XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di mercoledì 21 luglio 2010

TESTO AGGIORNATO AL 4 AGOSTO 2010

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:

La Camera,
premesso che:
dopo Eni e Fiat, l'industria del gioco è stata, nel 2009, la terza in Italia. Tra lotto, superenalotto, win for life, lotterie e gratta e vinci, scommesse e slot machine, gli italiani hanno speso ben 53,4 miliardi di euro, che fanno 900 euro a testa, in media, per ogni italiano (neonati compresi);
la crescita continua a un ritmo inarrestabile (e preoccupante, da molti punti di vista). Nei primi 4 mesi del 2010 sono già stati raccolti 20,3 miliardi euro, il 15,4 per cento in più rispetto ai primi 4 mesi del 2009. Di questi 20,3 miliardi di euro, oltre il 50 per cento arriva dai cosiddetti apparecchi, ossia i video poker e le altre macchinette che si trovano nei bar. Una delle categorie più rilevanti però è quella del gioco online, in ascesa costante: poker, skill game, gratta e vinci, win for life, bingo, tutti ormai giocabili su internet. Da gennaio ad aprile hanno attirato 1 miliardo e 780 milioni di euro di giocate, il 51 per cento in più rispetto a un anno fa;
l'Italia alle prese con la crisi economica, il crollo dell'occupazione e dei posti di lavoro è tra i primi paesi in Europa per gioco d'azzardo;
uno studio presentato nel mese di giugno 2010 ad Aosta da Contribuenti.it, che con lo Sportello Antiusura monitora costantemente il fenomeno del gioco d'azzardo, rivela che nei primi quattro mesi del 2010 si è registrato un aumento delle perdite legate alla dipendenza da giochi e scommesse del 12,3 per cento. Rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente sono stati lasciati sul tavolo da gioco circa 550 milioni di euro in più;
nel nostro Paese il solo gioco legalizzato coinvolge circa 29 milioni di persone, di cui 7 milioni con frequenza settimanale, ogni giocatore sottrae 1.860 euro l'anno all'economia reale, lasciandoli sui tavoli da gioco;
il fenomeno è in crescita e interessa circa la metà degli studenti italiani, con un incremento maggiore tra le ragazze. Gratta e vinci, lotterie istantanee, scommesse sportive, lotto e superenalotto sono i giochi in denaro più praticati, il coinvolgimento dei minorenni è aumentato passando da 860 mila unità a 1,9 milioni;
in Italia, nonostante il gioco d'azzardo sia una dipendenza ufficialmente riconosciuta dalle comunità psichiatriche, non viene percepita come tale dallo Stato, al pari di altre dipendenze quali la droga o l'alcol;
l'Organizzazione mondiale della sanità riconosce nel gioco d'azzardo compulsivo una forma morbosa chiaramente identificata e sostiene che, in assenza di misure idonee d'informazione e prevenzione, può rappresentare, a causa della sua diffusione, un'autentica malattia sociale;
per arginare tale fenomeno sono necessarie misure restrittive nei confronti del gioco legalizzato, pari a quella sul divieto delle sigarette nei luoghi pubblici, la diminuzione dell'offerta di lotterie, il divieto del gioco d'azzardo online, l'aumento della tassazione sulle vincite al fine di renderle meno appetibili;
lo scopo delle istituzioni è quello di educare i cittadini e proteggere la loro salute, mentale e fisica non quello di indurli a giocare al poker o ad indebitarsi ed è evidente che il gioco d'azzardo non può e non deve essere una soluzione alle entrate nelle casse statali;
il gioco sta diventando l'ultima speranza per i milioni di italiani che, nonostante non arrivino a fine mese con le loro risorse, vi si affidano peggiorando le loro condizioni. Sono necessarie, pertanto soluzioni concrete e non nuovi giochi che periodicamente entrano sul mercato;

nel 2007, in Italia, i giochi online valevano «appena» 840 milioni di euro, valore quasi raddoppiato nel 2008, con 1.484 milioni (+76,7 per cento), e quadruplicato nel 2009, quando gli incassi arrivarono a 3.765 milioni di euro, con un incremento del 153,7 per cento;
nel 2010 le prime stime parlano di un ulteriore incremento del 10 per cento e di incassi complessivi per 60 miliardi di euro. Nel primo trimestre del 2010, gli italiani hanno già giocato online oltre 1.350 milioni di euro;
per tentare la fortuna su internet, verranno spesi 150 euro a testa: praticamente ciascun italiano maggiorenne spenderà, nel corso del 2010, ben 1.205 euro per dare la caccia alla dea bendata. In dettaglio, la spesa pro capite è passata dai 955 euro del 2008 ai 1.093 euro del 2009, con un incremento in questi tre anni del 26,2 per cento;
analizzando meglio solo i primi tre mesi del 2010, i maggiorenni italiani hanno già speso 307 euro a testa. Tra i tanti giochi quelli che hanno registrato la crescita più elevata sono dunque i giochi online: scommesse, totocalcio, totogol, gratta e vinci, bingo, superenalotto, win for life, ma soprattutto gli skill games, dove è re incontrastato il poker;
questi giochi attirano infatti oltre un milione e mezzo di appassionati. Sono circa 100 i siti autorizzati sui quali poter tentare la fortuna ed a fine anno, si stima che la raccolta potrebbe superare i 7 miliardi di euro. Solo nel 2009 il poker ha generato oltre 2,3 miliardi di euro, collocandosi al 5o posto nella classifica di tutti i giochi, sia online che tradizionali;
dal gioco online, nel 2009 l'erario ha beneficiato di oltre 140 milioni di euro, con una crescita del 94 per cento rispetto al 2008. I margini di crescita del gioco on line emergono anche dai raffronti con altri mercati «nuovi» abilitati dalle tecnologie digitali: a fronte di una crescita del 96 per cento del fatturato del gioco on line (2009 su 2008), abbiamo tassi pari al 15 per cento per il mercato delle televisioni digitali, al 6 per cento per la pubblicità online e al 3 per cento per i mobile Content&Internet;
a fine 2010 la tendenza ipotizzata vede un sorpasso del gioco on line sul cosiddetto eCommerce, cioè la vendita di prodotti e servizi effettuati tramite internet. A fine 2010 il gioco on line dovrebbe superare i 7 miliardi di euro l'eCommerce in Italia dovrebbe sfiorare i 6. Sono 2,8 milioni i conti di gioco movimentati almeno una volta nel corso del 2009. Mediamente, ogni mese, sono stati movimentati 835.000 conti e ne sono stati registrati circa 200.000 nuovi;
inoltre oggi le attività non legali dei giochi valgono la cifra altissima di oltre tre miliardi di euro e farà il suo ingresso entro fine 2010 anche il poker in modalità cash game;
la questione è molto grave per tutte quelle persone che praticano il gioco d'azzardo in modo sconsiderato, ma più grave è la questione dei «giocatori minorenni»; proprio in questi giorni, da un'indagine effettuata nella capitale, è emerso che su circa 300 minorenni (studenti), il 32 per cento scommette alle slot machine, video poker e gratti e vinci una somma che oscilla tra i 25/30 euro alla settimana, una forte conferma del rischio causato dal gioco d'azzardo per questa tipologia di giocatori, come si evince dai dati forniti dal «Centro dei diritti del cittadino», con un campione intervistato di 300 ragazzi che frequentano le scuole medie e superiori;
questi dati confermano un gioco non sporadico ma una preoccupante tendenza in continua crescita, con l'avvento di «win for life» che ha dato un vera spinta a questi giocatori minorenni. Le motivazioni dichiarate dai ragazzi intervistati sono così ripartite: il 15 per cento per noia, il 25 per cento gioca per sfidare la fortuna, il 30 per cento per riuscire a guadagnare del denaro per il week-end e il 22 per cento per il semplice divertimento;

tutto questo accentuato da una pubblicità dilagante sul web e in televisione che esortano tutti, dagli anziani ai ragazzini, a tentare la fortuna con ogni sorta di pretesto;
un ulteriore dato da tenere ben presente è che un ruolo assolutamente preminente della criminalità organizzata è ancora riscontrabile nel settore dei giochi e delle scommesse e nell'industria del divertimento. Secondo le stime Eurispes il fatturato dell'economia criminale è, nel suo complesso, di 175 miliardi di euro circa. Oltre agli introiti delle principali quattro organizzazioni criminali, l'Eurispes ha considerato anche il volume d'affari realizzato da realtà che contribuiscono all'economia illegale, ma che non hanno la stessa natura né la stessa struttura delle organizzazioni mafiose e che non sono ad esse riconducibili. Il gioco d'azzardo e dell'online non regolamentato e le scommesse clandestine occupano un posto di rilievo all'interno del giro d'affari considerato. È stato stimato sulla base documentale dell'Eurispes e monitorando l'attività delle forze di polizia, che il volume del gioco clandestino e delle scommesse illegali si attesterebbe intorno ai 23 miliardi di euro, che in termini percentuali rappresentano il 13,1 per cento dell'intero fatturato dell'economia criminale;
l'Eurispes stima inoltre che il gioco on-line, che permette di effettuare scommesse sportive, scommesse ippiche, nonché di giocare a poker e di «grattare» virtualmente i gratta e vinci, nella sua forma illegale raggiunga un volume d'affari di circa 5 miliardi di euro;
in molti Paesi europei, come in Italia, il controllo del gambling avviene mediante un sistema di autorizzazioni con tanto di lista nera degli operatori da escludere. Il blocco italiano risulta, tuttavia, soltanto formale: aggirando i blocchi operati sui DNS è ovviamente possibile accedere a qualsiasi operatore, tutto ciò operando però al di fuori della normativa nazionale e quindi con tutti i rischi che ne conseguono sia perdendo che vincendo capitale (lo stesso rientro di vincite illegittime potrebbe infatti risultare operazione complessa, problematica e non legale);
il 3 giugno 2010 la Corte di giustizia dell'Unione Europea, con due sentenze sulle cause Paesi Bassi - Ladbrokes e Paesi Bassi - Betfair in materia di monopolio dei giochi e offerta via web, ha ribadito come ogni singola Nazione possa scegliere in totale autonomia se fermare particolari attività di gambling online. Lo Stato membro che vieta l'offerta di giochi d'azzardo su internet, pertanto, non «viola la legislazione europea e la Corte di giustizia» al riguardo, rileva che restrizioni di questo genere possono essere giustificate in particolare da obiettivi come la tutela dei consumatori, la prevenzione delle frodi ed il contrasto ad una spesa eccessiva dei cittadini collegata al gioco nonché dalla prevenzione di turbative all'ordine sociale;
occorre una politica sul gioco pubblico in Italia che non solo si occupi di tutelare il profitto economico ed erariale, ma anche di valutare gli impatti negativi conseguenti ad un'incremento di investimenti dei cittadini in tali ambiti di spesa nei termini socioeconomici più ampi (ad esempio, sottraendo denaro ad altre tipologie di consumi meno effimeri e valutando l'incidenza di fenomeni patologici e criminali correlati). Al momento, parrebbe che le politiche sul gioco pubblico in Italia siano frammentarie e in mano agli operatori economici del settore (Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato in testa) piuttosto che al Governo, cui invece spetta l'armonizzazione di tutti gli aspetti di questo fenomeno complesso;
considerato che il gioco d'azzardo sta diventando una vera e propria illusione di guadagno facile per molte famiglie che si indebitano a causa della dipendenza psicologica dal gioco, bisogna assumere seri e immediati provvedimenti per arginare il continuo dilagare del fenomeno del gioco d'azzardo al fine di un reale rilancio dell'economia e per accompagnare il Paese

nel percorso di uscita dalla crisi economica,

impegna il Governo:

ad adottare iniziative atte a tutelare in maniera adeguata i giocatori e a contrastare la dipendenza da gioco d'azzardo;
ad avviare maggiori controlli più efficaci ed effettivi riguardo all'età dei giocatori, come anche misure per contrastare le manipolazioni delle scommesse sportive ed altri tipi di truffa in questo ambito;
ad avviare controlli più scrupolosi delle pratiche di richiesta di licenza per l'apertura di sale giochi e ad assumere iniziative finalizzate a predisporre precisi criteri restrittivi al fine di arginare i danni educativi determinati, soprattutto nei giovani, dalla pratica eccessiva di distrazioni connesse all'utilizzo di apparecchi automatici per il gioco;
a valutare l'opportunità di introdurre maggiori restrizioni in materia di monopolio dei giochi e offerta via web in relazione ad obiettivi prioritari quali la tutela dei consumatori, la prevenzione delle frodi, il contrasto ad una spesa eccessiva dei cittadini collegata al gioco nonché la prevenzione di turbative all'ordine sociale;
a promuovere iniziative di sensibilizzazione in ordine ai rischi collegati al gioco d'azzardo, attraverso campagne di informazione alla cittadinanza ed in particolare ai giovani.
(1-00418)
«Di Stanislao, Donadi, Messina, Barbato, Borghesi, Evangelisti».

Risoluzioni in Commissione:

La III Commissione,
premesso che:
come è noto, l'11 luglio del 1995 le truppe serbo-bosniache e i gruppi paramilitari entrarono nella città di Srebrenica macchiandosi dell'atroce delitto di genocidio nei confronti della popolazione bosniaca musulmana concentrata nella città;
l'occupazione militare, avvenuta in violazione della risoluzione n. 819 delle Nazioni unite, e le operazioni di pulizia etnica della città durarono meno di tre giorni;
il 13 luglio 1995 la presa di Srebrenica era stata completata dalle forze di Mladic e decine di migliaia di profughi musulmani, sopravvissuti al massacro, raggiungevano Tuzla, l'unica città che riuscì a mantenere una posizione di relativa neutralità nel corso del conflitto;
poche ore dopo l'ingresso delle forze serbe in città un numero molto alto di civili, scampati alle prime esecuzioni sommarie, si era riversato a Potocari, dove era stata fissata la base delle truppe dell'UNPROFOR;
circa 20.000 fu il numero di sparizioni, soprattutto uomini e giovani donne, mentre oggi sono circa 7000 i corpi che sono stati ritrovati dall'International Commission for Missing Persons (ICMP) nelle campagne circostanti le due enclavi di Srebrenica e Zepa;
il genocidio di Srebrenica, che è tristemente ricordato come il massacro più grave che l'Europa abbia conosciuto dalla seconda guerra mondiale, si è consumato in meno di 48 ore di fronte al colpevole immobilismo delle Nazioni Unite, della NATO e di tutti i Paesi europei;
a distanza di 15 anni dal conflitto in Bosnia ed Erzegovina, il processo di transizione democratica nel Paese incontra ancora numerosi ostacoli connessi alla difficile situazione di frammentazione interna e ibridismo istituzionale risultato dagli accordi di Dayton del 1995, che ha permesso alle maggiori forze nazionaliste di controllare di fatto intere regioni;
tuttavia, gli evidenti limiti della transizione democratica nel Paese sono strettamente legati alla situazione di sostanziale stallo del processo di riconciliazione in Bosnia;

nel contesto bosniaco, tale processo abbraccia tre dimensioni: una prima dimensione è certamente quella interna e riguarda principalmente la riconciliazione tra i tre gruppi etnico-religiosi bosniaci, musulmani, cristiani e ortodossi; la seconda dimensione riguarda la regione dei Balcani (Occidentali e si riferisce in particolare ai rapporti tra il governo centrale bosniaco e i Paesi confinanti, Serbia e Croazia, che in maniera diretta e indiretta hanno giocato un ruolo importante nel conflitto interno degli anni Novanta; la terza dimensione, infine, è quella internazionale e concerne direttamente i Paesi occidentali, rappresentati negli anni del conflitto bosniaco dall'intervento, inefficace e tardivo, delle forze delle Nazioni Unite (UNPROFOR) e della NATO;
in tale prospettiva, il processo di transizione democratica nel territorio bosniaco e nell'area dei Balcani Occidentali non può prescindere dal riconoscimento e dall'adozione di politiche volte alla riconciliazione articolate secondo le sue tre dimensioni, interna, regionale ed internazionale;
tuttavia, il processo di riconciliazione nella regione non può non passare per una presa di coscienza da parte della popolazione europea della propria responsabilità rispetto a quell'atroce tragedia;
in tale prospettiva, il 15 gennaio del 2009, il Parlamento europeo ha approvato la risoluzione P6-TA (2009) 0028 Srebrenica con cui chiede ai Governi europei e dei Balcani occidentali di riconoscere ufficialmente il giorno 11 luglio come la giornata della memoria della strage;
la risoluzione su Srebrenica approvata il 15 gennaio 2009 dal Parlamento europeo riveste un'importanza cruciale per le due dimensioni regionale e internazionale del processo di riconciliazione della Bosnia Erzegovina;
in particolare la risoluzione:
al punto 2) richiede al Consiglio e alla Commissione di commemorare in maniera appropriata il genocidio di Srebrenica attraverso il riconoscimento dell'11 luglio come giorno della memoria per le vittime di Srebrenica, per tutta l'Europa e per i Paesi dei Balcani occidentali;
al punto 4) sottolinea l'importanza della riconciliazione come parte del processo di integrazione europea, enfatizzando il ruolo svolto in tale processo da comunità religiose, media e sistema educativo;
al punto 5) raccomanda agli Stati membri dell'Unione europea e a quelli dei Balcani occidentali di adottare la suddetta risoluzione;
in tale risoluzione, il nesso tra memoria e processo di riconciliazione appare evidente. Inoltre, il Parlamento europeo raccomanda l'adozione di politiche volte alla memoria ed al riconoscimento anche ai Paesi membri dell'Unione, che hanno quanto meno la responsabilità morale derivante dalla mancata protezione della popolazione civile;
all'interno di questo quadro di riconciliazione con il passato e i fatti pertanto un ruolo essenziale un ruolo importante è pertanto affidato all'idea di memoria, in quanto la memoria rappresenta un monito teso a ricordare a tutta l'umanità e alle generazioni future che la dignità umana può essere violata e in modo così profondo e insopportabile;
la ricostruzione del lager di Auschwitz, con il suo percorso dedicato alla memoria ed al ricordo, così come il memoriale di Potocari o la riapertura dell'ESMA, hanno un profondo significato simbolico e storico che non appartiene solo alle vittime, ma che partendo da esse si estende a tutta l'umanità
il Governo italiano non ha ancora dato seguito alla risoluzione P6-TA (2009) 0028, pur avendo già riconosciuto giornate dedicate alla memoria (come nel caso del 27 gennaio, giornata di commemorazione per le vittime del nazionalsocialismo e del fascismo e dell'Olocausto, ai sensi della legge 20 luglio 2000, n.211);

negli ultimi due anni (11 luglio 2009 e 10 luglio 2010), l'Associazione dei bosniaci in Italia, Bosna u Scru, in collaborazione con la casa editrice Infinito Edizioni, il Center for ethics and global politics dell'università Luiss Guido Carli e il comune di Roma, ha organizzato eventi dedicati al ricordo di Srebrenica, seguendo le indicazioni del Parlamento europeo;
nonostante il successo di queste iniziative, purtroppo il riconoscimento di questa giornata da parte delle istituzioni italiane tarda ad arrivare;
tuttavia, esistono almeno tre ragioni importanti che dovrebbero indurre l'Italia all'attuazione della risoluzione;
in primo luogo, l'Italia, in quanto paese dell'Unione europea e membro delle Nazioni Unite e della NATO, ha il dovere morale e istituzionale di riconoscere le istanze delle vittime o delle famiglie di vittime di quella strage che ancora oggi vivono in Bosnia e chiedono giustizia e verità sul mancato intervento della comunità internazionale e sulle mancate risposte da parte dei Governi europei rispetto ad eventuali responsabilità internazionali del massacro, il dovere di mostrare rispetto e riconoscimento nei confronti delle migliaia di cittadini bosniaci che oggi vivono e lavorano nel nostro Paese, l'occasione per ribadire ancora una volta il valore della dignità di tutti gli essere umani, indipendentemente da razza, etnia o religione,

impegna il Governo

ad assumere le iniziative di competenza al fine di dare attuazione alla risoluzione del Parlamento europeo P6-TA (2009) 0028, Srebrenica con cui si chiede ai Governi europei il riconoscimento ufficiale dell'11 luglio come la giornata della memoria della strage.
(7-00377)
«Angeli, Narducci, Di Biagio, Berardi, Picchi, Garavini, Volontè, Lamorte, Vignali, Antonione, Favia».

