regioni e agli enti locali dalla legislazione vigente, provvedimenti - anche di natura economica - finalizzati a:
a) creare un sistema di ricarica dei veicoli - a partire dalle aree urbane - applicabile estensivamente sia nell'ambito del trasporto privato che pubblico e che sia compatibile con quanto in fase di sviluppo in tutti i Paesi dell'Unione europea, al fine di garantire l'interoperabilità dei sistemi in ambito internazionale;
b) introdurre procedure di gestione del servizio di ricarica facendo leva sulle peculiarità e potenzialità dell'infrastruttura del contatore elettronico, con particolare attenzione:
1) all'assegnazione dei costi di ricarica al cliente che la effettua, identificandolo univocamente;
2) alla predisposizione di un sistema ad applicazioni tariffarie differenziate;
3) alla regolamentazione dei tempi e dei modi di ricarica, coniugando le esigenze dei clienti con l'ottimizzazione delle disponibilità di rete elettrica, assicurando la realizzazione di una soluzione compatibile con le regole del libero mercato che caratterizzano il settore elettrico;
c) dotare il ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare delle risorse necessarie per il cofinanziamento, fino ad un massimo del 50 per cento delle spese sostenute per l'acquisto e l'installazione degli impianti, dei progetti presentati dalle regioni e dagli enti locali relativi allo sviluppo di infrastrutture per la ricarica dei veicoli;
d) prevedere che il ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con i ministeri dello sviluppo economico e delle infrastrutture e dei trasporti predisponga le regole per garantire lo sviluppo unitario delle reti di ricarica sul territorio nazionale.
(1-00269)
(Nuova formulazione) «Ghiglia, Bocchino, Guido Dussin, Iannaccone, Garofalo, Tommaso Foti, Germanà, Pili, Vella, Gibiino, Di Cagno Abbrescia, Aracri, Rampelli, Scalera, Iannarilli, Scalia».
(11 novembre 2009)

La Camera,
premesso che:
i mezzi di trasporto privati sono i responsabili della maggior parte delle emissioni di CO2 nelle nostre città. Un recente rapporto dell'associazione «Amici della terra» ha denunciato come nel periodo compreso tra il 1990 e il 2006, in Europa, le emissioni di gas serra prodotte dai veicoli a motore sono aumentate del 25 per cento, e l'Italia è quella che presenta l'incremento percentuale maggiore;
la voce trasporto, di cui quello urbano compone una fetta molto significativa, rappresenta in Italia circa un terzo delle emissioni totali di gas-serra. Una quantità di veleni ancor più impressionante se si considera che per grossa parte viene prodotta e respirata nelle grandi città, ovvero le zone più densamente abitate del nostro Paese. Un problema questo che rende fondamentale il potenziamento del trasporto pubblico e la riduzione progressiva del trasporto privato e l'innovazione verso una mobilità alternativa, dal trasporto collettivo, a quello pedonale e ciclabile, a quello privilegiato per vetture elettriche o ibride, al fine di favorire il decongestionamento e la riduzione dei gas inquinanti nelle nostre città;
in assenza di provvedimenti adeguati, il traffico veicolare continuerà a contribuire notevolmente all'inquinamento atmosferico, rendendo sempre più difficile il raggiungimento degli obiettivi che l'Unione europea si è prefissata. Gli Stati membri dell'Unione europea, infatti, si sono impegnati a ridurre le emissioni di gas serra del 20 per cento entro il 2020;
per sensibilizzare l'opinione pubblica e i governi, dal 16 al 22 settembre 2009, per iniziativa del dipartimento all'ambiente della Commissione europea si è svolta in più di duemila città europee la sesta edizione della «settimana europea della mobilità sostenibile», al fine di sollecitare i comuni nello sforzo di creare sistemi di mobilità più efficienti, fondamentali tanto nella lotta all'inquinamento globale quanto nel migliorare la qualità della vita dei milioni di cittadini che vivono nelle città;
in occasione della suddetta manifestazione, il Commissario europeo per l'ambiente, Stavros Dimas, dichiarava: «Le automobili private sono tra le maggiori fonti di emissione dei gas serra che contribuiscono ai cambiamenti climatici e hanno anche un serio impatto sulla qualità della vita in città. Per questo è importante, per le autorità locali e i cittadini dell'Unione europea, adottare modalità di trasporto più sostenibili. Fare questa scelta aiuterebbe a ridurre l'impatto dei cambiamenti climatici e migliorerebbe le condizioni di vita nei nostri centri urbani»;
va purtroppo invece sottolineato, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, come non vi sia alcun incremento di risorse per migliorare le politiche di mobilità urbana, ma al contrario si assiste ad una sostanziale riduzione delle già scarse risorse, a disposizione della mobilità ecosostenibile;
