XVI LEGISLATURA
TESTO AGGIORNATO AL 30 LUGLIO 2010
COMUNICAZIONI
Missioni valevoli nella seduta del 29 luglio 2010.
Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Berlusconi, Bindi, Bonaiuti, Bongiorno, Bossi, Brambilla, Brugger, Brunetta, Buonfiglio, Buttiglione, Caparini, Carfagna, Cicchitto, Cirielli, Colucci, Cossiga, Crimi, Crosetto, D'Alema, Dal Lago, Donadi, Fitto, Franceschini, Frattini, Gelmini, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, Jannone, La Russa, Leone, Lo Monte, Lupi, Mantovano, Maroni, Martini, Antonio Martino, Melchiorre, Meloni, Menia, Miccichè, Migliavacca, Mura, Nucara, Leoluca Orlando, Pecorella, Prestigiacomo, Ravetto, Reguzzoni, Roccella, Romani, Rotondi, Saglia, Sardelli, Stefani, Stucchi, Tabacci, Tremonti, Urso, Vegas, Vito.
(Alla ripresa pomeridiana della seduta).
Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Berlusconi, Bindi, Bonaiuti, Bongiorno, Bossi, Brambilla, Brugger, Brunetta, Buonfiglio, Buttiglione, Caparini, Carfagna, Casero, Cicchitto, Cirielli, Colucci, Cossiga, Crimi, Crosetto, D'Alema, Dal Lago, Donadi, Fitto, Franceschini, Frattini, Gelmini, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, Jannone, La Russa, Leo, Leone, Lo Monte, Lupi, Mantovano, Maroni, Martini, Antonio Martino, Melchiorre, Meloni, Menia, Miccichè, Migliavacca, Mura, Mussolini, Nucara, Leoluca Orlando, Pecorella, Prestigiacomo, Ravetto, Reguzzoni, Roccella, Romani, Rotondi, Saglia, Sardelli, Stefani, Stucchi, Tabacci, Tremonti, Urso, Vegas, Vito.
Annunzio di proposte di legge.
In data 28 luglio 2010 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
TORRISI: «Disposizioni in materia di decoro della bandiera» (3668);
TORRISI: «Disposizioni per il riconoscimento di un ulteriore indennizzo ai soggetti titolari di beni, diritti e interessi perduti a seguito di provvedimenti emanati dalle autorità libiche dal 1o settembre 1969» (3669);
TORRISI: «Disciplina delle strutture ricettive della nautica da diporto» (3670);
TORRISI: «Concessione di contributi dello Stato all'Associazione nazionale privi della vista ed ipovedenti» (3671);
PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE CAZZOLA: «Modifica dell'articolo 39 della Costituzione in materia di rappresentanza e di rappresentatività delle organizzazioni sindacali» (3672);
BRAGANTINI e DAL LAGO: «Disposizioni in materia di disciplina delle grandi reti di trasporto stradale nazionale, nonché trasferimento delle strade statali alle regioni e soppressione della società ANAS Spa» (3673).
Saranno stampate e distribuite.
Adesione di deputati a proposte di legge.
La proposta di legge MARCHI ed altri: «Modifiche all'articolo 2598 del codice civile e all'articolo 4, comma 49, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, e altre disposizioni per il rafforzamento della lotta contro la contraffazione dei prodotti di provenienza e di origine italiana e in materia di repressione della contraffazione e dell'abusivismo commerciale» (1520) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Vaccaro.
La proposta di legge LULLI ed altri: «Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale» (2653) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Vaccaro.
La proposta di legge LULLI ed altri: «Disposizioni per favorire lo sviluppo della mobilità mediante veicoli che non producono emissioni di anidride carbonica» (2844) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Vaccaro.
La proposta di legge LULLI ed altri: «Introduzione dell'articolo 1-bis del decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39, concernente l'applicazione della procedura di amministrazione straordinaria per la ristrutturazione industriale di grandi imprese operanti nel settore dei servizi di pubblica utilità ad alto contenuto tecnologico» (3315) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Vaccaro.
La proposta di legge DI BIAGIO ed altri: «Delega al Governo per l'istituzione dell'Ente nazionale di previdenza e assistenza dei liberi professionisti» (3522) è stata successivamente sottoscritta dai deputati Barbieri, Di Virgilio e Razzi.
La proposta di legge MIGLIOLI: «Istituzione del marchio etico per il riconoscimento delle imprese socialmente responsabili» (3565) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Vaccaro.
La proposta di legge REGUZZONI ed altri: «Disposizioni per il trasferimento a Milano delle sedi della Commissione nazionale per le società e la borsa e dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato» (3572) è stata successivamente sottoscritta dai deputati Pianetta e Toto.
Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.
A norma del comma 1 dell'articolo 72 del regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:
I Commissione (Affari costituzionali):
PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE IANNACCONE ed altri: «Modifica dell'articolo 68 della Costituzione, concernente le immunità dei membri del Parlamento» (3395) Parere della II Commissione;
MIGLIOLI: «Norme sulla libertà religiosa e abrogazione della legislazione sui culti ammessi» (3613) Parere delle Commissioni II, III, IV, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VII, VIII, XI (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, relativamente alle disposizioni in materia previdenziale), XII e XIII.
II Commissione (Giustizia):
DELLA VEDOVA: «Modifiche al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, concernente la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica» (3640) Parere delle Commissioni I, VI e X.
III Commissione (Affari esteri):
«Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 9 marzo 1948, n. 812, recante nuove norme relative all'Ordine della Stella della Solidarietà Italiana» (3624) Parere delle Commissioni I e V;
«Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra la Repubblica italiana e la Presidenza dell'Iniziativa centro-europea - InCE - sull'istituzione del Segretariato esecutivo InCE a Trieste, fatto a Vienna il 29 maggio 2009» (3625) Parere delle Commissioni I, II, V, VI, XI e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
VI Commissione (Finanze):
MOSCA: «Introduzione dell'articolo 62-bis.1 del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, in materia di applicazione degli studi di settore alle lavoratrici libere professioniste in caso di maternità» (3349) Parere delle Commissioni I, II, V, X, XI e XII.
IX Commissione (Trasporti):
META ed altri: «Disposizioni per la costruzione e l'esercizio di navi cisterna specializzate nel recupero di idrocarburi sversati in mare» (3548) Parere delle Commissioni I, V, VI, VIII, X, XI (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, relativamente alle disposizioni in materia previdenziale) e XIV.
X Commissione (Attività produttive):
GHIGLIA ed altri: «Disposizioni per la realizzazione di reti infrastrutturali a servizio dei veicoli alimentati ad energia elettrica» (3553) Parere delle Commissioni I, II, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VIII (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento), IX, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
XI Commissione (Lavoro):
PROPOSTA DI LEGGE D'INIZIATIVA POPOLARE: «Regole democratiche sulle rappresentanze sindacali nei luoghi di lavoro, la rappresentatività delle organizzazioni sindacali e il referendum per l'efficacia dei contratti collettivi di lavoro» (3604) Parere delle Commissioni I, II, V e X.
Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e III (Affari esteri):
DI VIRGILIO: «Istituzione della Commissione parlamentare per la promozione e la tutela dei diritti umani» (3538) Parere della V Commissione.
Trasmissione dal Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica.
Con lettera in data 29 luglio 2010, il presidente del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 35, comma 1, della legge 3 agosto 2007, n. 124, la relazione annuale, approvata dal Comitato medesimo nella seduta svoltasi in pari data (doc. XXXIV, n. 5).
Tale documento sarà stampato e distribuito.
Trasmissioni dalla Corte dei conti.
La Corte dei conti - sezione di controllo per gli affari comunitari ed internazionali - con lettera in data 26 luglio 2010, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 3, comma 6, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, la delibera n. 5 del 2010, con la quale la sezione stessa ha approvato la relazione speciale concernente irregolarità e frodi in materia agricola.
Questa documentazione è trasmessa alla V Commissione (Bilancio), alla XIII Commissione (Agricoltura) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).
La Corte dei conti - sezione del controllo sugli enti - con lettera in data 27 luglio 2010, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relativa relazione riferita al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'Istituto italiano di studi germanici (IISG), per l'esercizio 2008. Alla determinazione sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (doc. XV, n. 222).
Questo documento - che sarà stampato - è trasmesso alla V Commissione (Bilancio) e alla VII Commissione (Cultura).
Trasmissione dal ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca.
Il ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, con lettere del 12 e del 15 luglio 2010, ha trasmesso dieci note relative all'attuazione data agli ordini del giorno: RAMPELLI ed altri n. 9/1634/5, accolto come raccomandazione dal Governo nella seduta dell'Assemblea dell'8 ottobre 2008, concernente la possibilità per le famiglie e per gli studenti di scegliere i libri di testo nell'ambito di una lista segnalata dal docente, FRASSINETTI ed altri n. 9/1634/6, riguardante la necessità di motivare adeguatamente una valutazione negativa in condotta, PIFFARI n. 9/1634/11, concernente iniziative volte alla formazione dei docenti e del personale scolastico per affrontare le difficoltà degli studenti nell'età preadolescenziale, RUGGHIA ed altri n. 9/1634/34, riguardante l'indicazione annuale dei tetti massimi di spesa per ciascuna classe di studenti, MOTTA ed altri n. 9/1634/37, riguardante il possibile inserimento nelle graduatorie ad esaurimento di coloro i quali siano stati ammessi con riserva ai corsi abilitanti istituiti dalle università, VOLONTÈ n. 9/1634/225, riguardante la disciplina sull'adozione dei libri di testo scolastici, CICCANTI n. 9/1634/226, concernente misure atte a prevedere un coinvolgimento dei genitori e degli studenti nella scelta e nell'adozione dei libri di testo, accolti dal Governo nella seduta dell'Assemblea dell'8 ottobre 2008, MONAI n. 9/1634/8, accolto dal Governo ed approvato dall'Assemblea nella seduta del 9 ottobre 2008, concernente il riferimento alle nozioni sui diritti fondamentali dell'uomo e del cittadino dell'Unione europea nell'ambito dell'insegnamento della materia «cittadinanza e costituzione», Antonino RUSSO ed altri n. 9/1386/257, in parte accolto ed in parte accolto come raccomandazione dal Governo nella seduta dell'Assemblea del 23 luglio 2008, riguardante iniziative in materia di riforma del reclutamento degli insegnanti, BARBIERI ed altri n. 9/1496/4, accolto dal Governo nella seduta dell'Assemblea del 29 luglio 2008, concernente l'esclusione dalle graduatorie ex permanenti di specializzandi del IX ciclo delle scuole di specializzazione all'insegnamento secondario (SSIS), di accademie, di conservatori, della facoltà di scienza della formazione primaria.
Le suddette note sono a disposizione degli onorevoli deputati presso il Servizio per il Controllo parlamentare e sono trasmesse alla VII Commissione (Cultura) competente per materia.
Trasmissione dal ministro dell'interno.
Il ministro dell'interno, con lettera in data 22 luglio 2010, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 5 del decreto-legge 29 ottobre 1991, n. 345, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 1991, n. 410, la relazione sull'attività svolta e sui risultati conseguiti dalla Direzione investigativa antimafia, relativa al secondo semestre 2009 (doc. LXXIV, n. 4).
Questo documento - che sarà stampato - è trasmessa alla I Commissione (Affari costituzionali) e alla II Commissione (Giustizia).
Trasmissione dal ministro delle infrastrutture e dei trasporti.
Il ministro delle infrastrutture e dei trasporti, con lettere del 27 luglio 2010, ha trasmesso due note relative all'attuazione data agli ordini del giorno ASCIERTO n. 9/1713/25, accolto dal Governo nella seduta dell'Assemblea del 13 novembre 2008, e CAPARINI ed altri n. 9/1441-ter-C/6, accolto dal Governo nella seduta dell'Assemblea del 30 giugno 2009, concernenti la determinazione dei canoni per gli accessi carrai.
Le suddette note sono a disposizione degli onorevoli deputati presso il Servizio per il Controllo parlamentare e sono trasmesse alla IX Commissione (Trasporti) competente per materia.
Trasmissione dal ministro per i beni e le attività culturali.
Il ministro per i beni e le attività culturali, con lettera in data 28 luglio 2010, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 30, quinto comma, della legge 20 marzo 1975, n. 70, la relazione sull'attività svolta dall'Ente teatrale italiano (ETI) nell'anno 2009, corredata dal conto consuntivo riferito alla medesima annualità e dal bilancio preventivo per l'anno 2010.
Questa documentazione è stata trasmessa alla VII Commissione (Cultura).
Trasmissioni da Ministeri.
I Ministeri competenti hanno dato comunicazione dei decreti ministeriali recanti variazioni di bilancio autorizzate ai sensi delle sottoindicate disposizioni legislative:
articolo 9-ter, comma 2, della legge 5 agosto 1978, n. 468;
articolo 3, comma 5, del decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 279;
articolo 17, commi 6, 7, 14 e 16, della legge 23 dicembre 2009, n. 192.
Tali comunicazioni sono trasmesse alla V Commissione (Bilancio), nonché alle Commissioni competenti per materia.
Annunzio di risoluzioni del Parlamento europeo.
Il Presidente del Parlamento europeo ha trasmesso il testo di ventuno risoluzioni approvate nella sessione dal 5 all'8 luglio 2010, che sono assegnate, a norma dell'articolo 125, comma 1, del regolamento, alle sottoindicate Commissioni, nonché, per il parere, alla III Commissione (Affari esteri) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea), se non già assegnate alle stesse in sede primaria:
risoluzione legislativa relativa al progetto di decisione del Consiglio che autorizza gli Stati membri ad aderire alla convenzione concernente le esposizioni internazionali firmata a Parigi il 22 novembre 1928 e completata dai protocolli del 10 maggio 1948, 16 novembre 1966 e 30 novembre 1972 e dagli emendamenti del 24 giugno 1982 e del 31 maggio 1988 (doc. XII, n. 511) - alla III Commissione (Affari esteri);
risoluzione legislativa sul progetto di decisione del Consiglio relativa alla conclusione, a nome dell'Unione europea, del protocollo sulla gestione integrata delle zone costiere del Mediterraneo della convenzione sulla protezione dell'ambiente marino e del litorale del Mediterraneo (doc. XII, n. 512) - alla III Commissione (Affari esteri);
risoluzione legislativa sul progetto di decisione del Consiglio relativa alla conclusione dell'accordo fra l'Unione europea e l'Islanda e la Norvegia ai fini dell'applicazione di talune disposizioni della decisione 2008/615/GAI del Consiglio sul potenziamento della cooperazione transfrontaliera, soprattutto nella lotta al terrorismo e alla criminalità transfrontaliera, e della decisione 2008/616/GAI del Consiglio relativa all'attuazione della decisione 2008/615/GAI sul potenziamento della cooperazione transfrontaliera, soprattutto nella lotta al terrorismo e alla criminalità transfrontaliera, compreso l'allegato (doc. XII, n. 513) - alla III Commissione (Affari esteri);
risoluzione legislativa sul progetto di decisione del Consiglio relativa alla conclusione, a nome dell'Unione, della convenzione fra l'Unione europea, da una parte, e la Confederazione svizzera e il Principato del Liechtenstein, dall'altra, recante le modalità di partecipazione di tali Stati all'Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell'Unione europea (doc. XII, n. 514) - alla III Commissione (Affari esteri);
risoluzione sulla strategia dell'Unione europea per la regione del Mar Baltico e il ruolo delle macroregioni nella futura politica di coesione (doc. XII, n. 515) - alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea);
risoluzione legislativa relativa alla posizione del Consiglio in prima lettura in vista dell'adozione del regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai diritti dei passeggeri nel trasporto effettuato con autobus e che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 (doc. XII, n. 516) - alla IX Commissione (Trasporti);
risoluzione legislativa relativa alla posizione del Consiglio in vista dell'adozione del regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai diritti dei passeggeri che viaggiano via mare e per vie navigabili interne e che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 (doc. XII, n. 517) - alla IX Commissione (Trasporti);
risoluzione legislativa sulla posizione comune del Consiglio in vista dell'adozione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sul quadro generale per la diffusione dei sistemi di trasporto intelligenti nel settore del trasporto stradale e nelle interfacce con altri modi di trasporto (doc. XII, n. 518) - alla IX Commissione (Trasporti);
risoluzione legislativa sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulle formalità di dichiarazione delle navi in arrivo o in partenza da porti degli Stati membri della Comunità e che abroga la direttiva 2002/6/CE (doc. XII, n. 519) - alla IX Commissione (Trasporti);
risoluzione sulla promozione dell'accesso dei giovani al mercato del lavoro, rafforzamento dello statuto dei tirocinanti e degli apprendisti (doc. XII, n. 520) - alla XI Commissione (Lavoro);
risoluzione sui contratti atipici, i percorsi professionali garantiti, la flessicurezza e le nuove forme di dialogo sociale (doc. XII, n. 521) - alla XI Commissione (Lavoro);
risoluzione legislativa relativa alla posizione del Consiglio in prima lettura in vista dell'adozione del regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai nuovi alimenti, che modifica il regolamento (CE) n. 1331/2008 e che abroga il regolamento (CE) n. 258/97 ed il regolamento (CE) n. 1852/2001 della Commissione (doc. XII, n. 522) - alle Commissioni riunite XII (Affari sociali) e XIII (Agricoltura);
risoluzione legislativa relativa alla posizione del Consiglio in seconda lettura in vista dell'adozione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulle emissioni industriali (prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento) (rifusione) (doc. XII, n. 523) - alla VIII Commissione (Ambiente);
risoluzione legislativa relativa alla posizione del Consiglio in prima lettura in vista dell'adozione del regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce gli obblighi degli operatori che commercializzano legno e prodotti da esso derivati (doc. XII, n. 524) - alle Commissioni riunite X (Attività produttive) e XIII (Agricoltura);
risoluzione legislativa sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica le direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE per quanto riguarda i requisiti patrimoniali per il portafoglio di negoziazione e le ricartolarizzazioni e il riesame delle politiche retributive da parte delle autorità di vigilanza (doc. XII, n. 525) - alla VI Commissione (Finanze);
risoluzione recante raccomandazioni alla Commissione sulla gestione delle crisi transfronteliere nel settore bancario (doc. XII, n. 526) - alla VI Commissione (Finanze);
risoluzione sulla domanda di adesione dell'Islanda all'Unione europea (doc. XII, n. 527) - alle Commissioni riunite III (Affari esteri) e XIV (Politiche dell'Unione europea);
risoluzione legislativa sul progetto di decisione del Consiglio relativa alla conclusione dell'accordo tra l'Unione europea e gli Stati Uniti d'America sul trattamento e il trasferimento di dati di messaggistica finanziaria dall'Unione europea agli Stati Uniti ai fini del programma di controllo delle transazioni finanziarie dei terroristi (doc. XII, n. 528) - alla III Commissione (Affari esteri);
risoluzione sull'Albania (doc. XII, n. 529) - alla III Commissione (Affari esteri);
risoluzione sulla situazione in Kirghizistan (doc. XII, n. 530) - alla III Commissione (Affari esteri);
risoluzione sull'entrata in vigore della Convenzione sulle munizioni a grappolo (CCM) e il ruolo dell'Unione europea (doc. XII, n. 531) - alla III Commissione (Affari esteri).
Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.
La Commissione europea, in data 28 luglio 2010, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del regolamento, alle sottoindicate Commissioni, con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
Proposta di decisione del Consiglio relativa alla conclusione di un accordo volontario di partenariato tra l'Unione europea e la Repubblica del Camerun sull'applicazione delle normative nel settore forestale, sulla governance e sul commercio del legname e dei suoi derivati importati nell'Unione europea (FLEGT) (COM(2010)406 definitivo), che è assegnata in sede primaria alla III Commissione (Affari esteri);
Proposta di decisione del Consiglio relativa alla conclusione di un protocollo all'accordo di partenariato e di cooperazione che istituisce un partenariato tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e l'Ucraina, dall'altra, riguardante un accordo quadro fra l'Unione europea e l'Ucraina sui principi generali della partecipazione dell'Ucraina ai programmi dell'Unione (COM(2010)407 definitivo), che è assegnata in sede primaria alla III Commissione (Affari esteri).
Il ministro per le politiche europee, con lettera in data 29 luglio 2010, ha trasmesso, ai sensi degli articoli 3 e 19 della legge 4 febbraio 2005, n. 11, progetti di atti dell'Unione europea, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi.
Tali atti sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del regolamento, alle Commissioni competenti per materia, con il parere, se non già assegnati alla stessa in sede primaria, della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).
Trasmissione di documenti dall'Assemblea parlamentare dell'Unione dell'Europa occidentale.
Il Presidente dell'Assemblea parlamentare dell'Unione dell'Europa occidentale - Assemblea interparlamentare europea della sicurezza e della difesa - ha trasmesso, in data 12 luglio 2010, i testi dei documenti approvati nel corso della 58a sessione plenaria svoltasi a Parigi dal 15 al 17 giugno 2010. Tali documenti sono assegnati, a norma dell'articolo 125, comma 1, del regolamento, alle sottoindicate Commissioni permanenti nonché, per il parere, alla III Commissione (Affari esteri) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea), se ad esse non già assegnati in sede primaria:
Raccomandazione n. 852, sulla difesa europea e il Trattato di Lisbona - Risposta al rapporto annuale del Consiglio (doc. XII-ter, n. 44) - alle Commissioni riunite III (Affari esteri) e IV (Difesa);
Raccomandazione n. 853, sull'istituzione di un premio europeo «cittadinanza, sicurezza e difesa» (doc. XII-ter, n. 45) - alle Commissioni riunite III (Affari esteri) e IV (Difesa);
Raccomandazione n. 854, sull'Iran e il Medio Oriente (doc. XII-ter, n. 46) - alla III Commissione (Affari esteri);
Raccomandazione n. 855, sul mercato transatlantico degli equipaggiamenti di difesa (doc. XII-ter, n. 47) - alla IV Commissione (Difesa);
Raccomandazione n. 856, sull'Unione europea e i Balcani occidentali (doc. XII-ter, n. 48) - alla III Commissione (Affari esteri);
Raccomandazione n. 857, sulla cooperazione europea nel settore degli elicotteri militari (doc. XII-ter, n. 49) - alla IV Commissione (Difesa);
Raccomandazione n. 858, sull'Afghanistan - Spiegare al pubblico il perché di una guerra (doc. XII-ter, n. 50) - alla III Commissione (Affari esteri);
Raccomandazione n. 859, sui conflitti congelati e la sicurezza europea (doc. XII-ter, n. 51) - alla III Commissione (Affari esteri);
Raccomandazione n. 860, sulla cooperazione medica tra le Forze armate europee (doc. XII-ter, n. 52) - alle Commissioni riunite IV (Difesa) e XII (Affari sociali);
Raccomandazione n. 861, sulla cooperazione strutturata permanente ai sensi del Trattato di Lisbona - Risposta alla relazione annuale del Consiglio (doc. XII-ter, n. 53) - alle Commissioni riunite III (Affari esteri) e IV (Difesa);
Raccomandazione n. 862, sugli aspetti militari dello spazio: i satelliti di allerta precoce e per l'intercettazione di segnali elettronici (ELINT) - Risposta alla relazione annuale del Consiglio (doc. XII-ter, n. 54) - alla IV Commissione (Difesa);
Raccomandazione n. 863, sulla sicurezza europea rispetto al problema dei rifiuti spaziali (doc. XII-ter, n. 55) - alla X Commissione (Attività produttive);
Risoluzione n. 138, sul monitoraggio della PESD nei Parlamenti nazionali e nel Parlamento europeo - Risposta alla relazione annuale del Consiglio (doc. XII-ter, n. 56) - alle Commissioni riunite III (Affari esteri) e IV (Difesa).
Annunzio di sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo.
La Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettere in data 26 luglio 2010, ha dato comunicazione, ai sensi della legge 9 gennaio 2006, n. 12, delle seguenti sentenze pronunciate dalla Corte europea dei diritti dell'uomo nei confronti dello Stato italiano, passate in giudicato nei mesi di maggio e giugno 2010, che sono inviate alle sottoindicate Commissioni competenti per materia nonché alla III Commissione (Affari esteri):
sentenza 2 febbraio 2010: Leone n. 30506/07, in materia di pubblicità dei processi di applicazione delle misure di prevenzione. Constata la violazione dell'articolo 6, articolo 1, relativo al diritto ad un equo processo, in relazione a procedimento svolto ai sensi dell'articolo 4, comma 6, della legge n. 1423 del 1956, in materia di applicazione di misure di prevenzione nei confronti di persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità, cui provvede il tribunale in camera di consiglio, poiché, ai fini del diritto ad un equo processo, è essenziale che al soggetto interessato dal procedimento venga almeno offerta la possibilità di sollecitare una pubblica udienza. In merito alla asserita iniquità della procedura conclusasi con la confisca dei beni dei ricorrenti in assenza di una pronuncia di condanna nei loro confronti, dichiara non sussistente la violazione dell'articolo 6, articolo 1, relativo al diritto ad un equo processo, in quanto le misure di prevenzione patrimoniali previste dalla legislazione italiana non trovano applicazione solo sulla base di sospetti a carico del destinatario ma anche sull'oggettiva sproporzione tra i beni posseduti e le fonti di legittimo reddito dimostrabile (doc. CLXXIV, n. 185) - alla II Commissione (Giustizia);
sentenza 16 febbraio 2010: Barbaro n. 16436/02, in materia di detenzione in regime di applicazione dell'articolo 41-bis della legge n. 354 del 1975. La mancanza di qualsiasi decisione sul merito dei ricorsi promossi avverso i provvedimenti adottati ai sensi dell'articolo 41-bis della legge 354 del 1975, annullando l'effetto del controllo giurisdizionale sui provvedimenti medesimi, costituisce violazione del diritto ad un equo processo, sotto il profilo del diritto all'esame del merito dei ricorsi, tutelato dall'articolo 6, articolo 1, CEDU (doc. CLXXIV, n. 186) - alla II Commissione (Giustizia);
sentenza 8 dicembre 2009: Miccichè e Guerrera n. 28987/04, in materia di ragionevole durata dei processi. La Corte, richiamando la propria copiosa giurisprudenza in materia, ha constatato, limitatamente ad alcuni ricorrenti, la violazione dell'articolo 6, articolo 1, CEDU, relativo al diritto ad un processo equo sotto il profilo della ragionevole durata (doc. CLXXIV, n. 187) - alla II Commissione (Giustizia);
sentenza 1o dicembre 2009: Stolder n. 24418/03, in materia di detenzione in regime di applicazione dell'articolo 41-bis della legge n. 354 del 1975, Constata la violazione dell'articolo 8 CEDU relativo al diritto al rispetto della vita privata e familiare sotto il profilo della libertà di corrispondenza, poiché il controllo esercitato sulla corrispondenza ai sensi dell'articolo 18 della legge n. 354 del 1975, nel testo previgente alle modifiche introdotte con la legge n. 95 del 2004, contrasta con il principio di legalità (doc. CLXXIV, n. 188) - alla II Commissione (Giustizia);
sentenza 2 marzo 2010: Lefevre n. 34871/02, in materia dì ragionevole durata del processo. Constata la violazione dell'articolo 6 CEDU, relativo al diritto ad un equo processo sotto il profilo della ragionevole durata, anche all'esito di procedimento ex lege n. 89 del 2001 considerata l'insufficienza dell'equa riparazione concessa, pari al 23 per cento di quella che sarebbe stata accordata dalla Corte EDU. Sussiste violazione anche per il ritardo nell'erogazione dell'equa riparazione ex lege n. 89 del 2001 oltre un ragionevole termine dalla data in cui la pronuncia che l'ha stabilita è divenuta definitiva, tale da determinare una frustrazione suscettibile di dar luogo ad una voce supplementare di danno in sede di applicazione dell'articolo 41 CEDU (doc. CLXXIV, n. 189) - alla II Commissione (Giustizia);
sentenza 16 marzo 2010; Natale n. 25872/02, in materia di ragionevole durata del processo. Constata la violazione dell'articolo 6 CEDU, relativo al diritto ad un equo processo sotto il profilo della ragionevole durata (doc. CLXXIV, n, 190) - alla II Commissione (Giustizia);
sentenza 16 marzo 2010: Marzola Centri di Fisiokinesiterapia S.A.S. n. 32810/02, in materia di ragionevole durata del processo. Constata la violazione dell'articolo 6 CEDU, relativo al diritto ad un equo processo sotto il profilo della ragionevole durata (doc. CLXXIV, n. 191) - alla II Commissione (Giustizia);
sentenza 16 marzo 2010: Briganti e Canella n. 32860/02 e n. 32917/02, in materia di ragionevole durata del processo. Constata la violazione dell'articolo 6 CEDU, relativo al diritto ad un equo processo sotto il profilo della ragionevole durata (doc. CLXXIV, n. 192) - alla II Commissione (Giustizia);
sentenza 16 marzo 2010: Volta e altri n. 43674/02, in materia di ragionevole durata del processo. Constata la violazione dell'articolo 6 CEDU, relativo al diritto ad un equo processo sotto il profilo della ragionevole durata (doc. CLXXIV, n. 193) - alla II Commissione (Giustizia);
sentenza 16 marzo 2010; Atzei n. 11978/03, in materia di ragionevole durata del processo. Constata la violazione dell'articolo 6 CEDU, relativo al diritto ad un equo processo sotto il profilo della ragionevole durata (doc. CLXXIV, n. 194) - alla II Commissione (Giustizia);
sentenza 16 marzo 2010: Di Belmonte n. 72638/01, in materia di applicazione retroattiva di una norma tributaria. Integra la violazione dell'articolo 1, protocollo n. 1, CEDU l'applicazione retroattiva di una legge in materia fiscale entrata in vigore sette mesi dopo la sentenza con cui si stabiliva l'indennità di espropriazione ed il risarcimento dovuto, in quanto l'applicazione della nuova legge ha alterato il giusto equilibrio tra le esigenze di interesse generale e gli imperativi di salvaguardia dei diritti fondamentali dell'individuo (nel caso dì specie, la Corte ha affermato che se l'amministrazione avesse dato tempestiva esecuzione alla decisione che fissava l'importo dell'indennità di esproprio, questa non sarebbe stata assoggettata al nuovo regime fiscale nel frattempo intervenuto) (doc. CLXXIV, n, 195) - alla VI Commissione (Finanze);
sentenza 16 marzo 2010; Sanchirico e Lamorte n. 11013/04 e n. 11080/04, in materia di ragionevole durata del processo. Constata la violazione dell'articolo 6 CEDU, relativo al diritto ad un equo processo sotto il profilo della ragionevole durata (doc. CLXXIV, n. 196) - alla II Commissione (Giustizia);
sentenza 16 marzo 2010: Landino n. 11213/04, in materia di ragionevole durata del processo. Constata la violazione dell'articolo 6 CEDU, relativo al diritto ad un equo processo sotto il profilo della ragionevole durata (doc. CLXXIV, n. 197) - alla II Commissione (Giustizia);
sentenza 12 gennaio 2010: Mole n. 24421/03, in materia di detenzione in regime di applicazione dell'articolo 41-bis della legge n. 354 del 1975. La mancanza dì qualsiasi decisione sul merito dei ricorsi promossi avverso i provvedimenti adottati ai sensi dell'articolo 41-bis della legge 354 del 1975, annullando l'effetto del controllo giurisdizionale sui provvedimenti medesimi, costituisce violazione del diritto ad un equo processo, sotto il profilo del diritto all'esame del merito dei ricorsi, tutelato dall'articolo 6, articolo 1, CEDU (doc. CLXXIV, n, 198) - alla II Commissione (Giustizia).
Annunzio di provvedimenti concernenti amministrazioni locali.
Il Ministero dell'interno, con lettere in data 23 luglio 2010, ha dato comunicazione, ai sensi dell'articolo 141, comma 6, del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, dei decreti del Presidente della Repubblica di scioglimento dei consigli comunali di Premosello Chiovenda (Verbano Cusio Ossola), Monteforte Irpino (Avellino), Bormio (Sondrio), Alassio (Savona), Girifalco (Catanzaro), Cicagna (Genova), Montebelluna (Treviso), San Felice a Cancello (Caserta) e Locorotondo (Bari).
Questa documentazione è depositata presso il Servizio per i Testi normativi a disposizione degli onorevoli deputati.
Comunicazioni ai sensi dell'articolo 3, comma 44, della legge 24 dicembre 2007, n. 244.
L'Azienda sanitaria provinciale di Caltanissetta, con lettera in data 12 luglio 2010, ha trasmesso alla Presidenza, ai sensi dell'articolo 3, comma 44, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, la comunicazione concernente atti comportanti spese per emolumenti o retribuzioni, con l'indicazione dei destinatari e dell'importo dei relativi compensi.
Tale comunicazione è trasmessa alla V Commissione (Bilancio).
Comunicazioni di nomine ministeriali.
La Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettere in data 23 luglio 2010, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 19, comma 9, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, le seguenti comunicazioni concernenti il conferimento, ai sensi dei commi 4 e 10 del medesimo articolo 19, di incarichi di livello dirigenziale generale, che sono trasmesse alla I Commissione (Affari costituzionali) nonché alle Commissioni sottoindicate:
alla II Commissione (Giustizia) le comunicazioni concernenti i seguenti incarichi nell'ambito del Ministero della giustizia:
alla dottoressa Floretta Rolleri, l'incarico di direttore dell'ufficio speciale per la gestione e la manutenzione degli edifici giudiziari di Napoli, nell'ambito del dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi;
al dottor Sergio Di Amato, l'incarico di direttore della direzione generale magistrati, nell'ambito del dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi;
alla VII Commissione (Cultura) la comunicazione concernente il seguente incarico nell'ambito del Ministero per i beni e le attività culturali:
alla dottoressa Anna Maria Buzzi, l'incarico di direttore dell'organismo indipendente di valutazione della performance;
alla VIII Commissione (Ambiente) le comunicazioni concernenti i seguenti incarichi nell'ambito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare:
al dottor Aldo Cosentino, l'incarico di direttore della direzione generale per la protezione della natura e del mare;
al dottor Corrado Clini, l'incarico di direttore della direzione generale per lo sviluppo sostenibile, il clima e l'energia.
Atti di controllo e di indirizzo.
Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell'Allegato B al resoconto della seduta odierna.
ERRATA CORRIGE
Nell'Allegato A al resoconto della seduta del 20 luglio 2010, a pagina 5, seconda colonna, alla decima riga, si intendono aggiunte le seguenti parole: «tale proposta è altresì assegnata alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea) ai fini della verifica della conformità al principio di sussidiarietà; il termine di otto settimane per la verifica di conformità ai sensi del Protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità allegato al Trattato sull'Unione europea, decorrere dal 20 luglio 2010;».
DISEGNO DI LEGGE: S. 2228 - CONVERSIONE IN LEGGE, CON MODIFICAZIONI, DEL DECRETO-LEGGE 31 MAGGIO 2010, N. 78, RECANTE MISURE URGENTI IN MATERIA DI STABILIZZAZIONE FINANZIARIA E DI COMPETITIVITÀ ECONOMICA (A.C. 3638)
A.C. 3638 - Ordini del giorno
ORDINI DEL GIORNO
La Camera,
premesso che:
il decreto-legge in esame, all'articolo 12, comma 10, prevede che, con effetto sulle anzianità contributive maturate a decorrere dal 1o gennaio 2011, il computo dei trattamenti di fine servizio (TFS) di tutti i dipendenti delle amministrazioni pubbliche individuate dall'Istituto nazionale di statistica ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, avvenga in base a quanto previsto dall'articolo 2120 del codice civile in materia di trattamento di fine rapporto (TFR), con applicazione dell'aliquota del 6,91 per cento;
tale prescrizione s'inquadra nel contesto di una serie di interventi mirati a limitare la spesa pubblica e quindi è volta ad assicurare risparmi nei TFS corrisposti ai propri dipendenti dalle citate amministrazioni;
la norma in esame è applicabile anche al personale del comparto sicurezza e difesa e a quello del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco, caratterizzato da un'acclarata specificità di stato giuridico e/o di impiego - che comporta la sottoposizione a rinunce, rischi e disagi non comparabili con quelli richiesti agli altri pubblici dipendenti - e conseguentemente titolare di un assetto retributivo e previdenziale complesso e peculiare;
in tale contesto, specie per il personale in argomento, è indispensabile assicurare che la disposizione in esame, necessariamente espressa in termini generali e concettuali, sia applicata in maniera equa, conforme alla volontà del legislatore e coerente con il quadro normativo complessivo,
impegna il Governo:
a fornire con riguardo all'articolo 12, comma 10 del decreto-legge in esame, con riferimento al personale delle Forze armate e di polizia nonché del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco, un'interpretazione in linea con i principi ispiratori delle norma stessa, in particolare al fine di chiarire inequivocabilmente che, a decorrere dal 1o gennaio 2011, il TFS (indennità di buonuscita) del predetto personale discenderà dalla sommatoria di due quote:
la prima determinata integralmente secondo le preesistenti disposizioni, prendendo a riferimento le voci utili dell'ultima retribuzione percepita in servizio e l'anzianità contributiva maturata al 31 dicembre 2010;
la seconda determinata con le modalità previste dall'articolo 2120 del codice civile, prendendo a riferimento l'anzianità contributiva maturata dal 1o gennaio 2011 alla data del congedamento e, a meno di diverso accordo con le rappresentanze del personale interessato, tutte le somme, compreso l'equivalente delle prestazioni in natura, corrisposte in dipendenza del servizio, a titolo non occasionale e con esclusione di quanto erogato a titolo di rimborso spese;
in particolare le modalità di dettaglio per il computo della seconda quota e le connesse modalità di contribuzione dovranno essere fissate entro il 31 dicembre 2010 di concerto con le rappresentanze del personale interessato, anche al fine di individuare analiticamente le voci retributive per le quali dal 1o gennaio 2011 la contribuzione potrà essere rapportata a una base maggiorata del 15 per cento, allo scopo di assicurare con riferimento a detta quota un beneficio corrispondente a quello dell'aumento figurativo dei «sei scatti di stipendio» previsto dalla normativa applicabile per il calcolo della prima.
9/3638/1. Ascierto.
La Camera,
premesso che:
il decreto-legge in esame, all'articolo 12, comma 10, prevede che, con effetto sulle anzianità contributive maturate a decorrere dal 1o gennaio 2011, il computo dei trattamenti di fine servizio (TFS) di tutti i dipendenti delle amministrazioni pubbliche individuate dall'Istituto nazionale di statistica ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, avvenga in base a quanto previsto dall'articolo 2120 del codice civile in materia di trattamento di fine rapporto (TFR), con applicazione dell'aliquota del 6,91 per cento;
tale prescrizione s'inquadra nel contesto di una serie di interventi mirati a limitare la spesa pubblica e quindi è volta ad assicurare risparmi nei TFS corrisposti ai propri dipendenti dalle citate amministrazioni;
la norma in esame è applicabile anche al personale del comparto sicurezza e difesa e a quello del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco, caratterizzato da un'acclarata specificità di stato giuridico e/o di impiego - che comporta la sottoposizione a rinunce, rischi e disagi non comparabili con quelli richiesti agli altri pubblici dipendenti - e conseguentemente titolare di un assetto retributivo e previdenziale complesso e peculiare;
in tale contesto, specie per il personale in argomento, è indispensabile assicurare che la disposizione in esame, necessariamente espressa in termini generali e concettuali, sia applicata in maniera equa, conforme alla volontà del legislatore e coerente con il quadro normativo complessivo,
impegna il Governo:
a valutare l'opportunità di fornire con riguardo all'articolo 12, comma 10 del decreto-legge in esame, con riferimento al personale delle Forze armate e di polizia nonché del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco, un'interpretazione in linea con i principi ispiratori delle norma stessa, in particolare al fine di chiarire inequivocabilmente che, a decorrere dal 1o gennaio 2011, il TFS (indennità di buonuscita) del predetto personale discenderà dalla sommatoria di due quote:
la prima determinata integralmente secondo le preesistenti disposizioni, prendendo a riferimento le voci utili dell'ultima retribuzione percepita in servizio e l'anzianità contributiva maturata al 31 dicembre 2010;
la seconda determinata con le modalità previste dall'articolo 2120 del codice civile, prendendo a riferimento l'anzianità contributiva maturata dal 1o gennaio 2011 alla data del congedamento e, a meno di diverso accordo con le rappresentanze del personale interessato, tutte le somme, compreso l'equivalente delle prestazioni in natura, corrisposte in dipendenza del servizio, a titolo non occasionale e con esclusione di quanto erogato a titolo di rimborso spese;
in particolare le modalità di dettaglio per il computo della seconda quota e le connesse modalità di contribuzione dovranno essere fissate entro il 31 dicembre 2010 di concerto con le rappresentanze del personale interessato, anche al fine di individuare analiticamente le voci retributive per le quali dal 1o gennaio 2011 la contribuzione potrà essere rapportata a una base maggiorata del 15 per cento, allo scopo di assicurare con riferimento a detta quota un beneficio corrispondente a quello dell'aumento figurativo dei «sei scatti di stipendio» previsto dalla normativa applicabile per il calcolo della prima.
9/3638/1. (Testo modificato nel corso della seduta) Ascierto.
La Camera,
premesso che:
il decreto-legge in esame, all'articolo 9, comma 32, prevede che a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 che, alla scadenza di un incarico di livello dirigenziale, anche in dipendenza dei processi di riorganizzazione, non intendono, anche in assenza di una valutazione negativa, confermare l'incarico conferito al dirigente, conferiscono al medesimo dirigente un altro incarico, anche di valore economico inferiore. Non si applicano le eventuali disposizioni normative e contrattuali più favorevoli; a decorrere dalla medesima data è abrogato l'articolo 19, comma 1-ter, secondo periodo, del decreto legislativo n. 165 del 2001. Resta fermo che, nelle ipotesi di cui al presente comma, al dirigente viene conferito un incarico di livello generale o di livello non generale, a seconda, rispettivamente, che il dirigente appartenga alla prima o alla seconda fascia;
la disposizione, così formulata, potrebbe introdurre nell'ordinamento la reformatio in peius, rendendo possibile l'attribuzione di un incarico inferiore anche in assenza di valutazione negativa, e senza obbligo di motivazione;
tale previsione deve essere applicata nel rispetto del buon andamento dell'azione amministrativa, per attuare i principi costituzionali di trasparenza e imparzialità della pubblica amministrazione, in applicazione dei principi in più occasioni ribaditi dalla Corte Costituzionale e dalla Corte di Cassazione, tesi ad evitare forme di spoils system occulto o dissimulato (ex multis Corte Cost. n. 103 e 104 del 2007 e Cass. n. 9814 del 2008),
impegna il Governo
a dare adeguate disposizioni operative affinché l'applicazione della norma di cui alla premessa avvenga esclusivamente in ipotesi di mancanza di ogni altra possibilità di incarico in grado di garantire il rispetto del divieto di reformatio in peius, e comunque a seguito di congruo preavviso al dirigente, e tramite adeguata motivazione.
9/3638/2. Antonino Foti, Moffa, Aprea, Cazzola.
La Camera,
premesso che:
il decreto-legge in esame, all'articolo 9, comma 2-bis, prevede che l'ammontare complessivo delle risorse destinate al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, non può superare l'importo dell'anno 2010 ed è, comunque, automaticamente ridotto in misura proporzionale alla riduzione del personale in servizio;
tale norma potrebbe incontrare serie difficoltà di attuazione se non si fa cesse riferimento, per la riduzione, al valore medio della retribuzione del personale in servizio e, inoltre, se non si facesse salva l'attribuzione al Fondo della retribuzione individuale di anzianità (R.I.A.) del personale che cessa dal servizio, secondo le norme contrattuali in vigore per tutti i settori,
impegna il Governo
a dare adeguate disposizioni operative affinché la riduzione proporzionale, prevista al citato comma 2-bis, sia considerata media pro capite, ferma restando altresì l'attribuzione al Fondo della R.I.A. del personale cessato dal servizio, ai sensi delle norme contrattuali in vigore.
9/3638/3. Aprea, Moffa, Cazzola.
La Camera,
premesso che:
il decreto-legge in esame, all'articolo 9, comma 2-bis, prevede che l'ammontare complessivo delle risorse destinate al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, non può superare l'importo dell'anno 2010 ed è, comunque, automaticamente ridotto in misura proporzionale alla riduzione del personale in servizio;
tale norma potrebbe incontrare serie difficoltà di attuazione se non si facesse riferimento, per la riduzione, al valore medio della retribuzione del personale in servizio e, inoltre, se non si facesse salva l'attribuzione al Fondo della retribuzione individuale di anzianità (R.I.A.) del personale che cessa dal servizio, secondo le norme contrattuali in vigore per tutti i settori,
impegna il Governo
a dare adeguate disposizioni operative, se le condizioni di finanza pubblica lo consentono, affinché la riduzione proporzionale, prevista al citato comma 2-bis, sia considerata media pro capite, ferma restando altresì l'attribuzione al Fondo della R.I.A. del personale cessato dal servizio, ai sensi delle norme contrattuali in vigore.
9/3638/3. (Testo modificato nel corso della seduta) Aprea, Moffa, Cazzola, Torrisi.
La Camera,
premesso che:
va espresso apprezzamento per l'operato del Commissariato generale per le onoranze ai caduti in guerra, di seguito Onorcaduti, che nei decenni successivi alla Seconda guerra mondiale si è contraddistinto nella pietosa opera di recupero e sistemazione delle salme dei militari italiani, vittime dei conflitti combattuti dal nostro Paese;
va rilevata l'esistenza e la proliferazione di siti-sacrario eretti a memoria di fatti bellici, talvolta equiparati ope legis ai cimiteri di guerra seppur privi di salme;
è necessario valorizzare luoghi della memoria e siti ove persero la vita anche centinaia, se non addirittura migliaia, di militari italiani;
vanno tenuti presenti i perduranti vincoli rappresentati dagli obiettivi di risanamento della finanza pubblica,
impegna il Governo
a rilanciare l'attività di recupero e valorizzazione dei siti della memoria, con l'apporto di Onorcaduti ma altresì di Difesa Servizi Spa, impiegando nel restauro e mantenimento dei manufatti presenti nei luoghi della memoria anche strumenti di contrattualistica privata come il project financing.
9/3638/4. Gidoni.
La Camera,
premesso che:
va espresso apprezzamento per l'operato del Commissariato generale per le onoranze ai caduti in guerra, di seguito Onorcaduti, che nei decenni successivi alla Seconda guerra mondiale si è contraddistinto nella pietosa opera di recupero e sistemazione delle salme dei militari italiani, vittime dei conflitti combattuti dal nostro Paese;
va rilevata l'esistenza e la proliferazione di siti-sacrario eretti a memoria di fatti bellici, talvolta equiparati ope legis ai cimiteri di guerra seppur privi di salme;
è necessario valorizzare luoghi della memoria e siti ove persero la vita anche centinaia, se non addirittura migliaia, di militari italiani;
vanno tenuti presenti i perduranti vincoli rappresentati dagli obiettivi di risanamento della finanza pubblica,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di rilanciare l'attività di recupero e valorizzazione dei siti della memoria, con l'apporto di Onorcaduti ma altresì di Difesa Servizi Spa, impiegando nel restauro e mantenimento dei manufatti presenti nei luoghi della memoria anche strumenti di contrattualistica privata come il project financing.
9/3638/4. (Testo modificato nel corso della seduta) Gidoni.
La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame, che contiene misure urgenti finalizzate alla stabilizzazione finanziaria e alla competitività economica, anticipando fra l'altro l'attuazione degli indirizzi comuni assunti in tal senso in sede europea a seguito della crisi economica e finanziaria ellenica, è principalmente strutturato in uno scenario generale volto a ridurre la spesa corrente, nonché a fronteggiare, attraverso adeguate misure, il contrasto all'evasione fiscale e contemporaneamente dall'aspettativa che le norme previste, possano produrre benefici derivanti dalla riduzione del debito pubblico, come dimostrato da altri Paesi europei, ovverosia che il risanamento della finanza pubblica sia precondizione alla crescita economica;
il decreto-legge in particolare, nella determinazione delle riduzioni dei trasferimenti agli enti territoriali, in cui è stato previsto il coinvolgimento della Conferenza Stato-Regioni e della Conferenza Stato-città ed autonomie locali, assicurando così ampia autonomia nella definizione delle politiche volte a rispettare i saldi fissati, fissa altresì le condizioni volte a definire l'approvazione del decreto attuativo sul federalismo fiscale, concernente l'autonomia tributaria delle imposte relative a Comuni e Province, la cui riforma costituisce una riorganizzazione strutturale dell'ordinamento fiscale e finanziario della Repubblica italiana;
le norme contenute nell'articolo 14 del provvedimento in esame, riguardante il taglio dei trasferimenti correnti previsti per gli enti territoriali con specifico riferimento alle Province, tuttavia intervengono in maniera indiscriminata ed iniqua, in particolare per quegli enti locali i cui bilanci risultano in attivo e con una disponibilità di risorse finanziarie inutilizzabili, come ad esempio l'ente della Provincia di Bari, a causa dei vincoli previsti dal patto di stabilità interno per gli enti locali;
secondo quanto emerge da un'analisi effettuata dall'Unione delle province italiane, proprio la Provincia di Bari, risulta tra gli enti locali a livello nazionale maggiormente penalizzati dalle disposizioni contenute nel decreto-legge in esame, che prevede una riduzione di trasferimenti di oltre 8 milioni nel 2011 e di quasi 14 milioni nel 2012, nei confronti dell'ente provinciale barese;
appare conseguentemente evidente l'esigenza di provvedere attraverso un intervento legislativo ad hoc, nella ridefinizione del patto di stabilità interno per gli enti locali e del relativo meccanismo previsto dall'articolo 77-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, al fine di stabilire una nuova base di calcolo, dei coefficienti aggiornati ed una nuova ripartizione dei trasferimenti correnti, che consenta per determinati enti locali, come ad esempio la suddetta Provincia di Bari, che concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica i cui saldi di bilancio rappresentano dei tendenziali positivi e pertanto ritenuti virtuosi, affinché possano svincolarsi dalle rigidità dei vincoli previsti dal patto di stabilità interno e conseguentemente destinare i fondi accantonati stabiliti dalla legge n. 133 del 2008, per interventi volti a garantire sviluppo e crescita economica e sociale delle aree territoriali competenti,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di prevedere, parallelamente all'emanazione del decreto attuativo sul federalismo fiscale, ogni iniziativa idonea volta ad una rivisitazione organica dell'articolo 77-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, al fine di valorizzare gli enti locali, che rispettino i saldi finanziari previsti dalle disposizioni contenute nel medesimo articolo e si impegnino ad aumentare la spesa in conto capitale in misura proporzionale alla riduzione della spesa corrente, concedendo la facoltà di svincolare le risorse finanziarie, attualmente inutilizzabili a causa dei vincoli del patto del stabilità interno che impedisce la programmazione di interventi e investimenti, e consentire invece ai comuni e alle province virtuose, la destinazione delle medesime risorse vincolate, per lo sviluppo e la competitività del sistema economico e sociale locale.
9/3638/5. Distaso, Torrisi, Antonio Pepe.
La Camera,
premesso che:
l'operazione «scudo fiscale», avviata dall'articolo 13-bis del decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, e prorogata dall'articolo 1, commi 1 e 2, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25, si è conclusa con un recupero di attività per complessivi 104,5 miliardi di euro (il 98 per cento dei quali costituiti da rimpatri in Italia) e un incasso per l'erario di 5,6 miliardi di euro;
rispetto ad operazioni analoghe condotte in altri Paesi dell'Unione Europea il successo è stato enorme, segno della vitalità dell'economia italiana, ma anche della «disinvoltura» con la quale gli italiani muovono i propri capitali; il livello dell'imposta prevista sui capitali e patrimoni rientranti, originariamente del 5 per cento poi lievemente aumentata, ha certamente reso appetibile il rientro; per tali motivi l'operazione non solo ha giovato all'economia nazionale, aumentando i capitali circolanti, ma ha anche favorito i possessori dei capitali e patrimoni riemersi o rientrati;
il decreto in esame riduce la spesa pubblica di 27 miliardi nel prossimo triennio e, pur senza aumentare il livello generale della tassazione, impone sacrifici a tutti gli italiani; motivi di equità generale impongono di richiedere uno sforzo supplementare anche a tutti i cittadini che hanno goduto delle agevolazioni dello «scudo fiscale»,
impegna il Governo:
a valutare l'opportunità e la possibilità di introdurre nei prossimi provvedimenti economici, a titolo di solidarietà nazionale, un'imposta straordinaria pari al 5 per cento delle attività rimpatriate o regolarizzate a carico dei contribuenti che hanno beneficiato delle norme in materia di attività finanziarie e patrimoniali detenute fuori del territorio dello Stato ai sensi dell'articolo 13-bis del decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102 e dell'articolo 1, commi 1 e 2, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25;
a destinare le maggiori entrare derivanti dall'imposta straordinaria alle seguenti finalità:
ad incrementare il bilancio del Ministero della difesa in funzione delle esigenze di funzionamento e di ammodernamento;
ad incrementare il bilancio del Ministero della giustizia per il potenziamento degli uffici giudiziari;
ad incrementare la quota di risorse destinate alle Regioni a statuto ordinario, ripartiti secondo le modalità previste dai Fondi perequativi anche al fine di favorire il passaggio al Federalismo fiscale;
ad incrementare le risorse destinate agli obiettivi previsti dal comma 4 dell'articolo 1 della legge finanziaria per il 2010: fronteggiare la diminuzione della domanda interna e riduzione della pressione fiscale nei confronti delle famiglie con figli e dei percettori di reddito medio-basso, con priorità per i lavoratori dipendenti e i pensionati;
a rafforzare infine gli obiettivi di stabilizzazione della finanza pubblica individuati dal decreto-legge in esame.
9/3638/6. Vitali.
La Camera,
premesso che:
l'operazione «scudo fiscale», avviata dall'articolo 13-bis del decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, e prorogata dall'articolo 1, commi 1 e 2, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25, si è conclusa con un recupero di attività per complessivi 104,5 miliardi di euro (il 98 per cento dei quali costituiti da rimpatri in Italia) e un incasso per l'erario di 5,6 miliardi di euro;
rispetto ad operazioni analoghe condotte in altri Paesi dell'Unione Europea il successo è stato enorme, segno della vitalità dell'economia italiana, ma anche della «disinvoltura» con la quale gli italiani muovono i propri capitali; il livello dell'imposta prevista sui capitali e patrimoni rientranti, originariamente del 5 per cento poi lievemente aumentata, ha certamente reso appetibile il rientro; per tali motivi l'operazione non solo ha giovato all'economia nazionale, aumentando i capitali circolanti, ma ha anche favorito i possessori dei capitali e patrimoni riemersi o rientrati;
il decreto in esame riduce la spesa pubblica di 27 miliardi nel prossimo triennio e, pur senza aumentare il livello generale della tassazione, impone sacrifici a tutti gli italiani; motivi di equità generale impongono di richiedere uno sforzo supplementare anche a tutti i cittadini che hanno goduto delle agevolazioni dello «scudo fiscale»,
impegna il Governo:
a destinare compatibilmente con le esigenze primarie di finanza pubblica maggiori risorse alle seguenti finalità:
ad incrementare il bilancio del Ministero della difesa in funzione delle esigenze di funzionamento e di ammodernamento;
ad incrementare il bilancio del Ministero della giustizia per il potenziamento degli uffici giudiziari;
ad incrementare la quota di risorse destinate alle Regioni a statuto ordinario, ripartiti secondo le modalità previste dai Fondi perequativi anche al fine di favorire il passaggio al Federalismo fiscale;
ad incrementare le risorse destinate agli obiettivi previsti dal comma 4 dell'articolo 1 della legge finanziaria per il 2010: fronteggiare la diminuzione della domanda interna e riduzione della pressione fiscale nei confronti delle famiglie con figli e dei percettori di reddito medio-basso, con priorità per i lavoratori dipendenti e i pensionati;
a rafforzare infine gli obiettivi di stabilizzazione della finanza pubblica individuati dal decreto-legge in esame.
9/3638/6. (Testo modificato nel corso della seduta) Vitali, Torrisi.
La Camera,
premesso che:
il decreto-legge in esame ha effettuato una riduzione pari a 30 milioni annui per un triennio del finanziamento pubblico disposto dalla legge n. 152 del 2001 a favore dei patronati sindacali;
i risparmi realizzati in tal modo concorreranno alla compensazione degli effetti derivanti dall'aumento contributivo dello 0,09 per cento di cui all'articolo 1, comma 10, della legge n. 247 del 2007 al fine di garantire la non applicazione del predetto aumento contributivo nella misura prevista;
si pone il problema di superare l'attuale meccanismo automatico di finanziamento (con aliquota pari allo 0,226 per cento sull'intero montante contributivo) con una soluzione più flessibile e meno onerosa, mediante un confronto con i soggetti interessati che, anche in questa circostanza, hanno dimostrato senso di responsabilità,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di sollecitare le amministrazioni pubbliche e gli enti previdenziali a sottoscrivere nuove convenzioni con i patronati sindacali allo scopo di allargare i servizi di assistenza e di tutela assicurati ai lavoratori, a partire dal loro coinvolgimento nella esperienza delle «reti amiche».
9/3638/7. Cazzola, Di Biagio.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 3, comma 5, della legge 23 luglio 2009, n. 99, recante «Disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonché di materia di energia», prevede l'incremento delle risorse assegnate al Fondo per il finanziamento di programmi di intervento nelle zone franche urbane, di cui all'articolo 1, comma 340, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, al fine di favorirne la distribuzione territoriale;
il 28 ottobre 2009 il Ministero dello sviluppo economico ha stabilito la realizzazione di 22 «zone franche urbane», individuate in aree di disagio sociale e occupazionale, e pertanto, destinatarie di strategie per lo sviluppo e l'occupazione concentrate in un programma di defiscalizzazione per la creazione di piccole e micro imprese, anche in alcune regioni del Nord;
con delibera CIPE dell'8 maggio 2009 n. 14/2009 sono state individuate le zone franche urbane ammesse al finanziamento;
l'articolo 43 del decreto-legge in esame, ha previsto l'istituzione nel Meridione d'Italia di zone a burocrazia zero e, nell'ipotesi di coincidenza con le precedenti zone franche urbane, le risorse previste per queste ultime siano utilizzate dal sindaco competente per le nuove iniziative produttive avviate nelle zone a burocrazia zero;
da tale previsione sono rimaste escluse le zone franche urbane individuate dalla predetta delibera CIPE nelle regioni Lazio, Toscana e Liguria, con l'effetto di rendere del tutto incerto il regime di applicazione delle risorse assegnate al Fondo per il finanziamento dei programmi di intervento nelle citate zone franche urbane;
si rende opportuno un chiarimento da parte del Governo circa la conferma della fruizione da parte delle zone franche urbane individuate nelle regioni Lazio, Toscana e Liguria delle risorse già assegnate per i citati programmi di interventi o l'impegno a prevedere l'assimilazione del regime introdotto dall'articolo 43 del decreto-legge in esame alle zone franche urbane individuate nelle predette regioni Lazio, Toscana e Liguria,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di assimilare il regime normativo, introdotto dall'articolo 43 del decreto-legge in esame, alle zone franche urbane individuate nelle regioni Lazio, Toscana e Liguria o a confermare per esse la piena operatività delle risorse già assegnate al Fondo per il finanziamento dei programmi di intervento nelle zone franche urbane.
9/3638/8. Orsini.
La Camera,
premesso che:
il decreto-legge in esame si inserisce con coerenza nell'ambito della politica economica del Governo che, come riconosciuto dallo stesso Governatore della Banca d'Italia, attraverso una serie di misure è volta a colpire gli sprechi e favorire la crescita economica, a lottare contro l'evasione fiscale e al contenimento dei costi gestione di numerosi enti, senza tuttavia per questo mettere a repentaglio posti di lavoro;
con particolare riferimento proprio al settore agricolo, il provvedimento in esame prevede la soppressione di alcuni enti ed una complessiva rivisitazione dell'organigramma generale delle competenze, del controllo e delle attribuzioni delle funzioni di alcuni dei medesimi enti, comportando risultati positivi in termini di contenimento e di riequilibrio dei costi e di risparmio della spesa pubblica;
è tuttavia importante sostenere, in considerazione dell'attuale fase economica particolare, il settore agricolo, strategico per l'economica nazionale, attraverso significative e mirate disposizioni volte a rilanciare lo sviluppo e la competitività dell'intera filiera agricola italiana;
è assolutamente necessario prevedere ogni iniziativa volta alla stabilizzazione o almeno un'ulteriore proroga delle agevolazioni contributive in scadenza al prossimo 31 luglio, senza le quali le aziende agricole situate in zone di montagna o svantaggiate si troveranno ad affrontare un insostenibile aumento del costo del lavoro, che le porrà fuori dal mercato,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di adottare ogni azione, compatibilmente con le risorse finanziarie a disposizione, volta a sostenere le aziende agricole, per le finalità esposte in premessa.
9/3638/9. Nastri, Torrisi.
La Camera,
premesso che:
il Governo che ha previsto che i risparmi derivanti dall'equiparazione dell'età pensionabile delle donne nel pubblico impiego siano destinati al fondo asili nido e al fondo non autosufficienza, ripartiti rispettivamente per un terzo e due terzi della cifra complessiva;
la cifra complessiva dei risparmi scaturenti da tale manovra è stimata, dal 2012, in 3 miliardi e 750 milioni di euro in dieci anni e, a regime, in 245 milioni di euro annui negli anni successivi;
l'Italia presenta ritardi in materia di uguaglianza di genere, causati largamente anche dalla mancanza di servizi di cura e assistenza che sollevino le donne dagli eccessivi carichi domestici cui, per una cultura arretrata che poco ha promosso la condivisione e un maggiore equilibrio tra uomini e donne e uno Stato assente, sono state costrette;
la cifra derivante dell'equiparazione dell'età pensionabile delle donne nel pubblico impiego è rilevante, ed è importante riuscire a destinare tutte le risorse disponibili in misure che aiutino le donne a rientrare nel mercato del lavoro e a vivere con maggiore serenità gli impegni di «condivisione» dei carichi familiari, quando presenti, aumentando anche la crescita economica nel nostro Paese;
esiste la necessità di utilizzare queste somme non solo nei capitoli di spesa più importanti per affrontare i problemi di condivisione e conciliazione dei carichi familiari di donne e uomini, ma anche di valutare le tipologie e modalità di servizi di assistenza e cura più in linea con le necessità italiane e al passo con le innovazioni e le buone pratiche europee,
impegna il Governo:
a prendere in considerazione, con utili approfondimenti, anche l'utilizzo dei CESU in Italia; i CESU infatti sono voucher dal valore nominale, spendibili quasi come un buono pasto nel settore dei servizi, acquistabili ovunque, il cui costo viene per un quarto sostenuto dallo Stato (con costo previsto di circa 300 milioni di euro l'anno, in linea con i risparmi derivanti dall'equiparazione dell'età pensionabile) e per la restante parte da chi acquista, in genere le famiglie che hanno bisogno di badanti, baby sitter, assistenza alla persona;
a valutare le ricerche in tale ambito che, traslando il modello di voucher in Italia, stimano gli effetti, grazie ad una emersione almeno dell'80 per cento degli 842 mila lavoratori domestici in nero del 2007 (673 mila unità) e un fiorire di contributi sociali, in 1,2 miliardi all'anno di contributi e corpose entrate fiscali per l'IRPEF. La riforma dei servizi alla persona sul modello CESU, ha solo un costo di «attivazione» piuttosto modesto, e produce ricchezza fino ad autofinanziarsi e portare ulteriori benefici per le casse italiane;
a considerare i CESU come possibili moltiplicatore di ricchezza, come i risultati francesi testimoniano, e a rendere disponibili gli ulteriori consistenti risparmi per un eventuale «tesoretto» da investire in asili nido e incentivi all'occupazione femminile.
9/3638/10. Beltrandi, Bernardini, Farina Coscioni, Mecacci, Maurizio Turco, Zamparutti.
La Camera,
premesso che:
la legge n. 210 del 1992, ispirandosi al principio della solidarietà sociale, ha istituito un indennizzo, da parte dello Stato, in favore di tutte le persone contagiate dai virus dell'epatite e dall'HIV con danni irreversibili a seguito di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni di sangue e somministrazione di emoderivati;
il comma 2, dell'articolo 2 della legge n. 210 del 1992 ha stabilito che tale indennizzo fosse integrato dalla somma corrispondente all'importo dell'indennità integrativa speciale;
sull'interpretazione dell'articolo 2 della legge n. 210 del 1992 è sorta una vera e propria questione giuridica, con diversi orientamenti giurisprudenziali di merito, fondata sul fatto se la rivalutazione dell'indennizzo vitalizio dovesse riguardare l'indennizzo nella sua globalità, e conseguentemente dovesse ricomprendere anche la somma corrispondente all'indennità integrativa speciale o, viceversa, dovesse ricomprendere solo l'indennizzo in senso stretto;
il decreto-legge in esame è intervenuto nuovamente in materia con l'articolo 11, comma 13, che reca una norma d'interpretazione autentica del comma 2 dell'articolo 2 della legge n. 210 del 1992;
viene chiarito che il comma 2, dell'articolo 2 della legge 210 del 1992 si interpreta nel senso che la somma corrispondente all'importo dell'indennità integrativa speciale non è rivalutata secondo il tasso d'inflazione; in pratica si ritiene rivalutabile solo la prima componente del complessivo indennizzo, pari a circa al 5 per cento del totale e non la seconda componente - l' indennità integrativa speciale - che rappresenta la parte più consistente dell'indennizzo stesso;
con l'articolo 11, comma 14, si stabilisce invece che, fermo restando gli effetti esplicati da sentenze passate in giudicato, per i periodi da essa definiti, a partire dalla data di entrata in vigore del presente decreto cessa l'efficacia di provvedimenti emanati al fine di rivalutare la somma di cui al comma 13, in forza di un titolo esecutivo. Sono fatti salvi gli effetti prodottisi fino alla data di entrata in vigore del presente decreto;
l'importo dell'indennizzo ha già perso valore a causa della svalutazione monetaria unito al fatto dell'intervenuto cambio lira/euro, molte delle persone danneggiate, per cause a loro non imputabili, si ritrovano nella condizione di non poter lavorare a causa della malattia contratta e a dover contare su un mezzo di sostentamento pari a circa 550,74 euro mensili, alquanto riduttivo ma soprattutto inidoneo a ricoprire tutte le spese per le cure e terapie che sono loro necessarie;
impegna il Governo
ad adottare tutte le opportune iniziative normative e finanziarie volte a consentire una vita dignitosa ai soggetti contagiati dai virus dell'epatite e dall'HIV con danni irreversibili a seguito di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni di sangue e somministrazione di emoderivati, garantendo in tal modo due diritti fondamentali della Costituzione, il diritto alla salute (articolo 32 della Costituzione) e il diritto all'assistenza sociale (articolo 38 della Costituzione).
9/3638/11. Mazzocchi.
La Camera,
premesso che:
la legge n. 210 del 1992, ispirandosi al principio della solidarietà sociale, ha istituito un indennizzo, da parte dello Stato, in favore di tutte le persone contagiate dai virus dell'epatite e dall'HIV con danni irreversibili a seguito di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni di sangue e somministrazione di emoderivati;
il comma 2, dell'articolo 2 della legge n. 210 del 1992 ha stabilito che tale indennizzo fosse integrato dalla somma corrispondente all'importo dell'indennità integrativa speciale;
sull'interpretazione dell'articolo 2 della legge n. 210 del 1992 è sorta una vera e propria questione giuridica, con diversi orientamenti giurisprudenziali di merito, fondata sul fatto se la rivalutazione dell'indennizzo vitalizio dovesse riguardare l'indennizzo nella sua globalità, e conseguentemente dovesse ricomprendere anche la somma corrispondente all'indennità integrativa speciale o, viceversa, dovesse ricomprendere solo l'indennizzo in senso stretto;
il decreto-legge in esame è intervenuto nuovamente in materia con l'articolo 11, comma 13, che reca una norma d'interpretazione autentica del comma 2 dell'articolo 2 della legge n. 210 del 1992;
viene chiarito che il comma 2, dell'articolo 2 della legge 210 del 1992 si interpreta nel senso che la somma corrispondente all'importo dell'indennità integrativa speciale non è rivalutata secondo il tasso d'inflazione; in pratica si ritiene rivalutabile solo la prima componente del complessivo indennizzo, pari a circa al 5 per cento del totale e non la seconda componente - l' indennità integrativa speciale - che rappresenta la parte più consistente dell'indennizzo stesso;
con l'articolo 11, comma 14, si stabilisce invece che, fermo restando gli effetti esplicati da sentenze passate in giudicato, per i periodi da essa definiti, a partire dalla data di entrata in vigore del presente decreto cessa l'efficacia di provvedimenti emanati al fine di rivalutare la somma di cui al comma 13, in forza di un titolo esecutivo. Sono fatti salvi gli effetti prodottisi fino alla data di entrata in vigore del presente decreto;
l'importo dell'indennizzo ha già perso valore a causa della svalutazione monetaria unito al fatto dell'intervenuto cambio lira/euro, molte delle persone danneggiate, per cause a loro non imputabili, si ritrovano nella condizione di non poter lavorare a causa della malattia contratta e a dover contare su un mezzo di sostentamento pari a circa 550,74 euro mensili, alquanto riduttivo ma soprattutto inidoneo a ricoprire tutte le spese per le cure e terapie che sono loro necessarie;
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di adottare tutte le opportune iniziative normative e finanziarie volte a consentire una vita dignitosa ai soggetti contagiati dai virus dell'epatite e dall'HIV con danni irreversibili a seguito di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni di sangue e somministrazione di emoderivati, garantendo in tal modo due diritti fondamentali della Costituzione, il diritto alla salute (articolo 32 della Costituzione) e il diritto all'assistenza sociale (articolo 38 della Costituzione).
9/3638/11. (Testo modificato nel corso della seduta) Mazzocchi.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 5, comma 6, del decreto-legge in esame esclude dal diritto alla corresponsione del gettone di presenza i consiglieri circoscrizionali, ma introduce un'eccezione per i consiglieri circoscrizionali delle città metropolitane. Per questi ultimi infatti l'ammontare del gettone di presenza non può superare l'importo pari ad un quarto dell'indennità prevista per il rispettivo presidente;
il riferimento alle città metropolitane è funzionale a introdurre una deroga limitata ai grandi comuni rispetto alla previsione abrogativa, deroga introdotta nel corso dell'esame parlamentare;
le città metropolitane possono essere istituite nelle aree metropolitane in cui sono ricompresi i comuni elencati agli articoli 23 e 24 della legge 5 maggio 2009, n. 42,
impegna il Governo
a interpretare il significato e l'ambito applicativo della norma, che trova così immediata applicazione, nel senso che per città metropolitane si intendono i comuni capoluogo di regione come individuati negli articoli 23 e 24 della legge n. 42 del 2009.
9/3638/12. Osvaldo Napoli.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 5, comma 6, del decreto-legge in esame esclude dal diritto alla corresponsione del gettone di presenza i consiglieri circoscrizionali, ma introduce un'eccezione per i consiglieri circoscrizionali delle città metropolitane. Per questi ultimi infatti l'ammontare del gettone di presenza non può superare l'importo pari ad un quarto dell'indennità prevista per il rispettivo presidente;
il riferimento alle città metropolitane è funzionale a introdurre una deroga limitata ai grandi comuni rispetto alla previsione abrogativa, deroga introdotta nel corso dell'esame parlamentare;
le città metropolitane possono essere istituite nelle aree metropolitane in cui sono ricompresi i comuni elencati agli articoli 23 e 24 della legge 5 maggio 2009, n. 42,
impegna il Governo
a interpretare il significato e l'ambito applicativo della norma, che trova così immediata applicazione, nel senso che per città metropolitane si intendono i comuni capoluogo di regione con almeno 250.000 abitanti come individuati negli articoli 23 e 24 della legge n. 42 del 2009.
9/3638/12. (Testo modificato nel corso della seduta) Osvaldo Napoli, Distaso, Torrisi.
La Camera,
premesso che:
con l'entrata in vigore della legge 8 aprile 2010, n. 55, recante «Disposizioni concernenti la commercializzazione di prodotti tessili, della pelletteria e calzaturieri», vengono tutelate le produzioni «made in Italy» di alcuni settori produttivi;
a seguito della recente crisi economica mondiale numerose aziende, soprattutto del Nord del Paese, hanno chiuso gli stabilimenti, con il conseguente licenziamento di centinaia di operai, non potendo resistere sul mercato a causa della concorrenza sleale esercitata da taluni prodotti provenienti dall'estero ma che vengono commercializzati e assemblati nel nostro Paese ad un costo molto inferiore, rispetto agli stessi articoli prodotti da aziende italiane e venduti sul territorio;
la Costituzione afferma il principio della libertà dell'iniziativa economica privata consentendo a qualsiasi persona di diventare un imprenditore e svolgere un'attività economica;
la concorrenza tra gli imprenditori è libera, ma deve svolgersi nel rispetto di alcune regole e di alcuni limiti stabiliti dalla legge a tutela di interessi generali;
al fine di conseguire un'adeguata informazione per i consumatori sul processo produttivo è importante che nell'etichetta dei prodotti finiti e intermedi l'impresa produttrice fornisca in modo chiaro e sintetico informazioni specifiche sulla conformità dei processi di lavorazione alle norme vigenti in materia di lavoro, garantendo il rispetto delle convenzioni siglate in seno all'Organizzazione internazionale del lavoro lungo tutta la catena di fornitura, sulla certificazione di igiene e di sicurezza dei prodotti, sull'esclusione dell'impiego di minori nella produzione, sul rispetto della normativa europea e sul rispetto degli accordi internazionali in materia ambientale,
impegna il Governo
ad estendere anche ad altri importanti settori produttivi del nostro Paese gli effetti della legge richiamata in premessa, rendendo chiara ed evidente la provenienza di tutti prodotti, in modo da tutelare le aziende nazionali, nonché i consumatori finali.
9/3638/13. Stucchi.
La Camera,
premesso che:
con l'entrata in vigore della legge 8 aprile 2010, n. 55, recante «Disposizioni concernenti la commercializzazione di prodotti tessili, della pelletteria e calzaturieri», vengono tutelate le produzioni «made in Italy» di alcuni settori produttivi;
a seguito della recente crisi economica mondiale numerose aziende, soprattutto del Nord del Paese, hanno chiuso gli stabilimenti, con il conseguente licenziamento di centinaia di operai, non potendo resistere sul mercato a causa della concorrenza sleale esercitata da taluni prodotti provenienti dall'estero ma che vengono commercializzati e assemblati nel nostro Paese ad un costo molto inferiore, rispetto agli stessi articoli prodotti da aziende italiane e venduti sul territorio;
la Costituzione afferma il principio della libertà dell'iniziativa economica privata consentendo a qualsiasi persona di diventare un imprenditore e svolgere un'attività economica;
la concorrenza tra gli imprenditori è libera, ma deve svolgersi nel rispetto di alcune regole e di alcuni limiti stabiliti dalla legge a tutela di interessi generali;
al fine di conseguire un'adeguata informazione per i consumatori sul processo produttivo è importante che nell'etichetta dei prodotti finiti e intermedi l'impresa produttrice fornisca in modo chiaro e sintetico informazioni specifiche sulla conformità dei processi di lavorazione alle norme vigenti in materia di lavoro, garantendo il rispetto delle convenzioni siglate in seno all'Organizzazione internazionale del lavoro lungo tutta la catena di fornitura, sulla certificazione di igiene e di sicurezza dei prodotti, sull'esclusione dell'impiego di minori nella produzione, sul rispetto della normativa europea e sul rispetto degli accordi internazionali in materia ambientale,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di estendere anche ad altri importanti settori produttivi del nostro Paese gli effetti della legge richiamata in premessa, rendendo chiara ed evidente la provenienza di tutti prodotti, in modo da tutelare le aziende nazionali, nonché i consumatori finali.
9/3638/13. (Testo modificato nel corso della seduta) Stucchi.
La Camera,
premesso che:
questa manovra economica penalizza enormemente il comparto sicurezza e difesa;
tra gli aspetti particolarmente penalizzanti sotto il profilo del trattamento economico risulta essere l'articolo 9, comma 21, del testo in esame;
l'articolo 8, comma 11-bis, recita testualmente: « Al fine di tenere conto della specificità del comparto sicurezza-difesa e delle peculiari esigenze del comparto del soccorso pubblico, nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze è istituito un fondo con una dotazione di 80 milioni di euro annui per ciascuno degli anni 2011 e 2012 destinato al finanziamento di misure perequative per il personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco interessato alle disposizioni di cui all'articolo 9, comma 21. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri competenti, sono individuate le misure e la ripartizione tra i Ministeri dell'interno, della difesa, delle infrastrutture e dei trasporti, della giustizia, dell'economia e delle finanze e delle politiche agricole alimentari e forestali delle risorse del fondo di cui al primo periodo. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato a disporre, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio»,
impegna il Governo:
a fornire formale interpretazione della norma prevista all'articolo 8, comma 11-bis, al fine di un esaustivo chiarimento circa la natura delle «misure perequative» di cui trattasi ed in particolare in che modo esse incideranno sulle posizioni dei singoli operatori;
ad escludere i compensi accessori relativi a trasferimenti, missioni, presenza qualificata, lavoro straordinario, assegno funzionale e indennità pensionabile dal tetto della retribuzione complessiva per l'anno 2010, imposta come limite di riferimento dal provvedimento in esame per il comparto sicurezza e difesa.
9/3638/14. Fiano, Villecco Calipari.
La Camera,
premesso che:
la grave recessione economica rischia di aggravare ulteriormente le condizioni del nostro Paese ed in particolar modo quelle della sua parte meno avanzata dal punto di vista dello sviluppo economico, il Mezzogiorno, dove si registra un forte calo dei sistemi produttivi ed un tasso di disoccupazione giovanile al di sopra della media nazionale che spinge i giovani ad attivare l'antico processo di esodo dalle proprie comunità;
il quadro che si può dedurre dall'analisi delle prospettive macroeconomiche assume toni ancora più allarmanti nelle aree della Campania interna (Sannio, Irpinia, area salernitana) dove le precarie condizioni di sviluppo rendono più che mai necessario avviare, d'intesa con la regione Campania, un piano concreto e fattivo di interventi relativo alle infrastrutture fondamentali occorrenti al territorio,
impegna il Governo
a porre il Mezzogiorno d'Italia al centro di ogni politica di sviluppo, predisponendo nella utilizzazione del Fondo Infrastrutture con altre risorse destinate alle aree del Sud, consistenti finanziamenti per la realizzazione di opere infrastrutturali materiali ed immateriali nella Campania interna (Sannio, Irpinia, area salernitana).
9/3638/15. Mario Pepe (PD), Pes.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 6, comma 5, del presente decreto prevede che, a partire dal primo rinnovo successivo alla data di entrata in vigore del decreto, lo statuto degli enti pubblici non economici e di tutti gli organismi pubblici anche con personalità giuridica di diritto privato contenga una norma di limitazione del numero dei componenti gli organi di amministrazione e controllo a cinque e dei collegi dei revisori a tre componenti;
il medesimo comma 5 dispone che siano le Amministrazioni vigilanti a provvedere all'adeguamento mediante i regolamenti di cui all'articolo 2, comma 634, legge 24 dicembre 2007, n. 244;
la relazione tecnica del Governo presentata sulla manovra economica sotto il profilo finanziario non rileva effetti finanziari con specifico riferimento al comma in esame (eventuali risparmi saranno computati solo a consuntivo);
il Club Alpino Italiano (CAI) è ente pubblico non economico, il cui bilancio non è computato nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione;
il comitato centrale del CAI peraltro è composto da membri che svolgono le funzioni istituzionali attribuite loro a titolo gratuito;
l'articolo 10-bis (termini in materia di «taglia-enti» e di «taglia-leggi») del decreto-legge n. 194 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 25 del 2010, al comma 1, reca una norma interpretativa dell'articolo 26, comma 1, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, in materia di procedimento taglia-enti, interpretandosi nel senso che l'effetto soppressivo previsto dal secondo periodo concerne gli enti pubblici non economici con dotazione organica pari o superiore alle 50 unità, con esclusione degli enti già espressamente esclusi dal primo periodo del comma 1;
il CAI rientra tra gli enti confermati al di sotto delle 50 unità per i quali il comma 2 del medesimo articolo 10-bis del decreto-legge n. 194 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 25 del 2010 prevede che «gli enti confermati possono essere oggetto di regolamenti di riordino» ed essendo per quanto concerne il CAI tale riordino già intercorso,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di interpretare la norma prevista dall'articolo 6, comma 5, del decreto-legge in esame nel senso che gli enti pubblici, anche economici, e gli organismi pubblici anche con personalità giuridica di diritto privato in parola sono da intendersi quelli inseriti nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuato dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, rendendo così implicita l'esclusione dall'attuazione del disposto dell'articolo 6, comma 5, del decreto in esame degli enti non ricadenti in tale fattispecie, tra i quali il CAI e l'ACI.
9/3638/16. Quartiani, Nicco, Froner.
La Camera,
premesso che:
le disposizioni di cui agli articoli 6 e 9 fanno riferimento alle pubbliche amministrazioni come individuate dall'ISTAT ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge n. 196 del 2009. In tale elenco ISTAT figurano sia il CONI, sia la CONI Servizi SpA, sia molte Federazioni sportive nazionali (31, su 45);
per il CONI - in ragione della sua natura di ente pubblico non economico nazionale - non v'è dubbio che sia compreso tra gli enti soggetti alle citate disposizioni, altrettanto non vale per la CONI Servizi SpA e le Federazioni sportive nazionali, sia perché laddove nello stesso provvedimento si è voluto fare riferimento alle società inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'ISTAT, lo si è fatto espressamente e in modo specifico, sia perché nel concetto di «pubbliche amministrazioni», come definito dal decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 «Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche» sono comprese «tutte le amministrazioni dello Stato ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziate delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300»;
la CONI Servizi SpA e le Federazioni sportive nazionali, benché inserite nel suddetto elenco ISTAT, non sono pertanto da intendersi quali pubbliche amministrazioni, in quanto essendo il CONI il destinatario delle risorse provenienti dal bilancio dello Stato, l'assoggettamento alle norme oltre al CONI - anche di CONI Servizi SpA e delle Federazioni sportive nazionali (cui il CONI trasferisce i contributi statali) - si concretizzerebbe in una duplicazione di intervento nei confronti delle medesime risorse;
è quindi evidente che con riguardo alla CONI Servizi SpA e alle Federazioni sportive nazionali, con particolare riferimento alle tematiche afferenti il personale ed i contratti di lavoro, debbano essere applicate le disposizioni rivolte alle società e non quelle dirette alle pubbliche amministrazioni anche perché allo stato attuale anche i contratti collettivi di lavoro applicati sono di tipo privatistico e, per espressa indicazione fornita ufficialmente sin dal 2004 dal Ministero della funzione pubblica, vengono negoziati direttamente dalla società, esulando quindi dall'iter di rinnovo per il tramite dell'ARAN proprio dei contratti delle pubbliche amministrazioni;
l'articolo 6, comma 5, prevede che tutti gli enti pubblici provvedono all'adeguamento dei propri statuti al fine di assicurare che, a decorrere dal primo rinnovo successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto, gli organi di amministrazione e quelli di controllo, ove non già costituiti in forma monocratica, nonché il collegio dei revisori, siano costituiti da un numero non superiore rispettivamente a cinque e tre componenti;
non è possibile l'applicazione di tale disposizione per gli organi del CONI (Consiglio Nazionale e Giunta Nazionale, composti rispettivamente da 75 e 20 membri, prevalentemente di natura elettiva), la cui composizione è prevista da una specifica disposizione legislativa (decreto legislativo n. 242 del 1999) nonché in attuazione delle regole della Carta Olimpica del Comitato Olimpico Internazionale, stante il principio di autonomia dell'ordinamento sportivo nazionale, quale articolazione dell'ordinamento sportivo internazionale ai sensi del decreto-legge n. 220 del 2003, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 280 del 2003;
occorre altresì considerare che, alla luce delle suddette norme, i membri degli organi di amministrazione del CONI o sono eletti in rappresentanza delle rispettive categorie (atleti, tecnici, rappresentati degli enti di promozione sportiva, delle discipline sportive associate, delle associazioni benemerite, delle strutture provinciali e regionali del CONI) o sono membri di diritto (presidenti delle Federazioni sportive nazionali e membri italiani del CIO);
analogo problema si pone per le Federazioni sportive nazionali aventi natura di ente pubblico (Unione Italiana Tiro a Segno - Automobil Club d'Italia - Aero Club d'Italia) che, in base alle norme dell'ordinamento sportivo nazionale e internazionale, nonché in attuazione del richiamato decreto legislativo n. 242 del 1999, sono tenute ad assicurare nei propri organi direttivi la presenza di determinate categorie (atleti, tecnici);
l'articolo 6, comma 12, introduce per le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, incluse le autorità indipendenti, un contenimento delle spese per missione, prevedendo in particolare che le stesse non possono effettuare spese per missioni, anche all'estero, per un ammontare superiore al 50 per cento della spesa sostenuta nell'anno 2009;
tale disposizione è altamente pregiudizievole per il CONI in considerazione del fatto che lo svolgimento di attività sportive su base non annuale comporta un disallineamento temporale delle esigenze che non possono avere come base di riferimento su cui operare la riduzione a un solo anno, nella specie il 2009, ma è necessario prevedere che il limite da assumere a riferimento a base di calcolo deve essere computato con riferimento alla media di spesa sostenuta per le stesse finalità nel quadriennio 2006-2009,
impegna il Governo:
ad adottare ogni utile misura, anche di natura interpretativa, volta a specificare che, con riguardo alla CONI Servizi SpA e alle Federazioni sportive nazionali, con particolare riferimento alle tematiche afferenti il personale ed i contratti di lavoro, debbano essere applicate le disposizioni rivolte alle società e non quelle dirette alle pubbliche amministrazioni;
ad adottare ogni utile misura, anche di natura interpretativa, volta a specificare che le disposizioni di cui all'articolo 6, comma 5, del decreto-legge in esame, non si applichino al CONI e alle Federazioni sportive nazionali aventi natura di ente pubblico per le quali continuano ad applicarsi le disposizioni di cui al decreto legislativo n. 242 del 1999;
ad adottare ogni utile misura, anche di natura interpretativa, volta a specificare che, con riguardo al CONI, il limite di spesa per missioni di cui all'articolo 6, comma 12, del decreto-legge in esame, è computato con riferimento alla media di spesa sostenuta per le stesse finalità nel quadriennio 2006-2009.