L'VIII Commissione,
premesso che:
il 30 giugno 2010 si è svolta in piazza Montecitorio un'accesa manifestazione di inquilini degli immobili degli enti privatizzati ai sensi del decreto legislativo 30 maggio 1994, n. 509;
la manifestazione in questione è stata promossa per denunciare la grave situazione di disagio in cui versano gli affittuari di tali immobili a causa dell'attuale politica di aumento indiscriminato degli affitti. Tale situazione, colpisce lavoratori dipendenti e pensionati con aumenti di affitto in alcuni casi fino al 300 per cento, oltre alle dismissioni attuate dagli enti privatizzati o dalle fondazioni e dai fondi pensione delle banche a prezzi di mercato che rendono impossibile l'acquisto degli immobili messi in vendita;
nelle grandi città italiane, è stata attuata una politica che favorisce sempre di più la rendita immobiliare a danno degli inquilini, con il serio rischio di aggravare ulteriormente la crisi familiare di lavoratori, precari e pensionati;
il fenomeno speculativo sta eludendo le forme di tutela pubbliche poste a difesa delle persone meno abbienti, danneggiando ulteriormente i ceti sociali più deboli, impoverendo una larga parte del ceto medio, soprattutto le persone monoreddito, finendo per minare il diritto di abitare in alloggi a prezzi congrui e sostenibili;
l'imminente processo di dismissione dei patrimoni immobiliari da parte degli enti previdenziali privatizzati (Enasarco, Enpaia, Enpam, Enpaf, Enpav, casse nazionali di previdenza avvocati e procuratori legali, dottori commercialisti, geometri, ingegneri ed architetti liberi professionisti, del notariato, ragionieri e periti commerciali, Inpgi, Fondi pensione Unicredit e Fondi immobiliari come la Fimit) sta creando forti preoccupazioni per gli inquilini di tali enti, ma ancor di più potrà

creare forme di grave disagio familiare e sociale, con serie ripercussioni sull'ordine pubblico delle città interessate;
infatti, in caso di vendita degli immobili, gli stessi inquilini saranno obbligati ad acquistare a condizioni proibitive (prezzi di mercato) gli appartamenti in cui vivono con regolare contratto da decenni, altrimenti vedranno venduto a terzi l'immobile dagli stessi occupato con conseguente sfratto esecutivo da parte dei nuovi proprietari, che chiederanno canoni di locazione insostenibili pur di veder liberato l'immobile acquistato;
invero, gli enti previdenziali rimasti pubblici (Inps, Inpdap, e altri) aggravano ulteriormente l'emergenza abitativa, visto che possiedono ancora un consistente patrimonio, in parte, inutilizzato o addirittura non affittato;
le dismissioni degli alloggi di enti pubblici e privati, insieme ad una incontrollata politica degli affitti, sta contribuendo inevitabilmente ad aggravare l'emergenza abitativa, con oltre 430.000 famiglie in difficoltà per il costo dei mutui e oltre 230.000 sfratti di cui - nelle regioni del nord e nelle grandi città - quasi il 90 per cento per morosità;
appare evidente che ci si trova di fronte al verificarsi di un'allarmante situazione sociale, che non può essere sottovaluta per le gravi conseguenze che potrebbe scatenare con l'aggravarsi della crisi economica;
il riconoscimento del diritto di prelazione a favore degli inquilini ed, in via subordinata, tale riconoscimento in favore degli enti locali competenti per territorio potrebbe dare la possibilità alle istituzioni di calmierare il mercato e di conseguenza abbassare i prezzi degli affitti, evitando così speculazioni immobiliari che comporterebbero per lo Stato un gravoso costo nel corso del tempo;
l'articolo 2, comma 4, del decreto legislativo 16 febbraio 1996, n. 104, in materia di dismissioni del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali pubblici e di investimenti degli stessi in campo immobiliare, aveva previsto che la conclusione dei procedimenti relativi alla cessione totale degli immobili avvenisse nel termine massimo di 5 anni, eccezione fatta per gli immobili di cui l'ente conservava la titolarità;
successivamente, l'articolo 1, comma 1, del decreto-legge 23 febbraio 2004, n. 41, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2004, n. 104, ai fini della fissazione delle modalità di determinazione del prezzo di immobili pubblici oggetto di cartolarizzazione, prendeva a riferimento i valori di mercato del mese di ottobre 2001. Per effetto di tale ultima disposizione, gli enti che avevano venduto, dopo il 2001 e fino al 2004 a prezzi maggiorati, venivano chiamati a risarcire i propri inquilini;
le previsioni contenute nei citati provvedimenti normativi del 1996 e del 2004, specificamente mirate alla realizzazione di una dismissione equa e corretta per la proprietà e per gli inquilini, non sono state in grado però di favorire il risanamento finanziario dei relativi enti privatizzati;
una norma di interpretazione autentica approvata nel 2004 ha messo in discussione il chiaro quadro di riferimento normativo fino ad allora vigente in materia di cessione degli immobili degli enti privatizzati;
in effetti, il comma 38 dell'articolo 1 della legge 23 agosto 2004, n. 243, ha disposto che l'articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 16 febbraio 1996, n. 104, si interpreta nel senso che la disciplina afferente alla gestione dei beni, alle forme del trasferimento della proprietà degli stessi e alle forme di realizzazione di nuovi investimenti immobiliari contenuta nel medesimo decreto legislativo, non si applica agli enti privatizzati ai sensi del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, ancorché la trasformazione in persona giuridica di diritto privato sia intervenuta successivamente alla data di entrata in vigore del medesimo decreto legislativo n. 104 del 1996;

la norma recata dal suddetto comma 38 dell'articolo 1, della legge 243 del 2004 ha dato il via libera agli enti interessati a procedere ad una operazione di dismissione del proprio patrimonio immobiliare a prezzo di mercato, con valori correnti e non più riferiti al 2001 ed a rinnovi dei contratti di locazione con aumenti dei canoni fino al 100 per cento (non più inferiori a quelli di mercato), con conseguenti rischi di sfratto per tutti gli inquilini non disposti ad accettare le nuove locazioni a causa dei prezzi insostenibili;
in base ad accordi sottoscritti tra diversi enti privatizzati ed alcuni sindacati di inquilini nel settembre 2008, è stato adottato un criterio secondo cui gli appartamenti potranno essere venduti agli inquilini ad un prezzo al metro quadrato che prende a riferimento il valore medio stabilito dall'Agenzia del territorio sulla base degli accordi territoriali;
va sottolineato però che tale valore medio risulta essere più elevato di quello normalmente praticato dalle più importanti agenzie immobiliari operanti nelle zone di riferimento. Ciò in quanto l'Agenzia del territorio, ai fini della determinazione del citato importo medio, tiene conto unicamente dei dati relativi alle compravendite effettivamente conclusesi e perciò non considera la forte contrazione delle vendite, registratasi negli ultimi anni, che ha provocato la diminuzione in maniera consistente del prezzo degli immobili;
in determinati casi, a coloro ai quali è scaduto o è in scadenza il contratto di locazione, viene proposto dagli enti o fondazioni interessati un aumento che di norma va dal 50 al 300 per cento del canone in vigore, con la richiesta di migliaia di euro di arretrati a titolo di indennità di occupazione;
in un tale contesto, si verifica il rischio più che concreto di evidenti disparità di trattamento tra gli inquilini degli enti che hanno correttamente rispettato i tempi e gli obblighi statuiti dal decreto legislativo n. 104 del 1996 e quelli appartenenti agli enti che, invece, si sono successivamente privatizzati e sono riusciti in maniera retroattiva a beneficiare dell'interpretazione di cui al comma 38 dell'articolo 1 della legge 23 agosto 2004, n. 243;
in caso fosse attuata la dismissione di unità immobiliari ad uso residenziale a prezzi di mercato correnti (e non riferiti ai valori del 2001), si verificherebbe che, ad esempio, un conduttore di un immobile di un ente pubblico, poi privatizzato, dovrebbe pagare un prezzo 3 o 4 volte superiore rispetto a quello riservato ad un altro inquilino che in passato ha già acquistato un immobile con identiche caratteristiche, ma di proprietà di un ente pubblico;
sarebbe necessario porre un rimedio alle conseguenze prodotte dall'attuazione delle disposizioni interpretative recate dal comma 38 dell'articolo 1 della legge 23 agosto 2004, n. 243;
andrebbero intraprese iniziative atte a garantire una maggiore tutela di tutti gli inquilini che non possono comprare le unità immobiliari degli enti previdenziali privatizzati, attraverso il meccanismo del social housing sul patrimonio immobiliare già esistente, riconoscendo il diritto di prelazione agli enti locali dove sono ubicati gli immobili, i quali potranno decidere in situazioni di emergenza abitativa di acquistare gli immobili anche attraverso le aziende ex I.A.C.P. competenti per territorio, ciò anche al fine di favorire un'azione calmieratrice dei prezzi a salvaguardia delle fasce sociali più deboli, in particolare i portatori di handicap e gli ultrasessantacinquenni, e del ceto medio, impedendo nuove cementificazioni. Nello stesso tempo occorrerebbe stabilire prezzi definiti di vendita degli immobili, in maniera da evitare speculazioni e facendo riferimento alle medesime condizioni già applicate dagli enti pubblici;
occorrerebbe permettere il rinnovo dei contratti in scadenza o già scaduti

senza maggiorazioni o con maggiorazioni assai più contenute,

impegna il Governo:

ad intraprendere ogni iniziativa urgente, se del caso di natura normativa, atta a risolvere le problematiche manifestate dagli inquilini delle unità immobiliari ad uso residenziale degli enti privatizzati ai sensi del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509;
a valutare la necessità di promuovere ad una ridefinizione della normativa vigente in materia di gestione e alienazione di alloggi degli enti previdenziali privatizzati, allo scopo verificando l'opportunità di istituire un tavolo tecnico, con la partecipazione anche degli enti locali, dei prefetti, degli enti privatizzati, dei sindacati e dei comitati degli inquilini, con il compito di individuare soluzioni volte alla protezione dei diritti e degli interessi legittimi degli attuali conduttori degli immobili di cui trattasi, segnatamente di quelli in corso di dismissione;
ad adottare iniziative normative urgenti che prevedano, nell'immediato ed eventualmente fino a che non siano state attivate azioni risolutive, la sospensione delle procedure di alienazione dei predetti immobili, degli aumenti dei canoni connessi ai rinnovi contrattuali, nonché delle procedure di sfratto in corso.
(7-00378)
«Alessandri, Piffari, Guido Dussin».

La XII Commissione,
premesso che,
la carenza di un quadro informativo nazionale aggiornato sulla rete dei servizi mentali in Italia, sulle attività svolte, sulla spesa sostenuta, sull'appropriatezza dei percorsi assistenziali, e sugli esiti di salute delle persone con disturbi psichiatrici;
nella recente relazione sulla situazione sanitaria nel Paese (Ministero Salute, dicembre 2009) testualmente si legge: «La disponibilità di informazioni sulla salute mentale della popolazione generale è ancora alquanto carente nel nostro Paese» e nella stessa relazione l'unico riferimento ad indagini di popolazione è allo studio collaborativo ESEMED, condotto nel 2002, nel quale peraltro non veniva rilevata la prevalenza dei disturbi psichiatrici gravi (schizofrenia, psicosi maniaco-depressiva);
le stesse informazioni sulle strutture assistenziali operative nel Paese (censimento del Ministero della salute) sono aggiornate al 2001, con un aggiornamento per il personale in servizio al 2007; i dati derivanti da studi ad hoc (PROGRES residenze, acuti-SPDC e CSM) risalgono a rilevazioni effettuate rispettivamente al 30 giugno 2000, al dicembre 2002 ed al 2005-2006, secondo quanto riportato nelle relazioni conclusive. Tali informazioni sono negli ultimi anni significativamente mutate, segnando aneddoticamente un trend in negativo verso la riduzione dei posti-letto pubblici e del personale in servizio;
sono disponibili dati più aggiornati derivanti dai sistemi informativi implementati da alcune regioni (ad esempio Lombardia, Lazio, Veneto, Emilia-Romagna) e, tuttavia, ciò non conferisce al legislatore la necessaria visione d'insieme sulla cui base assumere decisioni di politica sanitaria nazionale;
scarse o del tutto assenti, infine, sono le informazioni relative ai processi assistenziali ed alla loro appropriatezza. L'unico indicatore sistematicamente rilevato è costituito dai ricoveri con diagnosi principale psichiatrica e dalla frequenza relativa di ricoveri per trattamento sanitario obbligatorio. I dati più recenti in proposito risalgono al 2006;
solo nel maggio 2010 è stato predisposto ed inviato per il parere della Conferenza Stato-regioni il decreto «Istituzione del sistema informativo salute mentale» che colmerà le lacune informative

citate, ma che produrrà informazioni utili alla programmazione non prima del 2012,

impegna il Governo

a predisporre un rapporto aggiornato sulla salute mentale, da realizzarsi ad hoc anche mediante rilevazione di un set omogeneo di informazioni presso le regioni e province autonome.
(7-00375)
«Farina Coscioni, Beltrandi, Bernardini, Mecacci, Maurizio Turco, Zamparutti».

La XIII Commissione,
premesso che:
l'Ente nazionale delle sementi elette gestiva, prima della soppressione prevista dal decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, importanti compiti connessi allo svolgimento, sotto la vigilanza del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, degli adempimenti derivanti dall'applicazione delle norme comunitarie e nazionali;
la normativa sopra citata disciplina la produzione e la commercializzazione dei prodotti sementieri, e prevede specifiche metodologie circa la certificazione ufficiale dei prodotti sementieri, le analisi e i controlli qualitativi delle sementi e delle piantine di ortaggi, gli esami tecnici per il riconoscimento varietale e brevettuale delle novità vegetali, le prove di controllo di campo e di laboratorio previste per l'iscrizione nel registro nazionale delle varietà vegetali;
sebbene le funzioni delle Ense siano ora affidati all'Inran, Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione, è indispensabile per l'agricoltura italiana un organismo che non soltanto vigili sulla produzione e la commercializzazione dei prodotti sementieri, ma che promuova la ricerca nel settore che appare, anche nell'evoluzione delle politiche agricole su scala globale, un elemento strategico per il futuro;
a riprova dell'utilità di un ente che possa divenire punto di riferimento del settore, è bene guardare all'esperienza maturata dall'Ense, che non beneficiava di alcun contributo ordinario da parte dello Stato avvalendosi esclusivamente di risorse derivanti dai proventi delle prestazioni di certificazione e di altre attività, quali specifiche analisi, attività di ricerca e sperimentazione concernenti il materiale sementiero, attività di varia natura, svolte in convenzione con diverse amministrazioni regionali e con altri soggetti pubblici e privati;
estendendo l'attività di un nuovo organismo di settore anche al campo della ricerca, puntando alla produzione di colture innovative, il potenziale economico insito nel campo delle sementi potrebbe essere ancor meglio sfruttato,

impegna il Governo

a promuovere un intervento statale diretto nel settore della produzione, commercializzazione e ricerca, specie in ambiti innovativi, dei prodotti sementieri, creando strutture ad hoc per valorizzare pienamente un comparto che si profila essere strategico per l'agricoltura italiana.
(7-00376) «Bellotti».

TESTO AGGIORNATO AL 10 FEBBRAIO 2011

...

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA
DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:

Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il

Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, per sapere - premesso che:
l'amministrazione militare statunitense sta mettendo in atto un processo di «adeguamento dell'organico» che riguarda le basi NATO presenti su tutto il territorio nazionale;
conseguentemente a tale processo il comando delle Forze armate americane ha avviato le procedure di licenziamento del «personale non più necessario come supporto alle attività di comando», i posti di lavoro a rischio sono alcune centinaia e il caso più grave riguarda la base militare della Marina statunitense situata a Sigonella, in provincia di Catania, in cui sarebbero 62 gli addetti a perdere il posto di lavoro;
dal momento che la notizia degli imminenti licenziamenti è stata comunicata alle parti sindacali, sono state numerose le agitazioni presso le basi militari e le mobilitazioni svoltesi su tutto il territorio nazionale;
le organizzazioni sindacali denunciano, inoltre, il mancato rispetto degli accordi internazionali, quali il SOFA agreement che prevede che la manodopera utilizzata nelle basi NATO sia locale;
secondo i rappresentanti dei lavoratori verrebbe assunto, in maniera del tutto illegittima e senza le necessarie autorizzazioni, personale di cittadinanza statunitense, attraverso agenzie di somministrazione di manodopera, verrebbe utilizzato personale di ditte americane che prestano la loro opera all'interno della base e sarebbe stato bandito un concorso per l'assunzione di 45 unità di personale statunitense presso la base di Sigonella, in provincia di Catania -:
se si intenda riconoscere ed in quali tempi l'applicazione dei benefici di cui alla legge n. 98 del 1971, e successive modificazioni ed integrazioni, al personale delle basi Nato, presenti in Italia, per cui le Forze armate americane hanno avviato le procedure di licenziamento;
quali iniziative si intendano assumere al fine di riconoscere ai lavoratori italiani della base militare della Marina statunitense situata a Sigonella, in provincia di Catania, i benefici della legge n. 98 del 1971, e successive modificazioni ed integrazioni, dal momento che sul territorio interessato il numero di uffici periferici dello Stato sarebbe insufficiente ad assorbire le 62 unità di personale non più necessario come supporto alle attività di comando della base militare;
se corrisponda al vero quanto denunciato dalle organizzazioni sindacali che lamentano il mancato rispetto degli accordi internazionali, quali il SOFA agreement, e della disciplina in materia di licenziamenti collettivi di cui alla legge n. 223 del 1991 e successive modificazioni ed integrazioni.
(2-00794) «Berretta».

Interrogazione a risposta orale:

ABRIGNANI e CARLUCCI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
nel giudizio elettorale, instaurato innanzi al tribunale amministrativo regionale del Lazio (R.G. n. 3873/2010) da un gruppo di consiglieri regionali appartenenti al Partito Democratico (primo firmatario l'onorevole Esterino Montino), diretto ad ottenere l'annullamento delle operazioni elettorali svoltesi nella regione Lazio, nella parte in cui, in applicazione del premio di maggioranza previsto dalla legge n. 108 del 1968, sono stati attribuiti tre seggi soprannumerari rispetto alla previsione statutaria, è stato nominato quale giudice relatore il consigliere Raffaello Sestini, il quale nella trascorsa legislatura ha ricoperto l'incarico di capo dell'ufficio legislativo dell'allora Ministro dello sviluppo Economico onorevole Pierluigi Bersani (attualmente segretario nazionale della stessa formazione politica in cui militano i ricorrenti);

il collegio giudicante, chiamato a pronunciarsi preliminarmente su di una questione di carattere meramente processuale, nel disporre l'integrazione del contraddittorio (con ordinanza n. 2568/10, di cui risulta estensore lo stesso consigliere Sestini) ha compiuto in via incidentale, ad avviso dell'interrogante, un'irrituale delibazione preventiva delle opposte tesi di merito, prefigurando con un'inammissibile anticipazione di giudizio (dissimulata dalla dichiarata sommarietà della valutazione) l'esito della lite;
non si può non sottolineare il forte impatto politico che tale decisione comporterà sulla maggioranza attualmente presente alla Regione Lazio -:
se non si intendano adottare iniziative normative affinché siano stabilite incompatibilità più stringenti per i magistrati collocati fuori ruolo che prestino servizio presso gli uffici di diretta collaborazione di organi politici.
(3-01195)

Interrogazioni a risposta scritta:

MONAI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
ai cittadini italiani esuli dalle terre già italiane dell'Istria, Fiume e Dalmazia e ai connazionali rimpatriati dai territori coloniali (Grecia, Libia, Eritrea, Somalia e altri) al termine del secondo conflitto mondiale è riconosciuta la qualifica di «profugo italiano», ovverosia cittadini appartenenti ad una categoria sociale protetta;
i profughi giuliano-dalmati sono ai sensi della legge 30 marzo 2004, n. 92, istitutiva del «Giorno del ricordo», concittadini costretti - tra violenze psicologiche e fisiche di ogni tipo che non possono non generare orrore ancor oggi, sia pure a distanza di decenni da quei tragici eventi - ad abbandonare un universo identitario di quei beni essenziali dell'uomo quali la casa, i terreni, i mezzi di sostentamento, la chiesa dove si è stati battezzati o il cimitero dove riposano i propri avi, la libertà di pensare e di esprimersi nella lingua madre, di parlare il dialetto dei genitori e dei nonni, costretti, in sintesi, ad abbandonare le proprie «radici» identitarie;
in attuazione del trattato di pace di Parigi del 10 febbraio 1947, l'Italia avrebbe dovuto pagare 125 milioni di dollari alla Jugoslavia quale debito di guerra per l'aggressione militare del 6 aprile 1941. Tutti gli averi dei concittadini istriani, fiumani e dalmati, sequestrati dal regime totalitario jugoslavo di Tito, sono serviti all'Italia per pagare tale debito di guerra: il debito di tutta una Nazione, pagato solo da una piccolissima parte di italiani, gli esuli giuliano-dalmati;
in attuazione del principio di solidarietà sociale recato dagli articoli 2 e 38 della Costituzione italiana e nell'ottica dello sviluppo della personalità del cittadino, del suo inserimento in una formazione sociale che si identifica nel concetto di Nazione italiana, sono state riservate nel tempo, attraverso numerose leggi emanate dal dopoguerra ad oggi, alcune provvidenze e benefici ai profughi italiani, proprio per garantire il giusto loro reinserimento nella società, in esecuzione dei princìpi contenuti nella Costituzione;
tra le provvidenze destinate ai profughi il riconoscimento del «diritto alla casa» ha sempre assunto un ruolo di notevole rilievo. Soddisfatta una prima provvisoria accoglienza in appositi «campi profughi» (per lo più si trattava allora di ex vecchie caserme, grandi camerate fatiscenti dove la privacy non esisteva: tutt'al più veniva difesa da un lenzuolo, da un telo mimetico; dove la temperatura arrivava a parecchi gradi sotto zero e non c'era riscaldamento; dove era difficile lavarsi con la poca acqua, quando non era ghiacciata; dove purtroppo si sono verificati casi di bambini e neonati morti per fame e per freddo: a prova di ciò basti pensare al campo profughi di Padriciano presso Trieste, dove il presidente dell'Unione degli istriani, dottor Massimiliano Lacota ha realizzato di recente un apposito museo), lo Stato italiano ha successivamente

provveduto ad assicurare una qualche sistemazione abitativa attraverso due forme di assistenza: la costruzione, in via diretta, di fabbricati popolari da destinare esclusivamente ai profughi (articolo 18 della legge n. 137 del 1952: immobili di proprietà statale, affidati in gestione agli I.A.C.P.);
la costituzione di una «riserva» a favore dei profughi e delle loro famiglie, di una quota pari - prima al 15 per cento e poi al 20 per cento - sulle assegnazioni di alloggi pubblici costruiti da enti competenti in materia di edilizia residenziale pubblica (I.N.C.I.S., I.A.C.P., U.N.R.R.A.-CASAS; articolo 17 della legge n. 137 del 1952);
le summenzionate due forme di assistenza sono state poi prorogate da leggi successive;
accanto a varie norme dettate al soddisfacimento del bisogno abitativo per i profughi rivestono rilevante importanza anche le disposizioni concernenti l'alienazione ai profughi degli alloggi popolari ad essi assegnati;
tra queste, la legge n. 560 del 1993, articolo 1, comma 24, che prevede che il cittadino in possesso della qualifica di «profugo» possa acquistare l'abitazione avuta in assegnazione beneficiando delle condizioni di miglior favore, ovverosia di un prezzo pari al 50 per cento del costo dell'alloggio alla data della sua costruzione;
tale norma è stata oggetto di accesi dibattiti, di interpretazioni «restrittive ed estensive»;
tra le «restrittive» è da ricordare la sentenza della Corte di cassazione n. 13949/1999, che limitava il beneficio in questione ai soli profughi assegnatari di alloggi realizzati per essi (articolo 18 della legge n. 137 del 1952 immobili di proprietà del demanio);
tra le «estensive» il parere del Consiglio di Stato n. 17611997 del 10 dicembre 1997 e la circolare del Ministero delle finanze n. 73202 del 14 aprile 1999 che consideravano il beneficio del prezzo di favore riconosciuto indistintamente a tutti i profughi assegnatari di alloggi pubblici, comunque realizzati (con o senza finanziamento dello Stato) e a prescindere dalla natura dell'ente pubblico proprietario (I.A.C.P., A.T.E.R., regione, comune e altri): dunque anche agli assegnatari «riservisti» cioè gli assegnatari della riserva di alloggi pubblici in forza dell'articolo 17 della legge n. 137 del 1952 e dell'articolo 34 della legge n. 763 del 1981;
successivamente la legge 23 dicembre 2000, n. 388, articolo 45, comma 3 (legge finanziaria 2001) ha fornito l'interpretazione autentica alla norma oggetto di dibattiti sempre accesi e di interpretazioni discordanti;
a seguito del protrarsi delle confusioni interpretative e del conseguente delinearsi di «applicazioni» e contestuali «non applicazioni», delle leggi dello Stato e di leggi regionali, la Presidenza del Consiglio dei ministri ha emanato un'apposita direttiva in data 21 febbraio 2002, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 5 marzo 2002, n. 54 concernente la «Cessione di alloggi ai profughi» di cui alla legge n. 137 del 1952, in applicazione dell'articolo 45, comma 3, della legge 23 dicembre 2000, n. 388. Anche questa direttiva è stata oggetto di interpretazione «restrittiva» (TAR Lazio nel 2003, riformato dal Consiglio di Stato nel 2005) ed «estensiva» (Consiglio di Stato nel 2005);
in definitiva, si sono ripetuti numerosi episodi di interpretazioni contrapposte dando origine a gravissime disparità di trattamento sia tra gli esuli giuliano-dalmati che tra i profughi rimpatriati dalle ex colonie di Africa, Grecia e altre;
al riguardo merita osservare che in alcune località della Valle d'Aosta, Lombardia e Sardegna tutti i profughi, indistintamente (articoli 17 e 18 della legge n. 137 del 1952) hanno potuto acquistare l'alloggio beneficiando delle condizioni di miglior favore (legge n. 560 del 1993 - articolo 1, comma 24); a Bologna il consiglio