con il decreto legge n. 5 del 2009, è stato infatti ridotto di 11 milioni di euro il Fondo per la mobilità sostenibile, istituito dall'articolo 1, comma 1121, della legge finanziaria per il 2007;
va ricordato che il Fondo per la mobilità sostenibile è strumento fondamentale per le politiche di mobilità urbana ecosostenibile. Il Fondo finanzia una serie d'interventi tra i quali: a) potenziamento ed aumento dell'efficienza dei mezzi pubblici, con particolare riguardo a quelli meno inquinanti e a favore dei comuni a maggiore crisi ambientale; b) incentivazione dell'intermodalità; c) valorizzazione degli strumenti del mobility management e del car sharing; d) riorganizzazione e razionalizzazione del settore di trasporto e consegna delle merci, attraverso la realizzazione di centri direzionali di smistamento che permetta una migliore organizzazione logistica, nonché il progressivo obbligo di utilizzo di veicoli a basso impatto ambientale; e) realizzazione e potenziamento della rete di distribuzione del gas metano, del gpl, dell'elettricità e dell'idrogeno; f) promozione di reti urbane di percorsi destinati alla mobilità ciclistica;
per quanto riguarda il trasporto pubblico nelle aree urbane più grandi, dove il problema della congestione e dell'inquinamento rappresenta una vera e propria emergenza quotidiana, è indispensabile indirizzarsi e procedere a un'incentivazione della mobilità pubblica, agendo in particolare a favore del suo svecchiamento introducendo autobus a metano ed elettrici;
per quanto concerne invece il trasporto privato, è altresì indispensabile favorire la diffusione e la commercializzazione delle auto elettriche e a metano, non solo con incentivi fiscali mirati, ma anche e soprattutto attraverso la realizzazione capillare sul territorio di reti di distribuzione (colonnine di ricarica e stazioni di rifornimento per il metano), attualmente praticamente inesistenti;
le vetture elettriche e a metano infatti, si vendono bene solo là dove c'è una sufficiente rete di rifornimento. Ci sono regioni, come la Campania, dove, per esempio, è presente una sola pompa di metano, mentre in Sardegna tali impianti sono totalmente assenti;
il Governo deve in questo ambito sostenere la crescita del settore dell'auto elettrica o comunque a ridottissimo impatto ambientale, come una concreta opportunità di crescita industriale, per una mobilità urbana alternativa agli attuali modelli alimentati da combustibili fossili;
il settore dell'auto e dei veicoli elettrici è in questo senso ormai maturo per una sua reale diffusione nel mercato. Le principali grandi marche di autovetture europee, Mercedes, Bmw, Citroen, per fare solo alcuni esempi, stanno lanciando nuovi modelli a emissioni zero. Altre industrie automobilistiche si stanno muovendo anche loro nella medesima direzione. Il futuro prossimo è di un'auto che si potrà ricaricare in 6-8 ore, con un'autonomia di oltre 130 chilometri, a fronte di una spesa di due o tre euro, con benefici altissimi in termini di riduzione dell'inquinamento atmosferico;
l'auto a trazione elettrica può quindi realmente fare da «apripista» verso nuovi scenari e una nuova era dell'automobile, con ricadute importanti e vantaggi non solo in termini di evidenti benefici ambientali ma anche in termini industriali e occupazionali;
l'ipotesi, a quanto pare allo studio da parte del Governo, di una possibile proroga degli incentivi auto in continuità con quanto già previsto dal decreto legge n. 5 del 2009, se confermata, deve in questo senso essere l'occasione per attivare interventi fiscali agevolativi mirati a favorire i mezzi di trasporto ad emissioni zero o a ridottissimo impatto ambientale, quali appunto le autovetture a metano, a trazione elettrica o ibrida, e parallelamente ad avviare la creazione delle conseguenti indispensabili infrastrutture relative alle reti di distribuzione;
parallelamente, andranno altresì incentivati gli acquisti di biciclette, biciclette a pedalata assistita, nonché di ciclomotori a trazione elettrica. Va ricordato in questo senso come il fondo finalizzato a finanziare i suddetti incentivi, a seguito dell'accordo siglato fra Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e Ancma (Associazione nazionale ciclo e motociclo accessori aderente a Confindustria), aveva consentito nella primavera del 2009 a circa 60 mila acquirenti di poter beneficiare dei medesimi incentivi,

impegna il Governo:

ad assumere iniziative per un incremento della dotazione del Fondo per la mobilità sostenibile, quale fondamentale strumento di finanziamento a disposizione delle grandi aree urbane per interventi finalizzati alla riduzione dell'inquinamento atmosferico e per lo sviluppo della mobilità urbana a minore impatto ambientale;
al fine di favorire lo sviluppo del mercato dei veicoli a propulsione elettrica, e nell'ambito delle proprie competenze e in coordinamento con gli enti locali, a prevedere le opportune risorse e iniziative volte alla realizzazione di una rete di punti di ricarica, quali premessa indispensabile per la crescita del medesimo mercato;
a dare un forte impulso, anche attraverso appositi accordi di programma con gli enti locali coinvolti e le associazioni e le categorie interessate, allo sviluppo della rete di distribuzione sul territorio nazionale di carburanti a minore impatto ambientale, con specifico riferimento al metano per autotrazione;
ad adottare le necessarie iniziative per il rifinanziamento del fondo messo a disposizione dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare finalizzato al contributo statale per l'acquisto di una nuova bicicletta, comprese quelle elettriche a pedalata assistita, nonché di ciclomotori euro 2 termici o elettrici;
a prevedere - con particolare riferimento alle aree urbane - interventi miranti ad incentivare il trasporto pubblico locale e una mobilità alternativa, anche attraverso la riproposizione di importanti strumenti che hanno mostrato in questi anni tutta la loro efficacia, quali il rimborso parziale dell'abbonamento al trasporto pubblico locale, e maggiori incentivi per la diffusione del servizio di condivisione degli autoveicoli (car-sharing).
(1-00303)
«Piffari, Scilipoti, Donadi, Borghesi, Evangelisti».
(11 gennaio 2010)

La Camera,
premesso che:
negli ultimi 19 anni si è avuto un forte incremento delle emissioni di CO2 provenienti da automezzi, ivi compresi i mezzi per il trasporto pubblico;
nonostante l'impegno delle amministrazioni locali in progetti di limitazione del traffico nelle aree urbane sensibili incentivando così l'utilizzo dei mezzi pubblici, il trasporto pubblico locale non riesce a rispondere in modo efficiente ai requisiti di mobilità sostenibile;
il traffico registrato nelle aree metropolitane ha subito un forte incremento negli ultimi anni con evidenti effetti negativi sulle emissioni nocive per la popolazione evidenziando così l'inefficacia delle azioni strategiche intraprese sia a livello nazionale che locale dalle amministrazioni;
secondo l'Eurostat, in Italia solo il 9,9 per cento dei prodotti viene trasportato per mezzo dei treni, rispetto all'11,8 per cento dell'Inghilterra, il 15,7 per cento della Francia e il 21,4 per cento della Germania. La media europea si attesta intorno al 17 per cento;
nel 2007 il traffico combinato si trovava agli stessi livelli del 2002; anche per gli ultimi due anni il trend è in calo. Mentre i binari movimentano una quantità di merce che a fatica raggiunge il 10 per cento, i trasporti via camion raggiungono quote del 60 per cento, secondo il Conto nazionale dei trasporti 2009. L'Eurostat, addirittura, rileva che i prodotti movimentati attraverso tir raggiungono il 90 per cento;
nel 2008 le aziende che producono automezzi hanno ridotto le emissioni di CO2 dei modelli complessivamente venduti sul mercato europeo del 3,3 per cento, portando la media di settore a 153,5 gCO2/km: un miglioramento notevole rispetto agli anni precedenti, secondo il Rapporto "Reducing CO2 Emissions from New Cars: A Study of Major Car Manufacturers" pubblicato da Transport and Environment;
complessivamente il trasporto su gomma contribuisce al 19 per cento del totale della CO2 emessa in Europa e rispetto al 1990, anno di riferimento per la riduzione di emissioni prevista dal protocollo di Kyoto, le emissioni provenienti da questo settore sono aumentate del 28 per cento;
i dati confermano come la riduzione delle emissioni di CO2 sia un obiettivo comune delle case automobilistiche europee, ma non bisogna dimenticare l'influenza che in questo settore hanno avuto l'aumento del prezzo del petrolio tra 2007 e 2008, e la crisi finanziaria, che hanno spinto verso l'economicità e l'efficienza di qualsiasi scelta produttiva e degli investimenti in ricerca e sviluppo;
è più che mai doveroso prevedere una politica coordinata in materia di trasporti e ambiente, che si basi su una più efficace ed efficiente qualità dell'offerta e una migliore cura nella comunicazione nei confronti del consumatore;
l'emergenza ambientale impone un forte impegno sulle politiche da adottare in tema di trasporto ferroviario delle merci, prendendo atto del fatto che la liberalizzazione non ha sviluppato un vero e proprio mercato dei servizi ferroviari e non ha neanche aumentato il volume delle merci trasportate;
