XVI LEGISLATURA
TESTO AGGIORNATO AL 23 FEBBRAIO 2011
ATTI DI INDIRIZZO
Mozione:
La Camera,
premesso che:
la crisi in atto nella Repubblica Democratica del Congo (RDC), desta sempre più preoccupazione poiché lì si sta sviluppando una nuova fase del conflitto regionale in atto da quindici anni, un conflitto di ordine economico (sfruttamento illegale delle risorse minerarie) e geostrategico (un Kivu sempre più dipendente politicamente e militarmente dal Rwanda);
attualmente il conflitto oppone, secondo le fonti ufficiali: le Forze democratiche di liberazione del Rwanda (FDLR), Hutu rwandesi fuggiti dal Rwanda in seguito agli avvenimenti rwandesi di aprile-giugno 1994, (la loro presenza nel Kivu è sempre stata usata dall'attuale regime rwandese a connotazione tutsi come pretesto per invadere militarmente il Kivu, inviando le sue proprie truppe nel 1996-1997, nel 1998-2003 e, ultimamente, nel febbraio 2009, in occasione dell'operazione militare Umoja wetu contro le FDLR); le forze armate della RDC (FARDC), l'esercito congolese che ha intrapreso delle operazioni militari (Kimya II, da aprile a dicembre 2009 e Amani leo, da gennaio 2010) per il disarmo e il rimpatrio forzato delle FDLR; c'è da notare che le truppe dell'esercito congolese impegnate in dette operazioni sono quelle del Congresso nazionale per la difesa del popolo (CNDP di Laurent Nkunda), integrate nell'esercito nazionale in seguito agli accordi di Goma firmati nel marzo 2009. Sebbene la base di questo ex movimento ribelle congolese (ora diventato partito politico) abbia una connotazione plurietnica, i suoi responsabili politici e militari sono tuttavia di estrazione quasi esclusivamente tutsi;
come i movimenti ribelli del passato, l'AFDL e il RCD, anche il CNDP è appoggiato, militarmente, politicamente e economicamente, dal Rwanda;
come è ormai evidente, il conflitto del Kivu è un conflitto prettamente rwandese esportato e combattuto su suolo congolese. Le due parti in causa lo dimostrano: da una parte, le FDLR (che sono essenzialmente un pretesto nelle mani di Kigali per controllare il Kivu) e, dall'altra, l'attuale regime rwandese che agisce attraverso gruppi armati congolesi erroneamente denominati ribelli. Il conflitto assicura al regime rwandese di avere una propria presenza nel Kivu permettendogli di controllarlo militarmente e politicamente e di conseguire grandi vantaggi economici mediante lo sfruttamento illegale delle risorse minerarie esportate dal Kivu stesso verso l'occidente via Rwanda; il commercio minerario illegale nella RDC, tra l'altro, consente a molti attori di continuare a comprare minerali dai settori controllati dai gruppi ribelli, finanziando così tali stessi gruppi, il che contribuisce ad alimentare e inasprire il conflitto;
si teme che l'attuale conflitto, che colpisce non solo il Nord Kivu, ma anche il Sud Kivu e il Maniema, possa estendersi a tutta la regione dei Grandi Laghi, poiché già, nel nord-est del Paese, dove si incontrano le frontiere di Uganda Sudan e Congo, il Lord resistance army, letteralmente Esercito di liberazione del signore, un gruppo di ribelli ugandesi famoso per la sua ferocia, sta massacrando senza pietà e apparentemente senza motivo la popolazione del Congo;
come denunciato dall'organizzazione umanitaria «Medici senza frontiere», nel suo rapporto annuale, la tragedia del Congo ha il triste primato di una delle crisi più ignorate del globo, di fronte alla quale la comunità internazionale appare impotente;
dal 1994, anno in cui due milioni di rifugiati arrivarono nel Kivu, in seguito ai massacri perpetrati in Rwanda, tragedia che ha segnato l'inizio dell'attuale conflitto
del Kivu. In questa tragedia ha giocato un ruolo importante il fattore etnico Hutu-Tutsi, perché tale elemento è stato strumentalizzato a fini politici, militari, economici e geostrategici;
la regione vive in stato d'emergenza e di guerra, ovvero da quando furono massacrate fra 800.000 e 1.100.000 persone, nella maggior parte di etnia Tutsi (Watussi), una minoranza rispetto agli Hutu, gruppo etnico maggioritario a cui facevano capo ai gruppi paramilitari responsabili dell'eccidio: Interahamwe, Impuzamugambi e gli Inkotanyi;
il secondo conflitto congolese è quello del 1998-2003, al tempo del RCD, movimento cosiddetto ribelle creato e sostenuto dal Rwanda. Al RCD è subentrato poi il CNDP di Laurent Nkunda, sempre appoggiato dal Rwanda, come dimostrato dal rapporto del gruppo degli esperti dell'Onu per la RDCongo e pubblicato in dicembre 2008 ma reso pubblico all'inizio del mese di dicembre 2009;
il New York Times, nel novembre 2009, ha pubblicato stralci di un rapporto riservato redatto da un gruppo di esperti Onu nel quale si accerta il fallimento della missione delle Nazioni unite nella Repubblica Democratica del Congo (Monuc) e dal quale si apprende che venticinquemila caschi blu ingaggiati per le operazioni di peacekeeping non sono riusciti a bloccare una rete criminale molto ampia gestita dalle Forze democratiche per la liberazione del Ruanda (FDLR) ma anche da membri del CNDP, dell'esercito congolese, della classe politica congolese e rwandese, di multinazionali e Governi occidentali, commercianti e uomini d'affari, tutti implicati in diversi modi, nel commercio illegale delle risorse minerarie del Kivu e nel traffico clandestino delle armi;
durante l'ultima Conferenza episcopale dei vescovi dell'Africa monsignor Edward Hiiboro Kussala, vescovo di Tombura-Yambio, ha chiesto che l'Europa e tutta la comunità internazionale guardino con più attenzione al suo Paese, intervenendo per porre fine a una situazione di massacri quotidiani nei confronti dei cristiani che vivono in Africa;
il 1o gennaio 2010, i missionari della rete pace per il Congo hanno fatto pervenire una lettera al Presidente degli Stati Uniti nella quale viene chiesto, tra l'altro: uno sforzo affinché cessi il sostegno americano ai regimi ugandese e ruandese, condizionando l'aiuto a una vera apertura democratica e al rispetto dei diritti economici, politici e territoriali dei Paesi della regione, prevedendo anche eventuali sanzioni e che la politica riprenda il suo ruolo nei confronti dell'economia e alle multinazionali venga chiesto conto della correttezza del loro agire in Paesi terzi, in particolare, che venga utilizzato lo strumento della tracciabilità delle materie prime esportate e vengano previste sanzioni adeguate;
nonostante la presenza delle forze internazionali (Monuc) la popolazione è presa in ostaggio ed è sotto choc. Alla lunga serie di massacri, stupri, incendi di villaggi, sequestri, furti, saccheggi di cui è vittima, si aggiunge la destabilizzazione organizzata delle forze vive della società, delle comunità religiose, la repressione di giornalisti, sindacalisti e operatori sociali. Il rapporto di Medici senza frontiere prova che il Kivu è abbandonato ai predatori e che la guerra è anzitutto «la guerra per il controllo dei minerali»;
infatti, la causa principale del conflitto nell'est della Repubblica Democratica del Congo è certamente lo sfruttamento illegale delle sue risorse minerarie (Coltan, cassiterite, oro, e altro) da parte delle multinazionali (europee, americane, canadesi e orientali) che controllano i siti minerari, attraverso gruppi armati (Forze democratiche di liberazione del Rwanda (FDLR), il Congresso nazionale per la difesa del Popolo (CNDP), i combattenti Mai Mai e lo stesso esercito nazionale (FARDC) e mafiosi che si autofinanziano mediante il commercio illegale dei minerali in cambio di armi e dollari;
occorrerebbe una regolarizzazione del mercato delle risorse minerarie, in
modo da impedire che i gruppi armati si finanzino attraverso di esso e quindi introdurre un sistema di certificazione di origine dei minerali (miniera - intermediari - commercianti - esportatori - raffinatori - industrie tecnologiche occidentali), per poter evitare l'importazione di minerali prodotti da gruppi armati;
il ruolo svolto dall'Unione Africana nella ricerca di soluzioni alla crisi della Regione dei grandi laghi africani è stato minimo;
il ruolo maggiore è stato svolto dall'Onu e dalla comunità internazionale, ma con risultati scarsi e deludenti. Queste ultime due entità non sono state efficaci, perché hanno difeso prima di tutto i propri interessi politici e economici nella regione e, in secondo luogo, perché vittime di un «complesso di colpa» nei confronti del Rwanda, per non avere non solo impedito, ma nemmeno fermato il genocidio del 1994. Fu proprio all'inizio del genocidio che il Consiglio di sicurezza dell'Onu decise di ridurre drasticamente gli effettivi militari della missione Minuar;
attualmente lo stallo internazionale, che coinvolge l'Onu e la Comunità internazionale, è anche dovuto al fatto che il vigente regime rwandese mantiene ben salda la conduzione dei giochi costringendo di fatto varie nazioni a non poter prendere nessun provvedimento nei confronti del Rwanda, perché Paul Kagame potrebbe reagire mettendo in causa i principali protagonisti del dramma rwandese del 1994: il Segretario generale dell'Onu, il responsabile delle operazioni di pace, il comandante militare della Minuar, l'Amministrazione degli Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Francia, Belgio;
l'attivismo dimostrato in Africa centrale da Francia e Gran Bretagna, con varie promesse di aiuti umanitari, non risulta abbia prodotto vere e concrete iniziative per promuovere missioni umanitarie e di soccorso, per la gestione della crisi con mezzi militari e civili;
al momento, contro quella che è considerata la catastrofe umanitaria «peggiore mai vista in Africa», l'Unione europea non si è ancora assunta la responsabilità di mandare un contingente di pace, preferendo l'azione diplomatica;
Amnesty International ha chiesto da tempo un impegno più forte del Consiglio di sicurezza Onu per porre fine alle violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario nella Repubblica Democratica del Congo;
bisogna ricordare che il presidente congolese, Joseph Kabila, ha ultimamente chiesto che per la missione Monuc si preveda un suo ritiro progressivo entro il 30 giugno 2010, lasciando supporre che questa non resterà nella Repubblica democratica del Congo ancora a lungo;
è il Parlamento europeo ha recentemente approvato una risoluzione (17 dicembre 2009) sulla violenza nella Repubblica democratica del Congo,
impegna il Governo:
ad attivarsi in prima linea, di concerto con i partners europei, per sostenere l'importanza della presenza della missione MONUC che rimane necessaria, perché sia fatto tutto il possibile per consentirle di svolgere pienamente il proprio mandato al fine di proteggere le persone minacciate e per favorire ogni sforzo diplomatico indispensabile per rispondere alla violenza con la diplomazia e l'invito al dialogo, sollecitandone la ripresa, posto che proprio la diplomazia e il dialogo hanno portato all'istituzione del programma Amani per la sicurezza, la pacificazione, la stabilizzazione e la ricostruzione del Nord e del Sud Kivu;
a intraprendere ogni azione utile affinché il Consiglio di sicurezza adotti tutte le misure possibili necessarie per rendere più efficace il lavoro della missione Monuc nella difesa dei civili e per fare in modo che il suo mandato e le sue regole d'ingaggio possano essere applicati con determinazione e su base permanente al fine di garantire più efficacemente la sicurezza della popolazione - senza sostenere in
alcun modo le unità congolesi che non rispettano i diritti umani - compreso il personale umanitario;
a favorire e sostenere, con il coinvolgimento delle istituzioni europee, soluzioni di carattere politico in quell'area nella direzione della ricerca della verità su ciò che è accaduto nel passato e su ciò che sta accadendo nel presente, nella lotta contro l'impunità di cui usufruiscono attualmente gli autori di crimini di guerra e di crimini contro l'umanità, affinché sia resa giustizia alle vittime.
(1-00327)
«Leoluca Orlando, Donadi, Evangelisti, Di Stanislao, Borghesi».