comunale ha deciso, con apposita delibera del 2006, di applicare «estensivamente» la normativa statale. E va anche sottolineato che proprio il comune di Bologna ha restituito ai profughi di cui agli articoli 17 e 18 della legge n. 137 del 1952 la maggiore somma da essi versata in più a suo tempo; nella regione Toscana le leggi dello Stato n. 560 del 1993 e n. 388 del 2000, la Direttiva della Presidenza del Consiglio dei ministri del 21 febbraio 2002 e la legge regionale del 2 novembre 2005, n. 59, sono state diversamente applicate nelle varie località a seconda dell'interpretazione degli enti gestori o delle autorità comunali. Infatti, all'invito rivolto agli enti gestori degli alloggi da parte della regione ad un'applicazione senza limitazione alcuna oggettiva o soggettiva, ma nel pieno rispetto della summenzionata normativa, hanno risposto positivamente Pistoia, Livorno, Siena, Massa Carrara, Poggibonsi ed altri. A Firenze invece, dove nel 2006 la giunta decise con propria delibera di «soprassedere» alla legge n. 59 del 2005 della regione Toscana, persiste a tutt'oggi l'atteggiamento di aperta ostilità alla normativa richiamata, di netto rifiuto alla richiesta di 32 famiglie di profughi «riservatari» (articolo 17 della legge n. 137 del 1952) di acquistare l'alloggio con i benefici di cui alla legge n. 560 del 1993, articolo 1, comma 24 (e molti di loro hanno versato a suo tempo l'anticipo ad essi appositamente richiesto dall'ente gestore); nel Lazio (Roma e Latina) meritano attenzione due particolari casistiche: a Roma, zona Eur/Laurentino - quartiere giuliano-dalmata, i profughi (articolo 18 della legge n. 137 del 1952) hanno potuto acquistare - già prima del 1995 e negli anni a seguire - l'abitazione di proprietà del demanio, alle condizioni di miglior favore (il prezzo medio di ciascun alloggio si è aggirato sulle 400.000-500.000 lire, pari a circa 250 euro attuali). Contestualmente, nella stessa Roma, nel quartiere Delle Vittorie, vi è, a quanto consta all'interrogante, l'unico caso di un anziano profugo istriano «riservatario» (e per di più sofferente di patologia oncologica maligna), assegnatario di un alloggio ex I.N.C.I.S. militare - divenuto poi I.A.C.P. (1973) e successivamente A.T.E.R. - che dopo aver chiesto (la prima delle numerose richieste risale al 1995) di acquistare l'alloggio ai sensi della legge n. 560 del 1993, articolo 1, comma 24, è stato costretto - stante l'alta probabilità di uno sfratto improvviso - ad acquistarlo nel marzo 2002 al prezzo di mercato, facendo ricorso ad un mutuo. Al riguardo, merita osservare che, precedentemente, il commissario straordinario dello I.A.C.P. si era pronunciato a favore della richiesta del beneficio inoltrata dal summenzionato profugo; il funzionario addetto alla vendita aveva peraltro fermamente mantenuto una posizione opposta, rifacendosi ad una sentenza «restrittiva» della Corte di cassazione del 1999; la regione Lazio aveva quindi invitato (13 marzo 2002) lo I.A.C.P. ad applicare le condizioni di miglior favore previste dalla normativa (legge n. 560 del 1993, comma 24; legge n. 388 del 2000, articolo 45, comma 3; legge n. 763 del 1981, articolo 34); il profugo ha infine concluso l'atto di compravendita inviando un apposito «atto di significazione» allo I.A.C.P., a mezzo ufficiale giudiziario (acquisto dell'immobile, con riserva di riavere la maggiore somma versata in più, in attuazione dei summenzionati provvedimenti di legge). A tutt'oggi, tale cittadino spera di ottenere giustizia prima di passare a miglior vita. Il secondo caso nel Lazio e tuttora irrisolto è a Latina: qui una decina di famiglie di profughi giuliano-dalmati ebbero inizialmente assegnato un alloggio popolare. Successivamente, le palazzine furono ricostruite in zona viciniore e ai profughi fu data così una nuova assegnazione;
la legge n. 560 del 1993 pare quindi disapplicata: risulta infatti che la così definita «nuova assegnazione» non sia riconducibile alle condizioni previste dalla normativa;
la legge dello Stato n. 137 del 1952 (provvidenze a favore dei profughi italiani) ha curato di assicurare un alloggio ai connazionali esuli dalle terre cedute dall'Italia alla ex Jugoslavia a seguito della fine del secondo conflitto mondiale nonché ai

profughi rimpatriati dalle ex colonie (Libia, Grecia e altre), prevedendo la realizzazione di case destinate in via esclusiva ai profughi (articolo 18) o «riservando» (articolo 17) ad essi una quota degli alloggi di proprietà dei vari enti (I.N.C.I.S., I.A.C.P., A.T.E.R. e altri);
con la legge n. 560 del 1993 è stata prevista l'alienazione ai profughi degli alloggi loro assegnati (sia quelli realizzati per essi che quelli ad essi riservati), sia per attuare le norme della Costituzione italiana che riconoscono il diritto all'accesso alla casa, sia con lo specifico intento di garantire ai profughi un primo risarcimento per i danni subiti a causa dell'esilio;
il comma 24 dell'unico articolo della legge n. 560 del 1993 prevede che gli assegnatari degli alloggi realizzati ai sensi della legge n. 137 del 1952, e successive modificazioni, possono acquistare gli alloggi beneficiando delle condizioni di miglior favore;
il beneficio delle condizioni di miglior favore contenute nell'articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica n. 2 del 1959 sostituito dall'articolo 14 della legge n. 231 del 1962, comporta che il prezzo di cessione è pari al 50 per cento del costo di costruzione di ogni singolo alloggio alla data di ultimazione della costruzione stessa ovvero di assegnazione dell'alloggio se anteriore;
con la legge del 23 dicembre 2000 n. 388 è stato stabilito che le «condizioni di miglior favore» si applicano indistintamente a «tutti gli immobili destinati ai profughi di cui alla predetta legge n. 137 del 1952»: cioè non solo alle abitazioni realizzate per i profughi ex articolo 18 della legge n. 137 del 1952, ma anche agli alloggi assegnati ai profughi in forza della riserva di legge ex articolo 17 della legge n. 137 del 1952;
l'articolo 4, comma 224 della legge finanziaria per il 2004, nel ribadire il vincolo di destinazione finale degli immobili costruiti per i profughi ex articolo 18 della legge n. 137 del 1952 e di quelli riservati ai profughi ex articolo 17 della legge n. 137 del 1952, conferma la vocazione funzionale di questi alloggi alla loro assegnazione e alienazione in via esclusiva ai profughi e al prezzo unico di favore previsto dalla legge n. 560 del 1993, articolo 1, comma 24 e dalla legge n. 388 del 2000;
alcuni enti toscani, come il comune di Firenze e l'ex A.T.ER. di Firenze, stanno, ad avviso dell'interrogante dolosamente disattendendo le norme di legge in materia di alienazione degli alloggi pubblici, negando ai profughi di cui agli articoli 1 e 17 della legge n. 137 del 1952, il diritto all'acquisto degli alloggi loro assegnati al prezzo di favore previsto dal combinato disposto di cui agli articoli 1, comma 24 della legge n. 560 del 1993; articolo 5, comma 2 della legge n. 649 del 1996; articolo 45, comma 3 della legge n. 388 del 2000 e legge della regione Toscana n. 59 del 2005;
a partire dal 2000 le varie associazioni di categoria rappresentative dei profughi provenienti dai territori giuliano-dalmati ceduti a seguito della fine degli eventi bellici nonché dei profughi rimpatriati dalle ex colonie, hanno svolto attività di sensibilizzazione nei confronti di tutti gli organi dello Stato e degli enti territoriali coinvolti nel procedimento di alienazione degli alloggi pubblici, affinché le norme di legge venissero rispettate e i diritti dei profughi riconosciuti e garantiti;
conseguentemente, molte regioni e comuni italiani hanno dato piena attuazione alla normativa di settore (tra altri: Valle D'Aosta, Lombardia, Sardegna, Bologna, Pistoia, Livorno, Siena, Massa Carrara, Poggibonsi e altri);
l'opposta soluzione data al problema nelle varie regioni d'Italia - come accaduto in Roma (piena applicazione del beneficio in zona Laurentino/quartiere giuliano-dalmata; contestuale rifiuto, da parte dell'ex I.A.C.P., di applicare il beneficio all'unico caso del profugo riservatario in zona quartiere Delle Vittorie) o come sta accadendo in Toscana, sta producendo

gravissime immotivate ed inammissibili sperequazioni tra soggetti aventi pari status e identici diritti;
la necessità di un trattamento paritario e perequativo tra i profughi in tutto il territorio nazionale (peraltro, sono rimasti pochissimi i casi irrisolti: uno a Roma, una trentina a Firenze e neanche una decina a Latina) è una questione di natura morale e civile, ben sottolineata dalla Costituzione italiana;
gli esuli giuliano-dalmati (ormai rimasti in pochi) attendono da oltre 60 anni che vengano definite questioni note a tutti i Governi succedutisi nel tempo e, per quanto attiene il problema della casa basterebbe un minimo di attenzione per portare a termine quel poco che ancora manca;
dunque, pare opportuno e doveroso un intervento risolutore che ponga fine alla ingiustizia derivante dal trattamento differenziato dei profughi -:
quali iniziative il Governo intenda adottare per rimuovere le segnalate discriminazioni tra cittadini italiani profughi, con particolare riguardo agli esuli istriani, fiumani e dalmati.
(4-08118)

MONTAGNOLI e STUCCHI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
il decreto-legge 13 dicembre 2009, n. 104, convertito con modificazioni dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25, all'articolo 10-sexies, comma 1, lettera e), ha soppresso le provvidenze all'editoria che venivano annualmente destinate a favore delle imprese radiofoniche e televisive locali;
le provvidenze di cui sopra hanno contribuito, negli anni, ad affermare l'importanza del ruolo dell'emittenza locale nell'informazione e ad incrementare lo sviluppo dell'occupazione del comparto;
tale occupazione ha reso possibile anche la stipula, nell'ottobre 2000, tra l'associazione di categoria Aeranti Corallo e il sindacato dei giornalisti FNSI, del contratto collettivo nazionale di lavoro, per disciplinare i rapporti di lavoro giornalistico nelle imprese radiofoniche e televisive locali;
la soppressione delle provvidenze per l'editoria interviene in un contesto di forte difficoltà economica per le emittenti locali, derivante dalla crisi del mercato pubblicitario e dall'esigenza di realizzare importanti investimenti per la transizione alle trasmissioni in tecnica digitale;
tale soppressione è intervenuta, peraltro, in modo retroattivo, a decorrere dal 1o gennaio 2009, con la conseguenza che le emittenti locali avevano svolto l'attività informativa nel corso dell'anno 2009, confidando nel riconoscimento delle provvidenze;
il Governo ha accolto un ordine del giorno, presentato nella seduta del 25 febbraio 2010 in sede di esame del disegno di legge di conversione del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative, in cui si impegna a prevedere, anche al fine di garantire il pluralismo di informazione, l'inclusione delle imprese di radiodiffusione sonora e televisiva di carattere locale fra i soggetti beneficiari dei contributi all'editoria per l'annualità 2009 e le annualità successive;
sussiste un ritardo nell'emanazione dei decreti di riconoscimento delle provvidenze editoria relative agli anni 2007 e 2008 -:
quali iniziative si stiano mettendo in pratica, e con quali tempistiche, per dare attuazione all'ordine del giorno di cui in premessa al fine di includere anche le imprese di radiodiffusione sonora e televisiva di carattere locale fra i soggetti beneficiari dei contributi all'editoria per l'annualità 2009 e le annualità successive;
in che modo si intenda agire per recuperare il ritardo nell'emanazione dei

decreti di riconoscimento delle provvidenze per l'editoria per le imprese radiofoniche e televisive locali, relative agli anni 2007 e 2008.
(4-08122)

...

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:

AGOSTINI. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
l'amministrazione provinciale di Ascoli Piceno (ente promotore) ha promosso l'istituzione dell'area marina protetta nello specchio di mare antistante il territorio ricompreso nella provincia di Ascoli Piceno e Fermo;
in detto specchio di mare l'attività di pesca è molto sostenuta, in particolare quella della piccola pesca e delle vongole (molluschi bivalvi). Infatti dal 1997 opera un consorzio denominato Co.Vo.Pi. (consorzio vongolai piceni), che ricomprende tutte le vongolare del compartimento;
attualmente per la sola pesca delle vongole operano all'interno del compartimento interessato dall'area marina protetta 55 imbarcazioni e una recente sentenza del tribunale amministrativo regionale delle Marche ha riammesso ulteriori 25 imbarcazioni precedentemente spostate nel compartimento di Ancona;
tale attività di pesca attualmente dà occupazione tra attività diretta e indiretta a circa 200 persone;
le imprese in questione operano ai minimi di redditività e una eventuale riduzione delle aree di pesca, a parità di imprese operanti, comporterebbe un insostenibile aumento dello sforzo di pesca sulle superfici residue, con imprevedibili conseguenze sulle specie presenti;
non ci sono al momento concrete possibilità di riconversione di queste attività;
inoltre, a fronte di detti condizionamenti e sacrifici, il progetto dell'area protetta non ha mai saputo concretamente individuare specifici vantaggi, tanto che numerosi comuni costieri che inizialmente avevano dato la loro adesione, sono usciti dall'accordo di programma. (Porto Sant'Elpidio, Porto San Giorgio, Fermo, Altidona, Massignano, Martinsicuro, Alba Adriatica) -:
a che punto sia l'iter per il riconoscimento dell'area marina protetta del Piceno;
se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare intenda, a seguito della rinuncia di molti comuni, proseguire l'iter per il rilascio dell'autorizzazione per l'istituzione dell'area marina protetta del Piceno;
se i Ministri interrogati intendano aprire un tavolo di confronto con gli operatori economici ed in particolare gli operatori della pesca ed il consorzio Co.Vo.Pi. insieme alle istituzioni locali;
quali e quante risorse siano attualmente destinate all'istituzione dell'area marina protetta del Piceno.
(5-03267)

Interrogazioni a risposta scritta:

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riporta Terra di martedì 20 luglio 2010, l'allarme meduse, con l'arrivo della stagione balneare, è tornato

ad emergere. Da poco più di cinque anni, infatti, la diffusione di questi animali è andata aumentando;
in questi giorni l'allarme si è verificato nel tratto di mare compreso tra Liguria e Toscana, dove sono stati segnalati numerosi sciami di vitella (una specie innocua) lentamente avvicinatisi alle rive. Stessa situazione lungo la costa oristanese, in Sardegna, dove già a maggio, a Su Pallosu Marina e San Vero Milis, il livello di guardia era stato tenuto alto;
nel mare Tirreno centrale sono invece comparsi mucchi di pelagia, medusa che, oltre ad essere fra le più urticanti dei nostri mari, è una divoratrice di uova di pesci e contribuisce alla depauperazione ittica;
nell'Adriatico sono arrivate, inoltre, segnalazioni di grandi quantità di aurelia, o medusa quadrifoglio, la cui presenza è innocua, e di physalia, detta anche caravella portoghese, velenosa e dalle punture molto dolorose (che tuttavia, pur somigliando a una medusa, è un invertebrato marino galleggiante);
infine, nella laguna di Orbetello, è apparsa in modo massiccio la mnemiopsis (anch'essa in realtà un ctenoforo, e non una medusa), che fece la sua prima apparizione nel 2009 dopo l'evasione dal Mar Nero. Quest'estate è tornata a fare incetta di uova e larve di pesci;
la diffusione delle meduse naturalmente non è una peculiarità italiana, ma riguarda altri Paesi del mar Mediterraneo. Nella vicina Francia, in Costa Azzurra, le località di Mentane, Roquebrune, Villafrance e Nizza hanno posto dei cartelli di avviso per i turisti. La spiaggia di Larvotto, nel Principato di Monaco, è l'unica a non avere avuto problemi, ma soltanto perché lì vi è l'usanza di installare al largo delle reti lunghe quasi duecento metri e larghe tre, per consentire ai bagnanti di godersi la giornata di mare;
il motivo principale dell'invasione consisterebbe nell'aumento considerevole delle temperature. Sebbene le meduse vivano ad ogni latitudine, in acque tropicali e artiche, un aumento del calore nei nostri mari ne ha favorito la proliferazione. Il mar Mediterraneo, investito da un fenomeno di tropicalizzazione, sta diventando un crocevia biologico delle specie che più amano acque temperate, provenienti dagli oceani Atlantico e Indiano, attraverso il canale di Suez;
tuttavia, per l'espansione delle meduse si potrebbe ipotizzare anche un'altra causa: la diminuzione dei pesci dovuta essenzialmente alla sovrapesca. Alici e sardine, loro predatrici naturali, non abbondano più nei nostri mari; esattamente come la tartaruga marina, ormai poco presente nel Mediterraneo e tra le specie a rischio -:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei dati di cui in premessa e se dispongano di ulteriori dati;
se intendano adottare iniziative per la tutela delle aree di balneazione, ad esempio predisponendo reti di contenimento al largo delle coste maggiormente frequentate;
se intendano sostenere la ricerca relativa alla tropicalizzazione delle acque al fine di identificare e porre in atto le soluzioni più idonee per il rallentamento del fenomeno;
se non ritengano opportuno adottare ulteriori provvedimenti per limitare l'attività della pesca e dare la possibilità alla fauna ittica di ripopolarsi.
(4-08110)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riporta il sito www.corriere.it di martedì 20 luglio 2010, la Guardia di finanza di Milano ha eseguito il sequestro preventivo dell'area Montecity-Rogoredo di proprietà della Milano Santa Giulia spa, facente capo al

gruppo Zunino. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, la falda acquifera sottostante l'area - che attualmente rifornisce di acqua potabile il nuovo quartiere di Santa Giulia - sarebbe inquinata con alcune sostanze pericolose per l'ambiente e la salute, tra cui alcune cancerogene e altre dannose per fertilità e gravidanza. Nelle settimane precedenti al sequestro, la procura aveva ordinato una perizia per verificare la presenza di materiali pericolosi nei terreni sui quali sta sorgendo il nuovo quartiere. I reati ipotizzati per questo filone d'inchiesta sono di attività di gestione di rifiuti non autorizzata e avvelenamento delle acque;
il sequestro è avvenuto nell'ambito dell'inchiesta coordinata dai pubblici ministeri di Milano Laura Pedio e Gaetano Ruta su presunte irregolarità per la bonifica dell'area di Montecity Santa Giulia, per la quale sono stati indagati e arrestate alcune persone;
il presunto inquinamento riguarda due falde acquifere, una a 7 e una a 30 metri di profondità, dove sono state trovate sostanze pericolose come cloruro di vinile. Secondo le indagini, l'area del parco Trapezio, nei pressi del quale sorge una scuola, è costituita da terreni di cui non si conosce la provenienza e di rifiuti allo stato non identificati. L'Arpa, che ha fatto un lavoro definito «immenso» e dettagliato, ha scoperto nell'area una «falda sospesa» (a soli 6/7 metri di profondità e ritenuta quindi superficiale) che nel corso della bonifica era stata monitorata solo una volta e poi «dimenticata». Tale falda, dalle analisi effettuate, è risultata inquinata in modo grave. In base agli accertamenti, anche la falda di secondo livello, che si trova a una profondità di 30 metri e alla quale attinge l'acquedotto, è risultata inquinata;
tra le sostanze nocive rinvenute nelle acque ci sono solventi, cloruro di vinile, tricloro metano e tricloro etilene. Rilevati anche il cromo esavalente e il cadmio, «sostanze a rischio di riduzione della fertilità e di danno ai bambini non ancora nati», come si legge nel decreto di sequestro preventivo firmato dal giudice per le indagini preliminari Fabrizio D'Arcangelo;
relativamente alle prese dell'acqua potabile, nel decreto di sequestro preventivo si legge, da un'annotazione dell'Arpa, che «per quanto riguarda la prima falda sono presenti le opere di captazione facenti capo a 2 centrali dell'acquedotto di Milano, denominate centrale Ovidio e centrale Linate, che attualmente riforniscono di acqua potabile il nuovo quartiere di Santa Giulia». La prima falda, situata fino a una profondità di 35-40 metri, conterrebbe, secondo i monitoraggi dell'Arpa, «un inquinamento da solventi clorurati che evidenzia un sostanziale superamento dei limiti di legge con elevate concentrazioni di tetracloroetilene (fino a 20 volte sopra il limite di legge) e di triclorometano (di poco oltre il limite di legge), tutte sostanze cancerogene»;
dagli accertamenti è emerso, inoltre, che su alcuni terreni dell'area sarebbero stati eseguiti scavi non autorizzati, nei quali sarebbero state «riportate», senza alcun titolo, scorie di acciaieria che andavano trattate invece come rifiuti -:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei dati in premessa;
se si sia avviata un'operazione immediata di bonifica dell'area e per limitare le infiltrazioni di sostanze tossiche nelle falde acquifere adiacenti;
se siano state subito adottate tutte le necessarie misure e le procedure previste dalla normativa per far fronte all'emergenza, considerato che una delle falde è fonte del rifornimento dell'acqua potabile;
di quali informazioni dispongano in merito agli scavi non autorizzati effettuati sui terreni dell'area considerata.
(4-08111)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazioni a risposta scritta:

BOSSA. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
i Campi flegrei sono una vasta area geografica a nord di Napoli, conosciuta in tutto il mondo per il suo straordinario patrimonio storico, archeologico, ambientale;
la storia dei Campi flegrei è antichissima; fin dall'antica Roma, questa zona a nord di Napoli, era la meta per i soggiorni di nobili e imperatori, e il suo straordinario scenario naturale ha attivato la suggestione di poeti, narratori, storici, fin dai tempi di Virgilio e Dante;
oggi, gran parte di quello splendore, di quella ricchezza, sembra in via di disfacimento. Le vecchie costruzioni romane sono nel degrado, i principali siti culturali e archeologici sono irraggiungibili, o chiusi, o abbandonati;
da Pozzuoli a Bacoli e fino a Cuma, anfiteatri, templi, necropoli sono chiusi; risultano negati alle visite, ad esempio, a Pozzuoli, il Rione Terra, lo Stadio Antonino Pio, le necropoli di San Vito e di via Celle, che soffocano tra sterpi e rifiuti;
il tempio di Serapide, a Pozzuoli, è nell'abbandono, trasformato in una sorta di palude, sommerso per metà da un pantano d'acqua fetida dove si annidano insetti; l'ingresso è serrato anche al museo archeologico di Baia (con le sale del nuovissimo allestimento), il mausoleo di Fescina a Quarto, all'antica cisterna romana delle Cento Camerelle a Bacoli, all'antica tomba di Agrippina, sempre sulla marina di Bacoli;
altri siti sono aperti sporadicamente, e solo grazie all'opera di volontari. Basti pensare al mausoleo del Fusaro, aperto periodicamente da un'associazione di volontari, e alla Piscina mirabilis di Bacoli, la più grande cisterna mai costruita dai Romani, che viene addirittura aperta, su richiesta, da una signora dirimpettaia, che ha le chiavi;
non sono mancati in questi anni i progetti di rilancio e gli investimenti. È stata creata «Campi ardenti», una società gestita dalla Scabec regionale, che ha dato vita a numerosi interventi. Tra questi, il restauro dello stadio Antonino Pio a Pozzuoli, quello che ha ospitato le prime gare olimpiche della storia. Con otto milioni di euro di investimento, il recupero dello stadio fece gridare al miracolo gli esperti perché riemergeva dopo duemila anni di vita «sotterranea», praticamente ricoperto da quintali di terra ed erbacce. Ora, in quel capolavoro dell'architettura romana i rovi sono tornati. Ricoprono quasi per intero le mura restaurate;
stessa storia per il museo archeologico nel castello di Baia, uno tra i più grandi repertori artistici in 45 sale dedicate ai Campi flegrei. Inaugurato l'anno scorso, è stato accessibile per qualche weekend ma resta chiuso per mancanza di custodi -:
se il Governo intenda assumere un'iniziativa sullo stato di degrado generale dei siti archeologici, culturali e naturali dei Campi flegrei, degrado che mortifica un patrimonio straordinario agli occhi dei turisti di tutto il mondo;
se il Governo intenda lavorare, in sinergia con la regione Campania e con gli agenti culturali del territorio, ad una strategia organica e generale di rilancio e riqualificazione dei Campi flegrei, che non è solo una esigenza legata a cultura e memoria, ma anche alle enormi potenzialità economiche legate alle potenzialità turistiche dell'area.
(4-08108)

BOSSA. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
nel corso degli ultimi anni, si è venuta ad affermare nell'ambito, per scelta

del Governo, una politica di decentramento ed esternalizzazione di funzioni e compiti svolti, spesso con elevati livelli di qualità, dall'amministrazione pubblica in favore di società per azioni controllate direttamente dal Ministero dell'economia e delle finanze o da altri Ministeri;
tali società, ormai diffuse in tutti i principali ambiti operativi della pubblica amministrazione, nascono per abbreviare i tempi di attuazione delle iniziative adottate dall'Esecutivo, per rendere immediatamente operativi gli interventi nei settori di competenza e per valorizzare e rendere maggiormente efficienti taluni asset pubblici, ma come spesso si riscontra nelle relazioni della Corte dei conti raramente dimostrano la capacità di assolvere al ruolo essenziale prefigurato dal legislatore;
allo stato attuale, la diffusione e l'importanza che vanno assumendo tali società prefigura la creazione nell'ambito settore pubblico di un duplice livello amministrativo: il primo legato all'amministrazione ministeriale, alla quale sono lasciati prevalentemente funzioni di ordinaria amministrazione, l'altro legato alle società controllate dai Ministeri, che nello svolgimento dei propri compiti sfuggono sistematicamente ai controlli di altri livelli istituzionali ed in primis del Parlamento e della Corte dei conti;
nel settore di competenza del Ministero per i beni e le attività culturali, il Governo ha costituito sin dal 2004 la società Arcus spa, società per lo sviluppo dell'arte, della cultura e dello spettacolo, sul cui operato la Corte dei conti ha espresso più volte le proprie perplessità;
la Arcus spa, opera sulla base di programmi di indirizzo che sono oggetto dei decreti annuali adottati dal Ministro per i beni le attività culturali e con il compito dichiarato di sostenere in modo innovativo progetti importanti e ambiziosi concernenti il mondo dei beni e delle attività culturali;
per lo svolgimento delle proprie attività e per il suo funzionamento, la Arcus spa, controllata al 100 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze, si avvale di consistenti stanziamenti di risorse pubbliche; è deputata ad elargire fondi di provenienza statale per progetti a valenza culturale e, come è noto, una società per azioni, cioè un soggetto comunque privato, non è tenuto ad indire gare o comunque procedure di evidenza pubblica per l'assegnazione di fondi, e così può elargire questi fondi pubblici con criteri quanto meno arbitrari;
la Arcus spa è chiamata a sostenere, come si evince anche dal sito internet della società, in sostituzione dei dipartimenti del Ministero per i beni e le attività culturali, «iniziative di particolare rilievo in ambito culturale, ad aiutarne il completamento progettuale, ad intervenire negli aspetti organizzativi e tecnici, a partecipare, ove opportuno o necessario, al finanziamento del progetto, a monitorarne l'evoluzione e a contribuire ad una conclusione felice dell'iniziativa»;
numerosi referti della sezione controlli enti della Corte dei conti hanno più volte evidenziato come la Arcus spa, a distanza ormai di sei anni dalla nascita e di cinque dall'avvio dell'operatività, debba ancora dimostrare la capacità di assolvere al ruolo essenziale prefigurato dal legislatore;
secondo la Corte dei conti, la Arcus spa si è trasformata nel corso del tempo in «un mero strumento di promozione di iniziative decise discrezionalmente in sede ministeriale, in gran parte integrative e sostitutive di quelle proprie delle amministrazioni statali - tra l'altro frequentemente già concluse, principalmente nel settore dello spettacolo - ma in assenza delle garanzie procedimentali per le stesse preordinate»;
sempre in relazione alla Arcus spa, la Corte dei conti rileva come rimanga un obiettivo «non ancora realizzato, quello della istituzione di un compiuto sistema di misurazione delle prestazioni rese e, soprattutto, dell'impatto degli interventi - in termini di aggregazione di risorse e progetti

sul territorio e di ricadute, dirette ed indirette, sociali ed economiche - che dimostri l'effettivo valore aggiunto prodotto dalla Società e quindi le ragioni della sua stessa esistenza e della persistente validità dell'azione istituzionale svolta.»;
la Arcus spa, nel periodo 2004-2009, ha finanziato circa 300 interventi, gran parte dei quali di discutibile significatività, per una spesa complessiva di circa 250 milioni di euro;
lo scorso mese di febbraio, il consiglio di amministrazione (Cda) della Arcus spa ha approvato il piano triennale di interventi per il periodo 2010-2012, per mezzo del quale verranno finanziati 208 interventi per un ammontare complessivo di spesa pari a 200 milioni di euro, di cui 119 milioni di euro per il corrente anno, 43 milioni di euro per il 2011 e 37,5 milioni di euro per il 2012;
gran parte dei 208 interventi finanziano iniziative che non sembrano rivestire particolare rilievo in ambito culturale e le modalità di suddivisione delle risorse stanziate non sembrano basarsi su criteri ispirati a principi di imparzialità e trasparenza;
solo per fare alcuni esempi, fra gli interventi finanziati dalla Arcus spa si segnalano i 3 milioni di euro per il santuario della Madonna di Pompei, 500.000 euro in tre anni per le Clarisse di Santa Rosa, 1,5 milioni di euro per la fondazione Aquileia, 1,8 milioni di euro per l'università di Padova e 500.000 euro per la fondazione Pianura Bresciana promotrice del convegno sulle cinque razze autoctone dei suini, che nel loro insieme non appaiono affatto iniziative di particolare rilievo;
le spese di funzionamento della Arcus spa, con un Cda composto di 7 persone e con soli 10 dipendenti, sono pari a 2 milioni di euro per il solo anno 2010, ai quali si aggiungono 16.000 euro mensili per l'affitto della sede societaria -:
quali siano gli intendimenti del Ministro e del Governo sui fatti riportati in premessa ed in particolare sulle posizioni espresse a più riprese dalla Corte dei conti sulla società Arcus spa e se non ritenga opportuno adottare apposite iniziative per abolire la società Arcus spa e ricondurre le funzioni da essa svolte nell'ambito dei dipartimenti del Ministero per i beni e le attività culturali, riducendo per tale via sprechi di risorse ed oneri aggiuntivi a carico del bilancio pubblico, nonché le conseguenti distorsioni di natura amministrativa.
(4-08109)

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DIFESA

Interrogazioni a risposta in Commissione:

SCHIRRU, RUGGHIA, MATTESINI, GATTI, RAMPI, GNECCHI, DAMIANO, BOBBA e SBROLLINI. - Al Ministro della difesa, al Ministro per le pari opportunità. - Per sapere - premesso che:
come si legge dallo stesso sito internet del Ministero della difesa «L'entrata in servizio di personale femminile nelle Forze Armate italiane è un argomento di cui sia la pubblica opinione sia le istituzioni militari discutono dal 1963, anno in cui una proposta di legge fece cenno per la prima volta a tale possibilità. Sin dal 1919 le donne sono state ammesse all'esercizio di tutte le professioni ed impieghi pubblici con l'esclusione della difesa militare dello Stato. Anche successivamente, la legge 9 febbraio 1963 n. 66 »Ammissione della donna ai pubblici uffici ed alle professioni«, pur consentendo l'accesso delle donne a tutte le cariche pubbliche, ha mantenuto una riserva sulla possibilità di arruolamento nelle Forze Armate. Questo ha comportato che, nel nostro Paese, l'opinione pubblica ha sviluppato, nel corso degli anni, una cultura ed una sensibilità di base sulla questione, che

progressivamente hanno condotto all'istituzione del servizio militare volontario femminile. Il concetto di »donna soldato« nasce dunque esclusivamente come richiesta della società civile. A distanza di quasi quaranta anni dal lontano 1963, i numerosi progetti di legge presentati nelle varie legislature, gli studi, le proposte hanno trovato una risposta positiva. Inoltre, l'evoluzione della società e del quadro internazionale hanno consentito di guardare con nuova apertura al servizio militare femminile»;
in data 19 aprile 2000, il direttore generale della sanità militare ha emanato la direttiva «Delineazione del profilo sanitario dei soggetti giudicati idonei al servizio militare», che illustra i criteri per la selezione del personale femminile con l'elenco aggiornato delle imperfezioni e delle infermità che sono causa di non idoneità al servizio militare;
da quanto si evince dalla suddetta direttiva «Delineazione del profilo sanitario dei soggetti giudicati idonei al servizio militare», agli «esiti di mastoplastica riduttiva senza limitazioni funzionali», si assegnano coefficienti 2-3 CO. (Si precisa che l'attribuzione del coefficiente «2» avviene per la presenza di disturbi funzionali lievi che, a giudizio del perito, non comportino alcuna ricaduta sull'espletamento del servizio militare; l'attribuzione del coefficiente «3» o «4», fatta eccezione per gli esiti di pregressa infermità espressamente specificati nella direttiva, della presenza di alterazioni anatomiche o funzionali che, pur non raggiungendo il grado previsto per un giudizio di non idoneità al servizio militare, determinino un disturbo significativo, sotto il profilo medico-legale, dell'organo o apparato interessato);
nel decreto 15 dicembre 2003 (Gazzetta Ufficiale n. 299 Supplemento Ordinario del 27 dicembre 2003) direttive tecniche da adottare ai sensi dell'articolo 3, comma 4, del decreto del Ministro delle finanze 17 maggio 2000, n. 155, concernente il «Regolamento recante norme per l'accertamento dell'idoneità al servizio militare» si legge: «XIII - MAMMELLA (Punto 13 dell'elenco allegato al decreto ministeriale 17 maggio 2000) Le patologie ed i loro esiti della ghiandola mammaria che siano causa di rilevanti disturbi funzionali. Rientrano in tale previsione: - la mancanza congenita od acquisita di una sola mammella; i processi flogistici o displastici ed i loro esiti di notevole entità; - gli esiti di mastoplastica riduttiva con rilevanti limitazioni funzionali; - gli esiti di mastectomia settoriale. La protesi mammaria è causa di non idoneità. La megalomastia è causa di non idoneità solo quando costituisce impaccio motorio o grave disarmonia»;
ancora, il decreto 5 dicembre 2005 concernente la «Direttiva tecnica per delineare il profilo sanitario dei soggetti giudicati idonei al servizio militare», stabilisce invece che, differentemente dal succitato decreto ministeriale 17 maggio 2000 - «Al punto 81. Gli esiti di mastoplastica riduttiva senza disturbi o limitazioni: funzionali. 2 CO; 82. Gli esiti di mastoplastica riduttiva con lievi disturbi o limitazioni: funzionali. 3-4 CO; Al punto 83. La protesi mammaria applicata con mezzi di ultima generazione qualitativamente adeguati, regolarmente testati e garantiti dalla casa costruttrice, con buona riuscita tecnica ed estetica dell'impianto, in 2 CO assenza di alterazioni anatomo-funzionali; Al punto 84. Gli esiti di mastoplastica, di grado non inabilitante, con lievi alterazioni anatomo-funzionali»;
tuttavia, risulta da diverse segnalazioni pervenute, che a causa della presenza di protesi mammarie bilaterali, quindi non a causa della presenza di una patologia, bensì per la protesi conseguente un intervento di chirurgia estetica, alcune ragazze siano state dichiarate inidonee;
si ritiene che una direttiva di dieci fa, basata sul risultato di interventi di chirurgia estetica anteriori al 2000 non possa sufficientemente e adeguatamente regolamentare le attuali situazioni. Alla luce della notevole evoluzione nel campo della chirurgia plastica ed estetica, numerosi

sono stati i passi in avanti, al punto che anche le convinzioni e i pregiudizi in campo medico, come nel senso comune, hanno subito un notevole cambiamento che richiede un necessario adeguamento rispetto ai tempi, alle conoscenze ed alle tecniche di intervento;
sull'argomento, già nel 2000, il Ministero delle pari opportunità aveva puntualizzato con una nota stampa che: «Tutti i requisiti di idoneità, compresi quelli fisici, per i concorsi sull'ingresso delle donne nei Corpi militari finora riservati agli uomini vanno rivisti. Saranno esaminati fra breve da un'apposita Commissione consultiva, cui parteciperanno anche delegati del nostro ministero, che coadiuverà i capi di stato maggiore e gli addetti al reclutamento». E anche la Guardia di finanza aveva parlato di inidoneità solo in caso di misure (naturali o modificate con la chirurgia estetica) veramente fuori dalla norma, tali da essere considerate veri e propri ostacoli ai movimenti e all'attività fisica necessaria alla vita e al tipo di lavoro che le future finanziere andranno a svolgere;
d'altra parte le candidate devono già rispettare anche altri requisiti fisici: non possono essere più basse di un metro e mezzo, pesare meno di 41 chili e avere un diametro toracico inferiore ai 70 centimetri;
i criteri che sarebbe opportuno seguire dovrebbero quindi essere legati alla funzionalità fisica e psichica dei candidati, per evitare ogni possibile discriminazione -:
se non si ritenga opportuno effettuare un adeguamento dell'elenco delle cause di non idoneità di cui al decreto ministeriale 17 maggio 2000, che pertanto allo stato attuale dei fatti è, ad avviso degli interroganti, nettamente in contrasto con l'obiettivo delle pari opportunità tra i due sessi;
se non si ritenga opportuno aprire un tavolo di concertazione tra il Dipartimento delle pari opportunità e il Ministero della difesa al fine di rivedere e aggiornare la materia inerente il servizio militare femminile.
(5-03266)

DI STANISLAO e ZAZZERA. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 49 della Costituzione stabilisce che «tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». La potestà di limitare con legge tale diritto, prevista dal precedente articolo 98, non è stata mai esercitata dal Parlamento nei confronti dei militari di carriera in servizio attivo. Il diritto di iscrizione ai partiti politici inoltre è attualmente pienamente esercitabile anche dalle Forze di polizia;
le uniche, parziali, limitazioni poste a carico del predetto personale nell'esercizio di attività politica non riguardano assolutamente il diritto di iscrizione ai partiti politici, costituzionalmente garantito e tutelato, ma mirano, con perfetto buon senso, esclusivamente a separare l'attività di servizio - svolta in uniforme o in abiti civili - dalla partecipazione alle varie manifestazioni promosse da soggetti politici. In questo modo si garantisce dal punto di vista formale l'estraneità delle Forze armate e delle Forze di polizia, intese come istituzioni della Repubblica, dall'agone politico in tutte le sue forme ed espressioni;
più precisamente, per i militari cio è codificato dall'articolo 6 della legge 11 luglio 1978, n. 382 (Norme di principio sulla disciplina militare), rubricato «le Forze armate debbono in ogni circostanza mantenersi al di fuori delle competizioni politiche, che recita testualmente: «Ai militari che si trovano nelle condizioni previste dal terzo comma dell'articolo 5 è fatto divieto di partecipare a riunioni e manifestazioni di partiti, associazioni e organizzazioni politiche, nonché di svolgere propaganda a favore o contro partiti, associazioni, organizzazioni politiche o

candidati ad elezioni politiche ed amministrative. I militari candidati ad elezioni politiche o amministrative possono svolgere liberamente attività politica e di propaganda al di fuori dell'ambiente militare e in abito civile. Essi sono posti in licenza speciale per la durata della campagna elettorale. Ferme le disposizione di legge riguardanti il collocamento in aspettativa dei militari di carriera eletti membri del Parlamento o investiti di cariche elettive presso gli enti autonomi territoriali, i militari di leva o richiamati, che siano eletti ad una funzione pubblica, provinciale o comunale, dovranno, compatibilmente con le esigenze di servizio, essere destinati ad una sede che consenta loro l'espletamento delle particolari funzioni cui sono stati eletti ed avere a disposizione il tempo che si renda a ciò necessario»;
il predetto articolo 6 quindi, richiamando il terzo comma dell'articolo 5 della medesima legge, prevede la sua applicazione esclusivamente al personale che si trovi nelle seguenti condizioni:
a) svolgono attività di servizio;
b) sono in luoghi militari o comunque destinati al servizio;
c) indossano l'uniforme;
d) si qualificano, in relazione a compiti di servizio, come militari o si rivolgono ad altri militari in divisa o che si qualificano come tali;
è del tutto evidente quindi che se un militare non si trova nelle condizioni previste dal comma 3 dell'articolo 5 della legge 382 del 1978, può liberamente partecipare a riunioni e manifestazioni di partiti, associazioni e organizzazioni politiche, nonché svolgere propaganda a favore o contro partiti, associazioni, organizzazioni politiche o candidati ad elezioni politiche ed amministrative, senza temere nessuna ripercussione in ambito disciplinare;
per le forze di polizia vige analogo divieto codificato dall'articolo 81 della legge 1o aprile 1981 n. 121 (Nuovo ordinamento dell'amministrazione della pubblica sicurezza) «gli appartenenti alle Forze di polizia debbono in ogni circostanza mantenersi al di fuori delle competizioni politiche e non possono assumere comportamenti che compromettano l'assoluta imparzialità delle loro funzioni. Agli appartenenti alle Forze di polizia è fatto divieto di partecipare in uniforme, anche se fuori servizio, a riunioni e manifestazioni di partiti, associazioni e organizzazioni politiche o sindacali, salvo quanto disposto dall'articolo seguente. È fatto altresì divieto di svolgere propaganda a favore o contro partiti, associazioni, organizzazioni politiche o candidati ad elezioni. Gli appartenenti alle forze di polizia candidati ad elezioni politiche o amministrative sono posti in aspettativa speciale con assegni dal momento della accettazione della candidatura per la durata della campagna elettorale e possono svolgere attività politica e di propaganda, al di fuori dell'ambito dei rispettivi uffici e in ambito civile. Essi, comunque, non possono prestare servizio nell'ambito della circoscrizione nella quale si sono presentati come candidati alle elezioni, per un periodo di tre anni dalla data delle elezioni stesse»;
parziali limitazioni fin qui esposte, quindi, non riguardano minimamente il diritto d'iscrizione ai partiti politici;
in data 28 giugno 2010, il comandante interregionale carabinieri «Vittorio Veneto», generale Massimo Iadanza, ha redatto la lettera protocollo 117/5-2005 indirizzata al Consiglio intermedio di rappresentanza, avente ad oggetto «Limitazione al diritto di iscrizione ai partiti politici, applicabili ai militari di carriera in servizio attivo»;
in tale missiva, in evidente contrasto, secondo l'interrogante, con le norme costituzionali e legislative citate, il generale si profonde in una articolata e personalissima interpretazione circa il diritto d'iscrizione dei militari ai partiti politici citando, nella prima frase del documento allegato, un corsivo virgolettato che egli

attribuisce al gabinetto del Ministro della difesa, che avrebbe affermato, a suo dire, che «l'iscrizione ai partiti politici, ancorché - in sé - non vietata, è da intendersi assorbita dal divieto di esercizio di attività politica»;
il diritto d'iscrizione dei militari ad un partito politico, come precedentemente illustrato, non solo non è vietato, ma essendo costituzionalmente garantito e tutelato, non è affatto assorbibile da nessuna norma o regolamento che comunque, allo stato attuale, non solo non esistono, ma non sono mai esistite;
tuttavia, la missiva del generale Iadanza prosegue con una asserzione palesemente minacciosa verso i sottoposti, la quale, seppur mediata dall'uso del condizionale, appare molto grave sia dal punto di vista formale che sostanziale;
il generale infatti scrive che «la sola presenza di un certo numero di militari tesserati di un partito potrebbe consentire di argomentare in ordine all'espressione di preferenza politica nella Compagine militare»;
il generale Iadanza quindi, nel pieno esercizio delle sue funzioni, espone ai suoi sottoposti la sua opinabile teoria secondo la quale «un certo numero» di militari iscritti in un partito possa costituire in sé una «espressione di preferenza politica nella Compagine militare»;
non si riesce a capire quale sia questo «certo numero» di militari che il generale ha in mente, e neppure come faccia lo stesso generale a conoscere il numero effettivo di carabinieri iscritti in un determinato partito politico, ma quello che appare evidente è che il generale Iadanza, si è espresso su questioni politiche che non dovrebbero assolutamente costituire argomento di «istruzione militare» nei confronti dei militari subalterni, soprattutto se esse rivestono carattere di interpretazione personale che in un contesto particolare, qual è quello militare, assumono una portata enorme dato il rapporto di subordinazione - e soggezione - esistente fra superiore e inferiore di grado;
non solo: il generale Iadanza si spinge fino a ipotizzare gravi sanzioni disciplinari - segnatamente quella fattispecie punibile con la consegna di rigore - per tutti quei militari che si iscrivono ai partiti politici allorché afferma che «è, dunque, comportamento suscettibile di assumere rilievo sotto il profilo disciplinare, per violazione, fra tutte, della fattispecie regolata dal n. 9 dell'allegato «C» al decreto del Presidente della Repubblica n. 545/86»;
il generale Iadanza quindi, nell'esercizio delle sue funzioni e dall'alto del suo grado massimo di ufficiale dei carabinieri, non solo arriva secondo l'interrogante a negare, de facto, un diritto che costituisce oggetto di speciale tutela costituzionale, ma si spinge fino a fornire interpretazioni, ad avviso dell'interrogante giuridicamente infondata a tutti quei militari posti al suo comando che intendano avvalersi della facoltà di esercitare il diritto d'iscrizione ai partiti politici;
all'interrogante pare che la condotta del generale Iadanza, in considerazione del ruolo e del grado ricoperto, per il grave attacco alle libertà costituzionali poste in essere nella sua missiva nell'esercizio delle sue funzioni, configuri una sua totale incompatibilità con l'altissimo ufficio ricoperto di comandante interregionale dei carabinieri -:
se il Ministro confermi o smentisca la frase che il generale Massimo Iadanza attribuisce al gabinetto del Ministro della difesa volta sostanzialmente a negare un diritto oggetto di speciale tutela costituzionale qual è quello dell'iscrizione ai partiti politici, tuttora pienamente esercitabile anche da parte di militari e forze di polizia;
se intenda promuovere un'azione disciplinare nei confronti dell'alto ufficiale dell'Arma il quale, nell'esercizio delle sue funzioni, ha in maniera tanto disinvolta

paventato il rischio di ingiusto provvedimento disciplinare per coloro che si fossero avvalsi del diritto loro riconosciuto dalla nostra Costituzione;
se intenda rimuovere con effetto immediato il generale Massimo Iadanza dal suo incarico per le gravissime affermazioni contenute nella sua missiva che, a parere dell'interrogante, mal si conciliano con il giuramento prestato che prevede di osservare «la Costituzione e le leggi».
(5-03274)