negli ultimi anni le politiche a favore della modalità ferroviaria sono state inefficaci ed al limite dell'inesistente se paragonate alle politiche adottate da altri Paesi come la Francia, che sta investendo sul trasporto delle merci per ferrovia, a tal punto che alcuni treni Tgv sono stati appositamente adibiti per garantire alle derrate viaggi rapidi ed efficienti;
in Italia il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha delegato tutta la gestione dei trasporti alle Ferrovie, le quali tuttavia possiedono una percezione erronea dei treni merci, considerati un tipico esempio di inefficienza e di perdita economica. All'inizio del 2008 il Gruppo Ferrovie dello Stato ha creato con Poste Italiane una società, Italia Logistica, dedicata al trasporto merci su rotaia con consegna 'fino all'ultimo miglio', cioè direttamente al dettaglio e in modo capillare. La società, attiva su tutta la rete nazionale, opera con soltanto 12 treni la settimana per un totale di 7.200 tonnellate di prodotti;
nel nostro Paese la maggior parte delle aziende ferroviarie private, molte delle quali acquistate da grandi gruppi europei, concentrano la loro attività nelle regioni settentrionali, sulle direttrici nord-sud in quanto il quadro normativo comunitario ha reso possibile lo sviluppo di un mercato interno. Le differenze territoriali hanno favorito l'aumento del divario nell'offerta dei servizi di logistica tra le diverse aree territoriali in quanto si tratta ancora di un mercato non competitivo con la gomma, che attrae poco gli investimenti privati ed è ingessato da un contesto di servizi e infrastrutture insufficienti;
l'inefficienza dei trasporti pubblici rilevata soprattutto nelle grandi città, nonché il loro utilizzo di carburanti fossili, crea enormi problemi di congestione del traffico che influisce sulla qualità di vita e la salute dei cittadini, da una parte, ed evidenzia un enorme aumento dell'inquinamento da gas di scarico, dall'altro, in quanto incentiva i cittadini all'utilizzo dei mezzi di trasporto privati, con conseguente aumento delle emissioni di CO2 nell'atmosfera;
l'economia evidenzia un momento di profonda crisi in tutta Europa, con preoccupante calo della domanda, aumento della disoccupazione, tutti elementi che influenzano il crollo dei trasporti di tutte le modalità. Basti considerare che un recente studio dell'università di Karlsruhe evidenzia che più di 100 km di linea ferroviaria in Germania sono divenuti un parcheggio per i carri ferroviari non utilizzati;
non si può prescindere dalla inaccettabilità di prevedere il costo della congestione solo per una categoria di operatori che rappresenta il 15 per cento del circolante nelle strade europee, in quanto ogni costo aggiuntivo all'autotrasporto comporterà un inevitabile aumento del costo dei prodotti e non porterà effetti positivi sulla modifica del peso e dei volumi trasportati in assenza di alternative efficienti e valide all'autotrasporto,

impegna il Governo:

ad adottare, nell'ambito delle proprie competenze e nel rispetto delle competenze attribuite alle regioni ed agli enti locali dalla legislazione vigente, provvedimenti - anche di natura economica - finalizzati a:
a) sviluppare un sistema di sostegno finanziario alla ricerca ed allo sviluppo di nuove forme di alimentazione dei mezzi pubblici, siano esse elettriche o da biodiesel derivante dallo scarto agricolo;
b) avviare un piano di incentivi - finanziari o fiscali - per lo sviluppo di tutta la catena del valore per la produzione di mezzi per il trasporto pubblico e delle merci alimentati con sistemi a basso impatto ambientale al fine di creare una massa critica industriale nel nostro Paese che possa essere destinataria degli sforzi e degli impegni del Governo;
c) consentire, soprattutto nelle grandi aree metropolitane, iniziative volte a favorire lo sviluppo dei trasporti pubblici eco-sostenibili, in particolar modo quelli alimentati a biocarburanti, anche inserendoli in un contesto di piani di viabilità volti a disincentivare il traffico privato a vantaggio di quello pubblico e la ciclabilità;
d) introdurre un sistema di finanziamenti che permettano l'adeguamento e la progressiva sostituzione dei mezzi di trasporto con veicoli a basso impatto ambientale e che utilizzino combustibili alternativi ed a bassa produzione di CO2;
e) prevedere un piano nazionale di investimento in progetti di ricerca e sviluppo di soluzioni applicative che permettano la riduzione delle emissioni inquinanti nel settore dei trasporti;
f) scoraggiare l'utilizzo dei veicoli più inquinanti anche con incentivi di natura fiscale.