Risoluzione in Commissione:
La VIII Commissione,
premesso che:
si è recentemente svolta una missione della Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera presso l'Isola del Giglio tendente ad approfondire e a valutare la particolare situazione dell'Isola, in special modo per quanto attiene alla fruizione turistica delle sue bellezze naturali che rappresentano di gran lunga la maggior risorsa economica ed occupazionale per quel territorio ed i suoi abitanti;
nel corso della suddetta missione si sono tenuti incontri sia in sede istituzionale che aperti al pubblico, che hanno evidenziato accesa preoccupazione per l'eventuale istituzione di un'area marina protetta, percepita come portatrice di vincoli talmente restrittivi alle attività economiche e al tradizionale stile di vita delle comunità isolane da rappresentare uno dei più gravi rischi di impoverimento materiale e culturale di tali comunità, suscettibile di condurre ad un rapido e progressivo spopolamento delle piccole isole dell'arcipelago;
il consiglio comunale dell'Isola del Giglio, ove dalle elezioni amministrative di giugno 2009 è presente una maggioranza politica differente dalla precedente, non ha reiterato la richiesta effettuata nella consiliatura precedente di istituire un'area marina protetta intorno al proprio territorio, ma al contrario, con la delibera del 4 agosto 2009, ha espressamente chiesto di interrompere tale processo istitutivo;
la già esistente non omogenea zonizzazione dell'area, ove vigono aree sottoposte a differenti regimi vincolistici (isola di Giannutri, sottoposta a riserva integrale, ai sensi dell'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1996), crea indubbie difficoltà alle comunità e all'amministrazione locale, che chiede insistentemente, nell'ambito di una riflessione globale in materia di aree protette, di procedere al ripensamento dei citati e complessi sistemi di zonizzazione;
anche sulla base delle indicazioni programmatiche fornite dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare onorevole Stefania Prestigiacomo ad inizio della XVI legislatura nel corso della audizione in Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera tenutasi il 1o luglio 2008, occorre valutare l'opportunità di rivedere le disposizioni concernenti l'istituzione, la gestione e il funzionamento degli enti parco, delle aree naturali protette, delle aree marine protette e delle riserve naturali, con particolare riguardo alle isole minori, strutturalmente e naturalmente svantaggiate, anche dal punto di vista della continuità territoriale,
impegna il Governo:
a sospendere l'applicazione di ogni provvedimento di competenza relativo all'introduzione di particolari e ulteriori regimi vincolistici nell'area marina circostante le isole dell'arcipelago Toscano ed in particolare del Giglio e di Giannutri, almeno fino a quando non sia stata valutata la possibilità di modifica della normativa vigente, e, nel caso fosse individuata l'opportunità di procedere a
modifiche o revisioni normative, fino a quando non siano state definite le nuove norme;
ad attivarsi affinché siano rimossi tutti gli ostacoli di tipo amministrativo e gestionale che interferiscano o rendano più difficoltoso lo sviluppo di una moderna offerta turistica e la valorizzazione delle attività sociali ed economiche nelle aree di cui in premessa attraverso la modernizzazione del quadro normativo vigente e per far sì che le attività di governo, a tutti i livelli, siano sempre più chiaramente improntate ad una più ampia fruizione delle bellezze naturalistiche e ad un più profondo rispetto dell'identità culturale e della volontà delle comunità locali.
(7-00263) «Bonciani, Carlucci».
...
ATTI DI CONTROLLO
PRESIDENZA
DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Interrogazioni a risposta scritta:
DI STANISLAO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
il 25 giugno 2008 la Commissione europea ha adottato la comunicazione: «Una corsia preferenziale per la piccola impresa - alla ricerca di un nuovo quadro fondamentale per la piccola impresa (uno "Small Business Act" per l'Europa»);
lo Small Business Act (SBA) mira a migliorare l'approccio politico e globale allo spirito imprenditoriale, ad ancorare irreversibilmente il principio «pensare anzitutto in piccolo» nei processi decisionali - dalla formulazione di norme al pubblico servizio - e a promuovere la crescita delle piccole e medie imprese aiutandole ad affrontare i problemi che continuano ad ostacolarne lo sviluppo;
lo Small Business Act crea un nuovo contesto politico che inquadra gli attuali strumenti della politica d'impresa e si fonda, in particolare, sulla Carta europea per le piccole imprese e la politica moderna a favore delle piccole e medie imprese;
si sottolinea la volontà di riconoscere il ruolo centrale delle piccole e medie imprese nell'economia europea e di attivare un quadro politico articolato, a livello dell'Unione europea e di singolo Stato membro attraverso 10 principi:
a) imprenditorialità: facilitare un contesto gratificante per gli operatori. Vista la piccola dimensione di molte imprese italiane occorre sviluppare la cultura di operare in rete. Uno strumento molto efficace è il «contratto di rete». È necessario rafforzare il trasferimento d'impresa;
b) seconda possibilità per gli imprenditori onesti che abbiano sperimentato l'insolvenza. Il fallimento va considerato non come una sanzione sociale ma frutto di scelte imprenditoriali sbagliate. La riforma della legge fallimentare si ispira a questo concetto. Bisogna dare la possibilità di partecipare alle gare pubbliche agli imprenditori che optano per il concordato preventivo con continuazione dell'attività;
c) pensare anzitutto in piccolo. La produzione normativa va valutata sulla base delle esigenze dei piccoli e medi imprenditori. Per i testi normativi destinati ad avere riflessi sulle imprese vanno consultate preventivamente le associazioni che rappresentano le piccole e medie imprese;
d) amministrazione ricettiva: rendere le pubbliche amministrazioni permeabili alle esigenze delle piccole e medie imprese. Ridurre il livello delle spese e delle commissioni richieste dalla pubblica amministrazione per registrare un'impresa; ridurre a meno di una settimana il
tempo necessario per fondare un'impresa, a un mese quello per il rilascio di licenze e permessi necessari all'avvio dell'attività;
e) appalti pubblici e aiuti: facilitare la partecipazione delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici e migliorare la possibilità degli aiuti di Stato. Va facilitato l'accesso delle piccole e medie imprese negli appalti pubblici creando migliori condizioni nell'ambito della normativa nazionale. Occorre avvalersi degli strumenti telematici di gestione degli appalti pubblici, attraverso i quali le piccole e medie imprese potranno proporre i propri servizi minimizzando i costi;
f) finanza: agevolare l'accesso delle piccole e medie imprese al credito e la puntualità dei pagamenti nelle transazioni commerciali. Il fondo di garanzia per le piccole e medie imprese deve diventare un'infrastruttura di sistema. Per i pagamenti della pubblica amministrazione va verificato che le misure adottate siano efficaci e, in caso contrario, vanno attuati interventi migliorativi;
g) mercato unico: una «mano» alle piccole e medie imprese per beneficiare delle opportunità offerte dal mercato unico. Facilitare l'accesso delle piccole e medie imprese ai brevetti e ai modelli depositati e al sistema del marchio comunitario;
h) competenze e innovazione: aggiornare e implementare le competenze nelle piccole e medie imprese e ogni forma di innovazione. Vanno previsti strumenti automatici di agevolazione alla ricerca e all'innovazione e introdotti crediti d'imposta per le reti di impresa;
i) ambiente: trasformare le sfide in opportunità per le piccole e medie imprese. Va favorita l'effettiva liberalizzazione dei mercati, introducendo il principio di separazione proprietaria tra chi gestisce le infrastrutture e gli operatori;
l) internazionalizzazione: incoraggiare e sostenere le piccole e medie imprese affinché beneficino della crescita dei mercati. Sostegno con incentivi alle imprese che assumono personale specializzato in commercio internazionale;
il 27 novembre 2009, ovvero 1 anno e 5 mesi dopo, durante il Consiglio dei ministri, il Presidente del Consiglio ha illustrato una sua direttiva che dà attuazione ai principi previsti dalla comunicazione della Commissione dell'Unione europea;
i passaggi successivi sono l'esame della Conferenza unificata Stato-regioni-enti locali per arrivare poi alla definitiva approvazione del Consiglio dei ministri;
è da tener presente che si è di fronte ad una crisi che nei prossimi 10 anni potrebbe costringere circa 6 milioni di piccoli imprenditori a livello europeo a lasciare l'attività;
l'azione del Governo, pertanto, d'ora in poi dovrà essere concreta, diretta ed efficace -:
se il Governo intenda chiarire i tempi, modi e risorse relativi all'adozione della direttiva volta a dare attuazione alla comunicazione della Commissione europea;
se il Governo intenda esporre, qualora ci fosse, un effettivo piano programmatico per attuare i dieci punti dello Small Business Act e quali iniziative intenda avviare nell'immediato per il rilancio delle piccole e medie imprese.
(4-06061)
MAURIZIO TURCO, FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
il punto 10 dell'articolo 19 della legge 28 dicembre 2005, n. 262 - Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari (in Gazzetta Ufficiale 28 dicembre 2005, n. 301 - Supplemento Ordinario n. 208) recita che «Con regolamento da adottare ai sensi dell'articolo
17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, è ridefinito l'assetto proprietario della Banca d'Italia, e sono disciplinate le modalità di trasferimento, entro tre anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, delle quote di partecipazione al capitale della Banca d'Italia in possesso di soggetti diversi dallo Stato o da altri enti pubblici»;
la Banca d'Italia è parte integrante del sistema europeo di banche centrali ed agisce secondo gli indirizzi e le istruzioni della Banca centrale europea -:
se sia stato adottato il regolamento per ridefinire l'assetto proprietario della Banca d'Italia o per disciplinare le modalità di trasferimento delle quote di partecipazione al capitale della Banca d'Italia in possesso di soggetti diversi dallo Stato o da altri enti pubblici;
se e quante quote e da parte di quali soggetti diversi dallo Stato o da altri enti pubblici siano state trasferite entro il 28 dicembre 2008;
qualora ciò non fosse stato realizzato, se la Commissione europea o la Banca Centrale europea abbiano aperto procedure nei confronti dell'Italia.
(4-06064)
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AFFARI ESTERI
Interrogazione a risposta scritta:
RAZZI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
nella circoscrizione consolare di Losanna risiedono circa 60.000 italiani;
il consolato d'Italia a Losanna è tra le rappresentanze diplomatico consolari per le quali è prevista la chiusura entro il 2012;
presso detto consolato prestano servizio otto unità di personale non diplomatico di ruolo del Ministero degli affari esteri, nonché cinque unità di personale a contratto;
negli ultimi mesi l'attività di detta sede ha subito notevoli rallentamenti, dovuti anche a quello che all'interrogante appare una discutibile distribuzione dei carichi di lavoro al personale da parte del consolato;
l'orario di apertura al pubblico di detta sede è stato disatteso non rispettando l'accordo sindacale sull'orario di lavoro;
difatti è stato anticipato l'orario d'apertura della sede, lasciandola aperta tutte le mattine, un solo pomeriggio a settimana, ed il sabato mattina, giorno, quest'ultimo, in cui la sede romana del Ministero è chiusa ed è pertanto impossibile per il personale del consolato contattare la sede ministeriale per le necessità ordinarie;
vi era da parte di tutto il personale del consolato la volontà e la disponibilità a garantire la presenza in sede di almeno tre pomeriggi a settimana, a fronte della chiusura della sede il sabato mattina, di fatto inutile per i menzionati motivi; ciò avrebbe garantito alla comunità italiana una maggiore possibilità di avvalersi dei servizi del consolato;
nonostante quanto suesposto e nonostante l'impegno del personale nulla è stato fatto per fronteggiare una situazione che ha appannato ed offuscato l'immagine dell'Italia in Svizzera -:
come mai il consolato di Losanna, nonostante la situazione rappresentata, abbia assunto le decisioni riportate in premessa, con i conseguenti citati disservizi per la comunità italiana residente nel circondario di Losanna;
se tale atteggiamento abbia avuto una qualche rilevanza sulla decisione del Ministero degli affari esteri di prevedere la chiusura della citata rappresentanza;
come mai per un circondario consolare quale quello del consolato di Losanna
che serve circa 60.000 connazionali sia stata prevista la chiusura, contrariamente ai consolati d'Italia a Neuchatel e a Wettingen che resteranno aperti, pur servendo un bacino di utenti di circa 20.000 connazionali ciascuno.