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ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:

DI PIETRO, PALADINI e PORCINO. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
il 18 febbraio 1999 la Poste italiane s.p.a. sottoscriveva unitamente ad ASSIDIPOST-FNDAI e FNDAI (oggi ASSIDIPOST Fedremanager), un protocollo d'intesa volto a recepire, a decorrere dal 1o gennaio 1999, quale contratto di categoria per il personale dirigenziale dipendente dall'impresa il Contratto collettivo nazionale di lavoro dei dirigenti delle aziende industriali in luogo e sostituzione del Contratto collettivo nazionale di lavoro dei dirigenti ente poste applicato fino al 31 dicembre 1998;
tra le variazioni che modificavano il Contratto collettivo nazionale di lavoro dei dirigenti delle aziende industriali, all'articolo 14 le parti convenivano di costituire - nell'ambito delle previsioni di cui alla legge n. 448 del 1998 (articolo 40, ultimo comma) e alla legge n. 662 del 1996 (comma 28) ed al decreto ministeriale n. 477 del 1997 - entro tre mesi dalla data di sottoscrizione dello stesso accordo, un Fondo per il sostegno del reddito, dell'occupazione e della riconversione e riqualificazione professionale;
ai sensi del citato articolo 14 del verbale di accordo del 18 febbraio 1999, il costituendo Fondo avrebbe dovuto provvedere:
a contribuire al finanziamento di programmi formativi di riconversione e/o riqualificazione professionale, anche in concorso con gli appositi contributi nazionali e/o comunitari;
al finanziamento di specifici trattamenti a favore dei dirigenti interessati da riduzioni o da sospensioni temporanee dall'attività lavorativa anche in concorso con gli appositi strumenti di sostegno previsti dalla legislazione vigente;
all'erogazione di assegni straordinari per il sostegno del reddito, nel quadro dei processi di agevolazione all'esodo nei confronti di coloro che non avessero ancora maturato il diritto a pensione di anzianità o di vecchiaia;
il Fondo, nelle intenzioni delle parti, avrebbe dovuto essere finanziato con un contributo dello 0,750 per cento della retribuzione imponibile a fini previdenziali di tutti i dirigenti, di cui lo 0,563 per cento a carico di Poste italiane s.p.a. e di cui lo 0,187 per cento a carico dei dirigenti;
risulta all'interrogante che nell'aprile 1999 la Poste italiane s.p.a. ha iniziato ad effettuare alla fonte la trattenuta pari allo 0,187 per cento sullo stipendio di ciascun dirigente, senza tuttavia procedere alla costituzione del Fondo ed in assenza di comunicazioni sia nei confronti delle associazioni sindacali stipulanti sia del personale dirigenziale gravato dalla trattenuta;
nei mesi e negli anni successivi la Poste italiane s.p.a. ha continuato ad effettuare la ritenuta pari allo 0,187 per cento senza però mai procedere alla costituzione del Fondo;
nel gennaio 2009, dopo quasi dieci anni che la trattenuta veniva applicata tutti i mesi sullo stipendio di tutti i

dirigenti di Poste italiane s.p.a., l'impresa ha cessato di effettuare il prelievo, sempre unilateralmente e senza informative;
risulterebbe all'interrogante che, per ciascun dirigente, la Poste italiane s.p.a. ed il gruppo Poste italiane s.p.a., ha trattenuto la somma media di 20,00 euro al mese, per una somma complessiva trattenuta ai dipendenti di 1.200.000,00 euro in dieci anni; posto che la quota parte di spettanza di Poste italiane s.p.a. e del Gruppo Poste corrispondeva a tre volte circa la quota di spettanza dei dirigenti, Poste italiane s.p.a. e Gruppo Poste avrebbero dovuto contribuire al Fondo nella misura di 3.600.000,00 euro in dieci anni;
risulterebbe, quindi, che complessivamente Poste italiane s.p.a. e tutte le imprese del Gruppo Poste italiane non hanno mai versato la somma di 4.800.000,00 euro a titolo di finanziamento del Fondo per il periodo aprile 1999-gennaio 2009;
i dirigenti di Poste italiane s.p.a., rappresentanti delle organizzazioni sindacali che nel 1999 firmarono l'accordo, hanno mantenuto l'impegno assunto contribuendo, per dieci anni, all'incremento del Fondo e restando in attesa che Poste italiane s.p.a. facesse altrettanto;
Poste italiane S.p.a. è partecipata al 65 per cento dal Ministero dell'economia e delle Finanze -:
se il Ministro non ritenga opportuno avviare una verifica affinché la gestione dell'azienda Poste italiane s.p.a. avvenga nel rispetto dei princìpi di trasparenza e correttezza nei confronti dei propri dipendenti e in pieno rispetto dell'accordo siglato tra Poste italiane s.p.a. e le organizzazioni sindacali il 18 febbraio 1999;
se il Ministro non intenda appurare le motivazioni per cui non si è mai dato seguito alla creazione del Fondo stabilito dal protocollo d'intesa del 18 febbraio 1999;
se il Ministro non ritenga di verificare quali siano stati gli investimenti attuati con le somme versate dai dirigenti in questi dieci anni, e quali percorsi siano previsti in futuro per le stesse.
(4-08103)

FRANZOSO. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
all'interno della legge obiettivo, col titolo «Piastra logistica del porto di Taranto» sono state inserite una serie di opere infrastrutturali la cui realizzazione era prevista dal piano operativo triennale dell'Autorità portuale di Taranto;
le opere inserite sono:
a) il raddoppio del IVo sporgente all'interno del porto storico per spostare traffici insistenti sul molo polisettoriale e che, in qualche modo, convivono con il terminal contenitori nel nuovo porto fuori rada;
b) la realizzazione del collegamento tra il porto storico ed il nuovo porto denominato «Strada dei Moli» per collegare funzionalmente ed in sicurezza le due realtà portuali oggi slegate che comportano altresì dispendio anche per le forze di polizia costrette a vigilare due realtà anziché una integrata da strada e annessi servizi efficienti;
c) una piattaforma logistica all'interno del porto storico dotata delle intermodalità marittima, ferroviaria, stradale ed aerea, che potesse fornire servizi complementari al terminal contenitori già realizzato ed all'epoca in via di sviluppo ed affermazione nel Mediterraneo con riferimenti mondiali;
d) l'ampliamento della darsena servizi in posizione baricentrica rispetto alle due realtà portuali tarantine;
il progetto di piastra logistica, inserito nell'ambito della legge obiettivo vide l'interesse di uno dei gruppi industriali italiani tra i più attivi nel mondo dei trasporti e della logistica, il gruppo Gavio, che presentò la proposta di un progetto di

finanza per l'ottenimento della relativa concessione con partecipazione alla spesa con fondi propri;
tale proposta ottenne il benestare sia dalla struttura di missione presso il Ministero delle infrastrutture che dal Cipe, competente per l'approvazione dei progetti di finanza;
durante il Governo Prodi, la decisione dell'allora Ministro all'ambiente, Pecoraro Scanio, di richiedere la redazione di una valutazione di impatto ambientale, pur non essendo contemplata dalla legge obiettivo, comportò notevoli ritardi nell'approvazione del progetto definitivo, determinando inoltre un notevole incremento dei costi per ulteriori richieste da parte del Ministero per i beni e le attività culturali;
l'attuale Governo, pur avendo dato seguito all'approvazione con tutte le autorizzazioni necessarie, a causa della ormai nota crisi economica con blocchi generalizzati alla spesa pubblica, ha rinviato la definitiva approvazione del progetto, utile alla cantierizzazione dell'opera -:
se e come intendano intervenire - e con quale tempistica - affinché l'opera di cui trattasi sia licenziata definitivamente dal Cipe, atteso che trattasi di opera assolutamente indispensabile per il porto, per il sistema logistico della Puglia e dell'intero Paese oltre che per la città di Taranto, che sta subendo una crisi endemica socio-economico-ambientale con forti ripercussioni sul piano occupazionale del tutto specifica e propria del territorio jonico.
(4-08112)

DI BIAGIO e VIGNALI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
nel mese di maggio-giugno del 2010 sul mercato finanziario dei certificati verdi si sono verificati comportamenti sospetti di alcuni operatori che hanno determinato il rischio di una distorsione delle norme della leale concorrenza, segnalati dal Gestore mercati energetici e per i quali in risposta a interrogazione a risposta immediata in Commissione finanze alla camera, il Ministero dello sviluppo economico si è assunto l'impegno di intervenire con un provvedimento di tipo cautelativo;
tali fenomeni speculativi di vendita dei certificati verdi hanno determinato altresì come grave conseguenza quella di una possibile frode ai danni dell'Agenzia delle entrate nell'ambito delle «frodi carosello»;
nei mercati citati il fenomeno descritto sta continuando regolarmente da inizio anno ad oggi ed ha determinato uno sbilancio IVA di 28 milioni di euro;
ai fini del contrasto dei fenomeni di evasione e frode fiscale il decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 ha previsto l'applicazione del meccanismo dell'inversione contabile, reverse charge, applicandolo a determinati settori soprattutto a quello edile;
con la nuova direttiva 2010/23/UE del Consiglio del 16 marzo 2010 sono state apportate ulteriori modifiche alla direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune di imposta sul valore aggiunto, in particolare per quanto concerne l'applicazione facoltativa e temporanea del meccanismo dell'inversione contabile con riferimento alla prestazione di determinati servizi a rischio di frodi;
a norma della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, infatti, i soggetti passivi che effettuano operazioni comportanti cessioni di beni o prestazioni di servizi imponibili sono tenuti a versare l'IVA;
tuttavia, nel caso delle operazioni transfrontaliere e in relazione ad alcuni settori nazionali ad alto rischio (ad esempio costruzioni o rifiuti), è previsto che l'obbligo di versare l'IVA spetti al destinatario della cessione di beni o della prestazione di servizi;
l'introduzione di un meccanismo mirato a tali servizi che, secondo l'esperienza

più recente, sono particolarmente esposti alle frodi, non dovrebbe influire negativamente sui princìpi fondamentali del regime dell'IVA, quali i pagamenti frazionati;
gli Stati membri devono inoltre redigere una relazione di valutazione sull'applicazione del meccanismo in modo da consentire una valutazione della sua efficacia, basata su criteri predefiniti;
tale valutazione deve indicare chiaramente il livello della frode prima e dopo l'applicazione del meccanismo ed eventuali conseguenti trasferimenti di attività fraudolente verso altri servizi, nonché i costi di adeguamento alla misura per i soggetti passivi;
tenuto conto della gravità delle frodi in materia di IVA nel mercato dei certificati verdi, sarebbe utile allargare e applicare tale meccanismo di garanzia anche ad un settore emergente come quello degli incentivi in un settore industriale in continuo sviluppo quale quello delle energie rinnovabili ai fini anche della migliore lotta alla evasione fiscale posta in essere dal Ministero dell'economia e delle finanze -:
se i Ministri interrogati intendano valutare l'opportunità che il meccanismo del reverse charge possa essere applicato anche ai certificati verdi, in modo tale da interrompere le «frodi carosello» ed eliminare le distorsioni di prezzo attualmente presenti e se intendano assumere iniziative normative al fine di sanzionare comportamenti lesivi delle norme antitrust.
(4-08123)

...

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta orale:

MIGLIOLI, GHIZZONI, SANTAGATA e LEVI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
come è stato più volte riconosciuto in diverse autorevoli sedi, il tribunale di Modena conta un organico, quanto a giudici e a personale, del tutto inadeguato in relazione alle esigenze di un circondario che coincide con un territorio provinciale notoriamente tra i più evoluti del Paese sul piano economico che su quello sociale;
l'impegno dei magistrati, degli addetti amministrativi e l'adozione di moderni accorgimenti organizzativi, insieme all'introduzione di strumenti informatici per la gestione digitalizzata dei fascicoli relativi a procedimenti penali in fase di indagini preliminari e la creazione di un archivio informatico della procura della Repubblica presso il tribunale, di Modena, ottenuti anche con il fattivo contributo di componenti significative della comunità e del sistema bancario locale: fondazione Cassa di Risparmio di Carpi, fondazione Cassa di Risparmio di Mirandola, fondazione di Vignola camera di commercio, comune di Modena, regione Emilia Romagna, hanno consentito agli uffici giudiziari di Modena di attenuare le ricadute sull'utenza locale delle inefficienze generali del sistema giustizia;
nelle ultime settimane, purtroppo, è stato deliberato il trasferimento ad altre sedi di quattro magistrati (su 35), con scarse prospettive di copertura, in tempi brevi, dei posti divenuti vacanti;
tale provvedimento produrrà un evidente pregiudizio al tribunale di Modena, causando l'immediata riduzione delle possibilità operative e la prospettata, ed appena attivata, riorganizzazione delle sezioni civili;
in due successivi atti di sindacato ispettivo (3-00190 del 31 luglio 2008 e n. 3-00581 del 3 marzo 2009 a firma Barbolini-Bastico) veniva chiesto se il Governo ritenesse opportuno, in linea con quanto previsto da una norma della legge finanziaria per il 2008, applicare un criterio premiale per trasferire al tribunale di Modena una parte significativa delle risorse economiche introitate dall'attività giudiziaria svolta in quella sede, pari a 1.005.113 euro nel 2006, da destinare al potenziamento delle dotazioni degli uffici

giudiziari; all'aumento del personale in organico, ampiamente insufficiente alle esigenze del tribunale, e alla costruzione di nuove sedi per lo svolgimento dell'attività giudiziaria;
in relazione all'organico, recenti ordinarie ispezioni ministeriali hanno accertato un livello di produttività dell'ufficio superiore alla media; ma un insufficiente numero di magistrati addetti (35) che dovrebbe essere aumentato di quattro o cinque unità;
la tutela giurisdizionale costituisce uno strumento imprescindibile per assicurare ai cittadini la garanzia e la piena attuazione dei loro diritti, non solo in sede penale ma anche in ambito civile, tributario e amministrativo;
la garanzia del diritto dei cittadini alla sicurezza presuppone necessariamente - oltre all'efficienza dell'azione delle forze dell'ordine cui vanno assicurati i mezzi indispensabili per il loro operato - un sistema giudiziario efficiente, per il cui miglioramento è necessario stanziare risorse adeguate e idonee a realizzare un effettivo miglioramento della qualità dell'amministrazione della giustizia;
il nostro sistema giudiziario soffre, oggi, di gravi carenze strutturali, che non sono affrontate dal Governo anche a causa delle scarse risorse stanziate: ne è prova l'ultima manovra finanziaria che le ha ulteriormente ridotte rispetto all'esercizio precedente, quando già rappresentavano soltanto l'1,4 per cento del bilancio dello Stato -:
quali iniziative intenda adottare il Governo al fine di risolvere la situazione di carenza di personale presso il tribunale di Modena, che, con il trasferimento di 4 magistrati ad altra sede, e con la prospettiva di una loro mancata sostituzione, rischia una notevole riduzione delle attività operative.
(3-01194)

Interrogazioni a risposta in Commissione:

PALOMBA e ZAZZERA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
l'articolo de La Repubblica del 20 marzo 2010 riporta che «il capomafia stragista Giuseppe Graviamo e il capo storico del clan dei Casalesi Francesco Schiavone hanno condiviso per diversi giorni l'ora d'aria. Nonostante entrambi fossero al 41-bis»;
il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia ha manifestato forte preoccupazione per quanto accaduto a gennaio presso il carcere Opera di Milano. Sebbene il regime di carcere duro non abbia «una funzione penalizzante per il detenuto», lo scopo della norma è quello di impedire che i mafiosi possano continuare a realizzare affari o a pianificare strategie criminali. A tal fine, è fondamentale bloccare qualsiasi comunicazione con l'esterno. Pertanto, spiega il procuratore nell'intervista pubblicata dal succitato giornale, «Se il mafioso detenuto al carcere duro continua a fare tutte queste cose, o anche solo alcune di queste, allora l'istituto del 41-bis ha fallito»;
peraltro lo stesso procuratore Ingroia reputa il fatto ancora più grave nel momento in cui, da quanto risulta dalle indagini espletate, «Cosa nostra, 'ndrangheta e camorra fanno affari insieme», per cui «l'identità delle singole organizzazioni mafiose è mutata, anzi in certi casi è anche venuta meno»;
in effetti, sul medesimo articolo è riportato che dopo gli incontri con Graviano, Schiavone avrebbe mandato un messaggio ai familiari invitandoli a «lasciare il territorio» perché «sta per arrivare una valanga»;
poco dopo, il 15 giugno 2010, è stato arrestato il figlio di Schiavone, Nicola, ritenuto l'attuale reggente della fazione della cosca del padre, con l'accusa di essere il mandate dell'omicidio di tre affiliati al clan -:
se i gravi fatti riportati in premessa corrispondano al vero e se il Ministro non

ritenga che consentire ai boss sottoposti al regime carcerario duro di incontrarsi durante l'ora d'aria, non entri in contrasto con l'applicazione dell'articolo 41-bis della legge sull'ordinamento penitenziario.
(5-03270)

CONTENTO. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
in data 18 luglio 2010, sui maggiori quotidiani nazionali, è stato pubblicato un comunicato della «Esselunga Spa», nel quale vengono evidenziate alcune circostanze di fatto relative all'acquisto di un terreno in comune di Modena sul quale, in forza di un piano particolareggiato all'epoca in corso di approvazione, era prevista la realizzazione di un supermercato;
in particolare, il comunicato fa riferimento ad un incontro voluto dal comune di Modena, nel corso del quale, «l'assessore Daniele Sitta proponeva ancora una volta, ai tre rappresentanti di Esselunga intervenuti, di insediarsi in un altro luogo e di cedere a Coop Estense il proprio lotto...» aggiungendo che «in mancanza di ciò, o di un accordo fra Esselunga e Coop Estense per realizzare qualcosa il comune avrebbe cambiato le destinazioni d'uso, cancellando l'uso commerciale»;
l'intera vicenda risulterebbe, tra l'altro, essere già stata oggetto di pubbliche iniziative da parte della stessa «Esselunga Spa» o di suoi rappresentanti;
il clamore dei fatti denunciati e il sospetto dell'esistenza di comportamenti suscettibili di essere vagliati dall'autorità giudiziaria non parrebbe aver indotto quest'ultima ad avviare indagini allo scopo di verificare la fondatezza dei rilievi mossi dalla società e l'eventuale responsabilità penale degli autori -:
se siano state avviate indagini in relazione a quanto esposto in premessa e se risulti quale esito abbiano avuto.
(5-03271)

...