9/3638/17. Bonciani.
La Camera,
premesso che:
la manovra finanziaria approvata al Senato introdurrà alcune semplificazioni che attengono i procedimenti per dare inizio ad attività d'impresa attraverso una diversa procedura denominata SCIA (segnalazione certificata inizio attività);
con il maxi emendamento è stata tolta all'articolo 19 della legge n. 241 del 1990 la dicitura «pubblica incolumità» che invece era riportata nella legge originale;
l'eliminazione della dicitura «pubblica incolumità» è da ritenersi una grave mancanza di attenzione verso i compiti istituzionali con particolare riguardo all'impegno quotidiano che il Corpo dei Vigili del Fuoco rivolge alla sicurezza dei cittadini e dei lavoratori nonché alla salvaguardia dei beni e dell'ambiente;
non si comprendono i motivi dell'eliminazione della dicitura «pubblica incolumità» in quanto l'attività dei Vigili del Fuoco non produce ritardi in termini di inizio attività e determina un introito per lo Stato, che si quantifica in 60 milioni di euro e non un esborso;
inoltre l'articolo in questione determina quindi un minore introito per le casse dello Stato, e pertanto la norma appare anticostituzionale in ragione del fatto che non prevede la copertura per le mancate entrate che ne deriveranno,
impegna il Governo
a stabilire che le autorizzazioni rilasciate dal Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco a tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro, dei lavoratori in generale ed in particolari dei propri lavoratori, rientrino fra le materie escluse dal procedimento di semplificazione di cui al nuovo articolo 19 della legge n. 241 del 1990.
9/3638/18. Laffranco, Ascierto.
La Camera,
premesso che:
il decreto-legge in esame, all'articolo 12, comma 12-sexies, dispone che il requisito anagrafico della pensione di vecchiaia per le lavoratrici alle dipendenze della pubblica amministrazione sia elevato a 65 anni a partire dal lo gennaio 2012; ciò allo scopo di ottemperare alla sentenza della Corte di Giustizia della Comunità europea del 13 novembre 2008,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di applicare, se le condizioni di finanza pubblica lo consentiranno, le deroghe previste dalla norma citata e mantenere i requisiti vigenti per l'esercizio del diritto al pensionamento (le cosiddette finestre) nei confronti delle lavoratrici colpite dal provvedimento, affinché non debbano aggiungere all'incremento del requisito anagrafico anche l'elevazione a un anno della decorrenza del trattamento.
9/3638/19. Golfo.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 55 del decreto-legge in esame, in sede di conversione, è stato modificato con l'introduzione del comma 2-quinquies il quale prevede che, al fine di garantire la maggiore tutela degli interessi pubblici erariali e di difesa della salute pubblica connessi alla gestione di esercizi di vendita di tabacchi, tenuto conto altresì della elevata professionalità richiesta per l'espletamento di tale attività, non può gestire un magazzino chi non abbia conseguito, entro sei mesi dall'assegnazione, l'idoneità professionale all'esercizio dell'attività di rivenditore di generi di monopolio all'esito di appositi corsi di formazione disciplinati sulla base di convenzione stipulata tra l'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato e le organizzazioni di categoria maggiormente rappresentative;
nell'ambito delle attività preordinate alla stipula della convenzione tra l'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato e le organizzazioni di categoria maggiormente rappresentative, è necessario assicurare la massima celerità alla definizione del complesso delle azioni dirette a dare esecuzione al dettato normativo in esame, garantendo proficui rapporti di collaborazione con le organizzazioni di categoria effettivamente espressione della stessa, senza innescare il pericolo di una nociva e sterile moltiplicazione di soggetti che possano strumentalmente rivendicare una partecipazione in attività di così elevato rilievo per l'erario senza essere al contempo legittimati da effettiva ed adeguata rappresentatività;
al fine di non compromettere la portata dell'intera disposizione diretta ad assicurare la maggiore tutela degli interessi pubblici erariali e di difesa della salute pubblica connessi alla gestione di esercizi di vendita di tabacchi, è necessario che la stipula delle citate convenzioni per la disciplina di appositi corsi di formazione avvenga tra l'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato e le organizzazioni di categoria maggiormente rappresentative che rappresentano in via esclusiva non meno del 10 per cento degli appartenenti alla categoria,
impegna il Governo
ad adottare ogni utile misura di attuazione anche di natura interpretativa affinché la stipula della convenzione per la disciplina di appositi corsi di formazione diretti al conseguimento dell'idoneità professionale all'esercizio dell'attività di rivenditore di generi di monopolio avvenga tra l'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato e le organizzazioni di categoria maggiormente rappresentative che rappresentano in via esclusiva non meno del 10 per cento degli appartenenti alla categoria.
9/3638/20. Bernardo, Torrisi.
La Camera,
premesso che:
uno dei cardini della manovra finanziaria sotto il profilo strettamente economico è costituito dal principio fissato dall'articolo 9, comma 1, che prevede il congelamento degli incrementi economici comunque denominati per il personale appartenente alla pubblica amministrazione;
nel corso dei lavori parlamentari il testo decreto-legge in esame è stato migliorato in questa parte essenziale, senza tuttavia pregiudicare il mantenimento dell'invarianza dei saldi, chiarendo che il meccanismo di congelamento dei trattamenti economici dei dipendenti pubblici non può riguardare le parti accessorie della retribuzione connesse alla presenza in servizio. In questo modo, variazioni delle retribuzioni dipendenti da eventi specifici quali, a mero titolo esemplificativo, malattia, maternità, missioni all'estero non comportano l'effetto del blocco delle retribuzioni per gli anni 2011, 2012 e 2013. Ciò significa che per tali annualità rimane impregiudicata la possibilità per il singolo dipendente pubblico di percepire una retribuzione anche superiore a quella percepita nell'anno 2010 e ciò senza compromettere il principio fondamentale posto alla base dell'intera manovra, dell'invarianza dei saldi complessivi. Tale chiarimento, operato in sede di conversione nell'ambito dei lavori in sede referente, si applica a tutto il personale dipendente dalle pubbliche amministrazioni, contrattualizzato e non contrattualizzato ed in particolare al comparto sicurezza e difesa;
per garantire l'effettività di questo risultato, con riferimento alle risorse finanziarie destinate al pagamento della parte accessoria della retribuzione, l'intervento operato nel corso dei lavori presso il Senato della Repubblica ha anche consentito di chiarire che non si opera più un congelamento riferito al trattamento del singolo dipendente, cioè a quanto a tal titolo il singolo aveva percepito nell'anno 2010, ma il congelamento è ora riferito al totale delle risorse a questo scopo utilizzate dalle singole amministrazioni che, pertanto, all'interno dell'identico budget di spesa, potranno garantire esattamente gli stessi standard di risultato. All'interno quindi del monte risorse complessivamente invariate, al singolo dipendente potrà essere garantita la possibilità di percepire, per la parte accessoria della retribuzione, anche di più di quanto aveva percepito nell'anno precedente ovviamente sulla base delle attività effettivamente espletate e comunque senza aggravio per la finanza pubblica;
per il comparto sicurezza e difesa e per i vigili del fuoco, con riferimento alle risorse finanziarie di cui all'articolo 8, comma 11-bis, del decreto-legge in esame, in quanto destinate ad alimentare la parte accessoria del trattamento retributivo spettante al personale, le stesse non rientrano nel congelamento del trattamento retributivo individuale stabilito dall'articolo 9, comma 1, del decreto-legge in esame,
impegna il Governo:
ad adottare ogni utile provvedimento, anche di natura interpretativa, volto a specificare che, anche per il comparto sicurezza e difesa e per i vigili del fuoco, con riferimento alle risorse finanziarie destinate al pagamento della parte accessoria della retribuzione, non si opera un congelamento riferito al trattamento del singolo dipendente, cioè a quanto a tal titolo il singolo aveva percepito nell'anno 2010, ma il congelamento è riferito al totale delle risorse a questo scopo utilizzate dalle singole amministrazioni che, pertanto, all'interno dell'identico budget di spesa, potranno garantire esattamente gli stessi standard di risultato; in particolare a garantire che all'interno del monte risorse complessivamente invariate, al singolo dipendente potrà essere assicurata la possibilità di percepire, per la parte accessoria della retribuzione, anche di più di quanto aveva percepito nell'anno precedente ovviamente sulla base delle attività effettivamente espletate e comunque senza aggravio per la finanza pubblica;
ad adottare ogni utile provvedimento, anche di natura interpretativa, volto a specificare che per il comparto sicurezza e difesa e per i vigili del fuoco, con riferimento alle risorse finanziarie di cui all'articolo 8, comma 11-bis, del decreto-legge in esame, in quanto destinate ad alimentare la parte accessoria della retribuzione spettante al personale, le stesse non rientrano nel congelamento del trattamento retributivo individuale stabilito dall'articolo 9, comma 1, del decreto-legge in esame.
9/3638/21. Pugliese.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 7, comma 7, lettera h), prevede che al presidente degli enti pubblici di assistenza e previdenza sia dovuto, per l'esercizio delle funzioni inerenti alla carica, un emolumento onnicomprensivo stabilito con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze;
la citata disposizione intende riferirsi evidentemente al corrispettivo che spetta al Presidente degli Enti pubblici di previdenza ed assistenza per l'espletamento di tale specifica carica, facendo quindi salvi altri eventuali emolumenti che lo stesso Presidente potrebbe percepire in relazione allo svolgimento di altre attività ed incarichi di natura pubblica o privata;
la disposizione in argomento, nella sua attuale formulazione, potrebbe ingenerare dubbi interpretativi sulla effettiva portata della norma e, conseguentemente, si rende necessario specificare che dall'emolumento onnicomprensivo spettante al Presidente degli Enti pubblici di assistenza e previdenza rimangono in ogni caso esclusi eventuali emolumenti comunque denominati che lo stesso Presidente potrebbe percepire per lo svolgimento di altre attività ed incarichi di natura pubblica o privata,
impegna il Governo
ad adottare ogni utile provvedimento, anche di natura interpretativa, al fine di chiarire che, con riguardo alla portata applicativa dell'articolo 7, comma 7, lettera h), rimane in ogni caso ferma, per il presidente di un ente pubblico di previdenza e di assistenza, la possibilità di percepire altri eventuali compensi e/o emolumenti comunque denominati derivanti dallo svolgimento di altre attività ed incarichi di natura pubblica o privata.
9/3638/22. Berardi.
La Camera,
premesso che:
con il bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2009 alla tabella 7 «stato di previsione del Ministero dell'istruzione» il capitolo di bilancio riguardo l'istituzione scolastica non statale veniva ridotto di oltre 133 milioni di euro, ovvero del 25 per cento rispetto al bilancio assestato 2008 e lo stesso è stato reintegrato attraverso un emendamento per importo pari a 120 milioni di euro;
con il bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2010, alla tabella 7, il capitolo di bilancio riguardante l'istituzione scolastica non statale è stato ridotto di oltre 133 milioni di euro, ovvero del 25 per cento rispetto al bilancio assestato 2008 e a quanto previsto per il 2009 e lo stesso è stato reintegrato attraverso emendamento del Governo per importo pari a 130 milioni di euro;
nel bilancio triennale 2009-2011 era previsto per il bilancio di previsione dello Stato anche per l'anno 2011 un taglio pari a 228 milioni di euro alla tabella 7, il capitolo di bilancio riguardante l'istituzione scolastica non statale;
con la mozione Cicchitto, Cota ed altri n. 1-00154 in materia di parità scolastica, approvata dalla Camera nella seduta di mercoledì 6 maggio 2009, si impegna il Governo, tra le altre cose, a realizzare le condizioni per un'effettiva libertà di scelta educativa fra scuole statali e paritarie incrementando, fin dal disegno di legge di bilancio per il 2010, le risorse destinate al sistema paritario;
la riduzione della spesa pubblica è elemento essenziale del risanamento economico del Paese, confermando le priorità contenute nel DPEF e nel suo aggiornamento, e risulta essenziale scongiurare un aumento della spesa delle famiglie che la riduzione del fondo per le scuole non statali renderebbe certo,
impegna il Governo
a reintegrare il fondo in bilancio previsionale 2011 «istituzioni scolastiche non statali» fino al raggiungimento della quota prevista per il 2008 e a garantire almeno lo stesso livello di finanziamento per i successivi anni.
9/3638/23. Toccafondi.
La Camera,
premesso che:
con il bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2009 alla tabella 7 «stato di previsione del Ministero dell'istruzione» il capitolo di bilancio riguardo l'istituzione scolastica non statale veniva ridotto di oltre 133 milioni di euro, ovvero del 25 per cento rispetto al bilancio assestato 2008 e lo stesso è stato reintegrato attraverso un emendamento per importo pari a 120 milioni di euro;
con il bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2010, alla tabella 7, il capitolo di bilancio riguardante l'istituzione scolastica non statale è stato ridotto di oltre 133 milioni di euro, ovvero del 25 per cento rispetto al bilancio assestato 2008 e a quanto previsto per il 2009 e lo stesso è stato reintegrato attraverso emendamento del Governo per importo pari a 130 milioni di euro;
nel bilancio triennale 2009-2011 era previsto per il bilancio di previsione dello Stato anche per l'anno 2011 un taglio pari a 228 milioni di euro alla tabella 7, il capitolo di bilancio riguardante l'istituzione scolastica non statale;
con la mozione Cicchitto, Cota ed altri n. 1-00154 in materia di parità scolastica, approvata dalla Camera nella seduta di mercoledì 6 maggio 2009, si impegna il Governo, tra le altre cose, a realizzare le condizioni per un'effettiva libertà di scelta educativa fra scuole statali e paritarie incrementando, fin dal disegno di legge di bilancio per il 2010, le risorse destinate al sistema paritario;
la riduzione della spesa pubblica è elemento essenziale del risanamento economico del Paese, confermando le priorità contenute nel DPEF e nel suo aggiornamento, e risulta essenziale scongiurare un aumento della spesa delle famiglie che la riduzione del fondo per le scuole non statali renderebbe certo,
impegna il Governo
a reintegrare, se le condizioni di finanza pubblica lo consentono, il fondo in bilancio previsionale 2011 «istituzioni scolastiche non statali» fino al raggiungimento della quota prevista per il 2008 e a garantire almeno lo stesso livello di finanziamento per i successivi anni.
9/3638/23. (Testo modificato nel corso della seduta) Toccafondi, Renato Farina, Rubinato.
La Camera,
premesso che:
il Governo dando prova di essere attento ai principi del marketing strategico, ha ideato aree del Paese, tutte ubicate nel Meridione, apparentemente libere dagli impacci del principio di legalità costituito dall'istruttoria assegnata dalle leggi agli uffici pubblici;
tale previsione smantella lo stato di diritto facendolo regredire all'epoca degli albori dell'Unità d'Italia;
ciò avviene proprio all'atto della celebrazione dei centocinquanta anni dell'Unità d'Italia;
le regioni meridionali interessate vengono additate come laboratorio dell'inefficienza pubblica,
impegna il Governo:
ad emanare nei confronti dei «Commissari» che saranno nominati, direttive stringenti perché i procedimenti amministrativi assunti nei loro effetti concreti sotto la loro responsabilità, derivino da un'attività istruttoria strettamente corrispondente alle procedure di cui alla legge n. 241 del 1990;
a riferire al Parlamento con apposita relazione annuale su detta disposizione, nell'ambito della più ampia relazione sulla attuazione della legge n. 241 del 1990.
9/3638/24. Pisicchio.
La Camera,
premesso che:
il Governo dando prova di essere attento ai principi del marketing strategico, ha ideato aree del Paese, tutte ubicate nel Meridione, apparentemente libere dagli impacci del principio di legalità costituito dall'istruttoria assegnata dalle leggi agli uffici pubblici;
tale previsione smantella lo stato di diritto facendolo regredire all'epoca degli albori dell'Unità d'Italia;
ciò avviene proprio all'atto della celebrazione dei centocinquanta anni dell'Unità d'Italia;
le regioni meridionali interessate vengono additate come laboratorio dell'inefficienza pubblica,
impegna il Governo:
ad emanare nei confronti dei «Commissari» che saranno nominati, direttive stringenti perché i procedimenti amministrativi assunti nei loro effetti concreti sotto la loro responsabilità, derivino da un'attività istruttoria strettamente corrispondente alle procedure di cui alla legge n. 241 del 1990 fermo restando in ogni caso quanto previsto dall'articolo 43 del decreto-legge in esame;
a riferire al Parlamento con apposita relazione annuale su detta disposizione, nell'ambito della più ampia relazione sulla attuazione della legge n. 241 del 1990.
9/3638/24. (Testo modificato nel corso della seduta) Pisicchio.
La Camera,
premesso che:
le misure di contenimento delle spese di previdenza sono fondate sulla premessa di un prolungamento della vita lavorativa;
come noto, le statistiche comunitarie testimoniano che solo il 36 per cento degli italiani di età compresa fra 55 e 64 anni sono occupati contro una media europea del 46 per cento, con punte del 56 per cento in Germania;
l'economia reale nella dinamica industriale, dei servizi, e del commercio indica una tendenza espulsiva dei lavoratori ultracinquantacinquenni;
la contraddizione è ignorata sia nella contrattazione collettiva sia nella legislazione del lavoro, talché il processo può definirsi non governato,
impegna il Governo
al fine di correggere un trend che provoca un allargamento della forbice generazionale a fronte dell'invecchiamento della popolazione, ad istituire tempestivamente un tavolo di concertazione tripartito che abbia ad oggetto l'elaborazione di misure di contemperamento delle dinamiche retributive, contributive, previdenziali, assistenziali, con quelle della maturazione da parte dei lavoratori di un'età compresa tra gli anni 55 e quella stabilita nelle leggi e nei contratti per il loro pensionamento.
9/3638/25. Mosella.
La Camera,
premesso che:
le misure di contenimento delle spese di previdenza sono fondate sulla premessa di un prolungamento della vita lavorativa;
come noto, le statistiche comunitarie testimoniano che solo il 36 per cento degli italiani di età compresa fra 55 e 64 anni sono occupati contro una media europea del 46 per cento, con punte del 56 per cento in Germania;
l'economia reale nella dinamica industriale, dei servizi, e del commercio indica una tendenza espulsiva dei lavoratori ultracinquantacinquenni;
la contraddizione è ignorata sia nella contrattazione collettiva sia nella legislazione del lavoro, talché il processo può definirsi non governato,
impegna il Governo
al fine di valutare un trend che provoca un allargamento della forbice generazionale a fronte dell'invecchiamento della popolazione, ad istituire senza oneri per la finanza pubblica un tavolo di concertazione che abbia ad oggetto l'approfondimento della problematica indicata in premessa.
9/3638/25. (Testo modificato nel corso della seduta) Mosella.
La Camera,
premesso che:
la legge 24 dicembre 1993, n. 537, all'articolo 9, comma 7, ha previsto che: « Entro il 31 marzo di ciascun anno, il Ministro della difesa, sentite le competenti Commissioni permanenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, definisce con proprio decreto il piano annuale di gestione del patrimonio abitativo della Difesa, con l'indicazione dell'entità, dell'utilizzo e della futura destinazione degli alloggi di servizio, nonché degli alloggi non più ritenuti utili nel quadro delle esigenze dell'Amministrazione e quindi transitabili in regime di locazione ovvero alienabili, anche mediante riscatto. Il piano indica altresì i parametri di reddito sulla base dei quali gli attuali utenti degli alloggi di servizio, ancorché si tratti di personale in quiescenza o di vedove non legalmente separate né divorziate, possono mantenerne la conduzione, purché non siano proprietari di altro alloggio di certificata abitabilità. I proventi derivanti dalla gestione o vendita del patrimonio alloggiativo sono utilizzati per la realizzazione di nuovi alloggi di servizio e per la manutenzione di quelli esistenti»;
con l'articolo 43 della legge del 23 dicembre 1994, n. 724, è stata stabilita l'entità del canone da corrispondere da parte degli utenti, calcolato sulla base dell'equo canone;
in applicazione di tali norme, la possibilità di mantenere la conduzione dell'alloggio oltre i limiti regolamentari, è stata successivamente ampliata agli utenti il cui nucleo familiare convivente comprenda un portatore di handicap grave;
l'articolo 6, comma 21-quater, del decreto-legge in esame recita che: «Con decreto del Ministero della difesa, adottato d'intesa con l'Agenzia del demanio, sentito il Consiglio centrale della rappresentanza militare, si provvede alla rideterminazione, a decorrere dal 1o gennaio 2011, del canone di occupazione dovuto dagli utenti non aventi titolo alla concessione di alloggi di servizio del Ministero della difesa, fermo restando per l'occupante l'obbligo di rilascio entro il termine fissato dall'Amministrazione, anche se in regime di proroga, sulla base dei prezzi di mercato, ovvero, in mancanza di essi, delle quotazioni rese disponibili dall'Agenzia del territorio, del reddito dell'occupante e della durata dell'occupazione. Le maggiorazioni del canone derivanti dalla rideterminazione prevista dal presente comma affluiscono ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato, per essere riassegnate per le esigenze del Ministero della difesa»,
impegna il Governo
nella fase di applicazione della normativa sopra richiamata a garantire, agli utenti che non superano la soglia di reddito familiare annuo lordo stabilita annualmente dal Ministro della difesa con il decreto emanato ai sensi dell'articolo 9, comma 7, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, l'applicazione del canone così come definito con l'articolo 43 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, mirando a contemperare le esigenze dell'amministrazione con le condizioni sociali degli utenti.
9/3638/26. Marsilio.
La Camera,
premesso che:
la legge 24 dicembre 1993, n. 537, all'articolo 9, comma 7, ha previsto che: « Entro il 31 marzo di ciascun anno, il Ministro della difesa, sentite le competenti Commissioni permanenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, definisce con proprio decreto il piano annuale di gestione del patrimonio abitativo della Difesa, con l'indicazione dell'entità, dell'utilizzo e della futura destinazione degli alloggi di servizio, nonché degli alloggi non più ritenuti utili nel quadro delle esigenze dell'Amministrazione e quindi transitabili in regime di locazione ovvero alienabili, anche mediante riscatto. Il piano indica altresì i parametri di reddito sulla base dei quali gli attuali utenti degli alloggi di servizio, ancorché si tratti di personale in quiescenza o di vedove non legalmente separate né divorziate, possono mantenerne la conduzione, purché non siano proprietari di altro alloggio di certificata abitabilità. I proventi derivanti dalla gestione o vendita del patrimonio alloggiativo sono utilizzati per la realizzazione di nuovi alloggi di servizio e per la manutenzione di quelli esistenti»;
con l'articolo 43 della legge del 23 dicembre 1994, n. 724, è stata stabilita l'entità del canone da corrispondere da parte degli utenti, calcolato sulla base dell'equo canone;
in applicazione di tali norme, la possibilità di mantenere la conduzione dell'alloggio oltre i limiti regolamentari, è stata successivamente ampliata agli utenti il cui nucleo familiare convivente comprenda un portatore di handicap grave;
l'articolo 6, comma 21-quater, del decreto-legge in esame recita che: «Con decreto del Ministero della difesa, adottato d'intesa con l'Agenzia del demanio, sentito il Consiglio centrale della rappresentanza militare, si provvede alla rideterminazione, a decorrere dal 1o gennaio 2011, del canone di occupazione dovuto dagli utenti non aventi titolo alla concessione di alloggi di servizio del Ministero della difesa, fermo restando per l'occupante l'obbligo di rilascio entro il termine fissato dall'Amministrazione, anche se in regime di proroga, sulla base dei prezzi di mercato, ovvero, in mancanza di essi, delle quotazioni rese disponibili dall'Agenzia del territorio, del reddito dell'occupante e della durata dell'occupazione. Le maggiorazioni del canone derivanti dalla rideterminazione prevista dal presente comma affluiscono ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato, per essere riassegnate per le esigenze del Ministero della difesa»,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di garantire, agli utenti che non superano la soglia di reddito familiare annuo lordo stabilita annualmente dal Ministro della difesa con il decreto emanato ai sensi dell'articolo 9, comma 7, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, l'applicazione del canone così come definito con l'articolo 43 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, mirando a contemperare le esigenze dell'amministrazione con le condizioni sociali degli utenti.
9/3638/26. (Testo modificato nel corso della seduta) Marsilio.
La Camera,
premesso che:
nell'ambito del provvedimento in esame risultano completamente assenti disposizioni volte all'implementazione della banda larga, infrastruttura di fondamentale importanza per l'ammodernamento delle imprese e per lo sviluppo dei servizi della pubblica amministrazione nel nostro Paese;
in particolare risultano assenti le opportune iniziative di carattere normativo volte a prevedere la possibilità di assegnare parte del «dividendo digitale», ovvero le frequenze liberate a seguito del passaggio delle trasmissioni televisive dall'analogico al digitale, attraverso procedure di evidenza pubblica competitiva, la cui base d'asta sia determinata tenendo conto della media delle valutazioni economiche riscontrate negli altri paesi dell'Unione europea;
in Germania, ove si è appena conclusa la gara per l'assegnazione del «dividendo digitale» agli operatori di telefonia mobile, è stata superata la quota di 4,4 miliardi di euro, una somma quasi pari a quella tagliata annualmente a tutte le Regioni italiane con il provvedimento in esame;
appare quanto mai urgente garantire la piena attuazione dei principi dettati dalla Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni del 13 novembre 2007 - Trarre il massimo beneficio dal dividendo digitale in Europa: un approccio comune all'uso dello spettro liberato dal passaggio al digitale COM(2007) 700 e della Decisione della Commissione del 6 maggio 2010 relativa all'armonizzazione delle condizioni tecniche d'uso della bande di frequenze 790-862 MHz per i sistemi terrestri in grado di fornire servizi di comunicazioni elettroniche dell'Unione Europea;
appare necessario garantire che il passaggio definitivo alla trasmissione televisiva digitale terrestre avvenga senza la possibilità di consolidamento di posizioni dominanti nel mercato del digitale che, di fatto, impediscano la massimizzazione dell'introito economico a favore dello Stato e lo sviluppo dei servizi di telecomunicazioni per i servizi innovativi quali la banda larga;
appare altresì necessario assicurare che il passaggio definitivo alla trasmissione televisiva digitale terrestre avvenga in conformità dei principi dettati dalla legge n. 249 del 1997, nonché della Delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni n. 181/09/CONS, secondo cui il piano nazionale di assegnazione delle frequenze (PNAF) deve riservare almeno un terzo dei programmi irradiabili all'emittenza televisiva locale,
impegna il Governo:
a valutare l'opportunità di adottare iniziative, anche normative, volte a mettere a bando parte delle frequenze liberate dallo switch off della tv analogica, con il duplice obiettivo di recuperare risorse per la finanza pubblica e aumentare le risorse per la banda larga;
a valutare l'opportunità di adottare iniziative, anche normative, volte a garantire l'effettiva riserva prevista per legge in favore delle emittenti locali, per ogni area tecnica di cui al decreto del Ministro dello sviluppo economico del 10 settembre 2008 recante «Definizione di un calendario per il passaggio definitivo alla trasmissione televisiva digitale terrestre, con l'indicazione delle aree territoriali interessate e delle rispettive scadenze», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 238 del 10 ottobre 2008, di un terzo delle risorse frequenziali pianificabili nel rispetto del coordinamento internazionale.
9/3638/27. Di Pietro, Donadi, Borghesi, Monai, Cimadoro, Cambursano.
La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame prevede un taglio di circa 3,5 miliardi di euro per il trasporto pubblico locale in Italia,
in particolare, il provvedimento in esame prevede l'abrogazione del comma 302 dell'articolo 1 della legge finanziaria 2008, ovvero della normativa che ha trasformato i trasferimenti statali per il trasporto pubblico locale in compartecipazione al gettito dell'accisa sul gasolio per autotrazione, e quindi l'abrogazione delle norma che disponevano la corresponsione, per tutto l'anno 2010, delle risorse per i servizi ferroviari di interesse regionale e locale in concessione a Ferrovie dello Stato S.p.A che sono stati - con decorrenza 1o giugno 1999 - delegati alle regioni per quanto concerne le funzioni e i compiti di programmazione e amministrazione;
risulta poi contestualmente abrogata la disposizione che, in relazione all'attribuzione alle regioni a statuto ordinario della compartecipazione al gettito dell'accisa sul gasolio per autotrazione, determinava, a decorrere dall'anno 2011, le quote di compartecipazione di ciascuna regione, in modo tale che le stesse consentissero di corrispondere anche l'importo individuato in base al citato comma 302;
attualmente, dunque, il taglio in materia di «Servizi ferroviari di interesse regionale e locale in concessione», previsto all'allegato 1 della manovra, è pari a 1.223 milioni di euro per l'anno 2011, di cui 1.181 a Trenitalia e 42 agli altri concessionari;
inoltre, sono presenti importanti riduzioni delle dotazioni finanziarie delle missioni di spesa dei Ministeri, contenute nell'Allegato I: in particolare si segnala:
a) alla voce «Ministero dell'economia e delle finanze», la riduzione relativa alla missione «Diritto alla mobilità» di 231.800.000 euro per il 2011, di 280.432.000 euro per il 2012 e di 233.432.000 euro per il 2013, e la riduzione relativa alla missione «Infrastrutture pubbliche e logistica» di 79.581.000 euro per il 2011 e di 180.000.000 euro per il 2012;
b) alla voce «Ministero delle infrastrutture e dei trasporti», la riduzione relativa alla missione «Diritto alla mobilità» di 10.742.000 euro per il 2011, di 10.450.000 euro per il 2011 e di 11.398.000 euro per il 2013, e la riduzione relativa alla missione «Infrastrutture pubbliche e logistica», di 17.965.000 euro per il 2011, di 12.714 .000 per il 2012 e di 12.648.000 per il 2013;
le predette riduzioni si sommano ai tagli assai consistenti già operati in sede di approvazione delle leggi finanziaria e di bilancio, che avevano drasticamente ridotto gli stanziamenti relativi alle missioni sopra citate;
gli effetti diretti e indiretti prodotti dal provvedimento al nostro esame si potrebbero ragionevolmente concretare in un gravissimo depauperamento di tutti i servizi di trasporto ferroviario nel nostro Paese, con il contestuale il rischio di aumenti rilevanti delle tariffe e ripercussioni sul fronte occupazionale delle aziende e dei settori indotti,
impegna il Governo:
ad adottare le opportune iniziative normative volte stanziare adeguati finanziamenti per il potenziamento del trasporto ferroviario nel territorio nazionale, con particolare riguardo alle aree del Mezzogiorno;
ad adottare le opportune iniziative, anche normative, volte a dare seguito con la massima sollecitudine agli impegni assunti in sede parlamentare a seguito dell'approvazione da parte della Camera dei deputati della mozione in materia di trasporto ferroviario n. 1-00414 con il consenso unanime di maggioranza ed opposizione.
9/3638/28. Monai, Donadi, Evangelisti, Borghesi, Cambursano.
La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame prevede un taglio di circa 3,5 miliardi di euro per il trasporto pubblico locale in Italia,
in particolare, il provvedimento in esame prevede l'abrogazione del comma 302 dell'articolo 1 della legge finanziaria 2008, ovvero della normativa che ha trasformato i trasferimenti statali per il trasporto pubblico locale in compartecipazione al gettito dell'accisa sul gasolio per autotrazione, e quindi l'abrogazione delle norma che disponevano la corresponsione, per tutto l'anno 2010, delle risorse per i servizi ferroviari di interesse regionale e locale in concessione a Ferrovie dello Stato S.p.A che sono stati - con decorrenza 1o giugno 1999 - delegati alle regioni per quanto concerne le funzioni e i compiti di programmazione e amministrazione;
risulta poi contestualmente abrogata la disposizione che, in relazione all'attribuzione alle regioni a statuto ordinario della compartecipazione al gettito dell'accisa sul gasolio per autotrazione, determinava, a decorrere dall'anno 2011, le quote di compartecipazione di ciascuna regione, in modo tale che le stesse consentissero di corrispondere anche l'importo individuato in base al citato comma 302;
attualmente, dunque, il taglio in materia di «Servizi ferroviari di interesse regionale e locale in concessione», previsto all'allegato 1 della manovra, è pari a 1.223 milioni di euro per l'anno 2011, di cui 1.181 a Trenitalia e 42 agli altri concessionari;
inoltre, sono presenti importanti riduzioni delle dotazioni finanziarie delle missioni di spesa dei Ministeri, contenute nell'Allegato I: in particolare si segnala:
a) alla voce «Ministero dell'economia e delle finanze», la riduzione relativa alla missione «Diritto alla mobilità» di 231.800.000 euro per il 2011, di 280.432.000 euro per il 2012 e di 233.432.000 euro per il 2013, e la riduzione relativa alla missione «Infrastrutture pubbliche e logistica» di 79.581.000 euro per il 2011 e di 180.000.000 euro per il 2012;
b) alla voce «Ministero delle infrastrutture e dei trasporti», la riduzione relativa alla missione «Diritto alla mobilità» di 10.742.000 euro per il 2011, di 10.450.000 euro per il 2011 e di 11.398.000 euro per il 2013, e la riduzione relativa alla missione «Infrastrutture pubbliche e logistica», di 17.965.000 euro per il 2011, di 12.714 .000 per il 2012 e di 12.648.000 per il 2013;
le predette riduzioni si sommano ai tagli assai consistenti già operati in sede di approvazione delle leggi finanziaria e di bilancio, che avevano drasticamente ridotto gli stanziamenti relativi alle missioni sopra citate;
gli effetti diretti e indiretti prodotti dal provvedimento al nostro esame si potrebbero ragionevolmente concretare in un gravissimo depauperamento di tutti i servizi di trasporto ferroviario nel nostro Paese, con il contestuale il rischio di aumenti rilevanti delle tariffe e ripercussioni sul fronte occupazionale delle aziende e dei settori indotti,
impegna il Governo:
ad adottare, se le condizioni di finanza pubblica lo consentono, le opportune iniziative normative volte stanziare adeguati finanziamenti per il potenziamento del trasporto ferroviario nel territorio nazionale, con particolare riguardo alle aree del Mezzogiorno;
ad adottare le opportune iniziative, anche normative, volte a dare seguito con la massima sollecitudine agli impegni assunti in sede parlamentare a seguito dell'approvazione da parte della Camera dei deputati della mozione in materia di trasporto ferroviario n. 1-00414 con il consenso unanime di maggioranza ed opposizione.
9/3638/28. (Testo modificato nel corso della seduta) Monai, Donadi, Evangelisti, Borghesi, Cambursano.
La Camera,
premesso che:
la cantieristica navale è, come a più riprese riconosciuto dallo stesso Governo, un settore strategico dell'economia italiana, caratterizzato da alta intensità di lavoro ed elevati indici di innovazione tecnologica, senza peraltro comportare ripercussioni ambientali di segno negativo;
Fincantieri - Cantieri navali italiani spa è uno dei maggiori gruppi industriali - per fatturato e numero di addetti - esistenti in Europa e nel mondo, attivo nel settore della cantieristica crocieristica, militare e mercantile e rappresenta, pertanto, una delle più importanti realtà produttive del nostro Paese;
il gruppo industriale Fincantieri, stando ai dati dei bilanci consolidati degli ultimi anni, ha alle proprie dirette dipendenze circa 8.500 addetti, impiegando altresì - nell'ambito dei propri lavori e servizi esternalizzati in appalto e dell'indotto complessivamente considerato - altre migliaia di lavoratori, stimati prudenzialmente in oltre 18.000 unità;
più in particolare, i lavoratori della Fincantieri (i cosiddetti «costruttori navali», come vengono solitamente chiamati in ossequio alla straordinaria tradizione cantieristica italiana) risultano approssimativamente così ripartiti: 1) per la costruzione delle navi da crociera: presso la sede di Trieste (progettazione, circa 750 addetti) e tre cantieri navali a Monfalcone (1.700 addetti, il più grande del gruppo), Marghera (1200 addetti) e Genova Sestri Ponente (800 addetti); 2) per il comparto militare e le commesse «speciali» (navi oceanografiche, diamantifere, rimorchiatori, e altro): Genova (progettazione, 400 addetti) e due cantieri navali a Riva Trigoso (Sestri Levante, 900 addetti) e al Muggiano (La Spezia, 800 addetti); 3) per i trasporti (navi ferries, traghetti per il trasporto di passeggeri, e altro) la progettazione nella già menzionata sede di Trieste e tre cantieri navali: Ancona (quasi 600 addetti), Castellammare di Stabia (600 addetti) e Palermo (500 addetti). In ognuna delle predette città, alla luce dei numeri sopra ricordati, ciascun cantiere navale della società Fincantieri costituisce una delle principali aziende cittadine e dunque fonte di occupazione e ricchezza per i rispettivi territori, oltre a rappresentare un elemento caratterizzante e storicamente radicato, avendo segnato e permeato di sé le vicende sociali delle città medesime nel corso degli anni;
la crisi economica in atto rischia di avere ripercussioni drammatiche e ricadute occupazionali gravissime nel settore della cantieristica e, in particolare, sul gruppo industriale Fincantieri con circa 1600 lavoratori già attualmente collocati in cassa integrazione, che si stima potranno arrivare all'abnorme cifra di 2000 unità alla fine del 2010;
a fine dicembre 2009 il Governo aveva dichiarato l'avvio di commesse pubbliche straordinarie a sostegno del settore;
per i due pattugliatori da parte del Ministero della difesa è stato emesso, con grande ritardo rispetto agli impegni assunti, il bando di gara e, quindi, la cantierabilità di queste due unità realisticamente non potrà avvenire prima di altri 4-5 mesi;
tutto ciò comporta il risultato pratico - già ampiamente denunciato dai sindacati di settore (Fim, Fiom e Uilm) - che dalle commesse pubbliche per tutto il 2010 non arrivi nei cantieri navali neppure un'ora di lavoro;
in data 17 giugno 2010, durante lo svolgimento in Assemblea dell'interpellanza urgente n. 2-00759 (Iniziative del Governo a sostegno del gruppo industriale Fincantieri, con particolare riferimento alla cantierabilità delle commesse pubbliche), il Governo, rappresentato dalla persona del Sottosegretario di Stato per la Giustizia Giacomo Caliendo, ha assicurato che la Marina militare ha proceduto all'assegnazione di importanti ordini e Fincantieri, per parte sua, sarebbe riuscita ad acquisire significative commesse all'estero, quali quella relativa alla realizzazione della seconda parte del programma Fremm (Fregata europea multi missione) per quattro unità, quella relativa alla realizzazione della seconda coppia di sommergibili Classe U212A, quella relativa all'acquisizione di un contratto per una nave rifornitrice di squadra per la Marina indiana, con opzione per una seconda unità, nonché quella per il refitting di due navi veloci lanciamissili per il Kenya ed il contratto per una corvetta per gli Emirati Arabi Uniti;
nell'audizione presso la Commissione industria del Senato, l'amministratore delegato della società Fincantieri ha evidenziato la solidità del bilancio confermando, in caso di acquisizione di nuove commesse, l'impegno a mantenere l'attuale assetto produttivo e la volontà di ripartire i carichi di lavoro equamente su tutti i cantieri;
nonostante le rassicurazioni fornite dal Governo sulle commesse per la Fincantieri non sembra ancora che sia stata ancora garantita l'immediata cantierabilità delle stesse,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di adottare le opportune iniziative per garantire l'immediata cantierabilità delle commesse pubbliche solo recentemente messe a bando, nonché l'immediata cantierabilità delle altre commesse acquisite sul mercato internazionale indicate dal Governo nell'ambito dello svolgimento della citata interpellanza urgente n. 2-00759.
9/3638/29. Favia, Di Pietro, Donadi, Palagiano, Scilipoti, Borghesi, Cambursano.
La Camera,
premesso che:
il Governo ha introdotto nella manovra finanziaria, di cui al decreto-legge in esame, la disposizione che eleva l'età pensionale per le lavoratrici del pubblico impegno a 65 anni a decorrere dal 1o gennaio 2012;
questa previsione modifica quella precedentemente contenuta nel decreto-legge n. 78 del 2009, che invece prevedeva un innalzamento più graduale, fino ad arrivare a 65 anni a decorrere dal 2018;
l'innalzamento è stato imputato ad un obbligo di derivazione comunitaria, sancito dalla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 13 novembre 2008 nella causa C-46/07;
la previsione dell'innalzamento dell'età pensionabile attua la predetta sentenza in maniera formale, parziale ed incompleta, dato che in essa è detto esplicitamente che la condanna dell'Italia non è dovuta alla sola differenza del requisito anagrafico per il riconoscimento della pensione di vecchiaia tra uomini e donne, ma al fatto che l'Italia ha sostenuto che tale differenziazione avrebbe una funzione compensativa, legata alla difficoltà delle dipendenti pubbliche, in Italia, di conciliare vita lavorativa e vita familiare (punto 33);
la sentenza ha affermato che la funzione compensativa evocata dall'Italia non appare sufficiente a giustificare la disparità di trattamento, poiché punto centrale è la realizzazione effettiva di pari opportunità, destinando adeguate risorse ad un sistema di servizi che aiutino le donne ad avere carriere lavorative regolari, che vadano dagli asili nido all'assistenza familiare, che in Italia sono ancora molto al di sotto della media degli altri Paesi dell'Unione e lontanissimi dai parametri di Lisbona (punti 57 e 58 della sentenza);
l'innalzamento dell'età pensionabile per non risolversi in una misura puramente formale, necessita di essere accompagnata dallo stanziamento di risorse adeguate in favore del lavoro femminile e del riconoscimento del lavoro svolto dalle donne senza alcun corrispettivo economico, ma soprattutto l'investimento di risorse per superare il gap socio culturale esistente in Italia, che fa ancora ricadere sulle donne molti di questi lavori non retribuiti - dalla crescita dei figli, ai lavori domestici, alla cura delle persone anziane - rafforzando così uno stereotipo maschilista legato al genere;
le economie derivanti dall'innalzamento dell'età pensionistica femminile nel pubblico impiego vengono fatte confluire dal Governo nel Fondo strategico per il Paese a sostegno dell'economia reale, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, per interventi dedicati a politiche sociali e familiari con particolare attenzione alla non autosufficienza e all'esigenza di conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare delle lavoratrici;
la relazione tecnica del Governo quantifica in circa 20/25 mila il numero delle lavoratrici del pubblico impiego interessate dall'accelerazione nell'aumento dell'età anagrafica per accedere al trattamento pensionistico di vecchiaia;
la stessa relazione quantifica gli effetti di risparmio connessi a quest'accelerazione in 10 milioni di euro per il 2012; 150 per il 2013; 250 per il 2014; 350 per il 2015; 300 per il 2016; 200 per il 2017; 100 per il 2018; 50 per il 2019; per un totale di l miliardo e 310 milioni di euro;
maggiore è invece la crescita della dotazione del Fondo strategico per il Paese a sostegno dell'economia reale, prevista dall'articolo 12, comma 12-sexies. Infatti nello stesso periodo considerato, 2012-2019, il Governo lo rimpingua di 3 miliardi 346 milioni di euro e di 242 milioni di euro a decorrere dall'anno 2020,
impegna il Governo
a utilizzare tutte le risorse aggiuntive destinate dall'articolo 12, comma 12-sexies, al Fondo strategico per il Paese a sostegno dell'economia reale per l'aumento della presenza femminile nel mondo del lavoro, per l'eliminazione delle differenze salariali e contributive tra lavoro maschile e femminile, per favorire la continuità lavorativa femminile, per politiche di sostegno alla maternità e interventi dedicati al riconoscimento del valore economico delle attività di cura e familiari, al superamento degli stereotipi socio culturali legati al genere; nonché a valutare il trasferimento delle predette somme in un fondo dedicato costituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
9/3638/30. Mura, Di Giuseppe, Paladini, Porcino, Borghesi, Cambursano.
La Camera,
premesso che:
il pesante aumento dei costi di produzione e degli oneri previdenziali ha creato effetti drammatici per l'intero settore agricolo;
in particolare sugli oneri previdenziali è necessario intervenire tempestivamente per evitare un ulteriore aggravamento della crisi vissuta dalle imprese agricole e in particolare delle imprese agricole del Sud, che si riverserebbe anche in un aggravamento dei livelli occupazionali ed un decremento delle produzioni tipiche;
l'intero comparto agricolo, non solo è stato escluso sino ad oggi dalle misure straordinarie anticrisi adottate per altri settori, ma rischia di vedersi sottrarre anche risorse di cui disponeva, come quelle per le assicurazioni e per le agevolazioni contributive nel Mezzogiorno e nell'aree svantaggiate;
il decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 2, all'articolo 01, comma 2, ha disposto che, dal 1o gennaio 2006 e per il triennio 2006-2008, le agevolazioni contributive per i datori di lavoro agricoli in zone svantaggiate o particolarmente svantaggiate fossero più vantaggiose rispetto a quanto stabilito dall'articolo 9, commi 5, 5-bis e 5-ter, della legge n. 67 del 1988;
l'articolo 1-ter del decreto-legge n. 171 del 2008 ha disposto l'applicazione, fino al 31 dicembre 2009, delle agevolazioni contributive previste dall'articolo 9, commi da 5 a 5-ter, della legge n. 67 del 1988, nei territori montani particolarmente svantaggiati e nelle zone agricole svantaggiate, nelle misure - più favorevoli - stabilite dall'articolo 01, comma 2, del decreto-legge n. 2 del 2006;
l'articolo 2, comma 49, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (legge finanziaria 2010) ha, da ultimo, prorogato per il periodo 1o gennaio -31 luglio 2010 la rideterminazione delle agevolazioni contributive di cui all'articolo 9, commi 5, 5-bis e 5-ter della legge n. 67 del 1988, nelle misure più favorevoli;
dal prossimo 31 luglio viene a cessare la proroga della fiscalizzazione degli oneri sociali prevista dalla legge finanziaria del 2010, in questo modo, le aziende agricole situate in zone di montagna o svantaggiate si troveranno ad affrontare un insostenibile aumento del costo del lavoro, che le porrà fuori dal mercato;
gli opprimenti oneri contributivi mettono in pericolo l'agricoltura italiana. A forte rischio sono soprattutto le imprese agricole che operano in montagna e nelle zone svantaggiate e che utilizzano manodopera. Su di esse, infatti, si abbatteranno, dal prossimo primo agosto, costi pesantissimi;
con la fine della fiscalizzazione, diventerà insostenibile la situazione per migliaia di imprenditori agricoli che danno occupazione. Le agevolazioni contributive (meno 75 per cento per la montagna e meno 68 per cento per le aree svantaggiate) finiscono e da agosto gli aumenti saranno considerevoli e per le aziende che già operano in condizioni di difficoltà le prospettive appaiono drammatiche;
il danno è rilevante perché proprio 1'80 per cento delle giornate denunciate all'Inps sono svolte in territori agevolati. E proprio le aziende delle aree svantaggiate rappresentano il 55 per cento del totale;
ogni manovra varata da parte del Governo non ha fatto altro che tagliare risorse vive all'agricoltura, anche il decreto-legge in esame, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica, si caratterizza per la totale assenza di misure importanti e necessarie, tra queste sarà penalizzata una categoria tra le più deboli, che dovrà a breve affrontare il costo della mancata proroga degli sgravi sui contributi previdenziali che finora sono stati garantiti alle imprese agricole di vaste aree montane e svantaggiate,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di un intervento che preveda un'ulteriore proroga delle agevolazioni contributive per le zone svantaggiate e di montagna almeno fino al 31 dicembre 2010.
9/3638/31. Di Giuseppe, Rota, Borghesi, Cambursano.
La Camera,
premesso che:
nel solco degli sforzi per realizzare un risanamento economico complessivo della spesa pubblica finalizzato al rispetto dei parametri di Maastricht, sono stati decisi tagli lineari del 10 per cento delle risorse finanziarie con consistenti ripercussioni per la stessa funzionalità delle amministrazioni, in particolar modo in un settore strategico e fondamentale quale è quello della politica estera;
la decurtazione a carico del Ministero degli affari esteri ammonta a circa 44 milioni di euro nel 2011, di cui 21 milioni di risorse destinate alla cooperazione allo sviluppo;
ciò significa inevitabilmente una ricaduta negativa sia sulla promozione delle priorità di politica estera italiana (e la cooperazione ne è parte integrante) sia sulla tutela degli interessi nazionali all'estero;
anche nel decreto-legge sul rifinanziamento delle missioni internazionali, recentemente approvato alla Camera, sono stati confermati tagli inaccettabili alla cooperazione allo sviluppo, riduzioni di risorse generalizzate a tutti i teatri operativi in cui è presente un nostro contingente, nonostante le affermazioni di principio più volte riaffermate dal Governo, anche in sede di importanti consessi internazionali, che vanno in direzione contraria agli intenti dichiarati;
questi tagli precedono la già prevista e ulteriore decurtazione degli stanziamenti per la cooperazione a dono per gli anni 2011 e 2012,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di recuperare risorse almeno pari alla decurtazione di 21 milioni di euro prevista nell'ambito dell'applicazione dei tagli lineari del 10 per cento di cui al comma 1 dell'articolo 2 del decreto-legge in esame, con riferimento alle risorse destinate alla cooperazione allo sviluppo.
9/3638/32. Evangelisti, Borghesi, Cambursano, Bossa.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 45 del decreto-legge in esame prevede, al comma 1, che le risorse liberatesi da eventuali risoluzioni anticipate delle convenzioni CIP6/92 per le fonti assimilate - risorse costituite dalla differenza tra gli oneri che si realizzerebbero in caso di mancata risoluzione anticipata delle convenzioni e quelli da liquidare ai produttori aderenti alla risoluzione - saranno riassegnate ad un apposito Fondo destinato ad interventi nel settore della ricerca e dell'università;
la risoluzione anticipata su base volontaria delle convenzioni CIP6 (altrimenti in scadenza negli anni successivi fino al 2020), era stata stabilita dall'articolo 30, comma 20, della legge 23 luglio 2009, n. 99;
la possibilità di risolvere anticipatamente le convenzioni CIP6 da parte dei produttori di fonti energetiche assimilate (impianti che utilizzano calore di risulta o fumi di scarico; impianti che utilizzano forme di energia recuperabile in processi e in impianti, impianti che usano gli scarti di lavorazione o di processi, termovalorizzatori, impianti di cogenerazione), è certamente un primo positivo passo verso l'uscita definitiva dal finanziamento dello Stato - con oneri a carico delle bollette elettriche - alla produzione di energia assimilata che in tutti questi anni ha finito per distogliere risorse che sarebbero dovute andare unicamente a incentivare le vere fonti rinnovabili;
l'impatto complessivo degli incentivi CIP6, sulla cosiddetta «componente tariffaria A3», e quindi sulla nostra bolletta elettrica, è di circa 2,4 miliardi di euro, di cui poco meno di 1 miliardo riguarda le fonti rinnovabili, e poco più di 1,4 miliardi di euro riguarda invece le fonti assimilate;
attualmente circa il 18 per cento dell'energia ritirata dal Gestore dei servizi elettrici (GSE) è prodotta da fonti rinnovabili, e ben l'82 per cento da fonti assimilate. In termini di incentivi riconosciuti, tuttavia, poiché alle fonti rinnovabili è riconosciuta una remunerazione maggiore, queste ultime incidono per il 41 per cento contro il 59 per cento delle fonti assimilate;
in tal senso vanno individuati ulteriori e più incisivi interventi volti ad accelerare l'uscita dagli incentivi previsti per le suddette fonti assimilate,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di accelerare la risoluzione anticipata delle suddette convenzioni e quindi l'uscita definitiva dai meccanismi di incentivazione CIP6, prevedendo una loro graduale riduzione annuale per quei produttori di fonti energetiche assimilate che scelgono di non risolvere anticipatamente la relativa convenzione, con contestuale riduzione del prezzo dell'energia elettrica per i consumatori finali mediante riduzione della componente tariffaria A3.
9/3638/33. Piffari, Borghesi, Cambursano.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 45, comma 3, del decreto-legge in esame, conferma l'obbligo di acquisto da parte del GSE dei certificati verdi invenduti - che era stato soppresso nella versione iniziale dell'articolo 45 - stabilendo inoltre che dal 2011 deve essere assicurata la riduzione del 30 per cento dell'importo complessivo derivante dal ritiro dei certificati verdi rispetto al 2010, e che almeno l'80 per cento della riduzione derivi dal contenimento della quantità di certificati verdi in eccesso. Non sono peraltro chiare le modalità con le quali il Governo provveda a dette riduzioni;
la normativa sui certificati verdi, principale meccanismo di garanzia del sistema di sostegno alla crescita delle fonti rinnovabili, prevede che tutte le imprese produttrici di elettricità abbiano una quota obbligatoria di produzione di energia da fonti rinnovabili. Quota che si può raggiungere sia con produzione propria, sia acquistando i certificati verdi dai produttori terzi;
la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili viene così incentivata e finanziata garantendo, comunque, un margine di redditività alle aziende «verdi» in modo che, se anche non riescono a collocare sul mercato tutti i certificati, possono contare sul riacquisto dei certificati in eccesso da parte del GSE nazionale, anche al fine di sostenere il prezzo dei certificati medesimi;
si sottolinea al proposito che l'impegno preso in sede UE prevede il raggiungimento da parte dell'Italia degli obiettivi collegati al cosiddetto «pacchetto clima» in base ai quali il contributo delle fonti rinnovabili al fabbisogno energetico nazionale deve raggiungere il 17 per cento entro il 2020;
da una simulazione matematica svolta da Anev (Associazione produttori di energia da fonti rinnovabili), è risultato che per riportare l'equilibrio tra domanda e offerta servirebbe fino al 2011 un incremento della quota d'obbligo pari a 2,75 per cento per gli anni 2011, 2012 e 2013 e poi di almeno dell'1,5 per cento fino al 2020 (con una media per il periodo dell'1,88 per cento annuo), rimanendo comunque l'obbligo del ritiro dell'eccesso di offerta da parte del GSE;
innalzare l'obbligo di immissione di energia verde nel mix elettrico, favorendo in tal modo una spinta alla domanda di certificati verdi, si può rivelare, in questa fase, uno strumento necessario sia per il raggiungimento degli obiettivi UE in questo ambito, sia per il contenimento della quantità di certificati verdi in eccesso come richiede proprio l'articolo 45, comma 3, del decreto-legge in esame,
impegna il Governo
ad adottare ulteriori iniziative volte a prevedere che la riduzione dell'importo complessivo derivante dal ritiro dei certificati verdi in eccesso da parte del GSE avvenga anche attraverso un contestuale aumento delle quote obbligatorie minime di elettricità prodotta da impianti alimentati da fonti rinnovabili.
9/3638/34. Leoluca Orlando, Borghesi, Cambursano.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 45, comma 3, del decreto-legge in esame, conferma l'obbligo di acquisto da parte del GSE dei certificati verdi invenduti - che era stato soppresso nella versione iniziale dell'articolo 45 - stabilendo inoltre che dal 2011 deve essere assicurata la riduzione del 30 per cento dell'importo complessivo derivante dal ritiro dei certificati verdi rispetto al 2010, e che almeno l'80 per cento della riduzione derivi dal contenimento della quantità di certificati verdi in eccesso. Non sono peraltro chiare le modalità con le quali il Governo provveda a dette riduzioni;
la normativa sui certificati verdi, principale meccanismo di garanzia del sistema di sostegno alla crescita delle fonti rinnovabili, prevede che tutte le imprese produttrici di elettricità abbiano una quota obbligatoria di produzione di energia da fonti rinnovabili. Quota che si può raggiungere sia con produzione propria, sia acquistando i certificati verdi dai produttori terzi;
la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili viene così incentivata e finanziata garantendo, comunque, un margine di redditività alle aziende «verdi» in modo che, se anche non riescono a collocare sul mercato tutti i certificati, possono contare sul riacquisto dei certificati in eccesso da parte del GSE nazionale, anche al fine di sostenere il prezzo dei certificati medesimi;
si sottolinea al proposito che l'impegno preso in sede UE prevede il raggiungimento da parte dell'Italia degli obiettivi collegati al cosiddetto «pacchetto clima» in base ai quali il contributo delle fonti rinnovabili al fabbisogno energetico nazionale deve raggiungere il 17 per cento entro il 2020;
da una simulazione matematica svolta da Anev (Associazione produttori di energia da fonti rinnovabili), è risultato che per riportare l'equilibrio tra domanda e offerta servirebbe fino al 2011 un incremento della quota d'obbligo pari a 2,75 per cento per gli anni 2011, 2012 e 2013 e poi di almeno dell'1,5 per cento fino al 2020 (con una media per il periodo dell'1,88 per cento annuo), rimanendo comunque l'obbligo del ritiro dell'eccesso di offerta da parte del GSE;
innalzare l'obbligo di immissione di energia verde nel mix elettrico, favorendo in tal modo una spinta alla domanda di certificati verdi, si può rivelare, in questa fase, uno strumento necessario sia per il raggiungimento degli obiettivi UE in questo ambito, sia per il contenimento della quantità di certificati verdi in eccesso come richiede proprio l'articolo 45, comma 3, del decreto-legge in esame,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di adottare ulteriori iniziative volte a prevedere che la riduzione dell'importo complessivo derivante dal ritiro dei certificati verdi in eccesso da parte del GSE avvenga anche attraverso un contestuale aumento delle quote obbligatorie minime di elettricità prodotta da impianti alimentati da fonti rinnovabili.
9/3638/34. (Testo modificato nel corso della seduta) Leoluca Orlando, Borghesi, Cambursano.
La Camera,
premesso che:
la recente sentenza della Corte Costituzionale del marzo 2010, n. 121, è intervenuta relativamente al Piano casa previsto dall'articolo 11 e dall'articolo 13 del decreto 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, dichiarando incostituzionali alcune parti dei suddetti articoli;
in particolare la Corte ha ritenuto che «la possibilità che, nel piano nazionale di edilizia abitativa, trovino posto programmi integrati per promuovere interventi di edilizia residenziale non aventi carattere sociale entra in contraddizione con le premesse che legittimano l'intera costruzione»;
la Corte ha infatti - tra l'altro - dichiarato incostituzionale la norma di cui alla lettera e) del comma 3 del suddetto articolo 11, che prevede espressamente «la realizzazione di programmi integrati di promozione di edilizia residenziale anche sociale» limitatamente alla parola «anche» premessa a «sociale» in quanto - secondo la Consulta - il termine «anche» consente l'introduzione di finalità diverse da quelle che presiedono all'intera normativa avente ad oggetto il piano nazionale di edilizia residenziale pubblica;
in sostanza la Corte afferma che non è possibile che lo Stato finanzi interventi che non abbiano esclusivamente la finalità sociale e, il termine edilizia residenziale inserito nella norma più volte, va inteso esclusivamente come edilizia residenziale pubblica e, quindi, «sociale»;
poiché la medesima dizione - oggetto della sentenza - è riportata nell'articolo 1 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 16 luglio 2009 recante il «Piano nazionale di edilizia abitativa», ne deriva che la Corte Costituzionale valuta tale inciso da eliminare anche dal medesimo DPCM attuativo del Piano casa;
l'intero assetto del suddetto DPCM, così come di ogni altro provvedimento attuativo, va quindi rivisto alla luce e in piena coerenza con i dettami della Corte Costituzionale,
impegna il Governo
a modificare il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 16 luglio 2009, recante il «Piano nazionale di edilizia abitativa», rendendolo coerente con la sentenza della Corte Costituzionale n. 121 del 2010, e a ritirare il bando di gara per l'individuazione della società di gestione del risparmio (Sgr) che dovrà gestire i fondi immobiliari, al fine di escludere che, nel previsto piano nazionale di edilizia abitativa, trovino posto programmi integrati per promuovere interventi di edilizia residenziale non aventi carattere sociale, nonché finanziamenti di programmi integrati nei quali siano presenti anche alloggi di edilizia residenziale non pubblica.
9/3638/35. Cimadoro, Borghesi, Cambursano.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 39 del decreto-legge in esame prevede una serie di disposizioni in favore dei territori colpiti dagli eventi sismici del 6 aprile 2009 verificatisi in Abruzzo;
tra le altre, sono disposte la proroga delle disposizioni in tema di sospensione dei versamenti e degli adempimenti tributari e le modalità di riscossione dei tributi e contributi sospesi, nonché di effettuazione degli adempimenti tributari oggetto di sospensione;
il decreto-legge n. 78 del 2009 aveva prorogato a gennaio 2010 la sospensione dei versamenti tributari e contributivi, disponendo la facoltà di rateizzare, fino a 24 rate mensili, le somme complessivamente dovute a seguito della sospensione. Successivamente l'articolo 2, comma 198, della legge finanziaria 2010, ha fissato al mese di giugno 2010 la scadenza della prima delle 60 rate dovute per il versamento dei pagamenti sospesi;
il suddetto articolo 39 del decreto-legge in esame ha quindi previsto la ripresa della riscossione dei tributi, dei contributi e dei premi INAIL non versati dai contribuenti, nonché le modalità per l'effettuazione degli adempimenti tributari sospesi, disponendo che la riscossione dei tributi, dei contributi e dei premi oggetto di sospensione dovrà avvenire mediante il pagamento di 120 rate mensili di pari importo a decorrere da gennaio 2011;
la proroga a gennaio 2011, nonché «l'allungamento» della restituzione in 120 rate mensili, vanno certamente nella giusta direzione, ma va ricordato che dette modalità non equiparano il sisma in Abruzzo agli eventi sismici avvenuti nelle regioni Marche ed Umbria del 1997 e a quelli avvenuti nelle province di Campobasso e Foggia del 2002, laddove si è invece prevista la restituzione in 120 rate del solo 40 per cento dei tributi e contributi dovuti;
a oltre 15 mesi dal sisma, la situazione nella quale si trovano gli enti e le istituzioni locali abruzzesi impegnati nella gestione del post-terremoto rimane comunque ancora drammatica, con una ricostruzione praticamente ferma a causa della mancanza dei fondi necessari;
come denunciato anche dallo stesso sindaco dell'Aquila, la «situazione è drammatica perché l'economia è allo stremo e non riesce a partire la vera ricostruzione, e la ricostruzione è ferma perché non abbiamo risorse». Il comune ha inoltre un debito di 70 milioni di euro con tutti gli albergatori, per mancanza di soldi per coprire le spese dell'emergenza e garantire l'assistenza agli sfollati ospitati presso le strutture provvisorie e gli alberghi della costa adriatica;
l'impegno e la promessa del Governo a garantire un miliardo di euro l'anno per la durata della ricostruzione è rimasto di fatto ancora lettera morta,
impegna il Governo:
a prevedere, anche con provvedimenti di urgenza, ulteriori risorse economiche indispensabili per avviare la vera ricostruzione e consentire alle amministrazioni locali di far fronte ai debiti nel frattempo accumulati, accompagnandole con interventi finalizzati a snellire le procedure burocratiche al fine di aumentare le capacità di spesa dei fondi disponibili;
a valutare l'opportunità di una completa equiparazione delle disposizioni per gli adempimenti tributari e contributivi relativi al terremoto che ha colpito la provincia dell'Aquila alle disposizioni relative agli eventi sismici avvenuti nelle regioni Marche ed Umbria del 1997 e a quelli avvenuti nelle province di Campobasso e Foggia del 2002, laddove si è disposta la restituzione del solo 40 per cento dei tributi e contributi sospesi.
9/3638/36. Di Stanislao, Borghesi, Cambursano.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 39 del decreto-legge in esame prevede una serie di disposizioni in favore dei territori colpiti dagli eventi sismici del 6 aprile 2009 verificatisi in Abruzzo;
tra le altre, sono disposte la proroga delle disposizioni in tema di sospensione dei versamenti e degli adempimenti tributari e le modalità di riscossione dei tributi e contributi sospesi, nonché di effettuazione degli adempimenti tributari oggetto di sospensione;
il decreto-legge n. 78 del 2009 aveva prorogato a gennaio 2010 la sospensione dei versamenti tributari e contributivi, disponendo la facoltà di rateizzare, fino a 24 rate mensili, le somme complessivamente dovute a seguito della sospensione. Successivamente l'articolo 2, comma 198, della legge finanziaria 2010, ha fissato al mese di giugno 2010 la scadenza della prima delle 60 rate dovute per il versamento dei pagamenti sospesi;
il suddetto articolo 39 del decreto-legge in esame ha quindi previsto la ripresa della riscossione dei tributi, dei contributi e dei premi INAIL non versati dai contribuenti, nonché le modalità per l'effettuazione degli adempimenti tributari sospesi, disponendo che la riscossione dei tributi, dei contributi e dei premi oggetto di sospensione dovrà avvenire mediante il pagamento di 120 rate mensili di pari importo a decorrere da gennaio 2011;
la proroga a gennaio 2011, nonché «l'allungamento» della restituzione in 120 rate mensili, vanno certamente nella giusta direzione, ma va ricordato che dette modalità non equiparano il sisma in Abruzzo agli eventi sismici avvenuti nelle regioni Marche ed Umbria del 1997 e a quelli avvenuti nelle province di Campobasso e Foggia del 2002, laddove si è invece prevista la restituzione in 120 rate del solo 40 per cento dei tributi e contributi dovuti;
a oltre 15 mesi dal sisma, la situazione nella quale si trovano gli enti e le istituzioni locali abruzzesi impegnati nella gestione del post-terremoto rimane comunque ancora drammatica, con una ricostruzione praticamente ferma a causa della mancanza dei fondi necessari;
come denunciato anche dallo stesso sindaco dell'Aquila, la «situazione è drammatica perché l'economia è allo stremo e non riesce a partire la vera ricostruzione, e la ricostruzione è ferma perché non abbiamo risorse». Il comune ha inoltre un debito di 70 milioni di euro con tutti gli albergatori, per mancanza di soldi per coprire le spese dell'emergenza e garantire l'assistenza agli sfollati ospitati presso le strutture provvisorie e gli alberghi della costa adriatica;
l'impegno e la promessa del Governo a garantire un miliardo di euro l'anno per la durata della ricostruzione è rimasto di fatto ancora lettera morta,
impegna il Governo:
a valutare l'opportunità di prevedere, anche con provvedimenti di urgenza, ulteriori risorse economiche indispensabili per avviare la vera ricostruzione e consentire alle amministrazioni locali di far fronte ai debiti nel frattempo accumulati, accompagnandole con interventi finalizzati a snellire le procedure burocratiche al fine di aumentare le capacità di spesa dei fondi disponibili;
a valutare l'opportunità di una completa equiparazione delle disposizioni per gli adempimenti tributari e contributivi relativi al terremoto che ha colpito la provincia dell'Aquila alle disposizioni relative agli eventi sismici avvenuti nelle regioni Marche ed Umbria del 1997 e a quelli avvenuti nelle province di Campobasso e Foggia del 2002, laddove si è disposta la restituzione del solo 40 per cento dei tributi e contributi sospesi.
9/3638/36. (Testo modificato nel corso della seduta) Di Stanislao, Borghesi, Cambursano.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 19 del decreto-legge in esame riguarda l'aggiornamento del catasto e il recupero di unità immobiliari attualmente non censite. Si prevede che i titolari di diritti reali sugli immobili che abbiano subito variazioni di consistenza o di destinazione, sono obbligati a presentare entro il 31 dicembre 2010, la dichiarazione di aggiornamento catastale a fini fiscali. L'Agenzia del Territorio, successivamente rende disponibili ai Comuni le dichiarazioni di accatastamento per i controlli di conformità urbanistico-edilizia;
l'emersione dell'immobile è prevista solamente ai fini della regolarizzazione catastale e quindi non sana eventuali altri illeciti, come, per esempio, gli abusi edilizi;
secondo le stime contenute nella relazione tecnica, che accompagna il provvedimento in esame, tale recupero dovrebbe riguardare 1,3 milioni di unità, con una corrispondente rendita catastale di circa 627 milioni di euro. Le regolarizzazioni previste potrebbero incidere sull'IRPEF (la relazione tecnica stima un recupero di gettito di 104 milioni di euro annui) e - ma non viene quantificato l'eventuale gettito - sui tributi regionali e locali;
va peraltro sottolineato, con riguardo ai controlli in merito alla conformità urbanistico-edilizia, che il testo del provvedimento non distingue fra le varie tipologie di immobili non dichiarati al catasto: se si tratti di fabbricati costruiti secondo le prescrizioni del piano regolatore generale, di fabbricati che non abbiano più il requisito della ruralità, oppure di immobili edificati in zona incompatibile con la destinazione urbanistica;
la norma quindi non esclude espressamente dalla sanatoria catastale gli edifici non regolarizzabili dal punto di vista urbanistico, perché ad esempio realizzati in aree vincolate, accrescendo le problematiche giuridiche e finanziarie della disposizione;. In pratica senza alcuna chiara norma di esclusione, si rischia di legittimare tutto l'esistente senza alcun tipo di vincolo;
se è evidente che non tutte le «case fantasma» costituiscono un illecito penale, è però certo che un immobile abusivo è necessariamente «fantasma». In quest'ultimo caso è però molto difficile ipotizzare che un proprietario di un immobile abusivo lo denunci al catasto regolarizzandosi conseguentemente dal punto di vista fiscale (ma non da quello urbanistico), sapendo che detto immobile rischia di venire demolito. In caso di abuso, infatti, la regolarizzazione equivale a mettere i propri dati a disposizione del comune, che sarebbe tenuto ad intervenire anche per la eventuale demolizione, ove prevista. Peraltro buona parte delle «case fantasma» sono ubicate in quelle aree - come i centri minori o zone di campagna - in gran parte coperte da vincoli paesaggistici;
quanto suddetto, nonché il rischio che il gettito previsto dalla regolarizzazione catastale risulti sensibilmente inferiore alle stime attese dal Governo, fa temere un condono edilizio come corollario della regolarizzazione catastale, in mancanza della quale è infatti incerto che lo Stato incassi il maggior gettito atteso entro fine anno;
nel giugno scorso il Governo ha comunque più volte escluso ogni possibilità di un nuovo condono edilizio,
impegna il Governo:
a prevedere che la regolarizzazione catastale prevista dal decreto-legge in esame sia applicabile ai soli immobili realizzati in conformità con la normativa urbanistica ed edilizia vigente, secondo le prescrizioni del piano regolatore generale ed in zona compatibile con la destinazione urbanistica, escludendo comunque gli immobili abusivi non regolarizzabili dal punto di vista urbanistico, e quelli realizzati in aree a rischio sismico o idrogeologico;
a non adottare alcuna iniziativa finalizzata alla riproposizione del condono edilizio.
9/3638/37. Aniello Formisano, Borghesi, Cambursano.
La Camera,
premesso che:
la filiera bieticolo-saccarifera in Italia è interessata da una gravissima crisi, che rischia di compromettere definitivamente il futuro del settore e di provocare l'abbandono di una consistente superficie di terreno coltivato e la perdita di numerosi posti di lavoro;
le difficoltà del settore bieticolo-saccarifero sono sorte a seguito dell'approvazione della riforma dell'organizzazione comune di mercato dello zucchero, adottata dalla Commissione europea nel 2006, in conseguenza della quale l'Italia è stata costretta a rinunciare al 67 per cento della quota nazionale della produzione di zucchero;
tale riduzione ha provocato la chiusura di quindici stabilimenti saccariferi su un totale di diciannove presenti sul territorio nazionale; l'Italia si trova ora con sole quattro strutture di produzione;
la riforma dell'organizzazione comune di mercato, decisa dall'Unione europea nel 2006, aveva previsto un investimento pari a centotrenta milioni di euro per i quattro stabilimenti rimasti, affinché fossero adeguati ai nuovi parametri europei: tale riforma prevedeva aiuti nazionali e comunitari, autorizzati fino al 2010, per consentire l'adattamento del settore alle nuove condizioni;
questi aiuti sono stati erogati per il triennio dal 2006 al 2008, ma non sono ancora state stanziate le risorse nazionali relative agli anni 2009 e 2010, pari a 43 milioni di euro ciascuno, e nella legge finanziaria per il 2010 non vi è traccia di queste risorse;
l'aspettativa degli impegni assunti dallo Stato in sede comunitaria ha portato le imprese agricole ed industriali ad elaborare propri programmi e ad effettuare investimenti che sono stati poi puntualmente disattesi, con conseguenze disastrose in termini di occupazione e di difficoltà da parte delle aziende del settore;
il gruppo dell'Italia dei Valori ha presentato nella XVI legislatura diversi emendamenti e ordini del giorno per impegnare il Governo a ristabilire detti aiuti nazionali, proprio per non dismettere un intero comparto di produzione assolutamente italiano, composto da aziende italiane e, soprattutto, destinato a divenire un settore fiorente dell'economia europea;
con un precedente atto di indirizzo, il Governo si era impegnato a prestare maggiore attenzione a questo settore, ma nulla è stato fatto in tal senso,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità, anche con provvedimento di urgenza, di un intervento volto al reperimento delle risorse necessarie alla sopravvivenza del settore bieticolo-saccarifero.
9/3638/38. Razzi, Di Giuseppe, Di Pietro, Rota, Borghesi, Cambursano.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 40-bis proroga al 31 dicembre del 2010 il pagamento delle rate, dovute dai produttori di latte a titolo di multa per il latte da essi prodotto in eccesso, che vengono a scadere il 30 giugno 2010;
in materia di quote latte, l'articolo 8-quater del decreto-legge n. 5 del 2009, ha definito un nuovo piano di rateizzazione, per somme non inferiori a 25.000 euro, delle multe relative a qualunque campagna lattiera precedente a quella allora in corso del 2008-2009;
le modalità di rateizzazione dei debiti sono state definite con il decreto 10 marzo 2010 del Commissario straordinario per le quote latte;
il piano di rientro previsto dal decreto-legge n. 5 è stato oggetto esclusivamente di negoziati verbali con la Commissione europea, concludendosi con un gentlemen's agreement;
in merito peraltro, il Commissario europeo Ciolos ha sottolineato che il piano del 2009 «non si fonda direttamente sul diritto UE [ma] mira ad agevolare la gestione finanziaria dell'onere, per i produttori, di pagare tutte le somme dovute a titolo del prelievo suddetto. Perciò, se sospendesse l'applicazione di tale piano l'Italia sarebbe ancora più distante dall'adempimento dei suoi obblighi di riscossione ai sensi del diritto UE»;
inoltre per il periodo che va dal 2002/2003 al 2008/2009, a causa delle multe dovute dai produttori di latte, la Comunità ha ridotto annualmente i trasferimenti all'Italia a titolo di aiuti all'agricoltura: per l'intero periodo il prelievo nazionale dovuto, e trattenuto, è stato pari a 1.151 milioni di euro; di questi restano da riscuotere 1.030 milioni di euro. Come dichiarato dal Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, le risorse ad oggi sottratte all'Italia, nel caso delle quote latte, sono state pari a 1,708 miliardi di euro;
la formulazione dell'articolo 40-bis, peraltro, non produce effetti nei confronti dei soggetti che hanno aderito al piano di rateizzazione previsto dal decreto-legge n. 49 del 2003, che non prevede scadenze al 30 giugno 2010. Limitata è inoltre anche la sua applicazione nei confronti dei produttori aderenti al rateizzo di cui al decreto-legge n. 5, poiché sarebbero esclusi quelli con rate scadenti il 31 dicembre;
come dichiarato alle Commissioni parlamentari competenti dal Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, il provvedimento in esame non ha nulla a che vedere con la crisi del settore lattiero-caseario;
il Ministro ha affermato che si tratta di una disposizione che si pone in chiaro contrasto con l'ordinamento dell'Unione europea e che determinerà senza dubbio una sanzione per l'Italia; per tale motivo l'8 luglio 2010 il Ministro ha scritto al Commissario Ciolos ritenendo necessario fare tutto il possibile per evitare una condanna del Paese. Il giorno dopo il Commissario europeo ha confermato per lettera che la norma di proroga si pone in contrasto con la normativa europea ed anche con gli impegni assunti dall'Italia in materia;
il Ministro ha sottolineato che una richiesta di dilazione del pagamento delle multe era già stata respinta dalla Commissione europea nel dicembre 2009. Nel Consiglio dei ministri svoltosi il 9 luglio 2010 si era stabilito di modificare l'articolo 40-bis prevedendo la subordinazione dell'effettiva attuazione della disposizione alla verifica positiva da parte dei competenti organi dell'Unione europea, ma tale modifica non è stata poi introdotta nel corso dell'esame da parte del Senato;
il Ministro ha anche evidenziato che la norma recata dall'articolo 40-bis si applica ad un'esigua minoranza di produttori di latte. Dei 1.008 produttori che hanno richiesto entro il mese di febbraio 2010 la rateizzazione per un importo pari a 418 milioni di euro, per i quali la scadenza della prima rata era fissata al 30 giugno 2010, ad oggi soltanto 109 hanno accettato la proposta di rateizzazione, per un debito pari a 20,2 milioni di euro, ed è su questi ultimi che ha effetto l'articolo 40-bis. Ovvero si tratta di un numero irrisorio;
l'articolo 40-bis determina peraltro un sensibile danno a tutti quei produttori che sinora hanno pagato le multe loro comminate;
ciò espone l'Italia ad ulteriori gravi sanzioni da parte dell'Unione europea e danni alla sua immagine internazionale, in un momento nel quale si avvia un negoziato di revisione della politica agricola comune a livello europeo;
secondo costante giurisprudenza la normativa nazionale in contrasto con quella prevalente di fonte comunitaria deve essere disapplicata,
impegna il Governo
a valutare attentamente il disposto di cui all'articolo 40-bis del decreto-legge in esame verificando gli effetti derivanti anche sotto il profilo comunitario, che si pone in aperto contrasto con il diritto comunitario, al fine di adottare ulteriori iniziative volte a scongiurare possibili future sanzioni comunitarie.
9/3638/39. Rota, Di Giuseppe, Razzi, Aniello Formisano, Borghesi, Cambursano.
La Camera,
premesso che:
la manovra economica non contiene nessuna misura che riguardi la crescita del nostro Paese o che riguardi le misure di sostegno al reddito di chi è rimasto senza lavoro, soprattutto in questo momento di gravissima crisi;
la legge n. 247 del 2007, legge di attuazione del protocollo del welfare, siglato nel 2007, aveva delegato il Governo ad adottare, entro il termine di dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi finalizzati a riformare la materia degli ammortizzatori sociali per il riordino degli istituti a sostegno del reddito;
tale delega è scaduta il 1o gennaio 2009, senza che il Governo vi abbia dato seguito;
all'articolo 46 del «collegato lavoro» la delega è stata procrastinata per altri ventiquattro mesi a decorrere dall'entrata in vigore del suddetto collegato, rinviato dal Presidente della Repubblica alle Camere ed ora all'esame del Senato;
i tempi sembrano essere destinati a dilatarsi, senza speranza che il Governo intenda seriamente mettere mano ad una seria e organica riforma tra le più essenziali tra quelle che riguardano il mondo del lavoro;
gli interventi compiuti in materia, che riguardano microsettori del mondo del lavoro o alcune categorie di lavoratori, come i collaboratori a progetto, non sono sufficienti a far aumentare seriamente le garanzie dei lavoratori contro la perdita del lavoro e nelle situazioni di crisi,
impegna il Governo
a dare esecuzione a quanto previsto dalla legge di attuazione del protocollo welfare del 2007 in materia di ammortizzatori sociali per il riordino degli istituti a sostegno del reddito, nel rispetto delle procedure ivi previste, anche valutando la possibilità di fare ricorso alla decretazione di urgenza.
9/3638/40. Porcino, Paladini, Borghesi, Cambursano.
La Camera,
impegna il Governo
a dare esecuzione a quanto previsto dalla legge di attuazione del protocollo welfare del 2007 in materia di ammortizzatori sociali per il riordino degli istituti a sostegno del reddito, nel rispetto delle procedure ivi previste, anche valutando la possibilità di fare ricorso alla decretazione di urgenza.
9/3638/40. (Testo modificato nel corso della seduta) Porcino, Paladini, Borghesi, Cambursano.
La Camera,
premesso che:
il decreto-legge in esame, all'articolo 12, commi da 12-bis a 12-quinquies, dispone l'innalzamento dei requisiti per l'accesso ai trattamenti pensionistici;
tali commi esplicitamente affermano di dare attuazione alla disciplina sull'adeguamento dei requisiti per l'accesso al pensionamento agli incrementi della speranza di vita, di cui all'articolo 22-ter, comma 2, del decreto-legge n. 78 del 2009;
tuttavia, nonostante tale affermazione, la procedura di aggiornamento dei requisiti prevista dai commi da 12-bis a 12-quinquies, sostanzialmente sostituisce l'articolo 22-ter, comma 2, del decreto-legge n. 78 del 2009, senza, peraltro, disporne l'abrogazione;
in particolare, si prevede, che l'aggiornamento dei requisiti anagrafici per l'accesso ai trattamenti pensionistici avvenga con cadenza triennale, mentre l'articolo 22-ter lo dispone con riferimento ai 5 anni precedenti;
si prevede inoltre che l'intero incremento della speranza di vita rilevato si trasformi in un aumento della vita lavorativa;
la scelta di un aggiornamento quinquennale, anziché triennale, e la trasformazione in anni di lavoro in più di solo una parte dell'incremento della speranza di vita, da un lato darebbero alle lavoratrici e ai lavoratori la possibilità di progettare la propria vita in maniera più stabile e su un orizzonte di medio-lungo periodo; dall'altro consentirebbero di non ritardare eccessivamente l'immissione nel mondo del lavoro dei giovani, con il rischio di creare squilibri;
al contempo, pur introducendo un innalzamento dell'età minima per il pensionamento, andrebbe prevista una flessibilità in uscita dal mondo del lavoro per consentire ai lavoratori di scegliere in base alle proprie esigenze, nel rispetto della sostenibilità della spesa pensionistica,
impegna il Governo
a valutare ogni strumento utile per valorizzare la possibilità per il lavoratore di scegliere, in maniera flessibile ed in un arco di tempo pluriennale, il momento opportuno per uscire dal mercato del lavoro, e ad adottare ulteriori iniziative volte a stabilire criteri di innalzamento dell'età pensionabile rispettosi dei progetti, delle aspettative di vita dei lavoratori nonché della crescita del prodotto interno lordo, pur nel rispetto della sostenibilità complessiva della spesa pensionistica.