(4-06060)
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AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE
Interrogazione a risposta scritta:
ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
da qualche tempo le industrie del caffè stanno procedendo, con budget pubblicitari consistenti, ad una integrazione verticale della propria attività, nel senso di sostituirsi all'attività dei bar e degli altri luoghi di ristorazione, offrendo macchine che permettono di prepararsi un caffè «espresso come al bar»;
quasi ogni industria oltre una certa dimensione ha posto in vendita macchine alimentate ad energia elettrica, che tramite un «cialda» preconfezionata e predosata sono in grado di ottenere un prodotto di qualità;
questo modello di integrazione ha però i seguenti effetti: da un lato ciascuna ditta ha predisposto il suo modello di macchina nella quale è inseribile solo il tipo di cialda ad essa associata, questo per impedire che il cliente, una volta acquistata la macchina, possa cambiare marca di caffè; dall'altro, la cialda, del peso tra i 10 ed i 20 grammi, è per un terzo fatta di plastica forata, con all'interno il caffè;
da quanto descritto derivano due conseguenze negative per i consumatori e per l'ambiente; i primi infatti si trovano a pagare il caffè a prezzi triplicati (da 10 euro sfuso ad oltre 30 se confezionato in cialde), né possono agevolmente cambiare marca;
per quel che riguarda l'impatto ambientale, si è reso inquinante un prodotto, il caffè usato, che poteva essere tranquillamente smaltito nell'umido, mentre ora è avvolto da una capsula di plastica resistente, che può solo essere avviata a termovalorizzazione, essendo assai complesso il riciclaggio;
pertanto, a giudizio degli interroganti, ci si muove in senso contrario alla normativa europea sui rifiuti, la direttiva quadro 2008/98/CE del 22 novembre 1998 prevede un preciso ordine di priorità: prevenzione - riduzione; riutilizzo, riciclo, recupero, (incluso il recupero energetico), e infine smaltimento in discariche sicure. La priorità assoluta e dunque la riduzione dei rifiuti;
appare improbabile, ad avviso degli interroganti, che il Ministro interrogato sia in grado di fermare l'incremento dell'apporto in discarica costituito da milioni di cialde in plastica di caffè; tuttavia potrebbe, nell'ambito dei fondi propri, destinati alla comunicazione istituzionale, avvertire i cittadini che il prodotto in questione inquina assai più di quanto non facesse prima, che a fronte di ciò essi pagano il prodotto il triplo rispetto a prima e che, se proprio intendono farsi un caffè espresso in casa, esistono macchine apposite con dosatore a mano, che consente anche di cambiare marca quando vogliono;
tuttavia agli interroganti appare estremamente difficile che il Governo possa dare attuazione a queste iniziative considerate le pressioni delle grandi imprese che operano a livello mondiale -:
se il Ministro interrogato intenda valutare la possibilità di emanare linee guida nazionali per la riduzione dei rifiuti alla fonte;
se il Ministro intenda promuovere specifiche campagne di informazione nei confronti dei consumatori.
(4-06066)
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DIFESA
Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
IV Commissione:
FAVA e GIDONI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
da nove anni i Governi che si sono succeduti hanno rispettato le disposizioni della Risoluzione n. 7-01007, cosiddetta Ruffino dal nome del parlamentare che la promosse, approvata in sede di Commissione difesa il 16 gennaio 2001;
la predetta risoluzione indica un percorso preciso per i casi in cui si desideri avviare una missione militare all'estero;
tale iter prevede, in particolare, non solo l'informativa preliminare al Capo dello Stato ma, altresì, la consultazione preventiva del Parlamento, anche in sede di Commissione e persino limitatamente ad una Camera, al fine di constatare l'esistenza di una maggioranza disposta a sostenerne l'avvio;
ciò malgrado, senza aver esperito nessuno dei passaggi anzidetti, il Governo ha dato inizio, disponendo la partenza della portaerei Cavour verso il Brasile, ad un nuovo intervento, sia pure dettato da nobili finalità umanitarie, che è già in corso ad Haiti;
il Governo avrebbe altresì deciso di inviare sul suolo haitiano anche un significativo contingente terrestre di Carabinieri, quale parte di un intervento della gendarmeria dell'Unione Europea;
il tutto senza aver discusso nelle Camere rischi operativi e finalità politiche dell'intervento e senza che sia stata nemmeno chiarita l'architettura complessiva di comando e controllo entro cui i nostri militari agiranno -:
quali siano le ragioni che hanno indotto il Governo ad assumere tale iniziativa, i costi e rischi attesi dell'operazione nonché l'assetto di comando e controllo cui i nostri militari sono sottoposti.
(5-02456)
RUGGHIA e VILLECCO CALIPARI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
nei reparti/enti e unità di campagna opera personale sia militare che civile, in paritaria posizione di impiego e di responsabilità;
al personale militare assegnato a tali strutture spetta, ai sensi dell'articolo 3 della legge n. 78 del 1983, un'indennità mensile di impiego operativo, denominata «indennità di campagna»;
il decreto del Presidente della Repubblica n. 394 del 1995, all'articolo 5, comma 9, stabilisce che la predetta indennità di impiego operativo «... compete anche al personale che, nella posizione di forza amministrata, è impiegato in maniera continuativa nelle stesse condizioni ambientali, addestrative ed operative dei soggetti che sono in forza effettiva organica...». Il concetto «forza amministrata» si riferisce, inequivocabilmente, tanto al personale militare che a quello civile, come chiaramente indicato dall'articolo 65 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1076 del 1976 e dall'articolo 18 del decreto del Presidente della Repubblica n. 167 del 2006 - regolamento per l'amministrazione e la contabilità degli organismi della difesa -, laddove affermano che «il personale militare e civile amministrato dagli Enti costituisce la forza amministrata»;
il diritto ad un trattamento paritario nel rapporto di lavoro pubblico, previsto dalla Costituzione, è costantemente affermato dalla giurisprudenza. Al riguardo, la
Cassazione (sezione unica 6 febbraio 2003, n. 1807, sezione lavoro 5 giugno 2001, n. 7617) e la Corte costituzionale (numero 82 del 27 marzo 2003), nonché la giurisprudenza di merito, hanno affermato che la vigenza del principio di parità di trattamento costituisce ancora adesso uno dei tratti salienti della residua specialità del rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni in quanto «specificazione del principio di uguaglianza (articolo 3 della Costituzione) coniugato al generale canone di buon andamento della pubblica amministrazione (articolo 97 della Costituzione);
il tribunale di Lecce con sentenza n. 4899/05, confermata dalla Corte di appello di Lecce con sentenza n. 2307/06, ha riconosciuto il diritto a percepire l'indennità di impiego operativo al personale civile operante presso l'aeroporto militare di Galatina;
il tribunale di Roma con sentenza 18307/08 della prima sezione lavoro, ha riconosciuto il diritto dei ricorrenti civili: «a percepire l'indennità di cui all'articolo 5 comma 9 decreto del Presidente della Repubblica n. 394/5 come rideterminata dall'articolo 4 decreto del Presidente della Repubblica 360/96 e dall'articolo 5 comma 12 decreto del Presidente della Repubblica n. 163/02 nonché il diritto dei medesimi al computo di tale indennità nel trattamento di fine rapporto e nel trattamento pensionistico»;
con la stessa sentenza il Ministero delle difesa è stato condannato al pagamento dell'indennità per la quale è stata determinata la misura mensile spettante ai ricorrenti e nonché al pagamento delle spese processuali per complessivi 6.425 euro -:
quali iniziative il Ministro della difesa intenda assumere per poter corrispondere l'indennità mensile di impiego operativo, di cui all'articolo 3 della legge 23 marzo 1983, n. 78, a tutto il personale civile della Difesa che ne ha titolo in quanto impiegato a parità di condizioni presso reparti, enti o unità di campagna.
(5-02457)
DI STANISLAO. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
in relazione alla storia, al presente, al futuro degli arsenali militari si ritiene necessario approfondire temi e problemi che oggi rappresentano dal momento che coinvolgono risorse umane, famiglie ed economie locali che svolgono un ruolo importante per quanto riguarda le attività di competenza e il rapporto con i singoli territori;
il 20 gennaio 1998 con decreto del Ministero della difesa i tre arsenali di Augusta, Taranto e La Spezia vennero classificati «Enti Dipendenti dall'Ispettorato Supporto Navale della Marina»;
attualmente, mentre per i cosiddetti Arsenali «maggiori» (Taranto e La Spezia) non dovrebbero esserci cambiamenti radicali, per quello di Augusta oltre di riconversione si parla anche di ridimensionamento; verrebbe così a verificarsi per Augusta una rilevante riduzione occupazionale, considerando anche l'indotto che opera attorno alle attività di manutenzione delle unità navali;
la proposta del CRAMM (Comitato per la Ristrutturazione Arsenali Militari Marina) relativamente al piano industriale degli arsenali della Marina militare, ha generato forti preoccupazioni sull'immediato futuro dell'arsenale della Marina militare di Augusta e con riferimento al mantenimento dei livelli occupazionali dei territori interessati, che avranno gravi ricadute sociali;
la fondata preoccupazione si evince dall'attenta lettura dello studio effettuato dal CRAMM, e proposto al Ministro della difesa, il quale prevede riqualificazioni delle lavorazioni, che produrranno consistenti tagli agli organici e un depotenziamento mirato a ridurre la struttura attuale in una mera officina di pronto intervento a supporto delle ridotte unità navali previste per il futuro;
in questo piano industriale si aggiungono, nel medio e lungo periodo, ulteriori tagli con incidenza più pesante nei prossimi 3-5 anni;
queste preoccupazioni sono inoltre confermate dalla mancanza di indicazione sulle risorse economiche che si mettono in campo;
il personale civile a seguito di un'assemblea tenutasi il 30 novembre 2009 ha delegato la rappresentanza sindacale unitaria e le organizzazioni sindacali a redigere l'ennesimo documento con richiesta di chiarimenti: Ministro della difesa, al prefetto di Siracusa, al presidente della regione, al presidente della provincia, ai sindaci di Augusta, Siracusa, Lentini, Carlentini, Sortino, Melilli, Priolo, al comandante di Marisicilia, al direttore Marinarsen Augusta e a tutti i parlamentari del collegio elettorale e alle organizzazioni sindacali nazionali;
il testo riportava tra l'altro che «La RSU di Marinarsen Augusta e le organizzazioni sindacali territoriali, unitamente a tutti i lavoratori, riunitisi in assemblea generale nell'Arsenale di Augusta il 30 novembre, con all'O.d.g. la proposta del CRAMM relativamente al piano industriale degli arsenali della Marina militare, esprimono forte preoccupazione sull'immediato futuro dell'Arsenale della della Marina militare di Augusta e dei livelli occupazionali dei territori interessati, che avranno gravi ricadute sociali. [...] La R.S,U., le organizzazioni sindacali e i lavoratori tutti, pur consapevoli di una necessaria ristrutturazione degli arsenali e dello strumento industriale del Ministro della Difesa, per renderlo più snello, efficace e rispondente alle esigenze della Marina Militare Italiana, e ritenendo inaccettabile la proposta del CRAMM, rivendicano lo stesso ruolo ed importanza che rivestono gli arsenali di Taranto e La Spezia; il mantenimento del livello occupazionale; chiedono con urgenza di provvedere, nella finanziaria 2010, adeguate risorse per avviare subito il turn-over, i percorsi formativi relativamente alle nuove tecnologie delle unità navali e quanto necessario per l'ammodernamento degli arsenali. In considerazione delle ragioni rivendicate, le R.S.U/organizzazioni sindacali dichiarano lo stato di agitazione intraprendendo tutte le opportune iniziative tese al raggiungimento delle rivendicazioni citate» -:
che ruolo il Governo intenda ancora dare all'arsenale militare di Augusta e quali iniziative intenda intraprendere per il suo rilancio.