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta orale:

COMPAGNON. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
il gruppo Ferrovie dello Stato è una società per azioni a totale partecipazione statale attraverso il Ministero dell'economia e delle finanze;
il servizio ferroviario universale dedicato alla mobilità dei passeggeri e gestito da Trenitalia S.p.A. è finanziato da Stato e regioni;
a fronte della costante crescita del fenomeno del pendolarismo, l'offerta del trasporto su ferro risulta essere nettamente sottodimensionata ed inadeguata in termini di qualità e disponibilità del servizio;
l'orario ferroviario di Trenitalia entrato in vigore il 13 dicembre 2009 ha soppresso, tra gli altri, gli Eurostar che effettuavano il servizio diretto veloce (poco più di cinque ore) Trieste/Roma/Trieste; Udine/Roma/Udine; nonché Udine/Milano/Udine;
gli unici due collegamenti diretti, ad oggi operativi, tra Trieste e Roma sono: un intercity che si forma nel capoluogo giuliano al mattino e vi rientra la sera con un tempo di percorrenza pari a otto ore e venti minuti; in alternativa, sempre sulla medesima tratta, vi è il collegamento notturno che arriva e parte non dalla stazione centrale di Roma Termini, ma dalla meno servita stazione periferica Roma Tiburtina, con un tempo di percorrenza pari a nove ore e trenta minuti;
attualmente, gli utenti che da Trieste debbono raggiungere la capitale debbono obbligatoriamente ricorrere a treni regionali, cambiare a Mestre, attendere le coincidenze, affrontando spesso ritardi, lunghe attese e disservizi defatiganti;

alla luce dell'insufficiente, inadeguata e disagevole offerta di collegamenti tra Trieste, Udine e Roma (sintomatico è l'episodio verificatosi lo scorso 18 luglio sull'intercity Roma-Trieste 592, ove l'impianto di condizionamento è rimasto fuori uso per ore) che penalizza in generale il sistema di collegamenti su ferro dell'intero Friuli Venezia-Giulia, l'unica alternativa possibile per l'utenza è rappresentata dal più costoso ed inquinante collegamento aereo che, peraltro, impone un ulteriore dilatazione dei tempi a carico dei viaggiatori -:
se intendano, per quanto di propria competenza, intervenire per assicurare una maggiore elasticità nella definizione dei contratti di servizio per il trasporto ferroviario anche regionale, potenziando il sistema dei collegamenti locali con la rete nazionale ed incrementando, in particolare, il numero dei convogli giornalieri tra la capitale ed il capoluogo della regione Friuli Venezia-Giulia ed, in generale, con ogni capoluogo di regione e viceversa.
(3-01193)

Interrogazione a risposta in Commissione:

CODURELLI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
nel corso dei primi interrogatori delle persone arrestate dalle forze dell'ordine nel maxiblitz contro la 'ndrangheta, che ha portato in carcere oltre 300 indagati, iniziati nella scorsa settimana a Milano, è emerso il coinvolgimento dell'imprenditore di Cassago (Lecco) Ivano Perego, responsabile della Perego General Contractor. Perego è accusato di associazione mafiosa e di aver condotto affari con il boss della 'ndrangheta Salvatore Strangio il quale, attraverso la ditta Perego, mirava ad infiltrarsi negli appalti in vista dell'Expo 2015. Infiltrazione non avvenuta a causa del fallimento della suddetta società, avvenuto nel dicembre 2009, che ha visto, tra l'altro, i dipendenti della Perego senza stipendio per mesi e senza cassa integrazione guadagni;
la Ditta Perego, impegnata nei lavori di realizzazione del raddoppio ferroviario sulla Milano-Lecco, si è occupata dello smaltimento dei detriti derivanti dai lavori e dalle notizie emerse negli ultimi giorni dalla stampa locale (provincia di Lecco del 17 luglio 2010), pare che nel tratto del raddoppio Airuno-Usmate, sono state sepolte le vecchie traversine dei binari, imbevute di amianto, materiale notoriamente e fortemente inquinante nonché molto pericoloso per la salute;
secondo un ex-dipendente dell'azienda brianzola, nei corso dei lavori per il rifacimento del tratto ferroviario Airuno-Usmate nello smantellare la vecchia ferrovia sono stati estratti i traversini dei binari, che dovevano essere accantonati per poi essere frantumati. Tutto ciò non è stato fatto, mentre i traversini sono stati prelevati e portati in un altro luogo sempre sul tratto della ferrovia, per essere sotterrati;
i lavori del raddoppio sono costati 230 milioni di vecchie lire (raddoppio dei binari nel tratto mancante della Milano-Lecco, creazione di due nuove gallerie e altro) e la ditta succitata potrebbe aver ottenuto una serie di incarichi particolari, a margine della gara di appalto -:
a fronte di tali allarmanti notizie, quali controlli urgenti si intendano mettere in campo per accertare la regolarità dei molteplici lavori eseguiti dalla ditta di cui in premessa, non solo nella provincia di Lecco, al fine di poter scongiurare la presenza di ulteriori interramenti di materiali altamente pericolosi per la sicurezza e la salute dei cittadini.
(5-03272)

Interrogazioni a risposta scritta:

LUSSANA. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
i pendolari sono una categoria assai spesso bistrattata e poco importa il fatto che siano pendolari che usano l'auto, la

bici, il treno o l'autobus per recarsi quotidianamente sul proprio posto di lavoro. Romano non fa da questo punto di vista eccezione, e ad al suo fianco anche Treviglio;
ogni tanto però il disappunto produce vere e proprie situazioni di protesta e di frizione, proprio come sta accadendo in questi giorni in tali zone. Al centro della polemica c'è Trenitalia, ed in particolare il treno interregionale mattutino che percorre la direttrice Venezia-Milano in direzione del capoluogo lombardo. Si tratta del treno numero 2090 il cui orario di arrivo previsto è alle 8:45;
il cambio degli orari (e la diminuzione delle corse) deciso da Trenitalia giusto qualche mese doveva portare ad un miglioramento del servizio complessivo per i viaggiatori;
così invece sembra non essere stato; altro fattore che accomuna tutti i pendolari, sono le critiche condizioni di viaggio;
negli ultimi giorni infatti si sono segnalati un sempre maggiore numero di guasti all'impianto di riscaldamento (in media 1-2 carrozze per ogni convoglio) ed una costante incuria delle condizioni igieniche, in aggiunta ad una diminuzione delle carrozze disponibili -:
se il Ministro, essendo a conoscenza della situazione, non intenda intervenire presso Trenitalia al fine di riportare la situazione relativa alla composizione del treno n. 2090 a quella originaria, unitamente alle condizioni necessarie di pulizia ed ordine del materiale rotabile, al fine di poter tornare ad offrire un servizio ai cittadini, compitamente nel senso più alto del termine.
(4-08121)

LO MONTE, COMMERCIO, LATTERI, LOMBARDO e MISITI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
l'ANAS S.p.A. è il gestore della rete stradale ed autostradale italiana di interesse nazionale, che è una società per azioni il cui socio unico è il Ministero dell'economia e delle finanze ed è sottoposta al controllo ed alla vigilanza tecnica ed operativa del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
l'ANAS ha la manutenzione ordinaria e straordinaria di strade e autostrade, il loro adeguamento e il progressivo miglioramento, la costruzione di nuove strade ed autostrade, i servizi di informazione agli utenti, nonché l'adozione dei provvedimenti per la sicurezza del traffico sulle strade e sulle autostrade;
tale attività è svolta anche in Sicilia direttamente dall'Anas in alcune autostrade e strade di lunga percorrenza, con carico importante di traffico automezzi di ogni tipo, con risultati sconfortanti e che mettono costantemente a rischio la sicurezza degli utenti;
le strade e autostrade in gestione all'Anas in Sicilia, sono molto carenti anche sotto il profilo di erogazioni di servizi, al punto che intere tratte non sono provviste di autogrill (Palermo-Trapani, Mazara del Vallo) o là dove esistono spesso ce ne sono pochissimi (nel caso dell'autostrada Catania Palermo, direzione Palermo, la distanza tra autogrill arriva anche a superare i 90 chilometri, rispetto ad una media nazionale che non supera i 40 chilometri di distanza);
le strade statali in carico all'Anas, in Sicilia, soffrono degli stessi problemi delle autostrade, per cui le manutenzioni scarseggiano o addirittura sono inesistenti, non hanno un'adeguata segnaletica stradale, peraltro spesso obsoleta ed illeggibile, il tutto con grave rischi per la sicurezza ed incolumità dei cittadini;
le manutenzioni ordinarie o straordinarie, per strade ed autostrade, quelle rare volte in cui sono disposte, sono realizzate negli orari di punta del traffico veicolare, con gravi disagi e rischi per gli automobilisti e per gli stessi addetti impegnati nei lavori di manutenzione, tanto da non essere infrequenti gli incidenti mortali che coinvolgono gli operai;

anche nelle strade di lunga percorrenza come la Palermo-Agrigento o la Agrigento-Caltanissetta, a causa della cattiva manutenzione, ma soprattutto per l'assenza di un'azione preventiva da parte dell'Anas, che non interviene drasticamente a ridurre gli innesti privati, a riparare i tratti di manto deformato, a collocare o a manutenzionare con immediatezza e perizia i sussidi per la guida notturna, quali rifrangenti e «occhi di gatto», o a predisporre l'adeguata recinzione per evitare l'accesso alla carreggiata di animali di dimensioni importanti (bovini soprattutto), si sono verificati e si verificano continui incidenti stradali mortali, tanto che le predette strade Palermo-Agrigento e Agrigento-Caltanissetta sono divenute «veri e propri cimiteri» con diverse decine di lapidi poste lungo i laterali della strada;
l'Anas, a quanto consti agli interroganti, spesso intervenga a contestare e revocare a società concessionarie la gestione del servizio, mantiene quella che agli interroganti appare una situazione del tutto inadeguata sull'autostrada Palermo-Catania, direzione Catania dove, dopo lo svincolo di Resuttano, da molto tempo (quasi dieci anni) vi è un restringimento ad una corsia per una lunghezza di oltre 2 chilometri, che, oltre a provocare disagi, è stato causa di gravissimi incidenti stradali;
l'Anas, benché molto attenta ad assicurare la regolarità, anche formale, dei protocolli e dei contratti di servizio, da sempre (quasi 50 anni) consente che, sull'autostrada Palermo-Trapani-Mazzara del Vallo, non vi sia un autogrill con annesso rifornimento di carburante o un posto di ristoro o servizi igienici, rendendola non adeguata ad un Paese fondatore dell'Unione europea;
la predetta autostrada Palermo-Trapani-Mazzara, realizzata quasi cinquanta anni fa, almeno nel primo tratto che consente di raggiungere l'aeroporto internazionale di Palermo «Falcone Borsellino», è rimasta della stessa larghezza, diventando un vero e proprio imbuto-strozzatura che, oltre a non dare certezza sui tempi di percorrenza per raggiungere l'aeroscalo, provoca quotidiani incidenti, anche mortali, con gravi disagi per la viabilità locale e per la qualità della vita di quelle comunità locali che vivono nelle adiacenze, ormai asfissiate da un traffico veicolare costretto a deviare per ingorghi ed incolonnamenti di ore -:
se il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, nonché il Ministro dell'economia nella qualità di azionista unico, intendano intervenire e come nei confronti di Anas, per accertare eventuali inadempienze o responsabilità in ordine alla programmazione, al miglioramento e alla manutenzione delle strade affidate alla gestione di Anas in Sicilia, il cui mancato adeguamento, nel tempo, oltre a provocare una lunga scia di morti, non ha consentito e non consente di determinare, come nel nord del Paese, le condizioni infrastrutturali necessarie per favorire lo sviluppo.
(4-08125)

TESTO AGGIORNATO AL 10 FEBBRAIO 2011

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INTERNO

Interpellanze:

Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere - premesso che:
si fa riferimento alla situazione creatasi a Bologna per effetto della ripresa dei lavori del progetto CIVIS che sta arrecando numerosi danni alla città di Bologna ed ai suoi abitanti. In particolare per quanto riguarda il centro storico sono a rischio edifici rinascimentali e medioevali senza che da parte delle autorità competenti ci sia la necessaria consapevolezza della gravità del momento;

a parere dell'interpellante occorre un ripensamento totale perché i rischi sono enormi per una città medioevale;
è necessario infatti, cosa fino ad ora mancata per la colpevole inadeguatezza delle giunte di sinistra, «un intervento massiccio» sulla pavimentazione stradale del centro storico, pochi sanno ad esempio che le 2 torri hanno dei sensori che documentano un loro lento movimento per effetto del passaggio in via San Vitale e strada Maggiore di autobus enormi (dannosi per il centro storico di Bologna artisticamente rilevante e si pensi che a Firenze città di evidente pregio artistico circolano mezzi più piccoli). Le pavimentazioni attorno alle 2 torri che non è medioevale, ma risale comunque all'800 ed è rattoppata con bitume e catrame necessita di un intervento radicale. Se si pensa che CIVIS è ancora più pesante degli autobus si ha un'idea del danno provocato al manto stradale del centro di Bologna che è inadeguato a reggere non solo l'impatto degli autobus snodati ma a maggior ragione di CIVIS. A parte questioni che riguardano l'insicurezza dei passeggeri per effetto della guida centrale, o l'impossibilità per portatori di handicap di raggiungere le pensiline collocate in mezzo alla strada, ciò che preoccupa è il silenzio o la negligenza che ha caratterizzato le passate amministrazioni nell'ipotizzare un intervento massiccio sul fondo stradale, che sulla base di acquisizioni raccolte da tecnici del settore, dipendenti comunali e di ATC è urgente e indispensabile, ragione per la quale una riconsiderazione globale del progetto CIVIS s'impone -:
se nell'ambito delle sue competenze, il commissario di Governo intenda revocare il provvedimento.
(2-00792) «Garagnani, Carlucci».

Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere - premesso che:
si fa riferimento al recente provvedimento votato dal Parlamento concernente la carta delle autonomie locali, in particolare all'opportunità di accentuare ulteriormente l'autonomia dei consigli comunali rispetto al ruolo preponderante del sindaco e della giunta comunale, rilevando che alcuni significativi mutamenti intervenuti nel recente provvedimento non incidono però nella sostanza delle competenze ancora troppo limitate dei consigli comunali medesimi;
in particolare, con la trasformazione delle aziende speciali in società per azioni, sfugge ai componenti dei consigli comunali e provinciali il controllo di importanti realtà economiche. Non essendo previsto l'affidamento di alcuna forma effettiva di controllo e di gestione di tali società ai suddetti consigli, vengono in tal modo privati anche i cittadini elettori di ogni forma di partecipazione alla gestione di tali organismi;
in tal senso parrebbe opportuno all'interpellante prevedere l'attribuzione del potere di controllo sulla gestione delle aziende speciali di enti locali e delle spa partecipate a maggioranza da comuni e province, nonché l'obbligo del parere favorevole dei rispettivi consigli comunali e provinciali per le nomine degli amministratori delle aziende speciali e delle spa di partecipazione maggioritaria di enti locali;
la norma proposta non lede i princìpi cardine della nuova disciplina che regola l'elezione diretta del sindaco, ma serve a garantire il ruolo essenziale dei consigli, che rischiano un effettivo depotenziamento a fronte dell'eccessivo rafforzamento degli esecutivi evitando comunque di ricadere nella precedente situazione di consociativismo e contrattazione -:
se il Governo intenda assumere ulteriori iniziative normative nel senso rappresentato in premessa.
(2-00793) «Garagnani».

Interrogazioni a risposta in Commissione:

MARCO CARRA. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il consiglio comunale di Viadana (MN) ha approvato, il 15 luglio 2010 una «mozione d'urgenza sul problema della maggior tutela della sicurezza dei cittadini nel comune di Viadana»;
nella mozione si chiede al Governo «la possibilità di escludere dal patto di stabilità le spese di investimento per la sicurezza dei cittadini dando possibilità agli enti locali e alle regioni di poter investire risorse in progetti di potenziamento e radicamento sul territorio dei servizi sulla sicurezza» e «di consentire agli enti locali di poter assumere nuovo personale, in sostituzione e in aggiunta degli organici esistenti, nel comparto sicurezza in deroga ai limiti imposti per legge per il controllo della spesa sul personale»;
tali richieste sono totalmente condivisibili e vanno nella direzione di potenziare gli strumenti di contrasto alla criminalità in dotazione all'amministrazione comunale, in quanto soggetto complementare alle forze dell'ordine;
la tutela della sicurezza dei cittadini è un diritto a cui la pubblica amministrazione deve dare risposte adeguate per contrastare i sempre più frequenti episodi di criminalità che colpiscono le nostre comunità -:
se il Governo intenda corrispondere compiutamente alle giuste richieste del comune di Viadana (MN) al fine di dotare l'amministrazione comunale stessa degli strumenti idonei per contrastare la criminalità in quel territorio.
(5-03263)

GARAGNANI. - Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
si fa riferimento a quanto accaduto in provincia di Bologna per effetto degli impianti autovelox collocati dalla provincia medesima sulle strade di sua competenza e non rientranti sulla base di una accurata inchiesta sui 20 impianti esistenti, condotta da un consigliere provinciale, nell'ambito della normativa nazionale che sarebbe stata violata in parecchi punti, al riguardo un resoconto del maggiore quotidiano locale di sabato 3 luglio il Resto del Carlino evidenzia dettagliatamente le località ed i difetti delle singole postazioni;
l'ente provincia e molti comuni, cosa che l'interrogante ha già sottolineato in passato, beneficiano ad avviso dell'interrogante di una sorta di impunità o esenzione dalla legge anche per il fatto che è la prefettura competente, sulla base della normativa nazionale, a coordinare l'applicazione degli strumenti di controllo sulla viabilità con gli enti locali, ma, di fatto, si trova impedita a procedere a verifiche costanti della regolarità delle procedure adottate -:
quali iniziative intenda intraprendere per tutelare cittadini ingiustamente sanzionati con riferimento a quanto rappresentato in premessa.
(5-03264)

MARCO CARRA. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
presso la prefettura di Mantova sono in servizio sei dipendenti precari assunti dal Ministero dell'interno con contratto di lavoro in scadenza il 31 luglio 2010;
i/le sei dipendenti sono impiegati/e presso l'ufficio immigrazione, con la particolare funzione di occuparsi delle domande di sanatoria 2009;
la presenza dei/delle sei dipendenti ha garantito all'ufficio immigrazione della prefettura di Mantova l'erogazione di un servizio, in termini qualitativi e quantitativi, assai efficace ed è del tutto evidente, a giudizio dell'interrogante, che l'interruzione del rapporto di lavoro metterebbe l'ufficio medesimo in una condizione di difficoltà;

delle oltre 3000 pratiche alle quali si doveva una risposta, ad oggi ne restano in disponibilità dell'ufficio circa 1600;
per tutte le premesse sopra esposte sarebbe opportuno prorogare l'incarico ai/alle sei dipendenti -:
se il Governo intenda prorogare l'incarico ai /alle sei dipendenti di cui sopra, presso la prefettura di Mantova, al fine di garantire continuità al servizio relativo alle domande di sanatoria 2009 con ciò offrendo anche continuità lavorativa al personale di cui in premessa.
(5-03269)

Interrogazione a risposta scritta:

ZACCHERA e CARLUCCI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
i sindaci al momento della loro nomina giurano sul corretto assolvimento del proprio ruolo ed emettono spesso ordinanze legate alla gestione dell'ordine pubblico, agli orari di spettacoli, alla circolazione stradale e di altro tipo;
numerosi sindaci hanno anche emesso ordinanze per la regolamentazione - ad esempio - dell'accattonaggio o di altre attività abusive;
spesso il sindaco - davanti all'evidenza di una situazione irregolare o comunque non coerente con quanto disposto -non ha neppure la possibilità di poter identificare un cittadino ed in qualsiasi situazione deve richiedere l'intervento delle forze dell'ordine o dei vigili urbani che però non sempre sono immediatamente disponibili;
la stessa polizia locale e/o i vigili urbani non sono peraltro presenti in molti comuni minori e sempre più vi saranno amministrazioni locali senza queste figure anche conseguentemente ai tagli della spesa ed al mancato turnover dei dipendenti;
apparirebbe utile che un qualsiasi sindaco - proprio in virtù del proprio ruolo e considerando anche ai sua elezione diretta da parte dei cittadini - possa assumere anche quello di «controllore», nel senso di poter chiedere i documenti ai cittadini, emettere una sanzione in flagranza di violazione a regolamenti o al codice della strada, ciò senza per questo ricevere alcun emolumento;
non si deve trasformare il sindaco nella figura di uno «sceriffo», ma è coerente con la realtà e con le situazioni oggettive il permettere una tempestività di intervento e di eventuale sanzione -:
se non si ritenga di assumere iniziative, anche normative, affinché - a richiesta degli interessati - si possa concedere ai singoli sindaci in carica, previa domanda ai prefetti, la possibilità di identificare i cittadini (previa loro stessa identificazione agli interessati) e di svolgere le funzioni più semplici di norma delegate alla polizia municipale, soprattutto là ove vi sia oggettiva carenza di organico.
(4-08114)

TESTO AGGIORNATO AL 10 FEBBRAIO 2011

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ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:

GOISIS. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
da diversi anni nelle scuole italiane l'insegnamento di filosofia viene affidato a due classi di concorso, la 36/A (filosofia, psicologia e scienze dell'educazione) e la 37/A (storia e filosofia). Mentre nel liceo classico e nel liceo scientifico tradizionale questo insegnamento è solitamente attribuito alla 37/A, in tutti gli altri licei è assegnato sia alla 36/A sia alla 37/A, con una netta prevalenza della 36/A in tutti gli istituti ex-magistrali, in due terzi dei licei scientifici tecnologici (divenuti ora «opzione scienze applicate»), in molti licei artistici e linguistici e in tutte le sperimentazioni