9/3638/41. Barbato, Borghesi, Cambursano.
La Camera,
premesso che:
la riduzione delle risorse ha coinvolto anche il settore della ricerca;
alla riduzione delle risorse finanziarie si aggiunge la crescita della precarietà e la conferma del blocco del turn over; in particolare, il blocco del turn over rende impossibile la stabilizzazione dei precari e la crescita dimensionale del sistema ricerca;
all'articolo 7 del provvedimento in esame è stato inserito il comma 31-octies che riguarda le amministrazioni subentranti alle funzioni degli enti soppressi, per le quali il limite del contingente di personale di supporto previsto dall'articolo 74 del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008 non è superabile neanche nella fase di rideterminazione della dotazione organica, effettuata a seguito dell'assorbimento di personale proveniente dagli enti;
sono previste procedure di mobilità volontaria (comma 8 dell'articolo 50) per i ricercatori e tecnologi e per una parte dei tecnici degli enti soppressi verso l'ISTAT. Per non disperdere competenze professionali specifiche del settore e salvaguardare gli inquadramenti contrattuali si sarebbe potuto prevedere più in generale la possibilità di mobilità verso gli altri enti di ricerca, senza limitarla solo ad una specifica attività;
inoltre, questa possibile norma di «salvaguardia», anche se volontaria, viene limitata ad una parte del personale degli enti soppressi, escludendo amministrativi e parte dei tecnici. Anche per questa via si opera la frammentazione della ricerca pubblica;
queste misure possono mettere a rischio la partecipazione a programmi europei nei relativi settori di competenza, con azzeramento dei cofinanziamenti delle relative attività e la conseguente perdita di grandi professionalità e di un immenso patrimonio di conoscenze specifiche;
ai tagli dello Stato, che hanno comportato una diminuzione di un terzo di spesa del Ministero, si aggiunge la stretta sui bilanci di regioni ed enti locali che ne limita le risorse e le possibilità d'azione e programmazione con una riduzione drastica dei servizi erogati al cittadino, dunque, inevitabilmente anche il settore culturale risentirà degli effetti della minore capacità di spesa delle amministrazioni locali;
è auspicabile che i nostri giovani debbano avere un futuro basato sulla cultura, sulla conoscenza e sulla creatività affinché non si debba più assistere ad una sistematica emigrazione intellettuale che priva il Paese delle sue migliori risorse intellettuali;
è comprovato che con la logica dei tagli, senza intervenire sulle ragioni della crisi, si attacca l'autonomia degli enti e si spegne la ricerca,
impegna il Governo:
ad intraprendere azioni coraggiose che colpiscano le inefficienze e valorizzino le eccellenze e la qualità;
ad applicare criteri selettivi trasparenti e condivisi in grado di ridurre gli sprechi e di aumentare realmente la produttività salvaguardando tutte le figure professionali che garantiscono la ricerca, servizi ai cittadini e l'immagine del nostro Paese all'estero.
9/3638/42. Cambursano.
La Camera,
premesso che:
la scuola non viene risparmiata dalla scure della manovra all'esame;
l'effetto combinato del blocco dei contratti e delle anzianità di servizio avrà conseguenze su tutta la vita lavorativa, sulla liquidazione e sulla pensione di impiegati e docenti della scuola; inoltre si verificherà l'ulteriore penalizzazione del prelevamento annuo da 800 a 3000 euro dagli stipendi;
la manovra all'esame si inserisce in un contesto già drammatico per la scuola, le ultime finanziarie infatti hanno azzerato i fondi per il funzionamento didattico e amministrativo nelle scuole statali, rendendo difficile il lavoro quotidiano e il mantenimento dell'offerta formativa;
si prevede la perdita di migliaia di cattedre per il prossimo anno; il dato complessivo a livello nazionale è di circa 25 mila cattedre e 15 mila posti in meno per il personale ATA per l'anno scolastico 2010- 2011, che si aggiungono ai 57 mila posti persi l'anno scorso;
tra le misure si evidenzia il blocco degli insegnanti di sostegno, in particolare, si contravviene alla sentenza della Corte Costituzionale, che aveva ribadito l'incostituzionalità della normativa statale sul rapporto alunni/docenti per gli alunni disabili e si bloccano quindi per il 2010/2011 le deroghe per i posti di sostegno;
dal 2011 si prevedono tagli alle risorse del 50 per cento; in particolare le già esigue risorse previste per la formazione vengono dimezzate. Questo significa una perdita di 4.224.495 euro. Le risorse disponibili dal 2011 per la formazione ammonteranno all'incirca a 5 euro a lavoratore;
inoltre si prevede il taglio del 50 per cento di tutte le missioni comprese quelle all'estero. A rischio la partecipazione ai progetti internazionali, a molti viaggi/stage di istruzione all'estero e l'impossibilità di svolgere gli esami finali di Stato nelle scuole italiane all'estero;
ancora, si prevedono 104 milioni di tagli annui a partire dal 2011, che, se si applicassero in forma lineare ai fondi delle scuole, taglierebbero circa 43 milioni di euro; le voci più colpite sono ancora una volta quelle che rappresentano il valore aggiunto alla didattica: corsi di recupero, ampliamento dell'offerta formativa, progetti di alternanza scuola lavoro;
a queste risorse vanno aggiunti, in fine, i 9 milioni di euro tagliati dal bilancio del Ministero dell'economia e delle finanze finalizzati all'istruzione;
per i lavoratori del comparto scuola salta la possibilità di rinnovo del contratto collettivo nazionale per gli anni 2010-2012;
sono ridotti gli stanziamenti previsti nella finanziaria 2010 e l'erogazione viene spostata al 2012; in particolare la manovra toglie 420 milioni di euro (36 per cento) già appostati in bilancio per pagare l'indennità di vacanza contrattuale dei dipendenti pubblici, che pertanto verrà rideterminata e quindi diminuita,
impegna il Governo
a rafforzare le politiche scolastiche, incrementando innanzitutto le risorse da destinare all'istruzione, al fine di dare un orientamento chiaro ad una scuola in forte difficoltà.
9/3638/43. Zazzera, Di Giuseppe, Borghesi, Cambursano.
La Camera,
premesso che:
la scuola non viene risparmiata dalla scure della manovra all'esame;
l'effetto combinato del blocco dei contratti e delle anzianità di servizio avrà conseguenze su tutta la vita lavorativa, sulla liquidazione e sulla pensione di impiegati e docenti della scuola; inoltre si verificherà l'ulteriore penalizzazione del prelevamento annuo da 800 a 3000 euro dagli stipendi;
la manovra all'esame si inserisce in un contesto già drammatico per la scuola, le ultime finanziarie infatti hanno azzerato i fondi per il funzionamento didattico e amministrativo nelle scuole statali, rendendo difficile il lavoro quotidiano e il mantenimento dell'offerta formativa;
si prevede la perdita di migliaia di cattedre per il prossimo anno; il dato complessivo a livello nazionale è di circa 25 mila cattedre e 15 mila posti in meno per il personale ATA per l'anno scolastico 2010- 2011, che si aggiungono ai 57 mila posti persi l'anno scorso;
tra le misure si evidenzia il blocco degli insegnanti di sostegno, in particolare, si contravviene alla sentenza della Corte Costituzionale, che aveva ribadito l'incostituzionalità della normativa statale sul rapporto alunni/docenti per gli alunni disabili e si bloccano quindi per il 2010/2011 le deroghe per i posti di sostegno;
dal 2011 si prevedono tagli alle risorse del 50 per cento; in particolare le già esigue risorse previste per la formazione vengono dimezzate. Questo significa una perdita di 4.224.495 euro. Le risorse disponibili dal 2011 per la formazione ammonteranno all'incirca a 5 euro a lavoratore;
inoltre si prevede il taglio del 50 per cento di tutte le missioni comprese quelle all'estero. A rischio la partecipazione ai progetti internazionali, a molti viaggi/stage di istruzione all'estero e l'impossibilità di svolgere gli esami finali di Stato nelle scuole italiane all'estero;
ancora, si prevedono 104 milioni di tagli annui a partire dal 2011, che, se si applicassero in forma lineare ai fondi delle scuole, taglierebbero circa 43 milioni di euro; le voci più colpite sono ancora una volta quelle che rappresentano il valore aggiunto alla didattica: corsi di recupero, ampliamento dell'offerta formativa, progetti di alternanza scuola lavoro;
a queste risorse vanno aggiunti, in fine, i 9 milioni di euro tagliati dal bilancio del Ministero dell'economia e delle finanze finalizzati all'istruzione;
per i lavoratori del comparto scuola salta la possibilità di rinnovo del contratto collettivo nazionale per gli anni 2010-2012;
sono ridotti gli stanziamenti previsti nella finanziaria 2010 e l'erogazione viene spostata al 2012; in particolare la manovra toglie 420 milioni di euro (36 per cento) già appostati in bilancio per pagare l'indennità di vacanza contrattuale dei dipendenti pubblici, che pertanto verrà rideterminata e quindi diminuita,
impegna il Governo
a rafforzare, compatibilmente con le esigenze di finanza pubblica, le politiche scolastiche, incrementando innanzitutto le risorse da destinare all'istruzione, al fine di dare un orientamento chiaro ad una scuola in forte difficoltà.
9/3638/43. (Testo modificato nel corso della seduta) Zazzera, Di Giuseppe, Borghesi, Cambursano.
La Camera,
premesso che:
il Governo mostra di non tener conto del ruolo della cultura nello sviluppo economico e sociale del Paese e riduce ulteriormente le risorse ad un settore già colpito, negli ultimi anni, da forti tagli di spesa;
i tagli previsti per il Ministero per i beni e le attività culturali ammontano a 58 milioni di euro (per il 2011 e per il 2012); i tagli ai contributi per gli enti culturali sono del 50 per cento; inoltre è prevista una riduzione dei finanziamenti pari a 13 milioni di euro;
la manovra rischia di mettere in discussione il principio costituzionale di tutela e promozione del nostro patrimonio culturale, artistico, ambientale, sancito dall'articolo 9 della Costituzione;
la riduzione del 50 per cento delle risorse destinate agli istituti culturali, quasi fossero tutti enti inutili, senza l'individuazione di criteri o parametri oggettivi che valutino l'effettiva esistenza di sprechi, decreterà un ulteriore e indiscriminato abbassamento dell'intervento pubblico per la cultura, che mette ormai a rischio quantità e qualità dei servizi culturali nel Paese;
non si investe, anzi risultano ulteriormente penalizzate le ricchezze artistiche ed ambientali, l'industria creativa e la produzione culturale che anzi sono un volano per l'economia, la competitività locale e l'occupazione;
la necessità di ridurre spese e sprechi è condivisa da tutti, ma non è possibile rinunciare alla cultura, depauperare il Paese di quelle ricchezze di storia e produzione artistica che sono la nostra carta d'identità sulla scena internazionale;
la recessione culturale rappresenta un danno troppo grave che il Paese non si può permettere e i cui effetti negativi si farebbero sentire per molti anni ben al di là della crisi economica,
impegna il Governo
ad attuare cambiamenti radicali alle politiche per salvaguardare i settori della conoscenza, anche incoraggiando il coinvolgimento dei privati, oggi non adeguatamente sostenuto.
9/3638/44. Palomba, Borghesi, Cambursano.
La Camera,
premesso che:
il Governo mostra di non tener conto del ruolo della cultura nello sviluppo economico e sociale del Paese e riduce ulteriormente le risorse ad un settore già colpito, negli ultimi anni, da forti tagli di spesa;
i tagli previsti per il Ministero per i beni e le attività culturali ammontano a 58 milioni di euro (per il 2011 e per il 2012); i tagli ai contributi per gli enti culturali sono del 50 per cento; inoltre è prevista una riduzione dei finanziamenti pari a 13 milioni di euro;
la manovra rischia di mettere in discussione il principio costituzionale di tutela e promozione del nostro patrimonio culturale, artistico, ambientale, sancito dall'articolo 9 della Costituzione;
la riduzione del 50 per cento delle risorse destinate agli istituti culturali, quasi fossero tutti enti inutili, senza l'individuazione di criteri o parametri oggettivi che valutino l'effettiva esistenza di sprechi, decreterà un ulteriore e indiscriminato abbassamento dell'intervento pubblico per la cultura, che mette ormai a rischio quantità e qualità dei servizi culturali nel Paese;
non si investe, anzi risultano ulteriormente penalizzate le ricchezze artistiche ed ambientali, l'industria creativa e la produzione culturale che anzi sono un volano per l'economia, la competitività locale e l'occupazione;
la necessità di ridurre spese e sprechi è condivisa da tutti, ma non è possibile rinunciare alla cultura, depauperare il Paese di quelle ricchezze di storia e produzione artistica che sono la nostra carta d'identità sulla scena internazionale;
la recessione culturale rappresenta un danno troppo grave che il Paese non si può permettere e i cui effetti negativi si farebbero sentire per molti anni ben al di là della crisi economica,
impegna il Governo
a salvaguardare i settori della conoscenza, anche incoraggiando il coinvolgimento dei privati.
9/3638/44. (Testo modificato nel corso della seduta) Palomba, Borghesi, Cambursano.
La Camera,
premesso che:
in seguito alle crisi finanziarie del 2007-2008, di quella attuale e delle crisi del Sud-est asiatico, dell'America latina e della Russia, è diventato sempre più necessario regolamentare i mercati finanziari controllando fenomeni negativi dovuti alla sempre maggiore internazionalizzazione dei mercati finanziari, come le transazioni finanziarie a breve o brevissimo termine, ma anche attuando modalità alternative per affrontare su scala globale problemi quali la povertà e il degrado ambientale;
nei tre decenni scorsi abbiamo assistito a un progressivo allontanamento dell'economia finanziaria da quella reale, un «divorzio» che ha trasformato profondamente la struttura dell'economia mondiale;
nella maggior parte dei Paesi occidentali, negli anni '80, ogni controllo sui capitali è stato progressivamente ridotto, come ogni controllo e limitazione alle attività delle banche commerciali e di investimento. Quest'ondata di liberalizzazione ha fatto sì che nel decennio successivo molti Paesi in via di sviluppo abbandonassero a loro volta i controlli sui movimenti di capitali;
nel corso degli ultimi anni, in molti Paesi, si sono moltiplicate le iniziative anche parlamentari tese a formulare proposte per porre un freno alla speculazione finanziaria internazionale e per prevenire i rischi di destabilizzazione delle valute e delle economie e società nazionali;
tra le proposte più note figura quella avanzata da James Tobin, Premio Nobel per l'economia nel 1981. La sua proposta è diventata un po' l'emblema della volontà di riconquistare alla democrazia gli spazi ad essa confiscati dall'espandersi del dominio della sfera finanziaria su scala planetaria, e della volontà di operare una ridistribuzione della ricchezza tra il Nord ed il Sud del Mondo, fornendo importanti risorse per finanziare la cooperazione allo sviluppo e la lotta alla povertà;
a partire da quel contributo si è sviluppato un ampio dibattito a livello scientifico internazionale che ha approfondito la concreta praticabilità della Tobin-tax;
certo la Tobin Tax non esaurisce di per sé il dibattito sulla regolazione dell'economia su scala globale, sulla mondializzazione e sulle relazioni Nord-Sud. Ma può costituire un passo in avanti verso la costruzione di un'economia mondiale nella quale la crescita sia messa al servizio di un sviluppo cooperativo e della riduzione delle ineguaglianze;
più in generale, essa solleva il tema di una nuova architettura finanziaria, economica e sociale internazionale;
oggi, con la mondializzazione, con la crisi dello Stato nazionale (terreno fondamentale e soggetto attivo del Welfare), con lo sviluppo impetuoso dei flussi finanziari, di beni, di servizi e di popolazione, esiste un serio rischio (peraltro già in atto) di ritorno ad un capitalismo senza regole. Dopo lo sganciamento, avvenuto nel 1971, del valore del dollaro USA da quello dell'oro e la liberalizzazione del mercato delle valute, il volume delle transazioni monetarie si è moltiplicato per 100. Il volume delle transazioni sul mercato delle valute è passato da una media di 200 miliardi di dollari al giorno ad una di circa 3.000 miliardi di dollari al giorno (il doppio del nostro Pil nazionale annuale, tanto per avere un'idea della dimensione in gioco);
attualmente, più del 95 per cento delle transazioni finanziarie non hanno nessun legame con lo scambio di merci, di servizi o con investimenti, e sono puramente speculative. Più del 40 per cento di queste transazioni corrispondono a delle operazioni di acquisto e di rivendita che si esauriscono in un periodo inferiore ai 3 giorni, e l'80 per cento del volume globale delle transazioni corrispondono a delle operazioni che si svolgono in meno di una settimana;
l'informatica e le telecomunicazioni hanno dato un impulso fortissimo ad una tendenza che solo 20 anni fa rappresentava un fenomeno marginale. Gli operatori speculano su delle variazioni anche minime dei tassi e dei corsi di cambio tra le valute, anticipandole o provocandole;
le risorse valutarie che le banche centrali possono movimentare equivalgono appena al volume delle transazioni quotidiane sul mercato mondiale. In virtù del loro carattere imprevedibile, questi movimenti di capitali possono in poche ore provocare il crollo di una moneta, la crisi dell'economia di un intero Paese e fare sprofondare tutta la sua popolazione nella recessione. Non si tratta di un pericolo astratto: basta avere a mente la crisi messicana del 1995, la crisi del Sud-est asiatico nel 1997, la crisi russa del 1998, la crisi brasiliana del 1999; e se non vogliamo andare a vedere solo in casa degli altri, basta ricordare il ruolo del Fondo Quorum di Georges Soros nella crisi del Sistema monetario europeo (SME) nel 1993;
dopo la crisi asiatica si era sviluppato un dibattito sulla necessità di una profonda riforma del sistema finanziario e sulla necessità di «una nuova architettura finanziaria internazionale». Sono passati 13 anni, ma niente è cambiato. Il sistema finanziario internazionale è sempre lo stesso, vulnerabile ed esposto oggi come allora agli effetti dei suoi propri eccessi;
la stragrande maggioranza delle transazioni sulle valute (l'82 per cento) viene effettuata su 8 piazze finanziarie, il 96 per cento delle transazioni su 16 piazze: in pratica l'Europa, gli Usa, il Giappone, Hong Kong, Singapore e poco più. Circa il 50 per cento degli scambi avviene all'interno dell'Unione europea e circa l'80 per cento su piazze situate nei Paesi del G7 o nell'Unione europea. Questi dati delimitano il terreno d'azione per fare adottare l'imposta Tobin su scala internazionale;
per formulare la sua proposta, James Tobin ha ripreso un'intuizione del 1936 di Keynes, il quale esaminando le cause della crisi del 1929 già all'epoca, proponeva di tassare sia pure in misura ridotta tutte le transazioni finanziarie;
la maggior parte delle speculazioni sul mercato delle valute consiste nel giocare d'anticipo su variazioni anche minime dei tassi e dei cambi delle monete; questa pratica può consentire grossi guadagni a causa delle somme rilevanti impiegate e si possono così determinare reazioni a catena di dimensioni gigantesche;
la proposta della tassa Tobin consiste in un'imposta con un'aliquota molto bassa che non coinvolge gli scambi di beni e servizi e gli investimenti, ma che colpisce le transazioni speculative che operano molteplici andirivieni, operando come un freno per tali pratiche. James Tobin paragonava questa imposta ad «granello di sabbia negli ingranaggi della finanza internazionale»;
se l'aliquota della Tobin tax fosse dello 0,1 per cento, valutando per un determinato giorno una variazione dello 0,2 per cento del cambio tra due monete, l'operazione di acquisto e di rivendita su 1 miliardo di dollari potrebbe fruttare 2 milioni di dollari: l'esatto ammontare dell'imposta. Per l'operatore l'operazione perde il suo interesse ed egli non interverrà sul mercato che per variazioni prevedibilmente superiori allo 0,2 per cento;
gli economisti sostengono che in realtà il potere di dissuasione sarebbe più significativo, perché il differenziale da prendere in considerazione deve fare riferimento al tasso di profitto di un investimento «senza rischio», ad esempio, in titoli del tesoro del Paese della moneta di partenza. Si calcola che il potere di dissuasione reale dell'imposta sarebbe superiore per una data operazione al doppio del valore dell'aliquota. L'operazione speculativa, infatti, è «interessante» per gli operatori se il guadagno atteso ha un tasso superiore alla somma della percentuale di profitto dovuto ad un investimento «sicuro» nel Paese della moneta di origine al quale va aggiunto il doppio dell'aliquota della Tobin tax;
per questo gli economisti che sostengono il valore dell'introduzione di questa imposta propongono un'aliquota molto bassa pari allo 0,05 per cento. Molti studi hanno confermato che una tassa dello 0,05 per cento su ogni transazione potrebbe generare un gettito pari a circa 655 miliardi di dollari l'anno;
gli effetti positivi della Tobin tax sarebbero tre: una certa stabilizzazione dei flussi finanziari; una maggiore autonomia degli Stati e delle Banche centrali nella gestione della propria politica monetaria; la creazione di un gettito importante;
l'obiezione più comune all'introduzione della Tobin tax è quella che paventa il dirottamento dei flussi finanziari verso i Paesi che non applicano tale tassa o verso centri off-shore, cioè verso Paesi a regimi fiscalmente privilegiati ossia verso i cosiddetti «paradisi fiscali»;
c'è da considerare che misure simili alla tassa Tobin sono state introdotte negli ultimi anni in Paesi quali il Cile e la Malesia, per scoraggiare i flussi di capitali a breve termine, ad esempio, imponendo una cauzione calcolata come quota percentuale del capitale investito in relazione alla durata dell'impiego, con ricaduta positive sulla stabilità monetaria e sugli investimenti;
occorre ricordare anche come diversi ed importanti mercati finanziari applicano già oggi delle imposte sulle transazioni del mercato azionario come a Singapore (0,2 per cento), a Hong Kong (0,4 per cento), negli USA (0,0034 per cento) ed in Francia (dallo 0,6 allo 0,3 per cento a seconda dell'ammontare e della tipologia della transazione);
inoltre, i motivi per cui si utilizzano le grandi piazze finanziarie sono molteplici ed importanti: quali la sicurezza e la struttura evoluta del mercato stesso; caratteristiche che fanno sì che i centri off-shore non possono facilmente sostituire Londra o Wall Street. Peraltro una misura dissuasiva può essere quella di tassare con un'aliquota alta tutte le uscite di capitali da un centro off-shore verso una grande piazza finanziaria;
queste misure aiuterebbero anche l'azione dei governi nel quadro della lotta internazionale al riciclaggio del denaro sporco;
un movimento a favore della Tobin-tax si è sviluppato da diversi anni in diversi Paesi. Fuori dall'Unione europea l'iniziativa più importante è rappresentata dall'approvazione da parte del Parlamento canadese, nel marzo 1999, con una maggioranza dei due terzi, di una mozione a favore dell'introduzione di questa imposta. Altre iniziative hanno interessato i parlamenti del Brasile e perfino il Congresso degli Stati uniti;
il governo finlandese si è pronunciato a favore dell'imposta. Dibattiti importanti si sono svolti nella Camera dei Comuni; esistono intergruppi parlamentari e sono state presentate mozioni in tal senso in vari parlamenti europei (Francia, Belgio, Italia, ecc...);
una nuova opinione pubblica mondiale chiede una gestione diversa della mondializzazione dell'economia, che costruisca una nuova solidarietà internazionale sui terreni della lotta alla povertà e per lo sviluppo umanamente sostenibile;
ultimamente si sono pronunciati a favore di un'imposta sulle transazioni finanziarie sia l'ex premier britannico Brown che l'attuale primo ministro tedesco Merkel;
in un suo recente intervento, l'ex Ministro dell'economia e delle finanze, Vincenzo Visco, ha auspicato la costituzione di un fondo internazionale al quale conferire quote di debito sovrano dei diversi Paesi variabili in relazione all'impatto della crisi su ciascun Paese, scorporandole dai bilanci nazionali. L'attivo del fondo dovrebbe essere assicurato - sempre secondo la proposta di Visco - dall'introduzione, decisa collettivamente dagli Stati, di un'imposta dedicata sulle transazioni finanziarie il cui gettito - com'è noto - sarebbe ampiamente sufficiente. Se la proposta non fosse praticabile a livello globale, potrebbe funzionare anche se limitata a livello di Unione europea;
l'introduzione di una imposta sulle transazioni valutarie potrebbe, comunque, diminuire il carico fiscale sui fattori produttivi nazionali (ed europei) e fornire risorse per affrontare su scala internazionale problemi che diventano sempre più globali quali la difesa dell'ambiente, la povertà, la cooperazione allo sviluppo, la sicurezza,
impegna il Governo
a prendere tutte le possibili iniziative in tutte le sedi internazionali opportune al fine di ottenere l'istituzione di un imposta sulle transazioni finanziarie ed in particolare su quelle a breve o brevissima scadenza, coinvolgendo la stessa Unione europea a partire del Consiglio europeo e dall'Ecofin.
9/3638/45. Donadi, Evangelisti, Borghesi, Cambursano.
La Camera,
premesso che:
in seguito alle crisi finanziarie del 2007-2008, di quella attuale e delle crisi del Sud-est asiatico, dell'America latina e della Russia, è diventato sempre più necessario regolamentare i mercati finanziari controllando fenomeni negativi dovuti alla sempre maggiore internazionalizzazione dei mercati finanziari, come le transazioni finanziarie a breve o brevissimo termine, ma anche attuando modalità alternative per affrontare su scala globale problemi quali la povertà e il degrado ambientale;
nei tre decenni scorsi abbiamo assistito a un progressivo allontanamento dell'economia finanziaria da quella reale, un «divorzio» che ha trasformato profondamente la struttura dell'economia mondiale;
nella maggior parte dei Paesi occidentali, negli anni '80, ogni controllo sui capitali è stato progressivamente ridotto, come ogni controllo e limitazione alle attività delle banche commerciali e di investimento. Quest'ondata di liberalizzazione ha fatto sì che nel decennio successivo molti Paesi in via di sviluppo abbandonassero a loro volta i controlli sui movimenti di capitali;
nel corso degli ultimi anni, in molti Paesi, si sono moltiplicate le iniziative anche parlamentari tese a formulare proposte per porre un freno alla speculazione finanziaria internazionale e per prevenire i rischi di destabilizzazione delle valute e delle economie e società nazionali;
tra le proposte più note figura quella avanzata da James Tobin, Premio Nobel per l'economia nel 1981. La sua proposta è diventata un po' l'emblema della volontà di riconquistare alla democrazia gli spazi ad essa confiscati dall'espandersi del dominio della sfera finanziaria su scala planetaria, e della volontà di operare una ridistribuzione della ricchezza tra il Nord ed il Sud del Mondo, fornendo importanti risorse per finanziare la cooperazione allo sviluppo e la lotta alla povertà;
a partire da quel contributo si è sviluppato un ampio dibattito a livello scientifico internazionale che ha approfondito la concreta praticabilità della Tobin-tax;
certo la Tobin Tax non esaurisce di per sé il dibattito sulla regolazione dell'economia su scala globale, sulla mondializzazione e sulle relazioni Nord-Sud. Ma può costituire un passo in avanti verso la costruzione di un'economia mondiale nella quale la crescita sia messa al servizio di un sviluppo cooperativo e della riduzione delle ineguaglianze;
più in generale, essa solleva il tema di una nuova architettura finanziaria, economica e sociale internazionale;
oggi, con la mondializzazione, con la crisi dello Stato nazionale (terreno fondamentale e soggetto attivo del Welfare), con lo sviluppo impetuoso dei flussi finanziari, di beni, di servizi e di popolazione, esiste un serio rischio (peraltro già in atto) di ritorno ad un capitalismo senza regole. Dopo lo sganciamento, avvenuto nel 1971, del valore del dollaro USA da quello dell'oro e la liberalizzazione del mercato delle valute, il volume delle transazioni monetarie si è moltiplicato per 100. Il volume delle transazioni sul mercato delle valute è passato da una media di 200 miliardi di dollari al giorno ad una di circa 3.000 miliardi di dollari al giorno (il doppio del nostro Pil nazionale annuale, tanto per avere un'idea della dimensione in gioco);
attualmente, più del 95 per cento delle transazioni finanziarie non hanno nessun legame con lo scambio di merci, di servizi o con investimenti, e sono puramente speculative. Più del 40 per cento di queste transazioni corrispondono a delle operazioni di acquisto e di rivendita che si esauriscono in un periodo inferiore ai 3 giorni, e l'80 per cento del volume globale delle transazioni corrispondono a delle operazioni che si svolgono in meno di una settimana;
l'informatica e le telecomunicazioni hanno dato un impulso fortissimo ad una tendenza che solo 20 anni fa rappresentava un fenomeno marginale. Gli operatori speculano su delle variazioni anche minime dei tassi e dei corsi di cambio tra le valute, anticipandole o provocandole;
le risorse valutarie che le banche centrali possono movimentare equivalgono appena al volume delle transazioni quotidiane sul mercato mondiale. In virtù del loro carattere imprevedibile, questi movimenti di capitali possono in poche ore provocare il crollo di una moneta, la crisi dell'economia di un intero Paese e fare sprofondare tutta la sua popolazione nella recessione. Non si tratta di un pericolo astratto: basta avere a mente la crisi messicana del 1995, la crisi del Sud-est asiatico nel 1997, la crisi russa del 1998, la crisi brasiliana del 1999; e se non vogliamo andare a vedere solo in casa degli altri, basta ricordare il ruolo del Fondo Quorum di Georges Soros nella crisi del Sistema monetario europeo (SME) nel 1993;
dopo la crisi asiatica si era sviluppato un dibattito sulla necessità di una profonda riforma del sistema finanziario e sulla necessità di «una nuova architettura finanziaria internazionale». Sono passati 13 anni, ma niente è cambiato. Il sistema finanziario internazionale è sempre lo stesso, vulnerabile ed esposto oggi come allora agli effetti dei suoi propri eccessi;
la stragrande maggioranza delle transazioni sulle valute (l'82 per cento) viene effettuata su 8 piazze finanziarie, il 96 per cento delle transazioni su 16 piazze: in pratica l'Europa, gli Usa, il Giappone, Hong Kong, Singapore e poco più. Circa il 50 per cento degli scambi avviene all'interno dell'Unione europea e circa l'80 per cento su piazze situate nei Paesi del G7 o nell'Unione europea. Questi dati delimitano il terreno d'azione per fare adottare l'imposta Tobin su scala internazionale;
per formulare la sua proposta, James Tobin ha ripreso un'intuizione del 1936 di Keynes, il quale esaminando le cause della crisi del 1929 già all'epoca, proponeva di tassare sia pure in misura ridotta tutte le transazioni finanziarie;
la maggior parte delle speculazioni sul mercato delle valute consiste nel giocare d'anticipo su variazioni anche minime dei tassi e dei cambi delle monete; questa pratica può consentire grossi guadagni a causa delle somme rilevanti impiegate e si possono così determinare reazioni a catena di dimensioni gigantesche;
la proposta della tassa Tobin consiste in un'imposta con un'aliquota molto bassa che non coinvolge gli scambi di beni e servizi e gli investimenti, ma che colpisce le transazioni speculative che operano molteplici andirivieni, operando come un freno per tali pratiche. James Tobin paragonava questa imposta ad «granello di sabbia negli ingranaggi della finanza internazionale»;
se l'aliquota della Tobin tax fosse dello 0,1 per cento, valutando per un determinato giorno una variazione dello 0,2 per cento del cambio tra due monete, l'operazione di acquisto e di rivendita su 1 miliardo di dollari potrebbe fruttare 2 milioni di dollari: l'esatto ammontare dell'imposta. Per l'operatore l'operazione perde il suo interesse ed egli non interverrà sul mercato che per variazioni prevedibilmente superiori allo 0,2 per cento;
gli economisti sostengono che in realtà il potere di dissuasione sarebbe più significativo, perché il differenziale da prendere in considerazione deve fare riferimento al tasso di profitto di un investimento «senza rischio», ad esempio, in titoli del tesoro del Paese della moneta di partenza. Si calcola che il potere di dissuasione reale dell'imposta sarebbe superiore per una data operazione al doppio del valore dell'aliquota. L'operazione speculativa, infatti, è «interessante» per gli operatori se il guadagno atteso ha un tasso superiore alla somma della percentuale di profitto dovuto ad un investimento «sicuro» nel Paese della moneta di origine al quale va aggiunto il doppio dell'aliquota della Tobin tax;
per questo gli economisti che sostengono il valore dell'introduzione di questa imposta propongono un'aliquota molto bassa pari allo 0,05 per cento. Molti studi hanno confermato che una tassa dello 0,05 per cento su ogni transazione potrebbe generare un gettito pari a circa 655 miliardi di dollari l'anno;
gli effetti positivi della Tobin tax sarebbero tre: una certa stabilizzazione dei flussi finanziari; una maggiore autonomia degli Stati e delle Banche centrali nella gestione della propria politica monetaria; la creazione di un gettito importante;
l'obiezione più comune all'introduzione della Tobin tax è quella che paventa il dirottamento dei flussi finanziari verso i Paesi che non applicano tale tassa o verso centri off-shore, cioè verso Paesi a regimi fiscalmente privilegiati ossia verso i cosiddetti «paradisi fiscali»;
c'è da considerare che misure simili alla tassa Tobin sono state introdotte negli ultimi anni in Paesi quali il Cile e la Malesia, per scoraggiare i flussi di capitali a breve termine, ad esempio, imponendo una cauzione calcolata come quota percentuale del capitale investito in relazione alla durata dell'impiego, con ricaduta positive sulla stabilità monetaria e sugli investimenti;
occorre ricordare anche come diversi ed importanti mercati finanziari applicano già oggi delle imposte sulle transazioni del mercato azionario come a Singapore (0,2 per cento), a Hong Kong (0,4 per cento), negli USA (0,0034 per cento) ed in Francia (dallo 0,6 allo 0,3 per cento a seconda dell'ammontare e della tipologia della transazione);
inoltre, i motivi per cui si utilizzano le grandi piazze finanziarie sono molteplici ed importanti: quali la sicurezza e la struttura evoluta del mercato stesso; caratteristiche che fanno sì che i centri off-shore non possono facilmente sostituire Londra o Wall Street. Peraltro una misura dissuasiva può essere quella di tassare con un'aliquota alta tutte le uscite di capitali da un centro off-shore verso una grande piazza finanziaria;
queste misure aiuterebbero anche l'azione dei governi nel quadro della lotta internazionale al riciclaggio del denaro sporco;
un movimento a favore della Tobin-tax si è sviluppato da diversi anni in diversi Paesi. Fuori dall'Unione europea l'iniziativa più importante è rappresentata dall'approvazione da parte del Parlamento canadese, nel marzo 1999, con una maggioranza dei due terzi, di una mozione a favore dell'introduzione di questa imposta. Altre iniziative hanno interessato i parlamenti del Brasile e perfino il Congresso degli Stati uniti;
il governo finlandese si è pronunciato a favore dell'imposta. Dibattiti importanti si sono svolti nella Camera dei Comuni; esistono intergruppi parlamentari e sono state presentate mozioni in tal senso in vari parlamenti europei (Francia, Belgio, Italia, ecc...);
una nuova opinione pubblica mondiale chiede una gestione diversa della mondializzazione dell'economia, che costruisca una nuova solidarietà internazionale sui terreni della lotta alla povertà e per lo sviluppo umanamente sostenibile;
ultimamente si sono pronunciati a favore di un'imposta sulle transazioni finanziarie sia l'ex premier britannico Brown che l'attuale primo ministro tedesco Merkel;
in un suo recente intervento, l'ex Ministro dell'economia e delle finanze, Vincenzo Visco, ha auspicato la costituzione di un fondo internazionale al quale conferire quote di debito sovrano dei diversi Paesi variabili in relazione all'impatto della crisi su ciascun Paese, scorporandole dai bilanci nazionali. L'attivo del fondo dovrebbe essere assicurato - sempre secondo la proposta di Visco - dall'introduzione, decisa collettivamente dagli Stati, di un'imposta dedicata sulle transazioni finanziarie il cui gettito - com'è noto - sarebbe ampiamente sufficiente. Se la proposta non fosse praticabile a livello globale, potrebbe funzionare anche se limitata a livello di Unione europea;
l'introduzione di una imposta sulle transazioni valutarie potrebbe, comunque, diminuire il carico fiscale sui fattori produttivi nazionali (ed europei) e fornire risorse per affrontare su scala internazionale problemi che diventano sempre più globali quali la difesa dell'ambiente, la povertà, la cooperazione allo sviluppo, la sicurezza,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di prendere tutte le possibili iniziative in tutte le sedi internazionali opportune al fine di ottenere l'istituzione di un imposta sulle transazioni finanziarie ed in particolare su quelle a breve o brevissima scadenza, coinvolgendo la stessa Unione europea a partire del Consiglio europeo e dall'Ecofin.
9/3638/45. (Testo modificato nel corso della seduta) Donadi, Evangelisti, Borghesi, Cambursano.
La Camera,
premesso che:
nell'ultimo trentennio, in Italia e nel resto del mondo, si è affermata una tendenza di lungo periodo che penalizza i redditi della stragrande maggioranza delle classi medie, lavoratori dipendenti e quanti ad essi assimilabili per condizione di lavoro. Le disparità di reddito sono tornate ad aumentare fino a livelli che erano normali negli anni '20, ma che si riteneva fossero stati eliminati. Questo è accaduto per l'abbandono della politica di piena occupazione e per la deregolamentazione del sistema finanziario. Il welfare State come base del contratto sociale è stato sostituito dall'accesso al credito. I cittadini anche con redditi medio-bassi hanno cercato protezione nell'indebitamento e sono stati coinvolti nella finanziarizzazione dell'economia, contribuendo ad alimentare bolle speculative, fino al crollo e a una crisi che è insieme economica, politica e umana;
l'Italia rappresenta il fanalino di coda sugli stipendi dei lavoratori dipendenti: a parità di potere d'acquisto, il nostro Paese occupa il ventitreesimo posto sui trenta paesi dell'Ocse, con un salario medio netto annuo che ammonta a 21.374 dollari, pari a poco più di 14.700 euro. Lo rileva l'Eurispes nel «Rapporto Italia 2010», dove si legge inoltre, che a pesare ulteriormente sulle buste paga degli italiani è il cuneo fiscale. L'Italia occupa la ventitreesima posizione e supera solo il Portogallo, la Repubblica Ceca, la Turchia, la Polonia, la Slovacchia, l'Ungheria ed il Messico;
volendo fare un paragone con gli altri cittadini europei, il lavoratore italiano percepisce un compenso salariale che è inferiore del 44 per cento rispetto al dipendente inglese, guadagna il 32 per cento in meno di quello irlandese, il 28 per cento in meno di un tedesco, il 19 per cento in meno di un greco, il 18 per cento in meno del cittadino francese e il 14 per cento in meno di quello spagnolo;
inoltre, dal confronto con altri paesi dell'OCSE, emerge che l'Italia è ai primi posti per cuneo fiscale, ossia la parte di costo del lavoro che finisce nelle tasche dello Stato. Lo Stato si prende circa il 47 per cento del salario lordo dei lavoratori;
nel frattempo sono cresciuti i profitti e le rendite, per le quali oltretutto sono previste imposte sostitutive dell'Irpef che in quasi tutti i casi vengono attualmente calcolate con un aliquota pari al 12,5 per cento;
da tempo si discute nel nostro Paese sulla necessità, anche per un elementare senso di equità fiscale, di aumentare tale aliquota del 12,5 per cento fino a raggiungere la media europea pari al 20-21 per cento;
è iniqua una tassazione sui redditi personali, oggi essenzialmente da lavoro, che va dal 23 per cento al 43 per cento, mentre stock option, capital gain, dividendi, ecc., sono tassati al 12,5 per cento. Lo squilibrio è evidente. In altri Paesi non è così. La cedolare secca, inventata per garantire l'anonimato, dovrebbe essere più alta e non più bassa della tassazione ordinaria;
in altri Paesi si è aperta una discussione sull'opportunità di considerare le stock option come parte rilevante della retribuzione dei manager, perché in troppi casi provocano distorsioni e convenienze che confliggono con l'interesse dell'impresa;
aumentare la tassazione sulle rendite finanziarie non significa aumentare la pressione fiscale ma piuttosto fare un'operazione di redistribuzione e di riequilibrio tra chi, senza saperlo, paga il 27 per cento e chi, sapendolo, paga di meno - basti pensare alle stock option - ed è invogliato a investire nel mercato azionario;
le imprese avrebbero meno convenienza a investire nella speculazione finanziaria rispetto agli investimenti produttivi: anche dal punto di vista imprenditoriale, dunque, ci dovrebbe essere interesse a riequilibrare il profitto e la rendita;
diventa urgente dunque, non solo ai fini dell'equità sociale del nostro sistema fiscale, omogeneizzare la tassazione delle rendite finanziarie prevedendo un'aliquota unica, riducendo di conseguenza l'aliquota attualmente al 27 per cento - prevista ad esempio per i depositi in conto corrente con un risparmio per i titolari dei conti di 6-700 milioni annui - e innalzando quella del 12,5 per cento;
la traduzione concreta di questo intendimento costituisce un importante obiettivo di giustizia fiscale e di riequilibrio della tassazione, visto il maggior peso fiscale che grava sul lavoro dipendente e autonomo, sul reddito di impresa e sulle altre fonti di reddito;
le maggiori entrate derivanti da specifiche modalità di attuazione dell'aliquota unica dovrebbero essere destinate a ridurre contestualmente la tassazione sulle persone fisiche con riferimento prioritario ai redditi da lavoro dipendente, che in questi anni hanno visto una perdita consistente di potere d'acquisto;
occorre intervenire stabilendo in misura pari al 20 per cento la prima aliquota dell'Irpef, fissando al 20 per cento l'aliquota Ires da applicare agli utili societari reinvestiti in azienda per favorirne la capitalizzazione, stabilendo pari al 20 per cento l'aliquota dell'imposta sui proventi derivanti dalla speculazione finanziaria;
sarebbe opportuno, inoltre, recuperare altre risorse necessarie a tali scopi attraverso un efficace contrasto all'evasione fiscale reintroducendo le norme introdotte del Governo Prodi e soppresse dall'attuale Esecutivo, quali la tracciabilità dei pagamenti e l'elenco clienti fornitori,
impegna il Governo:
ad assumere le opportune iniziative di carattere normativo, ferme restando le prerogative del Parlamento, finalizzate al riordino del trattamento tributario dei redditi di capitale e dei redditi diversi di natura finanziaria, nonché delle gestioni individuali di patrimoni e degli organismi di investimento collettivo mobiliare, e ad apportare modifiche al regime delle ritenute alla fonte sui redditi di capitale o delle imposte sostitutive afferenti i medesimi redditi, con l'esclusione dei redditi derivanti da titoli emessi dallo Stato;
ad approntare una più globale riforma fiscale orientata a tassare meno i fattori produttivi, il lavoro e il capitale, e, maggiormente, i consumi di beni di lusso e le attività speculative, salvaguardando il principio costituzionale della progressività della tassazione in relazione ai livelli effettivi di reddito, tramite l'applicazione di tre aliquote ognuna pari al 20 per cento: una come prima aliquota Irpef per alleggerire il peso fiscale dei redditi medio-bassi; una come aliquota Ires da applicare agli utili societari reinvestiti in azienda e una per la tassazione delle rendite derivanti dalle attività finanziarie speculative.
9/3638/46. Messina, Barbato, Cambursano, Borghesi.
La Camera,
premesso che:
nell'ultimo trentennio, in Italia e nel resto del mondo, si è affermata una tendenza di lungo periodo che penalizza i redditi della stragrande maggioranza delle classi medie, lavoratori dipendenti e quanti ad essi assimilabili per condizione di lavoro. Le disparità di reddito sono tornate ad aumentare fino a livelli che erano normali negli anni '20, ma che si riteneva fossero stati eliminati. Questo è accaduto per l'abbandono della politica di piena occupazione e per la deregolamentazione del sistema finanziario. Il welfare State come base del contratto sociale è stato sostituito dall'accesso al credito. I cittadini anche con redditi medio-bassi hanno cercato protezione nell'indebitamento e sono stati coinvolti nella finanziarizzazione dell'economia, contribuendo ad alimentare bolle speculative, fino al crollo e a una crisi che è insieme economica, politica e umana;
l'Italia rappresenta il fanalino di coda sugli stipendi dei lavoratori dipendenti: a parità di potere d'acquisto, il nostro Paese occupa il ventitreesimo posto sui trenta paesi dell'Ocse, con un salario medio netto annuo che ammonta a 21.374 dollari, pari a poco più di 14.700 euro. Lo rileva l'Eurispes nel «Rapporto Italia 2010», dove si legge inoltre, che a pesare ulteriormente sulle buste paga degli italiani è il cuneo fiscale. L'Italia occupa la ventitreesima posizione e supera solo il Portogallo, la Repubblica Ceca, la Turchia, la Polonia, la Slovacchia, l'Ungheria ed il Messico;
volendo fare un paragone con gli altri cittadini europei, il lavoratore italiano percepisce un compenso salariale che è inferiore del 44 per cento rispetto al dipendente inglese, guadagna il 32 per cento in meno di quello irlandese, il 28 per cento in meno di un tedesco, il 19 per cento in meno di un greco, il 18 per cento in meno del cittadino francese e il 14 per cento in meno di quello spagnolo;
inoltre, dal confronto con altri paesi dell'OCSE, emerge che l'Italia è ai primi posti per cuneo fiscale, ossia la parte di costo del lavoro che finisce nelle tasche dello Stato. Lo Stato si prende circa il 47 per cento del salario lordo dei lavoratori;
nel frattempo sono cresciuti i profitti e le rendite, per le quali oltretutto sono previste imposte sostitutive dell'Irpef che in quasi tutti i casi vengono attualmente calcolate con un aliquota pari al 12,5 per cento;
da tempo si discute nel nostro Paese sulla necessità, anche per un elementare senso di equità fiscale, di aumentare tale aliquota del 12,5 per cento fino a raggiungere la media europea pari al 20-21 per cento;
è iniqua una tassazione sui redditi personali, oggi essenzialmente da lavoro, che va dal 23 per cento al 43 per cento, mentre stock option, capital gain, dividendi, ecc., sono tassati al 12,5 per cento. Lo squilibrio è evidente. In altri Paesi non è così. La cedolare secca, inventata per garantire l'anonimato, dovrebbe essere più alta e non più bassa della tassazione ordinaria;
in altri Paesi si è aperta una discussione sull'opportunità di considerare le stock option come parte rilevante della retribuzione dei manager, perché in troppi casi provocano distorsioni e convenienze che confliggono con l'interesse dell'impresa;
aumentare la tassazione sulle rendite finanziarie non significa aumentare la pressione fiscale ma piuttosto fare un'operazione di redistribuzione e di riequilibrio tra chi, senza saperlo, paga il 27 per cento e chi, sapendolo, paga di meno - basti pensare alle stock option - ed è invogliato a investire nel mercato azionario;
le imprese avrebbero meno convenienza a investire nella speculazione finanziaria rispetto agli investimenti produttivi: anche dal punto di vista imprenditoriale, dunque, ci dovrebbe essere interesse a riequilibrare il profitto e la rendita;
diventa urgente dunque, non solo ai fini dell'equità sociale del nostro sistema fiscale, omogeneizzare la tassazione delle rendite finanziarie prevedendo un'aliquota unica, riducendo di conseguenza l'aliquota attualmente al 27 per cento - prevista ad esempio per i depositi in conto corrente con un risparmio per i titolari dei conti di 6-700 milioni annui - e innalzando quella del 12,5 per cento;
la traduzione concreta di questo intendimento costituisce un importante obiettivo di giustizia fiscale e di riequilibrio della tassazione, visto il maggior peso fiscale che grava sul lavoro dipendente e autonomo, sul reddito di impresa e sulle altre fonti di reddito;
le maggiori entrate derivanti da specifiche modalità di attuazione dell'aliquota unica dovrebbero essere destinate a ridurre contestualmente la tassazione sulle persone fisiche con riferimento prioritario ai redditi da lavoro dipendente, che in questi anni hanno visto una perdita consistente di potere d'acquisto;
occorre intervenire stabilendo in misura pari al 20 per cento la prima aliquota dell'Irpef, fissando al 20 per cento l'aliquota Ires da applicare agli utili societari reinvestiti in azienda per favorirne la capitalizzazione, stabilendo pari al 20 per cento l'aliquota dell'imposta sui proventi derivanti dalla speculazione finanziaria;
sarebbe opportuno, inoltre, recuperare altre risorse necessarie a tali scopi attraverso un efficace contrasto all'evasione fiscale reintroducendo le norme introdotte del Governo Prodi e soppresse dall'attuale Esecutivo, quali la tracciabilità dei pagamenti e l'elenco clienti fornitori,
impegna il Governo:
a valutare l'opportunità di assumere le opportune iniziative di carattere normativo, ferme restando le prerogative del Parlamento, finalizzate al riordino del trattamento tributario dei redditi di capitale e dei redditi diversi di natura finanziaria, nonché delle gestioni individuali di patrimoni e degli organismi di investimento collettivo mobiliare, e ad apportare modifiche al regime delle ritenute alla fonte sui redditi di capitale o delle imposte sostitutive afferenti i medesimi redditi, con l'esclusione dei redditi derivanti da titoli emessi dallo Stato;
ad approntare una più globale riforma fiscale orientata a tassare meno i fattori produttivi, il lavoro e il capitale, e, maggiormente, i consumi di beni di lusso e le attività speculative, salvaguardando il principio costituzionale della progressività della tassazione in relazione ai livelli effettivi di reddito, tramite l'applicazione di tre aliquote ognuna pari al 20 per cento: una come prima aliquota Irpef per alleggerire il peso fiscale dei redditi medio-bassi; una come aliquota Ires da applicare agli utili societari reinvestiti in azienda e una per la tassazione delle rendite derivanti dalle attività finanziarie speculative.
9/3638/46. (Testo modificato nel corso della seduta) Messina, Barbato, Cambursano, Borghesi.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame, all'articolo 48, introduce alcune novelle al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, (legge fallimentare), con specifico riferimento alla disciplina del concordato preventivo e dell'accordo di ristrutturazione dei debiti;
il comma 2-bis dell'articolo 48, aggiunge alla legge fallimentare l'articolo 217-bis che prevede ipotesi derogatorie di esenzione dai reati di bancarotta e allarga i casi di non punibilità dei reati di bancarotta semplice e fraudolenta nei casi di dissesto finanziario delle aziende;
il nuovo articolo 217-bis prevede una causa di esclusione della punibilità rispetto alle fattispecie di bancarotta semplice e bancarotta fraudolenta, nei casi in cui il fallito esegua pagamenti o operazioni:
1. in esecuzione di un concordato preventivo,
2. in esecuzione di un accordo di ristrutturazione dei debiti,
3. in esecuzione di un piano (previsto dall'articolo 67 legge fallimentare) che appaia idoneo a consentire il risanamento dell'esposizione debitoria dell'impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria e la cui ragionevolezza sia attestata da un professionista iscritto nel registro dei revisori contabili e che abbia i requisiti previsti dall'articolo 28, lettere a) e b) della legge fallimentare, ai sensi dell'articolo 2501-bis, quarto comma, del codice civile;
con il decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito in legge dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, è stata introdotta nell'ambito del diritto fallimentare la figura dell'esperto, che nel concordato preventivo deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano, negli accordi di ristrutturazione l'attuabilità del piano, nel piano di risanamento la ragionevolezza del piano;
la nuova figura professionale è caratterizzata da un'irragionevole disparità dei requisiti richiesti nelle diverse ipotesi introdotte dal legislatore: il professionista dell'articolo 161 deve possedere i requisiti dell'articolo 28 legge fallimentare, l'estensore dell'attestato dei piani di risanamento richiama l'articolo 2501-bis, quarto comma del codice civile, mentre l'esperto degli accordi di ristrutturazione non deve possedere alcuna specifica qualità professionale;
si tratta di una diversificazione priva di ogni giustificazione, anche alla luce del fatto che tali nuove funzioni, alle quali faranno da contraltare nuove responsabilità connesse all'inevitabile espandersi della tutela risarcitoria, richiederanno una nuova figura di professionista, dotato di una maggiore indipendenza rispetto al cliente debitore, di quella «imparzialità» che il delicatissimo ruolo di verificatore ed attestatore della fattibilità, attuabilità o ragionevolezza del piano richiede;
la nomina dell'esperto incaricato di attestare, ai sensi dell'articolo 67, comma 3, lettera d) della legge fallimentare, la ragionevolezza del piano di risanamento dell'esposizione debitoria non compete al Tribunale bensì unicamente all'imprenditore;
inoltre, altro elemento rilevante è l'emarginazione della giurisdizione in merito all'attestato di risanamento che emerge con assoluta nettezza; raggiunge la sua massima espressione, laddove si consideri che non è previsto alcun potere di controllo o di valutazione del piano di salvataggio da parte del giudice se non in una eventuale fase contenziosa, il cui controllo non sarà mai di merito, ma esclusivamente finalizzato a valutare la coerenza dell'atto dispositivo al piano di salvataggio, ovvero la sua irragionevolezza;
a differenza della relazione richiesta per i piani previsti in ipotesi di concordato preventivo, nei casi di cui agli articoli 67, comma 3 (piani di risanamento) e 182-bis (accordi di ristrutturazione), l'esperto non sarà tenuto a fornire alcuna attestazione di veridicità dei dati aziendali. Considerazione quest'ultima che introduce la questione relativa ai profili di responsabilità dell'esperto in caso di successivo fallimento o, comunque, di inadempimento del debitore, sia nei confronti della società che dei creditori. Responsabilità contrattuale nei confronti della società (in caso di fallimento destinata ad essere attratta nella legittimazione esclusiva del curatore) ed extracontrattuale nei confronti dei creditori;
gli accordi di ristrutturazione, presentati come la traduzione italiana del pre-packaged, lasciano forti dubbi in ordine alla loro efficacia rispetto agli obiettivi prefissati. Un primo profilo di debolezza dell'istituto è rappresentato dalla vincolatività di tali accordi, limitata ai soli aderenti, con la conseguenza che viene meno uno dei pilastri dell'omologo istituto statunitense: la protezione dalle azioni esecutive. Un secondo profilo di debolezza è rappresentato dal mancato riconoscimento della prededuzione nel successivo fallimento per l'erogazione di nuova finanza avvenuta nel corso della procedura;
da ultimo non può neppure essere tralasciato il fatto che il legislatore ha completamente omesso di regolamentare le eventuali ripercussioni sul versante penale in caso di successivo fallimento, le possibili responsabilità per concorso in bancarotta preferenziale o per concorso in bancarotta da aggravamento del dissesto conseguente a ritardata richiesta del fallimento ai sensi dell'articolo 217 della legge fallimentare;
il beneficio previsto dall'articolo 67 comma 3, lettera e) non appare di certo sufficiente ad attribuire agli accordi la natura di valido strumento di superamento delle crisi d'impresa, tenuto conto che anche sotto questo profilo, quello relativo agli effetti protettivi nei confronti dei terzi (creditori e non), l'intervento legislativo lascia ampie zone d'ombra, ad esempio, in tema di perdurante responsabilità delle banche ai sensi dell'articolo 2497 del codice civile e, soprattutto, per concessione abusiva di credito,
impegna il Governo:
a valutare l'opportunità di adottare iniziative normative volte a regolare in maniera puntuale gli accordi di ristrutturazione previsti dall'articolo 67 della legge fallimentare, in maniera tale da razionalizzare la normativa vigente con riferimento alla responsabilità delle banche come disciplinata dall'articolo 2497 del codice civile, con particolare riguardo alla concessione abusiva di credito;
a valutare l'opportunità di regolare in materia puntuale i profili di responsabilità dell'esperto in caso di successivo fallimento, o comunque di inadempimento del debitore, sia nei confronti della società che dei creditori.
9/3638/47. Borghesi.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame, all'articolo 48, introduce alcune novelle al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, (legge fallimentare), con specifico riferimento alla disciplina del concordato preventivo e dell'accordo di ristrutturazione dei debiti;
il comma 2-bis dell'articolo 48, aggiunge alla legge fallimentare l'articolo 217-bis che prevede ipotesi derogatorie di esenzione dai reati di bancarotta e allarga i casi di non punibilità dei reati di bancarotta semplice e fraudolenta nei casi di dissesto finanziario delle aziende;
il nuovo articolo 217-bis prevede una causa di esclusione della punibilità rispetto alle fattispecie di bancarotta semplice e bancarotta fraudolenta, nei casi in cui il fallito esegua pagamenti o operazioni:
1. in esecuzione di un concordato preventivo,
2. in esecuzione di un accordo di ristrutturazione dei debiti,
3. in esecuzione di un piano (previsto dall'articolo 67 legge fallimentare) che appaia idoneo a consentire il risanamento dell'esposizione debitoria dell'impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria e la cui ragionevolezza sia attestata da un professionista iscritto nel registro dei revisori contabili e che abbia i requisiti previsti dall'articolo 28, lettere a) e b) della legge fallimentare, ai sensi dell'articolo 2501-bis, quarto comma, del codice civile;
con il decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito in legge dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, è stata introdotta nell'ambito del diritto fallimentare la figura dell'esperto, che nel concordato preventivo deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano, negli accordi di ristrutturazione l'attuabilità del piano, nel piano di risanamento la ragionevolezza del piano;
la nuova figura professionale è caratterizzata da un'irragionevole disparità dei requisiti richiesti nelle diverse ipotesi introdotte dal legislatore: il professionista dell'articolo 161 deve possedere i requisiti dell'articolo 28 legge fallimentare, l'estensore dell'attestato dei piani di risanamento richiama l'articolo 2501-bis, quarto comma del codice civile, mentre l'esperto degli accordi di ristrutturazione non deve possedere alcuna specifica qualità professionale;
si tratta di una diversificazione priva di ogni giustificazione, anche alla luce del fatto che tali nuove funzioni, alle quali faranno da contraltare nuove responsabilità connesse all'inevitabile espandersi della tutela risarcitoria, richiederanno una nuova figura di professionista, dotato di una maggiore indipendenza rispetto al cliente debitore, di quella «imparzialità» che il delicatissimo ruolo di verificatore ed attestatore della fattibilità, attuabilità o ragionevolezza del piano richiede;
la nomina dell'esperto incaricato di attestare, ai sensi dell'articolo 67, comma 3, lettera d) della legge fallimentare, la ragionevolezza del piano di risanamento dell'esposizione debitoria non compete al Tribunale bensì unicamente all'imprenditore;
inoltre, altro elemento rilevante è l'emarginazione della giurisdizione in merito all'attestato di risanamento che emerge con assoluta nettezza; raggiunge la sua massima espressione, laddove si consideri che non è previsto alcun potere di controllo o di valutazione del piano di salvataggio da parte del giudice se non in una eventuale fase contenziosa, il cui controllo non sarà mai di merito, ma esclusivamente finalizzato a valutare la coerenza dell'atto dispositivo al piano di salvataggio, ovvero la sua irragionevolezza;
a differenza della relazione richiesta per i piani previsti in ipotesi di concordato preventivo, nei casi di cui agli articoli 67, comma 3 (piani di risanamento) e 182-bis (accordi di ristrutturazione), l'esperto non sarà tenuto a fornire alcuna attestazione di veridicità dei dati aziendali. Considerazione quest'ultima che introduce la questione relativa ai profili di responsabilità dell'esperto in caso di successivo fallimento o, comunque, di inadempimento del debitore, sia nei confronti della società che dei creditori. Responsabilità contrattuale nei confronti della società (in caso di fallimento destinata ad essere attratta nella legittimazione esclusiva del curatore) ed extracontrattuale nei confronti dei creditori;
gli accordi di ristrutturazione, presentati come la traduzione italiana del pre-packaged, lasciano forti dubbi in ordine alla loro efficacia rispetto agli obiettivi prefissati. Un primo profilo di debolezza dell'istituto è rappresentato dalla vincolatività di tali accordi, limitata ai soli aderenti, con la conseguenza che viene meno uno dei pilastri dell'omologo istituto statunitense: la protezione dalle azioni esecutive. Un secondo profilo di debolezza è rappresentato dal mancato riconoscimento della prededuzione nel successivo fallimento per l'erogazione di nuova finanza avvenuta nel corso della procedura;
da ultimo non può neppure essere tralasciato il fatto che il legislatore ha completamente omesso di regolamentare le eventuali ripercussioni sul versante penale in caso di successivo fallimento, le possibili responsabilità per concorso in bancarotta preferenziale o per concorso in bancarotta da aggravamento del dissesto conseguente a ritardata richiesta del fallimento ai sensi dell'articolo 217 della legge fallimentare;
il beneficio previsto dall'articolo 67 comma 3, lettera e) non appare di certo sufficiente ad attribuire agli accordi la natura di valido strumento di superamento delle crisi d'impresa, tenuto conto che anche sotto questo profilo, quello relativo agli effetti protettivi nei confronti dei terzi (creditori e non), l'intervento legislativo lascia ampie zone d'ombra, ad esempio, in tema di perdurante responsabilità delle banche ai sensi dell'articolo 2497 del codice civile e, soprattutto, per concessione abusiva di credito,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di adottare iniziative normative volte a regolare in maniera puntuale gli accordi di ristrutturazione previsti dall'articolo 67 della legge fallimentare, in maniera tale da razionalizzare la normativa vigente con riferimento alla responsabilità delle banche come disciplinata dall'articolo 2497 del codice civile, con particolare riguardo alla concessione abusiva di credito.
9/3638/47. (Testo modificato nel corso della seduta) Borghesi.
La Camera,
premesso che:
anche se il 21 luglio scorso il Ministro dell'economia dichiarava che: «è stato fatto uno sciopero contro il blocco del turn-over nella sanità ma il blocco non c'è», e che su tale posizione si è allineato anche il Ministro della Salute, in realtà è arduo individuare all'interno del testo della manovra correttiva, l'esclusione dei medici dal suddetto blocco del turn-over, come dichiarato dai due ministri;
rimane comunque il dato che al blocco del turn-over del personale medico, che riguarda oltre 20.000 medici non sostituiti, si aggiunge la inevitabile certezza del «licenziamento» del 50 per cento dei precari (articolo 9, comma 28), che sono prevalentemente impegnati nelle attività di Pronto Soccorso e in altre importanti attività dei servizi sanitari ospedalieri e territoriali. Il previsto taglio al ricorso ai contratti di lavoro atipici, ha infatti effetti ancora più pesanti in un settore, quale quello della sanità, dove la presenza e il ruolo dei lavoratori precari è fondamentale. La prima conseguenza sarà inevitabilmente sulla riduzione quantitativa e qualitativa delle prestazioni erogate con aumento dei tempi di attesa dei cittadini;
a tal proposito, sono circa 12 mila i medici assunti con contratto a tempo determinato, e molti servizi sanitari che gestiscono l'emergenza si reggono principalmente proprio sui suddetti precari. Il Pronto soccorso della periferia romana e della provincia, per esempio, sono retti al 50 per cento da personale medico e infermieristico precario. Ma è a rischio anche l'assistenza sanitaria in carcere in conseguenza del fatto che, su 5.500 addetti, circa 5.000 sono precari; così come l'area della prevenzione veterinaria con 1.200 veterinari precari a fronte dei circa 6.000 dirigenti contrattualizzati;
a quanto suesposto, va aggiunto il previsto blocco contrattuale per i dipendenti pubblici ed il mancato riconoscimento degli aumenti stipendiali - fino a 40.000 euro in meno per i più giovani nei 4 anni di blocco contrattuale; che avrà come probabile conseguenza la «fuga di massa» delle professionalità sanitarie italiane dal Sistema Sanitario Nazionale, impoverendo ancora di più le strutture e i servizi sanitari del nostro Paese;
l'Allegato 1 al disegno di legge in esame prevede inoltre un taglio per il Ministero della salute, di 13,7 milioni di euro per l'anno 2011, di 14,10 milioni di euro per l'anno 2012, e di 14,1 milioni di euro per l'anno 2013;
per quanto riguarda inoltre il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il medesimo Allegato 1, impone un taglio di 175 mila euro (256 mila euro nel 2013) per i diritti sociali, politiche sociali e famiglia, e 11 mila euro per le politiche dell'immigrazione, accoglienza e garanzia dei diritti, per ciascun anno del triennio 2011-2013;
il taglio pesantissimo dei trasferimenti alle Regioni, porterà inoltre, fin da subito, ad una riduzione dei servizi di assistenza alla persona e dei servizi sociali a forte componente sanitaria (disabilità, non autosufficienza, assistenza domiciliare, ecc.);
ciò che risulta evidente in questa manovra economica è che il comparto sanità è tra i più colpiti, concorrendo alla riduzione della spesa pubblica per 1,2 miliardi di euro a partire dal 2012. Di questi, circa 628 milioni di euro sono recuperati da tagli al personale sanitario e la restante parte, per un ammontare pari a 600 milioni di euro a regime, da tagli alla spesa farmaceutica;
il provvedimento in esame, dispone inoltre che l'Aifa, provveda a individuare, fra i medicinali a carico della spesa farmaceutica ospedaliera, quelli che, in quanto utilizzabili sia in ambito ambulatoriale che domiciliare, debbano essere invece erogati attraverso l'assistenza farmaceutica territoriale per un importo annuo di 600 milioni di euro. Detta previsione può tuttavia presentare dei rischi per l'effettiva continuità e qualità di cura di patologie anche molto gravi, come per esempio l'Aids e il cancro, laddove vengono somministrati alcuni farmaci che presentano spesso una serie di effetti collaterali che non possono essere sottovalutati. La prevista dispensazione in farmacia territoriale potrebbe quindi indurre i pazienti in erronee valutazioni della «sicurezza» di questi farmaci e portare a variazioni della somministrazione che potrebbero avere effetti anche molto seri;
gravissima è inoltre la previsione contenuta ai commi 13 e 14, dell'articolo 11, concernente gli indennizzi a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati, ovvero di contagio da persone rientranti nelle suddette fattispecie;
in base alla normativa in vigore, tali soggetti hanno diritto ad un assegno per 15 anni più un assegno una tantum per il periodo compreso tra il manifestarsi dell'evento dannoso e il conseguimento dell'indennizzo summenzionato. L'assegno quindicennale è quindi integrato da una somma corrispondente all'importo dell'indennità integrativa speciale, prevista per la prima qualifica funzionale degli impiegati civili dello Stato;
il comma 13 esclude in modo inaccettabile che tale importo integrativo sia rivalutato in relazione al tasso di inflazione al contrario dell'assegno suddetto, che è adeguato in base al tasso di inflazione programmato. Come se non bastasse, tale esclusione ha carattere di interpretazione autentica ed ha quindi, effetto retroattivo. Inoltre, il successivo comma 14 fa salvi solamente gli effetti delle sentenze passate in giudicato, limitatamente a periodi anteriori alla data di entrata in vigore del decreto-legge in esame. Ne consegue invece che, per eventuali cause e procedimenti ancora in corso, o in caso di provvedimenti emanati e finalizzati al riconoscimento della rivalutazione della suddetta indennità integrativa speciale, si applica questa norma e quindi non si riconosce detta rivalutazione;
come evidente, si tratta di una vera ingiustizia a danno di persone che già hanno subito pesanti conseguenze a seguito di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati che sono state danneggiate, in qualche modo, dallo Stato stesso. Il non voler riconoscere alla suddetta indennità alcuna rivalutazione, comporta inevitabilmente che, tra qualche anno, detta indennità integrativa - già irrisoria - sarà praticamente azzerata, perché erosa dall'inflazione,
impegna il Governo:
a esplicitare con chiarezza che il previsto il blocco del turn-over non si applica al settore della sanità, così come ribadito dal Ministro dell'economia e dal Ministro della Salute;
a valutare l'opportunità di contenere il previsto taglio del 50 per cento dei precari al personale medico e infermieristico impiegato nelle strutture ospedaliere con particolare riferimento ai lavoratori impegnati nelle attività di Pronto Soccorso e in altre importanti attività dei servizi sanitari ospedalieri e territoriali;
a verificare con le regioni la coerenza delle disposizioni introdotte dal decreto legge in esame con i contenuti del Patto della Salute di cui alla legge n. 191 del 2009, valutando, in questo ambito, l'opportunità di rifinanziare le risorse a favore dell'edilizia sanitaria, come previste dal medesimo Patto che garantiva l'incremento di 1 miliardo di euro per gli investimenti finalizzati all'adeguamento strutturale e tecnologico del SSN;
a provvedere al rifinanziamento del fondo per le non autosufficienze, e individuando le opportune risorse per garantire quei servizi socio-assistenziali indispensabili, fortemente compromessi dalla drastica riduzione dei trasferimenti alle Regioni;
a prevedere le opportune forme di vigilanza affinché il previsto passaggio dall'ospedale alla farmacia di molti farmaci oggi di uso esclusivo ospedaliero, non metta a rischio l'accesso e l'effettiva continuità e qualità della cura di patologie anche molto gravi, nonché di verificare la piena disponibilità dei medesimi farmaci a livello di farmacia territoriale.
9/3638/48. Palagiano, Mura, Borghesi, Cambursano.
La Camera,
premesso che:
dopo la pesante sforbiciata inflitta al comparto della Polizia di Stato dalla legge n. 133 del 2008 - meno 492 milioni di euro - il provvedimento in titolo taglia ulteriormente le risorse del 10 per cento - meno 65 milioni di euro - per un totale di 557 mln di riduzione, pari al 35 per cento del bilancio per il 2011;
risalendo all'ultimo disegno di legge di bilancio, la missione «Ordine pubblico e sicurezza» del Ministero dell'interno è quella che registrava l'unico segno negativo che neanche la somma algebrica delle variazioni di segno diverso dei diversi programmi ha potuto compensare (l'entità della riduzione ammontava a circa 270 milioni di euro, pari al 3,46 per cento delle risorse);
le priorità «elettorali» assegnate alla sicurezza e all'ordine pubblico, i riconoscimenti pubblici del Governo verso ogni singolo operatore di polizia per i numerosi risultati conseguiti nella lotta al crimine ed alla mafie appaiono incongruenti ed improvvidi, ove misurati sui fatti;
la ricaduta effettiva dei tagli è molto pesante per il comparto, non solo in materia di riconoscimenti economici, ma soprattutto sulle strutture e sulle risorse strumentali: è già prevista la chiusura di diversi Commissariati, tra i primi sacrificati comparirebbe quello di Chiaiano, in provincia di Napoli, vicino alla discarica, insieme a due Centri di formazione (Scuola di Campobasso e Centro di formazione linguistica di Milano); oltre il 60 per cento delle imbarcazioni, degli aerei e degli elicotteri operativi della polizia sono a terra per mancanza di manutenzione, di pezzi di ricambio, di carburanti; il fondo per l'acquisto di pistole, munizioni, giubbotti antiproiettile, armamenti per i Nocs è stato tagliato dell'80 per cento;
i tagli e le riduzioni di spesa previste per il comparto della polizia non possono ritenersi adeguati all'attuazione dei programmi volti al contrasto della criminalità ed alla tutela dei cittadini e del territorio, oltre che di efficace prevenzione in ordine ai reati;
le risorse economico-strumentali a concreta disposizione delle forze di polizia non possono che ritenersi lontane ed inadeguate rispetto alle esigenze indicate e ciò è strettamente connesso con il rispetto e la dignità delle medesime,
impegna il Governo
a rimodulare, nei termini e con le modalità disposti dall'articolo 2 del decreto-legge in esame, le dotazioni finanziarie delle missioni di spesa del Ministero dell'interno e del Ministero dell'economia e delle finanze in modo da ripristinare, almeno in parte, le risorse della missione 007 - Ordine pubblico e sicurezza.
9/3638/49. Paladini, Borghesi, Cambursano.
La Camera,
premesso che:
dopo la pesante sforbiciata inflitta al comparto della Polizia di Stato dalla legge n. 133 del 2008 - meno 492 milioni di euro - il provvedimento in titolo taglia ulteriormente le risorse del 10 per cento - meno 65 milioni di euro - per un totale di 557 mln di riduzione, pari al 35 per cento del bilancio per il 2011;
risalendo all'ultimo disegno di legge di bilancio, la missione «Ordine pubblico e sicurezza» del Ministero dell'interno è quella che registrava l'unico segno negativo che neanche la somma algebrica delle variazioni di segno diverso dei diversi programmi ha potuto compensare (l'entità della riduzione ammontava a circa 270 milioni di euro, pari al 3,46 per cento delle risorse);
le priorità «elettorali» assegnate alla sicurezza e all'ordine pubblico, i riconoscimenti pubblici del Governo verso ogni singolo operatore di polizia per i numerosi risultati conseguiti nella lotta al crimine ed alla mafie appaiono incongruenti ed improvvidi, ove misurati sui fatti;
la ricaduta effettiva dei tagli è molto pesante per il comparto, non solo in materia di riconoscimenti economici, ma soprattutto sulle strutture e sulle risorse strumentali: è già prevista la chiusura di diversi Commissariati, tra i primi sacrificati comparirebbe quello di Chiaiano, in provincia di Napoli, vicino alla discarica, insieme a due Centri di formazione (Scuola di Campobasso e Centro di formazione linguistica di Milano); oltre il 60 per cento delle imbarcazioni, degli aerei e degli elicotteri operativi della polizia sono a terra per mancanza di manutenzione, di pezzi di ricambio, di carburanti; il fondo per l'acquisto di pistole, munizioni, giubbotti antiproiettile, armamenti per i Nocs è stato tagliato dell'80 per cento;
i tagli e le riduzioni di spesa previste per il comparto della polizia non possono ritenersi adeguati all'attuazione dei programmi volti al contrasto della criminalità ed alla tutela dei cittadini e del territorio, oltre che di efficace prevenzione in ordine ai reati;
le risorse economico-strumentali a concreta disposizione delle forze di polizia non possono che ritenersi lontane ed inadeguate rispetto alle esigenze indicate e ciò è strettamente connesso con il rispetto e la dignità delle medesime,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di rimodulare, nei termini e con le modalità disposti dall'articolo 2 del decreto-legge in esame, le dotazioni finanziarie delle missioni di spesa del Ministero dell'interno e del Ministero dell'economia e delle finanze in modo da ripristinare, almeno in parte, le risorse della missione 007 - Ordine pubblico e sicurezza.
9/3638/49. (Testo modificato nel corso della seduta) Paladini, Borghesi, Cambursano.
La Camera,
premesso che:
il comma 14 dell'articolo 6 dispone una riduzione pari al 20 per cento delle spese sostenute nel 2009 dalle amministrazioni pubbliche per «l'acquisto, la manutenzione, il noleggio e l'esercizio di autovetture, nonché per l'acquisto di buoni taxi»;
l'Italia detiene l'assurdo primato del maggior numero di auto di rappresentanza: sarebbero, secondo le stime del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, oltre 90.000; al secondo posto, ma piuttosto distanziati, gli Stati Uniti d'America, con 72.000, seguiti dalla Francia, con 63.000, al quarto posto il Regno Unito con 56.000, la Germania con 55.000, la Turchia con 51.000, la Spagna con 42.000, il Giappone con 30.000, la Grecia con 30.000;
nel primo trimestre del 2010, l'aumento del numero delle auto blu è proseguito con un trend positivo pari a + 0,6 punti percentuali, nonostante una disposizione che fin dal 1991 ne limita l'uso ai soli ministri, sottosegretari e ad alcuni direttori generali;
il costo complessivo di queste autovetture - sempre secondo lo stesso Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione - è di oltre 4 miliardi di euro l'anno, di cui un miliardo per consumi, assicurazione, manutenzione e noleggi, gli altri tre miliardi sono spesi per gli addetti al parco auto;
pur nella consapevolezza dei costi intrinseci e di funzionamento della democrazia, non di meno è bene riconoscere l'uso proprio ed efficiente dall'abuso degli strumenti e dei simboli della rappresentanza, in particolare verso quelli che risultano particolarmente invisi ai cittadini, nel momento in cui sono richiesti loro enormi sacrifici e la dignità delle istituzioni risulta adombrata;
le misure di razionalizzazione dei costi delle istituzioni, ove attuate con severità ed efficacia, possono assolvere compiti di varia natura - sollievo per le casse statali, riavvicinamento della «casta» ai cittadini, liberazione di risorse per altri e primari settori in sofferenza, cui l'azione di governo potrebbe destinare maggiori risorse, quali la sicurezza e la giustizia,
impegna il Governo:
ad intervenire in maniera ben più decisa, nella predisposizione del disegno di legge di bilancio, sulla riduzione delle spese sostenute dalle amministrazioni pubbliche per l'acquisto, la manutenzione, il noleggio e l'esercizio di autovetture, nonché per l'acquisto di buoni taxi, disponendo una percentuale di riduzione pari almeno al 70 per cento, mantenendo le medesime esclusioni inerenti il Corpo dei vigili del fuoco ed i servizi di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblici;
a valutare, inoltre, l'opportunità di introdurre il divieto, per tutte le amministrazioni pubbliche, di noleggio di autovetture con autista.
9/3638/50. Scilipoti, Borghesi, Cambursano.
La Camera,
premesso che:
il comma 14 dell'articolo 6 dispone una riduzione pari al 20 per cento delle spese sostenute nel 2009 dalle amministrazioni pubbliche per «l'acquisto, la manutenzione, il noleggio e l'esercizio di autovetture, nonché per l'acquisto di buoni taxi»;
l'Italia detiene l'assurdo primato del maggior numero di auto di rappresentanza: sarebbero, secondo le stime del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, oltre 90.000; al secondo posto, ma piuttosto distanziati, gli Stati Uniti d'America, con 72.000, seguiti dalla Francia, con 63.000, al quarto posto il Regno Unito con 56.000, la Germania con 55.000, la Turchia con 51.000, la Spagna con 42.000, il Giappone con 30.000, la Grecia con 30.000;
nel primo trimestre del 2010, l'aumento del numero delle auto blu è proseguito con un trend positivo pari a + 0,6 punti percentuali, nonostante una disposizione che fin dal 1991 ne limita l'uso ai soli ministri, sottosegretari e ad alcuni direttori generali;
il costo complessivo di queste autovetture - sempre secondo lo stesso Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione - è di oltre 4 miliardi di euro l'anno, di cui un miliardo per consumi, assicurazione, manutenzione e noleggi, gli altri tre miliardi sono spesi per gli addetti al parco auto;
pur nella consapevolezza dei costi intrinseci e di funzionamento della democrazia, non di meno è bene riconoscere l'uso proprio ed efficiente dall'abuso degli strumenti e dei simboli della rappresentanza, in particolare verso quelli che risultano particolarmente invisi ai cittadini, nel momento in cui sono richiesti loro enormi sacrifici e la dignità delle istituzioni risulta adombrata;
le misure di razionalizzazione dei costi delle istituzioni, ove attuate con severità ed efficacia, possono assolvere compiti di varia natura - sollievo per le casse statali, riavvicinamento della «casta» ai cittadini, liberazione di risorse per altri e primari settori in sofferenza, cui l'azione di governo potrebbe destinare maggiori risorse, quali la sicurezza e la giustizia,
impegna il Governo:
a valutare l'opportunità di intervenire in maniera ben più decisa, nella predisposizione del disegno di legge di bilancio, sulla riduzione delle spese sostenute dalle amministrazioni pubbliche per l'acquisto, la manutenzione, il noleggio e l'esercizio di autovetture, nonché per l'acquisto di buoni taxi, disponendo una percentuale di riduzione pari almeno al 70 per cento, mantenendo le medesime esclusioni inerenti il Corpo dei vigili del fuoco ed i servizi di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblici;
a valutare, inoltre, l'opportunità di introdurre il divieto, per tutte le amministrazioni pubbliche, di noleggio di autovetture con autista.
9/3638/50. (Testo modificato nel corso della seduta) Scilipoti, Borghesi, Cambursano.
La Camera,
premesso che:
secondo attendibili dati di fonte Banca d'Italia, il cuneo fiscale sul lavoro è di circa 5 punti superiore alla media degli altri Paesi dell'area dell'Euro, mentre il prelievo sui redditi da lavoro più bassi e quello sulle imprese, inclusa l'Irap, è più elevato di 6 punti;
tale condizione di svantaggio competitivo deriva anche dall'evasione fiscale, stimata, seppure approssimativamente con riguardo all'Iva intorno al 30 per cento della base imponibile (pari a circa 2 punti di Pil),
impegna il Governo
ad eliminare dal novero degli strumenti di politica finanziaria misure di condono, anche nella forma più deleteria dello «Scudo Fiscale», ad assumere la questione dell'evasione fiscale come questione nazionale, nonché a promuovere la costituzione di un Tavolo Paritetico con le forze dell'opposizione per l'elaborazione di un Piano di Intervento di cadenza annuale.
9/3638/51. Calearo Ciman.
La Camera,
premesso che:
secondo attendibili dati di fonte Banca d'Italia, il cuneo fiscale sul lavoro è di circa 5 punti superiore alla media degli altri Paesi dell'area dell'Euro, mentre il prelievo sui redditi da lavoro più bassi e quello sulle imprese, inclusa l'Irap, è più elevato di 6 punti;
tale condizione di svantaggio competitivo deriva anche dall'evasione fiscale, stimata, seppure approssimativamente con riguardo all'Iva intorno al 30 per cento della base imponibile (pari a circa 2 punti di Pil),
impegna il Governo
a continuare ad assumere la questione dell'evasione fiscale come questione prioritaria nazionale.
9/3638/51. (Testo modificato nel corso della seduta) Calearo Ciman.
La Camera,
premesso che:
la scelta sistematica di penalizzare i Comuni con continui tagli ed imponendo vincoli relativi al patto di stabilità che limitano gli investimenti esclude il ruolo fondamentale che essi hanno nel rilancio dell'economia, soprattutto in tempi di pesante crisi economica ed occupazionale, in quanto i Comuni, investendo ogni anno risorse sul territorio, favoriscono le imprese e la creazione di posti di lavoro e, al tempo stesso, garantiscono ai cittadini una serie di servizi fondamentali, con particolare attenzione alle fasce meno abbienti ed a rischio emarginazione;
l'entità dei nuovi tagli ai trasferimenti erariali a beneficio dei Comuni, che già dispongono di pochissime risorse a causa della mancata copertura del gettito ICI eliminato dal Governo e della crisi edilizia con la conseguente contrazione degli oneri di urbanizzazione, oltre a colpire indistintamente anche quelli che si impegnano responsabilmente ad attuare politiche di rigore e di buon governo, obbligherà i Comuni a ridurre in qualità e quantità molti servizi essenziali a favore dei cittadini e, per far quadrare i conti, ad aumentare le quote di costo a carico delle famiglie che, già duramente colpite insieme alle fasce sociali più deboli dalla crisi economica in corso, saranno ancora una volta le sole a farne le spese,
impegna il Governo
ad adottare iniziative normative volte ad alleggerire, per i Comuni fino a 10.000 abitanti, i vincoli e le restrizioni del patto di stabilità, onde consentire loro di attuare i compiti istituzionali, di assicurare i servizi essenziali, di garantire la sicurezza e la vigilanza municipale e di realizzare le opere di manutenzione, di custodia e di pulizia della viabilità.
9/3638/52. Giorgio Merlo, Pes.