(1-00306)
Libè, Vietti, Mondello, Dionisi, Mereu, Compagnon, Volontè, Galletti, Ciccanti, Naro».
(11 gennaio 2010)

La Camera,
premesso che:
dal 7 al 18 dicembre 2009 a Copenaghen si è tenuta la Conferenza delle Parti (COP-15), che aveva l'obiettivo di raggiungere un nuovo accordo globale sul clima e di proseguire nel percorso della lotta ai cambiamenti climatici, avviato con il Protocollo di Kyoto;
il summit ci consegna un risultato che, pur considerato insufficiente per la mancanza di obiettivi concreti e misurabili, segna un percorso nuovo per la lotta ai cambiamenti climatici e per le politiche ambientali in generale con paesi come USA e Cina da sempre storicamente ai margini di questa discussione a livello mondiale oggi ne sono diventati i protagonisti;
Copenaghen non ha prodotto molte promesse ma tutti i maggiori paesi hanno posto limiti alle emissioni per il 2020 da quando i colloqui sono iniziati nel 2007 a Bali, in Indonesia;
l'Europa dovrà necessariamente mantenere il ruolo di leadership a livello internazionale sul problema dei cambiamenti climatici e, al di là dell'esito non confortante di Copenaghen, dovrà garantire il raggiungimento degli obiettivi fissati dal cosiddetto pacchetto-clima, che prevede la riduzione delle emissioni di gas serra del 20 per cento entro il 2020, l'innalzamento al 20 per cento della quota di energia prodotta con risorse rinnovabili e il miglioramento del 20 per cento dell'efficienza energetica;
l'impegno dell'Europa è confermato dalla continuità della propria azione: nel gennaio 2007 la Commissione europea ha promosso il Piano d'azione 2007-2009 (COM(2007)1 def.) in materia di politica energetica comunitaria, attraverso il quale si indicano le linee guida di una nuova politica energetica orientata a ridurre le emissioni in atmosfera e ricercare nuove forme di produzione energetica, quali in particolare l'efficientamento energetico, l'impiego dell'idrogeno, le fonti energetiche rinnovabili e le fonti nucleari; il 28 gennaio 2009 la Commissione europea ha pubblicato la comunicazione «Verso un accordo organico sui cambiamenti climatici a Copenaghen» (COM(2009)39 def.), che costituisce la prima concreta proposta di accordo da parte di un grande blocco nell'ambito del negoziato internazionale post-Kyoto; il 10 aprile 2009, la Commissione europea ha adottato il Libro bianco «L'adattamento ai cambiamenti climatici; verso un quadro d'azione europeo» (COM(2009) 147 def.), che illustra gli interventi necessari ad aumentare la resistenza dell'Unione europea nell'adattarsi ai mutamenti del clima;
risulta evidente che, al di là degli impegni assunti dai singoli stati al vertice di Copenaghen, è necessaria una piena assunzione di responsabilità da parte di tutti i paesi che abbiano la sensibilità e la consapevolezza della gravità del problema e già la Camera dei deputati, con l'approvazione delle mozioni 1-00065 del 27 novembre 2008 e 1-00122 del 24 febbraio 2009, aveva impegnato il Governo a realizzare iniziative per favorire uno sviluppo ambientale sostenibile, intervenendo nei settori della mobilità, dell'edilizia, dell'efficienza energetica, delle fonti rinnovabili e delle politiche per colmare i ritardi rispetto all'attuazione del Protocollo di Kyoto;
la crisi economica non può certo costituire un alibi per rinviare il momento in cui affrontare una simile emergenza ma, al contrario, deve rappresentare un'opportunità e uno stimolo per investire nella riconversione e modernizzazione in chiave ecologica delle scelte economiche, strategiche e produttive; a questo proposito giova ricordare che il Green Jobs Report, pubblicato dall'agenzia dell'United Nations Enviroment Development (UNEP) nel 2008, ha evidenziato come le nuove tecnologie energetiche, ad esempio le fonti rinnovabili, sono in grado di offrire elevati sviluppi produttivi ed occupazionali;
i primi passi di un percorso che punti a ridurre le emissioni di gas serra del nostro Paese sono stati mossi con l'adozione di alcune importanti misure, quali le agevolazioni per gli interventi di ristrutturazione energetica degli edifici, il sostegno alle energie rinnovabili, l'introduzione di norme per la riduzione dei rifiuti, ma è evidentemente necessario implementare ulteriormente l'impegno al fine di ottenere risultati apprezzabili;
in ambito urbano il settore che incide maggiormente sulle emissioni di gas serra e di sostanze inquinanti è quello del trasporto, sia di merci sia di persone, e il cui trend risulta essere in continua crescita;