(5-02458)
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ECONOMIA E FINANZE
Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):
I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere - premesso che:
sono trascorsi circa sei mesi dall'accordo tra il Ministro dell'economia e delle finanze, il presidente dell'Abi e le associazioni datoriali di categoria per l'introduzione di una moratoria dei debiti delle piccole e medie imprese (PMI) nei confronti del sistema creditizio;
l'accordo, denominato «avviso comune» prevedeva la sospensione dei debiti delle piccole e medie imprese verso il sistema creditizio con la sospensione per dodici mesi del pagamento della quota capitale delle rate di mutuo, del pagamento della quota capitale implicita nei cambi di leasing immobiliare e mobiliare e l'allungamento a 270 giorni delle scadenze del credito a breve termine per sostenere le esigenze di cassa con riferimento alle operazioni di anticipazione su crediti certi ed esigibili;
dalle ricerche effettuate da alcune associazioni di categoria è emerso un dato significativo che ha generato molte perplessità, ovvero che l'83 per cento delle aziende non avrebbe aderito alla moratoria creditizia;
nell'intento di fornire un'adeguata interpretazione a tale situazione, è doveroso sottolineare che, nella maggior parte dei
casi, si fa riferimento alla sospensione per dodici mesi del pagamento della quota capitale delle rate di mutuo, mentre raramente ci si riferisce, soprattutto da parte dei rappresentanti del sistema bancario, alle altre tipologie di operazione relative appunto alla moratoria;
nell'ultimo anno le aziende di grandi dimensioni (nonché la pubblica amministrazione) hanno differito i pagamenti così da «finanziarsi» in danno dei piccoli fornitori, determinando gravi difficoltà finanziarie delle piccole e medie imprese;
per far fronte ai danni provocati da questa politica, le imprese di piccole e medie dimensioni hanno tentato di rivolgersi al sistema bancario chiedendo di aderire alla moratoria per il terzo tipo di operazione, che accorderebbe alle imprese con propri debitori, particolarmente tardivi di mantenere aperte le anticipazioni di credito per un periodo più lungo rispetto a quello massimo imposto da Basilea 2 ed applicato dalle banche (cioè da 180 a 270 giorni);
attraverso questa operazione l'imprenditore potrebbe occupare il margine di fido non utilizzato ricorrendo alla moratoria quindi non rimborsando al sistema quei crediti, certi ed esigibili, che, una volta scadute le anticipazioni, secondo le normali procedure lo avrebbero condotto ad un nuovo addebito sui conti correnti ed alle conseguenti difficoltà finanziarie, pur in presenza di capacità di affidamento;
purtroppo, però, questo importante aspetto della moratoria creditizia viene spesso ignorato o reso difficilmente applicabile da parte dei direttori di filiali bancarie;
la realtà che si riscontra sempre più spesso sul territorio è costituita dal verificarsi di un lento e graduale processo che, iniziato già dai primi mesi del 2008 (dunque prima della crisi economico-finanziaria che ha sconvolto gli scenari economici internazionali) di riduzione del credito da parte delle banche verso le imprese più fragili, prevalentemente di piccole dimensioni e con capitali investiti modesti, le quali non hanno altre risorse per sostenere la carenza di liquidità generata dalla crisi dei mercati e che dunque rischiano di non vedere altre alternative alle procedure giudiziali di crisi;
se le statistiche diffuse dalle banche mostrano una tenuta se non addirittura un incremento degli impieghi, ciò non può avere altra spiegazione che la concentrazione ancora più marcata del credito nei confronti delle medio-grandi imprese, che detengono ben altro potere contrattuale anche in tempo di crisi -:
quali iniziative urgenti di competenza il Ministro interrogato intenda adottare affinché vi sia una completa e corretta applicazione di uno strumento importante quale quello della moratoria fiscale per le piccole e medie imprese, al fine di dare una boccata di ossigeno ad un settore di fondamentale importanza per l'intera economia nazionale, veicolo di diffusione del made in Italy nel mondo.
(2-00614) «Polidori, Bocchino».
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GIOVENTÙ
Interrogazione a risposta scritta:
DI STANISLAO. - Al Ministro della gioventù, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
il 27 aprile 2009 la Commissione europea ha pubblicato una comunicazione nella quale ha delineato una nuova strategia dell'Unione europea per la gioventù, con lo scopo di istituire per il prossimo decennio un quadro di cooperazione per le questioni giovanili. La comunicazione è accompagnata dalla prima «Relazione europea sulla Gioventù 2009» in cui sono raccolti i dati sulla situazione dei giovani in Europa;
la Commissione propone di incentrare il nuovo quadro di cooperazione su una strategia articolata in tre obiettivi collegati a quelli dell'Agenda sociale rinnovata:
a) creare maggiori opportunità per i giovani nei settori dell'istruzione e dell'occupazione;
b) migliorare l'inserimento sociale e la piena partecipazione alla vita sociale di tutti i giovani;
c) sviluppare la reciproca solidarietà tra la società e i giovani;
per ciascun obiettivo, la Commissione definisce due o tre campi d'azione ed elenca le misure che possono essere prese dagli Stati membri e dalla Commissione «nei rispettivi ambiti di competenza». Le azioni proposte riguardano settori strategici molto diversi tra loro. In questo senso il documento illustra un approccio realmente trasversale, proponendo di integrare la gioventù in un numero di politiche maggiore rispetto al passato;
il 27 novembre 2009 il Consiglio ha adottato una risoluzione su un quadro rinnovato di cooperazione europea in materia di gioventù (2010-2018), sostituendo il termine «strategia» con «quadro di cooperazione» nel titolo generale. Benché in genere segua l'approccio globale della comunicazione della Commissione, la risoluzione del Consiglio modifica gli obiettivi e alcuni dei campi d'azione, inserisce delle precisazioni relative alla metodologia e agli strumenti e aggiunge iniziative più specifiche nei vari campi d'azione;
gli obiettivi generali della cooperazione europea in materia di gioventù fino al 2018 sono definiti come segue:
a) creare per tutti i giovani maggiori e pari opportunità nell'istruzione e nel mercato del lavoro;
b) promuovere fra tutti i giovani la cittadinanza attiva, l'inclusione sociale e la solidarietà;
il Consiglio rinomina alcuni dei campi d'azione, ne crea uno nuovo relativo alla cultura e modifica il campo concernente l'imprenditorialità e la creatività, associando il termine imprenditorialità all'occupazione e il termine creatività alla cultura. I campi d'azione principali in cui è necessario prendere iniziative sono ora i seguenti: istruzione e formazione, occupazione e imprenditorialità, salute e benessere, partecipazione, attività di volontariato, integrazione sociale, i giovani nel mondo, creatività e cultura;
per quanto concerne le nuove iniziative inserite, la risoluzione del Consiglio rafforza le disposizioni relative all'occupazione giovanile e all'imprenditoria, alle pari opportunità, alla coesione sociale, al benessere e allo sport e alla lotta all'esclusione sociale. La risoluzione propone in particolare di introdurre nei piani di rilancio degli Stati membri misure a breve termine rivolte ai giovani. Il Consiglio aggiunge inoltre una nuova disposizione sull'educazione ai mezzi di comunicazione e sulla tutela da determinati pericoli derivanti dall'uso di nuovi media e sviluppa notevolmente la serie di misure concernenti il campo: «I giovani nel mondo»;
il tasso di disoccupazione tra i giovani è quasi il doppio rispetto alla percentuale osservata nell'intera popolazione attiva e sussistono disparità nella partecipazione al mercato del lavoro, all'interno del quale i giovani sono vittime di varie forme di discriminazione;
le misure di formazione dovrebbero essere concepite in modo da assicurare una migliore corrispondenza tra competenze e richieste del mercato del lavoro. Allo stesso tempo si corre il rischio che il sistema di istruzione si trasformi in un comodo deposito per giovani disoccupati. I giovani necessitano inoltre di assistenza per riuscire a diventare autonomi e indipendenti grazie al lavoro;
è necessario ribadire che investire nei giovani è fondamentale per il futuro del Paese e che tutti i giovani sono una risorsa importante per la società e devono essere riconosciuti come tali;
considerando che, poiché la gioventù è esposta a crescenti tassi di disoccupazione e duramente colpita dalla crisi economica, è importante garantire un'occupazione adeguata e di alta qualità;
occorre sostenere la parità di accesso per tutti i giovani a un'istruzione di qualità e alla formazione a tutti i livelli;
occorre agevolare i giovani nella transizione dall'istruzione e dalla formazione al mercato del lavoro e ridurre la dispersione scolastica;
la partecipazione attiva nella società non è solo un importante strumento per responsabilizzare giovani, ma che essa contribuisce altresì al loro sviluppo personale ed un'efficace politica a favore della gioventù può contribuire a sviluppare una mentalità europea -:
con quali iniziative, con quali tempi e con quali risorse il Governo intenda affrontare il problema della disoccupazione giovanile, giunta nel nostro Paese al 26,2 per cento;
se il Governo non ritenga necessario aprire un tavolo di confronto affinché, in relazione ad una strategia completa dell'Unione europea per la gioventù, nella formulazione delle politiche giovanili si proceda di pari passo con quella dei programmi e delle azioni dell'Unione europea.
(4-06065)
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GIUSTIZIA
Interrogazione a risposta scritta:
ROSATO. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il sovraffollamento delle carceri italiane è problema grave e annoso, largamente noto agli organi istituzionalmente preposti e ripetutamente denunciato dagli organi d'informazione;
oltre a creare intollerabili disagi dal punto di vista igienico-sanitario e di sostenibilità delle condizioni di vita dei detenuti, il sovraffollamento pone problemi allo Stato italiano riguardo il rispetto dei diritti umani, al punto che si registrano sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo che hanno condannato l'Italia a pagare risarcimenti per trattamento inumano;
si sono verificati negli ultimi anni atti episodi di rivolta e suicidi, già sei nelle carceri italiane dall'inizio del 2010, 169 nel corso del 2009, cui si aggiungono circa ottocento tentativi, fortunatamente non andati a frutto;
la casa circondariale di Trieste ospita - secondo quanto dichiarato alla stampa dallo stesso direttore Enrico Sbriglia - 249 detenuti a fronte dei 190 posti disponibili;
nel 2005 l'amministrazione penitenziaria aveva stipulato un contratto con la provincia di Trieste per l'acquisizione di un immobile di sua proprietà, già caserma dei Carabinieri, da destinarsi ad ufficio di esecuzione penale esterna, oggi ospitato in locazione a prezzo di mercato presso un edificio privato, ma le trattative in corso e l'iter di acquisizione dell'immobile sono stati interrotti dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria;
il personale della Polizia penitenziaria di Trieste ammonta solo a 120 unità a fronte delle 160 necessarie, dovendo così sostenere turni di lavoro eccessivamente pesanti, a danno sia dei lavoratori che delle persone sottoposte alla loro vigilanza;
del «Piano straordinario per l'edilizia penitenziaria» si iniziò a discutere alla fine del 2008, e il provvedimento varato recentemente dal Governo prevede, per il 2010, la costruzione di quarantasette padiglioni per un totale di 21.709 nuovi posti e l'assunzione di circa duemila agenti;
i 206 istituti di pena italiani possono contenere fino a 64.237 detenuti, per quanto, da regolamento, la loro capienza si fermerebbe a 43.087, ed oggi pertanto, con gli oltre 70.000 carcerati stimati, di cui
circa la metà in attesa di giudizio, la soglia è ampiamente superata, tanto che il direttore del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria Franco Ionta, in audizione alla commissione giustizia della Camera dei deputati, ha parlato di «situazione in grado di compromettere la sicurezza del Paese»;
la crescita esponenziale della popolazione carceraria è dovuta in massima parte alla detenzione di soggetti accusati di reati di modesta entità, se non vittime del disagio come tossicodipendenti ed immigrati irregolari, mentre solo 10.000 circa sono quelli condannati per reati efferati o di portata criminale tale da compromettere la pubblica sicurezza;
ogni anno mediamente 30.000 soggetti trascorrono, in carcere meno di 11 giorni, segno che vi è un uso esagerato della detenzione;
trecento educatori vincitori di concorso nel 2003 rimangono tuttora non assunti, mentre i dati del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria rivelano che i recidivi tra coloro che hanno beneficiato di pene alternative alla detenzione sono appena il 19 per cento, a fronte del 68,5 per cento degli altri;
l'incremento della popolazione carceraria coincide con un graduale taglio al personale: nel 2001, 41.608 agenti per 53.165 detenuti, nel 2009 39.000 per 64.859, mentre per legge la pianta organica della polizia penitenziaria è fissata a 41.121 unità;
la Camera dei deputati ha recentemente affrontato la situazione delle carceri nel corso della discussione di varie mozioni in materia durante la seduta del 12 gennaio 2010;
nonostante i limiti accertati e prevedibili del «piano carceri», il territorio della provincia di Trieste pare essere comunque rimanere escluso dal godimento dei benefici derivanti dalle opere infrastrutturali ad esso connesse, benché vi siano disponibili edifici, perlopiù caserme in dismissione, atti a rispondere all'esigenza di nuove strutture di detenzione -:
se il Ministro interrogato intenda far fronte all'emergenza del sovraffollamento del carcere di Trieste inserendo questa struttura nell'ambito delle opere previste dal «piano carceri» e se sia previsto, e in quale misura, che allo stesso istituto detentivo di Trieste siano assegnati nuovi agenti di polizia penitenziaria tratti dalle nuove assunzioni annunciate;
se il Ministro interrogato possa dare delle indicazioni, anche di massima, in merito ai tempi previsti per il bando e l'adempimento dei concorsi dei nuovi annunciati 2.000 posti di agente di polizia penitenziaria.