La Camera,
premesso che:
la scelta sistematica di penalizzare i Comuni con continui tagli ed imponendo vincoli relativi al patto di stabilità che limitano gli investimenti esclude il ruolo fondamentale che essi hanno nel rilancio dell'economia, soprattutto in tempi di pesante crisi economica ed occupazionale, in quanto i Comuni, investendo ogni anno risorse sul territorio, favoriscono le imprese e la creazione di posti di lavoro e, al tempo stesso, garantiscono ai cittadini una serie di servizi fondamentali, con particolare attenzione alle fasce meno abbienti ed a rischio emarginazione;
l'entità dei nuovi tagli ai trasferimenti erariali a beneficio dei Comuni, che già dispongono di pochissime risorse a causa della mancata copertura del gettito ICI eliminato dal Governo e della crisi edilizia con la conseguente contrazione degli oneri di urbanizzazione, oltre a colpire indistintamente anche quelli che si impegnano responsabilmente ad attuare politiche di rigore e di buon governo, obbligherà i Comuni a ridurre in qualità e quantità molti servizi essenziali a favore dei cittadini e, per far quadrare i conti, ad aumentare le quote di costo a carico delle famiglie che, già duramente colpite insieme alle fasce sociali più deboli dalla crisi economica in corso, saranno ancora una volta le sole a farne le spese,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di adottare iniziative normative volte ad alleggerire, per i Comuni fino a 10.000 abitanti, i vincoli e le restrizioni del patto di stabilità, onde consentire loro di attuare i compiti istituzionali, di assicurare i servizi essenziali, di garantire la sicurezza e la vigilanza municipale e di realizzare le opere di manutenzione, di custodia e di pulizia della viabilità.
9/3638/52. (Testo modificato nel corso della seduta) Giorgio Merlo, Pes.
La Camera,
premesso che:
nel periodo 2000-2008, secondo i dati Svimez, il Mezzogiorno è cresciuto la metà del Centro-Nord; questa condizione ingiusta sulla quale le politiche pubbliche si sono dimostrate tradizionalmente fallimentari produce impropriamente conseguenze politiche nazionali;
i programmi operativi nazionali e i programmi operativi regionali non si sono dimostrati sufficienti a contrastare le cause profonde del ritardo dello sviluppo;
le politiche di coesione soffrono loro malgrado di un male interno costituito da ciò che può definirsi «distanza morale» dal Mezzogiorno d'Italia;
alla luce delle osservazioni Svimez il peggior andamento del Mezzogiorno deriva da una ridotta efficacia della politica regionale di sviluppo, nazionale e comunitaria conseguente ad una dimensione della spesa pubblica per investimenti inferiore al necessario ed a quanto programmato; l'inefficacia degli interventi è derivata dalla loro scarsa qualità a causa della dispersione delle risorse, della preferenza per le domande localistiche, per la scadente progettazione e realizzazione degli interventi,
impegna il Governo
a sostenere le previste azioni regionali di riduzione e/o azzeramento dell'aliquota Irap alle imprese che avviano nuove attività al Sud affiancandole con politiche della produzione al cui interno siano chiaramente ravvisabili le opzioni meridionalistiche, prevedendo altresì sanzioni risarcitorie per il territorio del Mezzogiorno ove le iniziative suddette siano aggirate dai singoli operatori pubblici e privati.
9/3638/53. Cesario.
La Camera,
premesso che:
nel periodo 2000-2008, secondo i dati Svimez, il Mezzogiorno è cresciuto la metà del Centro-Nord; questa condizione ingiusta sulla quale le politiche pubbliche si sono dimostrate tradizionalmente fallimentari produce impropriamente conseguenze politiche nazionali;
i programmi operativi nazionali e i programmi operativi regionali non si sono dimostrati sufficienti a contrastare le cause profonde del ritardo dello sviluppo;
le politiche di coesione soffrono loro malgrado di un male interno costituito da ciò che può definirsi «distanza morale» dal Mezzogiorno d'Italia;
alla luce delle osservazioni Svimez il peggior andamento del Mezzogiorno deriva da una ridotta efficacia della politica regionale di sviluppo, nazionale e comunitaria conseguente ad una dimensione della spesa pubblica per investimenti inferiore al necessario ed a quanto programmato; l'inefficacia degli interventi è derivata dalla loro scarsa qualità a causa della dispersione delle risorse, della preferenza per le domande localistiche, per la scadente progettazione e realizzazione degli interventi,
impegna il Governo
a sostenere, se le condizioni di finanza pubblica lo consentono, le previste azioni regionali di riduzione e/o azzeramento dell'aliquota Irap alle imprese che avviano nuove attività al Sud affiancandole con politiche della produzione al cui interno siano chiaramente ravvisabili le opzioni meridionalistiche, prevedendo altresì sanzioni risarcitorie per il territorio del Mezzogiorno ove le iniziative suddette siano aggirate dai singoli operatori pubblici e privati.
9/3638/53. (Testo modificato nel corso della seduta) Cesario.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame contiene misure che intervengono su materie attinenti i trattamenti pensionistici;
tali misure in materia previdenziale contribuiscono a stabilizzare ulteriormente il sistema e a contenere gli effetti della crisi per quanto riguarda l'incidenza della spesa pensionistica sul PIL,
impegna il Governo:
a valutare l'opportunità di adottare iniziative normative - appena lo consentiranno le condizioni di finanza pubblica - che includano tra i soggetti nei cui confronti continuano ad applicarsi, in deroga, le disposizioni in materia di decorrenza dei trattamenti pensionistici vigenti prima della data di entrata in vigore del decreto-legge in esame, anche i lavoratori dipendenti che abbiano aderito ad un piano individuale incentivato di esodo con cessazione del rapporto di lavoro entro il 30 aprile 2010 (purché in attuazione di atti o accordi stipulati prima di tale data), nonché i lavoratori che, entro il 30 aprile 2010, siano stati autorizzati alla prosecuzione volontaria della contribuzione sociale a fini pensionistici da parte delle gestioni di previdenza obbligatoria a cui sono iscritti e abbiano in corso il versamento delle relative rate mensili e i soggetti che si trovino, alla medesima data, in stato di disoccupazione;
ad ampliare - ove se ne manifesti la necessità al fine di garantire uniformità di trattamento - il tetto di 10.000 domande riferito ai casi di mobilità di cui all'articolo 12 commi 5 e 6 del disegno di legge in esame.
9/3638/54. Pelino, Cazzola, Vincenzo Antonio Fontana, Antonino Foti, Mottola, Saltamartini, Ceccacci Rubino, Mannucci.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame contiene misure che intervengono su materie attinenti i trattamenti pensionistici;
tali misure in materia previdenziale contribuiscono a stabilizzare ulteriormente il sistema e a contenere gli effetti della crisi per quanto riguarda l'incidenza della spesa pensionistica sul PIL,
impegna il Governo:
a valutare l'opportunità di adottare iniziative normative - appena lo consentiranno le condizioni di finanza pubblica - che includano tra i soggetti nei cui confronti continuano ad applicarsi, in deroga, le disposizioni in materia di decorrenza dei trattamenti pensionistici vigenti prima della data di entrata in vigore del decreto-legge in esame, anche i lavoratori dipendenti che abbiano aderito ad un piano individuale incentivato di esodo con cessazione del rapporto di lavoro entro il 30 aprile 2010 (purché in attuazione di atti o accordi stipulati prima di tale data), nonché i lavoratori che, entro il 30 aprile 2010, siano stati autorizzati alla prosecuzione volontaria della contribuzione sociale a fini pensionistici da parte delle gestioni di previdenza obbligatoria a cui sono iscritti e abbiano in corso il versamento delle relative rate mensili e i soggetti che si trovino, alla medesima data, in stato di disoccupazione;
a valutare l'opportunità di ampliare - ove se ne manifesti la necessità al fine di garantire uniformità di trattamento - il tetto di 10.000 domande riferito ai casi di mobilità di cui all'articolo 12 commi 5 e 6 del disegno di legge in esame.
9/3638/54. (Testo modificato nel corso della seduta) Pelino, Cazzola, Vincenzo Antonio Fontana, Antonino Foti, Mottola, Saltamartini, Ceccacci Rubino, Mannucci.
La Camera,
premesso che:
il comma 33 dell'articolo 14 del disegno di legge in esame, stabilisce che la tariffa per la gestione dei rifiuti urbani prevista dall'articolo 238 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, (codice dell'ambiente), non ha natura tributaria e che le controversie in ordine a tale tariffa rientrano nella giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria;
il comma 11 dell'articolo 238 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 prevede che, sino alla emanazione del regolamento attuativo adottato dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e fino al compimento degli adempimenti per l'applicazione della tariffa, continuano ad applicarsi le discipline regolamentari vigenti;
sino all'emanazione del regolamento attuativo permane vigente la tariffa di igiene ambientale istituita con il decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22;
ai sensi dell'articolo 5, comma 2-quater, del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 208, convertito in legge dalla legge 27 febbraio 2009, n. 13, i Comuni, a decorrere dal 30 giugno 2010, in assenza del regolamento adottato dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, possono istituire la tariffa di igiene ambientale ai sensi delle disposizioni legislative e regolamentari vigenti;
sussiste l'assimilazione tra la natura della tariffa istituita con il decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e la tariffa prevista dall'articolo 238 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152,
impegna il Governo
affinché la disposizione contenuta al comma 33 dell'articolo 14 del disegno di legge in esame sia interpretata nel senso che la stessa trova applicazione, sino all'entrata in vigore della tariffa per la gestione dei rifiuti urbani prevista dall'articolo 238 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, anche con riguardo alla tariffa di igiene ambientale istituita con il decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22.
9/3638/55. Murgia.
La Camera,
premesso che:
in occasione del 150o anniversario dell'Unità d'Italia sono state stanziate considerevoli risorse economiche per l'organizzazione di importanti e importanti eventi celebrativi, nonché per la realizzazione e il restauro di opere, anche infrastrutturali, di carattere culturale e artistico;
il comma 4 dell'articolo 55 del disegno di legge in esame prevede un'integrazione di 18,5 milioni di euro per l'anno 2010 del fondo per il funzionamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri finalizzata alle manifestazioni connesse alle celebrazioni del 150o anniversario dell'Unità d'Italia;
numerosi monumenti risorgimentali di rilevante interesse culturale ed artistico, come, ad esempio, il monumento funerario sito al Verano dedicato a Goffredo Mameli e la tomba monumentale sita al Gianicolo dedicata ad Anita Garibaldi, per citarne alcuni, oltre a numerose opere erette in Italia, necessitano di urgenti interventi di recupero;
le celebrazioni dei 150 anni dell'Unità d'Italia, offriranno la possibilità di apprezzare opere artistiche e culturali dedicate ai Padri risorgimentali, e saranno un'occasione unica per avviare una profonda riflessione sull'identità nazionale del nostro Popolo, rafforzando i valori di spirito patriottico e il profondo legame alla Nazione che hanno animato il processo storico dell'Unità d'Italia,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di destinare adeguate risorse già stanziate per le celebrazioni del 150o Anniversario dell'Unità d'Italia ad interventi di recupero e ripristino di opere monumentali ed artistiche dedicate al Risorgimento d'Italia.
9/3638/56. Frassinetti.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame contiene misure in materia previdenziale che contribuiscono a stabilizzare ulteriormente il sistema e a contenere gli effetti della crisi per quanto riguarda l'incidenza della spesa pensionistica sul PIL,
impegna il Governo
a valutare, entro la fine della legislatura, l'opportunità di adottare iniziative normative volte a ripristinare, nel sistema contributivo, criteri e modalità di pensionamento flessibile per tipologia e genere all'interno di un range che assuma come soglia minima di pensionamento i requisiti anagrafici raggiunti nel sistema retributivo e sia coordinato con le normative riguardanti l'aggancio automatico all'incremento dell'attesa di vita e l'aggiornamento dei coefficienti di trasformazione, allo scopo di conciliare un incremento graduale dell'età effettiva di pensionamento - in linea con le dinamiche demografiche - e le propensioni delle persone.
9/3638/57. Lorenzin, Cazzola, Barani.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame contiene misure in materia previdenziale che contribuiscono a stabilizzare ulteriormente il sistema e a contenere gli effetti della crisi per quanto riguarda l'incidenza della spesa pensionistica sul PIL,
impegna il Governo
a valutare, entro la fine della legislatura, se le condizioni di finanza pubblica lo consentono, l'opportunità di adottare iniziative normative volte a ripristinare, nel sistema contributivo, criteri e modalità di pensionamento flessibile per tipologia e genere all'interno di un range che assuma come soglia minima di pensionamento i requisiti anagrafici raggiunti nel sistema retributivo e sia coordinato con le normative riguardanti l'aggancio automatico all'incremento dell'attesa di vita e l'aggiornamento dei coefficienti di trasformazione, allo scopo di conciliare un incremento graduale dell'età effettiva di pensionamento - in linea con le dinamiche demografiche - e le propensioni delle persone.
9/3638/57. (Testo modificato nel corso della seduta) Lorenzin, Cazzola, Barani.
La Camera,
premesso che:
tutte le amministrazioni dello Stato devono essere chiamate ad una comune operazione-risparmio al fine di contenere i costi pubblici che negli ultimi anni sembrano essere fuori controllo e la cui riduzione appare necessaria per il rilancio economico e produttivo del Paese;
all'interno di questa manovra un ruolo importante è quello svolto dagli Enti Locali e particolarmente dai Comuni;
in passato, l'atteggiamento delle amministrazioni comunali nel riguardo della spesa pubblica è stato molto diversificato confermando che molti comuni hanno tenuto in ordine i loro conti seguendo ed applicando i previsti patti di stabilità ed applicando parametri di obbiettiva buona amministrazione, mentre altri comuni hanno creato deficit a volte molto pensanti pur spesso in presenza di un sostanziale spreco delle risorse pubbliche;
non sarebbe pertanto corretto considerare tutte le amministrazioni locali alla stessa stregua, senza tener conto di chi in passato ha già fatto sacrifici e chi invece ha scialato o sprecato pubbliche risorse,
impegna il Governo:
a sviluppare sistemi di controllo della spesa locale tesi a premiare le amministrazioni che seguano i piani di contenimento della spesa generale, obbligando invece nel contempo - tramite una riduzione dei trasferimenti - le amministrazioni «sprecone» a ridurre le loro spese generali, di personale e, più in generale, affinché contengano le spese;
a considerare l'applicazione di equi «costi standard» come elemento capace di dare una stabilità al sistema ed una equità ai trasferimenti;
a concedere agli enti locali che applichino politiche virtuose la libertà di poter più liberamente accedere al credito per investimenti, dando così vita ad un sistema premiante ed incentivante nel rispetto di quei principi di federalismo fiscale solidale e responsabile che debbono necessariamente diventare una caratteristica della spesa pubblica italiana.
9/3638/58. Zacchera.
La Camera,
premesso che:
tutte le amministrazioni dello Stato devono essere chiamate ad una comune operazione-risparmio al fine di contenere i costi pubblici che negli ultimi anni sembrano essere fuori controllo e la cui riduzione appare necessaria per il rilancio economico e produttivo del Paese;
all'interno di questa manovra un ruolo importante è quello svolto dagli Enti Locali e particolarmente dai Comuni;
in passato, l'atteggiamento delle amministrazioni comunali nel riguardo della spesa pubblica è stato molto diversificato confermando che molti comuni hanno tenuto in ordine i loro conti seguendo ed applicando i previsti patti di stabilità ed applicando parametri di obbiettiva buona amministrazione, mentre altri comuni hanno creato deficit a volte molto pensanti pur spesso in presenza di un sostanziale spreco delle risorse pubbliche;
non sarebbe pertanto corretto considerare tutte le amministrazioni locali alla stessa stregua, senza tener conto di chi in passato ha già fatto sacrifici e chi invece ha scialato o sprecato pubbliche risorse,
impegna il Governo:
a valutare l'opportunità di sviluppare sistemi di controllo della spesa locale tesi a premiare le amministrazioni che seguano i piani di contenimento della spesa generale, obbligando invece nel contempo - tramite una riduzione dei trasferimenti - le amministrazioni «sprecone» a ridurre le loro spese generali, di personale e, più in generale, affinché contengano le spese;
a considerare l'applicazione di equi «costi standard» come elemento capace di dare una stabilità al sistema ed una equità ai trasferimenti;
a concedere agli enti locali che applichino politiche virtuose la libertà di poter più liberamente accedere al credito per investimenti, dando così vita ad un sistema premiante ed incentivante nel rispetto di quei principi di federalismo fiscale solidale e responsabile che debbono necessariamente diventare una caratteristica della spesa pubblica italiana.
9/3638/58. (Testo modificato nel corso della seduta) Zacchera.
La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame prevede, all'articolo 43, che possano essere istituite nel Meridione d'Italia zone a burocrazia zero;
tali zone sono istituite con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell'interno;
Lamezia Terme, pur essendo la terza città della Calabria, è afflitta dal più elevato tasso di disoccupazione di tale regione, con una percentuale pari al 30 per cento,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di dare priorità, nell'adozione del decreto di cui al secondo capoverso delle premesse, alla Calabria ed, in particolare, al Comune di Lamezia Terme, al fine di porre rimedio ai gravi problemi occupazionali e di sviluppo che affliggono tale territorio, potenziale volano di sviluppo dell'intera regione.
9/3638/59. D'Ippolito.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 9, comma 21, del disegno di legge in esame, reca tre interventi comportanti effetti negativi sul trattamento economico dei dipendenti pubblici in regime di diritto pubblico. In particolare: blocca per il triennio 2011-2013 l'adeguamento automatico dei dirigenti in regime di diritto pubblico; blocca per il medesimo periodo e per lo stesso personale l'attribuzione di classi e scatti di anzianità; sancisce i soli effetti giuridici per le progressioni di carriera comunque denominate disposte nel triennio, sia per i dirigenti non contrattualizzati sia per il personale contrattualizzato;
il comma 11-bis dell'articolo 8, prevede, allo scopo di tutelare la specificità del comparto sicurezza e difesa e di quello del soccorso pubblico, l'istituzione di un fondo di 80 milioni di euro, per il solo biennio 2011 e 2012, per il finanziamento di misure perequative in favore del personale delle Forze armate e di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, da individuare con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri competenti, volte a compensare gli effetti di cui al citato comma 21 dell'articolo 9;
la relazione tecnica al disegno di legge in esame non determina con esattezza i risparmi attesi dall'applicazione dell'articolo 9, comma 21, con riguardo al comparto sicurezza e difesa e a quello del soccorso pubblico, e non reca alcuna previsione con riferimento agli effetti finanziari derivanti dal blocco delle promozioni;
la dotazione di 80 milioni di euro del fondo di cui all'articolo 8, comma 11-bis, potrebbe, pertanto, risultare non sufficiente per garantire l'adozione, con il menzionato decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di efficaci e complete misure perequative delle previsioni del menzionato comma 21, in favore del personale dei citati comparti,
impegna il Governo:
a verificare l'idoneità delle risorse di cui all'articolo 8, comma 11-bis, integrando, ove necessario, le stesse fino a consentire l'adozione di efficaci e complete misure perequative degli effetti di ciascuna delle disposizioni recate dall'articolo 9, comma 21, a tutela della specificità di status e di impiego del personale delle Forze armate e di polizia e di quello del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
a prevedere adeguate risorse per il fondo di cui in premessa anche per l'ulteriore anno 2013, allo scopo di consentire l'adozione delle necessarie misure perequative anche in tale anno nel quale continuano a operare gli effetti dell'articolo 9, comma 21.
9/3638/60. Fallica, Cicu, Cirielli, Moles, Paglia, De Angelis, Holzmann, Marini, Mazzoni, Speciale.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 9, comma 1, del disegno di legge in esame, prevede che, nel triennio 2011-2013, il trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti, ivi inclusi quelli di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche, come identificate dall'Istituto nazionale di statistica ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, non possa superare quello in godimento nell'anno 2010;
tale disposizione costituisce una misura di salvaguardia diretta a garantire il conseguimento dei risparmi nel settore dei redditi da lavoro dipendente erogati dalle citate amministrazioni correlati all'attuazione degli interventi di contenimento della spesa pubblica di cui al medesimo articolo 9 e che ad essa la relazione tecnica non riconnette alcun effetto finanziario diretto;
la suddetta disposizione, nel corso dell'iter parlamentare, è stata modificata nel senso di precisare che la determinazione del trattamento economico riferito all'anno 2010, quale limite retributivo di riferimento, va computato al «netto degli effetti derivanti da eventi straordinari della dinamica retributiva, ivi incluse le variazione dipendenti da eventuali arretrati, conseguimento di funzioni diverse in corso d'anno (...), maternità, malattia, missioni svolte all'estero, effettiva presenza in servizio»;
la nuova formulazione della disposizione non può che essere volta a evitare ingiustificate sperequazioni nei confronti del personale che, nel caso in cui il tetto retributivo fosse stato riferito al trattamento economico complessivo effettivamente goduto nell'anno 2010, per il solo fatto di essere destinatario nel citato triennio, per esigenze dell'amministrazione, di provvedimenti di destinazione ad altra sede di servizio o ad altro incarico, anche all'estero, non avrebbe potuto, al pari del personale destinatario di analoghi provvedimenti di impiego prima del 2011, vedere riconosciuti gli emolumenti e le indennità, anche di natura compensativa per le spese sostenute dal dipendente, previsti per la nuova posizione di impiego;
tale precisazione, in questo senso, risulta indispensabile per salvaguardare, fatti salvi i saldi complessivi, la specificità dello status giuridico e di impiego del personale delle Forze armate e di polizia e di quello del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, caratterizzato da una mobilità e flessibilità di impiego, sul territorio nazionale e all'estero, non riscontrabile in nessun altro settore del pubblico impiego, cui sono correlati specifici istituti retributivi volti a compensare i maggiori rischi e disagi, nonché il più elevato grado di professionalità richiesto per funzioni specialistiche;
una diversa interpretazione porterebbe alla situazione paradossale per cui il militare appartenente ad un reparto non impiegato in missioni internazionali all'estero nell'anno 2010 ma che lo fosse nell'anno 2011 non risulterebbe destinatario di alcun compenso aggiuntivo, inclusa la diaria di missione all'estero;
parimenti devono ritenersi non computabili ai fini del raggiungimento del tetto retributivo del 2010 le misure perequative, di cui all'articolo 8, comma 11-bis, per il personale delle Forze armate e di polizia e per quello del Corpo nazionale dei vigili del fuoco interessato alle disposizioni del comma 21 del medesimo articolo, giacché diversamente le citate misure perequative risulterebbero non erogabili,
impegna il Governo
a dare corretta interpretazione sistematica all'articolo 9, comma 1, e all'articolo 8, comma 11-bis, con specifico riferimento al personale delle Forze armate e di polizia, nonché a quello del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nel senso che, nel rispetto dei saldi complessivi, quanto da esso percepito per compensi accessori connessi con lo svolgimento del servizio, assegni spettanti per l'assolvimento delle specifiche funzioni senza demerito, modifiche della posizione di impiego e misure perequative individuate con il previsto decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, deve ritenersi non computabile ai fini del raggiungimento del tetto retributivo di cui alla medesima disposizione, il quale va considerato non come riferito al singolo dipendente ma al totale delle risorse utilizzate dalle singole amministrazioni per l'erogazione dei citati compensi. In particolare, devono quindi ritenersi escluse dal tetto retributivo di cui all'articolo 9, comma 1, oltre a quanto previsto dall'articolo 8, comma 11-bis, anche le indennità operative delle Forze armate, l'indennità pensionabile delle Forze di polizia, l'assegno funzionale e l'omogeneizzazione retributiva, gli incrementi stipendiali parametrali non connessi a promozioni, le indennità per trasferimento, missione e presenza qualificata in servizio.
9/3638/61. Cicu, Fallica, De Angelis, Paglia, Holzmann, Marini Giulio, Mazzoni, Speciale, Cirielli, Moles.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame, all'articolo 9 e, in parte, dall'articolo 14, reca misure rivolte al pubblico impiego, che rappresenta il fulcro dell'azione amministrativa statale e territoriale e che, pur in una fase di necessari sacrifici, deve essere adeguatamente valorizzato e motivato, anche mediante il più ampio ricorso ai previsti strumenti legislativi premiali, posti in essere anche nel corso della corrente legislatura,
impegna il Governo
a promuovere, appena lo consentiranno le condizioni di finanza pubblica, la produttività e il merito, anche per il personale con qualifiche dirigenziali, attraverso la contrattazione decentrata nonché a ripristinare il riconoscimento degli aumenti periodici di anzianità a partire dal personale della scuola.
9/3638/62. Vincenzo Antonio Fontana.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame, all'articolo 9 e, in parte, dall'articolo 14, reca misure rivolte al pubblico impiego, che rappresenta il fulcro dell'azione amministrativa statale e territoriale e che, pur in una fase di necessari sacrifici, deve essere adeguatamente valorizzato e motivato, anche mediante il più ampio ricorso ai previsti strumenti legislativi premiali, posti in essere anche nel corso della corrente legislatura,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di promuovere, appena lo consentiranno le condizioni di finanza pubblica, la produttività e il merito, anche per il personale con qualifiche dirigenziali, attraverso la contrattazione decentrata nonché a ripristinare il riconoscimento degli aumenti periodici di anzianità a partire dal personale della scuola.
9/3638/62. (Testo modificato nel corso della seduta) Vincenzo Antonio Fontana.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 25 del disegno di legge in esame dispone che « A decorrere dal 1o luglio 2010 le banche e le Poste Italiane S.p.a. operano una ritenuta del 10 per cento a titolo di acconto dell'imposta sul reddito dovuta dai beneficiari, con obbligo di rivalsa, all'atto dell'accredito dei pagamenti relativi ai bonifici disposti dai contribuenti per beneficiare di oneri deducibili o per i quali spetta la detrazione d'imposta. Le ritenute sono versate con le modalità di cui all'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241. Con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate sono individuate le tipologie di pagamenti nonché le modalità di esecuzione degli adempimenti relativi alla certificazione e alla dichiarazione delle ritenute»;
a tutt'oggi non risulta emanato il provvedimento sopra menzionato, cosicché gli istituti di credito non dispongono di indicazioni idonee sulle modalità attraverso cui effettuare la ritenuta e, conseguentemente, i bonifici risultano bloccati,
impegna il Governo
a voler sollecitare il Direttore dell'Agenzia delle Entrate affinché provveda ad emanare il provvedimento recante le modalità di esecuzione degli adempimenti previsti dalla norma di legge di cui in premessa.
9/3638/63. Tommaso Foti.
La Camera,
impegna il Governo
ad adottare iniziative, anche di carattere legislativo, al fine di escludere dall'ambito di applicazione dell'articolo 9, comma 28 - in base al quale, a decorrere dall'anno 2011, la spesa delle pubbliche amministrazioni per contratti di lavoro a tempo determinato, contratti di collaborazione coordinata e continuativa, contratti di formazione lavoro, somministrazione di lavoro e altre forme di lavoro temporaneo, non può eccedere il 50 per cento della spesa sostenuta per le stesse finalità nell'anno 2009 - gli enti del Servizio sanitario nazionale e, in particolare, le strutture e i settori in cui l'apporto dei lavoratori assunti con le suddette forme contrattuali risulti essenziale per l'erogazione del servizio.
9/3638/64. Barani, Castellani.
La Camera,
impegna il Governo
ad adottare iniziative, anche di carattere legislativo, se le condizioni di finanza pubblica lo consentono, al fine di escludere dall'ambito di applicazione dell'articolo 9, comma 28 - in base al quale, a decorrere dall'anno 2011, la spesa delle pubbliche amministrazioni per contratti di lavoro a tempo determinato, contratti di collaborazione coordinata e continuativa, contratti di formazione lavoro, somministrazione di lavoro e altre forme di lavoro temporaneo, non può eccedere il 50 per cento della spesa sostenuta per le stesse finalità nell'anno 2009 - gli enti del Servizio sanitario nazionale e, in particolare, le strutture e i settori in cui l'apporto dei lavoratori assunti con le suddette forme contrattuali risulti essenziale per l'erogazione del servizio.
9/3638/64. (Testo modificato nel corso della seduta) Barani, Castellani.
La Camera,
impegna il Governo
a mettere in atto, in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano e di Conferenza Stato-Città ed autonomie locali, tutti gli strumenti possibili affinché la riduzione, rispettivamente, delle risorse spettanti alle regioni a statuto ordinario e dei trasferimenti erariali dovuti alle province e ai comuni con popolazione superiore a 5 mila abitanti, di cui all'articolo 14, comma 2, non incida negativamente sui livelli dei servizi sociali e sanitari erogati da detti enti.
9/3638/65. Castellani, Barani.
La Camera,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di mettere in atto, in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano e di Conferenza Stato-Città ed autonomie locali, tutti gli strumenti possibili affinché la riduzione, rispettivamente, delle risorse spettanti alle regioni a statuto ordinario e dei trasferimenti erariali dovuti alle province e ai comuni con popolazione superiore a 5 mila abitanti, di cui all'articolo 14, comma 2, non incida negativamente sui livelli dei servizi sociali e sanitari erogati da detti enti.
9/3638/65. (Testo modificato nel corso della seduta) Castellani, Barani.
La Camera,
impegna il Governo
ad assumere iniziative, anche di carattere legislativo, volte a salvaguardare la Lega italiana per la lotta contro i tumori (LILT) dagli effetti della riduzione del 50 per cento degli stanziamenti sui capitoli degli stati di previsione delle amministrazioni vigilanti relativi al contributo dello Stato a enti, istituti, fondazioni e altri organismi di cui all'articolo 7, comma 24, del disegno di legge in esame.
9/3638/66. Bocciardo, Castellani.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 47, comma 1, lettera b) del disegno di legge in esame prevede che «La società ANAS S.p.A., salva la preventiva verifica da parte del Governo presso la Commissione europea di soluzioni diverse da quelle previste nel presente comma che assicurino i medesimi introiti per il bilancio dello Stato e che garantiscano il finanziamento incrociato per il tunnel di base del Brennero e le relative tratte di accesso nonché la realizzazione da parte del concessionario di opere infrastrutturali complementari sul territorio di riferimento, anche urbane o consistenti in gallerie, entro il 31 dicembre 2010 pubblica il bando di gara per l'affidamento della concessione di costruzione e gestione dell'autostrada del Brennero. A tal fine il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti d'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze, impartisce direttive ad ANAS S.p.A. in ordine ai contenuti del bando di gara e del relativo capitolato o disciplinare, ivi compreso il valore della concessione, le relative modalità di pagamento e la quota minima di proventi annuale, comunque non inferiore a quanto accantonato in media negli esercizi precedenti, che il concessionario è autorizzato ad accantonare nel fondo di cui all'articolo 55, comma 13, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, nonché l'indicazione delle opere infrastrutturali complementari, anche urbane o consistenti in gallerie, la cui realizzazione, anche mediante il ricorso alla finanza di progetto, deve rientrare tra gli obblighi assunti dal concessionario. Il predetto bando deve prevedere un versamento annuo di 70 milioni di euro, a partire dalla data dell'affidamento e fino a concorrenza del valore di concessione, che viene versato all'entrata del bilancio dello Stato (...)»;
in ogni caso la succitata lettera b) del comma 1 dell'articolo 47 prevede l'obbligatoria realizzazione da parte del concessionario di opere infrastrutturali complementari sul territorio di riferimento, anche urbane o consistenti in gallerie;
si ritiene imprescindibile che tra tali opere infrastrutturali, da pianificarsi comunque previa intesa con gli enti locali interessati, debbano essere comprese le seguenti:
il collegamento sotto il Monte Baldo tra il Basso Trentina (comune di Avio) o l'Alto Veronese (comune di Brentino Belluno) con il Garda veronese (comuni di Malcesine o Brenzone);
il cosiddetto Tunnel del Peller che collega la Valle di Non con la Valle di Sole in provincia di Trento;
il termine sul versante trantino della Valdastico,
impegna il Governo
ad adottare tutte le iniziative di competenza affinché nel bando di gara per l'affidamento della concessione di costruzione e gestione dell'autostrada del Brennero che tra le opere infrastrutturali complementari siano comprese anche il collegamento sotto il Monte Baldo tra il Basso Trentino (comune di Avio) o l'Alto Veronese (comune di Brentino Belluno) con il Garda veronese (comuni di Malcesìne o Brenzone), il cosiddetto Tunnel del Peller che collega la Valle di Non con la Valle di Sole in provincia di Trento e il termine sul versante trentina della Valdastico, da pianificare d'intesa con gli enti locali interessati.
9/3638/67. Fugatti.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 14, comma 32, vieta ai comuni con popolazione inferiore a 30.000 abitanti di costituire società, prevedendo che, entro la data del 31 dicembre 2011, tali comuni debbano mettere in liquidazione le società già costituite ovvero cedere le rispettive partecipazioni;
la disposizione lascia fermo quanto previsto dai commi 27, 28 e 29, dell'articolo 3, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008), che in particolare dispongono che le amministrazioni pubbliche non possano costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né assumere o mantenere direttamente partecipazioni, anche di minoranza, in tali società, ammettendo comunque la costituzione di società che producano servizi di interesse generale e che forniscano servizi di committenza o di centrali di committenza a livello regionale a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici, nonché l'assunzione di partecipazioni in tali società da parte delle amministrazioni;
nel corso dell'esame al Senato è stato aggiunto un periodo al citato comma 32 che demanda ad un decreto la determinazione delle modalità attuative della disciplina in oggetto, nonché ulteriori ipotesi di esclusione dall'ambito di applicazione;
tale decreto deve essere emanato dal Ministro per i rapporti con le regioni, di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e per le riforme per il federalismo, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in esame;
sul tema dei servizi pubblici locali sono recentemente intervenute normative dirette a salvaguardare, a determinate condizioni di efficiente gestione e di tutela dei diritti degli utenti, il principio dell'affidamento in house;
in virtù della ragionevolezza delle richiamate normative, nell'ambito delle esclusioni previste dall'ultimo periodo del comma 32, andrebbe valutata l'incongruità del divieto ivi previsto qualora le società abbiano ad oggetto i servizi pubblici locali;
inoltre, andrebbe valutata l'opportunità di permettere comunque il mantenimento di società pubbliche o a partecipazione pubblica qualora tali società garantiscano condizioni di efficienza e di virtuosità comparativamente non svantaggiose per i cittadini rispetto ad altre forme societarie come, ad esempio, la chiusura dei bilanci in utile, il reinvestimento nell'attività della società di almeno dell'80 per cento degli utili e la riduzione dei costi per il personale,
impegna il Governo
nell'ambito del decreto ministeriale previsto dall'ultimo periodo del comma 32 dell'articolo 14, che dovrà definire le modalità attuative della disciplina nonché ulteriori ipotesi di esclusione dall'ambito di applicazione della norma, a valutare la possibilità di escludere dall'obbligo di liquidazione le società che abbiano ad oggetto i servizi pubblici locali, nonché quelle che sono in grado di garantire condizioni di efficienza comparativamente non svantaggiose per i cittadini rispetto ad altre forme societarie.
9/3638/68. Comaroli, Fugatti, Polledri.
La Camera,
premesso che:
il Parco nazionale del Gran Paradiso è il più antico parco nazionale italiano, istituito con regio decreto-legge n. 1584 del 3 dicembre 1922;
si estende su una superficie di 70.318 ettari tra le Regioni Valle d'Aosta e Piemonte e costituisce l'area alpina con la maggior presenza faunistica, 40 specie di mammiferi e 100 di uccelli nidificanti;
ha svolto una funzione essenziale nella sopravvivenza e salvaguardia dello stambecco, presente oggi in circa 2.700 esemplari, dalla cui popolazione si sono originate tutte le altre ora diffuse sull'arco alpino;
ha una flora alpina ricca e varia, oltre 1.500 specie, caratterizzata da piante rarissime, spesso relitte delle glaciazioni, molte delle quali ospitate nel giardino botanico Paradisia, a Cogne, per l'immediata fruizione turistica e didattica;
è interamente Zona di protezione speciale (ZPS) e Sito di importanza comunitaria (SIC); costituisce una importante risorsa economica per le popolazioni locali, essendo visitato ogni anno da circa 1,5 milioni di persone, in un'ottica di turismo sostenibile;
svolge una significativa funzione nell'educazione ambientale, con programmi didattici per le scuole, attività estive ed un Centro di educazione ambientale con annesso ostello a Noasca, nove centri visitatori, con strutture espositive ed ecomusei;
è un luogo eccezionale per la ricerca scientifica sulla biologia e l'eco-etologia di specie animali protette, sulla genetica di conservazione di alcune specie, sulla fenologia forestale e dei pascoli, sul glacialismo;
partecipa, in seno alla Fondation Grand-Paradis, promossa dalla Regione autonoma Valle d'Aosta, ad un positivo coordinamento con le attività delle comunità territoriali;
l'articolo 7, comma 24, del decreto-legge in esame prevede il taglio del 50 per cento, rispetto all'anno 2009, del contributo dello Stato al Parco nazionale del Gran Paradiso ed agli altri Parchi nazionali;
tale riduzione delle risorse disponibili comporterebbe per il Parco nazionale del Gran Paradiso, con un finanziamento per il 2010 di 2.296.505 euro, non solo una drastica riduzione delle attività del Parco, anche di gestione ordinaria, ma renderebbe impossibile la regolare erogazione degli stipendi al personale, tra cui i 63 guardaparco cui è affidata la sorveglianza del territorio, retribuiti direttamente dall'ente Parco, il cui ammontare per il 2009 è stato di 3.926.437 euro,
impegna il Governo
a reintegrare prontamente in un prossimo provvedimento le risorse necessarie per un regolare funzionamento del Parco nazionale del Gran Paradiso e degli altri Parchi nazionali italiani, al fine di consentire la prosecuzione della insostituibile azione di conservazione, tutela e promozione del patrimonio faunistico, floristico ed ambientale loro affidato.
9/3638/69. Nicco, Quartiani, Cambursano, Compagnon, Brugger, Zeller.
La Camera,
premesso che:
il Parco nazionale del Gran Paradiso è il più antico parco nazionale italiano, istituito con regio decreto-legge n. 1584 del 3 dicembre 1922;
si estende su una superficie di 70.318 ettari tra le Regioni Valle d'Aosta e Piemonte e costituisce l'area alpina con la maggior presenza faunistica, 40 specie di mammiferi e 100 di uccelli nidificanti;
ha svolto una funzione essenziale nella sopravvivenza e salvaguardia dello stambecco, presente oggi in circa 2.700 esemplari, dalla cui popolazione si sono originate tutte le altre ora diffuse sull'arco alpino;
ha una flora alpina ricca e varia, oltre 1.500 specie, caratterizzata da piante rarissime, spesso relitte delle glaciazioni, molte delle quali ospitate nel giardino botanico Paradisia, a Cogne, per l'immediata fruizione turistica e didattica;
è interamente Zona di protezione speciale (ZPS) e Sito di importanza comunitaria (SIC); costituisce una importante risorsa economica per le popolazioni locali, essendo visitato ogni anno da circa 1,5 milioni di persone, in un'ottica di turismo sostenibile;
svolge una significativa funzione nell'educazione ambientale, con programmi didattici per le scuole, attività estive ed un Centro di educazione ambientale con annesso ostello a Noasca, nove centri visitatori, con strutture espositive ed ecomusei;
è un luogo eccezionale per la ricerca scientifica sulla biologia e l'eco-etologia di specie animali protette, sulla genetica di conservazione di alcune specie, sulla fenologia forestale e dei pascoli, sul glacialismo;
partecipa, in seno alla Fondation Grand-Paradis, promossa dalla Regione autonoma Valle d'Aosta, ad un positivo coordinamento con le attività delle comunità territoriali;
l'articolo 7, comma 24, del decreto-legge in esame prevede il taglio del 50 per cento, rispetto all'anno 2009, del contributo dello Stato al Parco nazionale del Gran Paradiso ed agli altri Parchi nazionali;
tale riduzione delle risorse disponibili comporterebbe per il Parco nazionale del Gran Paradiso, con un finanziamento per il 2010 di 2.296.505 euro, non solo una drastica riduzione delle attività del Parco, anche di gestione ordinaria, ma renderebbe impossibile la regolare erogazione degli stipendi al personale, tra cui i 63 guardaparco cui è affidata la sorveglianza del territorio, retribuiti direttamente dall'ente Parco, il cui ammontare per il 2009 è stato di 3.926.437 euro,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di reintegrare prontamente in un prossimo provvedimento le risorse necessarie per un regolare funzionamento del Parco nazionale del Gran Paradiso e degli altri Parchi nazionali italiani, al fine di consentire la prosecuzione della insostituibile azione di conservazione, tutela e promozione del patrimonio faunistico, floristico ed ambientale loro affidato.
9/3638/69. (Testo modificato nel corso della seduta) Nicco, Quartiani, Cambursano, Compagnon, Brugger, Zeller.
La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame stabilisce, all'articolo 40-bis, che il pagamento degli importi dovuti dai produttori di latte a titolo di multa (prelievo supplementare) per il latte da essi prodotto in eccesso, la cui scadenza è il 30 giugno 2010 come previsto dai piani di rateizzazione di cui al decreto-legge 28 marzo 2003, n. 49, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 maggio 2003, n. 119, ed al decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, sia prorogato fino al 31 dicembre 2010;
il piano di rateizzazione del 2003, previsto per consentire ai produttori di estinguere i propri debiti per l'eccesso di produzione lattiera nei periodi dal 1995/96 al 2001/02, era considerato parte di un accordo politico tra l'Italia e l'Unione europea, sancito dalla decisione 2003/530/CE al fine di risolvere definitivamente la complessa questione della non corretta applicazione in Italia del regime delle quote latte;
il successivo piano di rateizzazione del 2009, concesso al fine di agevolare ulteriormente il rientro dai debiti relativi alle campagne lattiere precedenti a quella allora in corso del 2008 e del 2009, è stato oggetto di negoziati verbali con la Commissione europea, come rilevato anche dal Commissario europeo per l'agricoltura, il quale ha ribadito come tale piano «non si fonda direttamente sul diritto UE», ma «il diritto UE impone all'Italia di assicurare l'effettiva riscossione dei prelievi sulle eccedenze dovuti dai produttori di latte»;
qualora si sospendesse l'applicazione del suesposto piano, l'Italia risulterebbe ancora più distante dall'adempimento dei suoi obblighi di riscossione ai sensi del diritto UE;
proprio lo stesso Commissario europeo ha inoltre precisato che la sospensione dei pagamenti, prevista dalla norma contenuta nel provvedimento in esame, sarebbe non solo in netto contrasto con il diritto dell'Unione europea, ma anche con i ripetuti impegni, assunti a livello politico dal Governo italiano, ovvero di imporre una rigorosa ed efficiente applicazione del regime delle quote latte in Italia;
la Commissione europea, in considerazione di quanto suesposto, sarebbe costretta conseguentemente ad avviare la procedura appropriata ai sensi del Trattato europeo, ovvero d'infrazione;
occorre pertanto evitare che la complicata vicenda delle quote latte finisca per pregiudicare e indebolire politicamente la posizione italiana nell'ambito del delicato processo di riforma della PAC,
impegna il Governo
a prevedere che sia data attuazione alle disposizioni di cui all'articolo 40-bis del decreto-legge in esame previa verifica positiva da parte dei competenti organi comunitari, al fine di garantire una coerente e corretta applicazione del diritto dell'Unione europea ed evitare l'attivazione di procedure di infrazione nei confronti dell'Italia.
9/3638/70. Beccalossi.
La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame stabilisce, all'articolo 40-bis, che il pagamento degli importi dovuti dai produttori di latte a titolo di multa (prelievo supplementare) per il latte da essi prodotto in eccesso, la cui scadenza è il 30 giugno 2010 come previsto dai piani di rateizzazione di cui al decreto-legge 28 marzo 2003, n. 49, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 maggio 2003, n. 119, ed al decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, sia prorogato fino al 31 dicembre 2010;
il piano di rateizzazione del 2003, previsto per consentire ai produttori di estinguere i propri debiti per l'eccesso di produzione lattiera nei periodi dal 1995/96 al 2001/02, era considerato parte di un accordo politico tra l'Italia e l'Unione europea, sancito dalla decisione 2003/530/CE al fine di risolvere definitivamente la complessa questione della non corretta applicazione in Italia del regime delle quote latte;
il successivo piano di rateizzazione del 2009, concesso al fine di agevolare ulteriormente il rientro dai debiti relativi alle campagne lattiere precedenti a quella allora in corso del 2008 e del 2009, è stato oggetto di negoziati verbali con la Commissione europea, come rilevato anche dal Commissario europeo per l'agricoltura, il quale ha ribadito come tale piano «non si fonda direttamente sul diritto UE», ma «il diritto UE impone all'Italia di assicurare l'effettiva riscossione dei prelievi sulle eccedenze dovuti dai produttori di latte»;
qualora si sospendesse l'applicazione del suesposto piano, l'Italia risulterebbe ancora più distante dall'adempimento dei suoi obblighi di riscossione ai sensi del diritto UE;
proprio lo stesso Commissario europeo ha inoltre precisato che la sospensione dei pagamenti, prevista dalla norma contenuta nel provvedimento in esame, sarebbe non solo in netto contrasto con il diritto dell'Unione europea, ma anche con i ripetuti impegni, assunti a livello politico dal Governo italiano, ovvero di imporre una rigorosa ed efficiente applicazione del regime delle quote latte in Italia;
la Commissione europea, in considerazione di quanto suesposto, sarebbe costretta conseguentemente ad avviare la procedura appropriata ai sensi del Trattato europeo, ovvero d'infrazione;
occorre pertanto evitare che la complicata vicenda delle quote latte finisca per pregiudicare e indebolire politicamente la posizione italiana nell'ambito del delicato processo di riforma della PAC,
impegna il Governo
a prevedere che sia data attuazione alle disposizioni di cui all'articolo 40-bis del decreto-legge in esame verificando gli effetti derivanti anche sotto il profilo comunitario.
9/3638/70. (Testo modificato nel corso della seduta) Beccalossi.
La Camera,
premesso che:
l'asse portante dell'economia del Paese è costituito dalle piccole e medie imprese;
le PMI, infatti, rappresentano il 70,8 per cento del valore aggiunto totale dell'economia del Paese;
esse affidano la comunicazione dei loro prodotti alle TV locali e, quindi, più le TV locali sono forti, più sono in grado di comunicare il prodotto delle PMI attraverso la pubblicità, quindi farne aumentare i consumi, la produzione e, di conseguenza, i livelli occupazionali;
questo importante legame è stato recepito dal Parlamento che, in un ordine del giorno approvato all'unanimità da entrambi i rami nei mesi a cavallo tra il 1992 ed il 1993, prendeva atto «della stretta correlazione fra lo sviluppo del sistema televisivo locale e la crescita delle piccole e medie imprese» e impegnava, quindi, il Governo ad assumere iniziative idonee a sostenere l'equilibrio economico delle emittenti locali;
l'articolo 10 della legge n. 422 del 1993 ha destinato alle emittenti locali una cifra pari a 270 milioni di euro, da prelevare dalle risorse derivanti dal canone RAI, che i cittadini versano ogni anno;
in un contesto di crisi mondiale, europea e quindi italiana, il settore televisivo locale, con la legge finanziaria 2009, ha subito una riduzione sino al 60 per cento rispetto alle misure di sostegno precedentemente deliberate (150 milioni di euro), ma che raggiunge 1'80 per cento rispetto a quanto previsto dalla legge (270 milioni di euro);
nella seduta del 13 maggio 2009, nel corso dell'approvazione del DDL 1195, collegato alla finanziaria in materia di energia, il Governo ha accolto un ordine del giorno recante l'impegno a definire gli incentivi previsti dalla normativa vigente per le TV locali;
nella seduta del 13 novembre 2009, nel corso della discussione della legge finanziaria 2010 presso il Senato, il Governo ha accolto un ordine del giorno in cui si impegnava a ripristinare il fondo per l'emittenza locale recuperando i tagli e riportandolo la cifra a 150 milioni di euro a decorrere dal 2011 con una norma da inserire nella stessa finanziaria 2010 nel corso del passaggio alla Camera;
di quest'ultimo ordine del giorno il Governo ha attuato solo un parziale recupero dei tagli, e solo relativamente all'anno 2010, lasciando invariato il taglio previsto a carico del fondo per il 2011 (che passa da 150 a 54 milioni di euro);
l'incertezza che grava sul fondo sta disorientando il settore televisivo locale, impegnato a pianificare investimenti di grandi proporzioni per affrontare il passaggio al digitale in un momento di grave crisi economica che, inevitabilmente, comporta riduzioni di fatturato pubblicitario sino al 50 per cento,
impegna il Governo
ad assumere ogni opportuna iniziativa volta a prevedere, entro e non oltre la prossima legge di stabilità, per il prossimo triennio la stabilizzazione delle misure di sostegno di cui all'articolo 10 della legge 422 del 1993 almeno con importo uguale a quello stanziato negli anni 2008 e 2009, già inferiore del 44 per cento rispetto a quanto previsto dalla su citata norma.
9/3638/71. Franzoso.
La Camera,
premesso che:
l'asse portante dell'economia del Paese è costituito dalle piccole e medie imprese;
le PMI, infatti, rappresentano il 70,8 per cento del valore aggiunto totale dell'economia del Paese;
esse affidano la comunicazione dei loro prodotti alle TV locali e, quindi, più le TV locali sono forti, più sono in grado di comunicare il prodotto delle PMI attraverso la pubblicità, quindi farne aumentare i consumi, la produzione e, di conseguenza, i livelli occupazionali;
questo importante legame è stato recepito dal Parlamento che, in un ordine del giorno approvato all'unanimità da entrambi i rami nei mesi a cavallo tra il 1992 ed il 1993, prendeva atto «della stretta correlazione fra lo sviluppo del sistema televisivo locale e la crescita delle piccole e medie imprese» e impegnava, quindi, il Governo ad assumere iniziative idonee a sostenere l'equilibrio economico delle emittenti locali;
l'articolo 10 della legge n. 422 del 1993 ha destinato alle emittenti locali una cifra pari a 270 milioni di euro, da prelevare dalle risorse derivanti dal canone RAI, che i cittadini versano ogni anno;
in un contesto di crisi mondiale, europea e quindi italiana, il settore televisivo locale, con la legge finanziaria 2009, ha subito una riduzione sino al 60 per cento rispetto alle misure di sostegno precedentemente deliberate (150 milioni di euro), ma che raggiunge 1'80 per cento rispetto a quanto previsto dalla legge (270 milioni di euro);
nella seduta del 13 maggio 2009, nel corso dell'approvazione del DDL 1195, collegato alla finanziaria in materia di energia, il Governo ha accolto un ordine del giorno recante l'impegno a definire gli incentivi previsti dalla normativa vigente per le TV locali;
nella seduta del 13 novembre 2009, nel corso della discussione della legge finanziaria 2010 presso il Senato, il Governo ha accolto un ordine del giorno in cui si impegnava a ripristinare il fondo per l'emittenza locale recuperando i tagli e riportandolo la cifra a 150 milioni di euro a decorrere dal 2011 con una norma da inserire nella stessa finanziaria 2010 nel corso del passaggio alla Camera;
di quest'ultimo ordine del giorno il Governo ha attuato solo un parziale recupero dei tagli, e solo relativamente all'anno 2010, lasciando invariato il taglio previsto a carico del fondo per il 2011 (che passa da 150 a 54 milioni di euro);
l'incertezza che grava sul fondo sta disorientando il settore televisivo locale, impegnato a pianificare investimenti di grandi proporzioni per affrontare il passaggio al digitale in un momento di grave crisi economica che, inevitabilmente, comporta riduzioni di fatturato pubblicitario sino al 50 per cento,
impegna il Governo
ad assumere, se le condizioni di finanza pubblica lo consentono, ogni opportuna iniziativa volta a prevedere, entro e non oltre la prossima legge di stabilità, per il prossimo triennio la stabilizzazione delle misure di sostegno di cui all'articolo 10 della legge 422 del 1993 almeno con importo uguale a quello stanziato negli anni 2008 e 2009, già inferiore del 44 per cento rispetto a quanto previsto dalla su citata norma.
9/3638/71. (Testo modificato nel corso della seduta) Franzoso.
La Camera
premesso che:
il disegno di legge in esame interviene, in un contesto economico-finanziario caratterizzato da una forte decelerazione dell'economia europea e dal conseguente rallentamento della crescita del PIL, con una manovra finanziaria volta al contenimento della spesa pubblica e, parallelamente, all'incremento delle entrate derivanti dal contrasto all'evasione e all'elusione fiscale;
l'azione del Governo è diretta a garantire la stabilità della finanza pubblica quale precondizione per l'adozione di misure di sviluppo economico volte a salvaguardare il risparmio delle famiglie, sostenerne i redditi e i consumi, incentivare gli investimenti privati e sviluppare quelli pubblici;
in tale prospettiva il temporaneo blocco dei contratti del settore pubblico rappresenta una dolorosa necessità ma la durata di esso deve essere quanto più breve possibile;
in ragione della minore esposizione ai fattori specifici di crisi rispetto agli altri partner europei, segnali positivi indicano per l'Italia, nel quadro della imminente ripresa internazionale, una ripresa dell'economia e un'espansione del PIL nel biennio 2011-2012 tale da consentire di rispettare gli impegni assunti in sede europea e di sviluppare, contemporaneamente, una politica economica di crescita, di recupero della produttività e di sostegno alle famiglie e alle imprese;
la manovra in esame si propone una rigorosa azione di controllo e di contenimento della spesa pubblica, con particolare riferimento a quella corrente primaria;
nell'ambito delle predette misure di contenimento, i trattamenti economici dei dipendenti pubblici per gli anni dal 2011 al 2013 non potranno superare il livello previsto per l'anno corrente e, in considerazione della gravità della situazione economica, è disposta la sospensione delle procedure contrattuali e negoziali per gli anni 2010-2012;
in tal modo si impongono consistenti sacrifici, pur necessari, a tutti i dipendenti del settore pubblico;
le disposizioni di cui all'articolo 61 del decreto-legge n. 112 del 2008 e di cui all'articolo 27 del decreto legislativo n. 150 del 2009 consentono di destinare una quota delle risorse derivanti dai risparmi legati a processi di riorganizzazione al finanziamento della contrattazione collettiva integrativa per le amministrazioni pubbliche;
va, peraltro, riconosciuto che la riforma del lavoro pubblico approvata in questa legislatura è la più incisiva azione di riordino organico della materia dai primi Anni Novanta, e che il suo obiettivo è migliorare l'organizzazione e le performance dell'amministrazione, quali decisivi fattori di sviluppo dell'economia;
tale riforma attua un preciso indirizzo politico-programmatico del Governo e della maggioranza parlamentare che lo sostiene, nel rispetto degli impegni assunti con gli elettori,
impegna il Governo:
a) a destinare prioritariamente le eventuali risorse che dovessero rendersi disponibili in ragione del miglioramento della congiuntura economica al finanziamento della contrattazione collettiva del settore pubblico, riconsiderando ove possibile i vincoli introdotti per il triennio 2011-2013 con il decreto-legge in via di conversione;
b) a proseguire nella politica di attuazione delle citate disposizioni legislative e a prevedere, anche nell'ambito della prossima Decisione di finanza pubblica, fermo restando il rispetto dei saldi complessivi, che si proceda alla verifica e alla quantificazione delle suindicate risorse finanziarie aggiuntive, destinate a premiare l'efficienza e la qualità delle prestazioni lavorative individuali sulla base del processo di misurazione e valutazione della performance;
c) a proseguire nell'attuazione delle disposizioni in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza del settore pubblico, di cui al decreto legislativo n. 150 del 2009 e ad individuare - nel quadro della prossima Decisione di finanza pubblica, fermo restando il rispetto dei saldi complessivi e dei vincoli assunti in sede comunitaria - adeguate risorse finanziarie da destinare ai trattamenti economici accessori dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni in ragione della qualità e produttività delle prestazioni lavorative nonché della loro attitudine all'innovazione.
9/3638/72. Moffa.
La Camera
premesso che:
il disegno di legge in esame interviene, in un contesto economico-finanziario caratterizzato da una forte decelerazione dell'economia europea e dal conseguente rallentamento della crescita del PIL, con una manovra finanziaria volta al contenimento della spesa pubblica e, parallelamente, all'incremento delle entrate derivanti dal contrasto all'evasione e all'elusione fiscale;
l'azione del Governo è diretta a garantire la stabilità della finanza pubblica quale precondizione per l'adozione di misure di sviluppo economico volte a salvaguardare il risparmio delle famiglie, sostenerne i redditi e i consumi, incentivare gli investimenti privati e sviluppare quelli pubblici;
in tale prospettiva il temporaneo blocco dei contratti del settore pubblico rappresenta una dolorosa necessità ma la durata di esso deve essere quanto più breve possibile;
in ragione della minore esposizione ai fattori specifici di crisi rispetto agli altri partner europei, segnali positivi indicano per l'Italia, nel quadro della imminente ripresa internazionale, una ripresa dell'economia e un'espansione del PIL nel biennio 2011-2012 tale da consentire di rispettare gli impegni assunti in sede europea e di sviluppare, contemporaneamente, una politica economica di crescita, di recupero della produttività e di sostegno alle famiglie e alle imprese;
la manovra in esame si propone una rigorosa azione di controllo e di contenimento della spesa pubblica, con particolare riferimento a quella corrente primaria;
nell'ambito delle predette misure di contenimento, i trattamenti economici dei dipendenti pubblici per gli anni dal 2011 al 2013 non potranno superare il livello previsto per l'anno corrente e, in considerazione della gravità della situazione economica, è disposta la sospensione delle procedure contrattuali e negoziali per gli anni 2010-2012;
in tal modo si impongono consistenti sacrifici, pur necessari, a tutti i dipendenti del settore pubblico;
le disposizioni di cui all'articolo 61 del decreto-legge n. 112 del 2008 e di cui all'articolo 27 del decreto legislativo n. 150 del 2009 consentono di destinare una quota delle risorse derivanti dai risparmi legati a processi di riorganizzazione al finanziamento della contrattazione collettiva integrativa per le amministrazioni pubbliche;
va, peraltro, riconosciuto che la riforma del lavoro pubblico approvata in questa legislatura è la più incisiva azione di riordino organico della materia dai primi Anni Novanta, e che il suo obiettivo è migliorare l'organizzazione e le performance dell'amministrazione, quali decisivi fattori di sviluppo dell'economia;
tale riforma attua un preciso indirizzo politico-programmatico del Governo e della maggioranza parlamentare che lo sostiene, nel rispetto degli impegni assunti con gli elettori,
impegna il Governo:
se le condizioni di finanza pubblica lo consentono:
a) a destinare prioritariamente le eventuali risorse che dovessero rendersi disponibili in ragione del miglioramento della congiuntura economica al finanziamento della contrattazione collettiva del settore pubblico, riconsiderando ove possibile i vincoli introdotti per il triennio 2011-2013 con il decreto-legge in via di conversione;
b) a proseguire nella politica di attuazione delle citate disposizioni legislative e a prevedere, anche nell'ambito della prossima Decisione di finanza pubblica, fermo restando il rispetto dei saldi complessivi, che si proceda alla verifica e alla quantificazione delle suindicate risorse finanziarie aggiuntive, destinate a premiare l'efficienza e la qualità delle prestazioni lavorative individuali sulla base del processo di misurazione e valutazione della performance;
c) a proseguire nell'attuazione delle disposizioni in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza del settore pubblico, di cui al decreto legislativo n. 150 del 2009 e ad individuare - nel quadro della prossima Decisione di finanza pubblica, fermo restando il rispetto dei saldi complessivi e dei vincoli assunti in sede comunitaria - adeguate risorse finanziarie da destinare ai trattamenti economici accessori dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni in ragione della qualità e produttività delle prestazioni lavorative nonché della loro attitudine all'innovazione.
9/3638/72. (Testo modificato nel corso della seduta) Moffa.
La Camera,
premesso che:
il comma 24 dell'articolo 7 riduce, a decorrere dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, gli stanziamenti sui capitoli iscritti per il 2010 agli stati di previsione delle amministrazioni centrali vigilanti relativi al contributo dello Stato a enti, istituti, fondazioni e altri organismi per una quota pari al 50 per cento delle dotazioni dell'anno 2009;
risulta necessario assicurare la prosecuzione dell'attività di screening e di campagna di diagnosi precoce del tumore al seno da parte della LILT (Lega italiana lotta ai tumori) attraverso i suoi laboratori diagnostici;
la Lega italiana per la lotta contro i tumori (LILT) avrà una riduzione totale dei fondi ordinari per gli effetti della riduzione del 50 per cento degli stanziamenti sui capitoli degli stati di previsione delle amministrazioni vigilanti relativi al contributo dello Stato a enti, istituti, fondazioni e altri organismi, di cui all'articolo 7, comma 24,
impegna il Governo
a valutare la possibilità di assumere iniziative, anche normative, volte a sostenere e salvaguardare l'attività ordinaria di prevenzione del tumore al seno da parte della LILT prevedendo, altresì, di ripristinare i fondi già stanziati e ripartiti con decreto interministeriale per l'anno 2010 di cui al capitolo 3412 dello stato di previsione della spesa del Ministero della salute.
9/3638/73. De Luca, Barani, Bocciardo.
La Camera,
premesso che:
il provvedimento in discussione reca misure in materia di stabilizzazione finanziaria;
l'articolo 32 della Costituzione, nel riconoscere la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, ricomprende nella sua tutela non solo l'attività di cura, ma anche quella di prevenzione;
l'attività di prevenzione delle patologie, dove possibile, è un atto dovuto in termini scientifici, sociali, etici nonché economici, una pratica che - riducendo il ricorso alle cure - ha il pregio di contrastare il trend di crescita strutturale della spesa sanitaria nazionale, che nel 2008 ha raggiunto il 9,1 per cento del Pil;
come riconosciuto dal Piano sanitario nazionale (PSN) 2006-2008, negli anni passati gli investimenti in prevenzione (vaccinazioni, lotta al fumo di tabacco, all'obesità e al diabete, all'uso di alcol e di droghe, agli incidenti domestici) sono stati scarsi, nonostante sia noto che essi sono quelli con il massimo ritorno in termini economici e di salute;
il Piano sanitario nazionale 2006 -2008 ha stabilito che il 5 per cento del Fondo sanitario nazionale debba essere destinato ad attività di prevenzione;
tale riserva di risorse è stata successivamente ribadita e confermata sia dal Patto per la salute 2010-2012, siglato il 3 dicembre 2009, che dal Piano nazionale della prevenzione del 29 aprile 2010, per l'attuazione del quale le Regioni e le Province autonome hanno convenuto di destinare ulteriori 200 milioni di euro rispetto alle risorse già previste per la realizzazione degli obiettivi del Piano sanitario nazionale;
per l'attuazione del Patto per la salute 2010-2012 lo Stato si impegna ad assicurare 104.614 milioni di euro per l'anno 2010 e 106.934 milioni di euro per l'anno 2011, e il 5 per cento di tale somma da destinare alla prevenzione ammonta dunque a 5.230 milioni per il 2010 e 5.346,7 per il 2011;
nell'ambito delle attività di prevenzione un ruolo di primo piano è svolto dalle vaccinazioni, che costituiscono strumenti sempre più efficaci in termini economici e di salute per la prevenzione primaria di patologie diffuse e gravi;
non esistono procedure di verifica e controllo sulla reale destinazione alla prevenzione, da parte delle regioni e province autonome, della quota di Fondo sanitario nazionale ad essa riservata nella misura del 5 per cento;
ai sensi dell'articolo 1 del Piano nazionale della prevenzione 2010-2012 le regioni si impegnano ad adottare, entro il 30 settembre 2010, il Piano regionale di prevenzione;
dalla valutazione della performance dei sistemi sanitari regionali commissionata dal Ministero della salute al Laboratorio Management e Sanità della Scuola superiore Sant'Anna emerge una sensibile disomogeneità nella copertura vaccinale tra le diverse regioni;
l'esistenza di un monopolio nel mercato dei vaccini obbligatori ha indotto un aumento dei prezzi d'acquisto degli stessi da parte del Servizio sanitario nazionale, ha ridotto la possibilità per i consumatori di scegliere tra diversi prodotti e modelli di prevenzione e ha aumentato il rischio di incapienza dell'offerta rispetto alla domanda,
impegna il Governo:
ad assumere tutte le iniziative di propria competenza affinché la quota del 5 per cento degli stanziamenti relativi al Fondo sanitario nazionale sia non solo allocata per il perseguimento di politiche di prevenzione, ma altresì finalizzata dagli enti regionali e provinciali autonomi, mediante l'esatta individuazione delle missioni e relative risorse da utilizzare, nell'ambito dei propri bilanci, al perseguimento degli specifici obiettivi di prevenzione e in particolare delle politiche vaccinali;
a valutare se la scelta di acquistare i vaccini obbligatori, soprattutto i cd. polivalenti, presso un solo produttore sia compatibile con l'obiettivo di stabilizzare le finanze pubbliche, evitare concentrazioni dell'offerta di tipo monopolistico e ridurre l'incidenza delle stesse sulla spesa sanitaria nazionale, oltre che con lo sviluppo di un mercato concorrenziale e con la garanzia per i consumatori e per gli erogatori pubblici di servizi sanitari di poter scegliere autonomamente tra prodotti differenti.
9/3638/74. Della Vedova, Cazzola.
La Camera,
premesso che:
il provvedimento in discussione reca misure in materia di stabilizzazione finanziaria;
l'articolo 32 della Costituzione, nel riconoscere la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, ricomprende nella sua tutela non solo l'attività di cura, ma anche quella di prevenzione;
l'attività di prevenzione delle patologie, dove possibile, è un atto dovuto in termini scientifici, sociali, etici nonché economici, una pratica che - riducendo il ricorso alle cure - ha il pregio di contrastare il trend di crescita strutturale della spesa sanitaria nazionale, che nel 2008 ha raggiunto il 9,1 per cento del Pil;
come riconosciuto dal Piano sanitario nazionale (PSN) 2006-2008, negli anni passati gli investimenti in prevenzione (vaccinazioni, lotta al fumo di tabacco, all'obesità e al diabete, all'uso di alcol e di droghe, agli incidenti domestici) sono stati scarsi, nonostante sia noto che essi sono quelli con il massimo ritorno in termini economici e di salute;
il Piano sanitario nazionale 2006 -2008 ha stabilito che il 5 per cento del Fondo sanitario nazionale debba essere destinato ad attività di prevenzione;
tale riserva di risorse è stata successivamente ribadita e confermata sia dal Patto per la salute 2010-2012, siglato il 3 dicembre 2009, che dal Piano nazionale della prevenzione del 29 aprile 2010, per l'attuazione del quale le Regioni e le Province autonome hanno convenuto di destinare ulteriori 200 milioni di euro rispetto alle risorse già previste per la realizzazione degli obiettivi del Piano sanitario nazionale;
per l'attuazione del Patto per la salute 2010-2012 lo Stato si impegna ad assicurare 104.614 milioni di euro per l'anno 2010 e 106.934 milioni di euro per l'anno 2011, e il 5 per cento di tale somma da destinare alla prevenzione ammonta dunque a 5.230 milioni per il 2010 e 5.346,7 per il 2011;
nell'ambito delle attività di prevenzione un ruolo di primo piano è svolto dalle vaccinazioni, che costituiscono strumenti sempre più efficaci in termini economici e di salute per la prevenzione primaria di patologie diffuse e gravi;
non esistono procedure di verifica e controllo sulla reale destinazione alla prevenzione, da parte delle regioni e province autonome, della quota di Fondo sanitario nazionale ad essa riservata nella misura del 5 per cento;
ai sensi dell'articolo 1 del Piano nazionale della prevenzione 2010-2012 le regioni si impegnano ad adottare, entro il 30 settembre 2010, il Piano regionale di prevenzione;
dalla valutazione della performance dei sistemi sanitari regionali commissionata dal Ministero della salute al Laboratorio Management e Sanità della Scuola superiore Sant'Anna emerge una sensibile disomogeneità nella copertura vaccinale tra le diverse regioni;
l'esistenza di un monopolio nel mercato dei vaccini obbligatori ha indotto un aumento dei prezzi d'acquisto degli stessi da parte del Servizio sanitario nazionale, ha ridotto la possibilità per i consumatori di scegliere tra diversi prodotti e modelli di prevenzione e ha aumentato il rischio di incapienza dell'offerta rispetto alla domanda,
impegna il Governo:
a valutare l'opportunità di assumere tutte le iniziative di propria competenza affinché la quota del 5 per cento degli stanziamenti relativi al Fondo sanitario nazionale sia non solo allocata per il perseguimento di politiche di prevenzione, ma altresì finalizzata dagli enti regionali e provinciali autonomi, mediante l'esatta individuazione delle missioni e relative risorse da utilizzare, nell'ambito dei propri bilanci, al perseguimento degli specifici obiettivi di prevenzione e in particolare delle politiche vaccinali;
a valutare se la scelta di acquistare i vaccini obbligatori, soprattutto i cd. polivalenti, presso un solo produttore sia compatibile con l'obiettivo di stabilizzare le finanze pubbliche, evitare concentrazioni dell'offerta di tipo monopolistico e ridurre l'incidenza delle stesse sulla spesa sanitaria nazionale, oltre che con lo sviluppo di un mercato concorrenziale e con la garanzia per i consumatori e per gli erogatori pubblici di servizi sanitari di poter scegliere autonomamente tra prodotti differenti.
9/3638/74. (Testo modificato nel corso della seduta) Della Vedova, Cazzola.
La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame comporta ulteriori tagli al Ministero degli affari esteri che potrebbero ulteriormente aggravare la già critica situazione per il settore della cooperazione allo sviluppo, sia per quanto riguarda le risorse, sia per quanto riguarda il funzionamento amministrativo della Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo;
da più di un decennio, inoltre, numerose organizzazioni non governative operanti nell'ambito della cooperazione allo sviluppo sono creditrici nei confronti dell'amministrazione pubblica per un ammontare complessivo di circa 30 milioni di euro per un numero di circa 500 progetti, già completati e rendicontati;
l'esposizione finanziaria di numerose Ong ha ormai superato in molti casi la soglia critica, tanto da far rischiare loro il fallimento;
in particolare, a causa del deficit di risorse umane dell'ufficio preposto, non si riesce a riassorbire, nonostante gli sforzi profusi, il forte arretrato che per essere smaltito, secondo stime approssimative, richiederebbe un anno di lavoro per sei dipendenti in pianta stabile;
in un momento così difficile, l'eventuale smaltimento dell'arretrato per progetti già rendicontati rappresenterebbe forse l'unica possibilità di sopravvivenza per numerose Ong operanti da decenni in questo settore;
in forza dell'articolo 16, comma 1, lettera d) della legge n. 49 del 1987 - che prevede la possibilità di richiedere il distacco presso la Direzione Generale per la Cooperazione allo sviluppo di personale di altre amministrazioni dello Stato - la DGCS presso il Ministero degli affari esteri ha formalmente richiesto alla Guardia di Finanza la messa a disposizione di almeno sette unità in posizione di comando, al fine di smaltire questo arretrato, senza ancora aver ricevuto risposta,
impegna il Governo
ad adottare iniziative volte a dotare, nel più breve tempo possibile, la Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo presso il Ministero degli affari esteri di unità aggiuntive di personale, in posizione di comando, individuando nell'ambito delle strutture dell'amministrazione dello Stato, quelle più idonee a fornire il suddetto personale.
9/3638/75. Pezzotta, Pianetta, Tempestini.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 6, comma 2, del decreto-legge in esame, come modificato dal Senato, impone del tutto irragionevolmente, ai fini del contenimento della spesa pubblica, l'azzeramento dei compensi dei componenti degli organi di enti e fondazioni finanziate in misura maggioritaria dai privati, mentre in altra parte del provvedimento ci si limita a stabilire una mera riduzione dei compensi dei componenti degli organi di enti e società interamente finanziate a carico dei bilanci pubblici,
impegna il Governo
ad assumere sollecitamente le iniziative atte a stabilire una definizione puntuale degli enti privati cui si applica il citato comma 2 dell'articolo 6 del decreto-legge in esame, distinguendo quelli sovvenzionati da enti pubblici e quelli sovvenzionati in misura non superiore al cinquanta percento a carico di bilanci pubblici e con fatturato non inferiore a 20 milioni di euro, al fine di escludere questi ultimi dall'applicazione della norma in questione.
9/3638/76. Lanzillotta.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 6, comma 2, del decreto-legge in esame, come modificato dal Senato, impone del tutto irragionevolmente, ai fini del contenimento della spesa pubblica, l'azzeramento dei compensi dei componenti degli organi di enti e fondazioni finanziate in misura maggioritaria dai privati, mentre in altra parte del provvedimento ci si limita a stabilire una mera riduzione dei compensi dei componenti degli organi di enti e società interamente finanziate a carico dei bilanci pubblici,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di assumere sollecitamente le iniziative atte a stabilire una definizione puntuale degli enti privati cui si applica il citato comma 2 dell'articolo 6 del decreto-legge in esame, distinguendo quelli sovvenzionati da enti pubblici e quelli sovvenzionati in misura non superiore al cinquanta percento a carico di bilanci pubblici e con fatturato non inferiore a 20 milioni di euro, al fine di escludere questi ultimi dall'applicazione della norma in questione.
9/3638/76. (Testo modificato nel corso della seduta) Lanzillotta.
La Camera,
premesso che:
le sanzioni erogate per le quote latte sono costate 1,7 milioni di euro di mancati trasferimenti di finanziamenti europei all'Italia, risorse di cui avrebbe potuto beneficiare l'intero comparto agricolo, e la percentuale dei produttori che non hanno rispettato le quote loro assegnate è pari a circa 1'1,5 per cento di tutti i produttori di latte nel nostro Paese;
la legge 30 maggio 2003, n. 119, aveva previsto la possibilità, di cui molti produttori hanno approfittato, di rateizzare il prelievo dovuto e tale piano di rateizzazione era parte di un accordo politico, sancito dalla Decisione unanimemente adottata dal Consiglio il 16 luglio 2003, raggiunto all'epoca tra l'Unione europea e l'Italia, per mettere fine all'annosa questione della non corretta applicazione in Italia del regime sulle quote latte;
la legge 9 aprile 2009, n. 33, ha autorizzato una nuova rateizzazione del debito pregresso, consentendo di agevolare ulteriormente la gestione finanziaria dell'onere;
anche sulla base dei dati forniti dalla relazione elaborata dal Comando dei carabinieri delle politiche agricole e alimentari, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, l'AGEA, nonché il Commissario straordinario per le quote latte concordano sull'inesistenza di qualsiasi elemento oggettivo che possa supportare verificate irregolarità di entità tale da incidere in modo apprezzabile sul calcolo del prelievo, confermando così le conclusioni a cui erano arrivate tutte le commissioni di indagine fino ad oggi;
nel corso dell'esame della manovra finanziaria presso il Senato della Repubblica è stata inserita, mediante un emendamento del relatore, confermato dal maxi-emendamento del Governo, la proroga al 31 dicembre 2010 dei pagamenti dei prelievi previsti dai piani di rateizzazione delle multe sulle quote latte;
la norma in questione fa espresso riferimento alla negativa congiuntura internazionale e agli accertamenti sulle conseguenze della crisi sul comparto lattiero-caseario;
circa la richiesta di dilazione del pagamento della sesta rata di cui alla decisione 2003/530/CE del Consiglio, formulata dal Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali pro tempore, la Commissione europea, nel mese di dicembre 2009, ha negato nel modo più assoluto tale possibilità;
l'articolo 1 della citata decisione 2003/530/CE fa inequivocabile riferimento alla necessità che il debito sia interamente rimborsato mediante rate annuali di uguale importo;
la Commissione, nel suo rapporto al Consiglio del 26 marzo 2010, ha nuovamente espresso preoccupazione per l'estrema lentezza con la quale l'Italia opera l'esazione dei prelievi sulle eccedenze che non sono oggetto del piano di rateizzazione del 2003;
da ultimo il 9 luglio 2010, il Commissario europeo all'agricoltura, esaminata la norma sulle quote latte inserita nella manovra finanziaria, ha immediatamente inviato una nota al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali informandolo che la norma in questione, qualora approvata, porterà inevitabilmente all'avvio di una procedura di infrazione ai sensi del Trattato UE, con gravissime conseguenze sulla finanza pubblica;
nella medesima nota del Commissario europeo all'agricoltura si pone in evidenza come la norma in questione si ponga in contrasto non solo con il diritto dell'Unione Europea, ma anche con i ripetuti impegni assunti a livello politico dal Governo italiano di imporre una rigorosa applicazione del regime delle quote in latte, impegno da ultimo riconfermato nell'ambito del compromesso politico raggiunto con l'Health Check della PAC;
tale posizione di netto contrasto con il diritto dell'Unione europea rischia di pregiudicare ed indebolire politicamente la posizione italiana nell'ambito del delicato processo di riforma della PAC,
impegna il Governo:
a dare attuazione alla disposizione di proroga dei pagamenti dei prelievi previsti dai piani di rateizzazione delle multe sulle quote latte solo previa verifica positiva da parte dei competenti organi comunitari al fine di garantire una coerente e corretta applicazione del diritto dell'Unione europea ed evitare l'attivazione di procedure di infrazione nei confronti dell'Italia;
a monitorare, attraverso gli accertamenti di natura economica e finanziaria di cui alla disposizione in premessa citata, anche per il tramite di ISMEA, oltre che del competente Dipartimento ministeriale, l'andamento della negativa congiuntura internazionale ed ai riflessi sul comparto lattiero-caseario.
9/3638/77. Paolo Russo.
La Camera,
premesso che:
le sanzioni erogate per le quote latte sono costate 1,7 milioni di euro di mancati trasferimenti di finanziamenti europei all'Italia, risorse di cui avrebbe potuto beneficiare l'intero comparto agricolo, e la percentuale dei produttori che non hanno rispettato le quote loro assegnate è pari a circa 1'1,5 per cento di tutti i produttori di latte nel nostro Paese;
la legge 30 maggio 2003, n. 119, aveva previsto la possibilità, di cui molti produttori hanno approfittato, di rateizzare il prelievo dovuto e tale piano di rateizzazione era parte di un accordo politico, sancito dalla Decisione unanimemente adottata dal Consiglio il 16 luglio 2003, raggiunto all'epoca tra l'Unione europea e l'Italia, per mettere fine all'annosa questione della non corretta applicazione in Italia del regime sulle quote latte;
la legge 9 aprile 2009, n. 33, ha autorizzato una nuova rateizzazione del debito pregresso, consentendo di agevolare ulteriormente la gestione finanziaria dell'onere;
anche sulla base dei dati forniti dalla relazione elaborata dal Comando dei carabinieri delle politiche agricole e alimentari, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, l'AGEA, nonché il Commissario straordinario per le quote latte concordano sull'inesistenza di qualsiasi elemento oggettivo che possa supportare verificate irregolarità di entità tale da incidere in modo apprezzabile sul calcolo del prelievo, confermando così le conclusioni a cui erano arrivate tutte le commissioni di indagine fino ad oggi;
nel corso dell'esame della manovra finanziaria presso il Senato della Repubblica è stata inserita, mediante un emendamento del relatore, confermato dal maxi-emendamento del Governo, la proroga al 31 dicembre 2010 dei pagamenti dei prelievi previsti dai piani di rateizzazione delle multe sulle quote latte;
la norma in questione fa espresso riferimento alla negativa congiuntura internazionale e agli accertamenti sulle conseguenze della crisi sul comparto lattiero-caseario;
circa la richiesta di dilazione del pagamento della sesta rata di cui alla decisione 2003/530/CE del Consiglio, formulata dal Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali pro tempore, la Commissione europea, nel mese di dicembre 2009, ha negato nel modo più assoluto tale possibilità;
l'articolo 1 della citata decisione 2003/530/CE fa inequivocabile riferimento alla necessità che il debito sia interamente rimborsato mediante rate annuali di uguale importo;
la Commissione, nel suo rapporto al Consiglio del 26 marzo 2010, ha nuovamente espresso preoccupazione per l'estrema lentezza con la quale l'Italia opera l'esazione dei prelievi sulle eccedenze che non sono oggetto del piano di rateizzazione del 2003;
da ultimo il 9 luglio 2010, il Commissario europeo all'agricoltura, esaminata la norma sulle quote latte inserita nella manovra finanziaria, ha immediatamente inviato una nota al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali informandolo che la norma in questione, qualora approvata, porterà inevitabilmente all'avvio di una procedura di infrazione ai sensi del Trattato UE, con gravissime conseguenze sulla finanza pubblica;
nella medesima nota del Commissario europeo all'agricoltura si pone in evidenza come la norma in questione si ponga in contrasto non solo con il diritto dell'Unione Europea, ma anche con i ripetuti impegni assunti a livello politico dal Governo italiano di imporre una rigorosa applicazione del regime delle quote in latte, impegno da ultimo riconfermato nell'ambito del compromesso politico raggiunto con l'Health Check della PAC;
tale posizione di netto contrasto con il diritto dell'Unione europea rischia di pregiudicare ed indebolire politicamente la posizione italiana nell'ambito del delicato processo di riforma della PAC,
impegna il Governo:
a dare attuazione alla disposizione di proroga dei pagamenti dei prelievi previsti dai piani di rateizzazione delle multe sulle quote latte verificando gli effetti derivanti anche sotto il profilo comunitario;
a monitorare, attraverso gli accertamenti di natura economica e finanziaria di cui alla disposizione in premessa citata, senza oneri per la finanza pubblica.
9/3638/77. (Testo modificato nel corso della seduta) Paolo Russo.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 15 del provvedimento in esame ha previsto l'applicazione del pedaggio sulle autostrade e sui raccordi autostradali in gestione diretta di ANAS SpA;
per l'individuazione delle tratte e dei raccordi autostradali gestiti dall'ANAS da sottoporre a pedaggio occorre verificare e tener conto della loro situazione effettiva di utilizzazione e fruizione, dello stato di lavori in corso di ammodernamento e messa in sicurezza;
è necessario poi valutare, tratta per tratta, l'esistenza di adeguate reti di viabilità ordinaria alternativa prima di introdurre il pedaggio;
non si può infine prescindere dalle concrete e specifiche condizioni economiche e sociali delle comunità interessate,
impegna il Governo
in sede di applicazione dell'articolo 15 del provvedimento in esame, ad escludere l'introduzione del pedaggio su tratte e su raccordi autostradali, gestiti direttamente dell'ANAS, quando siano tratte o raccordi disagiati o con lavori in corso di ammodernamento e messa in sicurezza e fino al loro totale completamento, quando non esiste, inoltre, un'adeguata e funzionale rete di viabilità ordinaria alternativa ed infine tenendo conto delle condizioni economiche e sociali delle comunità e dei territori interessati.
9/3638/78. Jannuzzi, Boffa.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 15 del provvedimento in esame ha previsto l'applicazione del pedaggio sulle autostrade e sui raccordi autostradali in gestione diretta di ANAS SpA;
per l'individuazione delle tratte e dei raccordi autostradali gestiti dall'ANAS da sottoporre a pedaggio occorre verificare e tener conto della loro situazione effettiva di utilizzazione e fruizione, dello stato di lavori in corso di ammodernamento e messa in sicurezza;
è necessario poi valutare, tratta per tratta, l'esistenza di adeguate reti di viabilità ordinaria alternativa prima di introdurre il pedaggio;
non si può infine prescindere dalle concrete e specifiche condizioni economiche e sociali delle comunità interessate,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di escludere l'introduzione del pedaggio su tratte e su raccordi autostradali, gestiti direttamente dell'ANAS, quando siano tratte o raccordi disagiati o con lavori in corso di ammodernamento e messa in sicurezza e fino al loro totale completamento, quando non esiste, inoltre, un'adeguata e funzionale rete di viabilità ordinaria alternativa ed infine tenendo conto delle condizioni economiche e sociali delle comunità e dei territori interessati.
9/3638/78. (Testo modificato nel corso della seduta) Jannuzzi, Boffa.