i progressi tecnologici consentono ormai di puntare sulla mobilità mediante veicoli «a emissioni zero» e l'automobile elettrica è attualmente l'unica tecnologia che consente di raggiungere tale obiettivo in tempi relativamente brevi; l'87 per cento dei tragitti quotidiani in Europa corrisponde a meno di 60 chilometri e attualmente le auto elettriche con una ricarica possono raggiungere 150-200 chilometri di autonomia; ciò che manca sono le infrastrutture di ricarica, il miglioramento degli incentivi all'acquisto e politiche locali di mobilità elettrica;
appare necessario promuovere la creazione delle infrastrutture di servizio per le auto elettriche mediante incentivi agli enti locali e alle compagnie elettriche e mediante incentivi più consistenti per l'acquisto delle automobili elettriche da parte di soggetti pubblici e privati; per raggiungere l'obiettivo delle emissioni zero è necessario investire fortemente sulle fonti rinnovabili per alimentare le batterie delle automobili elettriche, puntando in particolare sull'eolico e sul solare fotovoltaico;
il motore elettrico, rispetto a quello termico, è di gran lunga più efficiente - 90 per cento a fronte del 30 per cento - ed è anche molto più silenzioso e, naturalmente, durante l'utilizzo non emette anidride carbonica (CO2), polveri sottili né altre sostanze inquinanti;
negli altri paesi industrializzati sono state avviate importanti politiche di incentivazione delle forme più sostenibili di mobilità:
gli Stati Uniti d'America hanno investito 24 miliardi di dollari nell'automobile elettrica;
il Regno Unito ha stanziato 250 milioni di sterline per promuovere il trasporto a basse emissioni, prevedendo un finanziamento agli automobilisti fino a 5.000 sterline per l'acquisto di automobili elettriche o ibride;
la Spagna ha stanziato 245 milioni di euro, con l'obiettivo di raggiungere quota 1 milione di automobili elettriche entro il 2014, grazie a un incentivo all'acquisto di 7.000 euro e all'installazione di un'infrastruttura di ricarica e di flotte elettriche a Madrid, Barcellona e Siviglia entro il 2010;
il Portogallo installerà 1.300 colonnine di ricarica in ventuno città entro il 2011, prevedendo anche l'esenzione dalla tassa di immatricolazione e di circolazione;
la Francia prevede un incentivo di 5.000 euro per le automobili elettriche e per i veicoli commerciali, oltre che contributi per l'acquisto di bus e di camion elettrici;
in Germania sono state introdotte una tassa di circolazione sull'inquinamento (2 euro per ogni grammo di CO2 emesso oltre la quota stabilita) e l'esenzione per cinque anni dalle tasse automobilistiche per le automobili elettriche,

impegna il Governo

a ribadire la volontà di implementare la propria azione per combattere i cambiamenti climatici, coerentemente con gli impegni assunti in ambito comunitario e a proporre una strategia ampia, coordinata e multisettoriale per ridurre in modo significativo ed efficace la produzione nazionale di gas serra attraverso politiche di mitigazione che conducano ad una riduzione delle emissioni ed anche decise e razionali azioni di adattamento al cambiamento climatico, che siano orientate a limitare i «danni» potenziali delle conseguenze di tale cambiamento e sfruttarne le opportunità;
a favorire quelle politiche pubbliche in grado di sviluppare nel nostro Paese la «green economy» attraverso una forte semplificazione amministrativa per le imprese ambientalmente sostenibili, un'adeguata politica di incentivi, compresi quelli fiscali, un controllo ambientale, garanzia di qualità e lo sviluppo di una ricerca avanzata che consenta un'innovazione continua dei processi produttivi;
a promuovere un piano di interventi che intervenga prioritariamente nel settore della mobilità, che costituisce una quota consistente delle emissioni di gas serra nel nostro Paese, attraverso le seguenti azioni:
sviluppo di meccanismi di disincentivazione del trasporto privato a vantaggio di quello pubblico, che promuovendo sistemi di mobilità alternativi, compresa la costruzione di infrastrutture idonee (tramvie, piste ciclabili);
avvio di investimenti mirati all'innovazione tecnologica per la diffusione di veicoli elettrici e ibridi;
realizzazione, da parte del Ministero dell'ambiente a fronte di uno scenario di possibile diffusione dell'auto elettrica, di una valutazione ambientale strategica atta ad assicurarne lo sviluppo in compatibilità con gli obiettivi nazionali in materia di fonti rinnovabili, clima ed efficienza energetica;