(4-06062)
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INFRASTRUTTURE E TRASPORTI
Interrogazione a risposta immediata:
ESPOSITO, LOVELLI, GIORGIO MERLO, MARAN, LENZI, BARBI, BOBBA, BOCCUZZI, DAMIANO, FASSINO, FIORIO, LUCÀ, PORTAS, RAMPI, ROSSOMANDO, GIACHETTI e QUARTIANI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
come riportato dalle agenzie di stampa in occasione della cerimonia di avvio dei lavori di potenziamento del nodo ferroviario di Genova, il Ministro dello sviluppo economico avrebbe dichiarato, alla presenza del Ministro interrogato, che tale intervento racchiuderebbe in sé anche la radice della realizzazione dell'opera del terzo valico dei Giovi, aggiungendo che se si dovesse giungere ad una scelta per questioni economiche tra il corridoio 5 Torino-Frejus ed il terzo valico ferroviario sulla linea Genova-Rotterdam, quest'ultimo sarebbe prioritario;
sempre secondo l'opinione del Ministro dello sviluppo economico, tale scelta sarebbe motivata dalla necessità di collegare
il più grande porto d'Italia al centro e al nord Europa, nell'interesse di tutto il Paese per «interconnettere il porto più grande del Mediterraneo col centro dell'Europa perché la nuova economia ci spinge in questa direzione», ribadendo che: «È importante la Torino-Frejus, facciamo marciare tutte e due le opere insieme, ma se dovessimo fare una scelta, il terzo valico è fondamentale»;
tali valutazioni fanno seguito alle perplessità già espresse dal Ministro per le riforme per il federalismo, leader di una delle principali forze politiche della coalizione di Governo, circa l'utilità della realizzazione della infrastruttura alta velocità/alta capacità sulla linea Torino-Frejus;
tali posizioni non possono non suscitare preoccupazione e disorientamento in quanti, popolazioni, utenza, amministrazioni e sistema delle imprese, hanno sempre creduto nella strategicità dell'alta velocità/alta capacità sulla linea Torino-Frejus per la regione Piemonte e per l'intero Paese -:
quale sia il reale intendimento del Governo circa il proseguimento degli interventi funzionali alla realizzazione della linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione, secondo il programma e la tempistica prevista, a tal fine predisponendo ogni intervento e atto necessario, anche di carattere finanziario.
(3-00906)
Interrogazione a risposta scritta:
BELLOTTI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
il mezzo di trasporto ferroviario, soprattutto per ciò che riguarda lo spostamento di merci, andrebbe privilegiato rispetto al trasporto su gomma, dato il minore impatto a livello ambientale, la diminuzione di traffico e il beneficio diretto che questo porta ad una società di proprietà dello Stato;
per un reale sviluppo dei trasporti merci su strada ferrata si richiede tuttavia un servizio efficiente e puntuale, all'altezza delle necessità dell'impresa;
da quanto si evince tuttavia da due note fatte pervenire al sottoscritto da due aziende che lavorano grano a San Giovanni Persiceto (Bologna), le ferrovie non saprebbero garantire in modo sufficiente una tempistica accurata nella consegna del prodotto da lavorare e in quello finito, con grave pregiudizio per queste realtà aziendali;
come dichiara la missiva della «Molino San Giovanni» «Il giro dei treni, inteso come intero percorso dal carico alla stazione di San Giovanni a alla riconsegna dei vuoti, non è mai stato particolarmente fluido»;
la situazione però si sarebbe aggravata nell'ultimo periodo: «dal settembre 2009 i tempi si sono dilatati fino a rendere impossibile una benché minima programmazione, peraltro indispensabile per consentire una pianificazione interna del nostro lavoro»;
entrambe le ditte che hanno voluto rappresentare all'interrogante queste criticità sottolineano in special modo la difficoltà di trasporto nell'ultimo periodo;
dalla missiva della Pivetti Molini si sottolinea che «la situazione peggiore, per la quale invochiamo il suo intervento, si è verificata tuttavia negli ultimi 3 mesi quando il sistema ferroviario, per la verità non solo in Italia ma ad esempio anche in Francia, sembra si sia completamente bloccato; è entrato in una situazione di caos dalla quale non ci si riesce a districare»;
come si sottolinea nella lettera della «Molino San Giovanni», a fronte di un incremento dell'utilizzo del sistema ferroviario di trasporto, si sono registrate, anziché maggiori attenzioni, delle inefficienze incrementali, con la dilatazione dei tempi di carico, arrivo e ripartenza dei vuoti;
dato che le ditte pagherebbero un canone giornaliero per l'utilizzo dei carri cisterna appare evidente il danno cui sono sottoposte queste imprese -:
se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali misure di propria competenza intenda adottare per ristabilire un trasporto efficiente delle merci sulle reti ferroviarie nazionali;
se non ritenga di richiamare le Ferrovie dello Stato per fare in modo che esse garantiscano alle imprese servizi efficienti e puntuali portando ad affermare in modo più significativo il trasporto delle merci via ferrovia.
(4-06068)
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INTERNO
Interrogazione a risposta scritta:
ANGELA NAPOLI. - Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
nei giorni scorsi è stata data notizia della scomparsa della collaboratrice di giustizia, Lea Garofalo di Petilia Policastro (Crotone), che sarebbe avvenuta nel novembre 2009;
Lea Garofalo risulta collaboratrice di giustizia per aver rilasciato dichiarazioni sull'omicidio del fratello Floriano, avvenuto nel 2005, e sulla `ndrangheta di Petilia Policastro;
nella scorsa settimana è stato arrestato dai carabinieri della compagnia di Petilia Policastro e dal comando carabinieri di Campobasso, Carlo Cosco, ex convivente della donna, con l'accusa di tentato sequestro di persona;
sempre nella scorsa settimana è stata emessa un ordinanza di custodia cautelare in carcere per Massimo Sabatino (già detenuto per altra causa) con l'accusa di tentato omicidio di Lea Garofalo, messo in atto nel mese di maggio 2009;
le tracce di Lea Garofalo si sarebbero perse a Milano, nel mese di novembre, quando insieme alla figlia tredicenne, avrebbe dovuto prendere il treno per tornare in Calabria;
risultano contorte le notizie sullo status di collaboratrice della Lea Garofalo;
sembrerebbe che Lea Garofalo si sia dovuta rivolgere al Consiglio di Stato per vedere riconosciuto il suo diritto ad entrare nel programma di protezione, visto che la Commissione centrale di protezione prima ed il TAR del Lazio poi non avevano concesso il diritto richiesto;
c'è incertezza sul mancato rinnovo della protezione a Lea Garofalo dopo il tentato sequestro del maggio 2005;
Lea Garofalo, che ha avuto assassinati il padre e il fratello durante lo sterminio della faida di Petilia Policastro tra le due famiglie Garofalo e Mirabelli, potrebbe rappresentare un nuovo caso di «lupara bianca» in Calabria, proprio per le sue rivelazioni sugli omicidi e contro alcuni affiliati alle cosche di quel territorio -:
quali siano i motivi per cui Lea Garofalo non sia stata ammessa al regime di protezione, pur avendo subito un tentativo di sequestro e pur appartenendo ad una famiglia pressoché sterminata da una faida di `ndrangheta;
se risultino essere state disposte convocazioni di Lea Garofalo per processi in qualche ufficio giudiziario in Italia.
(4-06063)
TESTO AGGIORNATO AL 23 FEBBRAIO 2011
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ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA
Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):
I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere - premesso che:
le scuole soffrono già da molti mesi una grave situazione finanziaria dovuta in
particolare alla massiccia riduzione di risorse operate dal Governo fin dal suo insediamento. La conseguente inadeguatezza delle risorse trasferite dallo Stato - che rappresentano la principale fonte di finanziamento delle istituzioni scolastiche - ostacola il normale funzionamento didattico, così come impedisce, ad esempio, regolarità nel pagamento degli stipendi ai supplenti (e, conseguentemente, ostacola la nomina dei sostituti dei docenti assenti), nella remunerazione del salario accessorio e del dovuto per gli esami di Stato ai docenti e nel saldo delle spese per le utenze, per gli appalti di pulizia e per le forniture di materiale didattico e di consumo. Attualmente, gli istituti scolastici vantano nei confronti del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca crediti per circa un miliardo di euro, accumulati negli anni anticipando risorse per affrontare le citate spese obbligatorie sostenute per conto dello Stato. Sono pertanto assai numerosi gli istituti che hanno maturato un credito di centinaia di migliaia di euro che, se non restituito, ne decreterà non solo il dissesto finanziario ma l'impossibilità di assolvere, nei fatti, alla propria funzione educativa, costituzionalmente prevista;
la legge di bilancio 2010, rispetto alla legge di assestamento 2009, ha ridotto gli stanziamenti dei capitoli destinati alle «competenze dovute al personale delle istituzioni scolastiche, con esclusione delle spese per stipendi del personale a tempo indeterminato e determinato» e al «funzionamento delle istituzioni scolastiche» (fondi istituiti con la legge finanziaria per il 2007 del Governo Prodi per sostenere l'autonomia scolastica e noti come «capitoloni»). Tali capitoli, presenti in ciascuno dei programmi riguardanti la scuola dell'infanzia, la scuola primaria, la scuola secondaria di primo e di secondo grado, sono stati decurtati per un ammontare complessivo di 226.838.243 euro, di cui 97.988.043 euro per il funzionamento e 128.850.200 euro per il personale, riportandoli ai livelli già gravemente inadeguati stabiliti nella legge di previsione del bilancio 2009;
la sofferenza finanziaria e la conseguente difficoltà di gestione degli istituti scolastici sono state ulteriormente aggravate dalla recente nota ministeriale (prot. n. 9537 del 14 dicembre 2009) della Direzione generale per la politica finanziaria e per il bilancio sulle «Indicazioni riepilogative per il programma annuale delle istituzioni scolastiche per l'anno 2010», con la quale il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha dato istruzione alle scuole per la predisposizione dei bilanci 2010 e ha comunicato le risorse finanziarie cui possono fare affidamento per redigere i suddetti bilanci. Peraltro si rileva negativamente che le scuole, tenute alla redazione dei propri bilanci entro il 15 dicembre, sono venute a conoscenza della suddetta circolare e quindi delle risorse a loro disposizione, solo il 22 dicembre 2009;
detta nota, che, ad avviso degli interpellanti in contrasto con la normativa vigente, non fa riferimento a due «pilastri» dell'autonomia quali il regolamento di contabilità e i «capitoloni», non si limita a confermare l'inadeguatezza delle risorse destinate alle supplenze e agli esami di Stato e l'assenza di quelle per il funzionamento didattico e amministrativo, ma modifica pesantemente la normativa per il finanziamento delle scuole (con particolare riferimento ai regolamenti vigenti disciplinati dal decreto ministeriale n. 44 del 2001 e dal decreto ministeriale n. 21 del 1o marzo 2007), arrecando ostacoli al servizio e pregiudizio all'autonomia delle scuole;
essa, ad esempio, assume un indefinito «tasso d'assenteismo medio nazionale per tipologia di scuola» per attribuire eventuali risorse aggiuntive per le supplenze, la cui spesa è però vincolata ad una autorizzazione del Ministero. Tale «innovazione» burocratica renderà di fatto impossibile procedere alla sostituzione dei docenti in tempo reale (cioè secondo le esigenze delle classi che restano