La Camera,
premesso che:
in occasione del terremoto dell'Aquila, a differenza di quanto avvenuto in occasione di precedenti eventi sismici di portata comparabile, non è stata emanata una legge organica che disciplini gli interventi per la ricostruzione;
si rende necessario superare la gestione emergenziale tipica dell'intervento del Dipartimento nazionale di Protezione civile, restituendo agli enti preposti la pienezza delle competenze, individuando fonti certe di copertura finanziaria e assicurando forme di coinvolgimento decisionale della popolazione locale,
impegna il Governo
a promuovere un disegno di legge organico che definisca:
le disposizioni per le autorità commissariali e locali che consentano di predisporre in tempi certi la quantificazione del danno e la redazione degli atti di pianificazione e programmazione necessari al celere avanzamento della ricostruzione;
le fonti di copertura finanziaria e l'approvvigionamento con certezza di copertura finanziaria, con l'istituzione di una tassazione di scopo;
gli adempimenti relativi alla sospensione del pagamento delle rate dei mutui accesi dai proprietari delle abitazioni lesionate fino all'effettivo rientro nell'abitazione dei beneficiari;
le norme di rilevanza finanziaria e fiscale (tasse, contributi, Equitalia), nonché quelle riguardanti il sostegno all'economia e all'occupazione, stabilendo agevolazioni di carattere contributivo e fiscale, anche in accordo con l'ABI, per un comportamento equo ed univoco nel trattamento del credito agevolato a favore di tutti gli operatori economici con sede nei comuni del cratere;
l'inizio della restituzione delle imposte sospese e non versate a far data dall'aprile 2019 nella misura del 40 per cento da effettuarsi in dieci anni;
misure atte a favorire l'apertura di nuove attività economiche e il rilancio di quelle esistenti nei comuni del cratere, al fine di dare impulso a nuova occupazione, anche attraverso lo strumento della zona franca;
obblighi di trasparenza e pubblicità, in particolare attraverso la pubblicazione su internet dei dati in formato aperto, sulla destinazione dei fondi erogati, i contratti stipulati, le procedure di assegnazione, i dati societari delle imprese private destinatarie dei fondi per la ricostruzione;
le forme di coinvolgimento attivo della popolazione locale;
un piano di interventi urgente per la messa in sicurezza del territorio, in particolar modo rispetto al dissesto idrogeologico e il rischio sismico;
obblighi e incentivi per assicurare la riqualificazione energetica degli edifici pubblici e privati;
ad operare nell'ambito dei seguenti principi generali:
rispetto del principio costituzionale di sussidiarietà verticale, attribuendo un opportuno ruolo a tutti i livelli istituzionali coinvolti nella ricostruzione, dallo Stato (sia a livello centrale che attraverso il Commissario) alla Regione e alla Provincia ed anzitutto ai comuni;
rispetto del principio di sussidiarietà dell'ausilium afferre, prevedendo che le strutture nazionali, regionali e commissariali provvedano al sostegno tecnico ed operativo, non aprioristicamente sostitutivo, degli organi tecnici degli enti locali, chiamati ad un compito di straordinario impegno;
rispetto del principio costituzionale di sussidiarietà orizzontale, restituendo al più presto ai cittadini e agli altri soggetti privati, entro un quadro chiaro, certo e comprensibile di governo, la effettiva capacità di intervento e partecipazione.
9/3638/79. Zamparutti, Beltrandi, Bernardini, Farina Coscioni, Mecacci, Maurizio Turco, Pes.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame, all'articolo 7, comma 1, istituisce il «polo della sicurezza», sopprimendo l'Ipsema e l'Ispels e attribuendo le relative funzioni all'Inail;
il nuovo ente può costituire la risposta di carattere istituzionale per rendere sempre più efficace ed adeguata l'azione per la difesa della salute e della sicurezza dei lavoratori,
impegna il Governo
a promuovere ogni iniziativa utile a rendere al più presto pienamente operativo il nuovo ente risultante dall'incorporazione dell'Ipsema e dell'Ispels nell'Inail.
9/3638/80. Nizzi, Cazzola.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 52, comma 1, del provvedimento in esame introduce un'interpretazione dell'articolo 10, comma 1, del decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153, con il prevedere che la vigilanza sulle fondazioni bancarie è attribuita al Ministero dell'economia e delle finanze indipendentemente dalla circostanza che le fondazioni controllino, direttamente o indirettamente società bancarie;
la norma non è omogenea né conferente con il decreto-legge in cui è contenuta; per questi motivi la proposta emendativa n. 2.15 del medesimo contenuto di cui all'Atto Camera n. 3350 è stata giudicata non ammissibile dalle Commissioni riunite VI e X della Camera dei deputati;
tale norma, lungi dall'essere interpretativa, è una norma innovativa che si sovrappone ad una legge ancora in vigore. L'articolo 52, comma 1, infatti, prevede puntualmente una «nuova autorità di controllo sulle persone giuridiche private» laddove l'articolo 10 del decreto legislativo n. 153 del 1999 fa semplicemente riferimento alla «nuova disciplina dell'autorità di controllo sulle persone giuridiche». Mette il conto di rilevare come solo le norme di interpretazione autentica prive di effetti innovativi possono avere efficacia retroattiva e non è questa la fattispecie in cui ricade l'articolo 52 in esame, che quindi contrasta con i principi costituzionali;
la norma confligge con un disegno di legge in esame al Consiglio dei Ministri che regolamenterà in via definitiva le fondazioni che non esercitano il controllo sulle società bancarie e che trovano il loro ambito normativa nel Titolo II, Libro I, del codice civile;
dal punto di vista sostanziale la norma, contravvenendo ai principi di civiltà giuridica connessi alla certezza del diritto, travolge una pronuncia del TAR Lazio (sentenza n. 12532/2009) la quale, sul tema della vigilanza sulle fondazioni ex bancarie, è chiarissima ed univoca nell'affidarne i poteri alle prefetture ai sensi dell'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 2000;
sul punto specifico della vigilanza v'è concordia, anche da parte della giurisprudenza costituzionale, nel ritenere che i poteri prefettizi siano idonei a realizzare la necessaria sovraintendenza sulle fondazioni ex bancarie,
impegna il Governo
ad adottare ulteriori iniziative normative che tengano conto della posizione peculiare, in termini di assetti di vigilanza, delle fondazioni ex bancarie, così come acclarata dalla giurisprudenza costituzionale e, recentemente, dal TAR del Lazio, nonché degli interessi coinvolti, dello scopo e delle attività delle fondazioni ex bancarie, in sede riforma del Titolo II del Libro I del codice civile.
9/3638/81. Versace, Antonino Foti, Calearo Ciman, Berardi, Barbareschi, Mazzucca, Porcu, Di Biagio, Realacci, Vignali, Savino, Gasbarra, Raisi, Renato Farina, Perina, Bocchino, Galletti, De Poli, Occhiuto, Libè.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 52, comma 1, del provvedimento in esame introduce un'interpretazione dell'articolo 10, comma 1, del decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153, con il prevedere che la vigilanza sulle fondazioni bancarie è attribuita al Ministero dell'economia e delle finanze indipendentemente dalla circostanza che le fondazioni controllino, direttamente o indirettamente società bancarie;
la norma non è omogenea né conferente con il decreto-legge in cui è contenuta; per questi motivi la proposta emendativa n. 2.15 del medesimo contenuto di cui all'Atto Camera n. 3350 è stata giudicata non ammissibile dalle Commissioni riunite VI e X della Camera dei deputati;
tale norma, lungi dall'essere interpretativa, è una norma innovativa che si sovrappone ad una legge ancora in vigore. L'articolo 52, comma 1, infatti, prevede puntualmente una «nuova autorità di controllo sulle persone giuridiche private» laddove l'articolo 10 del decreto legislativo n. 153 del 1999 fa semplicemente riferimento alla «nuova disciplina dell'autorità di controllo sulle persone giuridiche». Mette il conto di rilevare come solo le norme di interpretazione autentica prive di effetti innovativi possono avere efficacia retroattiva e non è questa la fattispecie in cui ricade l'articolo 52 in esame, che quindi contrasta con i principi costituzionali;
la norma confligge con un disegno di legge in esame al Consiglio dei Ministri che regolamenterà in via definitiva le fondazioni che non esercitano il controllo sulle società bancarie e che trovano il loro ambito normativa nel Titolo II, Libro I, del codice civile;
dal punto di vista sostanziale la norma, contravvenendo ai principi di civiltà giuridica connessi alla certezza del diritto, travolge una pronuncia del TAR Lazio (sentenza n. 12532/2009) la quale, sul tema della vigilanza sulle fondazioni ex bancarie, è chiarissima ed univoca nell'affidarne i poteri alle prefetture ai sensi dell'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 2000;
sul punto specifico della vigilanza v'è concordia, anche da parte della giurisprudenza costituzionale, nel ritenere che i poteri prefettizi siano idonei a realizzare la necessaria sovraintendenza sulle fondazioni ex bancarie,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di adottare ulteriori iniziative normative che tengano conto della posizione peculiare, in termini di assetti di vigilanza, delle fondazioni ex bancarie, così come acclarata dalla giurisprudenza costituzionale e, recentemente, dal TAR del Lazio, nonché degli interessi coinvolti, dello scopo e delle attività delle fondazioni ex bancarie, in sede riforma del Titolo II del Libro I del codice civile.
9/3638/81. (Testo modificato nel corso della seduta) Versace, Antonino Foti, Calearo Ciman, Berardi, Barbareschi, Mazzucca, Porcu, Di Biagio, Realacci, Vignali, Savino, Gasbarra, Raisi, Renato Farina, Perina, Bocchino, Galletti, De Poli, Occhiuto, Libè.
La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica, definisce disposizioni atte a tutelare i produttori di latte che non hanno rispettato il regime delle quote latte sancito dalla normative Ue, dimostrando una indiscutibile sensibilità nei confronti di una particolare categoria di lavoratori sebbene questi rappresentino un numero esiguo;
in occasione della discussione della legge finanziaria 2010 la relazione approvata dalla Commissione affari esteri della Camera ha sollecitato la necessità di rifinanziamento degli interventi a favore delle collettività italiane all'estero;
la legge n. 2 del 2009, la cosiddetta manovra anticrisi - ricollegabile alla ratio del provvedimento in esame - ha confermato una misura di sostegno al reddito rivolta alla categoria di lavoratori italiani residenti all'estero, modificando le disposizioni della legge finanziaria 2007 e riconoscendo, all'articolo 6, la proroga al 2010 per le detrazioni fiscali per carichi di famiglia in loro favore;
al momento il suddetto diritto è riconosciuto in maniera limitata a quei cittadini italiani residenti all'estero che producono un reddito assoggettabile ad IRPEF in Italia, - circa 6000 cittadini collocando questa categoria di lavoratori in una condizione di sostanziale disparità nei confronti dei residenti nel territorio nazionale;
il 5 maggio 2010 il Governo ha accolto nell'ambito del provvedimento cosiddetti incentivi l'impegno ad estendere il diritto alla fruizione delle detrazioni fiscali per carichi di famiglia ai residenti all'estero oltre l'anno 2010;
la richiesta di impegno formulata al Governo al fine di riconoscere ai lavoratori italiani residenti all'estero un diritto ed un sostegno meritorio e doveroso è stata accolta con favore dallo stesso Governo anche in occasione dell'esame della legge finanziaria 2010, dell'atto Camera 2561, dell'atto Camera 1386, della legge finanziaria 2009, e dell'atto Camera 2714, cosiddetto correttivo anticrisi,
impegna il Governo
a riconoscere con apposite disposizioni nell'ambito di provvedimenti affini per materia - da varare inderogabilmente entro il 2010 - il diritto alla fruizione delle detrazioni fiscali per carichi di famiglia ai residenti all'estero oltre l'anno 2010.
9/3638/82. Angeli, Di Biagio, Berardi.
La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica, definisce disposizioni atte a tutelare i produttori di latte che non hanno rispettato il regime delle quote latte sancito dalla normative Ue, dimostrando una indiscutibile sensibilità nei confronti di una particolare categoria di lavoratori sebbene questi rappresentino un numero esiguo;
in occasione della discussione della legge finanziaria 2010 la relazione approvata dalla Commissione affari esteri della Camera ha sollecitato la necessità di rifinanziamento degli interventi a favore delle collettività italiane all'estero;
la legge n. 2 del 2009, la cosiddetta manovra anticrisi - ricollegabile alla ratio del provvedimento in esame - ha confermato una misura di sostegno al reddito rivolta alla categoria di lavoratori italiani residenti all'estero, modificando le disposizioni della legge finanziaria 2007 e riconoscendo, all'articolo 6, la proroga al 2010 per le detrazioni fiscali per carichi di famiglia in loro favore;
al momento il suddetto diritto è riconosciuto in maniera limitata a quei cittadini italiani residenti all'estero che producono un reddito assoggettabile ad IRPEF in Italia, - circa 6000 cittadini collocando questa categoria di lavoratori in una condizione di sostanziale disparità nei confronti dei residenti nel territorio nazionale;
il 5 maggio 2010 il Governo ha accolto nell'ambito del provvedimento cosiddetti incentivi l'impegno ad estendere il diritto alla fruizione delle detrazioni fiscali per carichi di famiglia ai residenti all'estero oltre l'anno 2010;
la richiesta di impegno formulata al Governo al fine di riconoscere ai lavoratori italiani residenti all'estero un diritto ed un sostegno meritorio e doveroso è stata accolta con favore dallo stesso Governo anche in occasione dell'esame della legge finanziaria 2010, dell'atto Camera 2561, dell'atto Camera 1386, della legge finanziaria 2009, e dell'atto Camera 2714, cosiddetto correttivo anticrisi,
impegna il Governo
se le condizioni di finanza pubblica lo consentono, a riconoscere con apposite disposizioni nell'ambito di provvedimenti affini per materia - da varare inderogabilmente entro il 2010 - il diritto alla fruizione delle detrazioni fiscali per carichi di famiglia ai residenti all'estero oltre l'anno 2010.
9/3638/82. (Testo modificato nel corso della seduta) Angeli, Di Biagio, Berardi.
La Camera,
premesso che:
il decreto-legge in discussione, all'articolo 7, commi 31-ter e seguenti, sopprime l'Agenzia autonoma per la gestione dell'albo dei segretari comunali e provinciali, istituita dall'articolo 102 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267;
il trasferimento delle funzioni al Ministero dell'interno e i tempi del relativo esercizio, nonché l'individuazione delle risorse umane, strumentali e finanziarie riallocate presso il dicastero, sono demandati ad un decreto del Ministro dell'interno di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze;
nelle more dell'emanazione del decreto ministeriale, la continuità delle attività di interesse pubblico dell'Agenzia e la sua operatività sono salvaguardate «fino al perfezionamento del processo di riorganizzazione»,
impegna il Governo
a prevedere che il consiglio nazionale di amministrazione previsto dal comma 2 dell'articolo 102 del citato decreto legislativo n. 267 del 2000 resti in carica fino all'emanazione del decreto ministeriale;
a prevedere che i componenti dei consigli di amministrazione delle sezioni regionali dell'Agenzia cessino dalla propria carica all'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge.
9/3638/83. Graziano, Rubinato, Laratta.
La Camera,
premesso che:
il decreto-legge in esame, prevede all'articolo 6, comma 14, che le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 1999, n. 196, incluse le autorità indipendenti, non possono effettuare spese di ammontare superiore all'80 per cento della spesa sostenuta nell'anno 2009 per l'acquisto, la manutenzione, il noleggio e l'esercizio di autovetture, nonché per l'acquisto di buoni taxi;
la percentuale di riduzione del 20 per cento rispetto al 2009 sulla spesa sostenuta dalle pubbliche amministrazioni appare ancora troppo contenuta rispetto agli effettivi sprechi che in tale ambito per un lungo periodo sono stati perpetrati;
stando ai dati pubblicati dagli organi di informazione le vetture in dotazione alla Pubblica amministrazione sono circa 600 mila. Un numero di mezzi che rispetto al resto del mondo vede il nostro Paese al primo posto rispetto al resto del mondo. Un rapporto incredibilmente alto, se si pensa, stando sempre alle notizie riportate dai media, che a fronte delle nostre oltre 600 mila auto blu, ce ne sono 72.000 negli Usa, 61 mila in Francia, 55 mila nel Regno Unito e 54 mila in Germania, fino ad arrivare alle 22 mila del Portogallo;
con propria direttiva il Ministro per la Pubblica amministrazione, ha avvito un monitoraggio finalizzato ad accertare la reale consistenza del parco auto utilizzato dalle amministrazioni pubbliche al fine di ottenere dei dati obiettivi di partenza in merito al loro utilizzo concreto sulla base dei quali costruire poi soluzioni razionali e innovative atte a portare, anche nel lungo periodo, significativi risparmi di spesa per le casse pubbliche,
impegna il Governo
a valutare positivamente l'opportunità di adottare ulteriori misure atte ad aumentare al 50 per cento la percentuale di riduzione sulla spesa sostenuta dalle pubbliche amministrazioni per l'acquisto, la manutenzione, il noleggio e l'esercizio di autovetture.
9/3638/84. Maggioni.
La Camera,
premesso che:
durante l'esame del decreto-legge al Senato è stato soppresso il comma 12 dell'articolo 12 del decreto-legge che recava l'interpretazione autentica delle disposizioni dell'articolo 4, comma 90, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 e dall'articolo 3-quater, comma 1, del decreto-legge 28 dicembre 2006, n. 300, che autorizzano i soggetti colpiti dagli eventi alluvionali in Piemonte del novembre 1994, destinatari di provvedimenti di agevolazione in tema di versamento di tributi, contributi previdenziali e premi, a definire in via automatica la propria posizione, pagando il 10 per cento di quanto dovuto;
in particolare, tali norme estendono agli alluvionati del Piemonte le agevolazioni già riconosciute ai terremotati della Sicilia orientale;
il comma 12, andando oltre i limiti di un intervento di effettiva interpretazione autentica e contraddicendo il chiaro tenore letterale delle disposizioni interpretate, precisava che i predetti benefici si applicano esclusivamente ai versamenti tributari ed ai connessi adempimenti, e non anche ai versamenti contributivi previdenziali, senza rimborso di quanto eventualmente già versato a titolo di contribuzione dovuta;
la soppressione di tale comma era attesa con grande preoccupazione dalle imprese piemontesi, già provate dagli eventi calamitosi e dalla recente crisi economica, in quanto veniva avvertito come un atto di prepotenza da parte dell'INPS in spregio dei diritti delle imprese operanti in Piemonte sanciti dalla legge;
il comma 2 dell'articolo 1 del disegno di legge di conversione reca misure di salvaguardia degli effetti del decreto-legge, facendo salvi gli atti e i provvedimenti adottati nonché gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base del comma 12 dell'articolo 12;
tale ultima disposizione, costituente clausola di stile in sede di conversione di norme contenute in decreti-legge, intende mantenere fermi gli eventuali effetti definitivi riconducibili a provvedimenti amministrativi inoppugnabili od a pronunce giudiziali passate in giudicato emanati nel breve periodo di vigenza della norma abrogata in sede di conversione del decreto legge;
il comma 12 dell'articolo 12 si presentava come una norma di interpretazione autentica che il Parlamento ha giudicato, da un lato, non opportuna, dall'altro di dubbia legittimità costituzionale perché dietro l'apparenza di una norma interpretativa celava una norma innovativa foriera di disparità di trattamento tra posizioni giuridiche soggettive equivalenti, provvedendo conseguentemente alla sua soppressione e al ripristino integrale del beneficio previsto dalle disposizioni legislative interpretate;
una eventuale diversa interpretazione della predetta clausola di salvezza degli effetti dell'articolo 12, comma 12, del decreto-legge crea discriminazioni inammissibili tra le imprese vittime di eventi calamitosi e sarà, senz'altro, causa di ulteriori contenziosi con ricadute negative sulla finanza pubblica,
impegna il Governo
a recepire la predetta interpretazione dell'articolo 1, comma 2, della legge di conversione del decreto-legge n. 78 del 2010, nel senso di mantenere fermi esclusivamente gli effetti definitivi riconducibili a provvedimenti inoppugnabili od a pronunce giudiziali passate in giudicato emanati nel breve periodo di vigenza della norma abrogata in sede di conversione del decreto-legge.
9/3638/85. Simonetti, Togni, Allasia, Fogliato, Buonanno, Cavallotto, Pastore, Stradella, Armosino.
La Camera,
premesso che:
il comma 15 dell'articolo 11 del decreto in esame detta alcune disposizioni finalizzate a rendere operativa l'evoluzione della Tessera Sanitaria (TS) di cui al comma 1 dell'articolo 50 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 verso la Tessera Sanitaria - Carta nazionale dei servizi (TS-CNS);
la Tessera Sanitaria è la tessera personale che ha sostituito il tesserino del codice fiscale per tutti i cittadini aventi diritto alle prestazioni del Servizio Sanitario Nazionale; la Tessera contiene, oltre ai dati anagrafici e assistenziali, anche il codice fiscale, è valida sull'intero territorio nazionale e permette di ottenere servizi sanitari anche nei paesi dell'Unione Europea, in sostituzione del modello cartaceo E 111;
la Tessera Sanitaria costituisce un importante strumento per l'informatizzazione del Servizio sanitario nazionale, destinato a promuovere un più effettivo sistema di monitoraggio della spesa sanitaria, e quindi a favorire una migliore gestione delle risorse spese nella sanità;
per attuare tali obiettivi, negli ultimi anni sono state adottate numerose linee guida, rivolte in primo luogo ai medici e ai farmacisti e agli altri operatori del settore, per l'invio telematico delle prescrizioni sanitarie;
contestualmente, è stata introdotta nel nostro paese la carta d'identità elettronica (CIE), il documento di identificazione che ai sensi dell'articolo 7-vicies ter della Legge 31 marzo 2005 n. 43 è destinato progressivamente a sostituire la carta d'identità cartacea sul territorio italiano;
nella carta d'identità elettronica sono contenuti, oltre ai fondamentali dati anagrafici del titolare, anche il codice fiscale. In base al Codice dell'Amministrazione Digitale, inoltre, il microprocessore della carta d'identità elettronica potrà contenere, a richiesta dell'interessato, ove si tratti di dati sensibili, l'indicazione del gruppo sanguigno, le opzioni di carattere sanitario previste dalla legge, tutti gli altri dati utili al fine di razionalizzare e semplificare l'azione amministrativa e i servizi resi al cittadino, anche per mezzo dei portali, nel rispetto della normativa in materia di riservatezza;
le potenzialità della carta d'identità elettronica, nonché l'esigenza di adeguare il processo di informatizzazione della pubblica amministrazione al criterio della semplificazione e della razionalizzazione degli strumenti di accesso ai servizi, rendono necessario adottare misure di riorganizzazione della TS-CNS, finalizzate a farla confluire all'interno della carta d'identità elettronica,
impegna il Governo
a valutare positivamente l'idea di un riordino del sistema di informatizzazione del Servizio sanitario nazionale incentrato sulla Tessera Sanitaria-Carta Nazionale dei Servizi, al fine di far confluire tale tessera all'interno della Carta d'identità elettronica, e quindi dotare i cittadini di un unico documento elettronico per l'interazione informatica con la pubblica amministrazione.
9/3638/86. Bragantini.
La Camera,
premesso che:
il comma 15 dell'articolo 11 del decreto in esame detta alcune disposizioni finalizzate a rendere operativa l'evoluzione della Tessera Sanitaria (TS) di cui al comma 1 dell'articolo 50 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 verso la Tessera Sanitaria - Carta nazionale dei servizi (TS-CNS);
la Tessera Sanitaria è la tessera personale che ha sostituito il tesserino del codice fiscale per tutti i cittadini aventi diritto alle prestazioni del Servizio Sanitario Nazionale; la Tessera contiene, oltre ai dati anagrafici e assistenziali, anche il codice fiscale, è valida sull'intero territorio nazionale e permette di ottenere servizi sanitari anche nei paesi dell'Unione Europea, in sostituzione del modello cartaceo E 111;
la Tessera Sanitaria costituisce un importante strumento per l'informatizzazione del Servizio sanitario nazionale, destinato a promuovere un più effettivo sistema di monitoraggio della spesa sanitaria, e quindi a favorire una migliore gestione delle risorse spese nella sanità;
per attuare tali obiettivi, negli ultimi anni sono state adottate numerose linee guida, rivolte in primo luogo ai medici e ai farmacisti e agli altri operatori del settore, per l'invio telematico delle prescrizioni sanitarie;
contestualmente, è stata introdotta nel nostro paese la carta d'identità elettronica (CIE), il documento di identificazione che ai sensi dell'articolo 7-vicies ter della Legge 31 marzo 2005 n. 43 è destinato progressivamente a sostituire la carta d'identità cartacea sul territorio italiano;
nella carta d'identità elettronica sono contenuti, oltre ai fondamentali dati anagrafici del titolare, anche il codice fiscale. In base al Codice dell'Amministrazione Digitale, inoltre, il microprocessore della carta d'identità elettronica potrà contenere, a richiesta dell'interessato, ove si tratti di dati sensibili, l'indicazione del gruppo sanguigno, le opzioni di carattere sanitario previste dalla legge, tutti gli altri dati utili al fine di razionalizzare e semplificare l'azione amministrativa e i servizi resi al cittadino, anche per mezzo dei portali, nel rispetto della normativa in materia di riservatezza;
le potenzialità della carta d'identità elettronica, nonché l'esigenza di adeguare il processo di informatizzazione della pubblica amministrazione al criterio della semplificazione e della razionalizzazione degli strumenti di accesso ai servizi, rendono necessario adottare misure di riorganizzazione della TS-CNS, finalizzate a farla confluire all'interno della carta d'identità elettronica,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di valutare positivamente l'idea di un riordino del sistema di informatizzazione del Servizio sanitario nazionale incentrato sulla Tessera Sanitaria-Carta Nazionale dei Servizi, al fine di far confluire tale tessera all'interno della Carta d'identità elettronica, e quindi dotare i cittadini di un unico documento elettronico per l'interazione informatica con la pubblica amministrazione.
9/3638/86. (Testo modificato nel corso della seduta) Bragantini.
La Camera,
premesso che:
le disposizioni contenute nell'articolo 45 intervengono sugli incentivi dei certificati verdi e del CIP6 con lo scopo di garantire l'efficienza del meccanismo incentivante dei certificati verdi medesimi rispetto alla diffusione dell'energia verde;
il Governo ha promosso una serie di iniziative a favore della diffusione dell'energia da fonti rinnovabili, dell'efficienza energetica e del risparmio energetico, anche ai fini del rispetto dell'obiettivo di riduzione delle emissioni climalteranti stabilito in ambito comunitario;
la detrazione IRPEF del 55 per cento per la riqualificazione energetica degli edifici si è dimostrata uno strumento valido per migliorare la qualità degli edifici sotto il profilo energetico e garantire la riduzione dei consumi energetici;
tale incentivo scade il 31 dicembre 2010;
impegna il Governo
nei prossimi provvedimenti legislativi di carattere finanziario, a valutare la possibilità di prevedere l'applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 1, commi da 344 a 347, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, nella misura e alle condizioni ivi previste, anche alle spese sostenute entro il 31 dicembre 2011.
9/3638/87. Lanzarin, Guido Dussin, Togni, Alessandri.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 46, allo scopo di garantire l'efficientamento della spesa pubblica e poter reinvestire in opere infrastrutturali, prevede la revoca dei mutui accesi con la Cassa depositi e prestiti entro il 31 dicembre 2006, ad onere di ammortamento a totale carico dello Stato, e non ancora erogati;
il CIPE provvede alla rassegnazione delle risorse derivanti dalle revoche per la prosecuzione delle opere della legge obiettivo, con priorità al finanziamento del MO.S.E., nel limite massimo di 400 milioni di euro. La relazione tecnica stima un importo non inferiore ai 635 milioni di euro proveniente dalle revoche;
il collegamento ferroviario AV/AC Verona-Padova costituisce parte della trasversale est-ovest Torino - Milano - Venezia, inserita nel Corridoio europeo n. 5 Lione-Kiev e rappresenta un tassello importante di una delle più significative opere strategiche della legge obiettivo;
la popolazione interessata manifesta un crescente allarme per l'assenza di stanziamenti destinati alla progettazione ed alla realizzazione della linea ferroviaria AV/AC nel tratto Verona-Padova, anche a seguito di uno slittamento temporale negli anni successivi dei finanziamenti destinati alla progettazione dell'opera nell'ambito dell'Aggiornamento 2009 del Contratto di programma 2007-2011 tra il Ministero delle Infrastrutture ed RFI;
la paura è quella che l'intero Nord-Est sta per perdere un'occasione irripetibile per continuare a svolgere il ruolo di locomotiva dell'economia del Paese, a causa dei ritardi della realizzazione della linea AV/AC nel territorio veneto;
il Governo ha manifestato una rinnovata attenzione istituzionale verso il tema della prosecuzione della linea ferroviaria AV/AC nel territorio Veneto, peraltro già definita «opera prioritaria» nell'allegato infrastrutture al DPEF 2010-2013;
impegna il Governo
ad utilizzare parte delle risorse derivanti dalle revoche di cui all'articolo 46 per il finanziamento della progettazione del collegamento ferroviario AV/AC Verona-Padova, ritenendo tale opera prioritaria ed improcrastinabile per l'intero sistema infrastrutturale del Nord.
9/3638/88. Montagnoli, Lanzarin, Dal Lago, Bragantini, Negro.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 46, allo scopo di garantire l'efficientamento della spesa pubblica e poter reinvestire in opere infrastrutturali, prevede la revoca dei mutui accesi con la Cassa depositi e prestiti entro il 31 dicembre 2006, ad onere di ammortamento a totale carico dello Stato, e non ancora erogati;
il CIPE provvede alla rassegnazione delle risorse derivanti dalle revoche per la prosecuzione delle opere della legge obiettivo, con priorità al finanziamento del MO.S.E., nel limite massimo di 400 milioni di euro. La relazione tecnica stima un importo non inferiore ai 635 milioni di euro proveniente dalle revoche;
il collegamento ferroviario AV/AC Verona-Padova costituisce parte della trasversale est-ovest Torino - Milano - Venezia, inserita nel Corridoio europeo n. 5 Lione-Kiev e rappresenta un tassello importante di una delle più significative opere strategiche della legge obiettivo;
la popolazione interessata manifesta un crescente allarme per l'assenza di stanziamenti destinati alla progettazione ed alla realizzazione della linea ferroviaria AV/AC nel tratto Verona-Padova, anche a seguito di uno slittamento temporale negli anni successivi dei finanziamenti destinati alla progettazione dell'opera nell'ambito dell'Aggiornamento 2009 del Contratto di programma 2007-2011 tra il Ministero delle Infrastrutture ed RFI;
la paura è quella che l'intero Nord-Est sta per perdere un'occasione irripetibile per continuare a svolgere il ruolo di locomotiva dell'economia del Paese, a causa dei ritardi della realizzazione della linea AV/AC nel territorio veneto;
il Governo ha manifestato una rinnovata attenzione istituzionale verso il tema della prosecuzione della linea ferroviaria AV/AC nel territorio Veneto, peraltro già definita «opera prioritaria» nell'allegato infrastrutture al DPEF 2010-2013;
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di utilizzare parte delle risorse derivanti dalle revoche di cui all'articolo 46 per il finanziamento della progettazione del collegamento ferroviario AV/AC Verona-Padova, ritenendo tale opera prioritaria ed improcrastinabile per l'intero sistema infrastrutturale del Nord.
9/3638/88. (Testo modificato nel corso della seduta) Montagnoli, Lanzarin, Dal Lago, Bragantini, Negro.
La Camera,
premesso che:
gli stretti vincoli del patto di stabilità in vigore e la persistenza della congiuntura negativa hanno messo in grave difficoltà i comuni;
in particolare l'applicazione dei criteri di competenza mista e del calcolo del saldo finanziario non sono idonei a consentire una certa elasticità di bilancio almeno per i comuni in avanzo di amministrazione, con grave penalizzazione per le spese di investimento,
la necessità di migliorare i saldi di finanza pubblica impone un ulteriore taglio di 1,5 miliardi di euro delle risorse dei comuni per l'anno 2011 e di 2,5 miliardi a decorrere dal 2012;
in attesa della concreta attuazione del federalismo fiscale, l'accordo del 9 luglio scorso tra il Ministro dell'economia e delle finanze e l'ANCI, ha stabilito l'impegno a rivedere in autunno e per l'anno 2011 i criteri del patto di stabilità per risolvere la difficile situazione finanziaria, che numerosi comuni vivono;
la revisione del patto di stabilità, in concomitanza con i decreti attuativi della legge n. 42 del 2009 per attribuire ai comuni risorse finanziarie indipendenti, è un momento importante per stabilire un positivo contributo alla riduzione dei deficit della P.A. da parte dei comuni, che nel contempo non penalizzi la crescita del Pil a livello territoriale;
i princìpi che ispirano la revisione del patto non possono prescindere dall'adozione di criteri meritocratici, ossia criteri premianti le gestioni equilibrare dei comuni virtuosi,
si apprezza per quanto sopra l'introduzione all'articolo 14, comma 2, nel decreto in esame della norma che prevede l'adozione di criteri di virtuosità nella ripartizione dei nuovi tagli imposti con la manovra;
in tale direzione sono state presentate istanze parlamentari su tutti i provvedimenti vertenti sui patto di stabilità nell'ultimo triennio;
impegna il Governo
in occasione della prossima revisione dei criteri del patto di stabilità annunciata dal Ministro dell'economia e delle finanze, ad adottare una disciplina che rimoduli il concorso degli enti locali alla riduzione dell'indebitamento della P.A., in base ai criteri di virtuosità degli enti stessi, allo scopo di rendere meno incisivi i tagli ed i vincoli per gli enti caratterizzati da indici di virtuosità correlati all'autonomia finanziaria, alla spesa per il personale, alla lotta contro l'evasione fiscale.
9/3638/89. Bitonci.
La Camera,
premesso che:
gli stretti vincoli del patto di stabilità in vigore e la persistenza della congiuntura negativa hanno messo in grave difficoltà i comuni;
in particolare l'applicazione dei criteri di competenza mista e del calcolo del saldo finanziario non sono idonei a consentire una certa elasticità di bilancio almeno per i comuni in avanzo di amministrazione, con grave penalizzazione per le spese di investimento,
la necessità di migliorare i saldi di finanza pubblica impone un ulteriore taglio di 1,5 miliardi di euro delle risorse dei comuni per l'anno 2011 e di 2,5 miliardi a decorrere dal 2012;
in attesa della concreta attuazione del federalismo fiscale, l'accordo del 9 luglio scorso tra il Ministro dell'economia e delle finanze e l'ANCI, ha stabilito l'impegno a rivedere in autunno e per l'anno 2011 i criteri del patto di stabilità per risolvere la difficile situazione finanziaria, che numerosi comuni vivono;
la revisione del patto di stabilità, in concomitanza con i decreti attuativi della legge n. 42 del 2009 per attribuire ai comuni risorse finanziarie indipendenti, è un momento importante per stabilire un positivo contributo alla riduzione dei deficit della P.A. da parte dei comuni, che nel contempo non penalizzi la crescita del Pil a livello territoriale;
i princìpi che ispirano la revisione del patto non possono prescindere dall'adozione di criteri meritocratici, ossia criteri premianti le gestioni equilibrare dei comuni virtuosi,
si apprezza per quanto sopra l'introduzione all'articolo 14, comma 2, nel decreto in esame della norma che prevede l'adozione di criteri di virtuosità nella ripartizione dei nuovi tagli imposti con la manovra;
in tale direzione sono state presentate istanze parlamentari su tutti i provvedimenti vertenti sui patto di stabilità nell'ultimo triennio;
impegna il Governo
a valutare l'opportunità, in occasione della prossima revisione dei criteri del patto di stabilità annunciata dal Ministro dell'economia e delle finanze, di adottare una disciplina che rimoduli il concorso degli enti locali alla riduzione dell'indebitamento della P.A., in base ai criteri di virtuosità degli enti stessi, allo scopo di rendere meno incisivi i tagli ed i vincoli per gli enti caratterizzati da indici di virtuosità correlati all'autonomia finanziaria, alla spesa per il personale, alla lotta contro l'evasione fiscale.
9/3638/89. (Testo modificato nel corso della seduta) Bitonci.
La Camera,
esaminato il provvedimento in titolo:
valutato positivamente, in particolare, il contenuto dell'articolo 18, il quale disciplina la partecipazione dei Comuni all'attività di accertamento dei tributi e dei contributi; la disposizione eleva dal 30 al 33 per cento la quota attribuita ai comuni delle maggiori somme di tributi statali, nonché delle sanzioni civili applicate sui maggiori contributi, riscossi con l'intervento dei comuni stessi nella fase di accertamento;
considerato che il fenomeno delle cosiddette «slot machine» ha ormai raggiunto in Italia dimensioni assai rilevanti, tanto che nel 2010 la raccolta supererà i trenta miliardi di euro e che, allo stesso modo, pure l'evasione fiscale nel comparto è assai cospicua; frequenti sono le azioni della guardia di finanza dalle quali emergono migliaia di macchinette donate o non collegate alla rete telematica dei concessionari;
considerato che i Comuni, attraverso la polizia locale, possono facilmente controllare i bar e gli altri locali dove sono installate le slot, dando un grosso contributo al fisco italiano, smascherando le macchinette illegali e recuperando, così, ingenti somme di denaro sottratte all'imposizione fiscale,
impegna il Governo
ad adottare ulteriori iniziative volte a prevedere che i Comuni partecipino attivamente ai controlli e agli accertamenti relativi al prelievo erariale unico, attribuendo ai Comuni stessi il 33 per cento delle maggiori entrate relative al prelievo stesso.
9/3638/90. Desiderati, Montagnoli.
La Camera,
esaminato il provvedimento in titolo:
valutato positivamente, in particolare, il contenuto dell'articolo 18, il quale disciplina la partecipazione dei Comuni all'attività di accertamento dei tributi e dei contributi; la disposizione eleva dal 30 al 33 per cento la quota attribuita ai comuni delle maggiori somme di tributi statali, nonché delle sanzioni civili applicate sui maggiori contributi, riscossi con l'intervento dei comuni stessi nella fase di accertamento;
considerato che il fenomeno delle cosiddette «slot machine» ha ormai raggiunto in Italia dimensioni assai rilevanti, tanto che nel 2010 la raccolta supererà i trenta miliardi di euro e che, allo stesso modo, pure l'evasione fiscale nel comparto è assai cospicua; frequenti sono le azioni della guardia di finanza dalle quali emergono migliaia di macchinette donate o non collegate alla rete telematica dei concessionari;
considerato che i Comuni, attraverso la polizia locale, possono facilmente controllare i bar e gli altri locali dove sono installate le slot, dando un grosso contributo al fisco italiano, smascherando le macchinette illegali e recuperando, così, ingenti somme di denaro sottratte all'imposizione fiscale,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di adottare ulteriori iniziative volte a prevedere che i Comuni partecipino attivamente ai controlli e agli accertamenti relativi al prelievo erariale unico, attribuendo ai Comuni stessi il 33 per cento delle maggiori entrate relative al prelievo stesso.
9/3638/90. (Testo modificato nel corso della seduta) Desiderati, Montagnoli.
La Camera,
esaminato il provvedimento in titolo:
valutato positivamente il rigore con il quale il Governo procede alla riduzione della spesa pubblica a tutti i livelli amministrativi, moltiplicando gli sforzi per contrastare l'evasione fiscale;
i trasferimenti di valuta tramite le agenzie di money transfer hanno raggiunto in Italia valori importanti, in continua crescita; nel 2007 si stima che le rimesse totali siano state pari a 6,044 miliardi; si tratta essenzialmente di lavoratori stranieri che trasferiscono all'estero gran parte dei loro guadagni ottenuti in Italia; i flussi dal nostro Paese in base alla destinazione vedono al primo posto la Repubblica popolare Cinese con il 27,92 per cento dei totale dei flussi registrati nei 2007 pari a 1,687 miliardi di euro, malgrado i cinesi residenti nel nostro Paese rappresentino solo il 4,93 per cento del totale degli stranieri;
impegna il Governo
a prevedere l'istituzione di un'imposta di bollo sui trasferimenti di denaro all'estero effettuati tramite i money transfer.
9/3638/91. Buonanno, Montagnoli.
La Camera,
esaminato il provvedimento in titolo:
valutato positivamente il rigore con il quale il Governo procede alla riduzione della spesa pubblica a tutti i livelli amministrativi, moltiplicando gli sforzi per contrastare l'evasione fiscale;
i trasferimenti di valuta tramite le agenzie di money transfer hanno raggiunto in Italia valori importanti, in continua crescita; nel 2007 si stima che le rimesse totali siano state pari a 6,044 miliardi; si tratta essenzialmente di lavoratori stranieri che trasferiscono all'estero gran parte dei loro guadagni ottenuti in Italia; i flussi dal nostro Paese in base alla destinazione vedono al primo posto la Repubblica popolare Cinese con il 27,92 per cento dei totale dei flussi registrati nei 2007 pari a 1,687 miliardi di euro, malgrado i cinesi residenti nel nostro Paese rappresentino solo il 4,93 per cento del totale degli stranieri;
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di prevedere l'istituzione di un'imposta di bollo sui trasferimenti di denaro all'estero effettuati tramite i money transfer.
9/3638/91. (Testo modificato nel corso della seduta) Buonanno, Montagnoli.
La Camera,
esaminato il provvedimento in titolo;
valutato positivamente, in particolare, il contenuto dell'articolo 49 in tema di semplificazione delle procedure per l'avvio delle nuove iniziative imprenditoriali; la segnalazione certificata di inizio attività sostituirà ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l'esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale;
valutato positivamente anche il contenuto dell'articolo 23, con il quale vengono specificamente considerate ai fini della selezione delle posizioni da sottoporre a controllo da parte dell'Agenzia delle entrate, della Guardia di Finanza e dell'INPS le imprese che cessano l'attività entro un anno dalla data di inizio;
considerato che molte tra queste imprese sono extra UE ed è quasi impossibile per l'amministrazione finanziaria recuperare le somme che queste hanno evaso o non hanno versato durante la loro breve attività;
impegna il Governo
a prevedere che all'atto dell'apertura della partita Iva, le società ed i cittadini extra UE debbano depositare una garanzia fideiussoria bancaria o assicurativa a favore dell'Agenzia delle Entrate in modo da garantire gli eventuali versamenti di imposte e contributi dovuti nell'esercizio dell'attività.
9/3638/92. D'Amico, Bitonci.
La Camera,
esaminato il provvedimento in titolo;
valutato positivamente, in particolare, il contenuto dell'articolo 49 in tema di semplificazione delle procedure per l'avvio delle nuove iniziative imprenditoriali; la segnalazione certificata di inizio attività sostituirà ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l'esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale;
valutato positivamente anche il contenuto dell'articolo 23, con il quale vengono specificamente considerate ai fini della selezione delle posizioni da sottoporre a controllo da parte dell'Agenzia delle entrate, della Guardia di Finanza e dell'INPS le imprese che cessano l'attività entro un anno dalla data di inizio;
considerato che molte tra queste imprese sono extra UE ed è quasi impossibile per l'amministrazione finanziaria recuperare le somme che queste hanno evaso o non hanno versato durante la loro breve attività;
impegna il Governo
a valutare l'opportunità, previa autorizzazione comunitaria, di prevedere che all'atto dell'apertura della partita Iva, le società ed i cittadini extra UE debbano depositare una garanzia fideiussoria bancaria o assicurativa a favore dell'Agenzia delle Entrate in modo da garantire gli eventuali versamenti di imposte e contributi dovuti nell'esercizio dell'attività.
9/3638/92. (Testo modificato nel corso della seduta) D'Amico, Bitonci.
La Camera,
esaminato il provvedimento in titolo;
valutato positivamente il rigore con il quale il Governo procede alla riduzione della spesa pubblica a tutti i livelli amministrativi, moltiplicando gli sforzi per contrastare l'evasione fiscale;
considerato che nell'attuale fase di crisi il Governo sta chiedendo sacrifici a tutte le categorie, lavoratori subordinati ed imprese, ma che esistono particolari categorie di persone che godono di trattamenti pensionistici molto elevati, magari dopo aver svolto un'attività lavorativa abbastanza breve;
impegna il Governo
a valutare l'istituzione di un contributo di solidarietà sui trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie i cui importi risultino complessivamente superare l'importo di 60.000 euro annui.
9/3638/93. Munerato, Fedriga.
La Camera,
esaminato il provvedimento in titolo;
valutato positivamente il rigore con il quale il Governo procede alla riduzione della spesa pubblica a tutti i livelli amministrativi, moltiplicando gli sforzi per contrastare l'evasione fiscale;
considerata l'attenzione che il Governo ha sempre avuto nei confronti delle vittime dei crack finanziari;
considerato che ai possessori di azioni di Alitalia è stato riconosciuto un rimborso pari a 0,2722 euro per ogni azione, attraverso l'emissione di buoni del tesoro poliennali con scadenza il 31 dicembre 2012, senza interessi e con un limite massimo di 50.000 euro;
considerato che gli ex azionisti Alitalia sono comunque penalizzati, dal momento che il valore di rimborso è inferiore rispetto al valore che le azioni hanno avuto nell'ultimo anno;
impegna il Governo
a trovare nuovi strumenti per tutelare ed indennizzare gli ex azionisti e obbligazionisti di Alitalia, prevedendo anche forme di concambio con le azioni della nuova Alitalia.
9/3638/94. Di Vizia, Montagnoli.
La Camera,
esaminato il provvedimento in titolo;
valutato positivamente il rigore con il quale il Governo procede alla riduzione della spesa pubblica a tutti i livelli amministrativi, moltiplicando gli sforzi per contrastare l'evasione fiscale;
considerata l'attenzione che il Governo ha sempre avuto nei confronti delle vittime dei crack finanziari;
considerato che ai possessori di azioni di Alitalia è stato riconosciuto un rimborso pari a 0,2722 euro per ogni azione, attraverso l'emissione di buoni del tesoro poliennali con scadenza il 31 dicembre 2012, senza interessi e con un limite massimo di 50.000 euro;
considerato che gli ex azionisti Alitalia sono comunque penalizzati, dal momento che il valore di rimborso è inferiore rispetto al valore che le azioni hanno avuto nell'ultimo anno;
impegna il Governo
se le condizioni di finanza pubblica lo consentono, a trovare nuovi strumenti per tutelare ed indennizzare gli ex azionisti e obbligazionisti di Alitalia, prevedendo anche forme di concambio con le azioni della nuova Alitalia.
9/3638/94. (Testo modificato nel corso della seduta) Di Vizia, Montagnoli.
La Camera,
premesso che:
la politica della salute in Italia, nonostante l'articolo 32, primo comma, della Costituzione, è definitivamente confinata alla sola logica degli equilibri finanziari;
con la devoluzione alle Regioni della gestione della Sanità si mostra con sempre maggiore chiarezza che la crisi della finanza sanitaria vede tra le sue cause principali la mancanza di efficienza e di professionalità nella gestione dei servizi alla salute, al punto che è frequente la constatazione che dove la spesa sanitaria pro-capite è più elevata i servizi sono tra i più scadenti;
la magniloquenza delle previsioni del presente decreto legge impone ai commissari ad acta di procedere entro quindici giorni dalla sua entrata in vigore alla conclusione della ricognizione dei debiti delle Regioni, con la predisposizione di un piano che individui modalità e tempi di pagamento e questo piano non pare ad oggi essere pervenuto;
è sempre più evidente il fatto che, nonostante il dettato costituzionale, i LEA e la probabile buona volontà dei ministri che si sono succeduti, si stanno configurando in Italia due diversi servizi sanitari: uno di elevata qualità nel centro-nord ed uno di qualità nettamente inferiore nelle regioni meridionali;
impegna il Governo
a convocare un Forum Nazionale della Salute, al quale partecipino i soggetti pubblici e privati che interagiscono nel determinare il funzionamento del servizio sanitario, nel corso dei quale siano delineate le condizioni di analisi e di proposta atte a trasformare la spesa sanitaria in una derivata accettabile finanziariamente ma anche costituzionalmente dell'organizzazione del servizio sanitario nazionale.
9/3638/95. Calgaro.
La Camera,
premesso che:
l'introduzione di meccanismi di valutazione delle amministrazioni e dei dipendenti pubblici finalizzata al miglioramento e al riconoscimento del merito costituisce uno degli elementi qualificanti del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150;
l'articolo 9, comma 1, del presente decreto, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica blocca, per il triennio 2011-2013, il trattamento economico individuale complessivo dei dipendenti pubblici, anche di qualifica dirigenziale, prevedendo che esso non possa in ogni caso superare il trattamento ordinariamente spettante per l'anno 2010;
si tratta di una clamorosa smentita delle linee di indirizzo del Dicastero per la pubblica amministrazione e l'innovazione;
impegna il Governo
a verificare l'impatto della normativa introdotta con l'articolo 9, comma 1, del presente decreto rispetto alle disposizioni contenute nel decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 e sull'efficienza del servizio prestato dal personale del Ministero dell'economia e finanze e a riferirne alle competenti Commissioni parlamentari entro un anno dall'approvazione della presente legge.
9/3638/96. Cuperlo.
La Camera,
premesso che:
l'introduzione di meccanismi di valutazione delle amministrazioni e dei dipendenti pubblici finalizzata al miglioramento e al riconoscimento del merito costituisce uno degli elementi qualificanti del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150;
l'articolo 9, comma 1, del presente decreto, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica blocca, per il triennio 2011-2013, il trattamento economico individuale complessivo dei dipendenti pubblici, anche di qualifica dirigenziale, prevedendo che esso non possa in ogni caso superare il trattamento ordinariamente spettante per l'anno 2010;
si tratta di una clamorosa smentita delle linee di indirizzo del Dicastero per la pubblica amministrazione e l'innovazione;
impegna il Governo
a verificare l'impatto della normativa introdotta con l'articolo 9, comma 1, del presente decreto rispetto alle disposizioni contenute nel decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 e sull'efficienza del servizio prestato dal personale del Ministero dello sviluppo economico e a riferirne alle competenti Commissioni parlamentari entro un anno dall'approvazione della presente legge.
9/3638/97. Lo Moro.
La Camera,
premesso che:
l'introduzione di meccanismi di valutazione delle amministrazioni e dei dipendenti pubblici finalizzata al miglioramento e al riconoscimento del merito costituisce uno degli elementi qualificanti del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150;
l'articolo 9, comma 1, del presente decreto, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica blocca, per il triennio 2011-2013, il trattamento economico individuale complessivo dei dipendenti pubblici, anche di qualifica dirigenziale, prevedendo che esso non possa in ogni caso superare il trattamento ordinariamente spettante per l'anno 2010;
si tratta di una clamorosa smentita delle linee di indirizzo del Dicastero per la pubblica amministrazione e l'innovazione;
impegna il Governo
a verificare l'impatto della normativa introdotta con l'articolo 9, comma 1, del presente decreto rispetto alle disposizioni contenute nel decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 e sull'efficienza del servizio prestato dal personale del Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali e a riferirne alle competenti Commissioni parlamentari entro un anno dall'approvazione della presente legge.
9/3638/98. Giovanelli.
La Camera,
premesso che:
negli ultimi dieci anni il divario tra il Centro-Nord e il Mezzogiorno è cresciuto, vanificando il buon andamento degli anni precedenti, che avevano registrato una riduzione della forbice tra le due aree del Paese;
i processi di internazionalizzazione delle economie anziché favorire nuove opportunità di sviluppo per le aree sottoutilizzate hanno ulteriormente aggravato le loro condizioni socio-economiche;
in particolare, la centralità nel dibattito politico del federalismo fiscale e la non mai chiarita questione settentrionale, hanno eliminato dalla discussione sullo sviluppo del Paese la centralità del dualismo territoriale, provocando l'abbandono di qualsiasi politica di riequilibrio e la nascita di una falsa mitologia sulle ingenti risorse trasferite al Sud e dilapidate;
la recente relazione della Svimez, presentata il 20 luglio c.a., fotografa la condizione attuale del Mezzogiorno, documentando ampiamente il deterioramento generale delle regioni a Sud di Roma;
l'analisi degli studiosi della Svimez constatano come la recessione dell'economia mondiale ha colpito in modo particolare il Mezzogiorno, smentendo l'opinione di quanti ritenevano che la crisi internazionale avrebbe avuto ricadute meno gravi sul Mezzogiorno perché meno dipendente dalle esportazioni;
nel 2009 il prodotto interno lordo si è ridotto nel Mezzogiorno del 4,5 per cento, mentre nell'anno precedente era stato di -1,5 per cento;
disastroso è stato il crollo degli investimenti fissi lordi, diminuiti del 9,6 per cento e la contrazione dei consumi, ridottisi del 2,6 per cento;
l'aspetto più preoccupante è il rischio della scomparsa del comparto industriale, che ha fatto registrare nel solo 2009 la perdita di 61 mila posti di lavoro, provocando il giusto allarme di una annunciata catastrofe sociale;
le altre aree deboli dell'Unione Europea hanno resistito meglio alla recessione internazionale e in alcuni casi hanno aumentato le esportazioni verso l'estero;
da tutto ciò appare evidente l'urgenza di una politica di sviluppo del Mezzogiorno che assuma le risorse esistenti in quest'area come opportunità nazionali da utilizzare nella difficile fase della congiuntura economica;
la ripresa di una coerente politica di valorizzazione delle aree a ritardo di sviluppo dovrà affrontare i nodi, non sciolti, che ne ostacolano la loro trasformazione e che si possono riassumere:
nuova politica di promozione industriale, in grado di sterilizzare le diseconomie esterne che rendono non competitive sui mercati le merci prodotte. Le piccole e medie imprese sono messe in difficoltà, nella fase attuale, dalle restrizioni creditizie che si riflettono sulla produzione e contemporaneamente vedono aggravate la penuria di liquidità dalla pretesa dello Stato di imporre un privilegio, di fatto assoluto, ai propri crediti attraverso l'esibizione del DURC ogni qual volta le aziende incassano una somma di denaro da un'amministrazione pubblica. Il DURC, che attesta la piena regolarità contributiva delle imprese, in una fase di grave crisi, come l'attuale, ha accresciuto le difficoltà per le piccole imprese, sarebbe saggio sospendere momentaneamente la disposizione di legge che ha introdotto il sistema di salvaguardia per i crediti dello Stato,
esame ed analisi della profonda crisi del settore agricolo, che ha subito il crollo dei prezzi, non sapendo opporsi alla concorrenza spagnola, per giunta aggredito dalle contraffazione dei prodotti del bacino del mediterraneo, importati in Italia tramite uno dei Paesi dell'Unione Europea. Si rende urgente il rinnovo della fiscalizzazione degli oneri contributivi per l'impossibilità del settore di poter sopportare il costo previdenziale del lavoro che è il più alto d'Europa. Il rilancio, con adeguata dotazione finanziaria, della ex Cassa per la piccola proprietà contadina in modo da incentivare accorpamenti e formazioni di aziende industriali. Pesa ancora negativamente l'eccessiva polverizzazione e frammentazione della proprietà fondiaria. Incentivi per la promozione della innovazione e meccanizzazione delle aziende, nonché per il marketing;
il differenziale del costo del denaro tra Nord e Sud contribuisce ad allontanare i tempi del riequilibrio e concorre a rendere difficile l'attività di impresa nel Mezzogiorno. È matura la soluzione di una norma che preveda l'obbligo di chiedere la stessa remunerazione del denaro a parità di solvibilità del debitore;
l'arretratezza delle infrastrutture materiali e immateriali è un serio ostacolo al mantenimento dell'attuale sistema produttivo e alla nascita di nuove iniziative. La prospettiva del mercato di libero scambio nel Mediterraneo anziché essere una opportunità può diventare per il Mezzogiorno una occasione persa, qualora non si dovessero adottare gli indispensabili finanziamenti per le infrastrutture e non si dotassero le università del Sud di quelle risorse necessarie per metterle in condizione di primeggiare nell'Europa del Sud;
il contrasto alle organizzazioni delinquenziali, che pure ha conseguito negli ultimi anni ottimi risultati, dovrà essere ancora più incalzante e incisivo. Enorme è la potenza economica delle mafie, oramai di dimensione internazionale, che non risparmia dalla loro invasività nemmeno le regioni sviluppate del Nord, come dimostrano gli ultimi arresti di Milano;
i messaggi positivi rappresentati dal netto miglioramento dell'istruzione nel Mezzogiorno, fino al punto di leggere, nella Relazione della Svimez, che la percentuale dei ragazzi che ha conseguito il diploma è superiore al Sud, potrebbero rivelarsi effimeri se non si dovessero determinare condizioni di sbocchi occupazionali. Purtroppo i dati non inducono all'ottimismo: il rientro di occupati occasionali dal Nord e la grave crisi del sistema produttivo meridionale fanno temere un futuro non roseo;
il doloroso aumento della povertà si concentra, soprattutto, nelle regioni meridionali, accanto a forme gravi di devianze;
nelle condizioni sopra descritte non può essere compresa la utilizzazione del fondo FAS per usi impropri quali le quote latte dei produttori, il terremoto dell'Abruzzo, i rifiuti della Campania, il dissesto del comune di Catania, la formazione professionale per gli espulsi dalle industrie, costrette a ridurre il personale per la recessione e via di seguito;
il Presidente del Consiglio e il Governo avevano preannunciato un piano di sviluppo per il Mezzogiorno del quale si sono perse le tracce;
l'attuazione del federalismo fiscale corre il rischio di fallire e di creare inconciliabili contrasti territoriali se contemporaneamente non si dovesse dare avvio trasformazione delle aree a ritardo di sviluppo,
impegna il Governo
a voler definire, nei prossimi mesi, e comunque prima della legge di stabilità, un piano di sviluppo del Mezzogiorno, necessario per rafforzare la ripresa economica del Paese, aumentare la competitività del sistema produttivo nazionale e mantenere, come obiettivo irrinunciabile, l'unificazione economica del Paese.
9/3638/99. Cesare Marini.
La Camera,
premesso che:
negli ultimi dieci anni il divario tra il Centro-Nord e il Mezzogiorno è cresciuto, vanificando il buon andamento degli anni precedenti, che avevano registrato una riduzione della forbice tra le due aree del Paese;
i processi di internazionalizzazione delle economie anziché favorire nuove opportunità di sviluppo per le aree sottoutilizzate hanno ulteriormente aggravato le loro condizioni socio-economiche;
in particolare, la centralità nel dibattito politico del federalismo fiscale e la non mai chiarita questione settentrionale, hanno eliminato dalla discussione sullo sviluppo del Paese la centralità del dualismo territoriale, provocando l'abbandono di qualsiasi politica di riequilibrio e la nascita di una falsa mitologia sulle ingenti risorse trasferite al Sud e dilapidate;
la recente relazione della Svimez, presentata il 20 luglio c.a., fotografa la condizione attuale del Mezzogiorno, documentando ampiamente il deterioramento generale delle regioni a Sud di Roma;
l'analisi degli studiosi della Svimez constatano come la recessione dell'economia mondiale ha colpito in modo particolare il Mezzogiorno, smentendo l'opinione di quanti ritenevano che la crisi internazionale avrebbe avuto ricadute meno gravi sul Mezzogiorno perché meno dipendente dalle esportazioni;
nel 2009 il prodotto interno lordo si è ridotto nel Mezzogiorno del 4,5 per cento, mentre nell'anno precedente era stato di -1,5 per cento;
disastroso è stato il crollo degli investimenti fissi lordi, diminuiti del 9,6 per cento e la contrazione dei consumi, ridottisi del 2,6 per cento;
l'aspetto più preoccupante è il rischio della scomparsa del comparto industriale, che ha fatto registrare nel solo 2009 la perdita di 61 mila posti di lavoro, provocando il giusto allarme di una annunciata catastrofe sociale;
le altre aree deboli dell'Unione Europea hanno resistito meglio alla recessione internazionale e in alcuni casi hanno aumentato le esportazioni verso l'estero;
da tutto ciò appare evidente l'urgenza di una politica di sviluppo del Mezzogiorno che assuma le risorse esistenti in quest'area come opportunità nazionali da utilizzare nella difficile fase della congiuntura economica;
la ripresa di una coerente politica di valorizzazione delle aree a ritardo di sviluppo dovrà affrontare i nodi, non sciolti, che ne ostacolano la loro trasformazione e che si possono riassumere:
nuova politica di promozione industriale, in grado di sterilizzare le diseconomie esterne che rendono non competitive sui mercati le merci prodotte. Le piccole e medie imprese sono messe in difficoltà, nella fase attuale, dalle restrizioni creditizie che si riflettono sulla produzione e contemporaneamente vedono aggravate la penuria di liquidità dalla pretesa dello Stato di imporre un privilegio, di fatto assoluto, ai propri crediti attraverso l'esibizione del DURC ogni qual volta le aziende incassano una somma di denaro da un'amministrazione pubblica. Il DURC, che attesta la piena regolarità contributiva delle imprese, in una fase di grave crisi, come l'attuale, ha accresciuto le difficoltà per le piccole imprese, sarebbe saggio sospendere momentaneamente la disposizione di legge che ha introdotto il sistema di salvaguardia per i crediti dello Stato,
esame ed analisi della profonda crisi del settore agricolo, che ha subito il crollo dei prezzi, non sapendo opporsi alla concorrenza spagnola, per giunta aggredito dalle contraffazione dei prodotti del bacino del mediterraneo, importati in Italia tramite uno dei Paesi dell'Unione Europea. Si rende urgente il rinnovo della fiscalizzazione degli oneri contributivi per l'impossibilità del settore di poter sopportare il costo previdenziale del lavoro che è il più alto d'Europa. Il rilancio, con adeguata dotazione finanziaria, della ex Cassa per la piccola proprietà contadina in modo da incentivare accorpamenti e formazioni di aziende industriali. Pesa ancora negativamente l'eccessiva polverizzazione e frammentazione della proprietà fondiaria. Incentivi per la promozione della innovazione e meccanizzazione delle aziende, nonché per il marketing;
il differenziale del costo del denaro tra Nord e Sud contribuisce ad allontanare i tempi del riequilibrio e concorre a rendere difficile l'attività di impresa nel Mezzogiorno. È matura la soluzione di una norma che preveda l'obbligo di chiedere la stessa remunerazione del denaro a parità di solvibilità del debitore;
l'arretratezza delle infrastrutture materiali e immateriali è un serio ostacolo al mantenimento dell'attuale sistema produttivo e alla nascita di nuove iniziative. La prospettiva del mercato di libero scambio nel Mediterraneo anziché essere una opportunità può diventare per il Mezzogiorno una occasione persa, qualora non si dovessero adottare gli indispensabili finanziamenti per le infrastrutture e non si dotassero le università del Sud di quelle risorse necessarie per metterle in condizione di primeggiare nell'Europa del Sud;
il contrasto alle organizzazioni delinquenziali, che pure ha conseguito negli ultimi anni ottimi risultati, dovrà essere ancora più incalzante e incisivo. Enorme è la potenza economica delle mafie, oramai di dimensione internazionale, che non risparmia dalla loro invasività nemmeno le regioni sviluppate del Nord, come dimostrano gli ultimi arresti di Milano;
i messaggi positivi rappresentati dal netto miglioramento dell'istruzione nel Mezzogiorno, fino al punto di leggere, nella Relazione della Svimez, che la percentuale dei ragazzi che ha conseguito il diploma è superiore al Sud, potrebbero rivelarsi effimeri se non si dovessero determinare condizioni di sbocchi occupazionali. Purtroppo i dati non inducono all'ottimismo: il rientro di occupati occasionali dal Nord e la grave crisi del sistema produttivo meridionale fanno temere un futuro non roseo;
il doloroso aumento della povertà si concentra, soprattutto, nelle regioni meridionali, accanto a forme gravi di devianze;
nelle condizioni sopra descritte non può essere compresa la utilizzazione del fondo FAS per usi impropri quali le quote latte dei produttori, il terremoto dell'Abruzzo, i rifiuti della Campania, il dissesto del comune di Catania, la formazione professionale per gli espulsi dalle industrie, costrette a ridurre il personale per la recessione e via di seguito;
il Presidente del Consiglio e il Governo avevano preannunciato un piano di sviluppo per il Mezzogiorno del quale si sono perse le tracce;
l'attuazione del federalismo fiscale corre il rischio di fallire e di creare inconciliabili contrasti territoriali se contemporaneamente non si dovesse dare avvio trasformazione delle aree a ritardo di sviluppo,
impegna il Governo
se le condizioni di finanza pubblica lo consentono, a voler definire, nei prossimi mesi, e comunque prima della legge di stabilità, un piano di sviluppo del Mezzogiorno, necessario per rafforzare la ripresa economica del Paese, aumentare la competitività del sistema produttivo nazionale e mantenere, come obiettivo irrinunciabile, l'unificazione economica del Paese.
9/3638/99. (Testo modificato nel corso della seduta) Cesare Marini.
La Camera,
premesso che:
l'introduzione di meccanismi di valutazione delle amministrazioni e dei dipendenti pubblici finalizzata al miglioramento e al riconoscimento del merito costituisce uno degli elementi qualificanti del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150;
l'articolo 9, comma 1, del presente decreto, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica blocca, per il triennio 2011-2013, il trattamento economico individuale complessivo dei dipendenti pubblici, anche di qualifica dirigenziale, prevedendo che esso non possa in ogni caso superare il trattamento ordinariamente spettante per l'anno 2010;
si tratta di una clamorosa smentita delle linee di indirizzo del Dicastero per la pubblica amministrazione e l'innovazione;
impegna il Governo
a verificare l'impatto della normativa introdotta con l'articolo 9, comma 1, del presente decreto rispetto alle disposizioni contenute nel decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 e sull'efficienza del servizio prestato dal personale del Ministero del lavoro e politiche sociali e a riferirne alle competenti Commissioni parlamentari entro un anno dall'approvazione della presente legge.
9/3638/100.Genovese.
La Camera,
premesso che:
da diversi anni nella pubblica amministrazione si assiste al negativo fenomeno dei vincitori di concorsi non assunti;
a causa della normativa sul blocco del turn over nelle assunzioni, migliaia di persone - spesso giovani che hanno dedicato tempo e risorse per affrontare e vincere un concorso pubblico - si vedono procrastinata la propria assunzione con grave danno personale e delle stesse pubbliche amministrazioni che si vedono private delle competenze di cui necessiterebbero,
tale situazione riguarda tutti i comparti della Pubblica Amministrazione e secondo le notizie diffuse dal «Comitato vincitori non assunti della Pubblica Amministrazione», attraverso l'omonimo sito Internet, sarebbero circa 70.000 i cittadini vincitori ovvero idonei di concorsi pubblici che si trovano dopo mesi e a volte anni in attesa di assunzione;
impegna il Governo
ad effettuare un monitoraggio al fine di stabilire il numero effettivo dei vincitori di concorso non assunti nelle varie amministrazioni dello Stato, fornendo alle Camere i relativi dati;
ad adottare le opportune iniziative affinché le Pubbliche Amministrazioni e gli enti pubblici rispettino le percentuali di assunzioni relativamente ai posti banditi riservati al personale interno ed esterno, abbattendo il fenomeno dei vincitori non assunti.
9/3638/101. Madia, Damiano, Berretta, Bellanova, Bobba, Boccuzzi, Codurelli, Gatti, Gnecchi, Mattesini, Miglioli, Mosca, Rampi, Santagata, Schirru, De Pasquale.
La Camera,
premesso che:
da diversi anni nella pubblica amministrazione si assiste al negativo fenomeno dei vincitori di concorsi non assunti;
a causa della normativa sul blocco del turn over nelle assunzioni, migliaia di persone - spesso giovani che hanno dedicato tempo e risorse per affrontare e vincere un concorso pubblico - si vedono procrastinata la propria assunzione con grave danno personale e delle stesse pubbliche amministrazioni che si vedono private delle competenze di cui necessiterebbero,
tale situazione riguarda tutti i comparti della Pubblica Amministrazione e secondo le notizie diffuse dal «Comitato vincitori non assunti della Pubblica Amministrazione», attraverso l'omonimo sito Internet, sarebbero circa 70.000 i cittadini vincitori ovvero idonei di concorsi pubblici che si trovano dopo mesi e a volte anni in attesa di assunzione;
impegna il Governo
ad effettuare un monitoraggio al fine di stabilire il numero effettivo dei vincitori di concorso non assunti nelle varie amministrazioni dello Stato, fornendo alle Camere i relativi dati;
se le condizioni di finanza pubblica lo consentono, ad adottare le opportune iniziative affinché le Pubbliche Amministrazioni e gli enti pubblici rispettino le percentuali di assunzioni relativamente ai posti banditi riservati al personale interno ed esterno, abbattendo il fenomeno dei vincitori non assunti.
9/3638/101. (Testo modificato nel corso della seduta) Madia, Damiano, Berretta, Bellanova, Bobba, Boccuzzi, Codurelli, Gatti, Gnecchi, Mattesini, Miglioli, Mosca, Rampi, Santagata, Schirru, De Pasquale.
La Camera,
premesso che:
il decreto-legge in oggetto prevedendo all'articolo 12, comma 12-sexies, la modifica del comma 1 dell'articolo 22-ter del decreto-legge n. 78 del 2009, relativo all'età pensionabile delle dipendenti pubbliche, dispone che il raggiungimento del requisito anagrafico dei 65 anni ai fini del riconoscimento della pensione di vecchiaia operi a regime a decorrere dal 1o gennaio 2012, comportando quindi un incremento anagrafico pari a quattro anni, in luogo del sistema di incrementi progressivi che prevedeva il raggiungimento, a regime, dei 65 anni a decorrere dal 2018;
il medesimo articolo 12, comma 12-sexies, modificando il comma 3 dell'articolo 22-ter del decreto-legge n. 78 del 2009, stabilisce che le economie derivanti dall'attuazione del comma 1 confluiscano nel Fondo strategico per il Paese a sostegno dell'economia reale, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, di cui all'articolo 18, comma 1, lettera b-bis), del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, e successive modificazioni, per interventi dedicati a politiche sociali e familiari con particolare attenzione alla non autosufficienza e all'esigenza di conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare delle lavoratrici,
impegna il Governo
a operare affinché all'interno del suddetto fondo siano previste specifiche risorse, destinate alle donne oggetto del provvedimento in esame, per il riconoscimento dei contributi figurativi per ogni figlio e per ogni periodo, adeguatamente certificato, di cura e assistenza prestato a familiari.
9/3638/102. Gatti, Damiano, Berretta, Bellanova, Bobba, Boccuzzi, Codurelli, Gnecchi, Madia, Mattesini, Miglioli, Mosca, Rampi, Santagata, Schirru.
La Camera,
premesso che:
il decreto-legge in oggetto prevedendo all'articolo 12, comma 12-sexies, la modifica del comma 1 dell'articolo 22-ter del decreto-legge n. 78 del 2009, relativo all'età pensionabile delle dipendenti pubbliche, dispone che il raggiungimento del requisito anagrafico dei 65 anni ai fini del riconoscimento della pensione di vecchiaia operi a regime a decorrere dal 1o gennaio 2012, comportando quindi un incremento anagrafico pari a quattro anni, in luogo del sistema di incrementi progressivi che prevedeva il raggiungimento, a regime, dei 65 anni a decorrere dal 2018;
il medesimo articolo 12, comma 12-sexies, modificando il comma 3 dell'articolo 22-ter del decreto-legge n. 78 del 2009, stabilisce che le economie derivanti dall'attuazione del comma 1 confluiscano nel Fondo strategico per il Paese a sostegno dell'economia reale, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, di cui all'articolo 18, comma 1, lettera b-bis), del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, e successive modificazioni, per interventi dedicati a politiche sociali e familiari con particolare attenzione alla non autosufficienza e all'esigenza di conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare delle lavoratrici,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di operare affinché all'interno del suddetto fondo siano previste specifiche risorse, destinate alle donne oggetto del provvedimento in esame, per il riconoscimento dei contributi figurativi per ogni figlio e per ogni periodo, adeguatamente certificato, di cura e assistenza prestato a familiari.
9/3638/102. (Testo modificato nel corso della seduta) Gatti, Damiano, Berretta, Bellanova, Bobba, Boccuzzi, Codurelli, Gnecchi, Madia, Mattesini, Miglioli, Mosca, Rampi, Santagata, Schirru.
La Camera,
premesso che:
l'aggiornamento degli assegni familiari al reale costo di cura e crescita di un figlio o di altra persona a carico non appaiono rimodulati rispetto non solo al costo della vita, ma anche alle esigenze della famiglia;
il sistema attuale di aggiornamento degli assegni familiari avviene alla fine di luglio di ogni anno, in quanto si attendono i dati finali delle dichiarazioni dei redditi dell'anno precedente, necessari a definire l'importo da erogare ad ogni famiglia,
la crisi economico-industriale che ha travolto anche il nostro Paese rende il meccanismo di definizione degli assegni inadatto alle reali esigenze della famiglia, soprattutto se il genitore perde il lavoro all'inizio dell'anno, in quanto egli percepirà l'adeguamento degli assegni in base alle differenze reddituali dell'anno precedente, mentre per avere invece la somma adeguata e corrispondente al nuovo status della famiglia dovrà attendere l'anno successivo
impegna il Governo
ad adottare ulteriori iniziative volte ad adeguare l'assegno per il nucleo familiare, di cui alla legge n. 153 del 1988, e successive modificazioni e integrazioni, alla classe di reddito presuntiva per l'anno in corso, fatto salvo il ricalcolo a conguaglio dell'assegno stesso, nei casi di perdita o sospensione del lavoro, che i lavoratori interessati possono richiedere, anche attraverso trasmissione telematica della domanda.
9/3638/103. Rampi, Bobba, Damiano, Berretta, Bellanova, Boccuzzi, Codurelli, Gatti, Gnecchi, Mattesini, Miglioli, Mosca, Santagata, Madia, Schirru, De Pasquale.
La Camera,
premesso che:
l'aggiornamento degli assegni familiari al reale costo di cura e crescita di un figlio o di altra persona a carico non appaiono rimodulati rispetto non solo al costo della vita, ma anche alle esigenze della famiglia;
il sistema attuale di aggiornamento degli assegni familiari avviene alla fine di luglio di ogni anno, in quanto si attendono i dati finali delle dichiarazioni dei redditi dell'anno precedente, necessari a definire l'importo da erogare ad ogni famiglia,
la crisi economico-industriale che ha travolto anche il nostro Paese rende il meccanismo di definizione degli assegni inadatto alle reali esigenze della famiglia, soprattutto se il genitore perde il lavoro all'inizio dell'anno, in quanto egli percepirà l'adeguamento degli assegni in base alle differenze reddituali dell'anno precedente, mentre per avere invece la somma adeguata e corrispondente al nuovo status della famiglia dovrà attendere l'anno successivo
impegna il Governo
se le condizioni di finanza pubblica lo consentono, ad adottare ulteriori iniziative volte ad adeguare l'assegno per il nucleo familiare, di cui alla legge n. 153 del 1988, e successive modificazioni e integrazioni, alla classe di reddito presuntiva per l'anno in corso, fatto salvo il ricalcolo a conguaglio dell'assegno stesso, nei casi di perdita o sospensione del lavoro, che i lavoratori interessati possono richiedere, anche attraverso trasmissione telematica della domanda.
9/3638/103. (Testo modificato nel corso della seduta) Rampi, Bobba, Damiano, Berretta, Bellanova, Boccuzzi, Codurelli, Gatti, Gnecchi, Mattesini, Miglioli, Mosca, Santagata, Madia, Schirru, De Pasquale.
La Camera,
premesso che:
in data 30 marzo 2010 è stato emanato un decreto interministeriale a firma dei Ministri dell'economia e delle finanze e dello sviluppo economico, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il giorno successivo, il quale stabilisce che «Le tariffe agevolate per le spedizioni di prodotti editoriali di cui ai decreti ministeriali del 13 novembre 2002 e del 1o febbraio 2005, continuano ad applicarsi fino al 31 marzo 2010»;
le maggiori conseguenze saranno subite in particolare dalle piccole associazioni, il non profit e la stampa locale e diocesana che dal 10 aprile fino a dicembre 2010, faranno fatica a non sospendere le pubblicazioni, le quali rappresentano un capitolo di bilancio essenziale e un efficace strumento per campagne promozionali e di raccolta fondi;
il Governo ha stanziato 30 milioni di euro nel decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2010, n. 73, cosiddetto «decreto incentivi», limitatamente al 2010 e alle sole organizzazioni non lucrative di utilità sociale (Onlus), a fronte di un taglio di 60 milioni, pari quindi al 50 per cento del danno subito dal settore non profit;
nonostante siano passati più tre mesi dalla conversione del citato decreto legge, il decreto interministeriale, ad oggi, non è stato ancora firmato dal titolare del dicastero dell'economia e delle finanze, mentre l'associazionismo è ormai costretto a ritirare alcune uscite editoriali o addirittura a sospendere l'attività,
impegna il Governo:
ad ottemperare il prima possibile e comunque prima della pausa estiva a quanto disposto nell'articolo 2, comma 2-undecies, del decreto-legge n. 40 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2010, n. 73;
ad adottare i provvedimenti necessari al fine di ripristinare le tariffe agevolate preesistenti al 10 aprile 2010, estendendone i benefici alla stampa periodica;
ad istituire un tavolo di trattative tra il Governo, gli editori, i rappresentanti delle associazioni e del settore non profit, al fine di predisporre un apposito provvedimento che garantisca certezza e continuità all'erogazione dei fondi.
9/3638/104. Bobba, Madia, Damiano, Berretta, Bellanova, Boccuzzi, Codurelli, Gatti, Gnecchi, Mattesini, Miglioli, Mosca, Rampi, Santagata, Schirru, De Pasquale.
La Camera,
premesso che:
in data 30 marzo 2010 è stato emanato un decreto interministeriale a firma dei Ministri dell'economia e delle finanze e dello sviluppo economico, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il giorno successivo, il quale stabilisce che «Le tariffe agevolate per le spedizioni di prodotti editoriali di cui ai decreti ministeriali del 13 novembre 2002 e del 1o febbraio 2005, continuano ad applicarsi fino al 31 marzo 2010»;
le maggiori conseguenze saranno subite in particolare dalle piccole associazioni, il non profit e la stampa locale e diocesana che dal 10 aprile fino a dicembre 2010, faranno fatica a non sospendere le pubblicazioni, le quali rappresentano un capitolo di bilancio essenziale e un efficace strumento per campagne promozionali e di raccolta fondi;
il Governo ha stanziato 30 milioni di euro nel decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2010, n. 73, cosiddetto «decreto incentivi», limitatamente al 2010 e alle sole organizzazioni non lucrative di utilità sociale (Onlus), a fronte di un taglio di 60 milioni, pari quindi al 50 per cento del danno subito dal settore non profit;
nonostante siano passati più tre mesi dalla conversione del citato decreto legge, il decreto interministeriale, ad oggi, non è stato ancora firmato dal titolare del dicastero dell'economia e delle finanze, mentre l'associazionismo è ormai costretto a ritirare alcune uscite editoriali o addirittura a sospendere l'attività,
impegna il Governo:
a valutare l'opportunità di ottemperare il prima possibile e comunque prima della pausa estiva a quanto disposto nell'articolo 2, comma 2-undecies, del decreto-legge n. 40 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2010, n. 73;
ad adottare i provvedimenti necessari al fine di ripristinare le tariffe agevolate preesistenti al 10 aprile 2010, estendendone i benefici alla stampa periodica;
ad istituire un tavolo di trattative tra il Governo, gli editori, i rappresentanti delle associazioni e del settore non profit, al fine di predisporre un apposito provvedimento che garantisca certezza e continuità all'erogazione dei fondi.
9/3638/104. (Testo modificato nel corso della seduta) Bobba, Madia, Damiano, Berretta, Bellanova, Boccuzzi, Codurelli, Gatti, Gnecchi, Mattesini, Miglioli, Mosca, Rampi, Santagata, Schirru, De Pasquale.
La Camera,
premesso che:
secondo le rilevazioni Istat nel nostro Paese, oggi un giovane su due è senza lavoro ed il tasso di disoccupazione nella fascia di età 15-24 anni nello scorso mese di maggio ha raggiunto il 29,2 per cento;
il permanere di una situazione di grave crisi economica nel nostro Paese colpisce in maniera più drammatica proprio i giovani che non solo hanno sempre più difficoltà a trovare lavoro, soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno, ma ne hanno pagato maggiormente le conseguenze: il 63 per cento dei posti di lavoro persi nel 2009 ha riguardato lavoratori a termine e a progetto, in larghissima parte giovani e donne; nella fascia di età 18 - 29 anni, la perdita di occupati ha raggiunto le 300.000 unità corrispondenti al 79 per cento della flessione occupazionale complessiva;
secondo dati elaborati da Confartigianato nel 2009 in sei Regioni il tasso di disoccupazione dei giovani tra 15 e 24 anni è risultato superiore al 30 per cento: in Sardegna è al 44,7 per cento, in Sicilia al 38,5 per cento, in Basilicata al 38,3 per cento, in Campania al 38,1 per cento, in Puglia al 32,6 per cento, in Calabria al 3 1,8 per cento e nel Lazio al 30,6 per cento,
impegna il Governo
a definire e approvare entro il 31 dicembre 2010 un «Piano straordinario di interventi a sostegno dell'occupazione delle nuove generazioni».
9/3638/105. Mattesini, Damiano, Berretta, Bellanova, Bobba, Boccuzzi, Codurelli, Gatti, Gnecchi, Madia, Miglioli, Mosca, Rampi, Santagata, Schirru, De Pasquale.
La Camera,
premesso che:
secondo le rilevazioni Istat nel nostro Paese, oggi un giovane su due è senza lavoro ed il tasso di disoccupazione nella fascia di età 15-24 anni nello scorso mese di maggio ha raggiunto il 29,2 per cento;
il permanere di una situazione di grave crisi economica nel nostro Paese colpisce in maniera più drammatica proprio i giovani che non solo hanno sempre più difficoltà a trovare lavoro, soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno, ma ne hanno pagato maggiormente le conseguenze: il 63 per cento dei posti di lavoro persi nel 2009 ha riguardato lavoratori a termine e a progetto, in larghissima parte giovani e donne; nella fascia di età 18 - 29 anni, la perdita di occupati ha raggiunto le 300.000 unità corrispondenti al 79 per cento della flessione occupazionale complessiva;
secondo dati elaborati da Confartigianato nel 2009 in sei Regioni il tasso di disoccupazione dei giovani tra 15 e 24 anni è risultato superiore al 30 per cento: in Sardegna è al 44,7 per cento, in Sicilia al 38,5 per cento, in Basilicata al 38,3 per cento, in Campania al 38,1 per cento, in Puglia al 32,6 per cento, in Calabria al 3 1,8 per cento e nel Lazio al 30,6 per cento,
impegna il Governo
se le condizioni di finanza pubblica lo consentono, a definire e approvare entro il 31 dicembre 2010 un «Piano straordinario di interventi a sostegno dell'occupazione delle nuove generazioni».
9/3638/105. (Testo modificato nel corso della seduta) Mattesini, Damiano, Berretta, Bellanova, Bobba, Boccuzzi, Codurelli, Gatti, Gnecchi, Madia, Miglioli, Mosca, Rampi, Santagata, Schirru, De Pasquale.
La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame prevede che dal 2011 le amministrazioni dello Stato, gli enti pubblici non economici, gli enti di ricerca e le università potranno spendere la metà di quanto speso nel 2009 per i contratti dei precari, Lo stesso contenimento vale per la spesa di personale relativa a contratti di formazione lavoro, somministrazione nonché lavoro accessorio;
con le finanziarie per il 2007 e per il 2008 del Governo Prodi si era provveduto a risolvere la drammatica ed annosa situazione dei lavoratori precari attraverso procedure di stabilizzazione sanando così un'anomala situazione che ha visto l'utilizzazione, per anni, del lavoro di persone che, in molti casi, vincitori o idonei di concorsi o selezioni svolte negli anni passati, non erano e non sono mai state assunte, a causa del continuo blocco delle assunzioni;
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di adottare le opportune iniziative normative al fine di stabilizzare i lavoratori precari della pubblica amministrazione.
9/3638/106. Boccuzzi, Damiano, Berretta, Bellanova, Bobba, Codurelli, Gatti, Gnecchi, Madia, Mattesini, Miglioli, Mosca, Rampi, Santagata, Schirru, De Pasquale.