sviluppo di una rete diffusa di distribuzione - dotata di uno standard unico di riferimento per ciò che riguarda le prese elettriche, i voltaggi, la tensione e la fase e alimentata prevalentemente da fonti rinnovabili - destinata al rifornimento dei veicoli elettrici, ai sensi di quanto previsto dall'articolo 1, comma 1122, lettera g), della legge 27 dicembre 2006, n. 296 e contestuale incremento delle risorse del Fondo per la mobilità sostenibile;
incremento delle risorse del Fondo per la competitività e lo sviluppo di cui all'articolo 1, comma 841, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, per la realizzazione dei seguenti obiettivi:
incentivare lo sviluppo di impianti eolici e fotovoltaici destinati all'approvvigionamento della rete di distribuzione per i veicoli elettrici; consentire l'installazione di stazioni, colonnine e strutture di ricarica o di scambio delle batterie diffuse sul territorio regionale e nazionale; acquisto di flotte pubbliche e di autobus elettrici; realizzazione di parcheggi e strisce verdi gratuiti dotati di colonnine di rifornimento;
previsione di ulteriori agevolazioni per l'acquisto dei veicoli ad emissioni zero, nonché l'esenzione dal pagamento della tassa dì proprietà;
attuazione di politiche di mobility management e sostegno ai progetti di car sharing nelle aree urbane, le cui flotte dovranno preferibilmente essere costituite da veicoli ad emissioni zero, al fine di evitare l'accesso nelle aree più congestionate dei centri urbani di trasportatori occasionali in conto proprio;
revisione del sistema di aiuti ed incentivi alla rottamazione delle auto in modo che sia finalizzato ad un'effettiva riduzione dell'impatto ambientale del parco veicoli circolanti e per orientare ricerca ed innovazione su nuovi modelli a basse emissioni e bassi consumi, nuovi modi di propulsione;
avvio di una campagna di comunicazione ed informazione con l'obiettivo di sensibilizzare la popolazione sulla natura strategica delle politiche ambientali e sull'essenziale importanza dei comportamenti virtuosi individuali, tenendo conto del loro maggiore impatto nelle aree metropolitane.
(1-00310)
«Margiotta, Mariani, Zamparutti, Lulli, Realacci, Bocci, Braga, Bratti, Esposito, Ginoble, Iannuzzi, Marantelli, Martella, Morassut, Motta, Viola, Beltrandi, Bernardini, Farina Coscioni, Mecacci, Maurizio Turco».

DISEGNO DI LEGGE: CONVERSIONE IN LEGGE DEL DECRETO-LEGGE 29 DICEMBRE 2009, N. 193, RECANTE INTERVENTI URGENTI IN MATERIA DI FUNZIONALITÀ DEL SISTEMA GIUDIZIARIO (A.C. 3084)

A.C. 3084 - Questione pregiudiziale

QUESTIONE PREGIUDIZIALE

La Camera,
premesso che:
gli articoli 2 e 3 del decreto-legge all'esame introducono modifiche alla normativa vigente in materia di copertura delle cosiddette «sedi disagiate»;
non si discute della urgenza e della sempre più grave situazione di scopertura degli uffici giudiziari meno richiesti, specie delle procure meridionali e dove è più presente la criminalità organizzata; com'è noto infatti, numerose sedi giudiziarie, specialmente nei luoghi ove è importante mantenere efficiente il contrasto alla stessa, si trovano in condizione di non poter quasi più operare per carenza di personale di magistratura;
considerato il fallimento - annunciato dall'Italia dei Valori - della pseudo-strategia dell'incentivo economico, sarebbe ancor più necessaria una soluzione definitiva di tale annoso problema, che evidentemente non riveste più carattere straordinario, mediante l'adozione di modifiche normative finalizzate a disciplinare in modo organico la questione dell'assenza di magistrati nelle sedi giudiziarie per mancanza di aspiranti volontari, che sono evidentemente cresciute in maniera preoccupante (a dimostrazione del fallimento della politica governativa in proposito) se il provvedimento prevede un ampliamento del numero delle sedi annualmente individuabili come disagiate da parte del Consiglio superiore della magistratura (che potranno quindi arrivare fino a ottanta) nonché dei magistrati ivi destinabili (che potranno giungere fino a centocinquanta);
le modifiche introdotte prevedono la possibilità per il Consiglio superiore della magistratura di procedere al trasferimento d'ufficio di magistrati nelle sedi cosiddette «disagiate», in particolare consentendosi al Consiglio superiore della magistratura, nei casi in cui difettino aspiranti al trasferimento presso le sedi disagiate, di procedere al trasferimento d'ufficio di tutti i magistrati che abbiano conseguito la prima valutazione di professionalità da non oltre quattro anni ed altresì dei magistrati cosiddetti «ultradecennali»;