«scoperte») e alle scuole non resterà che distribuire in custodia i ragazzi nelle altre classi oppure anticiparne l'uscita. Agli interpellanti appare evidente che entrambi i rimedi - peraltro già in uso, ma destinati ad essere incrementati - danneggiano la qualità del servizio scolastico oltre ad essere in contrasto con il diritto all'istruzione. Per quelle scuole che non rientreranno nel tasso fissato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, è configurabile il rischio di non ottenere la necessaria copertura finanziaria nemmeno per le supplenze relative ad assenze lunghe, sulle quali il dirigente scolastico non ha discrezionalità. La disposizione prevista risulta oltremodo illogica se si considera che le scuole pagano anche i supplenti sui posti che si rendono liberi dal primo gennaio di ogni anno e fino al termine delle lezioni (articolo 4, comma 3, della legge n. 124 del 1999). Peraltro, la citata previsione contraddice due recenti indicazioni dello stesso Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca; la prima (contenuta nella nota n. 3545 del 29 aprile 2009) ribadisce che: «va comunque assicurato l'ordinato svolgimento delle attività di istruzione, di formazione e di orientamento, giacché il diritto allo studio va in ogni caso garantito.»; la seconda (prot. n. AOODGPER 14991 del 6 ottobre 2009) afferma la necessità di procedere alla nomina del personale a tempo determinato «al fine primario di non incorrere in una sospensione della didattica nei riguardi degli allievi interessati»;
la circolare dispone, altresì, benché il regolamento di contabilità non lo preveda, che per coprire possibili «deficienze di competenza» (eventualità peraltro non prevista nelle norme di contabilità) la scuola utilizzi l'avanzo di amministrazione non impegnato, nel quale confluiscono anche i contributi provenienti dalle famiglie, dagli enti locali e dai privati. In genere, tale avanzo rappresenta un accantonamento destinato ad investimenti a medio termine o acquisti particolarmente onerosi (quali la realizzazione di laboratori). Tale decisione appare grave e iniqua poiché dispone che al mancato finanziamento dello Stato - ad avviso degli interpellanti responsabile delle suddette «deficienze» e testimonianza diretta di un progressivo arretramento dello Stato nell'assolvere al suo mandato costituzionale - si provveda con le risorse provenienti da soggetti terzi e che sono già state finalizzate dalla programmazione della scuola stessa. La disposizione in parola, rende sempre più concreto il rischio di una gestione secondo i principi del bilancio di cassa, che impedirebbe la possibilità di programmare le attività scolastiche oltre ad ostacolare pesantemente le innovazioni introdotte dall'autonomia e dai «capitoloni»;
la nota del 14 dicembre 2009 impone anche il taglio del 25 per cento delle spese degli appalti alle ditte esterne che eseguono le pulizie, la sorveglianza e la manutenzione ordinaria. Tale sensibile riduzione di spesa, intercorsa a metà anno scolastico e riguardante anche i contratti in essere, impedirà adeguati livelli di pulizia nelle aule e nei bagni oltre che determinare meno controlli negli edifici. L'effetto di tale norma è la riduzione del personale delle ditte appaltatrici in servizio e corrispondentemente un aumento dei carichi di lavoro del personale collaboratore scolastico statale, già ridotto per effetto dei tagli agli organici. Oltre ad un peggioramento complessivo del servizio, questa previsione determina, secondo gli interpellanti, una doppia esposizione sul versante della responsabilità giuridica del dirigente scolastico, costretto, da un lato, a rimettere in discussione con la ditta di appalto i termini del contratto stipulato e in corso di esecuzione e, dall'altro, a gestire la riduzione del servizio di pulizia e del servizio di vigilanza. Del resto, appare improprio il richiamo al regio decreto del 1923 che, all'articolo 11, stabilisce che a fronte di una diminuzione, nel limite del 20 per cento nelle opere, lavori o forniture l'appaltatore è tenuto ad assoggettarvisi. Al contrario, nel caso della scuola non c'è una diminuzione delle opere, ma una riduzione immotivata delle risorse che determina una corrispondente compressione delle prestazioni;
sempre la citata circolare impone che i crediti che gli istituti scolastici vantano nei confronti del Ministero (prevalentemente spese già liquidate), non siano più parte attiva del bilancio ma siano ascritti in un modulo «aggregato Z», con l'evidente intenzione di non restituirli più alle scuole. Si tratta di un miliardo di euro di fatto sottratto alle istituzioni scolastiche che, nel quadro negativo dei trasferimenti dello Stato, non potranno garantire l'offerta formativa e saranno indotte a chiedere maggiori contributi alle famiglie per far fronte al funzionamento ordinario e ai disavanzi di bilancio determinati dagli insufficienti trasferimenti dello Stato: una richiesta, ad avviso degli interpellanti, assolutamente deprecabile, inaccettabile e lesiva del diritto costituzionale allo studio;
inoltre la circolare in questione, tace sulla copertura di voci di spesa obbligatorie e non programmabili quali: le ore eccedenti per la sostituzione dei colleghi assenti; le indennità di funzioni superiori; i corsi di recupero; la terza area negli istituti professionali; i compensi ai revisori per le scuole capofila;
tale silenzio induce a ritenere che, anche la copertura delle suddette spese possa essere posta in capo alle famiglie;
infine, come è noto al Ministero, tutti i problemi segnalati sono stati ampiamente evidenziati e denunciati da centinaia di documenti approvati da diverse associazioni di scuole autonome e dai presidenti dei consigli di istituto di numerose scuole del Paese. Peraltro, la gravità della situazione finanziaria che colpisce gli istituti e quella che si configura come una mancanza di trasparenza nell'assegnare loro i fondi, sta allarmando non solo la comunità scolastica ma tutto il Paese -:
se non ritenga urgente ed inderogabile, alla luce di quanto riportato in premessa, rivedere le indicazioni impartite con la nota n. 9537 del 14 dicembre 2009;
quali iniziative urgenti intenda adottare per incrementare i finanziamenti necessari al regolare funzionamento, ora ad avviso degli interpellanti pesantemente decurtati, e per soddisfare i crediti vantati dalle scuole nei confronti dello Stato, al fine di garantire la corretta attuazione dell'offerta formativa, l'ordinata programmazione da parte degli istituti scolastici, nel rispetto della loro autonomia, e la piena esigibilità del diritto all'istruzione da parte dei ragazzi e delle loro famiglie.
(2-00613)
«Ghizzoni, Bachelet, Coscia, Fioroni, De Pasquale, De Torre, De Biasi, Levi, Lolli, Mazzarella, Nicolais, Pes, Picierno, Rossa, Antonino Russo, Siragusa, Argentin, Benamati, Capano, Capodicasa, Carella, Marco Carra, Causi, Codurelli, D'Incecco, Froner, Gatti, Giacomelli, Grassi, Lovelli, Marchi, Pierdomenico Martino, Mastromauro, Mattesini, Melandri, Meta, Migliavacca, Mogherini Rebesani, Motta, Murer, Naccarato, Recchia, Rossomando, Rugghia, Sbrollini, Tidei, Tocci, Tullo, Vassallo».
Interrogazione a risposta scritta:
GIRLANDA e CARLUCCI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
la legge 30 marzo 2004, n. 92, ha istituito il «giorno del ricordo», in memoria delle vittime delle foibe e dell'esodo giuliano-dalmata;
tale giorno è considerato una solennità civile ai sensi della legge 27 maggio 1949 n. 260;
nelle scuole di ogni ordine e grado non sempre vengono previste e realizzate iniziative per diffondere la conoscenza dei tragici eventi presso i giovani, ai sensi del comma 2 dell'articolo 1 della legge 30 marzo 2004 n. 92;
ci sono docenti di materie storiche che mantengono un approccio, ad avviso
dell'interrogante, ideologico alla questione, evitando di affrontare l'argomento nel programma scolastico delle classi in cui è previsto lo studio della storia contemporanea o trattandolo in maniera superficiale o minimalista;
diversi libri di testo attualmente in adozione nelle classi in cui è previsto lo studio della storia contemporanea non menzionano la tragedia delle foibe nei capitoli dedicati al periodo storico compreso tra l'8 settembre 1943 e il 10 febbraio 1947;
è necessario promuovere tra i giovani la conoscenza di uno dei fenomeni più drammatici che ha interessato il popolo italiano, a causa di motivi etnici e ideologici;
questo processo è indispensabile per la formazione di quella memoria condivisa alla base di diversi messaggi degli esponenti delle massime istituzioni della Repubblica -:
se il ministro interrogato intenda acquisire elementi in ordine alla trattazione del tema oggetto del giorno del ricordo nell'ambito del programma di storia contemporanea nelle scuole di ogni ordine e grado;
se, ferma restando l'autonomia scolastica, non intenda assumere iniziative volte a introdurre criteri, anche in sede di definizione delle indicazioni nazionali circa i programmi, scolastici, perché siano salvaguardate le basi storiche della nostra cultura, con particolare riferimento al tema delle foibe e dell'esodo della popolazione giuliano-dalmata;
se il Ministro ritenga opportuno adottare iniziative volte a introdurre nelle scuole di ogni ordine e grado un minuto di silenzio e raccoglimento nel corso dell'orario scolastico in occasione della suddetta ricorrenza.
(4-06067)
TESTO AGGIORNATO AL 24 FEBBRAIO 2011
...
LAVORO E POLITICHE SOCIALI
Interpellanza:
Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere - premesso che:
secondo un rapporto pubblicato recentemente dal quotidiano: il Corriere della sera, sui dati dell'attività di vigilanza svolta dagli ispettori dell'Inps dal 1o gennaio al 31 dicembre 2009 nel nostro Paese, risulterebbe che dal controllo di 100.591 aziende, nel 79 per cento di esse sono state riscontrate irregolarità;
in particolare nei settori dell'agricoltura e dell'edilizia, sono stati accertati il maggior numero di falsi lavoratori, e gli stessi ispettori hanno inoltre quantificato in 1 miliardo e 253 milioni di euro i contributi evasi, specificando che nel settore agricolo l'ammontare non dichiarato all'erario è pari a 295 milioni di euro;
il medesimo rapporto descrive inoltre uno scenario preoccupante e negativo, indicando che se un'impresa su sei risulta in «nero» tra quelle controllate nella regione Piemonte, una su nove in Lombardia e una su sei in Emilia Romagna, ed in particolare nei cantieri edili, risulterebbero lavoratori in «nero» per oltre 2 mila in Liguria, 5 mila in Emilia e Lombardia e oltre 6 mila in Piemonte, nel sud Italia la situazione desta maggiore allarme, in quanto la percentuale dei falsi braccianti agricoli si concentrerebbe per il 99,15 nella cinque regioni ovvero: Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia;
appare evidente che nonostante l'impegno e gli sforzi che gli ispettori dell'Inps compiono quotidianamente nell'arginare l'illegalità che caratterizza il fenomeno dei lavoratori cosiddetti in nero, attraverso i controlli alle aziende in tutte le regioni d'Italia, l'organico complessivo degli stessi dirigenti ministeriali preposti alle ispezioni e alle verifiche, risulterebbe carente e sottodimensionato;
lo stesso Presidente dell'Inps, come riportato dal medesimo articolo pubblicato dal suddetto quotidiano, ha infatti denunciato l'insufficienza degli ispettori, causato dall'esodo verso la pensione di molti di essi, nonché dal blocco delle assunzioni anche per i concorsi già espletati nel 2006, che hanno in definitiva portato l'organico degli ispettori da 1.588 a 1.380, a cui si aggiungono altri 200 che nell'anno in corso andranno in pensione;
dal 2011 di conseguenza per tentare di contrastare il grave e preoccupante fenomeno dei lavoratori in «nero» e quindi dell'economia sommersa (valutata tra il 17 per cento e il 25 per cento del Pil) in Italia con oltre 4 milioni di imprese, saranno a disposizione poco più di un migliaio di ispettori previdenziali -:
se corrispondano al vero i numeri e le percentuali riportate in premessa e pubblicati dal rapporto del quotidiano suindicato, sul fenomeno delle aziende irregolari e dei lavoratori cosiddetti «in nero»;
in caso affermativo, quali iniziative, nell'ambito delle sue competenze, intenda intraprendere al fine di contrastare il fenomeno delle irregolarità che caratterizza le false assunzioni nelle imprese e nelle aziende nel nostro Paese;
se non intenda, potenziare ulteriormente l'organico effettivo degli ispettori dell'Inps, in considerazione del segnale di pericolo, lanciato dallo stesso presidente dell'Istituto, sulla carenza dei funzionari preposti alle ispezioni nelle aziende in particolare nel settore agricolo ed edile, la cui insufficienza rischia di innescare un fenomeno negativo e penalizzante per la nostra economia e per l'intero Paese.
(2-00612) «Nastri, Carlucci».