La Camera,
premesso che:
in questa manovra si torna ad agire sulle pensioni, pur avendo avuto rassicurazioni dal Presidente dell'INPS, in occasione della sua audizione alla Camera il 27 aprile 2010 che i fondi pensione sono in attivo di ben 9 miliardi e 700 milioni;
continuare ad intervenire sulle pensioni crea insicurezza, alimenta l'alibi nelle persone di pensare che non arriveranno mai alla pensione e che conviene guadagnare di più e non farsi assicurare, si alimenta il lavoro nero, l'elusione ed evasione contributiva;
è evidente, inoltre, che alcune norme sono state pensate per impedire alle donne dipendenti del Pubblico Impiego di andare in pensione prima, impedendo nei fatti alle stesse di dimettersi volontariamente trasferendo la propria posizione assicurativa all'INPS con l'articolo 1 della legge 29 del 1979; il Governo, infatti, a decorrere dal 1o luglio 2010, ha reso oneroso per tutti, lavoratrici e lavoratori, l'articolo della legge 29 del 1979 (trasferimento della contribuzione da altri fondi all'INPS) finora gratuito;
sono stati, inoltre, abrogati tutti gli altri articoli che prevedevano il trasferimento della contribuzione all'INPS gratuitamente: legge 322 del 1958 (costituzione della posizione assicurativa all'INPS); articolo 3, comma 14 decreto legislativo n. 562 del 1996 (Fondo di previdenza per gli elettrici), articolo 28 della legge 1450 del 1956 (fondo di previdenza per i telefonici), articolo 40 della legge 1646 del 1962 (personale dipendente amministrazioni statali, anche con ordinamento autonomo, personale iscritto agli Istituti di previdenza ora INPDAP, personale iscritto all'IPOST), l'articolo 124 del decreto del Presidente della Repubblica 1092 del 1973 (dipendenti civili statali, militari in servizio permanente e continuativo), l'articolo 21, comma 4 e l'articolo 40, comma 3 della legge 958 del 1986 (carabinieri, graduati e militari di truppa, sergenti di complemento);
si impedisce, quindi, alle donne di andare in pensione a 60 anni e anziché rispondere realmente alla sentenza della Corte europea si impedisce loro di scegliere una pensione più bassa, ma liquidata dall'INPS all'età prevista nel settore privato;
le norme sopra descritte garantivano equità cosa che, al momento, è messa in serio pericolo con le modifiche introdotte dal Governo al presente provvedimento; cosa accadrà a tutti i lavoratori e le lavoratrici che hanno contributi sia INPS che INPDAP. Si crea, in questo modo, un danno a tutti coloro che non hanno un percorso in unico fondo previdenziale,
impegna il Governo
a valutare con attenzione gli effetti delle abrogazioni descritte in premessa, valutando altresì la possibilità di correggere una situazione che discrimina i lavoratori e le lavoratrici che non hanno un unico percorso previdenziale.
9/3638/107. Schirru, Damiano, Berretta, Bellanova, Bobba, Boccuzzi, Codurelli, Gatti, Gnecchi, Madia, Mattesini, Miglioli, Mosca, Rampi, Santagata.
La Camera,
premesso che:
già con la legge finanziaria per il 1997 (legge n. 662 del 1996), fu approvata una norma, purtroppo mai attuata, che prevedeva incentivi per gli anziani, agevolando loro l'uscita dal lavoro e contestualmente permetteva di assumere giovani lavoratori con contratto di lavoro a part-time;
con la legge finanziaria per il 2007 (articolo 1, commi 1160 e 1161 della legge n. 296 del 2006), è stata riproposta, con alcune modifiche, la medesima norma, prevedendo incentivi sia per il lavoratore con 55 anni di età, che per l'azienda;
lo sgravio contributivo si perfeziona nel momento in cui il lavoratore «anziano» trasforma il contratto di lavoro a tempo parziale, e contemporaneamente l'azienda assume per la differenza fra l'orario parziale e il tempo pieno, un giovane disoccupato di età inferiore ai 25 anni o inferiore ai 29 anni se laureato;
l'eccessiva rigidità nella fissazione di limiti di età per l'accesso alla pensione rischia, infatti, di disperdere un ingente patrimonio cognitivo e di esperienze formatosi nel tempo, anche grazie a significativi investimenti pubblici; la possibilità di mantenere, in maniera flessibile, il lavoratore «anziano», permettendo contemporaneamente l'assunzione di un giovane lavoratore, consente di non disperdere il patrimonio di conoscenze e la grande professionalità acquisita in azienda, trasferendo tali conoscenze alle nuove generazioni che entrano nel mondo del lavoro;
per l'attuazione della suddetta misura, sono state poste in bilancio risorse per gli anni 2008 e 2009, pari a 82,2 milioni di euro destinate a finanziare accordi aziendali, al fine di creare nuovi posti di lavoro per i giovani e ridurre le uscite dal sistema produttivo dei lavoratori anziani;
la norma, definita nella legge finanziaria per il 2007, come: «accordo di solidarietà fra generazioni», prevede per la messa a regime, l'emanazione di un decreto concertato fra il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e il Ministro dell'Economia e delle Finanze, sentita la Conferenza Stato-regioni e le organizzazioni sindacali, con il quale stabilire le modalità, i contenuti e requisiti di accesso al finanziamento, nonché la ripartizione delle risorse;
il Trattato di Lisbona sottolinea con forza la necessità di favorire un progressivo allungamento dell'età attiva in funzione della dinamica della speranza di vita, anche al fine di garantire la sostenibilità dei sistemi previdenziali. Di contro, il tasso di disoccupazione nella popolazione tra 15 e 24 anni è stato calcolato dall'Istat pari al 29,5 per cento, con un aumento di 1,4 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 4,5 punti percentuali rispetto ad aprile 2009,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di procedere all'emanazione di un decreto, come previsto dalla normativa vigente, concertato fra il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-regioni e le organizzazioni sindacali con il quale stabilire le modalità, i contenuti e requisiti di accesso al finanziamento, nonché la ripartizione delle risorse.
9/3638/108. Bellanova, Damiano, Berretta, Bobba, Boccuzzi, Codurelli, Gatti, Gnecchi, Madia, Mattesini, Miglioli, Mosca, Rampi, Santagata, Schirru.
La Camera,
premesso che:
con il decreto-legge n. 112 del 2008 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008 e successive modificazioni, la maggioranza di Governo ha introdotto, non solo il collocamento obbligatorio in quiescenza dei dipendenti pubblici, al compimento dei 40 anni di anzianità contributiva ma anche la possibilità di uscire 5 anni prima del raggiungimento dei requisiti per l'accesso alla pensione;
nel contempo il Governo, contraddittoriamente, sostiene la necessità di elevare l'età per il pensionamento, intervenendo in tal senso con il provvedimento in esame, considerando sia il calcolo dell'aspettativa di vita per quanto riguarda la definizione dell'età pensionabile, sia il calcolo delle prestazioni pensionistiche;
numerose proposte di legge dei diversi schieramenti presentate sia alla Camera che al Senato affrontano la questione della riforma delle pensioni sia per aspetti particolari che di sistema;
il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, rispondendo all'atto ispettivo n. 4-04782 sul numero delle dipendenti donne cui sia stata comunicata la risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro, ha sostenuto 18 febbraio 2010: «Tuttavia, in conformità ai principi di trasparenza ed accessibilità a cui deve ispirarsi in ogni caso l'attività degli uffici pubblici, il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione intende, anche in riscontro all'istanza dell'interrogante, avviare, presso tutte le amministrazioni pubbliche, una ricognizione delle modalità di applicazione delle suddette normative e dei relativi effetti»;
impegna il Governo
a riferire alle Camere, previo attento monitoraggio, il numero dei dipendenti pubblici collocati obbligatoriamente a riposo, in base all'articolo 17, comma 35-novies, della legge n. 102 del 2009, con particolare riferimento alla quantità sia degli uomini che delle donne, all'età anagrafica degli stessi, alla loro ripartizione nei diversi settori della pubblica amministrazione, anche al fine di verificare con esattezza a quale età siano stati collocati obbligatoriamente a riposo.
9/3638/109. Codurelli, Damiano, Berretta, Bellanova, Bobba, Boccuzzi, Gatti, Gnecchi, Madia, Mattesini, Miglioli, Mosca, Rampi, Santagata, Schirru, De Pasquale.
La Camera,
premesso che:
con la legge 23 dicembre 1999 n. 488, articolo 51, comma 2, è stata introdotta la facoltà, per i lavoratori iscritti alla gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, di riscattare annualità di lavoro prestato in periodi antecedenti all'entrata in vigore dell'assoggettamento all'obbligo contributivo di cui alla predetta legge n. 335;
come si può leggere nel sito INPS, la facoltà di chiedere il riscatto è data a tutti i lavoratori dipendenti, autonomi (artigiani, commercianti, coltivatori diretti, mezzadri e coloni), ai lavoratori iscritti ai fondi speciali, a coloro che sono soggetti al contributo per il lavoro parasubordinato (collaboratori coordinati e continuativi), ai venditori porta a porta, nonché ai liberi professionisti (senza cassa di categoria);
con messaggio n. 25982 del 19 novembre 2008, l'INPS chiariva che la facoltà di riscatto dei contributi ante 1o aprile 1996, poteva essere esercitata dai liberi professionisti senza cassa di categoria, solo con riferimento esclusivo a periodi di attività prestata in veste di collaboratori coordinati e continuativi;
è evidente la condizione di disparità di trattamento che penalizza questa tipologia di lavoro autonomo rispetto a quella dei lavoratori parasubordinati, entrambe iscritte alla gestione separata INPS, che preclude ai professionisti senza cassa di categoria, la possibilità di poter riscattare periodi di attività di libero professionista, antecedenti l'anno 1996 e non si comprende la ratio di questa rigidità normativa, nonostante il costo del riscatto di contributi sia a totale carico dei richiedenti,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di fare chiarezza sulla norma richiamata, correggendo il relativo decreto ministeriale 2 ottobre 2001, al fine di estendere anche ai liberi professionisti senza cassa di categoria, la facoltà di esercitare il riscatto dei contributi per l'attività prestata come libero professionista in periodi antecedenti il 1996.
9/3638/110. Miglioli, Madia, Damiano, Berretta, Bellanova, Bobba, Boccuzzi, Codurelli, Gatti, Gnecchi, Mattesini, Mosca, Rampi, Santagata, Schirru.
La Camera,
premesso che:
è necessario prevedere un Sistema di perequazione delle pensioni che eviti il progressivo impoverimento dei pensionati;
si è, infatti, tornati a una situazione di continua perdita del potere d'acquisto in assenza di misure compensative per i pensionati che tengano conto della situazione economica generale e dello sviluppo o del mancato sviluppo del Paese; se è giusto tenere conto, a tal fine, dell'aspettativa di vita, è altrettanto necessario tenere conto del lavoro svolto e delle condizioni socio-ambientali in cui si opera;
in questo senso la modifica del meccanismo di perequazione delle pensioni già in essere non garantisce a sufficienza il potere d'acquisto delle pensioni. Lo stesso dicasi per il meccanismo che regolamenta la fruizione dell'integrazione al trattamento minimo, che necessita di una modifica al fine di consentirne l'accesso a una platea più ampia di beneficiari;
lo Stato integra al minimo ogni anno 4,5 milioni di pensioni, con un importo medio di integrazione di circa 3.100 euro annui, per una spesa complessiva di circa 13,9 miliardi di euro (dati del Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, anno 2005), Questo dimostra che le pensioni sono basse e che l'integrazione al trattamento minimo è una misura indispensabile per la sopravvivenza di chi le percepisce;
è utile ricordare, inoltre, qualora la pensione risulta insufficiente per fare fronte ai bisogni essenziali, lo Stato deve comunque intervenire, attraverso i comuni, destinando risorse aggiuntive della fiscalità generale alle politiche assistenziali; si pensi, alle rette delle case di riposo, per le quali, qualora il reddito personale o familiare non sia sufficiente, interviene il sostegno pubblico;
l'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) rende noto (11 gennaio 2010) che la crisi economica incide fortemente sul reddito reale delle famiglie e che il potere d'acquisto è in calo dell'1,6 per cento in soli dodici mesi (nel periodo tra ottobre 2008 e settembre 2009). Rispetto alla problematica in esame, va anche segnalato che da anni non è più garantita la restituzione del fiscal drag e ciò ha ridotto ulteriormente il reddito a disposizione dei pensionati e dei lavoratori, Secondo l'ultimo rapporto dell'ISTAT, in Italia, nel 2008, le famiglie che si trovano in condizioni di povertà relativa sono stimate in 2.737,000 e rappresentano 111,3 per cento delle famiglie residenti. Nel complesso sono 8.078.000 gli individui poveri, il 13,6 per cento dell'intera popolazione. Nel 2008, in Italia, 1.126.000 famiglie (il 4,6 per cento delle famiglie residenti) risultano in condizione di povertà assoluta, per un totale di 2.893.000 individui, ossia il 4,9 per cento dell'intera popolazione. Anche nell'anno 2009, con un -1,9 per cento, i consumi sono stati in calo, mentre per l'anno corrente è atteso un rimbalzo con un modesto +0,6 per cento; le stime sono state effettuate dall'ufficio studi della Confcommercio, il quale, tra l'altro, prevedeva per l'anno 2009 una caduta in Italia del prodotto interno lordo del 4,9 per cento, cui dovrebbe seguire nel 2010 un rimbalzo dello 0,6 per cento, e dello 0,8 per cento nel 2011. Questo dato è ancora più allarmante qualora si consideri che il 2009 ha registrato uno dei tassi di inflazione più basso degli ultimi decenni. L'incidenza della spesa alimentare (dati 2008) sul totale della spesa delle famiglie è del 18,8 per cento (2 punti in meno rispetto al 1990) e ammonta in media a 466 euro mensili, ovvero a 5,592 euro l'anno;
mentre per i lavoratori questa perdita è recuperata, seppur in parte, attraverso i rinnovi contrattuali, per i pensionati l'attuale sistema di perequazione delle pensioni si sta dimostrando sempre più inadeguato a garantire un'effettiva perequazione;
impegna il Governo
a rivedere l'attuale sistema di perequazione delle pensioni anche tramite un aumento automatico che recuperi la perdita del potere d'acquisto delle stesse calcolato dall'ISTAT al fine di garantire non solo l'adeguamento al costo della vita ma anche il recupero del potere di acquisto delle pensioni stesse.
9/3638/111. Berretta, Madia, Damiano, Bellanova, Bobba, Boccuzzi, Codurelli, Gatti, Gnecchi, Mattesini, Miglioli, Mosca, Rampi, Santagata, Schirru, De Pasquale.
La Camera,
premesso che:
è necessario prevedere un Sistema di perequazione delle pensioni che eviti il progressivo impoverimento dei pensionati;
si è, infatti, tornati a una situazione di continua perdita del potere d'acquisto in assenza di misure compensative per i pensionati che tengano conto della situazione economica generale e dello sviluppo o del mancato sviluppo del Paese; se è giusto tenere conto, a tal fine, dell'aspettativa di vita, è altrettanto necessario tenere conto del lavoro svolto e delle condizioni socio-ambientali in cui si opera;
in questo senso la modifica del meccanismo di perequazione delle pensioni già in essere non garantisce a sufficienza il potere d'acquisto delle pensioni. Lo stesso dicasi per il meccanismo che regolamenta la fruizione dell'integrazione al trattamento minimo, che necessita di una modifica al fine di consentirne l'accesso a una platea più ampia di beneficiari;
lo Stato integra al minimo ogni anno 4,5 milioni di pensioni, con un importo medio di integrazione di circa 3.100 euro annui, per una spesa complessiva di circa 13,9 miliardi di euro (dati del Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, anno 2005), Questo dimostra che le pensioni sono basse e che l'integrazione al trattamento minimo è una misura indispensabile per la sopravvivenza di chi le percepisce;
è utile ricordare, inoltre, qualora la pensione risulta insufficiente per fare fronte ai bisogni essenziali, lo Stato deve comunque intervenire, attraverso i comuni, destinando risorse aggiuntive della fiscalità generale alle politiche assistenziali; si pensi, alle rette delle case di riposo, per le quali, qualora il reddito personale o familiare non sia sufficiente, interviene il sostegno pubblico;
l'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) rende noto (11 gennaio 2010) che la crisi economica incide fortemente sul reddito reale delle famiglie e che il potere d'acquisto è in calo dell'1,6 per cento in soli dodici mesi (nel periodo tra ottobre 2008 e settembre 2009). Rispetto alla problematica in esame, va anche segnalato che da anni non è più garantita la restituzione del fiscal drag e ciò ha ridotto ulteriormente il reddito a disposizione dei pensionati e dei lavoratori, Secondo l'ultimo rapporto dell'ISTAT, in Italia, nel 2008, le famiglie che si trovano in condizioni di povertà relativa sono stimate in 2.737,000 e rappresentano 111,3 per cento delle famiglie residenti. Nel complesso sono 8.078.000 gli individui poveri, il 13,6 per cento dell'intera popolazione. Nel 2008, in Italia, 1.126.000 famiglie (il 4,6 per cento delle famiglie residenti) risultano in condizione di povertà assoluta, per un totale di 2.893.000 individui, ossia il 4,9 per cento dell'intera popolazione. Anche nell'anno 2009, con un -1,9 per cento, i consumi sono stati in calo, mentre per l'anno corrente è atteso un rimbalzo con un modesto +0,6 per cento; le stime sono state effettuate dall'ufficio studi della Confcommercio, il quale, tra l'altro, prevedeva per l'anno 2009 una caduta in Italia del prodotto interno lordo del 4,9 per cento, cui dovrebbe seguire nel 2010 un rimbalzo dello 0,6 per cento, e dello 0,8 per cento nel 2011. Questo dato è ancora più allarmante qualora si consideri che il 2009 ha registrato uno dei tassi di inflazione più basso degli ultimi decenni. L'incidenza della spesa alimentare (dati 2008) sul totale della spesa delle famiglie è del 18,8 per cento (2 punti in meno rispetto al 1990) e ammonta in media a 466 euro mensili, ovvero a 5,592 euro l'anno;
mentre per i lavoratori questa perdita è recuperata, seppur in parte, attraverso i rinnovi contrattuali, per i pensionati l'attuale sistema di perequazione delle pensioni si sta dimostrando sempre più inadeguato a garantire un'effettiva perequazione;
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di rivedere l'attuale sistema di perequazione delle pensioni anche tramite un aumento automatico che recuperi la perdita del potere d'acquisto delle stesse calcolato dall'ISTAT al fine di garantire non solo l'adeguamento al costo della vita ma anche il recupero del potere di acquisto delle pensioni stesse.
9/3638/111. (Testo modificato nel corso della seduta) Berretta, Madia, Damiano, Bellanova, Bobba, Boccuzzi, Codurelli, Gatti, Gnecchi, Mattesini, Miglioli, Mosca, Rampi, Santagata, Schirru, De Pasquale.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 4 della Costituzione, riconosce i seguenti princìpi fondamentali: «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, una attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società».
l'Italia ha un buon livello di legislazione a favore della parità e contro le discriminazione fra i sessi, ma nonostante i buoni principi giuridici, sia nell'accesso al lavoro, sia in termini di occupazione in generale, ma soprattutto di progressione di carriera e di retribuzioni, le disuguaglianze fra uomini e donne sono ancora notevoli. La pensione è la sintesi del percorso lavorativo, dimostra in modo evidente la durata e la consistenza della contribuzione versata durante tutta la propria attività produttiva. È risaputo che l'integrazione al trattamento minimo sia un fenomeno tipicamente femminile come altrettanto le pensioni di anzianità siano tipicamente maschili. Purtroppo anche verificando gli importi delle pensioni di nuova liquidazione, si confermano i dati storici: mediamente le donne hanno pensioni che corrispondono alla metà dell'importo medio degli uomini. I motivi sono storicamente purtroppo sempre gli stessi, il percorso lavorativo delle donne registra molte interruzioni, lavoro a tempo parziale, poca carriera, retribuzioni più basse. In compenso però la società gode di tanto lavoro gratuito delle donne. Le baby pensionate del pubblico per anni hanno garantito un'economia di servizi parallela a quella istituzionale. I mille lavori invisibili delle donne hanno sostenuto di fatto il sistema di welfare. Purtroppo il lavoro in famiglia non viene rilevato dalle statistiche ufficiali e se non fossero le donne ad occuparsi della pulizia della casa, della cura dei bambini e degli anziani e di tutte quelle mansioni invisibili, ma indispensabili all'interno della famiglia, questi servizi dovrebbero essere acquistati sul mercato e quindi assumerebbero un preciso valore economico quantificabile (dal libro di Alberto Alesina e Andrea Ichino: «L'Italia fatta in casa»);
l'attuale sistema di servizi alla famiglia lascia vuoti che le donne in modo particolare si vedono costrette a colmare, sostituendosi all'offerta dei servizi per la cura dei figli, degli anziani e dei disabili. Si pensi, infatti, che solo per quanto riguarda i servizi di supporto alla prima infanzia (0-3 anni), l'Italia offre una copertura in media del 10 per cento contro il 33 per cento richiesto dall'Unione Europea. In tal senso, «la scelta» delle donne di star fuori dal mondo del lavoro o di ripiegare forzatamente sul part time o altre forme di lavori atipici, che consentano loro di conciliare al meglio l'impegno del lavoro di cura, risulta quindi quasi una decisione obbligata, che però non corrisponde sicuramente al progetto di ideale lavorativo cui le donne avrebbero aspirato;
se prendiamo a riferimento gli altri paesi europei, prescindendo dalla tutela della gravidanza/maternità (cioè il periodo a ridosso della nascita) che esiste in tutti i paesi europei, è presente una generosa forma di contribuzione figurativa per la crescita dei figli. In Francia, alle lavoratrici madri sono riconosciuti 2 anni di contribuzione figurativa a figlio e fino a tre anni (a scelta tra madre e padre), oltre ad un eventuale supplemento di pensione (pari al 10 per cento in più) per chi abbia avuto almeno tre figli. La Francia è uno dei paesi con tasso di fecondità più elevato in Europa. In Grecia, sono riconosciuti da uno ad un massimo di quattro anni di contribuzione figurativa, in relazione al numero di figli avuti;
la scelta quasi obbligata delle donne di assenza dal mercato del lavoro, più o meno per brevi o lunghi periodi comporta una ulteriore penalizzazione sulle donne, soprattutto per quanto attiene l'aspetto previdenziale. A differenza degli uomini, sono molte di più le donne che arrivano alla pensione di vecchiaia perché per la scarsità di contributi accumulati nel corso degli anni, sono poche le donne che maturano i requisiti per l'accesso al pensionamento per anzianità contributiva;
va considerato inoltre che sono ben 4,5 milioni le pensioni integrate al trattamento minimo, con un importo medio di integrazione di circa 3100 euro annui per pensione. Su 4,5 milioni di pensioni integrate, di ben 3,5 milioni sono titolari le donne (dati del Ministero dell'economia e finanze - Ragioneria dello Stato anno 2005). Si consideri, come detto sopra, che per le pensioni liquidate con il sistema contributivo, non esisterà più l'integrazione al trattamento minimo e ciò comporterà un ulteriore reale peggioramento, per le donne in particolare;
la distribuzione per classi di anzianità contributiva nel territorio nazionale delle pensioni dirette INPS di vecchiaia e invalidità (circa 8.439.000 pensioni - Isfol 2003 su dati INPS), evidenzia che il 52 per cento delle pensioni erogate a donne è liquidato con una contribuzione fino a 20 anni ( in particolare fino a 15 anni il 25 per cento delle pensioni e da 15 a 20 anni il 27 per cento delle pensioni «femminili») e solo il 9,9 per cento delle titolari donne raggiungono la fascia di contributi fra 35 e 40 anni;
fino al 1992 si poteva realmente pensare che esistesse una condizione di favore per la pensione delle donne: nel pubblico impiego potevano cessare il lavoro dopo 14 anni 6 mesi e un giorno e percepire una pensione, anche se bassa, dai 19 anni 6 mesi e un giorno, nel privato 15 anni di contribuzione e 55 anni di età per la pensione di vecchiaia, e come detto sopra, la stragrande maggioranza delle pensioni delle donne veniva integrata al trattamento minimo;
l'integrazione al trattamento minimo esiste dal 1952 (articolo 10 della legge n. 218 del 1952) e ne ha diritto solo chi non possiede redditi assoggettabili all'Irpef per un importo lordo annuo superiore a 2 volte l'ammontare della pensione minima, però dal 1994 ha rilievo anche il reddito del coniuge. I redditi cumulati non devono superare il quadruplo della pensione minima Inps, nel 2010 pari a 23.970,44 euro;
tutte le riforme e le modifiche che si sono attuate negli ultimi 18 anni hanno pesantemente modificato i requisiti e le condizioni in particolare per le donne, tutti i risparmi fatti avrebbero dovuto essere investiti per aumentare l'occupazione femminile e restituire, quindi, alle donne ciò che veniva loro tolto in modo da favorire la loro autonomia e la realizzazione di un progetto di vita anche nel lavoro;
le proposte che il Partito Democratico ha portato avanti in questo periodo sono molte, ma riteniamo che come minimo si debbano garantire interventi migliorativi che offrano contribuzione figurativa alle donne: per i trattamenti pensionistici delle lavoratrici vanno riconosciuti periodi di accredito figurativo:
a) per assenza dal lavoro per periodi di educazione e assistenza dei figli fino all'ottavo anno di età in ragione di ventiquattro mesi per ciascun figlio;
b) per assenza dal lavoro per assistenza a figli dal sesto anno di età, al coniuge e al genitore purché conviventi, nel caso ricorrano le condizioni previste dall'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, per la durata di venticinque giorni complessivi l'anno, nel limite massimo complessivo di ventiquattro mesi;
c) a prescindere dall'assenza o meno dal lavoro al momento del verificarsi dell'evento maternità, è riconosciuto alla lavoratrice un anticipo di età rispetto al requisito di accesso alla pensione di vecchiaia di cui al comma 19 pari a ventiquattro mesi per ogni figlio e nel limite massimo di sessanta mesi. In alternativa al detto anticipo la lavoratrice può optare per la determinazione del trattamento pensionistico con applicazione del moltiplicatore di cui all'allegata tabella A, relativo all'età di accesso al trattamento pensionistico, maggiorato di due anni in caso di un figlio, e maggiorato di quattro anni in caso di due o più figli;
si ritiene che sia giusto prevedere che a decorrere dal 1o gennaio 2011, per i trattamenti pensionistici determinati secondo il sistema esclusivamente retributivo o secondo il sistema pro quota di cui al comma 12, sia riconosciuto alla lavoratrice un anticipo di età rispetto al requisito di accesso alla pensione di vecchiaia pari a ventiquattro mesi per ogni figlio e nel limite massimo di sessanta mesi;
le economie derivanti dall'attuale manovra finanziaria possono confluire nel Fondo strategico per il Paese a sostegno dell'economia reale, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, di cui all'articolo 18, comma 1, lettera b-bis), del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, e successive modificazioni, per interventi dedicati a politiche sociali e familiari con particolare attenzione alla non autosufficienza e all'esigenza di conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare delle lavoratrici,
impegna il Governo:
a monitorare in maniera costante la situazione pensionistica delle donne, con la valutazione annuale sulle nuove liquidazioni;
a valutare il risparmio che tutte le riforme dal 1992 ad oggi hanno comportato, tali dati sono indispensabili per «quantificare» il credito che le donne hanno maturato in questi anni rispetto alle pensioni e per poter affrontare con cognizione di causa gli interventi sulle pensioni di cui si va parlando;
a restituire alle donne il risparmio ottenuto garantendo una contribuzione figurativa adeguata all'impegno familiare e di lavori di cura che le donne quotidianamente offrono alle famiglie e alla società tutta.
9/3638/112. Gnecchi, Madia, Damiano, Berretta, Bellanova, Bobba, Boccuzzi, Codurelli, Gatti, Mattesini, Miglioli, Mosca, Rampi, Santagata, Schirru, De Pasquale.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 4 della Costituzione, riconosce i seguenti princìpi fondamentali: «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, una attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società».
l'Italia ha un buon livello di legislazione a favore della parità e contro le discriminazione fra i sessi, ma nonostante i buoni principi giuridici, sia nell'accesso al lavoro, sia in termini di occupazione in generale, ma soprattutto di progressione di carriera e di retribuzioni, le disuguaglianze fra uomini e donne sono ancora notevoli. La pensione è la sintesi del percorso lavorativo, dimostra in modo evidente la durata e la consistenza della contribuzione versata durante tutta la propria attività produttiva. È risaputo che l'integrazione al trattamento minimo sia un fenomeno tipicamente femminile come altrettanto le pensioni di anzianità siano tipicamente maschili. Purtroppo anche verificando gli importi delle pensioni di nuova liquidazione, si confermano i dati storici: mediamente le donne hanno pensioni che corrispondono alla metà dell'importo medio degli uomini. I motivi sono storicamente purtroppo sempre gli stessi, il percorso lavorativo delle donne registra molte interruzioni, lavoro a tempo parziale, poca carriera, retribuzioni più basse. In compenso però la società gode di tanto lavoro gratuito delle donne. Le baby pensionate del pubblico per anni hanno garantito un'economia di servizi parallela a quella istituzionale. I mille lavori invisibili delle donne hanno sostenuto di fatto il sistema di welfare. Purtroppo il lavoro in famiglia non viene rilevato dalle statistiche ufficiali e se non fossero le donne ad occuparsi della pulizia della casa, della cura dei bambini e degli anziani e di tutte quelle mansioni invisibili, ma indispensabili all'interno della famiglia, questi servizi dovrebbero essere acquistati sul mercato e quindi assumerebbero un preciso valore economico quantificabile (dal libro di Alberto Alesina e Andrea Ichino: «L'Italia fatta in casa»);
l'attuale sistema di servizi alla famiglia lascia vuoti che le donne in modo particolare si vedono costrette a colmare, sostituendosi all'offerta dei servizi per la cura dei figli, degli anziani e dei disabili. Si pensi, infatti, che solo per quanto riguarda i servizi di supporto alla prima infanzia (0-3 anni), l'Italia offre una copertura in media del 10 per cento contro il 33 per cento richiesto dall'Unione Europea. In tal senso, «la scelta» delle donne di star fuori dal mondo del lavoro o di ripiegare forzatamente sul part time o altre forme di lavori atipici, che consentano loro di conciliare al meglio l'impegno del lavoro di cura, risulta quindi quasi una decisione obbligata, che però non corrisponde sicuramente al progetto di ideale lavorativo cui le donne avrebbero aspirato;
se prendiamo a riferimento gli altri paesi europei, prescindendo dalla tutela della gravidanza/maternità (cioè il periodo a ridosso della nascita) che esiste in tutti i paesi europei, è presente una generosa forma di contribuzione figurativa per la crescita dei figli. In Francia, alle lavoratrici madri sono riconosciuti 2 anni di contribuzione figurativa a figlio e fino a tre anni (a scelta tra madre e padre), oltre ad un eventuale supplemento di pensione (pari al 10 per cento in più) per chi abbia avuto almeno tre figli. La Francia è uno dei paesi con tasso di fecondità più elevato in Europa. In Grecia, sono riconosciuti da uno ad un massimo di quattro anni di contribuzione figurativa, in relazione al numero di figli avuti;
la scelta quasi obbligata delle donne di assenza dal mercato del lavoro, più o meno per brevi o lunghi periodi comporta una ulteriore penalizzazione sulle donne, soprattutto per quanto attiene l'aspetto previdenziale. A differenza degli uomini, sono molte di più le donne che arrivano alla pensione di vecchiaia perché per la scarsità di contributi accumulati nel corso degli anni, sono poche le donne che maturano i requisiti per l'accesso al pensionamento per anzianità contributiva;
va considerato inoltre che sono ben 4,5 milioni le pensioni integrate al trattamento minimo, con un importo medio di integrazione di circa 3100 euro annui per pensione. Su 4,5 milioni di pensioni integrate, di ben 3,5 milioni sono titolari le donne (dati del Ministero dell'economia e finanze - Ragioneria dello Stato anno 2005). Si consideri, come detto sopra, che per le pensioni liquidate con il sistema contributivo, non esisterà più l'integrazione al trattamento minimo e ciò comporterà un ulteriore reale peggioramento, per le donne in particolare;
la distribuzione per classi di anzianità contributiva nel territorio nazionale delle pensioni dirette INPS di vecchiaia e invalidità (circa 8.439.000 pensioni - Isfol 2003 su dati INPS), evidenzia che il 52 per cento delle pensioni erogate a donne è liquidato con una contribuzione fino a 20 anni ( in particolare fino a 15 anni il 25 per cento delle pensioni e da 15 a 20 anni il 27 per cento delle pensioni «femminili») e solo il 9,9 per cento delle titolari donne raggiungono la fascia di contributi fra 35 e 40 anni;
fino al 1992 si poteva realmente pensare che esistesse una condizione di favore per la pensione delle donne: nel pubblico impiego potevano cessare il lavoro dopo 14 anni 6 mesi e un giorno e percepire una pensione, anche se bassa, dai 19 anni 6 mesi e un giorno, nel privato 15 anni di contribuzione e 55 anni di età per la pensione di vecchiaia, e come detto sopra, la stragrande maggioranza delle pensioni delle donne veniva integrata al trattamento minimo;
l'integrazione al trattamento minimo esiste dal 1952 (articolo 10 della legge n. 218 del 1952) e ne ha diritto solo chi non possiede redditi assoggettabili all'Irpef per un importo lordo annuo superiore a 2 volte l'ammontare della pensione minima, però dal 1994 ha rilievo anche il reddito del coniuge. I redditi cumulati non devono superare il quadruplo della pensione minima Inps, nel 2010 pari a 23.970,44 euro;
tutte le riforme e le modifiche che si sono attuate negli ultimi 18 anni hanno pesantemente modificato i requisiti e le condizioni in particolare per le donne, tutti i risparmi fatti avrebbero dovuto essere investiti per aumentare l'occupazione femminile e restituire, quindi, alle donne ciò che veniva loro tolto in modo da favorire la loro autonomia e la realizzazione di un progetto di vita anche nel lavoro;
le proposte che il Partito Democratico ha portato avanti in questo periodo sono molte, ma riteniamo che come minimo si debbano garantire interventi migliorativi che offrano contribuzione figurativa alle donne: per i trattamenti pensionistici delle lavoratrici vanno riconosciuti periodi di accredito figurativo:
a) per assenza dal lavoro per periodi di educazione e assistenza dei figli fino all'ottavo anno di età in ragione di ventiquattro mesi per ciascun figlio;
b) per assenza dal lavoro per assistenza a figli dal sesto anno di età, al coniuge e al genitore purché conviventi, nel caso ricorrano le condizioni previste dall'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, per la durata di venticinque giorni complessivi l'anno, nel limite massimo complessivo di ventiquattro mesi;
c) a prescindere dall'assenza o meno dal lavoro al momento del verificarsi dell'evento maternità, è riconosciuto alla lavoratrice un anticipo di età rispetto al requisito di accesso alla pensione di vecchiaia di cui al comma 19 pari a ventiquattro mesi per ogni figlio e nel limite massimo di sessanta mesi. In alternativa al detto anticipo la lavoratrice può optare per la determinazione del trattamento pensionistico con applicazione del moltiplicatore di cui all'allegata tabella A, relativo all'età di accesso al trattamento pensionistico, maggiorato di due anni in caso di un figlio, e maggiorato di quattro anni in caso di due o più figli;
si ritiene che sia giusto prevedere che a decorrere dal 1o gennaio 2011, per i trattamenti pensionistici determinati secondo il sistema esclusivamente retributivo o secondo il sistema pro quota di cui al comma 12, sia riconosciuto alla lavoratrice un anticipo di età rispetto al requisito di accesso alla pensione di vecchiaia pari a ventiquattro mesi per ogni figlio e nel limite massimo di sessanta mesi;
le economie derivanti dall'attuale manovra finanziaria possono confluire nel Fondo strategico per il Paese a sostegno dell'economia reale, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, di cui all'articolo 18, comma 1, lettera b-bis), del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, e successive modificazioni, per interventi dedicati a politiche sociali e familiari con particolare attenzione alla non autosufficienza e all'esigenza di conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare delle lavoratrici,
impegna il Governo:
a monitorare in maniera costante la situazione pensionistica delle donne, con la valutazione annuale delle nuove liquidazioni;
a valutare il risparmio che tutte le riforme dal 1992 ad oggi hanno comportato, e se le condizioni di finanza pubblica lo consentono a restituire alle donne il risparmio ottenuto.
9/3638/112. (Testo modificato nel corso della seduta) Gnecchi, Madia, Damiano, Berretta, Bellanova, Bobba, Boccuzzi, Codurelli, Gatti, Mattesini, Miglioli, Mosca, Rampi, Santagata, Schirru, De Pasquale.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 12, al comma 5 del presente provvedimento prevede l'applicazione della normativa previgente per i trattamenti pensionistici, a condizione che i lavoratori maturino i requisiti per l'accesso al pensionamento a decorrere dal termine del 1o gennaio 2011, di cui al successivo comma 6, e comunque nei limiti di 10.000 soggetti beneficiari, a favore:
dei lavoratori collocati in mobilità ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge n. 223 del 1991, sulla base di accordi sindacali stipulati anteriormente al 30 aprile 2010, e che maturino i requisiti per il pensionamento entro il periodo di fruizione dell'indennità di mobilità di cui all'articolo 7, comma 2, della legge n. 223 del 1991 (lettera a);
dei lavoratori collocati in mobilità lunga, ai sensi dell'articolo 7, commi 6 e 7, della legge n. 223 del 1991, per effetto di accordi collettivi stipulati entro il 30 aprile 2010 (lettera b);
dei lavoratori che, all'entrata in vigore del provvedimento in esame, siano titolari di prestazione straordinaria a carico dei fondi di solidarietà di settore di cui all'articolo 2, comma 28, della legge n. 662 del 1996 (lettera c);
tale disposizione esclude la possibilità di usufruire della normativa previgente per coloro che hanno perduto il posto di lavoro negli ultimi anni a causa della crisi economica, nonché coloro che stanno volontariamente proseguendo il versamento dei contributi previdenziali;
impegna il Governo
a monitorare l'attuazione delle disposizioni di cui all'articolo 12, comma 5, del decreto-legge in esame, al fine di valutare l'opportunità adottare ulteriori iniziative normative volte a derogare al limite di 10 mila soggetti beneficiari, includendo nelle deroghe i lavoratori che abbiano perso involontariamente il posto di lavoro e coloro che in maniera volontaria stiano effettuando i versamenti dei contributi previdenziali, al fine di poter usufruire della normativa previgente in materia di decorrenza dei trattamenti pensionistici.
9/3638/113. Damiano, Madia, Berretta, Bellanova, Bobba, Boccuzzi, Codurelli, Gatti, Gnecchi, Mattesini, Miglioli, Mosca, Rampi, Santagata, Schirru, Lovelli.
La Camera,
premesso che:
il secondo rapporto sullo stato di attuazione della strategia di Lisbona pubblicato il 23 ottobre 2007 e coordinato dal Dipartimento per le politiche comunitarie della Presidenza del Consiglio dei Ministri evidenzia che il tasso di occupazione femminile in Italia si attesta al 46,3 per cento, rispetto alla media dell'Unione del 57,4, e si trova largamente al di sotto dell'obiettivo finale fissato al 60 per cento nel 2010 ed anche dell'obiettivo intermedio fissato al 57 per cento per il 2005;
le ragioni che determinano il perdurare di uno scarso livello di partecipazione delle donne al mercato del lavoro dipendono in parte dalla necessità, che ancora grava principalmente su di esse, di coniugare le responsabilità familiari con gli obblighi derivanti dallo svolgimento di un'attività lavorativa stabile e continuativa;
per le donne italiane conciliare lavoro e carichi familiari resta un fattore di alta criticità come testimoniato dalle differenze nei tassi di occupazione femminile calcolati in funzione del ruolo ricoperto in famiglia: per le donne da 35 a 44 anni, si passa dall'87,3 per cento di occupate tra le single, al 55,5 per cento tra quelle con figli, fino a raggiungere il 37,5 per cento tra quelle con 3 o più figli;
il ritardo nello sviluppo delle pari opportunità appare particolarmente consistente se si considerano gli sbocchi professionali dei laureati ed il mercato del lavoro delle alte professionalità, basti considerare che, così come rilevato dall'ISTAT, a un anno dal conseguimento del diploma di laurea meno della metà delle donne lavora, contro il 57 per cento degli uomini. Inoltre la maggioranza delle donne che lavorano svolge attività poco remunerative e sottodimensionate rispetto al titolo di studio;
la Corte di giustizia dell'Unione europea, con la sentenza del 13 novembre 2008 ha condannato l'Italia per la disparità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda la diversa età di accesso alle pensioni di vecchiaia nel settore del lavoro pubblico: 60 per le donne 65 per gli uomini;
a parità di posizione nella professione, le donne guadagnano molto meno degli uomini, con differenze che vanno da un minimo del 13 per cento fra gli impiegati fino a superare il 20 per cento tra i manager;
nel 2005 dei quasi 2,9 milioni di professionisti, dirigenti e quadri rilevati dall'ISTAT solo poco più del 30 per cento sono di sesso femminile;
la presenza decrescente di donne in posizioni di maggiore responsabilità è indice evidente delle difficoltà che esse incontrano ad accedere a posizioni elevate nel mondo del lavoro;
per le donne italiane conciliare lavoro e carichi familiari resta un fattore di alta criticità come è testimoniato dalle differenze nei tassi di occupazione femminile calcolati in funzione del ruolo ricoperto in famiglia: per le donne da 35 a 44 anni, si passa dall'87,3 per cento di occupate tra le single al 74,3 per cento tra le partner in coppia senza figli, al 55,5 per cento tra le partner in coppia con figli, fino a raggiungere il 37,5 per cento tra quelle con 3 o più figli;
la funzione sociale della maternità continua ad essere penalizzata rispetto all'accesso e alla permanenza nel mercato del lavoro, imputabile principalmente a diversi fattori quali l'iniqua distribuzione dei carichi di lavoro familiare, la persistente carenza dei servizi per l'infanzia, le forme di discriminazione sul lavoro subite dalle donne madri o in gravidanza, l'insufficienza delle reti di aiuto formale (asili nido e strutture per l'infanzia);
la peculiarità del nostro Paese è ravvisabile nel ricorso intenso alla rete di aiuti informale e alla solidarietà intergenerazionale. Sei bambini su dieci sono affidati ai nonni quando la madre lavora. Questo avviene principalmente per la carenza di servizi per l'infanzia;
secondo dati ISTAT dal 1998 al 2005 il numero di bambini che frequentano il nido è cresciuto di 100 mila unità, passando dall'11 al 13,8 per cento del totale dei bambini da zero a due anni: un incremento importante, considerando che la maggioranza dei bambini che utilizzano il nido ha la mamma che lavora (77 per cento);
l'offerta di asili nido, misurata rispetto al numero dei bambini di età inferiore ai tre anni, mostra tuttavia differenze rilevanti nel livello di attivazione territoriale del servizio. La loro carenza, soprattutto al Sud e nelle Isole, condiziona decisamente il rapporto con il lavoro delle donne, al punto tale che 564mila donne inattive hanno dichiarato che sarebbero disponibili a lavorare e a cercare lavoro, in presenza di servizi sociali adeguati; tra le donne occupate, 160 mila passerebbero da un regime orario part-time a full time;
l'interruzione dell'attività lavorativa dovuta alla nascita di un figlio può comportare un rischio elevato di non reinserirsi nel mondo del lavoro, o di rimanerne a lungo al di fuori. Tra le donne che nel corso della vita hanno smesso di lavorare, il 17,7 per cento lo ha fatto per la nascita del figlio;
emerge in tutta evidenza la necessità di tutelare i diritti della donna nella fase della vita in cui deve conciliare l'essere madre con la sua partecipazione alla vita attiva e produttiva;
impegna il Governo
a valutare la possibilità di destinare i risparmi conseguenti dall'applicazione dell'innalzamento dell'età pensionabile per le lavoratrici del pubblico impiego al finanziamento del piano decennale per gli asili nido.
9/3638/114. Mosca, Madia, Damiano, Berretta, Bellanova, Bobba, Boccuzzi, Codurelli, Gatti, Gnecchi, Mattesini, Miglioli, Rampi, Santagata, Schirru, De Pasquale.
La Camera,
premesso che:
il presente decreto legge prevede, all'articolo 12, commi 1 e 2, l'introduzione delle cosiddette «finestre scorrevoli», in base alle quali i lavoratori conseguono il diritto alla decorrenza del trattamento pensionistico, per coloro i quali sono liquidate le pensioni a carico delle forme di previdenza dei lavoratori dipendenti, trascorsi dodici mesi dalla data di maturazione dei previsti requisiti; mentre per coloro i quali conseguono il trattamento di pensione a carico delle gestioni per gli artigiani, i commercianti e i coltivatori diretti nonché della gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, trascorsi diciotto mesi dalla data di maturazione dei previsti requisiti;
tale disposizione include nello slittamento dei termini di decorrenza anche i lavoratori e le lavoratrici che abbiano maturato il requisito di anzianità contributiva pari ad almeno quaranta anni,
impegna il Governo
a monitorare gli effetti applicativi delle disposizioni di cui all'articolo 12, commi 1 e 2, del decreto-legge in esame, al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte a prevedere una deroga per i lavoratori che abbiano maturato il requisito di anzianità contributiva pari ad almeno 40 anni di contributi, considerando anche che il periodo in eccedenza non contribuisce ai fini del trattamento pensionistico.
9/3638/115. Santagata, Madia, Damiano, Berretta, Bellanova, Bobba, Boccuzzi, Codurelli, Gatti, Gnecchi, Mattesini, Miglioli, Mosca, Rampi, Schirru, De Pasquale.
La Camera,
premesso che:
il presente decreto legge prevede, all'articolo 12, commi 1 e 2, l'introduzione delle cosiddette «finestre scorrevoli», in base alle quali i lavoratori conseguono il diritto alla decorrenza del trattamento pensionistico, per coloro i quali sono liquidate le pensioni a carico delle forme di previdenza dei lavoratori dipendenti, trascorsi dodici mesi dalla data di maturazione dei previsti requisiti; mentre per coloro i quali conseguono il trattamento di pensione a carico delle gestioni per gli artigiani, i commercianti e i coltivatori diretti nonché della gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, trascorsi diciotto mesi dalla data di maturazione dei previsti requisiti;
tale disposizione include nello slittamento dei termini di decorrenza anche i lavoratori e le lavoratrici che abbiano maturato il requisito di anzianità contributiva pari ad almeno quaranta anni,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di monitorare gli effetti applicativi delle disposizioni di cui all'articolo 12, commi 1 e 2, del decreto-legge in esame, al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte a prevedere una deroga per i lavoratori che abbiano maturato il requisito di anzianità contributiva pari ad almeno 40 anni di contributi, considerando anche che il periodo in eccedenza non contribuisce ai fini del trattamento pensionistico.
9/3638/115. (Testo modificato nel corso della seduta) Santagata, Madia, Damiano, Berretta, Bellanova, Bobba, Boccuzzi, Codurelli, Gatti, Gnecchi, Mattesini, Miglioli, Mosca, Rampi, Schirru, De Pasquale.
La Camera,
premesso che:
il comma 2 dell'articolo 42 concede alle imprese appartenenti ad una delle reti riconosciute ai sensi dei commi successivi del medesimo articolo 42 vantaggi fiscali, amministrativi e finanziari, nonché la possibilità di stipulare convenzioni con l'A.B.I. nei termini definiti con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze emanato ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge n. 400 del 1988 entro quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto;
successivamente il medesimo articolo nel sostituire il comma 4-ter dell'articolo 3 del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, introduce una serie di obblighi relativi al contratto di rete ai quali dovrebbero adempiere non più le imprese di cui al comma 2 dell'articolo in questione quanto invece direttamente gli imprenditori che dovrebbero sottoscrivere il contratto medesimo, ciò senza tenere conto che soprattutto nelle società è possibile che determinati obblighi siano svolti da manager o semplici collaboratori dell'imprenditore medesimo;
il contratto prevede, tra l'altro, l'obbligo sulla base di un programma comune di rete, di collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all'esercizio delle proprie imprese ovvero di scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ancora di esercitare in comune una o più attività rientranti nell'oggetto della propria impresa. Il contratto può anche prevedere l'istituzione di un fondo patrimoniale comune e la nomina di un organo comune incaricato di gestire, in nome e per conto dei partecipanti, l'esecuzione del contratto o di singole parti o fasi dello stesso;
secondo le modifiche apportate il contratto di rete sarà soggetto a iscrizione nella sezione del registro delle imprese presso cui è iscritto ciascun partecipante e l'efficacia del contratto decorrerà da quando è stata eseguita l'ultima delle iscrizioni prescritte a carico di tutti coloro che ne sono stati sottoscrittori originari;
la norma nel suo complesso appare confusa, da un lato il sottoscrittore del contratto di rete è l'imprenditore dall'altro le agevolazioni relative al contratto saranno fruite dall'impresa, con il rischio di aprire falle sul fronte dell'interpretazione e dell'effettiva possibilità di applicazione della norma,
impegna il Governo
a chiarire l'effettiva applicabilità dell'articolo 42, in primo luogo riguardo alla sovrapposizione tra obblighi imposti all'imprenditore e agevolazioni erogate all'impresa, ed in secondo luogo chiarendo quale differenza pratica e giuridica sussista tra le reti d'impresa ed i consorzi.
9/3638/116. Fadda.
La Camera,
premesso che:
con la direttiva 2009/28/CE sulla promozione delle energie rinnovabili, sono stati fissati obiettivi giuridicamente vincolanti per ciascuno Stato membro, per incrementare l'attuale quota complessiva di energie rinnovabili sul consumo energetico finale della UE fino al 20 per cento nel 2020. Per l'Italia l'incremento finale, entro il 2020, dovrà essere non inferiore al 17 per cento. La legge 96 del 2010 (legge comunitaria 2009) delega il Governo al recepimento della predetta direttiva 2009/28/CE;
l'articolo 45 reca disposizioni in materia di destinazione delle risorse derivanti dalla risoluzione anticipata delle convenzioni CIP6 e di ritiro dei certificati verdi da parte del GSE, confermando l'obbligo di acquisto da parte del GSE dei certificati verdi invenduti e integrando le disposizioni in materia introdotte dal comma 149 dell'articolo 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, con l'aggiunta del nuovo comma 149-bis che intende ridurre l'esborso a carico del GSE per l'acquisto dei certificati verdi;
il comma 149 stabilisce che a partire dal 2008 e fino al raggiungimento dell'obiettivo minimo della copertura del 25 per cento del consumo interno di energia elettrica con fonti rinnovabili, il GSE ritira, su richiesta del produttore, i certificati verdi, in scadenza nell'anno, eccedenti rispetto a quelli necessari per assolvere all'obbligo di immissione di una quota;
il ritiro fino ad oggi era effettuato ad un prezzo pari al prezzo medio riconosciuto ai certificati verdi registrato nell'anno precedente da parte del Gestore del mercato elettrico (GME) e trasmesso al GSE entro il 31 gennaio di ciascun anno;
la modifica in oggetto intende ridurre ad un massimo del 30 per cento rispetto a quello relativo alle competenze dell'anno 2010, l'importo complessivo derivante dal ritiro, da parte del GSE, dei certificati verdi a decorrere dalle competenze dell'anno 2011, prevedendo che almeno l'80 per cento di tale riduzione derivi dal contenimento della quantità di certificati verdi in eccesso,
impegna il Governo
a raggiungere l'obiettivo della riduzione del costo dell'energia per i consumatori e a conseguire gli obiettivi di riduzione delle emissioni assegnati al Paese, nel rispetto dei principi e criteri direttivi per l'attuazione della direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009 prevedendo in particolare un meccanismo di graduale incremento - su base annuale fino al 2020 - della quota d'obbligo ed un simmetrico decremento del valore di ritiro, e prevedendo altresì che il valore minimo sia comunque inferiore al prezzo previsto dal comma 148 della legge 24 dicembre 2007, n. 244.
9/3638/117. Albonetti.
La Camera,
premesso che:
con la direttiva 2009/28/CE sulla promozione delle energie rinnovabili, sono stati fissati obiettivi giuridicamente vincolanti per ciascuno Stato membro, per incrementare l'attuale quota complessiva di energie rinnovabili sul consumo energetico finale della UE fino al 20 per cento nel 2020. Per l'Italia l'incremento finale, entro il 2020, dovrà essere non inferiore al 17 per cento. La legge 96 del 2010 (legge comunitaria 2009) delega il Governo al recepimento della predetta direttiva 2009/28/CE;
l'articolo 45 reca disposizioni in materia di destinazione delle risorse derivanti dalla risoluzione anticipata delle convenzioni CIP6 e di ritiro dei certificati verdi da parte del GSE, confermando l'obbligo di acquisto da parte del GSE dei certificati verdi invenduti e integrando le disposizioni in materia introdotte dal comma 149 dell'articolo 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, con l'aggiunta del nuovo comma 149-bis che intende ridurre l'esborso a carico del GSE per l'acquisto dei certificati verdi;
il comma 149 stabilisce che a partire dal 2008 e fino al raggiungimento dell'obiettivo minimo della copertura del 25 per cento del consumo interno di energia elettrica con fonti rinnovabili, il GSE ritira, su richiesta del produttore, i certificati verdi, in scadenza nell'anno, eccedenti rispetto a quelli necessari per assolvere all'obbligo di immissione di una quota;
il ritiro fino ad oggi era effettuato ad un prezzo pari al prezzo medio riconosciuto ai certificati verdi registrato nell'anno precedente da parte del Gestore del mercato elettrico (GME) e trasmesso al GSE entro il 31 gennaio di ciascun anno;
la modifica in oggetto intende ridurre ad un massimo del 30 per cento rispetto a quello relativo alle competenze dell'anno 2010, l'importo complessivo derivante dal ritiro, da parte del GSE, dei certificati verdi a decorrere dalle competenze dell'anno 2011, prevedendo che almeno l'80 per cento di tale riduzione derivi dal contenimento della quantità di certificati verdi in eccesso,
impegna il Governo
a raggiungere l'obiettivo della riduzione del costo dell'energia per i consumatori e a conseguire gli obiettivi di riduzione delle emissioni assegnati al Paese, nel rispetto dei principi e criteri direttivi per l'attuazione della direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009, valutando l'opportunità di prevedere in particolare un meccanismo di graduale incremento - su base annuale fino al 2020 - della quota d'obbligo ed un simmetrico decremento del valore di ritiro, e prevedendo altresì che il valore minimo sia comunque inferiore al prezzo previsto dal comma 148 della legge 24 dicembre 2007, n. 244.
9/3638/117. (Testo modificato nel corso della seduta) Albonetti.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 49, commi da 1 a 4, reca disposizioni in materia di conferenza di servizi, mentre i commi da 4-bis a 4-quinquies sostituiscono la disciplina della dichiarazione di inizio attività con quella della segnalazione certificata di inizio attività, oltre a prevedere altre norme di semplificazione amministrativa per le imprese;
la modifica della disciplina della conferenza di servizi di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, è volta a semplificarne la procedura ed accelerare i tempi per l'adozione del provvedimento finale, in particolare, viene rimessa al Governo la decisione finale in caso di motivato dissenso da parte delle amministrazioni cosiddette sensibili (tutela del paesaggio, salute ed ambiente), modificando anche la relativa procedura di composizione del dissenso; vengono inoltre previste norme di coordinamento con le procedure di VIA, VAS e AIA;
la disciplina in materia di Conferenza di servizi è già stata modificata profondamente dalla legge n. 15 del 2005 e dalla legge n. 69 del 2009;
per quanto attiene il contenuto dei commi da 4-bis a 4-quinquies l'introduzione della segnalazione certificata di inizio attività - SCIA, rappresenta un'ulteriore modifica nel merito di una materia già molto complessa attinente alla dichiarazione di inizio attività, a sua volta più volte modificata; altrettanto si può dire riguardo alla disciplina attinente la misurazione degli oneri amministrativi contenuta per ultimo anche nell'atto Camera 2754 in discussione nella X Commissione della Camera,
impegna il Governo
a monitorare gli effetti applicativi delle disposizioni di cui all'articolo 49 del provvedimento in esame, anche al fine di adottare ulteriori iniziative volte a semplificare e coordinare la disciplina in materia di semplificazione degli adempimenti amministrativi a carico delle imprese tenendo conto delle innumerevoli norme ad essa afferenti, integrandole con una serie di provvedimenti approvati o in itinere che trattano di identiche materie ed in particolare con i regolamenti relativi allo sportello unico delle attività produttive e all'agenzia delle imprese, al fine di evitare che l'eccesso di norme sulla semplificazione renda sempre più complicata e difficile la vita delle imprese e dei cittadini.
9/3638/118. Mastromauro.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 49, commi da 1 a 4, reca disposizioni in materia di conferenza di servizi, mentre i commi da 4-bis a 4-quinquies sostituiscono la disciplina della dichiarazione di inizio attività con quella della segnalazione certificata di inizio attività, oltre a prevedere altre norme di semplificazione amministrativa per le imprese;
la modifica della disciplina della conferenza di servizi di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, è volta a semplificarne la procedura ed accelerare i tempi per l'adozione del provvedimento finale, in particolare, viene rimessa al Governo la decisione finale in caso di motivato dissenso da parte delle amministrazioni cosiddette sensibili (tutela del paesaggio, salute ed ambiente), modificando anche la relativa procedura di composizione del dissenso; vengono inoltre previste norme di coordinamento con le procedure di VIA, VAS e AIA;
la disciplina in materia di Conferenza di servizi è già stata modificata profondamente dalla legge n. 15 del 2005 e dalla legge n. 69 del 2009;
per quanto attiene il contenuto dei commi da 4-bis a 4-quinquies l'introduzione della segnalazione certificata di inizio attività - SCIA, rappresenta un'ulteriore modifica nel merito di una materia già molto complessa attinente alla dichiarazione di inizio attività, a sua volta più volte modificata; altrettanto si può dire riguardo alla disciplina attinente la misurazione degli oneri amministrativi contenuta per ultimo anche nell'atto Camera 2754 in discussione nella X Commissione della Camera,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di monitorare gli effetti applicativi delle disposizioni di cui all'articolo 49 del provvedimento in esame, anche al fine di adottare ulteriori iniziative volte a semplificare e coordinare la disciplina in materia di semplificazione degli adempimenti amministrativi a carico delle imprese tenendo conto delle innumerevoli norme ad essa afferenti, integrandole con una serie di provvedimenti approvati o in itinere che trattano di identiche materie ed in particolare con i regolamenti relativi allo sportello unico delle attività produttive e all'agenzia delle imprese, al fine di evitare che l'eccesso di norme sulla semplificazione renda sempre più complicata e difficile la vita delle imprese e dei cittadini.
9/3638/118. (Testo modificato nel corso della seduta) Mastromauro.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 49, reca modifiche alle disposizioni in materia di conferenza di servizi e sostituisce la disciplina della dichiarazione di inizio attività con quella della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA);
in generale le molte modifiche apportate dal Governo in materia di semplificazione degli adempimenti amministrativi rimandano a deleghe la cui scadenza è spesso molto lontana nel tempo, e dunque le relative norme non sono di applicabilità immediata;
in tale contesto per aiutare le imprese che, pur nella presente crisi economica, fanno investimenti e hanno l'obiettivo di crescere, sarebbe utile in caso di realizzazione o di modifica di un impianto produttivo, di apertura di unità locale o laboratorio manifatturiero, semplificare con una norma di immediata applicazione la relativa disciplina, prevedendo che sulla base di elaborati progettuali e della dichiarazione di conformità del progetto alla normativa vigente applicabile, resa sotto la propria responsabilità dalla società professionale o dal professionista autori del progetto, purché muniti di idonea assicurazione per la responsabilità professionale, pari almeno al valore economico dell'opera, il comune che riceve la dichiarazione e la relativa documentazione, rilasci contestualmente la ricevuta, che costituisca titolo per l'avvio immediato dell'attività o dell'intervento dichiarato,
impegna il Governo
ad adottare ulteriori iniziative normative volte a semplificare l'attuale disciplina in materia di realizzazione o di modifica di un impianto produttivo, di apertura di unità locale o laboratorio manifatturiero accelerando i tempi d'intervento del comune e accorciando l'iter della conferenza di servizi nel caso di interventi edilizi.
9/3638/119. De Micheli.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 49, commi da 4-bis a 4-quinquies sostituisce la disciplina della dichiarazione di inizio attività con la segnalazione certificata di inizio attività (SCIA);
l'introduzione della segnalazione certificata di inizio attività consente che l'attività oggetto della segnalazione possa essere iniziata dalla data della presentazione della segnalazione all'amministrazione competente e che tale amministrazione, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti che consentono l'utilizzo della SCIA, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione, adotti motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa, salvo che, ove ciò sia possibile, l'interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro un termine fissato dall'amministrazione, in ogni caso non inferiore a trenta giorni;
in tale contesto suscita apprensione l'ambiguità della disciplina recata dal comma 4 dell'articolo 19 della legge n. 241 del 1990, così come modificato dall'articolo 49, comma 4-bis, del decreto-legge in esame che prevede, decorso il termine per l'adozione dei predetti provvedimenti da parte dell'amministrazione che quest'ultima possa intervenire solo a posteriori quando ci si trovi in presenza del pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l'ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale, lasciando spazio in tal modo alla possibilità che il danno avvenga effettivamente,
impegna il Governo
a monitorare gli effetti applicativi delle disposizioni di cui al comma 4 dell'articolo 19 della legge n. 241 del 1990, così come modificato dall'articolo 49, comma 4-bis, del decreto-legge in esame, al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte a prevedere che in tutti i casi l'amministrazione intervenga immediatamente ogni qual volta si profili la possibilità o si ravvisi pericolo di un danno grave e irreparabile per il patrimonio artistico e culturale, per l'ambiente, per il paesaggio, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale.
9/3638/120. Sanga.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 49 sostituisce la disciplina della dichiarazione di inizio attività con quella della segnalazione certificata di inizio attività, oltre a prevedere altre norme di semplificazione amministrativa per le imprese;
questa ulteriore modifica si aggiunge alle molte altre apportate dal Governò in materia di semplificazione degli adempimenti amministrativi per le imprese creando confusione e rendendo sempre più difficile l'attuazione della riforma, anche perché scollegata dalle nuove norme in materia di sportello unico delle attività produttive e di agenzie delle imprese;
impegna il Governo
a chiarire che la segnalazione di inizio attività deve essere presentata ai sensi della legislazione vigente, al SUAP competente per il territorio in cui si svolge l'attività o è situato l'impianto o, nelle more della predisposizione degli sportelli unici, alle amministrazioni competenti per territorio.
9/3638/121. Zunino.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 49 sostituisce la disciplina della dichiarazione di inizio attività con quella della segnalazione certificata di inizio attività, oltre a prevedere altre norme di semplificazione amministrativa per le imprese;
questa ulteriore modifica si aggiunge alle molte altre apportate dal Governò in materia di semplificazione degli adempimenti amministrativi per le imprese creando confusione e rendendo sempre più difficile l'attuazione della riforma, anche perché scollegata dalle nuove norme in materia di sportello unico delle attività produttive e di agenzie delle imprese;
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di chiarire che la segnalazione di inizio attività deve essere presentata ai sensi della legislazione vigente, al SUAP competente per il territorio in cui si svolge l'attività o è situato l'impianto o, nelle more della predisposizione degli sportelli unici, alle amministrazioni competenti per territorio.
9/3638/121. (Testo modificato nel corso della seduta) Zunino.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 41 del decreto in esame introduce un regime fiscale di attrazione degli investimenti esteri in Italia, consentendo alle imprese estere residenti in uno Stato membro dell'Unione Europea che intraprendano in Italia nuove attività economiche di applicare, in luogo del regime tributario italiano, una diversa normativa fiscale scelta fra quelle esistenti nell'Unione;
a tal fine, tali imprese potranno interpellare l'Amministrazione finanziaria ai sensi del decreto legge 269 del 2003, avviando una complessa e articolata procedura di ruling internazionale che dovrebbe concludersi con un accordo che vincola l'Amministrazione finanziaria e l'impresa per il periodo d'imposta di stipula dell'accordo e per i due successivi, salvo che non intervengano mutamenti rilevanti nelle circostanze di fatto o di diritto che derivano dall'accordo sottoscritto;
la scelta del regime fiscale si applica esclusivamente alle imprese residenti in uno Stato membro dell'Unione Europea diverso dall'Italia che intraprendano in Italia attività economiche nuove, ossia attività economiche che non risultino già avviate alla data del 31 maggio 2010, data di entrata in vigore del decreto-legge, svolte effettivamente nel territorio dello Stato;
l'articolo 41 del decreto specifica che il regime fiscale che l'impresa può sostituire con quello estero è solo quello relativo alla «normativa tributaria statale italiana»; in altre parole, la disciplina tributaria estera prescelta non sostituisce i tributi diversi da quelli erariali, che dovrebbero continuare ad incidere sull'impresa contestualmente al regime estero prescelto, creando duplicazioni d'imposta e seri problemi applicativi;
il decreto non specifica quali siano i tributi statali italiani cui la norma si riferisce, né chiarisce se la prevista alternatività con la normativa tributaria sia riferita alla sola imposizione diretta o anche all'imposizione indiretta;
le imprese UE che intraprendano nuove attività economiche in Italia possono chiedere l'applicazione delle regole fiscali vigenti in altro Stato europeo anche per i loro dipendenti e collaboratori, per un periodo di tre anni;
nel disposto della norma non è chiaro se l'estensione ai dipendenti e ai collaboratori dell'impresa sia subordinato al requisito della residenza fuori dall'Italia di tali soggetti, né è chiaro a quale forma di collaborazione con l'impresa si applichi tale agevolazione;
l'articolo 41 del decreto in esame si presta a numerosi rilievi critici, ed in particolare:
non è compatibile con il principio di eguaglianza stabilito dall'articolo 3 della Costituzione, poiché considera fattispecie uguali (l'avvio di una nuova attività economica nel territorio italiano da parte di un'impresa) in modo diverso (potendo una impresa residente in uno Stato UE scegliere il regime tributario applicato nell'unione più favorevole e un'impresa residente in Italia essendo vincolata ad avviare tale iniziativa con il regime tributario italiano, senza alcuna facoltà di scelta), ponendosi così in contrasto anche con il più generale principio di ragionevolezza;
se l'intento della norma è quella di favorire l'avvio di nuove attività economiche in Italia, così formulata potrebbe determinare un risultato paradossale, favorendo in modo straordinario l'impresa estera che avvii nuove attività in Italia - basti pensare che il sistema fiscale, ad oggi, più vantaggioso in Europa è quello irlandese, che applica alle imprese una tassazione del 12,5 per cento - penalizzando in modo grave l'impresa italiana che intenda avviare una nuova attività nel medesimo settore, che si troverebbe a subire un prelievo molto più elevato rispetto all'impresa estera concorrente operante nello stesso territorio, senza dire del carico contributivo diseguale per lavoratori e dipendenti, con effetti anche sull'uguaglianza sostanziale dei lavoratori occupati in Italia;
configura anche un'aperta violazione del diritto comunitario e in particolare del principio della libertà di stabilimento e della libera circolazione delle persone e dei capitali, a danno delle imprese italiane, che proprio sul loro territorio si trovano a fronteggiare la concorrenza di imprese estere, che godono di un regime fiscale di maggior favore determinato per legge;
la disposizione in questione può, tra l'altro, incentivare comportamenti elusivi da parte di imprese italiane, che potrebbero essere indotte a insediare nuove società con sede nei paesi europei, cosicché il vantaggio derivante dall'attrazione di capitali dall'estero potrebbe essere più che neutralizzato dalle scelte allocative delle imprese italiane;
non è chiaro, infine, se la limitazione triennale del nuovo regime si riferisca esclusivamente ai lavoratori dipendenti e collaboratori dell'impresa che intraprenda nuove attività in Italia, ovvero anche al regime fiscale di favore per l'impresa estera che avvii nuove attività in Italia; in questo ultimo caso l'impresa estera non avrebbe alcun interesse a localizzare una nuova attività economica in Italia - impianti fissi, uffici, stabilimenti - per beneficiare solo per tre anni del regime fiscale speciale;
la fase del cosiddetta «sviluppo» da parte di un'impresa di un'idea innovativa è senz'altro quella più complessa e costosa, e pertanto sono necessari adeguati incentivi fiscali e finanziari sia per favorire il trasferimento di tecnologia dal settore della ricerca a quello produttivo, sia per individuare le applicazioni - e il mercato - potenziali, sia per elaborare il prototipo del prodotto finale;
le imprese di nuova formazione, nelle prime fasi di vita, hanno elevate potenzialità di reddito ma anche un elevato fabbisogno finanziario, difficile da coprire soprattutto nelle imprese tecnologiche che utilizzino innovazioni o scoperte o che producano su scala il prototipo di un prodotto o di un servizio di cui non si conosce il valore commerciale e i possibili sbocchi di mercato;
per i gruppi di imprese residenti in Italia, che abbiano partecipazioni di controllo in un'impresa localizzata in uno dei paesi compresi nella cosiddetta black list del Ministero dell'Economia di cui al decreto ministeriale 21 novembre 2001, le norme in vigore prevedono che i redditi da esse prodotti siano imputati per trasparenza in capo all'impresa residente che ne detiene le partecipazioni, in proporzione all'ammontare di esse, a decorrere dalla chiusura dell'esercizio o periodo di gestione del soggetto estero partecipato ai sensi dell'articolo 167, comma 1, del TUIR; di conseguenza, tali redditi concorrono alla formazione del reddito imponibile della società residente ai fini IRES (Imposta sul reddito delle società) e sono pertanto soggetti a un'aliquota fiscale del 27,5 per cento;
per evitare la doppia tassazione dell'utile distribuito dette imprese devono richiedere all'Agenzia delle Entrate, mediante il cosiddetto «interpello speciale», la disapplicazione della disciplina delle Controlled Foreign Companies (società estere controllate) che abbiano sede in un «paradiso fiscale», dimostrando che la società estera controllata svolge un'effettiva attività industriale o commerciale e che la localizzazione nel «paradiso fiscale» non è motivata da finalità elusiva, ma da effettive ragioni economiche, ovvero che «dalle partecipazioni non consegue l'effetto di localizzare i redditi in Stati o territori in cui sono sottoposti a regimi fiscali privilegiati»;
impegna il Governo:
ad adottare ulteriori iniziative, anche normative, volte:
ad estendere quanto disposto dall'articolo 41 del decreto in esame a favore delle imprese europee anche alle imprese italiane che intraprendano in Italia nuove attività economiche, consentendo anche ad esse di applicare, almeno per il triennio di avvio, in luogo del regime tributario italiano, una diversa normativa fiscale scelta fra quelle esistenti nell'Unione;
ad introdurre altresì nell'ambito del nostro ordinamento un regime fiscale di favore per imprese che investano nel patrimonio netto di aziende innovative nella fase iniziale dell'attività (start-up), in cui è fondamentale la presenza di finanziatori esterni in grado di apportare capitali e competenze (venture capital);
a valutare a tal fine l'opportunità di incentivare, con un beneficio analogo a quello previsto per gli investimenti in nuovi impianti, i soggetti che investano nel patrimonio netto di start-up con l'esclusione dall'imposizione sul reddito d'impresa del 100 per cento del valore dell'investimento in tali aziende, purché costituite da meno di 5 anni, e a condizione che le imprese beneficiarie realizzino l'applicazione del frutto di una ricerca o di un'innovazione, ovvero di piani di sviluppo tecnologici o di progetti di ricerca, prevedendo, per evitare possibili forme di elusione fiscale, che l'investimento incentivato riguardi imprese di recente formazione, nelle fasi iniziali del proprio sviluppo, che realizzino progetti selezionati in base a specifici criteri di valutazione quali livello di innovazione, validità ed originalità dei risultati attesi, fattibilità del progetto sotto il profilo tecnico-scientifico e finanziario, adeguatezza scientifica, tecnica ed organizzativa delle strutture disponibili nell'impresa per lo sviluppo del progetto, prospettive di ricaduta tecnico-scientifica e applicativa, con particolare riferimento al territorio e agli operatori dei settori interessati;
ad adottare, inoltre, al fine di contrastare gli insediamenti nei paradisi e l'elusione fiscale, ulteriori iniziative normative volte a stabilire, per i gruppi di imprese residenti in Italia, l'applicazione obbligatoria dell'istituto del Consolidato Fiscale Mondiale, prevedendo che in Italia il reddito prodotto all'estero da gruppi italiani sia soggetto a tassazione con un'aliquota agevolata non superiore al 23 per cento con lo scomputo delle imposte effettivamente pagate all'estero; in tal modo, potendo i gruppi di imprese a fronte di un minimo incremento d'imposta, evitare i costi amministrativi e la complessa burocrazia degli interpelli «disapplicativi», si favorisce il rientro in Italia dei frutti delle loro attività all'estero e si realizza un più trasparente rapporto con l'Amministrazione Finanziaria, fondato su regole certe, precise ed univoche per tutti.
9/3638/122. Rubinato, Fogliardi, Strizzolo.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 41 del decreto in esame introduce un regime fiscale di attrazione degli investimenti esteri in Italia, consentendo alle imprese estere residenti in uno Stato membro dell'Unione Europea che intraprendano in Italia nuove attività economiche di applicare, in luogo del regime tributario italiano, una diversa normativa fiscale scelta fra quelle esistenti nell'Unione;
a tal fine, tali imprese potranno interpellare l'Amministrazione finanziaria ai sensi del decreto legge 269 del 2003, avviando una complessa e articolata procedura di ruling internazionale che dovrebbe concludersi con un accordo che vincola l'Amministrazione finanziaria e l'impresa per il periodo d'imposta di stipula dell'accordo e per i due successivi, salvo che non intervengano mutamenti rilevanti nelle circostanze di fatto o di diritto che derivano dall'accordo sottoscritto;
la scelta del regime fiscale si applica esclusivamente alle imprese residenti in uno Stato membro dell'Unione Europea diverso dall'Italia che intraprendano in Italia attività economiche nuove, ossia attività economiche che non risultino già avviate alla data del 31 maggio 2010, data di entrata in vigore del decreto-legge, svolte effettivamente nel territorio dello Stato;
l'articolo 41 del decreto specifica che il regime fiscale che l'impresa può sostituire con quello estero è solo quello relativo alla «normativa tributaria statale italiana»; in altre parole, la disciplina tributaria estera prescelta non sostituisce i tributi diversi da quelli erariali, che dovrebbero continuare ad incidere sull'impresa contestualmente al regime estero prescelto, creando duplicazioni d'imposta e seri problemi applicativi;
il decreto non specifica quali siano i tributi statali italiani cui la norma si riferisce, né chiarisce se la prevista alternatività con la normativa tributaria sia riferita alla sola imposizione diretta o anche all'imposizione indiretta;
le imprese UE che intraprendano nuove attività economiche in Italia possono chiedere l'applicazione delle regole fiscali vigenti in altro Stato europeo anche per i loro dipendenti e collaboratori, per un periodo di tre anni;
nel disposto della norma non è chiaro se l'estensione ai dipendenti e ai collaboratori dell'impresa sia subordinato al requisito della residenza fuori dall'Italia di tali soggetti, né è chiaro a quale forma di collaborazione con l'impresa si applichi tale agevolazione;
l'articolo 41 del decreto in esame si presta a numerosi rilievi critici, ed in particolare:
non è compatibile con il principio di eguaglianza stabilito dall'articolo 3 della Costituzione, poiché considera fattispecie uguali (l'avvio di una nuova attività economica nel territorio italiano da parte di un'impresa) in modo diverso (potendo una impresa residente in uno Stato UE scegliere il regime tributario applicato nell'unione più favorevole e un'impresa residente in Italia essendo vincolata ad avviare tale iniziativa con il regime tributario italiano, senza alcuna facoltà di scelta), ponendosi così in contrasto anche con il più generale principio di ragionevolezza;
se l'intento della norma è quella di favorire l'avvio di nuove attività economiche in Italia, così formulata potrebbe determinare un risultato paradossale, favorendo in modo straordinario l'impresa estera che avvii nuove attività in Italia - basti pensare che il sistema fiscale, ad oggi, più vantaggioso in Europa è quello irlandese, che applica alle imprese una tassazione del 12,5 per cento - penalizzando in modo grave l'impresa italiana che intenda avviare una nuova attività nel medesimo settore, che si troverebbe a subire un prelievo molto più elevato rispetto all'impresa estera concorrente operante nello stesso territorio, senza dire del carico contributivo diseguale per lavoratori e dipendenti, con effetti anche sull'uguaglianza sostanziale dei lavoratori occupati in Italia;
configura anche un'aperta violazione del diritto comunitario e in particolare del principio della libertà di stabilimento e della libera circolazione delle persone e dei capitali, a danno delle imprese italiane, che proprio sul loro territorio si trovano a fronteggiare la concorrenza di imprese estere, che godono di un regime fiscale di maggior favore determinato per legge;
la disposizione in questione può, tra l'altro, incentivare comportamenti elusivi da parte di imprese italiane, che potrebbero essere indotte a insediare nuove società con sede nei paesi europei, cosicché il vantaggio derivante dall'attrazione di capitali dall'estero potrebbe essere più che neutralizzato dalle scelte allocative delle imprese italiane;
non è chiaro, infine, se la limitazione triennale del nuovo regime si riferisca esclusivamente ai lavoratori dipendenti e collaboratori dell'impresa che intraprenda nuove attività in Italia, ovvero anche al regime fiscale di favore per l'impresa estera che avvii nuove attività in Italia; in questo ultimo caso l'impresa estera non avrebbe alcun interesse a localizzare una nuova attività economica in Italia - impianti fissi, uffici, stabilimenti - per beneficiare solo per tre anni del regime fiscale speciale;
la fase del cosiddetta «sviluppo» da parte di un'impresa di un'idea innovativa è senz'altro quella più complessa e costosa, e pertanto sono necessari adeguati incentivi fiscali e finanziari sia per favorire il trasferimento di tecnologia dal settore della ricerca a quello produttivo, sia per individuare le applicazioni - e il mercato - potenziali, sia per elaborare il prototipo del prodotto finale;
le imprese di nuova formazione, nelle prime fasi di vita, hanno elevate potenzialità di reddito ma anche un elevato fabbisogno finanziario, difficile da coprire soprattutto nelle imprese tecnologiche che utilizzino innovazioni o scoperte o che producano su scala il prototipo di un prodotto o di un servizio di cui non si conosce il valore commerciale e i possibili sbocchi di mercato;
per i gruppi di imprese residenti in Italia, che abbiano partecipazioni di controllo in un'impresa localizzata in uno dei paesi compresi nella cosiddetta black list del Ministero dell'Economia di cui al decreto ministeriale 21 novembre 2001, le norme in vigore prevedono che i redditi da esse prodotti siano imputati per trasparenza in capo all'impresa residente che ne detiene le partecipazioni, in proporzione all'ammontare di esse, a decorrere dalla chiusura dell'esercizio o periodo di gestione del soggetto estero partecipato ai sensi dell'articolo 167, comma 1, del TUIR; di conseguenza, tali redditi concorrono alla formazione del reddito imponibile della società residente ai fini IRES (Imposta sul reddito delle società) e sono pertanto soggetti a un'aliquota fiscale del 27,5 per cento;
per evitare la doppia tassazione dell'utile distribuito dette imprese devono richiedere all'Agenzia delle Entrate, mediante il cosiddetto «interpello speciale», la disapplicazione della disciplina delle Controlled Foreign Companies (società estere controllate) che abbiano sede in un «paradiso fiscale», dimostrando che la società estera controllata svolge un'effettiva attività industriale o commerciale e che la localizzazione nel «paradiso fiscale» non è motivata da finalità elusiva, ma da effettive ragioni economiche, ovvero che «dalle partecipazioni non consegue l'effetto di localizzare i redditi in Stati o territori in cui sono sottoposti a regimi fiscali privilegiati»;
impegna il Governo:
ad adottare ulteriori iniziative, anche normative, volte:
ad estendere quanto disposto dall'articolo 41 del decreto in esame a favore delle imprese europee anche alle imprese italiane che intraprendano in Italia nuove attività economiche, consentendo anche ad esse di applicare, almeno per il triennio di avvio, in luogo del regime tributario italiano, una diversa normativa fiscale scelta fra quelle esistenti nell'Unione;
ad introdurre altresì nell'ambito del nostro ordinamento un regime fiscale di favore per imprese che investano nel patrimonio netto di aziende innovative nella fase iniziale dell'attività (start-up), in cui è fondamentale la presenza di finanziatori esterni in grado di apportare capitali e competenze (venture capital);
a valutare a tal fine l'opportunità di incentivare, con un beneficio analogo a quello previsto per gli investimenti in nuovi impianti, i soggetti che investano nel patrimonio netto di start-up con l'esclusione dall'imposizione sul reddito d'impresa del 100 per cento del valore dell'investimento in tali aziende, purché costituite da meno di 5 anni, e a condizione che le imprese beneficiarie realizzino l'applicazione del frutto di una ricerca o di un'innovazione, ovvero di piani di sviluppo tecnologici o di progetti di ricerca, prevedendo, per evitare possibili forme di elusione fiscale, che l'investimento incentivato riguardi imprese di recente formazione, nelle fasi iniziali del proprio sviluppo, che realizzino progetti selezionati in base a specifici criteri di valutazione quali livello di innovazione, validità ed originalità dei risultati attesi, fattibilità del progetto sotto il profilo tecnico-scientifico e finanziario, adeguatezza scientifica, tecnica ed organizzativa delle strutture disponibili nell'impresa per lo sviluppo del progetto, prospettive di ricaduta tecnico-scientifica e applicativa, con particolare riferimento al territorio e agli operatori dei settori interessati;
a valutare l'opportunità di adottare, inoltre, al fine di contrastare gli insediamenti nei paradisi e l'elusione fiscale, ulteriori iniziative normative volte a stabilire, per i gruppi di imprese residenti in Italia, l'applicazione obbligatoria dell'istituto del Consolidato Fiscale Mondiale, prevedendo che in Italia il reddito prodotto all'estero da gruppi italiani sia soggetto a tassazione con un'aliquota agevolata non superiore al 23 per cento con lo scomputo delle imposte effettivamente pagate all'estero; in tal modo, potendo i gruppi di imprese a fronte di un minimo incremento d'imposta, evitare i costi amministrativi e la complessa burocrazia degli interpelli «disapplicativi», si favorisce il rientro in Italia dei frutti delle loro attività all'estero e si realizza un più trasparente rapporto con l'Amministrazione Finanziaria, fondato su regole certe, precise ed univoche per tutti.
9/3638/122. (Testo modificato nel corso della seduta) Rubinato, Fogliardi, Strizzolo.
La Camera,
premesso che:
i consistenti tagli operati dal provvedimento in esame alle risorse destinate al dicastero della giustizia dimostrano il carattere meramente simbolico - come tale inefficace - della politica del Governo, che a fronte della continua introduzione di nuove norme incriminatrici, non prevede le risorse necessarie alla loro applicazione, sia in sede giudiziaria che penitenziaria, con il rischio di aggravare ulteriormente non solo la disfunzionalità del sistema giudiziario, ma anche di minare la certezza del diritto e la stessa legittimazione e credibilità della funzione dell'amministrazione della giustizia, con gravi pregiudizi per la sicurezza e la tutela giurisdizionale dei diritti per i cittadini;
in questo quadro il comma 7 dell'articolo 12 per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche il riconoscimento dell'indennità premio di fine servizio, dell'indennità di buonuscita, del TFR e di ogni altra indennità equipollente corrisposta una tantum comunque denominata, spettante in seguito a cessazione di servizio venga erogata in un unico importo annuale, qualora l'ammontare complessivo, al lordo delle trattenute fiscali, sia complessivamente pari o inferiore a 90.000 euro; in due importi annuali, qualora l'ammontare sia complessivamente superiore a 90.000 euro ma inferiore a 150.000 euro. In tal caso, il primo importo erogato sarà pari a 90.000 euro, il secondo sarà pari all'ammontare residuo; in tre importi annuali, qualora l'ammontare sia pari o superiore a 150.000 euro. In tal caso, il primo importo erogato rata sarà pari a 90.000 euro, il secondo a 60.000 euro ed il terzo all'ammontare residuo;
il comma 9 dell'articolo 12 stabilisce che il comma 7 non si applica in ogni caso, ai collocamenti a riposo per raggiungimento dei limiti di età entro la data del 30 novembre 2010;
il comma 9 dell'articolo 12 potrebbe evitare gravissimi danni alla giurisdizione in ragione del sicuro esodo di moltissimi magistrati che raggiungono l'età pensionabile entro il 30 novembre 2010, ovvero che l'hanno già raggiunta e che non intendono subire la rateizzazione della indennità di liquidazione,
impegna il Governo
ad interpretare il comma 9 dell'articolo 12 del decreto-legge in esame nel senso che le disposizioni di cui al comma 7 non si applicano in ogni caso a coloro che, pur restando in servizio, abbiano conseguito o conseguiranno il diritto al collocamento a riposo per raggiungimento dei limiti di età entro la data del 30 novembre 2010.