Brocca che hanno introdotto la filosofia negli istituti tecnici (cancellate dall'attuale riforma);
le predette due abilitazioni, rispetto all'insegnamento di filosofia, risultano assolutamente equivalenti. Infatti, dal punto di vista dei titoli riconosciuti:
a) il numero minimo di esami universitari di filosofia per accedere ad entrambe le classi di concorso è sempre stato identico;
b) il concorso a cattedre per le due classi di concorso ha sempre previsto la medesima prova di filosofia;
c) nell'esame di ammissione alla SSIS veniva proposta la stessa prova di filosofia;
d) il percorso abilitante SSIS, per quanto riguarda la filosofia, è sempre stato identico;
anche dal punto di vista culturale le due classi di concorso possono vantare le medesime credenziali rispetto al diritto ad accedere all'insegnamento della filosofia. Se, infatti, la filosofia intrattiene delle indubbie relazioni con la storia, rapporti altrettanto significativi collegano la filosofia al campo delle scienze umane. Non è un caso, ad esempio, che importanti sociologi (come Comte, Spencer, Marx e Weber), psicologi (come Freud o James) e pedagogisti (come Platone e Aristotele, Agostino e Tommaso, Locke e Rousseau, Dewey e molti altri) figurino in tutti i manuali di storia della filosofia. Sarebbe dunque assurdo considerare l'associazione «storia e filosofia» come dotata di maggior valore culturale rispetto a quella «filosofia e scienze umane», peraltro dominante nel resto d'Europa;
il nuovo schema di regolamento delle classi di concorso negando questa evidente equivalenza sia giuridica che culturale e negando al contempo l'attuale distribuzione delle cattedre di filosofia, intende progressivamente strappare ai docenti della ex-36/A («Filosofia e scienze umane») il diritto a continuare ad insegnare questa disciplina in moltissimi licei, indicandola come classe «ad esaurimento» a vantaggio della 37/A;
tale operazione appare priva di senso, sia perché misconosce un titolo che lo Stato ha già riconosciuto sia perché porta ad inevitabili conseguenze negative dal punto di vista didattico ed organizzativo in quanto:
a) il consistente taglio di cattedre operato ai danni della 36/A, sottraendole gradualmente l'insegnamento di filosofia nei licei linguistici, artistici e scientifico-tecnologici a vantaggio della 37/A, farà perdere ai nostri studenti molti docenti di ruolo e non di ruolo della 36/A già formati e con numerosi anni di esperienza alle spalle, nonostante essi abbiano tutti i titoli necessari per l'insegnamento di filosofia, per assumere invece al loro posto nuovi abilitati nella 37/A, con un punteggio complessivo minore, quindi con titoli culturali o esperienza didattica inferiori;
b) questa decisione colpisce una classe di concorso già duramente provata dal forte ridimensionamento delle scienze umane e dalla cancellazione dell'insegnamento di psicologia della comunicazione in alcuni indirizzi professionali, creando seri problemi di esubero nel personale di ruolo e la perdita del posto di lavoro per tutti i docenti a tempo determinato abilitati nella 36/A, anche quelli con numerosi anni di servizio;
il nuovo schema di regolamento, contravvenendo, ad avviso dell'interrogante, all'articolo 64 del decreto-legge n. 112 del 2008 che chiedeva di razionalizzare l'uso del personale docente riducendo il numero delle classi di concorso attraverso l'accorpamento di classi simili, prevede invece la creazione di una nuova classe di concorso, denominata «teorie e tecniche della comunicazione» (A-64), a cui vengono attribuiti gli insegnamenti di «teorie della comunicazione», «tecniche della comunicazione», «scienze umane e sociali» e «psicologia generale e applicata», tutte discipline già assegnate alla 36/A (rinominata nel nuovo regolamento A-18);

tale scelta appare all'interrogante evidentemente irrazionale:
a) sia dal punto di vista didattico, in quanto inserisce nella scuola docenti con una preparazione eccessivamente settoriale, poco adatta al tipo di insegnamento che dovranno impartire;
b) sia dal punto di vista logistico, in quanto crea un mero doppione della 36/A (ora rinominata A-18), rendendo più complessa la gestione dell'organico, aumentando il rischio di esuberi e generando così un aggravio di spesa per lo Stato;
risulta assolutamente incomprensibile, la decisione di togliere alla classe 36/A (ora A-18) l'insegnamento di filosofia a vantaggio della classe 37/A (ora A-19) e al contempo sottrarle tutte le discipline sinora insegnate negli istituti tecnici e professionali, per condividerle con la nuova classe concorso A-64, ad avviso dell'interrogante in modo non conforme al decreto-legge n. 112 del 2008 -:
se, in vista di un'organizzazione più equilibrata e razionale dell'organico, non ritenga opportuno valutare la necessità di apportare delle modifiche al nuovo regolamento delle classi di concorso, dal momento che l'equivalenza dei titoli di 36/A e 37/A impone chiaramente di garantire anche alla 36/A la possibilità di continuare anche in futuro ad accedere all'insegnamento di filosofia in tutti i licei, adottando una delle seguenti possibili soluzioni:
a) assegnare esclusivamente alla 36/A (ora A-18) l'insegnamento di filosofia nel liceo delle scienze umane, nell'opzione economico-sociale, nel liceo linguistico, artistico, coreutico-musicale e nell'opzione delle scienze applicate, ed invece esclusivamente alla 37/A (ora A-19) l'insegnamento di filosofia nel liceo classico e scientifico tradizionale, i due licei con il maggior numero di iscritti, rispettando così l'attuale distribuzione delle due classi di concorso, procedendo infine alla cancellazione della classe A-64;
b) oppure, assegnare in modo definitivo sia alla 36/A (ora A-18) sia alla 37/A (ora A-19) l'insegnamento di filosofia in tutti i licei, assicurando poi un'equa distribuzione di tale insegnamento tra le due classi di concorso, e cancellare la A-64, considerando che, in tutti i licei in cui filosofia verrà affidata alla 36/A, storia potrebbe essere assegnata alla 51/A, che già da tempo insegna questa disciplina, possedendo tutti i titoli necessari;
c) oppure, infine, creare una classe di concorso unificata per l'insegnamento nei licei (comprendente «filosofia», «scienze umane» e «storia») in cui possano confluire 36/A e 37/A ed un'unica classe di concorso per gli istituti tecnici e professionali («scienze umane e sociali», «psicologia generale e applicata», «teorie e tecniche della comunicazione» ed eventualmente «relazioni internazionali») in cui possano confluire la 36/A e la nuova A-64, accorpamento che appare non solo perfettamente coerente, a livello normativo, con le previsioni dell'articolo 64 del decreto-legge n.112 del 2008, ma anche culturalmente e didatticamente giustificato dalla storiografia più recente, la quale, almeno a partire dalla scuola francese di Les Annales, ha sempre sottolineato lo stretto rapporto esistente tra lo studio della storia e le altre scienze umane (in particolare sociologia, antropologia e psicologia, forse ancor più che filosofia).
(5-03265)

Interrogazioni a risposta scritta:

GALATI e CARLUCCI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - per sapere - premesso che:
per il secondo anno consecutivo l'Invalsi ha chiesto ad insegnanti esterni di ricorreggere un campione di temi della maturità sulla base di una scheda elaborata con l'Accademia della Crusca. Non è cambiato nulla: i risultati emersi sono alquanto negativi. Nei licei un tema su tre è insufficiente mentre negli istituti professionali il dato è ancor più riprovevole: solo due temi su dieci sono in grado di raggiungere un discreto livello di elaborazione.

Il problema maggiore riguarda evidentemente il sistema scuola che non riesce a garantire un buon livello di padronanza della componente ideativa. Secondo alcuni esponenti dell'Accademia della Crusca è necessario intervenire valutando ulteriori opportunità di esercizio scritto da aggiungere al classico tema. Magari attraverso lo strumento del riassunto con la scelta di testi adeguati e didatticamente utili. Le nuove generazioni, attualmente, sono immerse nella cosiddetta scrittura da «sms» con le tipiche formule abbreviate che rischiano di avanzare nella gestione del loro stile di scrittura -:
se il Ministro nelle sue proposte di riforma abbia intenzione di agire per migliorare la qualità dell'istruzione dei nostri giovani con riferimento alla problematica descritta in premessa.
(4-08105)

DI GIUSEPPE e ZAZZERA. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
la legge finanziaria 2008, n. 244 del 2007, stabiliva nell'articolo 2, comma 413, un tetto massimo di circa 91.000 unità al numero di insegnanti di sostegno da nominare in organico di fatto, secondo un rapporto medio nazionale di 1 posto ogni 2 alunni con certificazione di disabilità;
nel seguente comma 414, la stessa legge, pur riconfermando il principio dell'integrazione scolastica e dell'assegnazione delle ore di sostegno secondo il criterio delle «effettive esigenze rilevate», vietava comunque la possibilità di deroghe al rapporto medio nazionale di 1 a 2, stabilito nel comma 413, deroga precedentemente consentita dalla normativa in organico di fatto;
la Corte costituzionale, con la sentenza numero 80, depositata il 26 febbraio 2010, ha dichiarato incostituzionali i suddetti commi 413 e 414 dell'articolo 2, della citata legge, in quanto contrari all'articolo 3 della Costituzione, con le seguenti motivazioni:
a) gli alunni con disabilità lieve o più seria non possono essere equiparati dalla normativa;
b) il «divieto di deroghe» risulta «irragionevole» nel momento in cui si ribadisce il principio del rispetto delle «effettive esigenze rilevate»;
la suddetta sentenza obbliga il Ministero ad adeguare l'organico per il prossimo anno scolastico 2010-2011-:
quali iniziative abbia intrapreso per rendere effettiva l'applicazione della suddetta sentenza n. 80 del 2010 ed in particolare se il Ministero abbia già approntato una nuova ordinanza sugli organici di fatto, rendendosi necessario un radicale cambiamento della vigente normativa, in ottemperanza al dettato costituzionale e per evitare ai tribunali amministrativi un aggravio di lavoro dovuto ad inevitabili contenziosi con famiglie e scuole per l'attribuzione di ore di sostegno in deroga.
(4-08106)

DI GIUSEPPE e ZAZZERA. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
in seguito all'ordinanza ministeriale 92/07 emanata dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca si prevede negli istituti di istruzione superiore la possibilità di sospendere il giudizio finale di ammissione alla classe successiva per gli alunni che non abbiano raggiunto la sufficienza in tutte le materie;
la sospensione del giudizio ha termine dopo l'espletamento delle operazioni di verifica finali e la riunione del consiglio di classe che delibera collegialmente l'ammissione o non ammissione alla classe successiva;
tali mansioni si devono espletare necessariamente durante i mesi di luglio,

agosto o inizio settembre, a seconda delle delibere dei collegi dei docenti dei diversi istituti;
secondo l'articolo 8, comma 6, dell'ordinanze ministeriale del 5 novembre 2007 n. 92 «la competenza alla verifica degli esiti nonché all'integrazione dello scrutinio finale spetta al consiglio di classe nella medesima composizione di quello che ha proceduto alle operazioni di scrutinio finale»;
come giustamente ribadisce il Ministero mediante la nota prot. 7783 del 10 luglio 2008 va garantita la stessa composizione del consiglio di classe per tutelare la continuità didattica, trattandosi di integrazione di un'attività collegiale precedentemente avviata;
qualora un membro del consiglio di classe che ha sospeso il giudizio sia un docente con contratto a tempo determinato annuale, l'espletamento delle suddette mansioni potrebbe doversi effettuare quando il suo contratto di lavoro è ormai scaduto e qualora il contratto del docente in questione sia fino al termine delle attività didattiche (cioè il 30 giugno) tale eventualità si verifica ineluttabilmente;
secondo la nota prot. AOODGPER n. 16487 del 10 ottobre 2008 «l'adempimento in questione (individuazione e somministrazione della prova, correzione della stessa e integrazione dello scrutinio finale) costituisce obbligo di servizio per i docenti interessati (lavoratori con contratto scaduto), si conferma che le attività su riferite rientrano tra quelle afferenti all'anno scolastico per cui è valido il contratto...dal punto di vista contrattuale il rapporto deve configurarsi quale proroga del precedente contratto, nei casi in cui il personale interessato sia titolare di contratto di durata annuale, mentre, nei casi di contratto fino al termine delle attività didattiche, va inteso come »ripristino« dello stesso contratto per i giorni necessari all'espletamento delle operazioni di cui sopra»;
in base all'interpretazione data all'ordinanza ministeriale 92/07 il Ministero si rende responsabile di aver prodotto una contraddizione insanabile richiamando all'obbligo di servizio lavoratori non più in servizio perché licenziati contro ogni logica dalla medesima istituzione che alla prova dei fatti necessita ancora del loro operato;
è evidente l'ulteriore insanabile contraddizione prodotta dal Ministero che individua come attività didattica riferibile all'anno scolastico per il quale è stato stipulato il contratto di lavoro, una mansione che necessariamente deve svolgersi dopo il 30 giugno, data dallo stesso individuata nei contratti di lavoro come termine delle attività didattiche;
vanno considerate la necessità prioritaria e l'importanza indiscutibile di garantire agli studenti di essere assistiti e giudicati dai docenti che in fase di programmazione iniziale hanno individuato quegli obiettivi minimi di apprendimento per verificare i quali si è proceduto alla sospensione del giudizio -:
se il Ministro intenda sanare le contraddizioni prodotte estendendo i contratti di lavoro a tempo determinato per il personale docente delle scuole superiori al termine effettivo delle attività didattiche, qualunque esso sia, in base alle delibere dei collegi docenti dei singoli istituti, comprendendo quindi, senza soluzione di continuità, anche i giorni necessari all'adempimento delle mansioni di verifica degli esiti e di integrazione dello scrutinio di fine anno ove si sia deliberata la sospensione del giudizio.
(4-08107)

NACCARATO. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
in queste ultime settimane, nei più importanti atenei italiani, sono in corso iniziative di protesta, che comprendono anche il blocco della didattica, promosse da ricercatori e docenti universitari contro i tagli pesanti in questo settore decisi dal Governo e contro le disposizioni ordinamentali

previste dal cosiddetto «disegno di legge Gelmini», ora all'esame del Senato;
le proteste contestano la decisione del Governo di ridurre i fondi di funzionamento ordinario degli atenei, di bloccare gli scatti di progressione di carriera dei docenti, di tagliare le tredicesime e trasformare i ricercatori, che oggi garantiscono gran parte della didattica universitaria, in figure professionali a tempo determinato per un massimo di sei anni;
la scelta del Governo di obbligare l'università ad assumere solo il 20 per cento del personale docente e tecnico-amministrativo rispetto alle cessazioni dell'anno precedente (il cosiddetto blocco del turn-over) rischia di avere gravi conseguenze sul funzionamento degli atenei e sulla loro capacità di promuovere un'adeguata offerta formativa;
una tale situazione ha destato la preoccupazione di tutto il personale docente (ricercatori e professori di ruolo) dell'università di Padova dove è stato promosso come estrema forma di protesta, a partire dal 13 luglio 2010, uno sciopero della fame da parte di alcuni ricercatori della facoltà di chimica. L'iniziativa, ancora in corso, sta coinvolgendo anche docenti e ricercatori delle altre facoltà dell'ateneo padovano;
in particolare, l'azione di protesta dell'università di Padova sta coinvolgendo circa il 65 per cento dei ricercatori, soprattutto nelle facoltà scientifiche tra cui - in particolare - ingegneria, chimica e matematica. Precisamente hanno aderito alla protesta, astenendosi dall'attività di insegnamento, 112 ricercatori della facoltà di scienze, 41 di scienze politiche, 33 di psicologia, 107 di ingegneria, 37 di agraria, 71 di medicina, 47 di veterinaria e 70 di lettere;
tale massiccia partecipazione alla mobilitazione mette fortemente a rischio la prosecuzione dell'attività di insegnamento portata avanti dai ricercatori per numerosi corsi universitari dell'ateneo di Padova;
come è già accaduto all'università «La Sapienza» di Roma, anche a Padova, con la solidarietà e il consenso degli studenti coinvolti, alcuni esami universitari si sono svolti all'aperto o in ore serali per manifestare pubblicamente il dissenso verso le decisioni del Governo nel settore universitario;
già due anni fa, nell'ottobre del 2008, la ferma opposizione ai provvedimenti del Governo in materia di istruzione e università è stata chiaramente affermata dai maggiori atenei italiani, tra i quali anche l'università degli studi di Padova che, con una mozione del proprio senato accademico approvata all'unanimità il 20 ottobre 2008, ha esplicitamente chiesto al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca di assumere iniziative volte a reintrodurre in sede di manovra finanziaria per il 2009, i finanziamenti pubblici tagliati con il decreto-legge n. 112 del 2008 distribuendoli secondo parametri di qualità tra gli atenei e - per le università con bilanci economici in equilibrio - di poter assumere almeno un congruo numero di ricercatori -:
se il Ministro sia al corrente dei fatti sopra esposti;
quali iniziative il Ministro intenda porre in essere per garantire adeguate risorse economiche, almeno uguali a quelle stanziate e utilizzate nei maggiori paesi dell'Unione europea, al sistema universitario nazionale al fine di mantenere un alto livello di formazione superiore per gli studenti, e un'elevata qualità della ricerca universitaria pubblica.
(4-08117)

TESTO AGGIORNATO AL 27 LUGLIO 2010

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LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta scritta:

CATANOSO. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
l'Istituto nazionale della previdenza sociale nell'anno 2007 bandiva un concorso

pubblico, per esami, per l'assegnazione di 50 posti nei ruoli del personale amministrativo dell'INPS, area funzionale B, posizione economica B1 e le cui prove si sono concluse nell'aprile 2010;
a fronte della partecipazione di circa 25.000 candidati soli 319 sono risultati idonei;
a causa della grave carenza di organico l'INPS ha sottoscritto il 24 marzo 2010 (15 giorni prima della conclusione del concorso), un contratto per la fornitura di 900 lavoratori interinali, per 4 ore giornaliere, per 12 mesi, con mansioni di «addetto all'acquisizione dati su supporto informatico ed ai sistemi di archiviazione», profilo equivalente alla posizione B1 del Contratto collettivo nazionale di lavoro degli enti pubblici non economici, con l'agenzia TEMPOR spa, specificatamente per il ruolo dell'area funzionale B, mentre il 25 giugno 2009 ne aveva assunti altri 750, per 4 ore giornaliere, per 3 mesi, sempre con le stesse mansioni e lo stesso inquadramento;
il ricorso a contratti di lavoro a tempo determinato dovrebbe porre rimedio alla carenza di personale dell'INPS ma, allo stesso tempo, ne acuisce le conseguenze non consentendo utili sinergie tra i diversi uffici;
gli idonei al concorso B1 si sono riuniti in comitato e chiedono la precedenza assoluta rispetto agli interinali a rivestire la posizione richiesta nel bando nonché la deroga al blocco delle assunzioni;
anche il sindacato Ugl-Fedep ha avanzato all'amministrazione la stessa richiesta con comunicati e lettere ufficiali;
l'impiego degli idonei del concorso potrebbe garantire all'ente in questione un risparmio di spesa e una maggiore efficienza nel soddisfare le esigenze dell'ente visto che la spesa affrontata dall'Istituto per l'assunzione di questi lavoratori dalla Tempor si aggira sui 24 milioni di euro;
la giurisprudenza consolidata della Corte costituzionale ritiene che le deroghe legislative al principio dell'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni mediante concorso, seppure previste espressamente dallo stesso articolo 97, terzo comma, della Costituzione, sono sottoposte al sindacato di legittimità costituzionale. In particolare, «l'area delle eccezioni» al concorso deve essere «delimitata in modo rigoroso» (sentenza n. 215 del 2009; sentenza n. 363 del 2006). Le deroghe, cioè, sono legittime solo in presenza di «peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico» idonee a giustificarle (sentenza n. 81 del 2006). In altre parole, la deroga al principio del concorso pubblico deve essere essa stessa funzionale alle esigenze di buon andamento dell'amministrazione (sentenza n. 293 del 2009; sentenza n. 9 del 2010) -:
quali iniziative intenda adottare il Ministro per risolvere le problematiche esposte in premessa;
se al Ministro risulti che l'INPS presenti una grave carenza di organico per il ruolo di personale amministrativo, area B, e, in caso affermativo, se ritenga opportuno intervenire con i modi e i mezzi che riterrà più opportuni, al fine di agevolare l'assunzione dei vincitori e degli idonei del concorso già espletato.
(4-08113)

BERRETTA. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
l'Istituto nazionale della previdenza sociale nell'anno 2007 ha bandito un concorso pubblico, per esami, per l'assegnazione di 50 posti nei ruoli del personale amministrativo dell'INPS, area funzionale B, posizione economica B1, le cui prove si sono concluse nell'aprile 2010;
a fronte della partecipazione di circa 25.000 candidati soli 319 sono risultati idonei;
a causa della grave carenza di organico il 24 marzo 2010, 15 giorni prima

della conclusione del concorso, l'INPS ha sottoscritto, con l'agenzia TEMPOR spa un contratto per la fornitura di 900 lavoratori interinali, per 4 ore giornaliere, per 12 mesi, con mansioni di «addetto all'acquisizione dati su supporto informatico ed ai sistemi di archiviazione», profilo equivalente alla posizione B1;
nel 2008 l'INPS ha intrapreso un processo di riorganizzazione conducendo numerose iniziative finalizzate ad offrire servizi sempre più integrati, puntuali e funzionali, nel rispetto dei criteri di efficienza ed economicità, nonché a pervenire ad una sempre maggiore integrazione con le altre pubbliche amministrazioni;
la riorganizzazione aziendale dell'INPS si è rivelata un cambiamento radicale nei sistemi gestionali e organizzativi dell'Istituto apportando mutamenti organizzativi che non sempre si sono accompagnati alla crescita dell'Istituto;
tale processo di riorganizzazione aziendale si è reso necessario per fronteggiare le diverse esigenze dell'Istituto che hanno prodotto una rilevante carenza di organico;
il ricorso a contratti di lavoro a tempo determinato non pone rimedio all'endemica carenza di personale che caratterizza la vita dell'Ente, ne acuisce le conseguenze, non consentendo utili sinergie tra i diversi uffici;
ad avviso dell'interrogante la reiterata procedura messa in atto dall'INPS nel 2009 e nel 2010 non appare conforme al principio costituzionale sull'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni non sussistendo alcuna esigenza che si possa definire straordinaria o eccezionale -:
se corrisponda al vero la condizione di grave carenza di organico per il ruolo di personale amministrativo, area B, e, in caso affermativo, se non ritenga opportuno far fronte a tale carenza attraverso l'assunzione dei vincitori e degli idonei del concorso bandito dall'INPS nel 2007;
se non intenda intervenire presso l'INPS, affinché si proceda all'assunzione degli idonei al suddetto concorso piuttosto che continuare a procedere al reclutamento attraverso agenzie interinali, anche attraverso l'ampliamento dei posti messi a concorso;
se sia stato valutato se l'impiego degli idonei del concorso possa garantire all'ente in questione un risparmio di spesa rispetto all'utilizzo di lavoratori interinali.
(4-08119)

CROSIO, CAPARINI e STUCCHI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
Telecom Italia ha annunciato un piano triennale di oltre 6.822 esuberi entro il 2012, di cui 3.700 entro giugno 2011, preavvisando i sindacati il 9 luglio 2010, nel giorno dello sciopero nazionale della stampa;
giovedì 15 luglio 2010 la stessa azienda a seguito delle pressioni provenienti sia dalle istituzioni sia dai sindacati ha deciso di congelare la prima parte di licenziamenti, in attesa della convocazione del tavolo presso il Ministero;
la decisione unilaterale di Telecom Italia determina un grave problema occupazionale che avrà effetti anche nelle zone maggiormente industrializzate del Paese non solo in termini sociali ma anche di ridimensionamento degli investimenti. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali Maurizio Sacconi ha stigmatizzato la decisione dell'azienda definendola «unilaterale» e sottolineando come «percorsi di razionalizzazione dei costi» possono essere giustificati «solo se collegati a significativi investimenti»;
i principali sindacati confederali hanno dichiarato di apprezzare il risultato ma hanno anche sollecitato Telecom Italia ad avviare un piano industriale che preveda investimenti importanti per la modernizzazione delle reti di telecomunicazione

per evitare i licenziamenti e per attrezzare il Paese con una rete di telecomunicazioni moderna;
il piano di esuberi risulta infatti non giustificato dal momento che Telecom Italia è un'azienda in utile con più di 1,5 miliardi di euro di ricavi netti e avendo già migliaia di lavoratori con stipendi integrati da denaro pubblico;
anche il Governo italiano, come la gran parte di quelli europei, considera lo sviluppo delle reti di nuova generazione strategico per soddisfare la domanda di servizi in banda larga di cittadini e aziende, anche piccole e medie, che devono competere sui mercati internazionali;
Vodafone, Fastweb, Tiscali e Wind hanno di recente presentato un piano di investimenti privati di 2,5 miliardi di euro con l'obiettivo di realizzare una rete in fibra ottica che, partendo dalle principali città italiane, si estenderà in tutto il Paese;
Telecom ha al momento respinto l'invito degli altri operatori a collaborare alla realizzazione di un piano comune per infrastrutturare in fibra l'Italia, lamentando di non aver ricevuto soldi pubblici a sostegno dei propri investimenti e ribadendo l'intenzione di operare autonomamente, secondo il proprio piano;
la strategia industriale di Telecom Italia appare pertanto orientata sul disinteresse per nuovi investimenti, che giustifica quindi gli esuberi nonostante generosi utili d'esercizio, e sulla massimizzazione della rendita derivante dal monopolio della vecchia rete in rame attraverso un aumento dei canoni che l'ex monopolista applica agli operatori concorrenti per il «ultimo miglio» della rete, che consente l'accesso ai clienti finali;
Telecom Italia avrebbe chiesto infatti all'Autorità di settore di aumentare del 14 per cento i canoni nonostante gli aumenti già riconosciuti negli anni 2008 e 2009 che porterebbero ad un incremento complessivo in tre anni pari al 26 per cento;
la strategia industriale di Telecom Italia fonda pertanto, ad avviso degli interroganti, il piano di licenziamenti sulla remunerazione della vecchia rete, danneggiando il mercato e i concorrenti, e, di conseguenza, pregiudicando lo sviluppo infrastrutturale del Paese -:
se il Governo intenda riferire sulla questione riportata in premessa e se esista un nesso tra le richieste di incremento dei canoni di concessione e le attuali linee di politica industriale dell'azienda posto che questo appare all'interrogante contrario all'interesse dei cittadini utenti e allo sviluppo del settore.
(4-08124)