dalle modificazioni apportate deriva che gli articoli 2 e 3 del decreto legge all'esame violano la costituzione sotto molteplici profili;
si registra innanzitutto un contrasto con l'articolo 107 della Costituzione, secondo il quale i magistrati sono inamovibili. Come è noto, tale principio è stato formulato a garanzia dell'indipendenza del «magistrato» (quindi giudicanti e requirenti), ad evitare che un trasferimento d'ufficio possa essere disposto perché il magistrato è considerato scomodo e non malleabile o perché segue indagini sgradite o processi «sensibili». Il fatto che il potere di trasferimento sia attribuito al Consiglio Superiore della Magistratura non evita la censura di incostituzionalità, giacché anche l'organo di governo autonomo della magistratura è vincolato ai principi costituzionali, e la possibilità di disporre un trasferimento d'ufficio deve essere ancorata a criteri rigidi e rigorosi, data la delicatezza della materia che si porrebbe come deroga al principio costituzionale dell'inamovibilità. Al contrario, la disposizione che si censura consente il prelievo di magistrati da trasferire d'ufficio da un potenziale bacino talmente ampio (escludendosi solo coloro che non hanno ancora superato la prima valutazione di professionalità a seguito dei primi quattro anni) da far quasi sfociare la discrezionalità in arbitrio. Questa situazione, oltre che infrangere il disposto della prima parte dell'articolo 107 della Costituzione, produrrebbe certamente un enorme contenzioso, giacché i magistrati trasferiti potranno facilmente dimostrare che vi erano tanti altri magistrati nella loro situazione, che avrebbero quindi potuto essere trasferiti al pari o in vece loro, e che quindi il loro trasferimento è arbitrario. Inoltre, eventuali criteri stabiliti in sede applicativa dal Consiglio Superiore della Magistratura non potrebbero né evitare la censura di incostituzionalità (trattandosi di provvedimenti amministrativi che ricadrebbero nella sfera di censurabilità per contrasto con la Costituzione o con la legge, ai cui difetti non potrebbero comunque rimediare), né avere maggiore specificità di quanto non dica la legge che attribuisce il potere di trasferire, giacché il relativo atto amministrativo sarebbe censurabile insieme al provvedimento di trasferimento per violazione di legge o eccesso di potere;
un ulteriore profilo di incostituzionalità riguarda la violazione dell'articolo 3 per irragionevolezza. Infatti, per sopperire ad una carenza delle sedi disagiate se ne scoprono altre, con la conseguenza che le pratiche giudiziarie in corso di trattazione verrebbero lasciate dal magistrato trasferito e dovrebbero essere riprese da capo da un giudice nuovo (con antieconomico spreco di risorse), o lasciate da parte (con violazione del principio di uguaglianza in quanto le parti interessate subirebbero un danno rispetto ad altre i cui affari sono trattati da giudici non trasferiti), ovvero assegnate ad altro giudice dello stesso ufficio giudiziario (nel quale magari le cause o i processi sono assegnati per materia) che verrebbe gravato di un doppio ruolo, ancora una volta con danno delle altre parti i cui affari sono in trattazione presso il giudice sovraccaricato e che subirebbero, per tale ragione, un rallentamento. Dunque, nella ponderazione degli interessi non sarebbe affatto certo ed automatico che siano prevalenti quelli relativi alle sedi disagiate, anche alla luce della considerazione per la quale il risultato della copertura d'ufficio di tali sedi potrebbe essere effettuata senza controindicazioni rimuovendosi l'ostacolo all'assegnazione a quelle stesse sedi dei magistrati di prima nomina senza necessità di attendere la prima valutazione positiva di professionalità a seguito del primo quadriennio di attività. Si tratta, comunque, di magistrati vincitori di concorso con ammissione di secondo grado e già passati al vaglio del tirocinio. Ciò vale ancor più, contrariamente a quanto si pensi, per i magistrati da assegnare agli uffici del pubblico ministero, giacché la conformazione fortemente gerarchica di tale uffici fa sì che il procuratore capo possa selezionare gli affari da assegnare al neo sostituto e seguirne l'attività con particolare attenzione e con direttive stringenti, secondo i poteri ad esso conferiti dal vigente ordinamento giudiziario dopo la sua ultima riforma,
delibera
di non procedere all'esame dell'A.C. 3084.
n. 1. Palomba, Donadi.