9/3638/123. Samperi.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 47 del decreto-legge in esame reca disposizioni speciali per la gara che individuerà il nuovo concessionario dell'autostrada del Brennero (A22), sia relativamente ai tempi di pubblicazione del bando, che in ordine al versamento annuo di 70 milioni di euro dovuto dal concessionario a partire dalla data dell'affidamento e fino a concorrenza del valore di concessione che viene versato all'entrata del bilancio dello Stato;
con riferimento all'asse infrastrutturale del Brennero, ma relativamente al collegamento ferroviario, sono state modificate le disposizioni relative alla provvista finanziaria per la sua realizzazione, onde allinearle con il procedimento di individuazione della nuova concessionaria autostradale del medesimo asse;
in particolare, il comma 1, lettera a), differisce al 31 luglio 2010 il termine per l'approvazione ex lege degli schemi di convenzione con la società ANAS S.p.a. già sottoscritti dalle società concessionarie autostradali, prevede che la società ANAS S.p.A. entro 31 dicembre 2010 pubblichi il bando di gara per l'affidamento della concessione di costruzione e gestione dell'autostrada del Brennero e che il Governo, preliminarmente, verifichi presso la Commissione europea soluzioni diverse da quelle già previste nell'articolo 8-duodecies, comma 2-bis, del decreto-legge 59 del 2008, in modo da assicurare i medesimi introiti per il bilancio dello Stato, garantire il finanziamento incrociato per il tunnel di base del Brennero e le relative tratte di accesso, nonché la realizzazione, a carico del concessionario, di opere infrastrutturali complementari sul territorio di riferimento, anche urbane o consistenti in gallerie;
per le finalità di cui sopra il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, d'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze, darà indicazioni ad ANAS S.p.A. sui contenuti del bando di gara, che dovrà prevedere un versamento annuo di 70 milioni di euro,
impegna il Governo
a chiarire che il versamento annuo di 70 milioni di euro previsto nel bando di gara che individuerà il nuovo concessionario della A22 debba ritenersi sostitutivo ad ogni effetto del canone e di ogni altro onere di concessione.
9/3638/124. Brugger, Zeller.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 47 del decreto-legge in esame reca disposizioni speciali per la gara che individuerà il nuovo concessionario dell'autostrada del Brennero (A22), sia relativamente ai tempi di pubblicazione del bando, che in ordine al versamento annuo di 70 milioni di euro dovuto dal concessionario a partire dalla data dell'affidamento e fino a concorrenza del valore di concessione che viene versato all'entrata del bilancio dello Stato;
con riferimento all'asse infrastrutturale del Brennero, ma relativamente al collegamento ferroviario, sono state modificate le disposizioni relative alla provvista finanziaria per la sua realizzazione, onde allinearle con il procedimento di individuazione della nuova concessionaria autostradale del medesimo asse;
in particolare, il comma 1, lettera a), differisce al 31 luglio 2010 il termine per l'approvazione ex lege degli schemi di convenzione con la società ANAS S.p.a. già sottoscritti dalle società concessionarie autostradali, prevede che la società ANAS S.p.A. entro 31 dicembre 2010 pubblichi il bando di gara per l'affidamento della concessione di costruzione e gestione dell'autostrada del Brennero e che il Governo, preliminarmente, verifichi presso la Commissione europea soluzioni diverse da quelle già previste nell'articolo 8-duodecies, comma 2-bis, del decreto-legge 59 del 2008, in modo da assicurare i medesimi introiti per il bilancio dello Stato, garantire il finanziamento incrociato per il tunnel di base del Brennero e le relative tratte di accesso, nonché la realizzazione, a carico del concessionario, di opere infrastrutturali complementari sul territorio di riferimento, anche urbane o consistenti in gallerie;
per le finalità di cui sopra il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, d'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze, darà indicazioni ad ANAS S.p.A. sui contenuti del bando di gara, che dovrà prevedere un versamento annuo di 70 milioni di euro,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di chiarire che il versamento annuo di 70 milioni di euro previsto nel bando di gara che individuerà il nuovo concessionario della A22 debba ritenersi sostitutivo ad ogni effetto del canone e di ogni altro onere di concessione.
9/3638/124. (Testo modificato nel corso della seduta) Brugger, Zeller.
La Camera,
premesso che:
è già previsto, ai sensi del decreto legislativo n. 503 del 1992, per i dipendenti civili dello Stato e degli enti pubblici non economici di permanere in servizio per un periodo massimo di un biennio oltre il limite di età per il collocamento a riposo per essi previsto;
per i magistrati, categoria impegnata nella lotta alla criminalità, è prevista la facoltà di rimanere in servizio fino al compimento del settantacinquesimo anno di età;
con la legge finanziaria per il 1997, in attesa di un'organica riforma del sistema degli ammortizzatori sociali, sono state predisposte misure per il perseguimento di politiche attive di sostegno del reddito e dell'occupazione per fronteggiare crisi di enti e aziende pubblici e privati erogatori di servizi di pubblica utilità;
i dipendenti con qualifica dirigenziale delle Forze di Polizia ad ordinamento civile, pur essendo una categoria addetta a un servizio pubblico essenziale per il Paese, non sono equiparati, per quanto riguarda la possibilità di prolungare il servizio oltre i limiti d'età, ai dipendenti civili dello Stato,
impegna il Governo
a far fronte, anche in altro provvedimento, a questa situazione di disparità di trattamento, prevedendo anche per i dipendenti con qualifica dirigenziale delle Forze di Polizia come è già disposto per i dipendenti civili dello Stato, la possibilità di prolungare il servizio per un biennio oltre i limiti d'età.
9/3638/125. Giulio Marini, Sammarco.
La Camera,
premesso che:
è già previsto, ai sensi del decreto legislativo n. 503 del 1992, per i dipendenti civili dello Stato e degli enti pubblici non economici di permanere in servizio per un periodo massimo di un biennio oltre il limite di età per il collocamento a riposo per essi previsto;
per i magistrati, categoria impegnata nella lotta alla criminalità, è prevista la facoltà di rimanere in servizio fino al compimento del settantacinquesimo anno di età;
con la legge finanziaria per il 1997, in attesa di un'organica riforma del sistema degli ammortizzatori sociali, sono state predisposte misure per il perseguimento di politiche attive di sostegno del reddito e dell'occupazione per fronteggiare crisi di enti e aziende pubblici e privati erogatori di servizi di pubblica utilità;
i dipendenti con qualifica dirigenziale delle Forze di Polizia ad ordinamento civile, pur essendo una categoria addetta a un servizio pubblico essenziale per il Paese, non sono equiparati, per quanto riguarda la possibilità di prolungare il servizio oltre i limiti d'età, ai dipendenti civili dello Stato,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di prevedere anche per i dipendenti con qualifica dirigenziale delle Forze di Polizia come è già disposto per i dipendenti civili dello Stato, la possibilità di prolungare il servizio per un biennio oltre i limiti d'età.
9/3638/125. (Testo modificato nel corso della seduta) Giulio Marini, Sammarco.
La Camera,
impegna il Governo
a dare attuazione a quanto previsto dall'articolo 2, comma 21, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, assegnando alla Regione Friuli Venezia Giulia - nell'ambito di un prossimo provvedimento finanziario - l'ulteriore importo di 283 milioni di euro, determinato con la procedura stabilita dal sopra richiamato dettato normativo, a valere quale compartecipazione erariale spettante ai sensi dell'articolo 1, comma 4, del decreto legislativo 31 luglio 2007, n. 137 e in ottemperanza della sentenza della Corte Costituzionale n. 74 del 13 marzo 2009.
9/3638/126. Strizzolo, Maran, Rosato, Cuperlo, Pes.
La Camera,
premesso che:
la crisi in atto si sta manifestando in modo più intenso rispetto alle precedenti sia per il sistema economico in generale sia per il settore delle costruzioni in particolare;
alla fine del 2009 gli investimenti in abitazioni, secondo l'Ance, si sono ridotti di quasi dieci punti percentuali in termini reali rispetto al 2008; in particolare l'edilizia residenziale registra un decremento del 19 per cento per gli investimenti in nuove abitazioni e dell'1 per cento per il recupero abitativo;
anche i livelli produttivi del 2010 per il settore delle costruzioni risultano comunque condizionati dalla flessione delle iniziative messe in cantiere negli ultimi anni, dal rallentamento dei lavori in corso a causa delle difficoltà di finanziamento ed, in alcune zone, dalle difficoltà che si registrano nella vendita dei nuovi fabbricati;
gli effetti della crisi sono molto pesanti anche sui settori fornitori di materiali da costruzione e di manufatti;
l'attività straordinaria e ordinaria di manutenzione, riqualificazione, ristrutturazione e recupero del patrimonio esistente rappresenta più del 56 per cento del valore della produzione del settore delle costruzioni; è dunque la principale attività del settore;
secondo autorevoli Centri Studi, come il Cresme, nel 2007, su un totale di 199 miliardi di euro in valori correnti di valore delle costruzioni, più di 78 miliardi si riferiscono ad interventi di manutenzione straordinaria, ristrutturazione, recupero e riqualificazione e 33 miliardi alla manutenzione ordinaria del patrimonio esistente mentre 87,2 miliardi di euro sono destinati al mercato delle nuove costruzioni;
è essenziale sostenere le ristrutturazioni e le riqualificazioni del patrimonio esistente, soprattutto di quello più degradato, come gli alloggi di edilizia residenziale pubblica; migliorando l'abitabilità, la salubrità e l'efficienza energetica di tali abitazioni, si possono recuperare non meno di 20.000 alloggi a canone sociale e si può dare un forte impulso al mercato delle ristrutturazioni; il patrimonio di alloggi sociali pubblici è infatti di circa un milione di immobili, di cui 750.000 di proprietà degli ex Istituti autonomi per le case popolari e di aziende pubbliche;
impegna il Governo:
a introdurre opportune integrazioni normative affinché, a decorrere dal periodo d'imposta in corso, le disposizioni relative alla detrazione del 36 per cento per interventi di ristrutturazione edilizia e quelle relative alla detrazione del 55 per cento per interventi di riqualificazione energetica siano estese anche alle spese sostenute, per i medesimi interventi effettuati su alloggi di edilizia residenziale pubblica e sulle loro pertinenze, in proprietà o in gestione degli Istituti autonomi per le case popolari, ai fini dell'imposta sul reddito delle società dagli stessi dovuta;
a provvedere adeguate risorse per il finanziamento di tali agevolazioni e l'introduzione a regime nel nostro ordinamento.
9/3638/127. Fogliardi.
La Camera,
premesso che:
la crisi in atto si sta manifestando in modo più intenso rispetto alle precedenti sia per il sistema economico in generale sia per il settore delle costruzioni in particolare;
alla fine del 2009 gli investimenti in abitazioni, secondo l'Ance, si sono ridotti di quasi dieci punti percentuali in termini reali rispetto al 2008; in particolare l'edilizia residenziale registra un decremento del 19 per cento per gli investimenti in nuove abitazioni e dell'1 per cento per il recupero abitativo;
anche i livelli produttivi del 2010 per il settore delle costruzioni risultano comunque condizionati dalla flessione delle iniziative messe in cantiere negli ultimi anni, dal rallentamento dei lavori in corso a causa delle difficoltà di finanziamento ed, in alcune zone, dalle difficoltà che si registrano nella vendita dei nuovi fabbricati;
gli effetti della crisi sono molto pesanti anche sui settori fornitori di materiali da costruzione e di manufatti;
l'attività straordinaria e ordinaria di manutenzione, riqualificazione, ristrutturazione e recupero del patrimonio esistente rappresenta più del 56 per cento del valore della produzione del settore delle costruzioni; è dunque la principale attività del settore;
secondo autorevoli Centri Studi, come il Cresme, nel 2007, su un totale di 199 miliardi di euro in valori correnti di valore delle costruzioni, più di 78 miliardi si riferiscono ad interventi di manutenzione straordinaria, ristrutturazione, recupero e riqualificazione e 33 miliardi alla manutenzione ordinaria del patrimonio esistente mentre 87,2 miliardi di euro sono destinati al mercato delle nuove costruzioni;
è essenziale sostenere le ristrutturazioni e le riqualificazioni del patrimonio esistente, soprattutto di quello più degradato, come gli alloggi di edilizia residenziale pubblica; migliorando l'abitabilità, la salubrità e l'efficienza energetica di tali abitazioni, si possono recuperare non meno di 20.000 alloggi a canone sociale e si può dare un forte impulso al mercato delle ristrutturazioni; il patrimonio di alloggi sociali pubblici è infatti di circa un milione di immobili, di cui 750.000 di proprietà degli ex Istituti autonomi per le case popolari e di aziende pubbliche;
impegna il Governo:
compatibilmente con le esigenze di finanza pubblica, a introdurre opportune integrazioni normative affinché, a decorrere dal periodo d'imposta in corso, le disposizioni relative alla detrazione del 36 per cento per interventi di ristrutturazione edilizia e quelle relative alla detrazione del 55 per cento per interventi di riqualificazione energetica siano estese anche alle spese sostenute, per i medesimi interventi effettuati su alloggi di edilizia residenziale pubblica e sulle loro pertinenze, in proprietà o in gestione degli Istituti autonomi per le case popolari, ai fini dell'imposta sul reddito delle società dagli stessi dovuta;
a provvedere adeguate risorse per il finanziamento di tali agevolazioni e l'introduzione a regime nel nostro ordinamento.
9/3638/127. (Testo modificato nel corso della seduta) Fogliardi.
La Camera,
premesso che:
le aziende agricole del Mezzogiorno scontano un ritardo strutturale rispetto al contesto nazionale: piccole aziende, «troppo vecchie» e poco orientate all'innovazione;
l'agricoltura nel Mezzogiorno, pur rappresentando oltre il 40 per cento della produzione agricola nazionale, risulta poco presente sul mercato nazionale e su quello internazionale; le aziende agricole del Mezzogiorno coprono infatti non più del 15 per cento del totale dei prodotti agricoli esportati;
le organizzazioni di produttori hanno un ruolo essenziale nella distribuzione dei prodotti agricoli: ai sensi dell'articolo 2 del decreto legislativo n. 102 del 2005, hanno infatti come scopo principale la commercializzazione della produzione degli agricoltori che ne fanno parte;
per sviluppare tale commercializzazione, le organizzazioni di produttori hanno molteplici funzioni; devono infatti assicurare la programmazione della produzione e l'adeguamento della stessa alla domanda, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo; concentrare l'offerta e commercializzare direttamente la produzione degli associati; partecipare alla gestione delle crisi di mercato; ridurre i costi di produzione e stabilizzare i prezzi alla produzione; promuovere pratiche colturali e tecniche di produzione rispettose dell'ambiente e del benessere degli animali, allo scopo di migliorare la qualità delle produzioni e l'igiene degli alimenti, di tutelare la qualità delle acque, dei suoli e del paesaggio e di favorire la biodiversità, nonché di favorire processi di rintracciabilità, anche ai fini dell'assolvimento degli obblighi di cui al regolamento (CE) n. 178/2002; devono inoltre assicurare la trasparenza e la regolarità dei rapporti economici con gli associati nella determinazione dei prezzi di vendita dei prodotti; realizzare iniziative relative alla logistica; adottare tecnologie innovative e favorire l'accesso a nuovi mercati, anche attraverso l'apertura di sedi o uffici commerciali;
per svolgere tali funzioni e organizzare i relativi programmi, le organizzazioni di produttori costituiscono fondi di esercizio alimentati da contributi degli aderenti, calcolati in base ai quantitativi o al valore dei prodotti effettivamente commercializzati;
i contributi degli aderenti alle organizzazioni dei produttori possono essere integrati da finanziamenti pubblici, nel rispetto della normativa comunitaria in materia di aiuti di Stato;
è necessario favorire la costituzione di organizzazioni di produttori e lo sviluppo di quelle esistenti per un'efficiente distribuzione dei prodotti agricoli sul mercato, in particolare delle produzioni delle aziende agricole del Mezzogiorno,
impegna il Governo:
a favorire la ristrutturazione, la razionalizzazione e la competitività delle imprese agricole mediante la costituzione di nuove organizzazioni dei produttori e il rafforzamento di quelle esistenti, migliorando così la distribuzione dei prodotti e riducendo i costi di commercializzazione e di trasporto;
a incrementare i versamenti compiuti dai soci al fondo di esercizio delle organizzazioni dei produttori, costituiti nei territori del Mezzogiorno, eseguiti entro il 31 dicembre 2011, integrandoli con un contributo, a carico del bilancio dello Stato, pari al doppio dell'ammontare di ciascun versamento spontaneo dei soci;
a favorire la nascita e lo sviluppo delle organizzazioni di produttori disponendo opportune modifiche normative in modo da prevedere che le spese, documentate e documentabili, per gli adempimenti necessari ad operazioni di costituzione di organizzazioni di produttori, in tutto il Mezzogiorno, siano a carico dello Stato.
9/3638/128. Laganà Fortugno.
La Camera,
premesso che:
le aziende agricole del Mezzogiorno scontano un ritardo strutturale rispetto al contesto nazionale: piccole aziende, «troppo vecchie» e poco orientate all'innovazione;
l'agricoltura nel Mezzogiorno, pur rappresentando oltre il 40 per cento della produzione agricola nazionale, risulta poco presente sul mercato nazionale e su quello internazionale; le aziende agricole del Mezzogiorno coprono infatti non più del 15 per cento del totale dei prodotti agricoli esportati;
le organizzazioni di produttori hanno un ruolo essenziale nella distribuzione dei prodotti agricoli: ai sensi dell'articolo 2 del decreto legislativo n. 102 del 2005, hanno infatti come scopo principale la commercializzazione della produzione degli agricoltori che ne fanno parte;
per sviluppare tale commercializzazione, le organizzazioni di produttori hanno molteplici funzioni; devono infatti assicurare la programmazione della produzione e l'adeguamento della stessa alla domanda, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo; concentrare l'offerta e commercializzare direttamente la produzione degli associati; partecipare alla gestione delle crisi di mercato; ridurre i costi di produzione e stabilizzare i prezzi alla produzione; promuovere pratiche colturali e tecniche di produzione rispettose dell'ambiente e del benessere degli animali, allo scopo di migliorare la qualità delle produzioni e l'igiene degli alimenti, di tutelare la qualità delle acque, dei suoli e del paesaggio e di favorire la biodiversità, nonché di favorire processi di rintracciabilità, anche ai fini dell'assolvimento degli obblighi di cui al regolamento (CE) n. 178/2002; devono inoltre assicurare la trasparenza e la regolarità dei rapporti economici con gli associati nella determinazione dei prezzi di vendita dei prodotti; realizzare iniziative relative alla logistica; adottare tecnologie innovative e favorire l'accesso a nuovi mercati, anche attraverso l'apertura di sedi o uffici commerciali;
per svolgere tali funzioni e organizzare i relativi programmi, le organizzazioni di produttori costituiscono fondi di esercizio alimentati da contributi degli aderenti, calcolati in base ai quantitativi o al valore dei prodotti effettivamente commercializzati;
i contributi degli aderenti alle organizzazioni dei produttori possono essere integrati da finanziamenti pubblici, nel rispetto della normativa comunitaria in materia di aiuti di Stato;
è necessario favorire la costituzione di organizzazioni di produttori e lo sviluppo di quelle esistenti per un'efficiente distribuzione dei prodotti agricoli sul mercato, in particolare delle produzioni delle aziende agricole del Mezzogiorno,
impegna il Governo:
se le condizioni di finanza pubblica lo consentono, a favorire la ristrutturazione, la razionalizzazione e la competitività delle imprese agricole mediante la costituzione di nuove organizzazioni dei produttori e il rafforzamento di quelle esistenti, migliorando così la distribuzione dei prodotti e riducendo i costi di commercializzazione e di trasporto;
a incrementare i versamenti compiuti dai soci al fondo di esercizio delle organizzazioni dei produttori, costituiti nei territori del Mezzogiorno, eseguiti entro il 31 dicembre 2011, integrandoli con un contributo, a carico del bilancio dello Stato, pari al doppio dell'ammontare di ciascun versamento spontaneo dei soci;
a favorire la nascita e lo sviluppo delle organizzazioni di produttori disponendo opportune modifiche normative in modo da prevedere che le spese, documentate e documentabili, per gli adempimenti necessari ad operazioni di costituzione di organizzazioni di produttori, in tutto il Mezzogiorno, siano a carico dello Stato.
9/3638/128. (Testo modificato nel corso della seduta) Laganà Fortugno.
La Camera,
premesso che:
il riordino dei ruoli e delle carriere delle Forze armate e delle Forze di polizia è un provvedimento molto atteso dal personale e dalle stesse Amministrazioni;
è necessario adeguare l'organizzazione del personale alle esigenze di una più razionale e valida funzionalità alle esigenze d'impiego;
è necessario affrontare la questione del riordino delle carriere in modo organico per far fronte alle varie problematiche in un quadro di soluzioni armoniche e omogenee tra loro;
impegna il Governo
a mettere a disposizioni delle proposte di legge in discussione risorse adeguate per corrispondere positivamente alle esigenze di una riforma organica dei ruoli e delle carriere delle Forze armate e delle Forze di polizia.
9/3638/129. Fioroni.
La Camera,
premesso che:
il riordino dei ruoli e delle carriere delle Forze armate e delle Forze di polizia è un provvedimento molto atteso dal personale e dalle stesse Amministrazioni;
è necessario adeguare l'organizzazione del personale alle esigenze di una più razionale e valida funzionalità alle esigenze d'impiego;
è necessario affrontare la questione del riordino delle carriere in modo organico per far fronte alle varie problematiche in un quadro di soluzioni armoniche e omogenee tra loro;
impegna il Governo
se le condizioni di finanza pubblica lo consentono, a mettere a disposizioni delle proposte di legge in discussione risorse adeguate per corrispondere positivamente alle esigenze di una riforma organica dei ruoli e delle carriere delle Forze armate e delle Forze di polizia.
9/3638/129. (Testo modificato nel corso della seduta) Fioroni.
La Camera,
premesso che:
la legge 24 dicembre 2007, n. 244, recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge finanziaria 2008), prevede all'articolo 2 corna 627: «In relazione alle esigenze derivanti dalla riforma strutturale connessa al nuovo modello delle Forze armate, conseguito alla sospensione del servizio obbligatorio di leva, il Ministero della difesa predispone, con criteri di semplificazione, di razionalizzazione e di contenimento della spesa, un programma pluriennale per la costruzione, l'acquisto e la ristrutturazione di alloggi di servizio di cui all'articolo 5, primo comma, della legge 18 agosto 1978, n. 497.»;
la stessa legge prevede il diritto alla continuità, alla conduzione dell'alloggio, rimanendo in affitto, per coloro che non sono in grado di acquistare l'alloggio in cui abitano, se messo in vendita, all'articolo 2, comma 628, lettera b) laddove sancisce che sia assicurata «...la permanenza negli alloggi dei conduttori delle unità immobiliari e delle vedove, con basso reddito familiare, non superiore a quello determinato annualmente con il decreto ministeriale di cui all'articolo 9, comma 7, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, ovvero con componenti familiari portatori di handicap, dietro corresponsione del canone in vigore all'atto della vendita, aggiornato in base agli indici ISTAT»,
impegna il Governo
nella fase di applicazione dell'articolo 6, comma 21-quater, del decreto-legge in esame, a non imporre maggiorazioni di canone rispetto a quello già in vigore nei confronti degli utenti con reddito familiare annuo lordo non superiore a quello fissato annualmente dal decreto del Ministro della difesa richiamato in premessa.
9/3638/130. Luongo.
La Camera,
premesso che:
la legge 24 dicembre 2007, n. 244, recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge finanziaria 2008), prevede all'articolo 2 corna 627: «In relazione alle esigenze derivanti dalla riforma strutturale connessa al nuovo modello delle Forze armate, conseguito alla sospensione del servizio obbligatorio di leva, il Ministero della difesa predispone, con criteri di semplificazione, di razionalizzazione e di contenimento della spesa, un programma pluriennale per la costruzione, l'acquisto e la ristrutturazione di alloggi di servizio di cui all'articolo 5, primo comma, della legge 18 agosto 1978, n. 497.»;
la stessa legge prevede il diritto alla continuità, alla conduzione dell'alloggio, rimanendo in affitto, per coloro che non sono in grado di acquistare l'alloggio in cui abitano, se messo in vendita, all'articolo 2, comma 628, lettera b) laddove sancisce che sia assicurata «...la permanenza negli alloggi dei conduttori delle unità immobiliari e delle vedove, con basso reddito familiare, non superiore a quello determinato annualmente con il decreto ministeriale di cui all'articolo 9, comma 7, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, ovvero con componenti familiari portatori di handicap, dietro corresponsione del canone in vigore all'atto della vendita, aggiornato in base agli indici ISTAT»,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità, nella fase di applicazione dell'articolo 6, comma 21-quater, del decreto-legge in esame, di non imporre maggiorazioni di canone rispetto a quello già in vigore nei confronti degli utenti con reddito familiare annuo lordo non superiore a quello fissato annualmente dal decreto del Ministro della difesa richiamato in premessa.
9/3638/130. (Testo modificato nel corso della seduta) Luongo.
La Camera,
premesso che:
il Consiglio Supremo di Difesa del 10 marzo 2010, ha affermato che l'attuazione di una comune politica estera e di difesa e sicurezza nell'ambito dell'Unione europea costituisce obbiettivo vitale per gli Stati membri e per la crescita dell'Europa, al duplice scopo di concorrere alla costruzione di uno strumento politico-militare comune più efficace dal punto di vista operativo e più economico;
il settore degli investimenti per l'acquisizione dei sistemi d'arma ha fruito delle risorse finanziarie relative alle programmazioni di lunga durata approvate dal Parlamento negli ultimi decenni, sulla base del modello di difesa definito nell'anno 2000, su 190.000 uomini, ed in ottemperanza degli impegni assunti dal Paese in ambito internazionale;
la discussione sul nuovo modello di difesa, che dovrà necessariamente tenere conto dei radicali mutamenti intervenuti nello scenario geopolitico mondiale e nel diverso impegno che tutto ciò comporta per il nostro strumento militare, iniziata in Parlamento si è interrotta ed è quindi necessario riprenderla fino a giungere a delle conclusioni significative;
appare opportuno in questo quadro rimodulare la politica degli investimenti sui sistemi d'arma, coerentemente con le scelte relative al nuovo modello di difesa, in linea con la situazione economica del Paese con quanto sta avvenendo in altri paesi europei e negli Stati Uniti;
si tratta di scelte complesse che richiedono il pieno coinvolgimento dei molti soggetti interessati nell'ambito e nella sede di una specifica discussione parlamentare;
impegna il Governo
nella fase dell'applicazione della norma di cui all'articolo 6, comma 21-ter; del decreto-legge in esame, a rispettare le prerogative del Parlamento sottoponendo qualunque ipotesi di decisione alle competenti Commissioni parlamentari prima di assumerla.
9/3638/131. Garofani.
La Camera,
premesso che:
il Consiglio Supremo di Difesa del 10 marzo 2010, ha affermato che l'attuazione di una comune politica estera e di difesa e sicurezza nell'ambito dell'Unione europea costituisce obbiettivo vitale per gli Stati membri e per la crescita dell'Europa, al duplice scopo di concorrere alla costruzione di uno strumento politico-militare comune più efficace dal punto di vista operativo e più economico;
il settore degli investimenti per l'acquisizione dei sistemi d'arma ha fruito delle risorse finanziarie relative alle programmazioni di lunga durata approvate dal Parlamento negli ultimi decenni, sulla base del modello di difesa definito nell'anno 2000, su 190.000 uomini, ed in ottemperanza degli impegni assunti dal Paese in ambito internazionale;
la discussione sul nuovo modello di difesa, che dovrà necessariamente tenere conto dei radicali mutamenti intervenuti nello scenario geopolitico mondiale e nel diverso impegno che tutto ciò comporta per il nostro strumento militare, iniziata in Parlamento si è interrotta ed è quindi necessario riprenderla fino a giungere a delle conclusioni significative;
appare opportuno in questo quadro rimodulare la politica degli investimenti sui sistemi d'arma, coerentemente con le scelte relative al nuovo modello di difesa, in linea con la situazione economica del Paese con quanto sta avvenendo in altri paesi europei e negli Stati Uniti;
si tratta di scelte complesse che richiedono il pieno coinvolgimento dei molti soggetti interessati nell'ambito e nella sede di una specifica discussione parlamentare;
impegna il Governo
a valutare l'opportunità, nella fase dell'applicazione della norma di cui all'articolo 6, comma 21-ter; del decreto-legge in esame, di rispettare le prerogative del Parlamento sottoponendo qualunque ipotesi di decisione alle competenti Commissioni parlamentari prima di assumerla.
9/3638/131. (Testo modificato nel corso della seduta) Garofani.
La Camera,
premesso che:
i tagli lineari decisi con la legge n. 133 del 2008, e quelli previsti dal decreto-legge in esame, mettono in seria difficoltà il mantenimento di un soddisfacente livello di addestramento del personale, della manutenzione dei mezzi, delle condizioni di sicurezza e delle esigenze logistiche direttamente connesse alle attività operative;
impegna il Governo
nella fase di applicazione delle norme contenute nell'articolo 2 del decreto-legge in esame, a non far ricadere nuovamente sulle spese per l'esercizio le ulteriori riduzioni finanziarie previste nel provvedimento.
9/3638/132. Carella.
La Camera,
premesso che:
i tagli lineari decisi con la legge n. 133 del 2008, e quelli previsti dal decreto-legge in esame, mettono in seria difficoltà il mantenimento di un soddisfacente livello di addestramento del personale, della manutenzione dei mezzi, delle condizioni di sicurezza e delle esigenze logistiche direttamente connesse alle attività operative;
impegna il Governo
a valutare l'opportunità, nella fase di applicazione delle norme contenute nell'articolo 2 del decreto-legge in esame, di non far ricadere nuovamente sulle spese per l'esercizio le ulteriori riduzioni finanziarie previste nel provvedimento.
9/3638/132. (Testo modificato nel corso della seduta) Carella.
La Camera,
premesso che:
l'istituzione della cosiddetta «mini-naia» rappresenta per le Forze Armate un impegno di risorse finanziarie ed operative che avrebbero potuto trovare migliore e più utile destinazione;
pur mantenendo un giudizio critico sulla decisione di investire le risorse in una attività che non ha alcun effetto positivo sulla funzionalità delle Forze Armate,
impegna il Governo:
a garantire, contestualmente ad un eventuale avvio della «mini-naia», maggiori risorse al servizio civile;
a rispettare il principio delle pari opportunità nella selezione dei giovani da avviare ai corsi di formazione a carattere teorico-pratico presso i reparti militari, garantendo la totale parità di genere;
ad ammettere anche i giovani che non possiedono i titoli di studio al fine di mitigare i danni derivanti dall'abbandono scolastico e favorirne le occasione di integrazione e il senso di responsabilità sociale.
9/3638/133. Villecco Calipari.
La Camera,
premesso che:
l'istituzione della cosiddetta «mini-naia» rappresenta per le Forze Armate un impegno di risorse finanziarie ed operative che avrebbero potuto trovare migliore e più utile destinazione;
pur mantenendo un giudizio critico sulla decisione di investire le risorse in una attività che non ha alcun effetto positivo sulla funzionalità delle Forze Armate,
impegna il Governo:
a valutare l'opportunità di garantire, contestualmente ad un eventuale avvio della «mini-naia», maggiori risorse al servizio civile;
a rispettare il principio delle pari opportunità nella selezione dei giovani da avviare ai corsi di formazione a carattere teorico-pratico presso i reparti militari, garantendo la totale parità di genere;
ad ammettere anche i giovani che non possiedono i titoli di studio al fine di mitigare i danni derivanti dall'abbandono scolastico e favorirne le occasione di integrazione e il senso di responsabilità sociale.
9/3638/133. (Testo modificato nel corso della seduta) Villecco Calipari.
La Camera,
premesso che:
le misure contenute nell'articolo 9, si prefiggono un contenimento delle spese in materia di pubblico impiego e agiscono nei confronti del personale militare operando il blocco dei rinnovi contrattuali, misura già grave in sé, soprattutto quando applicata a stipendi medio bassi, quali possono essere considerati quelli percepiti da due terzi degli operatori del comparto sicurezza e difesa;
ma le stesse norme, intervengono su trattamenti economici che dovrebbero essere corrisposti in relazione a funzioni diverse attribuite al personale per la promozione ad un grado più elevato, per l'avvicendamento negli incarichi o per variazioni di stato giuridico, che non verranno percepiti, in quanto lo stesso articolo prevede che nel triennio 2011/2013 non si potrà corrispondere un trattamento superiore a quello conseguito nel 2010;
il combinato disposto di queste norme può avere effetti molto gravi sulla funzionalità stessa dello strumento militare,
impegna il Governo:
nella fase di concreta applicazione delle norme, a riconoscere anche sul piano economico i trattamenti derivanti da promozioni, assunzioni di funzioni diverse, prolungata attività di servizio svolto senza demerito e variazioni di stato giuridico anche attraverso le misure perequative previste dal articolo 8, comma 11-bis, al fine di garantire che gli interventi perequativi abbiano effetti totalmente compensativi nei confronti del personale di ogni grado, ruolo e categoria;
a ripartire le risorse destinate a tali perequazioni tra il personale dei corpi interessati in sede di concertazione e contrattazione con i rappresentanti sindacali e i COCER.
9/3638/134. Letta.
La Camera,
premesso che:
le misure contenute nell'articolo 9, si prefiggono un contenimento delle spese in materia di pubblico impiego e agiscono nei confronti del personale militare operando il blocco dei rinnovi contrattuali, misura già grave in sé, soprattutto quando applicata a stipendi medio bassi, quali possono essere considerati quelli percepiti da due terzi degli operatori del comparto sicurezza e difesa;
ma le stesse norme, intervengono su trattamenti economici che dovrebbero essere corrisposti in relazione a funzioni diverse attribuite al personale per la promozione ad un grado più elevato, per l'avvicendamento negli incarichi o per variazioni di stato giuridico, che non verranno percepiti, in quanto lo stesso articolo prevede che nel triennio 2011/2013 non si potrà corrispondere un trattamento superiore a quello conseguito nel 2010;
il combinato disposto di queste norme può avere effetti molto gravi sulla funzionalità stessa dello strumento militare,
impegna il Governo:
nella fase di concreta applicazione delle norme, a valutare l'opportunità di riconoscere anche sul piano economico i trattamenti derivanti da promozioni, assunzioni di funzioni diverse, prolungata attività di servizio svolto senza demerito e variazioni di stato giuridico anche attraverso le misure perequative previste dal articolo 8, comma 11-bis, al fine di garantire che gli interventi perequativi abbiano effetti totalmente compensativi nei confronti del personale di ogni grado, ruolo e categoria;
a ripartire le risorse destinate a tali perequazioni tra il personale dei corpi interessati in sede di concertazione e contrattazione con i rappresentanti sindacali e i COCER.
9/3638/134. (Testo modificato nel corso della seduta) Letta.
La Camera,
premesso che:
le norme contenute nel provvedimento che intervengono in materia di trattamenti di fine rapporto risultano, se applicate al personale militare, ancor più penalizzanti in quanto in contrasto con i limiti di età per la cessazione dal servizio previsti dalle norme sullo stato giuridico e l'avanzamento e con le norme che disciplinano i vari ordinamenti del personale militare e delle forze di polizia;
impegna il Governo
ad istituire i fondi di previdenza complementare per il personale del comprato sicurezza difesa e dei vigili del fuoco prima che le norme di cui all'articolo 12 comma 10, abbiano concreti effetti.
9/3638/135. Rosato.
La Camera,
premesso che:
le norme contenute nel provvedimento che intervengono in materia di trattamenti di fine rapporto risultano, se applicate al personale militare, ancor più penalizzanti in quanto in contrasto con i limiti di età per la cessazione dal servizio previsti dalle norme sullo stato giuridico e l'avanzamento e con le norme che disciplinano i vari ordinamenti del personale militare e delle forze di polizia;
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di istituire i fondi di previdenza complementare per il personale del comprato sicurezza difesa e dei vigili del fuoco prima che le norme di cui all'articolo 12 comma 10, abbiano concreti effetti.
9/3638/135. (Testo modificato nel corso della seduta) Rosato.
La Camera,
premesso che:
il crescente impegno delle Forze armate sia nei compiti nazionali che in quelli fuori area comporta anche maggiori esigenze nella logistica di supporto,
impegna il Governo
a garantire, nei limiti della flessibilità del bilancio, risorse adeguate per i servizi dell'indotto necessari alle Forze Armate con prestazioni fornite prettamente sotto forma di appalto da parte di cooperative o aziende di servizi, che riguardano l'assemblaggio, la fornitura e le spedizioni di beni e servizi di prima necessità per le Forze armate evitandone qualunque ridimensionamento rispetto ai valori medi degli ultimi tre anni.
9/3638/136. Mogherini Rebesani.
La Camera,
premesso che:
il crescente impegno delle Forze armate sia nei compiti nazionali che in quelli fuori area comporta anche maggiori esigenze nella logistica di supporto,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di garantire, nei limiti della flessibilità del bilancio, risorse adeguate per i servizi dell'indotto necessari alle Forze Armate con prestazioni fornite prettamente sotto forma di appalto da parte di cooperative o aziende di servizi, che riguardano l'assemblaggio, la fornitura e le spedizioni di beni e servizi di prima necessità per le Forze armate evitandone qualunque ridimensionamento rispetto ai valori medi degli ultimi tre anni.
9/3638/136. (Testo modificato nel corso della seduta) Mogherini Rebesani.
La Camera,
premesso che:
durante il pomeriggio dello scorso sabato 24 luglio, una violenta tromba d'aria si è abbattuta sulla zona meridionale del Veneto provocando gravi danni alle coltivazioni soprattutto frutteti e vigneti, agli edifici, ai parchi pubblici e alle strutture;
le città più colpite sono state Abano Terme, Montegrotto Terme, Albignasego (in provincia di Padova) e l'isola di Pellestrina (in provincia di Venezia);
in tali circostanze la regione del Veneto ha chiesto lo stato di calamità naturale;
in particolare, per quanto riguarda il sostegno alle imprese agricole colpite da avversità atmosferiche eccezionali, le norme vigenti prevedono che essere attivati interventi compensativi ex post del Fondo di solidarietà nazionale per i danni alle produzioni ed alle strutture aziendali, qualora le stesse non siano comprese nel piano assicurativo annuale per la copertura dei rischi con polizze assicurative agevolate;
al riguardo si evidenzia che il decreto legislativo n. 102 del 2004 nel testo modificato dal decreto legislativo n. 82 del 2008, stabilisce che per i danni assicurabili con polizze agevolate non sono attivabili gli interventi compensativi del Fondo;
altra condizione per l'attivazione degli interventi compensativi ex post, è la presenza di una incidenza di danno sulla produzione lorda vendibile superiore al 30 per cento;
ai sensi della vigente normativa, per le colture, strutture e avversità, non assicurabili al mercato agevolato, in relazione alla tipologia dei danni, possono essere concessi i seguenti aiuti a favore delle aziende agricole colpite:
a) contributi in conto capitale fino all'80 per cento del danno sulla produzione lorda vendibile, ordinaria;
b) prestiti ad ammortamento quinquennale per le maggiori esigenze di conduzione aziendale nell'anno in cui si è verificato l'evento ed in quello successivo;
c) proroga delle rate delle operazioni di credito in scadenza nell'anno in cui si è verificato l'evento calamitoso;
d) contributi in conto capitale per il ripristino delle strutture aziendali e la ricostituzione delle scorte eventualmente compromesse o distrutte;
è indispensabile che il Governo riconosca senza indugi lo stato di emergenza dichiarato dalla Regione Veneto in seguito agli eventi eccezionali accaduti il 24 luglio, segnatamente per quanto riguarda il settore agricolo, allo scopo prevedendo risorse adeguate ai danni in tal senso provocati dall'evento calamitoso,
impegna il Governo:
ad assicurare il proprio massimo impegno ad assecondare le richieste di risarcimento danni provenienti dalla Regione Veneto in conseguenza dell'evento calamitoso eccezionale verificatosi il 24 luglio 2010,
in particolare, per quanto riguarda il settore agricolo, ad emanare d'urgenza il decreto di declaratoria di attivazione delle misure di aiuto previste dal decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 102, nel testo modificato dal decreto legislativo 18 aprile 2008 n. 82,
compatibilmente con le esigenze primarie delle imprese agricole, ad adottare anche misure volte al ripristino delle infrastrutture connesse all'attività agricola, tra cui quelle irrigue e di bonifica, con onere della spesa a carico del Fondo di solidarietà nazionale.
9/3638/137. Negro.
La Camera,
premesso che:
durante il pomeriggio dello scorso sabato 24 luglio, una violenta tromba d'aria si è abbattuta sulla zona meridionale del Veneto provocando gravi danni alle coltivazioni soprattutto frutteti e vigneti, agli edifici, ai parchi pubblici e alle strutture;
le città più colpite sono state Abano Terme, Montegrotto Terme, Albignasego (in provincia di Padova) e l'isola di Pellestrina (in provincia di Venezia);
in tali circostanze la regione del Veneto ha chiesto lo stato di calamità naturale;
in particolare, per quanto riguarda il sostegno alle imprese agricole colpite da avversità atmosferiche eccezionali, le norme vigenti prevedono che essere attivati interventi compensativi ex post del Fondo di solidarietà nazionale per i danni alle produzioni ed alle strutture aziendali, qualora le stesse non siano comprese nel piano assicurativo annuale per la copertura dei rischi con polizze assicurative agevolate;
al riguardo si evidenzia che il decreto legislativo n. 102 del 2004 nel testo modificato dal decreto legislativo n. 82 del 2008, stabilisce che per i danni assicurabili con polizze agevolate non sono attivabili gli interventi compensativi del Fondo;
altra condizione per l'attivazione degli interventi compensativi ex post, è la presenza di una incidenza di danno sulla produzione lorda vendibile superiore al 30 per cento;
ai sensi della vigente normativa, per le colture, strutture e avversità, non assicurabili al mercato agevolato, in relazione alla tipologia dei danni, possono essere concessi i seguenti aiuti a favore delle aziende agricole colpite:
a) contributi in conto capitale fino all'80 per cento del danno sulla produzione lorda vendibile, ordinaria;
b) prestiti ad ammortamento quinquennale per le maggiori esigenze di conduzione aziendale nell'anno in cui si è verificato l'evento ed in quello successivo;
c) proroga delle rate delle operazioni di credito in scadenza nell'anno in cui si è verificato l'evento calamitoso;
d) contributi in conto capitale per il ripristino delle strutture aziendali e la ricostituzione delle scorte eventualmente compromesse o distrutte;
è indispensabile che il Governo riconosca senza indugi lo stato di emergenza dichiarato dalla Regione Veneto in seguito agli eventi eccezionali accaduti il 24 luglio, segnatamente per quanto riguarda il settore agricolo, allo scopo prevedendo risorse adeguate ai danni in tal senso provocati dall'evento calamitoso,
impegna il Governo:
a valutare l'opportunità di assicurare il proprio massimo impegno ad assecondare le richieste di risarcimento danni provenienti dalla Regione Veneto in conseguenza dell'evento calamitoso eccezionale verificatosi il 24 luglio 2010,
in particolare, per quanto riguarda il settore agricolo, ad emanare d'urgenza il decreto di declaratoria di attivazione delle misure di aiuto previste dal decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 102, nel testo modificato dal decreto legislativo 18 aprile 2008 n. 82,
compatibilmente con le esigenze primarie delle imprese agricole, ad adottare anche misure volte al ripristino delle infrastrutture connesse all'attività agricola, tra cui quelle irrigue e di bonifica, con onere della spesa a carico del Fondo di solidarietà nazionale.
9/3638/137. (Testo modificato nel corso della seduta) Negro.
La Camera,
premesso che:
il Ministero della Difesa è autorizzato a promuovere la costituzione di uno o più fondi comuni di investimento immobiliare, allo scopo di conseguire attraverso la valorizzazione e l'alienazione di immobili militari, le risorse necessarie a soddisfare le esigenze infrastrutturali e alloggiative delle Forze Armate;
tra le esigenze infrastrutturali assume decisamente priorità una serie di interventi per garantire la piena funzionalità degli stabilimenti e degli arsenali costituenti l'area industriale della difesa finalizzata alla manutenzione dei mezzi e dei sistemi d'arma indispensabili al nostro strumento militare;
tali realtà, da considerare a pieno titolo industriali, sono messe in crisi sia dal mancato aggiornamento delle dotazioni organiche, sia dal mancato ripianamento organico di personale civile che lascia il servizio per raggiunti limiti di età a causa del persistere, oltre ogni ragionevole motivo, di un blocco del turn-over anche in questo settore, che ha prodotto negli organici del personale civile della Difesa una carenza di addirittura 8.384 unità rispetto alle dotazioni organiche a regime;
tali carenze stanno progressivamente determinando gravi e diffuse inefficienze nei più importanti enti dell'amministrazione della difesa, e soprattutto in quelli dell'area industriale, con gravi ed evidenti ripercussioni sulla funzionalità di tali enti, ammesse anche dal Governo in sede parlamentare;
per far fronte alle suddette gravi carenze, che comunque continuano ad aggravarsi con ritmo sostenuto a causa di ulteriori pensionamenti, sono stati autorizzati ed espletati nuovi concorsi pubblici, senza che, al termine della fase concorsuale, a causa delle limitazioni alle assunzioni previste dalla normativa vigente, sia seguito però il relativo procedimento di assunzione;
si è quindi determinata di fatto una situazione che vede oltre 500 vincitori di concorso non assunti dei quali, invece, la difesa ha necessità;
nei prossimi cinque anni cesserà dal servizio, per raggiunti limiti di età, un numero di dipendenti civili impiegati nell'area industriale della difesa determinante per quantità e qualità professionali e nel garantire la continuità dei processi produttivi industriali;
vi è l'assoluta necessità di affiancare, da subito, nuove e qualificate risorse umane alle figure professionali già presenti negli enti dell'area industriale della difesa in tempo utile prima che parte del personale attuale lasci il servizio per raggiunti limiti di età;
senza un'immissione di nuove risorse umane qualunque progetto di razionalizzazione degli stabilimenti dell'area industriale della difesa diventa impraticabile,
le misure contenute nel decreto-legge in esame prevedono una ulteriore selettività nelle spese per la difesa,
impegna il Governo:
nell'ambito della prevista flessibilità nella rimodulazione delle risorse finanziarie:
a garantire, nella fase di rimodulazione delle spese per l'esercizio, le risorse necessarie a raggiungere la piena funzionalità degli stabilimenti e degli arsenali, che costituiscono la struttura fondamentale dell'area industriale della difesa e consentirne il necessario rinnovamento infrastrutturale e una piena capacità operativa anche attraverso l'immissione di risorse umane qualificate, considerandoli fattore indispensabile per la funzionalità dello strumento militare;
ad abilitare gli stabilimenti che ne abbiano la potenzialità a fornire beni e servizi a titolo oneroso ad altri soggetti pubblici o privati che li richiedano, realizzando con ciò anche forme di autofinanziamento;
a presentare un piano per l'area industriale della difesa, con particolare riferimento ai poli principali dell'Esercito e agli arsenali della Marina Militare, che ridefinisca gli obiettivi da raggiungere e le risorse umane e materiali necessarie.
9/3638/138. La Forgia.
La Camera,
premesso che:
il Ministero della Difesa è autorizzato a promuovere la costituzione di uno o più fondi comuni di investimento immobiliare, allo scopo di conseguire attraverso la valorizzazione e l'alienazione di immobili militari, le risorse necessarie a soddisfare le esigenze infrastrutturali e alloggiative delle Forze Armate;
tra le esigenze infrastrutturali assume decisamente priorità una serie di interventi per garantire la piena funzionalità degli stabilimenti e degli arsenali costituenti l'area industriale della difesa finalizzata alla manutenzione dei mezzi e dei sistemi d'arma indispensabili al nostro strumento militare;
tali realtà, da considerare a pieno titolo industriali, sono messe in crisi sia dal mancato aggiornamento delle dotazioni organiche, sia dal mancato ripianamento organico di personale civile che lascia il servizio per raggiunti limiti di età a causa del persistere, oltre ogni ragionevole motivo, di un blocco del turn-over anche in questo settore, che ha prodotto negli organici del personale civile della Difesa una carenza di addirittura 8.384 unità rispetto alle dotazioni organiche a regime;
tali carenze stanno progressivamente determinando gravi e diffuse inefficienze nei più importanti enti dell'amministrazione della difesa, e soprattutto in quelli dell'area industriale, con gravi ed evidenti ripercussioni sulla funzionalità di tali enti, ammesse anche dal Governo in sede parlamentare;
per far fronte alle suddette gravi carenze, che comunque continuano ad aggravarsi con ritmo sostenuto a causa di ulteriori pensionamenti, sono stati autorizzati ed espletati nuovi concorsi pubblici, senza che, al termine della fase concorsuale, a causa delle limitazioni alle assunzioni previste dalla normativa vigente, sia seguito però il relativo procedimento di assunzione;
si è quindi determinata di fatto una situazione che vede oltre 500 vincitori di concorso non assunti dei quali, invece, la difesa ha necessità;
nei prossimi cinque anni cesserà dal servizio, per raggiunti limiti di età, un numero di dipendenti civili impiegati nell'area industriale della difesa determinante per quantità e qualità professionali e nel garantire la continuità dei processi produttivi industriali;
vi è l'assoluta necessità di affiancare, da subito, nuove e qualificate risorse umane alle figure professionali già presenti negli enti dell'area industriale della difesa in tempo utile prima che parte del personale attuale lasci il servizio per raggiunti limiti di età;
senza un'immissione di nuove risorse umane qualunque progetto di razionalizzazione degli stabilimenti dell'area industriale della difesa diventa impraticabile,
le misure contenute nel decreto-legge in esame prevedono una ulteriore selettività nelle spese per la difesa,
impegna il Governo:
a valutare l'opportunità, nell'ambito della prevista flessibilità nella rimodulazione delle risorse finanziarie:
di garantire, nella fase di rimodulazione delle spese per l'esercizio, le risorse necessarie a raggiungere la piena funzionalità degli stabilimenti e degli arsenali, che costituiscono la struttura fondamentale dell'area industriale della difesa e consentirne il necessario rinnovamento infrastrutturale e una piena capacità operativa anche attraverso l'immissione di risorse umane qualificate, considerandoli fattore indispensabile per la funzionalità dello strumento militare;
ad abilitare gli stabilimenti che ne abbiano la potenzialità a fornire beni e servizi a titolo oneroso ad altri soggetti pubblici o privati che li richiedano, realizzando con ciò anche forme di autofinanziamento;
a presentare un piano per l'area industriale della difesa, con particolare riferimento ai poli principali dell'Esercito e agli arsenali della Marina Militare, che ridefinisca gli obiettivi da raggiungere e le risorse umane e materiali necessarie.
9/3638/138. (Testo modificato nel corso della seduta) La Forgia.
La Camera,
premesso che:
il decreto legislativo 8 maggio 2001, n. 215, reca «Disposizioni per disciplinare la trasformazione progressiva dello strumento militare in professionale, a norma dell'articolo 3, comma 1, della legge 14 novembre 2000, n. 331»;
la legge 23 agosto 2004, n. 226, reca la «Sospensione anticipata del servizio obbligatorio di leva e disciplina dei volontari di truppa in ferma prefissata, nonché delega al Governo per il conseguente coordinamento con la normativa di settore»;
le Forze Armate incontrano difficoltà per dare continuità al reclutamento dei volontari di truppa secondo gli organici stabiliti con le normative sopra richiamate al fine di assicurare il completamento del passaggio dallo strumento militare di leva a quello professionale;
la riduzione delle risorse destinate al reclutamento ha effetti negativi anche nella fase di passaggio dei volontari trattenuti con ferme a tempo determinato nel servizio permanente,
impegna il Governo
a garantire, nell'intero triennio 2011-2013, avvalendosi della flessibilità di bilancio, le risorse necessarie all'immissione nel servizio permanente di tutti i volontari che ne hanno i requisiti.
9/3638/139. Giacomelli.
La Camera,
premesso che:
il decreto legislativo 8 maggio 2001, n. 215, reca «Disposizioni per disciplinare la trasformazione progressiva dello strumento militare in professionale, a norma dell'articolo 3, comma 1, della legge 14 novembre 2000, n. 331»;
la legge 23 agosto 2004, n. 226, reca la «Sospensione anticipata del servizio obbligatorio di leva e disciplina dei volontari di truppa in ferma prefissata, nonché delega al Governo per il conseguente coordinamento con la normativa di settore»;
le Forze Armate incontrano difficoltà per dare continuità al reclutamento dei volontari di truppa secondo gli organici stabiliti con le normative sopra richiamate al fine di assicurare il completamento del passaggio dallo strumento militare di leva a quello professionale;
la riduzione delle risorse destinate al reclutamento ha effetti negativi anche nella fase di passaggio dei volontari trattenuti con ferme a tempo determinato nel servizio permanente,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di garantire, nell'intero triennio 2011-2013, avvalendosi della flessibilità di bilancio, le risorse necessarie all'immissione nel servizio permanente di tutti i volontari che ne hanno i requisiti.
9/3638/139. (Testo modificato nel corso della seduta) Giacomelli.
La Camera,
premesso che:
le nostre Forze Armate sono impegnate in misura crescente nelle operazioni fuori area;
a fronte di tale impegno crescente corrispondono riduzioni di risorse per il reclutamento e per l'esercizio;
il combinato disposto di questi due fattori di fatto comporta una prolungata permanenza fuori area delle unità impegnate nelle missioni internazionali con un aumento delle condizioni di stress psicologico, clinicamente accertate come proprie delle situazioni di peace-keeping, soprattutto laddove i fattori ambientali e il contesto operativo sono molto pesanti;
impegna il Governo
ad assumere ogni misura utile per mettere a disposizione delle Forze Armate risorse adeguate a garantire al personale una migliore assistenza psicologica anche costituendo presso la sanità militare uno specifico dipartimento in grado di trattare le specifiche situazioni che vanno sotto il nome «disturbo post-traumatico da stress».
9/3638/140. Migliavacca.
La Camera,
premesso che:
le nostre Forze Armate sono impegnate in misura crescente nelle operazioni fuori area;
a fronte di tale impegno crescente corrispondono riduzioni di risorse per il reclutamento e per l'esercizio;
il combinato disposto di questi due fattori di fatto comporta una prolungata permanenza fuori area delle unità impegnate nelle missioni internazionali con un aumento delle condizioni di stress psicologico, clinicamente accertate come proprie delle situazioni di peace-keeping, soprattutto laddove i fattori ambientali e il contesto operativo sono molto pesanti;
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di assumere ogni misura utile per mettere a disposizione delle Forze Armate risorse adeguate a garantire al personale una migliore assistenza psicologica anche costituendo presso la sanità militare uno specifico dipartimento in grado di trattare le specifiche situazioni che vanno sotto il nome «disturbo post-traumatico da stress».
9/3638/140. (Testo modificato nel corso della seduta) Migliavacca.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 8, comma 5, reca disposizioni ai fini dell'ottimizzazione della spesa per consumi intermedi delle Amministrazioni centrali e periferiche dello Stato;
sotto la classificazione di consumi intermedi vengono comprese per le Forze Armate anche le spese per l'addestramento, la sicurezza del personale, la manutenzione dei mezzi e la logistica di prima linea;
impegna il Governo
a tener conto di questa particolarità che incide direttamente sull'efficienza del nostro strumento militare nell'ambito della formulazione dei criteri e delle indicazioni di riferimento per l'efficientamento della spesa suddetta che il Ministero dell'economia e delle finanza dovrà fornire al Ministero delle difesa entro il 31 marzo 2011 ai sensi di quanto disposto dalla norma richiamata in premessa.
9/3638/141. Recchia.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 8, comma 5, reca disposizioni ai fini dell'ottimizzazione della spesa per consumi intermedi delle Amministrazioni centrali e periferiche dello Stato;
sotto la classificazione di consumi intermedi vengono comprese per le Forze Armate anche le spese per l'addestramento, la sicurezza del personale, la manutenzione dei mezzi e la logistica di prima linea;
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di tener conto di questa particolarità che incide direttamente sull'efficienza del nostro strumento militare nell'ambito della formulazione dei criteri e delle indicazioni di riferimento per l'efficientamento della spesa suddetta che il Ministero dell'economia e delle finanza dovrà fornire al Ministero delle difesa entro il 31 marzo 2011 ai sensi di quanto disposto dalla norma richiamata in premessa.
9/3638/141. (Testo modificato nel corso della seduta) Recchia.
La Camera,
premesso che:
con la legge finanziaria del 23 dicembre 2009 n. 191, articoli da 27 a 36 è stata introdotta una norma che ha previsto la costituzione di una società per azioni denominata Difesa Servizi spa;
compito principale della società che diventerà centrale unica di committenza dovrebbe essere quello di svolgere attività negoziale volta all'acquisizione di beni mobili, servizi e prestazioni idonei a consentire l'espletamento dei compiti istituzionali del Ministero della difesa, in settori non direttamente connessi con l'attività operativa delle Forze Armate;
le misure introdotte con la manovra finanziaria per il triennio 2011-2013 consigliano di evitare il proliferare di centri di spesa ed anzi di evitare duplicazioni e conseguenti diseconomie connesse con l'esistenza di altre entità, funzionalmente dedicate, da legislatore al perseguimento di finalità analoghe,
impegna il Governo
a rinunciare alla realizzazione della costituenda Difesa Servizi spa o a rinviarne le attività al termine del triennio 2011-2013 e comunque non prima 2014.
9/3638/142. Rugghia, Barbato, Rosato.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 8 comma 5 reca disposizioni ai fini dell'ottimizzazione della spesa per consumi intermedi delle Amministrazioni centrali e periferiche dello Stato;
il Ministero dell'Economia e delle Finanza dovrà fornire al Ministero delle Difesa entro il 31 marzo 2011 ai sensi di quanto disposto dalla norma richiamata in premessa i criteri e le indicazioni di riferimento per l'efficientamento della spesa suddetta;
il patrimonio di competenze e professionalità proprio della sanità militare ha visto ridursi con la sospensione del servizio militare di leva obbligatoria una serie di compiti connessi con la chiamata di leva,
impegna il Governo
a valorizzare le competenze e le professionalità della sanità militare in un più stretto e organico rapporto con il Servizio sanitario nazionale.
9/3638/143. Ciriello.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 8 comma 5 reca disposizioni ai fini dell'ottimizzazione della spesa per consumi intermedi delle Amministrazioni centrali e periferiche dello Stato;
il Ministero dell'Economia e delle Finanza dovrà fornire al Ministero delle Difesa entro il 31 marzo 2011 ai sensi di quanto disposto dalla norma richiamata in premessa i criteri e le indicazioni di riferimento per l'efficientamento della spesa suddetta;
il patrimonio di competenze e professionalità proprio della sanità militare ha visto ridursi con la sospensione del servizio militare di leva obbligatoria una serie di compiti connessi con la chiamata di leva,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di valorizzare le competenze e le professionalità della sanità militare in un più stretto e organico rapporto con il Servizio sanitario nazionale.
9/3638/143. (Testo modificato nel corso della seduta) Ciriello.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 2 del provvedimento dispone una riduzione lineare del 10 per cento delle dotazioni finanziarie a legislazione vigente delle missioni di spesa di ciascun Ministero;
pur nel rispetto dei saldi fissati, sarebbe stato preferibile effettuare scelte selettive e misure in grado di incidere su disfunzioni e sprechi che ostacolano un funzionamento efficiente, sui meccanismi strutturali che generano la spesa, adottando misure di razionalizzazione non incidenti su spese essenziali per il comparto esteri;
per quanto attiene al Ministero degli Affari Esteri, il taglio lineare del 10 per cento si traduce in una riduzione complessiva di 43.926.000 euro per il 2011, di 43.885.000 euro per il 2012 e di 43015.000 per il 2013 che inciderà in modo rilevante e preoccupante sulla missione «Italia in Europa e nel mondo»;
tali tagli si aggiungono a quelli già operati nella precedente manovra finanziaria e di bilancio che aveva fatto registrare una diminuzione complessiva di oltre 89 milioni di euro, in aggiunta a quella operata nel 2008 di circa 500 milioni;
è grave la ripetuta sottostima delle necessità finanziarie della Farnesina, una sottovalutazione confermata anche dal recente Rendiconto e Assestamento del bilancio dello Stato per il 2010 il quale, nell'evidenziare lo scostamento pari a circa l'11 per cento tra le previsioni di spesa e gli importi a consuntivi relativi al 2009, testimonia il quadro errato e irrealistico sulle previsioni di risparmio, puntualmente disattese e suscettibili di importanti variazioni in particolare per quanto concerne la Missione «L'Italia in Europa e nel mondo»;
lo stato di previsione del Ministero degli affari esteri, dopo l'ennesima manovra correttiva del Governo (la decima in due anni), finisce per incidere sempre meno sul volume delle spese finali (0,4 per cento dello scorso anno) del bilancio dello Stato, rendendo l'attività del Ministero degli affari esteri sempre più marginale;
le continue riduzioni delle dotazioni finanziarie per il comparto esteri rendono difficile, se non addirittura impossibile, la gestione dell'ordinaria attività del Ministero, non solo relativamente al funzionamento della rete diplomatico-consolare e al livello dei servizi forniti ai cittadini e alle imprese italiane all'estero, ma anche per l'adempimento delle obbligazioni conseguenti agli accordi internazionali e agli impegni contratti a livello internazionale dal nostro Paese;
le manovre di bilancio dovrebbero escludere dai tagli tutte quelle dotazioni finanziarie che integrano la proiezione internazionale dell'Italia e che rappresentano lo strumento per il rispetto degli impegni presi nelle Organizzazioni Internazionali delle quali il paese fa parte, o nell'ambito di trattati, convenzioni od accordi bilaterali o multilaterali. Le poste di spesa discendenti da impegni assunti a livello internazionale, dovrebbero dunque considerarsi indisponibili, in quanto generatori di spese obbligatorie, non suscettibili di valutazioni discrezionali,
impegna il Governo
a provvedere, nell'ambito della prossima manovra finanziaria e di bilancio, al ripristino degli stanziamenti ridotti dal taglio lineare delle missioni di spesa del Ministero degli affari esteri, con particolare riferimento alla Missione «L'italia in Europa e nel mondo», al fine di rispettare gli impegni contratti in sede internazionale e di scongiurare il rischio di compromettere il ruolo e l'immagine del nostro Paese all'estero.
9/3638/144. Tempestini, Pes.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 2 del provvedimento dispone una riduzione lineare del 10 per cento delle dotazioni finanziarie a legislazione vigente delle missioni di spesa di ciascun Ministero;
pur nel rispetto dei saldi fissati, sarebbe stato preferibile effettuare scelte selettive e misure in grado di incidere su disfunzioni e sprechi che ostacolano un funzionamento efficiente, sui meccanismi strutturali che generano la spesa, adottando misure di razionalizzazione non incidenti su spese essenziali per il comparto esteri;
per quanto attiene al Ministero degli Affari Esteri, il taglio lineare del 10 per cento si traduce in una riduzione complessiva di 43.926.000 euro per il 2011, di 43.885.000 euro per il 2012 e di 43015.000 per il 2013 che inciderà in modo rilevante e preoccupante sulla missione «Italia in Europa e nel mondo»;
tali tagli si aggiungono a quelli già operati nella precedente manovra finanziaria e di bilancio che aveva fatto registrare una diminuzione complessiva di oltre 89 milioni di euro, in aggiunta a quella operata nel 2008 di circa 500 milioni;
è grave la ripetuta sottostima delle necessità finanziarie della Farnesina, una sottovalutazione confermata anche dal recente Rendiconto e Assestamento del bilancio dello Stato per il 2010 il quale, nell'evidenziare lo scostamento pari a circa l'11 per cento tra le previsioni di spesa e gli importi a consuntivi relativi al 2009, testimonia il quadro errato e irrealistico sulle previsioni di risparmio, puntualmente disattese e suscettibili di importanti variazioni in particolare per quanto concerne la Missione «L'Italia in Europa e nel mondo»;
lo stato di previsione del Ministero degli affari esteri, dopo l'ennesima manovra correttiva del Governo (la decima in due anni), finisce per incidere sempre meno sul volume delle spese finali (0,4 per cento dello scorso anno) del bilancio dello Stato, rendendo l'attività del Ministero degli affari esteri sempre più marginale;
le continue riduzioni delle dotazioni finanziarie per il comparto esteri rendono difficile, se non addirittura impossibile, la gestione dell'ordinaria attività del Ministero, non solo relativamente al funzionamento della rete diplomatico-consolare e al livello dei servizi forniti ai cittadini e alle imprese italiane all'estero, ma anche per l'adempimento delle obbligazioni conseguenti agli accordi internazionali e agli impegni contratti a livello internazionale dal nostro Paese;
le manovre di bilancio dovrebbero escludere dai tagli tutte quelle dotazioni finanziarie che integrano la proiezione internazionale dell'Italia e che rappresentano lo strumento per il rispetto degli impegni presi nelle Organizzazioni Internazionali delle quali il paese fa parte, o nell'ambito di trattati, convenzioni od accordi bilaterali o multilaterali. Le poste di spesa discendenti da impegni assunti a livello internazionale, dovrebbero dunque considerarsi indisponibili, in quanto generatori di spese obbligatorie, non suscettibili di valutazioni discrezionali,
impegna il Governo
se le condizioni di finanza pubblica lo consentono, a provvedere, nell'ambito della prossima manovra finanziaria e di bilancio, al ripristino degli stanziamenti ridotti dal taglio lineare delle missioni di spesa del Ministero degli affari esteri, con particolare riferimento alla Missione «L'italia in Europa e nel mondo», al fine di rispettare gli impegni contratti in sede internazionale e di scongiurare il rischio di compromettere il ruolo e l'immagine del nostro Paese all'estero.
9/3638/144. (Testo modificato nel corso della seduta) Tempestini, Pes.
La Camera,
premesso che:
l'approvazione dell'atto in esame, relativo a misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e la competitività economica, comporta tagli di bilancio di rilevantissima entità, ottenuti, nella maggior parte dei casi, con riduzioni di finanziamenti, decurtazioni e tagli lineari che non tengono conto della diversa situazione dei compatti, della differente natura delle spese, del contributo già assicurato dai medesimi settori alla razionalizzazione del bilancio, finendo per provocare asimmetrie e iniquità patenti, prive di una logica e di una strategia politica;
il rifinanziamento delle missioni internazionali in cui sono impiegate le Forze armate richiede risorse finanziarie per quasi un miliardo e mezzo di euro all'anno, risorse che non sono assicurate attraverso un meccanismo stabile e continuativo ma reperendo di volta in volta, in occasione del rinnovo parlamentare delle missioni stesse ovvero in seno a diversi provvedimenti economici, le coperture necessarie ad assicurare la proroga del mandato per un ulteriore semestre, destinandole al Fondo missioni istituito con legge 296 del 27 dicembre 2006;
per numero di uomini e mezzi e per la rilevanza delle responsabilità assunte oltre che alla luce dell'importanza strategica delle aree in cui sono presenti le nostre Forze armate, la presenza internazionale italiana nelle missioni di pace costituisce un tratto essenziale dell'azione internazionale dell'Italia;
alla luce di questa ultima considerazione, la questione della quantità e della certezza delle risorse destinate alle missioni internazionali deve essere affrontata e risolta in maniera strutturale, evidenziando altrimenti una non sufficiente attenzione tanto al sostegno del lavoro e dell'impegno stesso degli uomini che partecipano alle missioni quanto verso il mantenimento di impegni internazionali sui quali si misura l'affidabilità del Paese;
per quanto positive le norme di cui all'articolo 8, comma 11 del decreto in esame - sulla integrale riassegnazione dei rimborsi corrisposti dalle Nazioni Unite per l'attività compiuta dai contingenti italiani impegnati in missioni di pace - e all'articolo 55, comma 5, inserito al Senato che garantisce un ulteriore finanziamento di 320 milioni per il Fondo missioni, le stesse non appaiono sufficienti,
impegna il Governo
ad adottare ogni iniziativa utile nel più breve tempo possibile atta ad assicurare un finanziamento stabile, congruo e prevedibile, sia con riferimento alla quantità di risorse che alla loro copertura, del Fondo per le missioni internazionali di cui all'articolo 1, comma 1240, della legge numero 296 del 27 dicembre 2006.
9/3638/145. Arturo Parisi.
La Camera,
premesso che:
l'approvazione dell'atto in esame, relativo a misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e la competitività economica, comporta tagli di bilancio di rilevantissima entità, ottenuti, nella maggior parte dei casi, con riduzioni di finanziamenti, decurtazioni e tagli lineari che non tengono conto della diversa situazione dei compatti, della differente natura delle spese, del contributo già assicurato dai medesimi settori alla razionalizzazione del bilancio, finendo per provocare asimmetrie e iniquità patenti, prive di una logica e di una strategia politica;
il rifinanziamento delle missioni internazionali in cui sono impiegate le Forze armate richiede risorse finanziarie per quasi un miliardo e mezzo di euro all'anno, risorse che non sono assicurate attraverso un meccanismo stabile e continuativo ma reperendo di volta in volta, in occasione del rinnovo parlamentare delle missioni stesse ovvero in seno a diversi provvedimenti economici, le coperture necessarie ad assicurare la proroga del mandato per un ulteriore semestre, destinandole al Fondo missioni istituito con legge 296 del 27 dicembre 2006;
per numero di uomini e mezzi e per la rilevanza delle responsabilità assunte oltre che alla luce dell'importanza strategica delle aree in cui sono presenti le nostre Forze armate, la presenza internazionale italiana nelle missioni di pace costituisce un tratto essenziale dell'azione internazionale dell'Italia;
alla luce di questa ultima considerazione, la questione della quantità e della certezza delle risorse destinate alle missioni internazionali deve essere affrontata e risolta in maniera strutturale, evidenziando altrimenti una non sufficiente attenzione tanto al sostegno del lavoro e dell'impegno stesso degli uomini che partecipano alle missioni quanto verso il mantenimento di impegni internazionali sui quali si misura l'affidabilità del Paese;
per quanto positive le norme di cui all'articolo 8, comma 11 del decreto in esame - sulla integrale riassegnazione dei rimborsi corrisposti dalle Nazioni Unite per l'attività compiuta dai contingenti italiani impegnati in missioni di pace - e all'articolo 55, comma 5, inserito al Senato che garantisce un ulteriore finanziamento di 320 milioni per il Fondo missioni, le stesse non appaiono sufficienti,
impegna il Governo
ad adottare ogni iniziativa utile atta ad assicurare un finanziamento congruo sia con riferimento alla quantità di risorse che alla loro copertura, del Fondo per le missioni internazionali di cui all'articolo 1, comma 1240, della legge numero 296 del 27 dicembre 2006.
9/3638/145. (Testo modificato nel corso della seduta) Arturo Parisi.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 2 del provvedimento dispone una riduzione lineare del 10 per cento delle dotazioni finanziarie a legislazione vigente delle missioni di spesa di ciascun Ministero;
pur nel rispetto dei saldi fissati, sarebbe stato preferibile effettuare scelte selettive e misure in grado di incidere su disfunzioni e sprechi che ostacolano un funzionamento efficiente, sui meccanismi strutturali che generano la spesa, adottando misure di razionalizzazione non incidenti su spese essenziali per il compatto esteri;
per quanto attiene al Ministero degli Affari Esteri, il taglio lineare del 10 per cento si traduce in una riduzione complessiva di 43.926.000 euro per il 2011, di 43.885.000 euro per il 2012 e di 43.015.000 per il 2013 che inciderà in modo rilevante e preoccupante sulla missione «Italia in Europa e nel mondo»;
il taglio lineare del 10 per cento, frutto di una logica ragionieristica, comporterà un'ulteriore erosione delle strutture della politica estera nazionale, incidendo su programmi fondamentali per il comparto estero, con ricadute preoccupanti sulle risorse volte a tutelare le esigenze delle comunità italiane all'estero. Si tratta di risorse vitali per il funzionamento della rete diplomatico consolare, per il sostegno dei nostri connazionali più bisognosi all'estero, per la promozione della lingua e della cultura italiana e la proiezione dell'Italia nel mondo;
i pesanti tagli previsti dalla manovra correttiva determineranno un'ulteriore ridimensionamento della rete diplomatico-consolare, nell'assoluta assenza di un progetto ambizioso per la valorizzazione dell'esistente e di una razionalizzazione improntata a maggiori economie e maggiori efficienze. Il processo di razionalizzazione avviato dal Governo è unicamente improntato alla chiusura di sedi consolari, con ripercussioni negative soprattutto laddove permane una consistente presenza di comunità italiane e dove rileva una posizione strategica italiana nella promozione dell'interscambio commerciale e culturale con paesi importanti. Stenta invece a partire il progetto di una reale razionalizzazione della rete diplomatico-consolare improntato alla ristrutturazione tecnologica e informatizzata delle sedi all'estero,
impegna il Governo
a provvedere, nell'ambito della prossima manovra finanziaria e di bilancio, al ripristino degli stanziamenti in favore dei programmi di rinnovamento tecnologico, di potenziamento dei servizi informatici e telematici a distanza finalizzati alla realizzazione del cosiddetto «consolato digitale» e a reintegrare le risorse atte a garantire il livello dei servizi forniti a cittadini e imprese italiane all'estero.
9/3638/146. Corsini.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 2 del provvedimento dispone una riduzione lineare del 10 per cento delle dotazioni finanziarie a legislazione vigente delle missioni di spesa di ciascun Ministero;
pur nel rispetto dei saldi fissati, sarebbe stato preferibile effettuare scelte selettive e misure in grado di incidere su disfunzioni e sprechi che ostacolano un funzionamento efficiente, sui meccanismi strutturali che generano la spesa, adottando misure di razionalizzazione non incidenti su spese essenziali per il compatto esteri;
per quanto attiene al Ministero degli Affari Esteri, il taglio lineare del 10 per cento si traduce in una riduzione complessiva di 43.926.000 euro per il 2011, di 43.885.000 euro per il 2012 e di 43.015.000 per il 2013 che inciderà in modo rilevante e preoccupante sulla missione «Italia in Europa e nel mondo»;
il taglio lineare del 10 per cento, frutto di una logica ragionieristica, comporterà un'ulteriore erosione delle strutture della politica estera nazionale, incidendo su programmi fondamentali per il comparto estero, con ricadute preoccupanti sulle risorse volte a tutelare le esigenze delle comunità italiane all'estero. Si tratta di risorse vitali per il funzionamento della rete diplomatico consolare, per il sostegno dei nostri connazionali più bisognosi all'estero, per la promozione della lingua e della cultura italiana e la proiezione dell'Italia nel mondo;
i pesanti tagli previsti dalla manovra correttiva determineranno un'ulteriore ridimensionamento della rete diplomatico-consolare, nell'assoluta assenza di un progetto ambizioso per la valorizzazione dell'esistente e di una razionalizzazione improntata a maggiori economie e maggiori efficienze. Il processo di razionalizzazione avviato dal Governo è unicamente improntato alla chiusura di sedi consolari, con ripercussioni negative soprattutto laddove permane una consistente presenza di comunità italiane e dove rileva una posizione strategica italiana nella promozione dell'interscambio commerciale e culturale con paesi importanti. Stenta invece a partire il progetto di una reale razionalizzazione della rete diplomatico-consolare improntato alla ristrutturazione tecnologica e informatizzata delle sedi all'estero,
impegna il Governo
se le condizioni di finanza pubblica lo consentono, a provvedere, nell'ambito della prossima manovra finanziaria e di bilancio, al ripristino degli stanziamenti in favore dei programmi di rinnovamento tecnologico, di potenziamento dei servizi informatici e telematici a distanza finalizzati alla realizzazione del cosiddetto «consolato digitale» e a reintegrare le risorse atte a garantire il livello dei servizi forniti a cittadini e imprese italiane all'estero.
9/3638/146. (Testo modificato nel corso della seduta) Corsini.
La Camera,
premesso che:
il Comitato per l'intervento nella Sir, al quale successivamente sono stati dati compiti di intervento anche in settori ad alta tecnologia in crisi, ha operato nell'arco di trenta anni una profonda ed attenta liquidazione di tutte le aziende in stato di insolvenza che le erano state affidate, facendo recuperare allo Stato cifre considerevoli;
il Comitato Sir ha ora in portafoglio solo società in liquidazione, senza alcuna più attività industriale o commerciale, e le residuali procedure liquidatorie richiedono tempi lunghi per una loro definizione in ragione delle molte e complesse cause civili tuttora pendenti. Il Comitato detiene, sia direttamente che nelle proprie controllate, una importante liquidità pari a circa 440 milioni di Euro che potrebbe essere acquisita rapidamente dallo Stato se si accelerassero le procedure di chiusura dei lavori di liquidazione da parte del Comitato stesso che, del resto, nella sua trentennale storia ha già svolto tutte le attività fondamentali per il salvataggio delle aziende che avevano possibilità di stare sul mercato;
il decreto legge in esame prevede il trasferimento delle attività del Comitato per l'intervento nella Sir ad altra azienda, Fintecna o una sua controllata; così facendo si chiude un Ente ormai inutile per crearne un altro che impiegherebbe anni per completare la liquidazione, affrontando ulteriori spese, gravate inoltre dalla creazione di un apposito comitato di periti che dovrebbe valutare i costi da sostenere da qui alla fine delle procedure giudiziarie in corso;
una valutazione difficile ed incerta, quella del comitato di periti in quanto è arduo prevedere l'esito delle cause aperte sia per i costi che per i tempi. Ciò comporta, tra l'altro, il danno per il Tesoro di non poter disporre subito di tutte le risorse del Comitato Sir che ammontano, come detto, a circa 440 milioni di euro;
esiste una soluzione più semplice e diretta che consiste nel dare al Comitato per l'intervento nella Sir il compito di completare tutte le operazioni di liquidazione entro l'anno, ricorrendo da subito alla vendita delle proprie partecipazioni mediante asta pubblica, così da poter trasferire al Tesoro entro ottobre tutti i 440 milioni, e non solo 200 milioni previsti dal decreto governativo, per poter poi chiudere definitivamente ogni operatività entro il 31 dicembre con il trasferimento alle casse dello Stato degli eventuali residui;
i componenti del Comitato sono già dei liquidatori ed hanno tutte le possibilità di valutare correttamente i propri asset residui e quindi fare una gara pubblica cedendo al miglior offerente. Inoltre, il Comitato è vigilato dalla Corte dei Conti e dalla Ragioneria Generale dello Stato che quindi dispongono delle situazioni economiche aggiornate tempestivamente,
impegna il Governo
a verificare e valutare prima del trasferimento delle attività del Comitato ad altra azienda, Fintecna o una sua controllata, la possibilità per i componenti del Comitato per l'Intervento nella Sir e in Settori ad Alta Tecnologia, istituito con decreto-legge 9 luglio 1980, n. 301, dpcm 5 settembre 1980, e legge 28 ottobre 1980 n. 687, di attivare immediatamente le procedure di vendita, in un unico lotto, di tutte le attività residue non liquide, costituite principalmente dalle partecipazioni tuttora detenute nella Ristrutturazione Elettronica SpA in liquidazione e nel Consorzio Bancario SIR SpA in liquidazione e da residui crediti fiscali, con prezzo base d'asta pari al valore di carico in bilancio delle attività stesse scontato del 10 per cento in modo da poter concludere tutte le procedure entro il 31 ottobre 2010, versando in pari data al bilancio dello Stato tutte le somme liquide già disponibili nonché rivenienti dalla vendita delle suddette attività, al netto di euro 5 milioni destinati al soddisfo dei residui oneri di chiusura della liquidazione del Comitato Sir, procedendo così entro il 31 dicembre 2010 alla cessazione di ogni funzione del Comitato, dopo aver redatto un rendiconto finale della sua attività e trasferito al bilancio dello Stato le eventuali somme residue dopo la chiusura di tutte le pendenze riguardanti le spese di funzionamento e di cessazione di rapporti di lavoro.
9/3638/147. Milo, Belcastro, Gaglione, Iannaccone, Sardelli.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 15 del decreto legge in esame prevede che entro quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore del citato decreto con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri siano stabiliti i criteri e le modalità per l'applicazione del pedaggio sulle autostrade e sui raccordi autostradali in gestione diretta all'Anas spa;
il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri previsto dall'articolo 15 del decreto legge in esame dovrà indicare anche le tratte da sottoporre a pedaggio;
numerosi tratti autostradali sono in fase di ammodernamento e di messa in sicurezza con lavori ancora in fase di completamento spesso anche senza una adeguata rete di viabilità ordinaria alternativa;
in particolare tale situazione di grave disagio è presente in tratte autostradali che percorrono il Meridione;
appare incongruo far pagare un pedaggio, in particolare a cittadini del Meridione che già soffrono di una rete autostradale degradata in fase di ammodernamento o in messa in sicurezza, allo scopo di pagare con l'aumento o l'introduzione di pedaggi, le spese dei lavori a loro stessi, mentre lo Stato taglierebbe i finanziamenti,
impegna il Governo
in fase di predisposizione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri previsto dall'articolo 15 del decreto-legge in esame, a non inserire nell'elenco delle tratte da sottoporre a pedaggio le tratte autostradali gestite dall'Anas che versino in condizioni disagiate, che siano in fase di ammodernamento e di messa in sicurezza.
9/3638/148. Iannaccone, Belcastro, Gaglione, Milo, Sardelli.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 15 del decreto legge in esame prevede che entro quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore del citato decreto con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri siano stabiliti i criteri e le modalità per l'applicazione del pedaggio sulle autostrade e sui raccordi autostradali in gestione diretta all'Anas spa;
il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri previsto dall'articolo 15 del decreto legge in esame dovrà indicare anche le tratte da sottoporre a pedaggio;
numerosi tratti autostradali sono in fase di ammodernamento e di messa in sicurezza con lavori ancora in fase di completamento spesso anche senza una adeguata rete di viabilità ordinaria alternativa;
in particolare tale situazione di grave disagio è presente in tratte autostradali che percorrono il Meridione;
appare incongruo far pagare un pedaggio, in particolare a cittadini del Meridione che già soffrono di una rete autostradale degradata in fase di ammodernamento o in messa in sicurezza, allo scopo di pagare con l'aumento o l'introduzione di pedaggi, le spese dei lavori a loro stessi, mentre lo Stato taglierebbe i finanziamenti,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità, in fase di predisposizione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri previsto dall'articolo 15 del decreto-legge in esame, di non inserire nell'elenco delle tratte da sottoporre a pedaggio le tratte autostradali gestite dall'Anas che versino in condizioni disagiate, che siano in fase di ammodernamento e di messa in sicurezza.
9/3638/148. (Testo modificato nel corso della seduta) Iannaccone, Belcastro, Gaglione, Milo, Sardelli.