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POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:

DI BIAGIO. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
in occasione della campagna europea 2010 contro lo spreco di cibo si è valutato che in Italia 4 mila tonnellate di alimenti acquistati dagli italiani vengono ogni giorno buttati nella discarica, 6 milioni in un anno;
in tutta Europa i numeri sono anche più alti di quelli italiani e negli Stati Uniti d'America, si arriva a buttare il 40 per cento degli alimenti acquistati in media ogni anno dalle famiglie;
secondo l'EPA 31 milioni di tonnellate di cibo commestibile viene gettato in discarica;
il problema dello spreco del cibo, visto sotto la lente dello squilibrio sociale, dà la dimensione del fatto che tutto il cibo sprecato potrebbe essere utile per risolvere

il problema della denutrizione che colpisce oltre un miliardo di persone sulla terra, ma allo stesso tempo rappresenta il fallimento del mercato e la negazione della logica dell'efficienza senza la quale l'esistenza umana non può essere sostenibile;
il danno ambientale prodotto dallo spreco alimentare è notevole, difatti si stima che ogni tonnellata di rifiuti alimentari è equivalente a 4,2 tonnellate di C02 prodotta;
molti problemi, dagli squilibri sociali alla indipendenza energetica ai cambiamenti climatici, dipendono dal cambiamento dei meccanismi del sistema produttivo -:
se i Ministri interrogati intendano valutare l'opportunità di prevedere ulteriori politiche atte a migliorare il controllo del sistema alimentare, in tutte le fasi della filiera, con interventi sia nella fase delle raccolta che della lavorazione e poi della distribuzione del cibo, e se siano previste campagne di sensibilizzazione e informazione dei cittadini atte ad evitare spreco di cibo, oltre a promuovere azioni di distribuzione presso strutture di assistenza sociale.
(4-08120)

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PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E INNOVAZIONE

Interrogazione a risposta in Commissione:

FRONER. - Al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. - Per sapere - premesso che:
dal 26 aprile 2010 è partito il servizio di posta certificata, un servizio di comunicazione elettronica, offerto gratuitamente a tutti i cittadini che ne facciano richiesta, attraverso il quale ogni cittadino può dialogare in maniera sicura con la pubblica amministrazione senza l'obbligo di recarsi personalmente presso gli sportelli della pubblica amministrazione centrale o locale per richiedere o inviare informazioni, istanze documenti;
la posta elettronica certificata garantisce un canale di comunicazione chiuso ed esclusivo fra pubblica amministrazione e cittadino. I messaggi hanno lo stesso valore legale delle raccomandate con ricevuta di ritorno;
l'utilizzo della posta elettronica certificata per il cittadino e per la pubblica amministrazione è disciplinato da una serie di provvedimenti legislativi che si sono susseguiti da 2000 al 2009: in particolare per la pubblica amministrazione il codice dell'amministrazione digitale ed il successivo decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, hanno stabilito che le pubbliche amministrazioni debbono istituire una casella di posta certificata per ciascun registro di protocollo e debbono darne comunicazione al Centro nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione, che provvede alla pubblicazione di tali caselle in un elenco consultabile per via telematica; infine che le amministrazioni debbono comunicare con i propri dipendenti tramite posta elettronica certificata;
sempre in base decreto-legge n. 185 del 2008 anche le imprese e i professionisti hanno l'obbligo di dotarsi di posta elettronica certificata: per i professionisti l'obbligo decorre dal novembre 2009, le imprese esistenti dovranno dotarsi di posta elettronica certificata entro il novembre 2011;
risulta all'interrogante che all'enfasi che ha accompagnato l'annuncio dell'avvio del servizio non ha corrisposto l'attesa celerità dell'attivazione. Da informazioni raccolte tra i cittadini sembra siano costretti ad aspettare ben più di un mese dalla richiesta e dalla regolare presentazione dei documenti in un ufficio postale, prima che l'account sia funzionante -:
quale sia la percentuale di amministrazioni pubbliche a livello centrale e periferico già dotate del servizio di posta elettronica certificata;

quale sia stato in questi mesi il numero di richieste di attivazione da parte dei privati cittadini, dei professionisti e delle imprese, quali i tempi di attesa, quante le attivazioni effettuate;
se sia stata calcolata e, in caso affermativo, quale sia la previsione complessiva di risparmio della spesa, altrimenti gravante non solo sul bilancio dello stato e degli enti locali, ma anche dei cittadini, che può derivare dall'estensione dell'uso della posta elettronica certificata a tutti i rapporti tra pubblico e privato e viceversa.
(5-03273)

Interrogazione a risposta scritta:

PALAGIANO. - Al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 55-septies del decreto-legge n. 150 del 2009 dispone le modalità di controllo delle assenze dal lavoro nel caso di malattia prolungata del dipendente;
in particolare, con questo articolo si introduce l'obbligatorietà della certificazione medica inviata per via telematica all'Istituto di previdenza sociale dal medico o dalla struttura sanitaria pubblica che la rilascia. Obbligatorietà in vigore, dopo un periodo transitorio durante il quale è stato ancora possibile ai medici rilasciare il documento in forma cartacea, dal 19 giugno 2010;
una volta ricevuto il certificato di malattia l'INPS ha l'obbligo di inviarlo immediatamente, sempre per via telematica, all'amministrazione di appartenenza del lavoratore;
l'Istituto nazionale della previdenza sociale, gli enti del servizio sanitario nazionale e le altre amministrazioni interessate dovranno svolgere le attività previste dal suddetto articolo utilizzando le risorse finanziarie, strumentali e umane disponibili a legislazione vigente;
sempre secondo l'articolo 55-septies l'inosservanza degli obblighi di trasmissione telematica è un illecito disciplinare e, in caso di reiterazione, comporta il licenziamento o, per i medici convenzionati, la decadenza della convenzione;
dal 19 giugno 2010, quindi, i certificati medici, in caso di assenza per malattia dei lavoratori pubblici, dovranno essere inviati esclusivamente per via telematica;
il Ministero della salute, con decreto del 26 febbraio 2010 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 65 del 19 marzo 2010, ha definito le modalità tecniche per la predisposizione e l'invio telematico dei dati delle certificazioni di malattia al sistema di accoglienza centralizzata (SAC);
i lavoratori, quindi, non dovranno più provvedere, entro i due giorni lavorativi successivi all'inizio della malattia, ad inviare tramite raccomandata o recapitare le attestazioni di malattia alle proprie amministrazioni. Infatti, l'invio telematico soddisfa tale l'obbligo; rimane fermo, invece, l'obbligo di segnalare tempestivamente la propria assenza e l'indirizzo di reperibilità all'amministrazione per i successivi controlli medico fiscali;
in diversi Paesi d'Europa esiste l'autocertificazione per malattia, che il lavoratore può inviare se l'assenza si prolunga per non più di tre giorni. L'obbligo di rivolgersi al medico scatta al quarto giorno di assenza dal lavoro;
secondo un'indagine elaborata dalla Fimmg (Federazione italiana medici medicina generale), in Italia il computer è ormai presente sulle scrivanie di circa il 95 per cento dei medici, ma al 30-35 per cento dei medici di famiglia italiani manca ancora la connessione adsl a internet, strumento indispensabile per poter accedere al nuovo sistema di invio online dei certificati medici per malattia -:
se siano in grado, nell'ambito delle proprie competenze, di stabilire quali saranno i costi che dovranno essere sostenuti del Servizio sanitario nazionale per dotare tutte le strutture pubbliche (asl,

ospedali, policlinici universitari, studi dei medici di medicina generale e PLS) di sistemi informatici, di ADSL, di software e di tutti gli strumenti previsti per l'invio della certificazione all'INPS, quale sarà il risparmio dello stesso ente previdenziale derivante dall'applicazione del decreto n. 150 del 2009 e se tale risparmio sarà utilizzato per coprire in parte le spese, che le regioni dovranno sostenere per adeguarsi al nuovo sistema di certificazione;
vista l'obbligatorietà di trasmissione dei certificati per via telematica dal 19 giugno 2010, se siano previste delle iniziative da attivare nei confronti delle regioni inadempienti;
se siano state previste o adottate delle misure in merito alla protezione dei dati sensibili relativi alla certificazione di malattia trasmessa telematicamente, per tutelare la privacy dei cittadini italiani;
quale sia stata la spesa, versata dallo Stato alla SOGEI, per predisporre i pin code da distribuire ai medici per la certificazione e se sia stata fatta una stima dei costi per la gestione dei sistemi di certificazione online nel prossimo futuro;
se siano previsti dei pin code alternativi per i medici sostituti, considerando che il pin suddetto è individuato ad personam e quindi non è cedibile ad altri;
se non sia il caso di aprire una riflessione sulla possibilità di adottare l'autocertificazione da parte del cittadino per i primi 3 giorni di malattia, così come avviene in altri Paesi europei.
(4-08116)

TESTO AGGIORNATO AL 10 FEBBRAIO 2011

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SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:

ANTONINO FOTI e CARLUCCI. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
Telecom Italia ha annunciato un piano triennale 2010-2012 di oltre 6.822 esuberi, di cui 3.700 entro giugno 2011, preavvisando i sindacati il 9 luglio 2010, mentre era in corso lo sciopero nazionale della stampa;
la decisione di Telecom Italia impone un nuovo e grave problema industriale e occupazionale come rilevato dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Maurizio Sacconi, che ha rilevato che «il Governo ha sempre invitato le imprese a evitare azioni unilaterali nella ricerca del più ampio consenso possibile su percorsi che possono giustificare razionalizzazione dei costi solo se collegati a significativi investimenti» (cfr. Corriere della Sera, 11 luglio 2010);
il Governo ha prontamente convocato un tavolo di confronto tra l'azienda ed i sindacati il 14 luglio 2010 a seguito del quale Telecom Italia ha annunciato di congelare i 3.700 esuberi e di avviare un confronto con Governo e sindacati che si concluderà il 31 luglio;
i principali sindacati confederali hanno dichiarato di apprezzare il risultato, ma hanno anche sollecitato Telecom Italia ad avviare un piano industriale che preveda investimenti importanti per la modernizzazione delle reti di telecomunicazione. Infatti, nonostante registri forti utili nella generazione di cassa, Telecom Italia decide massicci licenziamenti dei lavoratori determinando così problemi sociali e di sviluppo del Paese e in tal modo sottraendosi alla richiesta del Governo di partecipare al necessario sviluppo delle reti di nuova generazione, che rappresenta una delle priorità del programma dell'Esecutivo per rispondere alle richieste di aziende e di cittadini di utilizzare una infrastruttura di rete in banda larga moderna ed efficiente;
Fastweb, Vodafone, Wind e Tiscali hanno presentato nelle scorse settimane un piano per la realizzazione di una rete di nuova generazione sul territorio nazionale, utilizzando fondi privati, al quale Telecom Italia non sembra interessata ad

aderire, avendo ribadito di aver elaborato un proprio piano che prevede anche l'utilizzo di fondi pubblici;
la strategia industriale di Telecom Italia appare all'interrogante incoerente con le esigenze del Paese dal momento che, pur generando cassa per oltre un miliardo di euro, da un lato si comunica ai lavoratori un piano di licenziamenti molto incisivo, dall'altro si sceglie di puntare sulla rendita derivante dalla vecchia rete in rame chiedendo all'Autorità di settore di aumentare del 14 per cento i canoni che l'ex monopolista applica agli operatori concorrenti per il cosiddetto «ultimo miglio» della rete, che consente l'accesso ai clienti finali, nonostante gli aumenti già riconosciuti negli anni 2008 e 2009 che porterebbero ad un incremento complessivo in tre anni pari al 26 per cento;
il piano industriale di Telecom Italia, pertanto, ad avviso dell'interrogante, appare fondato su due elementi fondanti connessi fra loro: i licenziamenti di personale e la rendita di posizione. L'aumento dei canoni di unbundling, infatti, consentirebbe di apprezzare la vecchia rete in rame, diminuendo, di conseguenza, l'interesse economico di Telecom Italia a partecipare alla realizzazione di nuovi investimenti in fibra. In tale contesto, si rende possibile per Telecom Italia anche diminuire la propria forza lavoro. Tuttavia, ciò ha non solo un impatto sociale pesante per il Paese ma impoverisce il mercato delle telecomunicazioni perché si danneggiano i concorrenti gravandone i conti di oneri ingiustificati che servono, a giudizio dell'interrogante, a sostenere i bilanci Telecom e pregiudicando così, di fatto, anche le condizioni per una eventuale ricollocazione presso le aziende concorrenti dei lavoratori in uscita da Telecom Italia;
in uno scenario di diminuzione dei costi ci si chiede quale possa essere la ragione dell'aumento del prezzo della rete in rame atteso che essa è stata realizzata in oltre 50 anni e dovrebbe essere quasi totalmente ammortizzata. La stessa Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha riconosciuto nell'ultima relazione annuale che i prezzi finali sono scesi di oltre il 30 per cento a seguito della competizione nelle telecomunicazioni negli ultimi 10 anni. Non si comprende su che base si possa sostenere che i prezzi della vecchia rete in rame debbano salire in futuro, proprio oggi che si sta parlando e valutando di realizzare le nuove infrastrutture in fibra per il Paese. Proprio Telecom in una presentazione sul proprio sito del 13 aprile 2010 sostiene che la rete in rame è high profitable, ossia ad alta profittabilità, mentre sulla fibra la stessa Telecom nella stessa presentazione sostiene che sia a profittabilità incerta e adotta quindi un approccio selettivo per lo sviluppo in fibra tenendo anche conto, si legge sempre, dell'incremento dei prezzi dei servizi all'ingrosso (in rame). Andrebbe tenuto conto che ipotizzando un incremento dei prezzi dei servizi all'ingrosso in rame, Telecom Italia non avrà interesse ad investire nella fibra, come da essa stessa ha dichiarato, se non in aree specifiche, creando una Italia a due velocità. Si tratta di chiarire se l'Italia nel digitale debba essere a due velocità sulla rete fissa oppure debba essere tutta digitale come avvenuto nella televisione -:
di quali elementi disponga il Governo sulla questione di cui in premessa e se siano stati valutati gli effetti di un aumento dei canoni unbundling non solo sui tempi di realizzazione della nuova rete in fibra, che diverrebbe meno profittevole di quella in rame, ma anche sul piano sociale e occupazionale, considerato che si bloccherebbero i piani di sviluppo delle aziende concorrenti impedendo anche un'eventuale ricollocazione nelle aziende del settore dei lavoratori licenziati da Telecom Italia.
(5-03268)

Interrogazioni a risposta scritta:

GALATI e CARLUCCI. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
dati ufficiali assegnano all'Italia il primato per ciò che concerne l'acquisto

online dei biglietti dei treni e degli aerei. Tuttavia i balzelli digitali frenano il decollo del commercio elettronico in un paese che è ancora sotto la media dell'Unione europea per numero di famiglie collegate a internet. Occorre per questo rimuovere i «balzelli digitali» come ha sottolineato il presidente dell'Autorità di garanzia nelle comunicazioni, Corrado Calabrò, nel corso della sua relazione al Parlamento. Il nostro Paese, spiega Calabrò, è «sotto la media anche per il numero di famiglie connesse a internet oltre che per la diffusione degli acquisti online e per il contributo dell'Ict al Pil». L'elemento altamente dissonante è il segnale d'allarme lanciato dallo stesso Calabrò per ciò che concerne la rete mobile che rischia il collasso. Infatti, la diffusione dei cosiddetti smartphone, utilizzati per lo più per traffico dati, chiavette internet e altri dispositivi mobili nelle condizioni esponenziali di crescita renderebbero saturo un sistema di rete non adatto a supportare le maggiori richieste di servizi. Urge quindi capire quali siano le reali possibilità della nostra banda larga mobile definendo un quadro quanto più corretto e realistico dell'attuale stato delle cose soprattutto per evitare un catastrofico collasso della rete. Una delle soluzioni potrebbe essere quella dell'assegnazione delle frequenze liberate dal digitale terrestre -:
se il Ministro intenda agire in tempi brevi sull'assegnazione di frequenze per evitare l'eventuale collasso della rete mobile;
se siano stati predisposti eventuali piani operativi per il raggiungimento degli obiettivi dell'Agenda digitale europea.
(4-08104)

EVANGELISTI, PALADINI e PORCINO. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
lo stabilimento di Piombino della Lucchini s.p.a., forma un polo siderurgico di primo livello internazionale insieme alla ex Magona d'Italia - oggi Arcelor-Mittal e al tubificio Tenaris-Dalmine e in tale contesto l'amministrazione comunale di Piombino, ha in questi ultimi anni profuso strenuo impegno nel rilancio dello sviluppo industriale dello stabilimento, favorendo processi di diversificazione della produzione e investimenti volti a migliorare la sostenibilità ambientale e la sicurezza dei vari processi di lavorazione;
la crisi economica mondiale si è abbattuta drasticamente anche sulla siderurgia, non risparmiandola da gravi ripercussioni sulle relative dinamiche di mercato e dai conseguenti problemi finanziari;
dal momento della sua messa in vendita da parte del Gruppo Lucchini, dopo il fallimento delle trattative con i soggetti offerenti, le scelte fino ad oggi compiute dalla proprietà sembrano di fatto privilegiare la mera questione finanziaria del suo gruppo, rispetto ad ogni altro interesse correlato al futuro dello stabilimento, ponendo lo stabilimento stesso in una situazione di stallo fortemente preoccupante;
nella fabbrica sono occupati, tra diretti e indotto, circa 3500 lavoratori da cui dipendono le rispettive famiglie;
la fabbrica contribuisce all'attività di numerose piccole e medie imprese che oggi soffrono gravemente per i mancati pagamenti da parte dell'azienda Lucchini;
lo stabilimento Lucchini, ancora oggi fulcro principale dell'economia della Val di Cornia e dei territori limitrofi, è altresì uno dei poli siderurgici più importanti su scala Europea; in tale contesto lo stesso stabilimento rappresenta per l'Italia un elemento imprescindibile dell'industria e dell'economia italiana;
la situazione economica in cui versa lo stabilimento è tristemente e fortemente preoccupante, visti i 700 milioni di euro di esposizione nei confronti delle banche che, a loro volta, sembrano restie ad una trattazione del debito;
a tutt'oggi non è stato presentato un nuovo piano industriale;

l'esito dell'incontro ministeriale svoltosi il 5 luglio 2010, non ha portato a nessuna concreta soluzione ed ha anzi confermato le difficoltà di vendita dello stabilimento -:
quale politica industriale il Governo italiano intenda attuare per il settore siderurgico del nostro Paese;
quali iniziative il Ministro intenda mettere in campo per far sì che la vendita della Lucchini si fondi su un rilancio del sito industriale;
quali iniziative volte alla tutela del lavoro, dei lavoratori e delle imprese dell'indotto coinvolte intenda il Ministro promuovere e sostenere;
se il Governo intenda assumere iniziative per un impegno finanziario della Lucchini che favorisca l'accordo con le banche per dare respiro allo stabilimento e per favorire un piano industriale che garantisca un futuro certo allo stabilimento ed ai 3.500 lavoratori coinvolti;
se il Governo intenda intervenire a tutela dell'industria italiana partendo dalla difesa del primo gruppo siderurgico italiano dei prodotti lunghi.
(4-08115)

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Apposizione di firme a mozioni.

La mozione Brigandì e altri n. 1-00060, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 novembre 2008, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Stucchi.

La mozione Brigandì e altri n. 1-00077, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 dicembre 2008, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Stucchi.

La mozione Brigandì e altri n. 1-00360, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 29 aprile 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Stucchi.

Apposizione di firme a risoluzioni.

La risoluzione in Commissione Caparini e altri n. 7-00198, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 27 luglio 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Laura Molteni.

La risoluzione in Commissione Ventucci n. 7-00370, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 luglio 2010, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Angelucci, Berardi, Bernardo, Gianfranco Conte, Del Tenno, Dima, Vincenzo Antonio Fontana, Germanà, Jannone, Laboccetta, Leo, Milanese, Misuraca, Pagano, Antonio Pepe, Pugliese, Savino, Soglia, Fluvi, Comaroli.

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

L'interpellanza Brigandì n. 2-00143, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 29 settembre 2008, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato: Stucchi.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

L'interrogazione a risposta scritta Lanzarin n. 4-01214, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 2 ottobre 2008, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Stucchi.

L'interrogazione a risposta scritta Allasia n. 4-01630, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 novembre 2008, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Stucchi.

L'interrogazione a risposta scritta Brigandì n. 4-01738, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 novembre 2008, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Stucchi.

L'interrogazione a risposta scritta Brigandì e altri n. 4-01767, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 27 novembre 2008, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Stucchi.

L'interrogazione a risposta scritta Allasia e Maccanti n. 4-02529, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 marzo 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Stucchi.

L'interrogazione a risposta scritta Buonanno n. 4-03122, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 27 maggio 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Stucchi.

L'interrogazione a risposta scritta Brigandì n. 4-04216, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 settembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Stucchi.

L'interrogazione a risposta scritta Rondini n. 4-04288, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 settembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Stucchi.

L'interrogazione a risposta scritta Rondini n. 4-04422, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 2 ottobre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Stucchi.

L'interrogazione a risposta scritta Bitonci e altri n. 4-06025, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 febbraio 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Stucchi.

L'interrogazione a risposta scritta Brigandì n. 4-06086, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 febbraio 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Stucchi.

L'interrogazione a risposta scritta Lanzarin n. 4-06184, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 febbraio 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Stucchi.

L'interrogazione a risposta scritta Brigandì n. 4-06225, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 febbraio 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Stucchi.

L'interrogazione a risposta in Commissione Ghizzoni n. 5-02790, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 aprile 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato De Pasquale.

L'interrogazione a risposta in Commissione Tommaso Foti n. 5-02824, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 aprile 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Vella.

L'interrogazione a risposta scritta Alessandri n. 4-07981, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 luglio 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Stucchi.

L'interrogazione a risposta scritta Alessandri n. 4-07966, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 luglio 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Stucchi.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta immediata in Commissione Bragantini n. 5-03255 del 20 luglio 2010.