Interrogazioni a risposta immediata:
DI PIETRO, ANIELLO FORMISANO, DONADI, EVANGELISTI, BORGHESI, BARBATO, PALADINI e PORCINO. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
nella regione Campania sta avvenendo uno smottamento sociale e produttivo mai visto. L'industria, il commercio, le piccole e medie imprese conoscono una grave crisi che nel 2010 genererà tensioni sociali inedite, anche per la prossima scadenza di molti degli ammortizzatori sociali in essere, nonostante il Governo continui a proclamare che non ci sono problemi in merito;
in sede di discussione del disegno di legge finanziaria per il 2010 appena licenziata, l'Italia dei Valori aveva proposto, con costi sostenibili e senza aumentare il debito dello Stato, il raddoppio della cassa integrazione ordinaria, l'estensione degli ammortizzatori sociali ai precari, i contratti di solidarietà ed una diversa ripartizione degli orari di lavoro per evitare i licenziamenti;
queste proposte non sono state accolte ed adesso i nodi arrivano al pettine, in particolare in questa regione già penalizzata da infiltrazioni camorristiche in settori delicati delle attività economiche;
si corre il rischio concreto che l'Italia si «spacchi» definitivamente in due, consegnando alla malavita organizzata ulteriori territori, laddove, ad avviso degli interroganti, lo Stato abbandona l'economia reale, gli imprenditori seri che stanno alle regole e le attività legate alla grande risorsa del turismo;
tra gli altri, i casi di crisi aziendali ed occupazionali della Selfin s.p.a di Caserta, della Tirrenia, della Fiat di Pomigliano d'Arco, della Ixfim s.p.a. (ex Olivetti) di Marcianise, dell'Agenzia Defendini s.r.l., della Fincantieri di Castellammare di Stabia, della società Agile s.p.a. (ex Eutelia), dello stabilimento di Napoli della Birra Peroni s.p.a. possono trovare una positiva soluzione solo se il Governo si concentra sull'«allarme» Campania;
la Campania è una delle regioni a più alta attività industriale manifatturiera ed i
casi sopra citati, che sono soltanto una parte delle situazioni di crisi presenti nella regione, dimostrano, a parere degli interroganti, come il Governo sia in colpevole ritardo nell'affrontare questa drammatica situazione occupazionale e sociale che sta causando la desertificazione industriale della Campania;
secondo i dati Istat, nel confronto tra il terzo trimestre del 2008 ed il terzo trimestre del 2009, il tasso di occupazione della popolazione campana tra i 15 ed i 64 anni è sceso dal 43,3 per cento al 41,8 per cento. Il numero delle persone in cerca di occupazione sale a 229 mila unità, 20 mila in più rispetto al terzo trimestre 2008, per una crescita del 2,6 per cento. Il tasso di disoccupazione per il 2009 è pari all'11 per cento per gli uomini e al 14,6 per cento per le donne. Nel periodo gennaio-ottobre 2009 sono state autorizzate 10,7 milioni di ore di cassa integrazione ordinaria -:
se il Governo non intenda urgentemente impegnarsi e con quali iniziative per fornire un adeguato sostegno al reddito dei lavoratori delle piccole e grandi aziende in crisi e per risolvere l'emergenza clamorosa che si vive in Campania, anche per non lasciare spazio alla criminalità organizzata, dato che ad ogni chiusura di azienda aumenta la possibilità di reclutamento da parte della camorra.
(3-00901)
COTA, LUCIANO DUSSIN, DAL LAGO, REGUZZONI, ALESSANDRI, ALLASIA, BITONCI, BONINO, BRAGANTINI, BRIGANDÌ, BUONANNO, CALLEGARI, CAPARINI, CHIAPPORI, COMAROLI, CONSIGLIO, CROSIO, D'AMICO, DESIDERATI, DOZZO, GUIDO DUSSIN, FAVA, FEDRIGA, FOGLIATO, FOLLEGOT, FORCOLIN, FUGATTI, GIBELLI, GIDONI, GIANCARLO GIORGETTI, GOISIS, GRIMOLDI, LANZARIN, LUSSANA, MACCANTI, LAURA MOLTENI, NICOLA MOLTENI, MONTAGNOLI, MUNERATO, NEGRO, PAOLINI, PASTORE, PINI, PIROVANO, POLLEDRI, RAINIERI, RIVOLTA, RONDINI, SIMONETTI, STEFANI, STUCCHI, TOGNI, TORAZZI, VANALLI e VOLPI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
l'articolo pubblicato su Il Corriere della Sera del 26 gennaio 2010 riportava la notizia dell'inchiesta di Piacenza sui falsi inserimenti di pensionati negli elenchi dello Spi, il sindacato di categoria della Cgil;
da quanto riportato dal sopra citato articolo e da altri pubblicati sul quotidiano locale Libertà, alla cronaca di Piacenza, il caso si rivela nel mese di giugno 2009 quando un direttivo della camera del lavoro era stato convocato per discutere proprio di alcune anomalie segnalate nel tesseramento Spi ed approda sul tavolo della procura piacentina, a seguito di querele ed esposti da parte di pensionati che si sono ritrovati iscritti al sindacato senza averne mai fatto richiesta, scoprendolo solo dopo aver visto la relativa trattenuta sul cedolino dell'Inps;
la truffa consisteva nel comunicare all'Inps falsi nominativi di tesserati, al fine di ottenere i versamenti delle quote previste per ogni finto pensionato iscritto allo Spi-Cgil;
dalle notizie di stampa si apprende che ad oggi sono circa una sessantina gli iscritti «fantasma», ma si sospetta che possano essere molti di più, e che l'inchiesta abbia finora portato all'iscrizione nel registro degli indagati di quattro funzionari dell'organizzazione, con due ipotesi di reato: truffa e falsa scrittura privata;
per quanto concerne l'organizzazione sindacale, invece, la vicenda ha portato alle dimissioni del segretario provinciale dello Spi-Cgil, Franco Sdraiati, e all'elezione dell'attuale segretario organizzativo regionale della categoria, Rosario Zito: trattasi di un commissariamento «mascherato», perché, di fatto, il gruppo dirigente al centro della bufera continua a restare al comando del sindacato;
a parere degli interroganti, una delle cause che facilitano la messa in opera di simili truffe è da ricercarsi nella mancanza a legislazione vigente di un obbligo di rendicontazione in capo ai sindacati, a dispetto dell'esigenza di trasparenza e chiarezza richiesta a gran voce dai contribuenti italiani e da fiduciosi ed ingenui pensionati -:
se e quali verifiche sull'autenticità delle deleghe conferite siano svolte dagli enti previdenziali che procedono alla trattenute sindacali e quali iniziative, anche di carattere normativo, di propria competenza il Governo intenda adottare per rendere obbligatorie per i sindacati e le loro associazioni la redazione del bilancio di esercizio e la relativa pubblicazione, al fine di assicurare piena trasparenza ed informazione ai cittadini relativamente alle attività di interesse comune e alla gestione dei loro soldi.
(3-00902)
LORENZIN e BALDELLI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
la popolazione straniera presente in Italia al 1o gennaio del 2009 viene stimata in poco più di 4,8 milioni di unità - di cui 4,6 milioni provenienti da «Paesi a forte pressione migratoria» - con un incremento di circa mezzo milione rispetto alla stessa data del 2008;
il precedente Governo Berlusconi (2001-2006) e l'attuale hanno promosso una politica di immigrazione che si fonda su due dimensioni, che si sostengono reciprocamente: fermezza e rigore contro la clandestinità e integrazione fondata sul lavoro, sulla conoscenza e sul rispetto della nostra identità. Di questa politica la cosiddetta «legge Bossi-Fini» e i recenti provvedimenti sulla sicurezza costituiscono i presupposti fondamentali per contrastare l'immigrazione clandestina e regolare i flussi migratori, legandoli alle necessità economiche e sociali dell'Italia;
la gestione, ad avviso dell'interrogante, disastrosa di questo problema durante il precedente Governo Prodi ha prodotto confusione normativa ed erronei segnali di attrazione degli immigrati;
i modelli tradizionali europei di integrazione - quelli inglesi, olandesi e francesi - pure nella loro forte diversità, sono in grande difficoltà nella gestione del fenomeno dell'immigrazione e hanno generato serbatoi di conflitto sociale;
la Costituzione ha riconosciuto i valori fondanti della nostra identità nazionale nel rispetto del valore della vita e nella centralità della persona, in quanto essere in relazione, creando così la premessa per un equilibrato sistema di diritti e di doveri, adattati - come prescrive la nostra Carta costituzionale - alle condizioni di ciascuna persona;
gli immigrati arrivano in Italia con un progetto di vita che può essere dettato da diverse ragioni, per cui c'è chi vuole tornare a casa dopo avere imparato un lavoro o accumulato risparmi, c'è chi desidera invece fermarsi in Italia come tappa intermedia per un'altra destinazione e c'è chi spera di poter rimanere definitivamente;
il metodo dell'identità aperta offre la possibilità di un incontro autentico fondato sulla conoscenza e sul rispetto di ciò che il popolo italiano rappresenta, ricambiato con la sincera curiosità per l'altrui cultura e tradizione;
la legge 15 luglio 2009, n. 94, recante «Disposizioni in materia di sicurezza pubblica», ha introdotto l'articolo 4-bis del testo unico sull'immigrazione, che prevede un regolamento attuativo in cui vengono stabiliti i criteri e le modalità per la sottoscrizione da parte dello straniero, contestualmente alla presentazione della domanda di rilascio del permesso di soggiorno, di un accordo di integrazione, articolato per crediti, con l'impegno a sottoscrivere specifici obiettivi di integrazione da conseguire nel periodo di validità del permesso di soggiorno -:
quali siano i principi a cui il Governo intende attenersi nel disciplinare tale accordo
di integrazione e, più in generale, quali iniziative, nell'ambito dei profili di competenza del ministero del lavoro e delle politiche sociali, intenda adottare in materia di politica di integrazione, essendosi ora conclusa la fase di regolazione legislativa in materia di sicurezza e contrasto all'immigrazione clandestina.
(3-00903)
DE POLI, VIETTI, CICCANTI, MEREU, DELFINO, POLI, COMPAGNON, NARO, VOLONTÈ, PEZZOTTA e ANNA TERESA FORMISANO. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
si registra nel Paese una crescente protesta dei lavoratori che rischiano di perdere il posto e sono in aumento il numero di vertenze che stanno interessando industrie collocate su tutto il territorio nazionale;
dopo i lavoratori dell'indotto Fiat di Termini Imerese, rimasti sul tetto del capannone dell'azienda per dieci notti, dopo i dipendenti dell'ex Eutelia, che hanno portato la propria protesta in cima alla Mole Antonelliana, e dopo il blocco dell'aeroporto di Cagliari da parte degli operai dell'Alcoa, tre operai interinali dell'Alcatel lucent di Battipaglia si sono barricati all'interno dello stabilimento del salernitano e hanno minacciato di darsi fuoco, mentre a Castellammare di Stabia (Napoli) i lavoratori di Fincantieri hanno messo in atto un blocco stradale e altre industrie importanti, come il gruppo Antonio Merloni, sono al centro di vertenze sindacali;
il Veneto registra a breve distanza due casi spinosi: entro il 2010, infatti, la Glaxo, la multinazionale inglese Glaxo Smith Kline, ha annunciato la chiusura del centro di ricerche di Verona, uno dei più importanti centri di ricerca sulle neuroscienze, che occupa oltre 500 ricercatori;
giovedì 11 febbraio 2010, inoltre, è previsto un incontro al ministero dello sviluppo economico riguardante la vertenza Alcoa, che tutti auspicano essere «risolutivo» della vicenda, ma al di là di quello che sarà deciso in quella sede ed in attesa del pronunciamento della Commissione europea che dovrà stabilire se autorizzare le misure di cui al decreto-legge varato il 25 gennaio 2010, resta il fatto che il citato decreto-legge è diretto a permettere un risparmio sulle tariffe dell'energia elettrica in Sardegna e in Sicilia, non in Veneto. Quindi, se il decreto-legge ricevesse il consenso dell'Europa, potrebbe salvare l'impianto di Portovesme, ma non quello di Fusina, che occupa oltre cento operai diretti e altrettanti nell'indotto -:
quali iniziative urgenti intenda adottare per salvaguardare i livelli occupazionali delle aziende citate in generale e delle aziende venete in particolare.
(3-00904)
Interrogazione a risposta scritta:
EVANGELISTI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
i nuovi vertici di Seat, editrice delle Pagine Gialle, società leader in Italia (e tra le maggiori a livello europeo) nel mercato delle Directories e dei servizi informativi per le aziende e i cittadini, hanno, nel dicembre 2009, comunicato ai sindacati l'intenzione di procedere a un drastico taglio del costo del lavoro tramite il ridimensionamento dell'organico aziendale;
i dati numerici genericamente forniti in tale occasione parlano di un'eccedenza di circa 280 unità sul totale complessivo di 1216 dipendenti (dirigenti esclusi) in servizio a tempo indeterminato, organico suddiviso tra la sede centrale di Torino e altre 12 sparse sull'intero territorio nazionale, inclusa quella di Firenze con competenza sulla Toscana; la motivazione addotta dalla Seat è il persistere di una situazione di grave difficoltà di mercato connessa con la recessione in atto a livello italiano e europeo, tale da imporre un inevitabile ristrutturazione dei processi e flussi produttivi con conseguente riduzione delle risorse umane;
il sindacato, pur motivatamente dubbioso nel merito di queste argomentazioni, ha preso atto della posizione aziendale, chiedendo e ottenendo la sollecita apertura di un tavolo di trattativa finalizzato esplicitamente a ottenere che la prevista riconversione avvenga senza impatti traumatici sui dipendenti Seat, ovvero che la fuoriuscita del personale sia compiuta (come di fatto avviene da anni nel settore, grazie alle leggi specifiche a sostegno dell'editoria), senza il ricorso alla mobilità (di fatto, il licenziamento ammorbidito da una temporanea integrazione economica) bensì con il ricorso agli ammortizzatori sociali previsti dalla legge;
le prime risultanze del confronto non sono state però positive: poco dopo l'esame congiunto della terapia d'urto, vale a dire della verifica dei settori/sedi da ristrutturare la trattativa si è infatti interrotta. Ciò poiché la mancanza di garanzie di riqualificazione e ricollocamento in Seat per i lavoratori che non hanno i requisiti per il prepensionamento potrebbe portare soltanto all'utilizzo della cassa integrazione straordinaria per qualche anno con l'esito obbligato della mobilità in uscita;
di fatto, quindi, il comportamento aziendale pare confermare la volontà di estromettere definitivamente, sia pure in modo indiretto, il 20 per cento e oltre dell'organico anche tramite azioni unilaterali quali la paventata esternalizzazione di interi settori;
grande resta pertanto la preoccupazione tra i dipendenti Seat, tra i quali è ampia la fascia dei 40/50enni aventi di fatto, nell'attuale situazione economica, scarsissime possibilità di ricollocazione sul mercato del lavoro, circa il futuro proprio e delle proprie famiglie;
a ciò si aggiunga la constatazione che programmata «cura dimagrante» potrebbe realisticamente portare, nonostante i dinieghi aziendali, alla chiusura in tempi non lontani di numerose sedi, tra cui Firenze, aventi organico già da tempo pesantemente depauperato;
all'ansia si unisce l'amarezza nel constatare, come purtroppo capita spesso in Italia, che la gestione delle fasi di analisi e individuazione delle risorse in eccesso appare già compiuta e che verrà con ogni probabilità attuata dallo stesso management che non sembra propriamente aver raggiunto gli obiettivi di sviluppo aziendale;
è bene spiegare infatti che la maggioranza del capitale sociale è controllata da fondi di private equity i cui rappresentanti nel vertice societario non sembra abbiano attuato, e forse nemmeno voluto attuare, una corretta politica industriale, dedicandosi invece a una gestione finanziaria ad avviso dell'interrogante di impronta nettamente speculativa;
la Seat è infatti tuttora una società in regime quasi monopolistico nel proprio settore, capace di produrre, sia pure in maniera minore rispetto al passato, un elevato volume di utili, pari a circa la metà del fatturato, un flusso imponente di liquidità destinato però soprattutto a ripianare il consistente debito contratto con il sistema bancario che, a sua volta, ha sviato risorse preziose per la ricerca e gli investimenti -:
di quali informazioni disponga in merito alla questione sollevata in premessa;
quali interventi intenda adottare a sostegno dei dipendenti di una grande realtà produttiva italiana non certo compromessa o in crisi ma in grado di restare sul mercato e avere un futuro anche grazie alla competenza e professionalità di questi lavoratori.
(4-06069)
...
SALUTE
Interrogazione a risposta immediata:
MELCHIORRE, RICARDO ANTONIO MERLO e TANONI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
recenti notizie di stampa riportano come, a fronte di un numero sufficiente di
medici di famiglia, sul nostro territorio si riscontri una carenza di medici pediatrici di base oppure in servizio presso strutture ospedaliere;
purtroppo tali indicazioni sono suffragate ed argomentate dalla segnalazione dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato del 19 novembre 2009, indirizzata al Ministro interrogato, ove, in risposta ad un quesito circa l'assunta illegittima posizione di supremazia dei professionisti già attivi sul mercato rispetto a coloro che aspirano alla fornitura dei servizi pediatrici di base, si sollecita a livello nazionale «un ripensamento sulle modalità di calcolo del rapporto ottimale per l'individuazione del numero dei pediatri di base attivi in un dato ambito territoriale, al fine di rendere coerente la base di calcolo dello stesso con il numero dei bambini effettivamente assistiti dai pediatri di base»;
è bene ricordare che tale ridefinizione del rapporto ottimale tra numero di pediatri e piccoli pazienti non è avvenuto, ma, al contrario, in alcune realtà regionali si è addirittura derogato alla disposizione di carattere generale, secondo cui un pediatra può servire al massimo 800 bambini, con il risultato di penalizzare gli assistiti e di ridurre la qualità dei servizi medici prestati -:
quali iniziative sul fenomeno intenda porre in essere il Ministro interrogato, ai fini di una progressiva riduzione delle diseguaglianze sociali e territoriali in materia di salute, anche in relazione a quanto prescritto dall'articolo 1 del decreto legislativo n. 502 del 1992, restituendo alle famiglie italiane il diritto ad un'assistenza pubblica, qualificata ed efficiente per i loro bambini.
(3-00905)
Interrogazione a risposta scritta:
FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
stanno aumentando in misura esponenziale complicanze da filler, le cosiddette «iniezioni antirughe», provocando granulomi, infezioni e ascessi, circa centomila casi ogni anno; gli esperti, riuniti a Roma per le giornate di dermatologia estetica hanno rilevato un'incidenza del 10 per cento di granulomi nella sede dell'iniezione; nel 5 per cento di pazienti si è verificata la «riaccensione» di un'infezione erpetica, nel 7 per cento dei casi un'infezione batterica e nel 3 per cento ascessi;
in particolare l'allarme arriva dalla società italiana di dermatologia (SIDeMaST): degli oltre 150 prodotti a marchio CE oggi in commercio in Italia, per un giro d'affari di 200 milioni di euro, solo 7 sono stati approvati dalla Food and drugs administration negli Stati Uniti come farmaci;
un'indagine condotta dal centro interuniversitario di dermatologia-biologica e psicosomatica di Firenze su 1500 donne, svela che una procedura su quattro provoca conseguenze a lungo termine;
il problema nasce anche dal fatto che i filler non sono considerati veri e propri farmaci; bensì dispositivi medici al pari di un disinfettante: come tali non sono sottoposti a sperimentazioni cliniche che ne accertino efficacia e tollerabilità;
a fronte di questa scarsità di garanzie, la pratica non accenna a diminuire: nel nostro Paese i filler muovono un mercato stimato attorno ai 200 milioni di euro e ogni anno sono circa 500.000 gli uomini e oltre un milione e mezzo le donne fra i 30 e i 45 anni che si sottopongono alle iniezioni;
al filler si ricorre sempre prima: se fino a 5 anni fa l'età media si aggirava attorno ai 40-45 anni, oggi la prima iniezione arriva perfino entro i 30 anni;
la società scientifica ha già proposto alle autorità sanitarie che, come negli Stati Uniti, i filler vengano equiparati ai farmaci
iniettabili, così da avere finalmente maggiori garanzie per i pazienti che li scelgono -:
se non si ritenga di dover accogliere la proposta di equiparare i filler a farmaci iniettabili e di creare, in collaborazione con l'ordine dei medici e in accordo con le maggiori società scientifiche, un registro che certifichi gli specialisti accreditati.
(4-06059)
...
Apposizione di una firma ad una interrogazione.
L'interrogazione a risposta scritta Benamati e altri n. 4-05981, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 febbraio 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Rubinato.
Pubblicazione di un testo riformulato.
Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Naccarato n. 4-00702, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 36 del 16 luglio 2008.
NACCARATO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
la società C&C di Pernumia, in provincia di Padova, ha gestito dal 2001 un impianto per il recupero di ceneri pesanti per la produzione di un facsimile di calcestruzzo;
dal 2002 l'impianto è stato oggetto di controlli da parte dell'ARPAV a causa di fuoriuscite di materiale tossico con conseguenti dichiarazioni di non conformità dell'impianto stesso e inviti alla Provincia di Padova affinché fosse diffidata la ditta dall'effettuare attività di gestione rifiuti senza specifica autorizzazione;
nel 2004 la provincia di Padova, dopo aver diffidato (nell'ottobre del 2002) la società C&C in seguito ad accertamenti dell'ARPAV sui conglomerati prodotti dall'azienda, ha comunque incaricato la stessa società di occuparsi del recupero di rifiuti speciali, attività per la quale un ulteriore sopralluogo dell'ARPAV ha riscontrato ancora delle irregolarità in ordine all'impianto di aspirazione, ai camini, al laboratorio di analisi, al capannone utilizzato per immagazzinare i rifiuti ed anche alla quantità dei rifiuti in stoccaggio, ritenuta superiore a quella autorizzata;
tale sopralluogo dell'ARPAV ha indotto la provincia di Padova a diffidare nuovamente la C&C di Pernumia in due occasioni per stoccaggio di una eccessiva quantità di rifiuti;
tra il 2004 ed il 2005 si sono registrate proteste della popolazione e prese di posizione dei comuni contermini di Pernumia, Battaglia Terme e Due Carrare motivato dalla pericolosità del sito e delle attività di C&C;
nel febbraio 2005 sono stati rivenuti materiali tossici nei cantieri della linea dell'alta velocità Venezia-Milano e nel cantiere del cavalcavia Camerini a Padova che sono stati posti sotto sequestro dall'autorità giudiziaria perché inquinati dai conglomerati provenienti dalla C&C, inoltre è stato arrestato l'amministratore unico della società e posti agli arresti domiciliari alcuni collaboratori;
in particolare, l'amministrazione comunale di Padova ha impegnato una somma ingente, circa 1,5 milioni di euro, per procedere a proprie spese alla bonifica dei rifiuti tossici ritrovati nel cantiere del cavalcavia Camerini;
i rilievi ARPAV hanno confermato la pericolosità dei siti e dell'area della fabbrica e diverse proteste della popolazione hanno denunciato l'immobilismo della regione Veneto e della provincia di Padova in quanto enti preposti alla tutela del territorio;
in particolare, dalla data del 22 febbraio 2005, quando la C&C di Pernumia è stata posta sotto sequestro a seguito dell'apertura di un'inchiesta giudiziaria su un traffico illegale di rifiuti tossici che coinvolgerebbe il titolare dell'azienda, non si è ancora concretamente provveduto alla bonifica del capannone e dell'area esterna dove sorge la società, area attualmente occupata da una notevole quantità di rifiuti tossici;
ad oggi l'area resta fonte di rischi sanitari e pericoli ambientali per la popolazione, in particolare per gli abitanti dei tre comuni di Pernumia, Battaglia Terme e Due Carrare, posti in prossimità dell'azienda, per il fatto che gran parte dei rifiuti tossico-nocivi presenti nell'area è ancora esposta agli agenti atmosferici senza alcuna protezione;
solo alla fine del 2009, con la deliberazione della Giunta regionale n. 3456 del 17 novembre 2009, la Regione Veneto ha ufficialmente riconosciuto, seppure con notevole ritardo, la pericolosità dell'area ed ha quindi inserito il sito contaminato dove ha sede il capannone della società C&C di Pernumia (PD) nel «Piano regionale per la bonifica delle aree inquinate adottato con DGR n. 157 del 25 gennaio 2000» prevedendo, per la sola rimozione dei rifiuti, prioritaria ad ogni intervento di bonifica, una spesa complessiva di circa 12.000.000,00 di euro -:
se il Governo sia al corrente dei fatti sopra esposti, e quali azioni intenda porre in essere per garantire la salute dei cittadini e la completa bonifica dell'area.
(4-00702)