La Camera,
premesso che:
il comma 1 dell'articolo 15 del decreto legge in esame prevede che entro quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore del citato decreto con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri siano stabiliti i criteri e le modalità per l'applicazione del pedaggio sulle autostrade e sui raccordi autostradali in gestione diretta all'Anas spa;
sono numerose le tratte autostradali nel Meridione inadeguate che necessitano o sono in corso lavori di ammodernamento o di messa in sicurezza;
spesso sono assenti anche adeguate reti di viabilità ordinaria alternativa;
il degrado e l'insufficienza della rete autostradale e della viabilità per il Meridione è un handicap evidente per lo sviluppo economico delle aree interessate e per affrontare il disagio economico e sociale di aree svantaggiate;
in tali casi l'ipotesi prevista dal comma 1 di disporre pedaggi a pagamento o l'aumento degli stessi risulta essere particolarmente penalizzante per il Meridione, oltre che ingiusto e ingiustificato;
impegna il Governo
a non applicare le disposizioni di cui al comma 1 dell'articolo 15 del decreto-legge in esame alle tratte autostradali gestite dall'Anas che collegano città delle regioni che versano in condizioni di disagio economico e sociale.
9/3638/149. Belcastro, Gaglione, Iannaccone, Milo, Sardelli.
La Camera,
premesso che:
il comma 1 dell'articolo 15 del decreto legge in esame prevede che entro quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore del citato decreto con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri siano stabiliti i criteri e le modalità per l'applicazione del pedaggio sulle autostrade e sui raccordi autostradali in gestione diretta all'Anas spa;
sono numerose le tratte autostradali nel Meridione inadeguate che necessitano o sono in corso lavori di ammodernamento o di messa in sicurezza;
spesso sono assenti anche adeguate reti di viabilità ordinaria alternativa;
il degrado e l'insufficienza della rete autostradale e della viabilità per il Meridione è un handicap evidente per lo sviluppo economico delle aree interessate e per affrontare il disagio economico e sociale di aree svantaggiate;
in tali casi l'ipotesi prevista dal comma 1 di disporre pedaggi a pagamento o l'aumento degli stessi risulta essere particolarmente penalizzante per il Meridione, oltre che ingiusto e ingiustificato;
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di non applicare le disposizioni di cui al comma 1 dell'articolo 15 del decreto-legge in esame alle tratte autostradali gestite dall'Anas che collegano città delle regioni che versano in condizioni di disagio economico e sociale.
9/3638/149. (Testo modificato nel corso della seduta) Belcastro, Gaglione, Iannaccone, Milo, Sardelli.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 2 del provvedimento dispone una riduzione lineare del 10 per cento delle dotazioni finanziarie a legislazione vigente delle missioni di spesa di ciascun Ministero;
pur nel rispetto dei saldi fissati, sarebbe stato preferibile effettuare scelte selettive e misure in grado di incidere su disfunzioni e sprechi che ostacolano un funzionamento efficiente, sui meccanismi strutturali che generano la spesa, adottando misure di razionalizzazione non incidenti su spese essenziali;
per quanto attiene al Ministero degli Affari Esteri, il taglio lineare del 10 per cento si traduce in una riduzione complessiva di 43.926.000 euro per il 2011, di 43.885.000 euro per il 2012 e di 43015.000 per il 2013 che inciderà in modo rilevante e preoccupante sulla missione «Italia in Europa e nel mondo»;
la manovra è sbagliata in quanto si limita a ridurre la spesa pubblica in modo indiscriminato e non equo, è strutturalmente debole e iniqua, priva di una prospettiva per il futuro dei cittadini, ai quali viene chiesto l'ennesimo sacrificio senza che a ciò corrisponda la contemporanea previsione di misure e mezzi atti a generare crescita e sviluppo per il futuro;
una manovra, che sebbene sia presentata come una manovra europea, è poco in linea con quanto predisposto da altri paesi membri. In Europa, la maggior parte dei paesi ha scelto di impegnare rilevanti risorse di bilancio, accanto a manovre di stabilizzazione economica, per attuare provvedimenti di stimolo all'economia, alla sanità e al welfare. Nei paesi del nord Europa si chiedono sacrifici ai cittadini più abbienti, in Francia e in Germania, accanto ai tagli degli sprechi non si sacrificano le risorse in favore delle famiglie, dell'educazione della scuola. In Germania oltre la metà del maggiore deficit è imputabile a misure di sostegno dell'economia (tra le quali rileva l'intangibilità delle risorse in favore della ricerca); in Spagna circa un terzo; in Francia poco più di un quarto;
in controtendenza con quanto avviene nei paesi europei e anche negli Stati Uniti, per l'Italia, gli interventi di sostegno anti-crisi hanno avuto un impatto nullo sul disavanzo, mentre avrebbero attenuato la caduta del Pil per circa 0,5 punti percentuali, secondo i recenti dati della Banca d'Italia;
il taglio lineare del 10 per cento, frutto di una logica ragionieristica, comporterà un ulteriore erosione delle strutture della politica estera nazionale e inciderà sui programmi rilevanti per il compatto estero, con ricadute preoccupanti sulle risorse volte a tutelare le esigenze delle comunità italiane all'estero. Si tratta di risorse vitali per il funzionamento della rete diplomatico consolare, per il sostegno dei nostri connazionali più bisognosi all'estero, per la promozione della lingua e della cultura italiana e la proiezione dell'Italia nel mondo;
i pesanti tagli previsti dalla manovra correttiva determineranno un'ulteriore ridimensionamento della rete diplomatico-consolare, nell'assoluta assenza di un progetto ambizioso per la valorizzazione dell'esistente e di una razionalizzazione improntata a maggiori economie e maggiori efficienze. Il processo di razionalizzazione avviato dal Governo è unicamente improntato alla chiusura di sedi consolari, con ripercussioni negative soprattutto laddove permane una consistente presenza di comunità italiane e dove rileva una posizione strategica italiana nella promozione dell'interscambio commerciale e culturale con paesi importanti. Stenta invece a partire il progetto di una reale razionalizzazione della rete diplomatico-consolare improntato alla ristrutturazione tecnologica e informatizzata delle sedi all'estero,
impegna il Governo
a procedere ad una reale razionalizzazione della rete diplomatico-consolare, mediante la predisposizione di misure volte all'eliminazione delle duplicazioni nella struttura esistente, all'accorpamento in un'unica figura di riferimento diplomatico delle diverse rappresentanze operanti nella stessa sede, all'integrazione degli uffici amministrativi nelle stesse località e alla trasformazione di alcuni consolati generali in agenzie consolari presso le ambasciate presenti nella stessa città; nonché all'adozione di misure di semplificazione amministrativa degli uffici all'estero e alla predisposizione di programmi in grado di rispondere in tempi adeguati alle esigenze delle imprese e dei cittadini italiani all'estero.
9/3638/150. Soro.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 2 del provvedimento dispone una riduzione lineare del 10 per cento delle dotazioni finanziarie a legislazione vigente delle missioni di spesa di ciascun Ministero;
pur nel rispetto dei saldi fissati, sarebbe stato preferibile effettuare scelte selettive e misure in grado di incidere su disfunzioni e sprechi che ostacolano un funzionamento efficiente, sui meccanismi strutturali che generano la spesa, adottando misure di razionalizzazione non incidenti su spese essenziali;
per quanto attiene al Ministero degli Affari Esteri, il taglio lineare del 10 per cento si traduce in una riduzione complessiva di 43.926.000 euro per il 2011, di 43.885.000 euro per il 2012 e di 43015.000 per il 2013 che inciderà in modo rilevante e preoccupante sulla missione «Italia in Europa e nel mondo»;
la manovra è sbagliata in quanto si limita a ridurre la spesa pubblica in modo indiscriminato e non equo, è strutturalmente debole e iniqua, priva di una prospettiva per il futuro dei cittadini, ai quali viene chiesto l'ennesimo sacrificio senza che a ciò corrisponda la contemporanea previsione di misure e mezzi atti a generare crescita e sviluppo per il futuro;
una manovra, che sebbene sia presentata come una manovra europea, è poco in linea con quanto predisposto da altri paesi membri. In Europa, la maggior parte dei paesi ha scelto di impegnare rilevanti risorse di bilancio, accanto a manovre di stabilizzazione economica, per attuare provvedimenti di stimolo all'economia, alla sanità e al welfare. Nei paesi del nord Europa si chiedono sacrifici ai cittadini più abbienti, in Francia e in Germania, accanto ai tagli degli sprechi non si sacrificano le risorse in favore delle famiglie, dell'educazione della scuola. In Germania oltre la metà del maggiore deficit è imputabile a misure di sostegno dell'economia (tra le quali rileva l'intangibilità delle risorse in favore della ricerca); in Spagna circa un terzo; in Francia poco più di un quarto;
in controtendenza con quanto avviene nei paesi europei e anche negli Stati Uniti, per l'Italia, gli interventi di sostegno anti-crisi hanno avuto un impatto nullo sul disavanzo, mentre avrebbero attenuato la caduta del Pil per circa 0,5 punti percentuali, secondo i recenti dati della Banca d'Italia;
il taglio lineare del 10 per cento, frutto di una logica ragionieristica, comporterà un ulteriore erosione delle strutture della politica estera nazionale e inciderà sui programmi rilevanti per il compatto estero, con ricadute preoccupanti sulle risorse volte a tutelare le esigenze delle comunità italiane all'estero. Si tratta di risorse vitali per il funzionamento della rete diplomatico consolare, per il sostegno dei nostri connazionali più bisognosi all'estero, per la promozione della lingua e della cultura italiana e la proiezione dell'Italia nel mondo;
i pesanti tagli previsti dalla manovra correttiva determineranno un'ulteriore ridimensionamento della rete diplomatico-consolare, nell'assoluta assenza di un progetto ambizioso per la valorizzazione dell'esistente e di una razionalizzazione improntata a maggiori economie e maggiori efficienze. Il processo di razionalizzazione avviato dal Governo è unicamente improntato alla chiusura di sedi consolari, con ripercussioni negative soprattutto laddove permane una consistente presenza di comunità italiane e dove rileva una posizione strategica italiana nella promozione dell'interscambio commerciale e culturale con paesi importanti. Stenta invece a partire il progetto di una reale razionalizzazione della rete diplomatico-consolare improntato alla ristrutturazione tecnologica e informatizzata delle sedi all'estero,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di procedere ad una reale razionalizzazione della rete diplomatico-consolare, mediante la predisposizione di misure volte all'eliminazione delle duplicazioni nella struttura esistente, all'accorpamento in un'unica figura di riferimento diplomatico delle diverse rappresentanze operanti nella stessa sede, all'integrazione degli uffici amministrativi nelle stesse località e alla trasformazione di alcuni consolati generali in agenzie consolari presso le ambasciate presenti nella stessa città; nonché all'adozione di misure di semplificazione amministrativa degli uffici all'estero e alla predisposizione di programmi in grado di rispondere in tempi adeguati alle esigenze delle imprese e dei cittadini italiani all'estero.
9/3638/150. (Testo modificato nel corso della seduta) Soro.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 2 del provvedimento dispone una riduzione lineare del 10 per cento delle dotazioni finanziarie a legislazione vigente delle missioni di spesa di ciascun Ministero;
pur nel rispetto dei saldi fissati, sarebbe stato preferibile effettuare scelte selettive e misure in grado di incidere su disfunzioni e sprechi che ostacolano un funzionamento efficiente, sui meccanismi strutturali che generano la spesa, adottando misure di razionalizzazione non incidenti su spese essenziali per il compatto esteri;
per quanto attiene al Ministero degli Affari Esteri, il taglio lineare del 10 per cento si traduce in una riduzione complessiva di 43.926,000 euro per il 2011, di 43.885.000 euro per il 2012 e di 43.015.000 per il 2013 che inciderà in modo rilevante e preoccupante sulla missione «Italia in Europa e nel mondo»;
il taglio lineare del 10 per cento, frutto di una logica ragionieristica, comporterà un'ulteriore erosione delle strutture della politica estera nazionale, incidendo sui programmi fondamentali per il comparto estero, con ricadute preoccupanti sulle risorse volte a tutelare le esigenze delle comunità italiane all'estero. Si tratta di risorse vitali per il funzionamento della rete diplomatico consolare, per il sostegno dei nostri connazionali più bisognosi all'estero, per la promozione della lingua e della cultura italiana e la proiezione dell'Italia nel mondo;
i pesanti tagli previsti dalla manovra correttiva determineranno un'ulteriore ridimensionamento della rete diplomatico-consolare, nell'assoluta assenza di un progetto ambizioso per la valorizzazione dell'esistente e di una razionalizzazione improntata a maggiori economie e maggiori efficienze. Il processo di razionalizzazione avviato dal Governo è unicamente improntato alla chiusura di sedi consolari, con ripercussioni negative soprattutto laddove permane una consistente presenza di comunità italiane e dove rileva una posizione strategica italiana nella promozione dell'interscambio commerciale e culturale con paesi importanti. Stenta invece a partire il progetto di una reale razionalizzazione della rete diplomatico-consolare improntato alla ristrutturazione tecnologica e informatizzata delle sedi all'estero,
impegna il Governo
a provvedere, nell'ambito della prossima manovra finanziaria e di bilancio, al ripristino delle risorse atte a garantire la realizzazione dei programmi in favore delle attività di promozione e diffusione della cultura italiana all'estero, nonché all'incremento dell'insegnamento della lingua e dell'assistenza educativa, scolastica, e culturale dei lavoratori italiani all'estero.
9/3638/151. Narducci.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 2 del provvedimento dispone una riduzione lineare del 10 per cento delle dotazioni finanziarie a legislazione vigente delle missioni di spesa di ciascun Ministero;
pur nel rispetto dei saldi fissati, sarebbe stato preferibile effettuare scelte selettive e misure in grado di incidere su disfunzioni e sprechi che ostacolano un funzionamento efficiente, sui meccanismi strutturali che generano la spesa, adottando misure di razionalizzazione non incidenti su spese essenziali per il compatto esteri;
per quanto attiene al Ministero degli Affari Esteri, il taglio lineare del 10 per cento si traduce in una riduzione complessiva di 43.926,000 euro per il 2011, di 43.885.000 euro per il 2012 e di 43.015.000 per il 2013 che inciderà in modo rilevante e preoccupante sulla missione «Italia in Europa e nel mondo»;
il taglio lineare del 10 per cento, frutto di una logica ragionieristica, comporterà un'ulteriore erosione delle strutture della politica estera nazionale, incidendo sui programmi fondamentali per il comparto estero, con ricadute preoccupanti sulle risorse volte a tutelare le esigenze delle comunità italiane all'estero. Si tratta di risorse vitali per il funzionamento della rete diplomatico consolare, per il sostegno dei nostri connazionali più bisognosi all'estero, per la promozione della lingua e della cultura italiana e la proiezione dell'Italia nel mondo;
i pesanti tagli previsti dalla manovra correttiva determineranno un'ulteriore ridimensionamento della rete diplomatico-consolare, nell'assoluta assenza di un progetto ambizioso per la valorizzazione dell'esistente e di una razionalizzazione improntata a maggiori economie e maggiori efficienze. Il processo di razionalizzazione avviato dal Governo è unicamente improntato alla chiusura di sedi consolari, con ripercussioni negative soprattutto laddove permane una consistente presenza di comunità italiane e dove rileva una posizione strategica italiana nella promozione dell'interscambio commerciale e culturale con paesi importanti. Stenta invece a partire il progetto di una reale razionalizzazione della rete diplomatico-consolare improntato alla ristrutturazione tecnologica e informatizzata delle sedi all'estero,
impegna il Governo
se le condizioni di finanza pubblica lo consentono, a provvedere, nell'ambito della prossima manovra finanziaria e di bilancio, al ripristino delle risorse atte a garantire la realizzazione dei programmi in favore delle attività di promozione e diffusione della cultura italiana all'estero, nonché all'incremento dell'insegnamento della lingua e dell'assistenza educativa, scolastica, e culturale dei lavoratori italiani all'estero.
9/3638/151. (Testo modificato nel corso della seduta) Narducci.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 2 del provvedimento in esame dispone una riduzione lineare del 10 per cento delle dotazioni finanziarie a legislazione vigente delle missioni di spesa di ciascun Ministero;
pur nel rispetto dei saldi fissati, sarebbe stato preferibile effettuare scelte selettive e misure in grado di incidere su disfunzioni e sprechi che ostacolano un funzionamento efficiente, sui meccanismi strutturali che generano la spesa, adottando misure di razionalizzazione non incidenti su spese essenziali per il compatto esteri;
tali tagli si aggiungono a quelli già operati nella precedente manovra finanziaria e di bilancio che aveva fatto registrare una diminuzione complessiva di oltre 89 milioni di euro, in aggiunta a quella operata nel 2008 di circa 500 milioni;
tali tagli si aggiungono a quelli già operati in sede di approvazione di Finanziaria e Bilancio, dove gli stanziamenti iscritti nello stato di previsione del Ministero Affari Esteri avevano fatto registrare una diminuzione complessiva di oltre 89 milioni di euro, in aggiunta a quella precedente operata nel 2008 di circa 500 milioni;
i pesanti tagli previsti dalla manovra correttiva penalizzeranno ancora una volta le già esigue risorse destinate alla cooperazione e allo sviluppo e alle gestione di sfide globali. L'Italia, riducendo costantemente e in modo indifferenziato sull'APS, decide di privarsi di uno strumento fondamentale di politica estera, determinando un peggioramento dell'attuale tendenza all'allontanamento dall'obiettivo europeo previsto per il 2010, anno della scadenza dell'obiettivo collettivo europeo dello 0,56 per cento del Pil da destinare all'APS, e con il rischio di mettere fortemente in crisi la credibilità internazionale del nostro Paese;
le osservazioni contenute nella recente Relazione della Corte dei Conti sul rendiconto generale dello Stato, per quanto concerne la cooperazione allo sviluppo, confermano la suddetta tendenza, segnalando un basso indice dei pagamenti in conto competenza (pari al 44 per cento) e un preoccupante ritardo nel raggiungimento degli Obiettivi del Millennio;
secondo il recente rapporto «AidWatch» 2010, l'aiuto pubblico allo sviluppo dei Paesi europei sta mancando gli Obiettivi del Millennio e l'Italia, contrariamente a quanto promesso in sede internazionale, sarà la maggiore responsabile del mancato raggiungimento dell'obiettivo europeo per l'aiuto allo sviluppo, con 40 per cento dell'ammanco europeo rispetto a quanto promesso nel 2005,
impegna il Governo
a provvedere, nell'ambito della prossima manovra finanziaria e di bilancio, al ripristino degli stanziamenti in favore delle risorse destinate alla cooperazione allo sviluppo e alla gestioni nelle sfide globali.
9/3638/152. Fassino.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 2 del provvedimento in esame dispone una riduzione lineare del 10 per cento delle dotazioni finanziarie a legislazione vigente delle missioni di spesa di ciascun Ministero;
pur nel rispetto dei saldi fissati, sarebbe stato preferibile effettuare scelte selettive e misure in grado di incidere su disfunzioni e sprechi che ostacolano un funzionamento efficiente, sui meccanismi strutturali che generano la spesa, adottando misure di razionalizzazione non incidenti su spese essenziali per il compatto esteri;
tali tagli si aggiungono a quelli già operati nella precedente manovra finanziaria e di bilancio che aveva fatto registrare una diminuzione complessiva di oltre 89 milioni di euro, in aggiunta a quella operata nel 2008 di circa 500 milioni;
tali tagli si aggiungono a quelli già operati in sede di approvazione di Finanziaria e Bilancio, dove gli stanziamenti iscritti nello stato di previsione del Ministero Affari Esteri avevano fatto registrare una diminuzione complessiva di oltre 89 milioni di euro, in aggiunta a quella precedente operata nel 2008 di circa 500 milioni;
i pesanti tagli previsti dalla manovra correttiva penalizzeranno ancora una volta le già esigue risorse destinate alla cooperazione e allo sviluppo e alle gestione di sfide globali. L'Italia, riducendo costantemente e in modo indifferenziato sull'APS, decide di privarsi di uno strumento fondamentale di politica estera, determinando un peggioramento dell'attuale tendenza all'allontanamento dall'obiettivo europeo previsto per il 2010, anno della scadenza dell'obiettivo collettivo europeo dello 0,56 per cento del Pil da destinare all'APS, e con il rischio di mettere fortemente in crisi la credibilità internazionale del nostro Paese;
le osservazioni contenute nella recente Relazione della Corte dei Conti sul rendiconto generale dello Stato, per quanto concerne la cooperazione allo sviluppo, confermano la suddetta tendenza, segnalando un basso indice dei pagamenti in conto competenza (pari al 44 per cento) e un preoccupante ritardo nel raggiungimento degli Obiettivi del Millennio;
secondo il recente rapporto «AidWatch» 2010, l'aiuto pubblico allo sviluppo dei Paesi europei sta mancando gli Obiettivi del Millennio e l'Italia, contrariamente a quanto promesso in sede internazionale, sarà la maggiore responsabile del mancato raggiungimento dell'obiettivo europeo per l'aiuto allo sviluppo, con 40 per cento dell'ammanco europeo rispetto a quanto promesso nel 2005,
impegna il Governo
se le condizioni di finanza pubblica lo consentono, a provvedere, nell'ambito della prossima manovra finanziaria e di bilancio, al ripristino degli stanziamenti in favore delle risorse destinate alla cooperazione allo sviluppo e alla gestioni nelle sfide globali.
9/3638/152. (Testo modificato nel corso della seduta) Fassino.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 2 del provvedimento dispone una riduzione lineare del 10 per cento delle dotazioni finanziarie a legislazione vigente delle missioni di spesa di ciascun Ministero;
pur nel rispetto dei saldi fissati, sarebbe stato preferibile effettuare scelte selettive e misure in grado di incidere su disfunzioni e sprechi, che ostacolano un funzionamento efficiente, sui meccanismi strutturali che generano la spesa, adottando misure di razionalizzazione non incidenti su spese essenziali per il compatto esteri;
per quanto attiene al Ministero degli Affari Esteri, il taglio lineare del 10 per cento si traduce in una riduzione complessiva di 43.926.000 euro per il 2011, di 43.885.000 euro per il 2012 e di 43.015.000 per il 2013 che inciderà in modo rilevante e preoccupante sulla missione «Italia in Europa e nel mondo»;
tali tagli si aggiungono a quelli già operati nella precedente manovra finanziaria e di bilancio che aveva fatto registrare una diminuzione complessiva di oltre 89 milioni di euro, in aggiunta a quella operata nel 2008 di circa 500 milioni;
i pesanti tagli operati con la manovra correttiva avranno ripercussioni negative su stanziamenti fondamentali per il comparto estero, con particolare riguardo ai contributi che integrano la proiezione internazionale dell'Italia e che rappresentano lo strumento per il rispetto degli impegni presi nelle Organizzazioni Internazionali, delle quali il nostro paese fa parte o nell'ambito di trattati, convenzioni od accordi bilaterali o multilaterali;
le previste riduzioni potrebbero comportare una decurtazione di risorse indispensabili per garantire il puntuale rispetto da parte dell'Italia dei versamenti dovuti ai fini della partecipazione al Fondo per l'Aids e le pandemie, che ha già visto negli scorsi anni un ritardo del conferimento dei fondi dovuti dal nostro Paese e l'accumulo di un conseguente debito, in evidente contraddizione con gli impegni in materia di tutela della salute e sostegno ai Sistemi sanitari dei paesi in via di sviluppo che l'Italia assume nelle sedi internazionali;
il Fondo globale per la Lotta all'AIDS, la Tubercolosi e la Malaria costituisce un partenariato internazionale pubblico e privato che si occupa di attrarre e distribuire risorse aggiuntive per prevenire e curare l'HIV/AIDS, la tubercolosi e la malaria, promuovendo la terapia salvavita con i farmaci antiretrovirali per oltre 2.3 milioni di persone in tutto il mondo,
impegna il Governo
a prevedere lo stanziamento, in occasione dei prossimi provvedimenti inerenti la finanza pubblica, delle risorse necessarie a garantire il puntuale e integrale versamento delle somme dovute per la partecipazione al Fondo globale per la lotta all'AIDS, la tubercolosi e la malaria.
9/3638/153. Pistelli.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 2 del provvedimento dispone una riduzione lineare del 10 per cento delle dotazioni finanziarie a legislazione vigente delle missioni di spesa di ciascun Ministero;
pur nel rispetto dei saldi fissati, sarebbe stato preferibile effettuare scelte selettive e misure in grado di incidere su disfunzioni e sprechi, che ostacolano un funzionamento efficiente, sui meccanismi strutturali che generano la spesa, adottando misure di razionalizzazione non incidenti su spese essenziali per il compatto esteri;
per quanto attiene al Ministero degli Affari Esteri, il taglio lineare del 10 per cento si traduce in una riduzione complessiva di 43.926.000 euro per il 2011, di 43.885.000 euro per il 2012 e di 43.015.000 per il 2013 che inciderà in modo rilevante e preoccupante sulla missione «Italia in Europa e nel mondo»;
tali tagli si aggiungono a quelli già operati nella precedente manovra finanziaria e di bilancio che aveva fatto registrare una diminuzione complessiva di oltre 89 milioni di euro, in aggiunta a quella operata nel 2008 di circa 500 milioni;
i pesanti tagli operati con la manovra correttiva avranno ripercussioni negative su stanziamenti fondamentali per il comparto estero, con particolare riguardo ai contributi che integrano la proiezione internazionale dell'Italia e che rappresentano lo strumento per il rispetto degli impegni presi nelle Organizzazioni Internazionali, delle quali il nostro paese fa parte o nell'ambito di trattati, convenzioni od accordi bilaterali o multilaterali;
le previste riduzioni potrebbero comportare una decurtazione di risorse indispensabili per garantire il puntuale rispetto da parte dell'Italia dei versamenti dovuti ai fini della partecipazione al Fondo per l'Aids e le pandemie, che ha già visto negli scorsi anni un ritardo del conferimento dei fondi dovuti dal nostro Paese e l'accumulo di un conseguente debito, in evidente contraddizione con gli impegni in materia di tutela della salute e sostegno ai Sistemi sanitari dei paesi in via di sviluppo che l'Italia assume nelle sedi internazionali;
il Fondo globale per la Lotta all'AIDS, la Tubercolosi e la Malaria costituisce un partenariato internazionale pubblico e privato che si occupa di attrarre e distribuire risorse aggiuntive per prevenire e curare l'HIV/AIDS, la tubercolosi e la malaria, promuovendo la terapia salvavita con i farmaci antiretrovirali per oltre 2.3 milioni di persone in tutto il mondo,
impegna il Governo
se le condizioni di finanza pubblica lo consentono, a prevedere lo stanziamento, in occasione dei prossimi provvedimenti inerenti la finanza pubblica, delle risorse necessarie a garantire il puntuale e integrale versamento delle somme dovute per la partecipazione al Fondo globale per la lotta all'AIDS, la tubercolosi e la malaria.
9/3638/153. (Testo modificato nel corso della seduta) Pistelli.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 2 del provvedimento dispone una riduzione lineare del 10 per cento delle dotazioni finanziarie a legislazione vigente delle missioni di spesa di ciascun Ministero;
pur nel rispetto dei saldi fissati, sarebbe stato preferibile effettuare scelte selettive e misure in grado di incidere su disfunzioni e sprechi, che ostacolano un funzionamento efficiente, sui meccanismi strutturali che generano la spesa, adottando misure di razionalizzazione non incidenti su spese essenziali per il compatto esteri;
per quanto attiene al Ministero degli Affari Esteri, il taglio lineare del 10 per cento si traduce in una riduzione complessiva di 43.926.000 euro per il 2011, di 43.885.000 euro per il 2012 e di 43.015.000 per il 2013 che inciderà in modo rilevante e preoccupante sulla missione «Italia in Europa e nel mondo»;
tali tagli si aggiungono a quelli già operati in sede di approvazione di Finanziaria e Bilancio, dove gli stanziamenti iscritti nello stato di previsione del Ministero Affari Esteri avevano fatto registrare una diminuzione complessiva di oltre 89 milioni di euro, in aggiunta a quella precedente operata nel 2008 di circa 500 milioni;
destano profonda preoccupazione gli effetti dei tagli sui contributi volontari nell'area dei diritti umani, in particolare per quanto riguarda i programmi specifici realizzati da altri organismi internazionali, come l'Alto Commissariato per i diritti umani (OHCHR), l'Alto Commissariato per i rifugiati (UNHCR), l'OIM, altre agenzie delle Nazioni Unite che dipendono da fondi volontari, I tagli incideranno negativamente soprattutto in considerazione delle numerose raccomandazioni che recentemente l'Italia si è impegnata a realizzare, in seguito alla conclusione della Revisione Periodica Universale del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, Tali raccomandazioni richiamano il nostro Paese ad un adeguamento legislativo urgente per l'istituzione di una Autorità indipendente garante per i diritti umani (ai sensi dei principi di Parigi), per l'adeguamento dei codici penali al Tribunale penale internazionale e per l'adeguamento pieno alle Convenzioni e ai Protocolli opzionali contro la tortura,
impegna il Governo
a provvedere, nell'ambito della prossima manovra finanziaria e di bilancio, al potenziamento dei contributi volontari nell'ambito alla partecipazione italiana ad organismi internazionali per la realizzazione dei programmi in tema di diritti umani.
9/3638/154. Colombo.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 2 del provvedimento dispone una riduzione lineare del 10 per cento delle dotazioni finanziarie a legislazione vigente delle missioni di spesa di ciascun Ministero;
pur nel rispetto dei saldi fissati, sarebbe stato preferibile effettuare scelte selettive e misure in grado di incidere su disfunzioni e sprechi, che ostacolano un funzionamento efficiente, sui meccanismi strutturali che generano la spesa, adottando misure di razionalizzazione non incidenti su spese essenziali per il compatto esteri;
per quanto attiene al Ministero degli Affari Esteri, il taglio lineare del 10 per cento si traduce in una riduzione complessiva di 43.926.000 euro per il 2011, di 43.885.000 euro per il 2012 e di 43.015.000 per il 2013 che inciderà in modo rilevante e preoccupante sulla missione «Italia in Europa e nel mondo»;
tali tagli si aggiungono a quelli già operati in sede di approvazione di Finanziaria e Bilancio, dove gli stanziamenti iscritti nello stato di previsione del Ministero Affari Esteri avevano fatto registrare una diminuzione complessiva di oltre 89 milioni di euro, in aggiunta a quella precedente operata nel 2008 di circa 500 milioni;
destano profonda preoccupazione gli effetti dei tagli sui contributi volontari nell'area dei diritti umani, in particolare per quanto riguarda i programmi specifici realizzati da altri organismi internazionali, come l'Alto Commissariato per i diritti umani (OHCHR), l'Alto Commissariato per i rifugiati (UNHCR), l'OIM, altre agenzie delle Nazioni Unite che dipendono da fondi volontari, I tagli incideranno negativamente soprattutto in considerazione delle numerose raccomandazioni che recentemente l'Italia si è impegnata a realizzare, in seguito alla conclusione della Revisione Periodica Universale del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, Tali raccomandazioni richiamano il nostro Paese ad un adeguamento legislativo urgente per l'istituzione di una Autorità indipendente garante per i diritti umani (ai sensi dei principi di Parigi), per l'adeguamento dei codici penali al Tribunale penale internazionale e per l'adeguamento pieno alle Convenzioni e ai Protocolli opzionali contro la tortura,
impegna il Governo
se le condizioni di finanza pubblica lo consentono, a provvedere, nell'ambito della prossima manovra finanziaria e di bilancio, al potenziamento dei contributi volontari nell'ambito alla partecipazione italiana ad organismi internazionali per la realizzazione dei programmi in tema di diritti umani.
9/3638/154. (Testo modificato nel corso della seduta) Colombo.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame, relativo a misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e la competitività economica, determina tagli di bilancio di rilevantissima entità, ottenuti, nella maggior parte dei casi, con riduzioni di finanziamenti, decurtazioni e tagli lineari che non tengono conto della diversa situazione dei compatti, della differente natura delle spese, del contributo già assicurato dai medesimi settori alla razionalizzazione del bilancio, finendo per provocare asimmetrie e iniquità patenti, prive di una logica e di una strategia politica;
in particolare, la previsione del taglio del 50 per cento, a partire dall'anno 2011, delle spese sostenute da tutte le amministrazioni pubbliche per attività di formazione inciderà sulle attività dell'istituto diplomatico e potrebbe avere conseguenze negative sull'autorizzazione a bandire annualmente concorsi di accesso alla carriera diplomatica nel quinquennio 2010-2014, funzionale ad adeguare gli organici della carriera diplomatica per garantire la partecipazione dell'Italia al Servizio europeo per l'azione esterna (autorizzazione prevista dal decreto-legge n. 1 del 2000);
sulla suddetta previsione lo stesso Sottosegretario agli Esteri Scotti ha espresso talune perplessità, evidenziando che l'attività di formazione, soprattutto in fase di avvio del Servizio europeo di azione esterna, rivestirebbe invece una particolare importanza, e di eguale tenore sono state le dichiarazione dell'ambasciatore Massolo, segretario generale della Farnesina, il quale nel corso della sua audizione in Commissione esteri sul SEAE ha dichiarato testualmente che «qualora con la manovra in vista le amministrazioni pubbliche fossero Costrette a tagliare del 50 per cento i fondi per la formazione, ciò potrebbe recare un colpo letale a queste nostre necessità di formazione»,
impegna il Governo
a provvedere, nell'ambito dei prossimi provvedimenti di finanza pubblica, a riassegnare i fondi e le risorse necessarie a garantire l'adeguata qualità e continuità alla formazione del corpo diplomatico, con riguardo alla formazione e preparazione dei funzionari destinati al nuovo Servizio europeo per l'azione esterna.
9/3638/155. Maran.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame, relativo a misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e la competitività economica, determina tagli di bilancio di rilevantissima entità, ottenuti, nella maggior parte dei casi, con riduzioni di finanziamenti, decurtazioni e tagli lineari che non tengono conto della diversa situazione dei compatti, della differente natura delle spese, del contributo già assicurato dai medesimi settori alla razionalizzazione del bilancio, finendo per provocare asimmetrie e iniquità patenti, prive di una logica e di una strategia politica;
in particolare, la previsione del taglio del 50 per cento, a partire dall'anno 2011, delle spese sostenute da tutte le amministrazioni pubbliche per attività di formazione inciderà sulle attività dell'istituto diplomatico e potrebbe avere conseguenze negative sull'autorizzazione a bandire annualmente concorsi di accesso alla carriera diplomatica nel quinquennio 2010-2014, funzionale ad adeguare gli organici della carriera diplomatica per garantire la partecipazione dell'Italia al Servizio europeo per l'azione esterna (autorizzazione prevista dal decreto-legge n. 1 del 2000);
sulla suddetta previsione lo stesso Sottosegretario agli Esteri Scotti ha espresso talune perplessità, evidenziando che l'attività di formazione, soprattutto in fase di avvio del Servizio europeo di azione esterna, rivestirebbe invece una particolare importanza, e di eguale tenore sono state le dichiarazione dell'ambasciatore Massolo, segretario generale della Farnesina, il quale nel corso della sua audizione in Commissione esteri sul SEAE ha dichiarato testualmente che «qualora con la manovra in vista le amministrazioni pubbliche fossero Costrette a tagliare del 50 per cento i fondi per la formazione, ciò potrebbe recare un colpo letale a queste nostre necessità di formazione»,
impegna il Governo
se le condizioni di finanza pubblica lo consentono, a provvedere, nell'ambito dei prossimi provvedimenti di finanza pubblica, a riassegnare i fondi e le risorse necessarie a garantire l'adeguata qualità e continuità alla formazione del corpo diplomatico, con riguardo alla formazione e preparazione dei funzionari destinati al nuovo Servizio europeo per l'azione esterna.
9/3638/155. (Testo modificato nel corso della seduta) Maran.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame, relativo a misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e la competitività economica, comporta tagli di bilancio di rilevantissima entità, ottenuti, nella maggior parte dei casi, con riduzioni di finanziamenti, decurtazioni e tagli lineari che non tengono conto della diversa situazione dei compatti, della differente natura delle spese, del contributo già assicurato dai medesimi settori alla razionalizzazione del bilancio, finendo per provocare asimmetrie e patenti iniquità prive di una logica e di una strategia politica;
in particolare, i tagli previsti si traducono in un'ulteriore riduzione delle risorse destinate alla cooperazione allo sviluppo e alle gestione di sfide globali, determinando un peggioramento dell'attuale tendenza all'allontanamento dall'obiettivo europeo previsto per il 2010, anno della scadenza dell'obiettivo collettivo europeo dello 0,56 per cento del Pil da destinare all'APS, e con il grave rischio di mettere fortemente in crisi la credibilità internazionale del nostro Paese;
potrebbero ridursi le risorse destinate, presso il Ministero delle Finanze, alla corresponsione dei contributi volontari o ai fini di ricapitalizzazione dei fondi e delle banche internazionali cui l'Italia partecipa, costituenti una quota rilevante del nostro impegno multilaterale a favore dello sviluppo. Tale eventualità esporrebbe il Paese a morosità o inadempienze gravi che, oltre a ostacolare l'azione positiva di queste istituzioni internazionali, finirebbe per ridurre la credibilità del Paese, la sua affidabilità e in definitiva il suo peso politico;
in particolare, è grave decurtare le risorse destinate all'Associazione internazionale per lo sviluppo (IDA), istituzione del gruppo della Banca Mondiale la cui particolare funzione è concedere crediti ai Governi dei Paesi più poveri a tassi particolarmente agevolati, in considerazione del fatto che ancora è in corso l'erogazione delle somme dovute dall'Italia a seguito dell'ultima ricapitalizzazione dell'Ida mentre sono stati avviati i negoziati per la nuova ricostituzione del capitale;
impegna il Governo
a prevedere lo stanziamento, in occasione dei prossimi provvedimenti inerenti la finanza pubblica, delle risorse necessarie a garantire il puntuale e integrale versamento delle somme eventualmente ancora dovute per le avvenute ricapitalizzazioni dell'IDA, nonché a prevedere gli opportuni accantonamenti destinati a dare seguito agli impegni che l'Italia dovrà contrarre dando seguito alle nuove negoziazioni in corso.
9/3638/156. Barbi.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame, relativo a misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e la competitività economica, comporta tagli di bilancio di rilevantissima entità, ottenuti, nella maggior parte dei casi, con riduzioni di finanziamenti, decurtazioni e tagli lineari che non tengono conto della diversa situazione dei compatti, della differente natura delle spese, del contributo già assicurato dai medesimi settori alla razionalizzazione del bilancio, finendo per provocare asimmetrie e patenti iniquità prive di una logica e di una strategia politica;
in particolare, i tagli previsti si traducono in un'ulteriore riduzione delle risorse destinate alla cooperazione allo sviluppo e alle gestione di sfide globali, determinando un peggioramento dell'attuale tendenza all'allontanamento dall'obiettivo europeo previsto per il 2010, anno della scadenza dell'obiettivo collettivo europeo dello 0,56 per cento del Pil da destinare all'APS, e con il grave rischio di mettere fortemente in crisi la credibilità internazionale del nostro Paese;
potrebbero ridursi le risorse destinate, presso il Ministero delle Finanze, alla corresponsione dei contributi volontari o ai fini di ricapitalizzazione dei fondi e delle banche internazionali cui l'Italia partecipa, costituenti una quota rilevante del nostro impegno multilaterale a favore dello sviluppo. Tale eventualità esporrebbe il Paese a morosità o inadempienze gravi che, oltre a ostacolare l'azione positiva di queste istituzioni internazionali, finirebbe per ridurre la credibilità del Paese, la sua affidabilità e in definitiva il suo peso politico;
in particolare, è grave decurtare le risorse destinate all'Associazione internazionale per lo sviluppo (IDA), istituzione del gruppo della Banca Mondiale la cui particolare funzione è concedere crediti ai Governi dei Paesi più poveri a tassi particolarmente agevolati, in considerazione del fatto che ancora è in corso l'erogazione delle somme dovute dall'Italia a seguito dell'ultima ricapitalizzazione dell'Ida mentre sono stati avviati i negoziati per la nuova ricostituzione del capitale;
impegna il Governo
se le condizioni di finanza pubblica lo consentono, a prevedere lo stanziamento, in occasione dei prossimi provvedimenti inerenti la finanza pubblica, delle risorse necessarie a garantire il puntuale e integrale versamento delle somme eventualmente ancora dovute per le avvenute ricapitalizzazioni dell'IDA, nonché a prevedere gli opportuni accantonamenti destinati a dare seguito agli impegni che l'Italia dovrà contrarre dando seguito alle nuove negoziazioni in corso.
9/3638/156. (Testo modificato nel corso della seduta) Barbi.
La Camera,
premesso che:
la legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), ha esteso le detrazioni fiscali per carichi di famiglia, previste dall'articolo 1, comma 1324, ai lavoratori ed alle lavoratrici residenti all'estero limitatamente agli anni 2007, 2008 e 2009, a condizione che gli stessi dimostrino che le persone alle quali tali detrazioni si riferiscono non possiedano un reddito complessivo superiore, al lordo degli oneri deducibili, al limite previsto dall'articolo 12, comma 2, compresi i redditi prodotti fuori dal territorio dello Stato, e di non godere, nel Paese di residenza, di alcun beneficio fiscale connesso ai carichi familiari;
il Ministero dell'economia e delle finanze ha emanato, con decreto 2 agosto 2007, n. 149, recante regolamento concernente le detrazioni per i carichi di famiglia ai soggetti non residenti, di cui all'articolo 1, comma 1324, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, le norme applicative della legge;
il limite temporale 2007, 2008 e 2009, prorogato di 1 anno fino al 2010, ha posto e pone i residenti all'estero, che producono un reddito assoggettabile ad IRPEF in Italia, in una condizione di sostanziale disparità nei confronti dei residenti nel territorio nazionale, fissando un limite temporale ingiusto per coloro i quali non godono, nel Paese di residenza, di benefici connessi ai carichi famigliari.
impegna il Governo
ad adottare ulteriori iniziative normative che prevedano il superamento del limite temporale del 2010 e comunque prevedere la definitiva estensione delle detrazioni fiscali per carichi di famiglia ai residenti all'estero.
9/3638/157. Fedi.
La Camera,
premesso che:
la legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), ha esteso le detrazioni fiscali per carichi di famiglia, previste dall'articolo 1, comma 1324, ai lavoratori ed alle lavoratrici residenti all'estero limitatamente agli anni 2007, 2008 e 2009, a condizione che gli stessi dimostrino che le persone alle quali tali detrazioni si riferiscono non possiedano un reddito complessivo superiore, al lordo degli oneri deducibili, al limite previsto dall'articolo 12, comma 2, compresi i redditi prodotti fuori dal territorio dello Stato, e di non godere, nel Paese di residenza, di alcun beneficio fiscale connesso ai carichi familiari;
il Ministero dell'economia e delle finanze ha emanato, con decreto 2 agosto 2007, n. 149, recante regolamento concernente le detrazioni per i carichi di famiglia ai soggetti non residenti, di cui all'articolo 1, comma 1324, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, le norme applicative della legge;
il limite temporale 2007, 2008 e 2009, prorogato di 1 anno fino al 2010, ha posto e pone i residenti all'estero, che producono un reddito assoggettabile ad IRPEF in Italia, in una condizione di sostanziale disparità nei confronti dei residenti nel territorio nazionale, fissando un limite temporale ingiusto per coloro i quali non godono, nel Paese di residenza, di benefici connessi ai carichi famigliari.
impegna il Governo
se le condizioni di finanza pubblica lo consentono, ad adottare ulteriori iniziative normative che prevedano il superamento del limite temporale del 2010 e comunque prevedere la definitiva estensione delle detrazioni fiscali per carichi di famiglia ai residenti all'estero.
9/3638/157. (Testo modificato nel corso della seduta) Fedi.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 2 del provvedimento dispone una riduzione lineare del 10 per cento delle dotazioni finanziarie a legislazione vigente delle missioni di spesa di ciascun Ministero. Per quanto attiene al Ministero degli Affari Esteri, il taglio lineare si traduce in una riduzione complessiva di 43.926.000 euro per il 2011, di 43.885.000 euro per il 2012 e di 43.015.000 per il 2013 che inciderà in modo preoccupante sulla missione «Italia in Europa e nel mondo»;
il taglio lineare del 10 per cento, frutto di una logica ragionieristica, comporterà un'ulteriore riduzione di risorse che inciderà su programmi fondamentali per il comparto estero e in particolar modo sulle risorse volte a tutelare le esigenze delle comunità italiane all'estero, risorse vitali per il funzionamento della rete diplomatico consolare e per il sostegno dei nostri connazionali più bisognosi all'estero;
negli ultimi anni gli investimenti destinati all'assistenza diretta e indiretta dei nostri connazionali indigenti, presenti soprattutto nei paesi di storica immigrazione in America Latina, hanno conosciuto una progressiva contrazione che ha determinato l'obiettiva impossibilità di corrispondere anche a casi urgenti e drammatici;
solo nel 2010 i capitoli del Bilancio del MAE intestati alla così detta assistenza indiretta (cap. 3105) e a quella diretta (cap. 3121) hanno subito una decurtazione rispettivamente del 29,1 per cento e del 27,3 per cento, nonostante la parziale reintegrazione in sede di assestamento di Bilancio;
per il 2011 su queste voci peserà, oltre alla prevista decurtazione lineare del 10 per cento, la mancanza delle somme recuperate nel corso dell'anno, con un ulteriore radicale abbattimento delle risorse a disposizione di interventi che per loro natura, riguardando il bene primario della salute degli anziani e la tutela di soggetti particolarmente vulnerabili, sono fortemente anelastici;
il Governo italiano è vincolato a rinnovare le polizze sanitarie stipulate nel recente passato in alcuni paesi dell'America meridionale e l'entità dei tagli mette seriamente a rischio tale adempimento, con conseguenze purtroppo drammatiche per gli attuali beneficiari e negative per la stessa credibilità internazionale del nostro Paese,
impegna il Governo
a prevedere, nell'ambito dei prossimi provvedimenti inerenti la finanza pubblica, una reintegrazione dei capitoli del Ministero degli Affari esteri dedicati all'assistenza diretta e indiretta dei nostri connazionali indigenti all'estero e a far in modo che non venga meno, di fronte ad una situazione di così acuto e diffuso disagio sociale, un impegno di elementare sostegno e solidarietà.
9/3638/158. Porta.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 2 del provvedimento dispone una riduzione lineare del 10 per cento delle dotazioni finanziarie a legislazione vigente delle missioni di spesa di ciascun Ministero. Per quanto attiene al Ministero degli Affari Esteri, il taglio lineare si traduce in una riduzione complessiva di 43.926.000 euro per il 2011, di 43.885.000 euro per il 2012 e di 43.015.000 per il 2013 che inciderà in modo preoccupante sulla missione «Italia in Europa e nel mondo»;
il taglio lineare del 10 per cento, frutto di una logica ragionieristica, comporterà un'ulteriore riduzione di risorse che inciderà su programmi fondamentali per il comparto estero e in particolar modo sulle risorse volte a tutelare le esigenze delle comunità italiane all'estero, risorse vitali per il funzionamento della rete diplomatico consolare e per il sostegno dei nostri connazionali più bisognosi all'estero;
negli ultimi anni gli investimenti destinati all'assistenza diretta e indiretta dei nostri connazionali indigenti, presenti soprattutto nei paesi di storica immigrazione in America Latina, hanno conosciuto una progressiva contrazione che ha determinato l'obiettiva impossibilità di corrispondere anche a casi urgenti e drammatici;
solo nel 2010 i capitoli del Bilancio del MAE intestati alla così detta assistenza indiretta (cap. 3105) e a quella diretta (cap. 3121) hanno subito una decurtazione rispettivamente del 29,1 per cento e del 27,3 per cento, nonostante la parziale reintegrazione in sede di assestamento di Bilancio;
per il 2011 su queste voci peserà, oltre alla prevista decurtazione lineare del 10 per cento, la mancanza delle somme recuperate nel corso dell'anno, con un ulteriore radicale abbattimento delle risorse a disposizione di interventi che per loro natura, riguardando il bene primario della salute degli anziani e la tutela di soggetti particolarmente vulnerabili, sono fortemente anelastici;
il Governo italiano è vincolato a rinnovare le polizze sanitarie stipulate nel recente passato in alcuni paesi dell'America meridionale e l'entità dei tagli mette seriamente a rischio tale adempimento, con conseguenze purtroppo drammatiche per gli attuali beneficiari e negative per la stessa credibilità internazionale del nostro Paese,
impegna il Governo
se le condizioni di finanza pubblica lo consentono, a prevedere, nell'ambito dei prossimi provvedimenti inerenti la finanza pubblica, una reintegrazione dei capitoli del Ministero degli Affari esteri dedicati all'assistenza diretta e indiretta dei nostri connazionali indigenti all'estero e a far in modo che non venga meno, di fronte ad una situazione di così acuto e diffuso disagio sociale, un impegno di elementare sostegno e solidarietà.
9/3638/158. (Testo modificato nel corso della seduta) Porta.
La Camera,
premesso che:
la legge 6 agosto 2008, n. 133, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, stabilisce, all'articolo 20, comma 10, che, a decorrere dal 1o gennaio 2009, l'assegno sociale di cui all'articolo 3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n. 335, è corrisposto agli aventi diritto a condizione che abbiano soggiornato legalmente, in via continuativa, per almeno dieci anni nel territorio nazionale;
il nuovo requisito di dieci anni di soggiorno legale necessario ai fini del perfezionamento del diritto all'assegno sociale è stato introdotto con il decreto-legge n. 112 del 2008 per evitare che cittadini stranieri immigrati in Italia sulla base della semplice iscrizione anagrafica possano usufruire della prestazione assistenziale in questione;
l'assegno sociale è una prestazione assistenziale, che prescinde cioè da qualsiasi versamento contributivo, introdotta dalla legge n. 335 del 1995 in sostituzione della precedente pensione sociale. Possono farne richiesta i residenti in Italia che siano cittadini italiani, cittadini della Comunità Europea e cittadini extracomunitari in possesso della carta di soggiorno. L'assegno viene erogato solo al compimento dei 65 anni di età, non è reversibile, ed è subordinato a specifici limiti reddituali;
il requisito dei dieci anni di residenza purtroppo ha colpito e colpisce oltre i cittadini stranieri anche i cittadini italiani emigrati e in stato di estrema povertà, che sono rientrati o intendono rientrare in Italia per trascorrervi serenamente la loro vecchiaia ed i quali non possono far valere dieci anni di residenza continuativa nel nostro Paese,
impegna il Governo
a valutare la possibilità di adottare iniziative normative che prevedano la corresponsione dell'assegno sociale ai cittadini italiani emigrati che rientrino in Italia per risiedervi permanentemente a prescindere dal periodo di residenza fatto valere nel nostro Paese ed a patto che soddisfino i requisiti anagrafici e reddituali stabiliti dalla legge 8 agosto 1995, n. 335.
9/3638/159. Gianni Farina.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame persegue la diminuzione del disavanzo pubblico dal 5 per cento del Pil di quest'anno al 3,95 nel 2011 e al di sotto della soglia del 3 per cento, ossia al 2,7 per cento nel 2012, in ottemperanza al vincolo europeo circa la stabilizzazione della spesa pubblica;
il provvedimento è l'ennesima manovra di stabilizzazione finanziaria - la decima in due anni di legislatura - che ripercorre la logica dei tagli lineari sulle dotazioni di spesa delle missioni del bilancio dello Stato, di parte corrente e di conto capitale. L'articolo 2, infatti, dispone una riduzione lineare del 10 per cento delle dotazioni finanziarie a legislazione vigente delle missioni di spesa di ciascun Ministero;
la manovra è sbagliata in quanto limita a ridurre la spesa pubblica in modo indiscriminato e non equo, è strutturalmente debole e iniqua, priva di una prospettiva per il futuro dei cittadini, ai quali viene chiesto l'ennesimo sacrificio senza che a ciò corrisponda la contemporanea previsione di misure e mezzi atti a generare crescita e sviluppo per il futuro;
una manovra, che sebbene sia presentata come una manovra europea, è poco in linea con quanto predisposto da altri paesi membri. In Europa, la maggior parte dei paesi ha scelto di impegnare rilevanti risorse di bilancio, accanto a manovre di stabilizzazione economica, per attuare provvedimenti di stimolo all'economia, alla sanità e al welfare. Nei paesi del nord Europa si chiedono sacrifici ai cittadini più abbienti, in Francia e in Germania, accanto ai tagli degli sprechi non si sacrificano le risorse in favore delle famiglie, dell'educazione della scuola. In Germania oltre la metà del maggiore deficit è imputabile a misure di sostegno dell'economia (tra le quali rileva l'intangibilità delle risorse in favore della ricerca); in Spagna circa un terzo; in Francia poco più di un quarto;
in controtendenza con quanto avviene nei paesi europei e anche negli Stati Uniti, per l'Italia, gli interventi di sostegno anti-crisi hanno avuto un impatto nullo sul disavanzo, mentre avrebbero attenuato la caduta del Pil per circa 0,5 punti percentuali, secondo i recenti dati della Banca d'Italia;
il taglio lineare del 10 per cento, frutto di una logica ragionieristica, comporterà un'ulteriore erosione delle risorse che incidono su programmi fondamentali con un forte impatto sull'azione e l'immagine del nostro Paese all'estero;
destano particolare preoccupazione gli effetti dei tagli sui contributi volontari nell'area dei diritti umani, in particolare per quanto riguarda i programmi specifici realizzati da altri organismi internazionali, come l'Alto Commissariato per i diritti umani (OHCHR), l'Alto Commissariato per i rifugiati (UNHCR), l'OIM, altre agenzie delle Nazioni Unite che dipendono da fondi volontari. I tagli incideranno negativamente soprattutto in considerazione delle numerose raccomandazioni che recentemente l'Italia si è impegnata a realizzare, in seguito alla conclusione della Revisione Periodica Universale del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite. Tali raccomandazioni richiamano il nostro Paese ad un adeguamento legislativo urgente per l'istituzione di una Autorità indipendente garante per i diritti umani (ai sensi dei principi di Parigi), per l'adeguamento dei codici penali al Tribunale penale internazionale e per l'adeguamento pieno alle Convenzioni e ai Protocolli opzionali contro la tortura,
impegna il Governo
a provvedere, nell'ambito della prossima manovra finanziaria e di bilancio, al reintegro delle risorse finalizzate all'erogazione dei contributi italiani agli organismi internazionali, allo scopo di garantire la specifica attuazione degli impegni che l'Italia ha dichiarato di voler assumere a conclusione della Revisione Periodica Universale del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite del 2010 per la realizzazione di programmi in tema di diritti umani e per il pieno adeguamento del nostro ordinamento alle Convenzioni internazionali.
9/3638/160. Gozi.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame persegue la diminuzione del disavanzo pubblico dal 5 per cento del Pil di quest'anno al 3,95 nel 2011 e al di sotto della soglia del 3 per cento, ossia al 2,7 per cento nel 2012, in ottemperanza al vincolo europeo circa la stabilizzazione della spesa pubblica;
il provvedimento è l'ennesima manovra di stabilizzazione finanziaria - la decima in due anni di legislatura - che ripercorre la logica dei tagli lineari sulle dotazioni di spesa delle missioni del bilancio dello Stato, di parte corrente e di conto capitale. L'articolo 2, infatti, dispone una riduzione lineare del 10 per cento delle dotazioni finanziarie a legislazione vigente delle missioni di spesa di ciascun Ministero;
la manovra è sbagliata in quanto limita a ridurre la spesa pubblica in modo indiscriminato e non equo, è strutturalmente debole e iniqua, priva di una prospettiva per il futuro dei cittadini, ai quali viene chiesto l'ennesimo sacrificio senza che a ciò corrisponda la contemporanea previsione di misure e mezzi atti a generare crescita e sviluppo per il futuro;
una manovra, che sebbene sia presentata come una manovra europea, è poco in linea con quanto predisposto da altri paesi membri. In Europa, la maggior parte dei paesi ha scelto di impegnare rilevanti risorse di bilancio, accanto a manovre di stabilizzazione economica, per attuare provvedimenti di stimolo all'economia, alla sanità e al welfare. Nei paesi del nord Europa si chiedono sacrifici ai cittadini più abbienti, in Francia e in Germania, accanto ai tagli degli sprechi non si sacrificano le risorse in favore delle famiglie, dell'educazione della scuola. In Germania oltre la metà del maggiore deficit è imputabile a misure di sostegno dell'economia (tra le quali rileva l'intangibilità delle risorse in favore della ricerca); in Spagna circa un terzo; in Francia poco più di un quarto;
in controtendenza con quanto avviene nei paesi europei e anche negli Stati Uniti, per l'Italia, gli interventi di sostegno anti-crisi hanno avuto un impatto nullo sul disavanzo, mentre avrebbero attenuato la caduta del Pil per circa 0,5 punti percentuali, secondo i recenti dati della Banca d'Italia;
il taglio lineare del 10 per cento, frutto di una logica ragionieristica, comporterà un'ulteriore erosione delle risorse che incidono su programmi fondamentali con un forte impatto sull'azione e l'immagine del nostro Paese all'estero;
destano particolare preoccupazione gli effetti dei tagli sui contributi volontari nell'area dei diritti umani, in particolare per quanto riguarda i programmi specifici realizzati da altri organismi internazionali, come l'Alto Commissariato per i diritti umani (OHCHR), l'Alto Commissariato per i rifugiati (UNHCR), l'OIM, altre agenzie delle Nazioni Unite che dipendono da fondi volontari. I tagli incideranno negativamente soprattutto in considerazione delle numerose raccomandazioni che recentemente l'Italia si è impegnata a realizzare, in seguito alla conclusione della Revisione Periodica Universale del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite. Tali raccomandazioni richiamano il nostro Paese ad un adeguamento legislativo urgente per l'istituzione di una Autorità indipendente garante per i diritti umani (ai sensi dei principi di Parigi), per l'adeguamento dei codici penali al Tribunale penale internazionale e per l'adeguamento pieno alle Convenzioni e ai Protocolli opzionali contro la tortura,
impegna il Governo
se le condizioni di finanza pubblica lo consentono, a provvedere, nell'ambito della prossima manovra finanziaria e di bilancio, al reintegro delle risorse finalizzate all'erogazione dei contributi italiani agli organismi internazionali, allo scopo di garantire la specifica attuazione degli impegni che l'Italia ha dichiarato di voler assumere a conclusione della Revisione Periodica Universale del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite del 2010 per la realizzazione di programmi in tema di diritti umani e per il pieno adeguamento del nostro ordinamento alle Convenzioni internazionali.
9/3638/160. (Testo modificato nel corso della seduta) Gozi.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame persegue la diminuzione del disavanzo pubblico dal 5 per cento del Pil di quest'anno al 3,95 nel 2011 e al di sotto della soglia del 3 per cento, ossia al 2,7 per cento nel 2012, in ottemperanza al vincolo europeo circa la stabilizzazione della spesa pubblica;
il provvedimento è l'ennesima manovra di stabilizzazione finanziaria - la decima in due anni di legislatura - che ripercorre la logica dei tagli lineari sulle dotazioni di spesa delle missioni del bilancio dello Stato, di parte corrente e di conto capitale. L'articolo 2, infatti, dispone una riduzione lineare del 10 per cento delle dotazioni finanziarie a legislazione vigente delle missioni di spesa di ciascun Ministero;
la manovra è sbagliata in quanto limita a ridurre la spesa pubblica in modo indiscriminato e non equo, è strutturalmente debole e iniqua, priva di una prospettiva per il futuro dei cittadini, ai quali viene chiesto l'ennesimo sacrificio senza che a ciò corrisponda la contemporanea previsione di misure e mezzi atti a generare crescita e sviluppo per il futuro;
i tagli iniqui contenuti nella manovra colpiscono le regioni e gli enti locali senza distinzione tra amministrazioni più o meno virtuose e con un evidente squilibrio a favore delle amministrazioni centrali che, seppure fonti di notevoli sprechi ed inefficienze, vengono penalizzate assai meno delle regioni e degli enti locali. Queste misure colpiranno, attraverso i tagli ai servizi pubblici, i cittadini meno privilegiati. Ben 3,5 miliardi di euro sono sottratti al trasporto pubblico locale, che finiranno inevitabilmente per svantaggiare quelle fasce di ceto medio, lavoratori e studenti, che quotidianamente usano i mezzi pubblici per i loro spostamenti;
una manovra, che sebbene sia presentata come una manovra europea, è poco in linea con quanto predisposto da altri paesi membri. In Europa, la maggior parte dei paesi ha scelto di impegnare rilevanti risorse di bilancio, accanto a manovre di stabilizzazione economica, per attuare provvedimenti di stimolo all'economia, alla sanità e al welfare. Nei paesi del nord Europa si chiedono sacrifici ai cittadini più abbienti, in Francia e in Germania, accanto ai tagli degli sprechi non si sacrificano le risorse in favore delle famiglie, dell'educazione della scuola. In Germania oltre la metà del maggiore deficit è imputabile a misure di sostegno dell'economia (tra le quali rileva l'intangibilità delle risorse in favore della ricerca); in Spagna circa un terzo; in Francia poco più di un quarto;
in controtendenza con quanto avviene nei paesi europei e anche negli Stati Uniti, per l'Italia, gli interventi di sostegno anti-crisi hanno avuto un impatto nullo sul disavanzo, mentre avrebbero attenuato la caduta del Pil per circa 0,5 punti percentuali, secondo i recenti dati della Banca d'Italia,
impegna il Governo
ad attivarsi nelle sedi competenti europee per promuovere, accanto a misure di stabilizzazione economica, anche politiche attive di crescita e di sviluppo, al fine di concordare l'opportunità di reperire risorse aggiuntive, come prelievi alternativi sugli intermediari internazionali e la tassa sulle transazioni finanziarie, in grado di colpire gli speculatori e di far acquisire risorse aggiuntive da destinare all'occupazione, all'educazione, alla ricerca e allo sviluppo, senza colpire i ceti più deboli e le fasce produttive.
9/3638/161. Farinone, De Pasquale.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame persegue la diminuzione del disavanzo pubblico dal 5 per cento del Pil di quest'anno al 3,95 nel 2011 e al di sotto della soglia del 3 per cento, ossia al 2,7 per cento nel 2012, in ottemperanza al vincolo europeo circa la stabilizzazione della spesa pubblica;
il provvedimento è l'ennesima manovra di stabilizzazione finanziaria - la decima in due anni di legislatura - che ripercorre la logica dei tagli lineari sulle dotazioni di spesa delle missioni del bilancio dello Stato, di parte corrente e di conto capitale. L'articolo 2, infatti, dispone una riduzione lineare del 10 per cento delle dotazioni finanziarie a legislazione vigente delle missioni di spesa di ciascun Ministero;
la manovra è sbagliata in quanto limita a ridurre la spesa pubblica in modo indiscriminato e non equo, è strutturalmente debole e iniqua, priva di una prospettiva per il futuro dei cittadini, ai quali viene chiesto l'ennesimo sacrificio senza che a ciò corrisponda la contemporanea previsione di misure e mezzi atti a generare crescita e sviluppo per il futuro;
i tagli iniqui contenuti nella manovra colpiscono le regioni e gli enti locali senza distinzione tra amministrazioni più o meno virtuose e con un evidente squilibrio a favore delle amministrazioni centrali che, seppure fonti di notevoli sprechi ed inefficienze, vengono penalizzate assai meno delle regioni e degli enti locali. Queste misure colpiranno, attraverso i tagli ai servizi pubblici, i cittadini meno privilegiati. Ben 3,5 miliardi di euro sono sottratti al trasporto pubblico locale, che finiranno inevitabilmente per svantaggiare quelle fasce di ceto medio, lavoratori e studenti, che quotidianamente usano i mezzi pubblici per i loro spostamenti;
una manovra, che sebbene sia presentata come una manovra europea, è poco in linea con quanto predisposto da altri paesi membri. In Europa, la maggior parte dei paesi ha scelto di impegnare rilevanti risorse di bilancio, accanto a manovre di stabilizzazione economica, per attuare provvedimenti di stimolo all'economia, alla sanità e al welfare. Nei paesi del nord Europa si chiedono sacrifici ai cittadini più abbienti, in Francia e in Germania, accanto ai tagli degli sprechi non si sacrificano le risorse in favore delle famiglie, dell'educazione della scuola. In Germania oltre la metà del maggiore deficit è imputabile a misure di sostegno dell'economia (tra le quali rileva l'intangibilità delle risorse in favore della ricerca); in Spagna circa un terzo; in Francia poco più di un quarto;
in controtendenza con quanto avviene nei paesi europei e anche negli Stati Uniti, per l'Italia, gli interventi di sostegno anti-crisi hanno avuto un impatto nullo sul disavanzo, mentre avrebbero attenuato la caduta del Pil per circa 0,5 punti percentuali, secondo i recenti dati della Banca d'Italia,
impegna il Governo
se le condizioni di finanza pubblica lo consentono, ad attivarsi nelle sedi competenti europee per promuovere, accanto a misure di stabilizzazione economica, anche politiche attive di crescita e di sviluppo, al fine di concordare l'opportunità di reperire risorse aggiuntive, come prelievi alternativi sugli intermediari internazionali e la tassa sulle transazioni finanziarie, in grado di colpire gli speculatori e di far acquisire risorse aggiuntive da destinare all'occupazione, all'educazione, alla ricerca e allo sviluppo, senza colpire i ceti più deboli e le fasce produttive.
9/3638/161. (Testo modificato nel corso della seduta) Farinone, De Pasquale.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame persegue la diminuzione del disavanzo pubblico dal 5 per cento del Pil di quest'anno al 3,95 nel 2011 e al di sotto della soglia del 3 per cento, ossia al 2,7 per cento nel 2012, in ottemperanza al vincolo europeo circa la stabilizzazione della spesa pubblica;
il provvedimento è l'ennesima manovra di stabilizzazione finanziaria - la decima in due anni di legislatura - che ripercorre la logica dei tagli lineari sulle dotazioni di spesa delle missioni del bilancio dello Stato, di parte corrente e di conto capitale. L'articolo 2, infatti, dispone una riduzione lineare del 10 per cento delle dotazioni finanziarie a legislazione vigente delle missioni di spesa di ciascun Ministero;
la manovra è sbagliata in quanto limita a ridurre la spesa pubblica in modo indiscriminato e non equo, è strutturalmente debole e iniqua, priva di una prospettiva per il futuro dei cittadini, ai quali viene chiesto l'ennesimo sacrificio senza che a ciò corrisponda la contemporanea previsione di misure e mezzi atti a generare crescita e sviluppo per il futuro;
una manovra, che sebbene sia presentata come una manovra europea, è poco in linea con quanto predisposto da altri paesi membri. In Europa, la maggior parte dei paesi ha scelto di impegnare rilevanti risorse di bilancio, accanto a manovre di stabilizzazione economica, per attuare provvedimenti di stimolo all'economia, alla sanità, al welfare, all'istruzione e alla ricerca;
nei paesi del nord Europa si chiedono sacrifici ai cittadini più abbienti, in Francia e in Germania, accanto ai tagli degli sprechi non si sacrificano le risorse in favore delle famiglie, dell'istruzione e della ricerca. In Germania oltre la metà del maggiore deficit è imputabile a misure di sostegno dell'economia (tra le quali rileva l'intangibilità delle risorse in favore della ricerca), in Spagna circa un terzo, in Francia poco più di un quarto;
in controtendenza con quanto avviene nei paesi europei e anche negli Stati Uniti, per l'Italia, gli interventi di sostegno anti-crisi hanno avuto un impatto nullo sul disavanzo, mentre avrebbero attenuato la caduta del Pil per circa 0,5 punti percentuali, secondo i recenti dati della Banca d'Italia,
impegna il Governo
a prevedere, nell'ambito dei prossimi provvedimenti inerenti la finanza pubblica, ulteriori e specifiche risorse in linea con le misure anticrisi adottate in altri Paesi europei, con particolare riguardo alla promozione di incentivi in favore della ricerca, capaci di far rientrare dall'estero i giovani talenti italiani e di attrarre nuovi giovani talenti dall'estero.
9/3638/162. Losacco, De Pasquale.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame persegue la diminuzione del disavanzo pubblico dal 5 per cento del Pii di quest'anno al 3,95 nel 2011 e al di sotto della soglia del 3 per cento, ossia al 2,7 per cento nel 2012, in ottemperanza al vincolo europeo circa la stabilizzazione della spesa pubblica;
il provvedimento è l'ennesima manovra di stabilizzazione finanziaria - la decima in due anni di legislatura - che ripercorre la logica dei tagli lineari sulle dotazioni di spesa delle missioni del bilancio dello Stato, di parte corrente e di conto capitale. L'articolo 2, infatti, dispone una riduzione lineare del 10 per cento delle dotazioni finanziarie a legislazione vigente delle missioni di spesa di ciascun Ministero;
la manovra è sbagliata in quanto limita a ridurre la spesa pubblica in modo indiscriminato e non equo, è strutturalmente debole e iniqua, priva di una prospettiva per il futuro dei cittadini, ai quali viene chiesto l'ennesimo sacrificio senza che a ciò corrisponda la contemporanea previsione di misure e mezzi atti a generare crescita e sviluppo per il futuro;
una manovra, che sebbene sia presentata come una manovra europea, è poco in linea con quanto predisposto da altri paesi membri. In Europa, la maggior parte dei paesi ha scelto di impegnare rilevanti risorse di bilancio, accanto a manovre di stabilizzazione economica, per attuare provvedimenti di stimolo all'economia, alla sanità, al welfare, all'istruzione e alla ricerca;
nei paesi del nord Europa si chiedono sacrifici ai cittadini più abbienti, in Francia e in Germania, accanto ai tagli degli sprechi non si sacrificano le risorse in favore delle famiglie, dell'istruzione e della ricerca. In Germania oltre la metà del maggiore deficit è imputabile a misure di sostegno dell'economia (tra le quali rileva l'intangibilità delle risorse in favore della ricerca), in Spagna circa un terzo, in Francia poco più di un quarto;
in controtendenza con quanto avviene nei paesi europei e anche negli Stati Uniti, per l'Italia, gli interventi di sostegno anti-crisi hanno avuto un impatto nullo sul disavanzo, mentre avrebbero attenuato la caduta del Pil per circa 0,5 punti percentuali, secondo i recenti dati della Banca d'Italia,
impegna il Governo
se le condizioni di finanza pubblica lo consentono, a prevedere, nell'ambito dei prossimi provvedimenti inerenti la finanza pubblica, ulteriori e specifiche risorse in linea con le misure anticrisi adottate in altri Paesi europei, con particolare riguardo alla promozione di incentivi in favore della ricerca, capaci di far rientrare dall'estero i giovani talenti italiani e di attrarre nuovi giovani talenti dall'estero.
9/3638/162. (Testo modificato nel corso della seduta) Losacco, De Pasquale.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame contiene alcune disposizioni riguardanti la materia dell'antifrode e dell'antiriciclaggio, nonché di contrasto e prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio (articoli 20, 36 e 37);
in particolare, l'articolo 20 prevede la reintroduzione della tracciabilità e la limitazione all'uso del contante e dei titoli al portatore, introdotta durante la XV Legislatura e cancellata inopinatamente all'inizio della legislatura corrente; la disposizione, ora ripristinata, abbassa da 12.500 a 5.000 la soglia al di sopra della quale è sancito l'obbligo di ricorrere a strumenti di pagamento rintracciabili, tornando così alla versione iniziale del decreto legislativo n. 231 del 2007, di attuazione della Direttiva comunitaria del 2005 concernente la prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo, e della direttiva del 2006 che ne reca misure di esecuzione;
in riferimento alle disposizioni antiriciclaggio, rileva l'articolo 37 che dà mandato al ministero dell'economia per l'individuazione della black list, in aderenza alle decisioni assunte dal Gafi (Gruppo intergovernativo d'azione finanziaria internazionale contro il riciclaggio di capitali), dall'Ocse o sulla base di altre informazioni risultanti da cooperazioni bilaterali, anche in riferimento alla necessità di trasparenza degli assetti proprietari di società che prendono parte alle procedure di appalto pubblico;
tali disposizioni, sebbene contengano alcuni profili importanti, si rivelano insufficienti a far fronte a un fenomeno criminale complesso, pervasivo in ogni settore della società italiana e di carattere transnazionale;
le organizzazioni criminali, sempre più mafie di affari, e sempre più aggressive nell'acquisire spazi di potere economico per alterare il mercato e inquinare il sistema finanziario, evidenziano l'urgenza di intervenire più efficacemente per contrastare il riciclaggio e soprattutto il fenomeno del cosiddetto «antiriciclaggio», uno dei più importanti canali di utilizzazione dei proventi dei delitti posti in essere dal crimine organizzato;
la mancata introduzione nel nostro ordinamento della fattispecie criminale specifica dell'«autoriciclaggio», ci priva di uno strumento importante di prevenzione e repressione di una modalità cui ricorrono sempre più spesso le associazioni criminali di stampo mafioso, che occultano la provenienza illecita delle loro risorse, traendo da ingenti patrimoni le risorse per la loro attività illegale. In base alle previsioni penali vigenti, l'autore o il complice del reato presupposto non è punibile per il reato di riciclaggio, mentre lo è il terzo estraneo al reato presupposto che cooperi con il reo;
è necessario prevedere che le attuali disposizioni sul riciclaggio si applichino anche nei confronti della persona che ha concorso nel reato presupposto, ad eccezione degli atti di godimento che non eccedano l'uso dei beni secondo la naturale destinazione, ovvero in caso di utilizzo del denaro dei beni o delle altre utilità provento del reato presupposto per finalità non speculative, imprenditoriali o commerciali,
impegna il Governo
ad adottare iniziative normative, nel termine di tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge, affinché sia introdotta l'autonoma fattispecie di reato concernente «autoriciclaggio», al fine di colmare una grave lacuna del nostro ordinamento e potenziare gli strumenti di contrasto al fenomeno, sempre più complesso, del riciclaggio di ingenti patrimoni e flussi finanziari mafiosi.
9/3638/163. Garavini.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame contiene alcune disposizioni riguardanti la materia dell'antifrode e dell'antiriciclaggio, nonché di contrasto e prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio (articoli 20, 36 e 37);
in particolare, l'articolo 20 prevede la reintroduzione della tracciabilità e la limitazione all'uso del contante e dei titoli al portatore, introdotta durante la XV Legislatura e cancellata inopinatamente all'inizio della legislatura corrente; la disposizione, ora ripristinata, abbassa da 12.500 a 5.000 la soglia al di sopra della quale è sancito l'obbligo di ricorrere a strumenti di pagamento rintracciabili, tornando così alla versione iniziale del decreto legislativo n. 231 del 2007, di attuazione della Direttiva comunitaria del 2005 concernente la prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo, e della direttiva del 2006 che ne reca misure di esecuzione;
in riferimento alle disposizioni antiriciclaggio, rileva l'articolo 37 che dà mandato al ministero dell'economia per l'individuazione della black list, in aderenza alle decisioni assunte dal Gafi (Gruppo intergovernativo d'azione finanziaria internazionale contro il riciclaggio di capitali), dall'Ocse o sulla base di altre informazioni risultanti da cooperazioni bilaterali, anche in riferimento alla necessità di trasparenza degli assetti proprietari di società che prendono parte alle procedure di appalto pubblico;
tali disposizioni, sebbene contengano alcuni profili importanti, si rivelano insufficienti a far fronte a un fenomeno criminale complesso, pervasivo in ogni settore della società italiana e di carattere transnazionale;
le organizzazioni criminali, sempre più mafie di affari, e sempre più aggressive nell'acquisire spazi di potere economico per alterare il mercato e inquinare il sistema finanziario, evidenziano l'urgenza di intervenire più efficacemente per contrastare il riciclaggio e soprattutto il fenomeno del cosiddetto «antiriciclaggio», uno dei più importanti canali di utilizzazione dei proventi dei delitti posti in essere dal crimine organizzato;
la mancata introduzione nel nostro ordinamento della fattispecie criminale specifica dell'«autoriciclaggio», ci priva di uno strumento importante di prevenzione e repressione di una modalità cui ricorrono sempre più spesso le associazioni criminali di stampo mafioso, che occultano la provenienza illecita delle loro risorse, traendo da ingenti patrimoni le risorse per la loro attività illegale. In base alle previsioni penali vigenti, l'autore o il complice del reato presupposto non è punibile per il reato di riciclaggio, mentre lo è il terzo estraneo al reato presupposto che cooperi con il reo;
è necessario prevedere che le attuali disposizioni sul riciclaggio si applichino anche nei confronti della persona che ha concorso nel reato presupposto, ad eccezione degli atti di godimento che non eccedano l'uso dei beni secondo la naturale destinazione, ovvero in caso di utilizzo del denaro dei beni o delle altre utilità provento del reato presupposto per finalità non speculative, imprenditoriali o commerciali,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di adottare iniziative normative, nel termine di tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge, affinché sia introdotta l'autonoma fattispecie di reato concernente «autoriciclaggio», al fine di colmare una grave lacuna del nostro ordinamento e potenziare gli strumenti di contrasto al fenomeno, sempre più complesso, del riciclaggio di ingenti patrimoni e flussi finanziari mafiosi.
9/3638/163. (Testo modificato nel corso della seduta) Garavini.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame è volto a conseguire la diminuzione del disavanzo pubblico dal 5 per cento del Pil di quest'anno al 3,95 nel 2011 e al di sotto della soglia del 3 per cento, ossia al 2,7 per cento nel 2012, in ottemperanza al vincolo europeo circa la stabilizzazione della spesa pubblica;
il provvedimento è l'ennesima manovra di stabilizzazione finanziaria - la decima in due anni di legislatura - che ripercorre la logica dei tagli lineari sulle dotazioni di spesa delle missioni del bilancio dello Stato, di parte corrente e di conto capitale. L'articolo 2, infatti, dispone una riduzione lineare del 10 per cento delle dotazioni finanziarie a legislazione vigente delle missioni di spesa di ciascun Ministero;
la manovra è sbagliata in quanto limita a ridurre la spesa pubblica in modo indiscriminato e non equo, è strutturalmente debole e iniqua, priva di una prospettiva per il futuro dei cittadini, ai quali viene chiesto l'ennesimo sacrificio senza che a ciò corrisponda la contemporanea previsione di misure e mezzi atti a generare crescita e sviluppo per il futuro;
i tagli iniqui contenuti nella manovra colpiscono le regioni e gli enti locali senza distinzione tra amministrazioni più o meno virtuose e con un evidente squilibrio a favore delle amministrazioni centrali che, seppure fonti di notevoli sprechi ed inefficienze, vengono penalizzate assai meno delle regioni e degli enti locali. Queste misure colpiranno, attraverso i tagli ai servizi pubblici, i cittadini meno privilegiati. Ben 3,5 miliardi di euro sono sottratti al trasporto pubblico locale, che finiranno inevitabilmente per svantaggiare quelle fasce di ceto medio, lavoratori e studenti, che quotidianamente usano i mezzi pubblici per i loro spostamenti;
una manovra, che sebbene sia presentata come una manovra europea, è poco in linea con quanto predisposto da altri paesi membri. In Europa, la maggior parte dei paesi ha scelto di impegnare rilevanti risorse di bilancio, accanto a manovre di stabilizzazione economica, per attuare provvedimenti di stimolo all'economia, alla sanità e al welfare. Nei paesi del nord Europa si chiedono sacrifici ai cittadini più abbienti, in Francia e in Germania, accanto ai tagli degli sprechi non si sacrificano le risorse in favore delle famiglie, dell'educazione della scuola. In Germania oltre la metà del maggiore deficit è imputabile a misure di sostegno dell'economia (tra le quali rileva l'intangibilità delle risorse in favore della ricerca); in Spagna circa un terzo; in Francia poco più di un quarto;
in controtendenza con quanto avviene nei paesi europei e anche negli Stati Uniti, per l'Italia, gli interventi di sostegno anti-crisi hanno avuto un impatto nullo sul disavanzo, mentre avrebbero attenuato la caduta del Pil per circa 0,5 punti percentuali, secondo i recenti dati della Banca d'Italia,
impegna il Governo
a valutare la possibilità di adottare iniziative normative volte a introdurre, accanto a misure di stabilizzazione economica, anche misure concordate a livello europeo, per tutelare le fasce a rischio di povertà nel nostro Paese e in Europa, in favore dell'introduzione del reddito minimo europeo, per realizzare un Piano urgente per il lavoro e l'occupazione e per evitare fenomeni di dumping sociale, in aderenza al quanto prospettato nel Rapporto di Mario Monti, «Una nuova strategia per il mercato unico», consegnato il 10 maggio scorso al Presidente della Commissione europea.
9/3638/164. Castagnetti.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame è volto a conseguire la diminuzione del disavanzo pubblico dal 5 per cento del Pil di quest'anno al 3,95 nel 2011 e al di sotto della soglia del 3 per cento, ossia al 2,7 per cento nel 2012, in ottemperanza al vincolo europeo circa la stabilizzazione della spesa pubblica;
il provvedimento è l'ennesima manovra di stabilizzazione finanziaria - la decima in due anni di legislatura - che ripercorre la logica dei tagli lineari sulle dotazioni di spesa delle missioni del bilancio dello Stato, di parte corrente e di conto capitale. L'articolo 2, infatti, dispone una riduzione lineare del 10 per cento delle dotazioni finanziarie a legislazione vigente delle missioni di spesa di ciascun Ministero;
la manovra è sbagliata in quanto limita a ridurre la spesa pubblica in modo indiscriminato e non equo, è strutturalmente debole e iniqua, priva di una prospettiva per il futuro dei cittadini, ai quali viene chiesto l'ennesimo sacrificio senza che a ciò corrisponda la contemporanea previsione di misure e mezzi atti a generare crescita e sviluppo per il futuro;
i tagli iniqui contenuti nella manovra colpiscono le regioni e gli enti locali senza distinzione tra amministrazioni più o meno virtuose e con un evidente squilibrio a favore delle amministrazioni centrali che, seppure fonti di notevoli sprechi ed inefficienze, vengono penalizzate assai meno delle regioni e degli enti locali. Queste misure colpiranno, attraverso i tagli ai servizi pubblici, i cittadini meno privilegiati. Ben 3,5 miliardi di euro sono sottratti al trasporto pubblico locale, che finiranno inevitabilmente per svantaggiare quelle fasce di ceto medio, lavoratori e studenti, che quotidianamente usano i mezzi pubblici per i loro spostamenti;
una manovra, che sebbene sia presentata come una manovra europea, è poco in linea con quanto predisposto da altri paesi membri. In Europa, la maggior parte dei paesi ha scelto di impegnare rilevanti risorse di bilancio, accanto a manovre di stabilizzazione economica, per attuare provvedimenti di stimolo all'economia, alla sanità e al welfare. Nei paesi del nord Europa si chiedono sacrifici ai cittadini più abbienti, in Francia e in Germania, accanto ai tagli degli sprechi non si sacrificano le risorse in favore delle famiglie, dell'educazione della scuola. In Germania oltre la metà del maggiore deficit è imputabile a misure di sostegno dell'economia (tra le quali rileva l'intangibilità delle risorse in favore della ricerca); in Spagna circa un terzo; in Francia poco più di un quarto;
in controtendenza con quanto avviene nei paesi europei e anche negli Stati Uniti, per l'Italia, gli interventi di sostegno anti-crisi hanno avuto un impatto nullo sul disavanzo, mentre avrebbero attenuato la caduta del Pil per circa 0,5 punti percentuali, secondo i recenti dati della Banca d'Italia,
impegna il Governo
se le condizioni di finanza pubblica lo consentono, a valutare la possibilità di adottare iniziative normative volte a introdurre, accanto a misure di stabilizzazione economica, anche misure concordate a livello europeo, per tutelare le fasce a rischio di povertà nel nostro Paese e in Europa, in favore dell'introduzione del reddito minimo europeo, per realizzare un Piano urgente per il lavoro e l'occupazione e per evitare fenomeni di dumping sociale, in aderenza al quanto prospettato nel Rapporto di Mario Monti, «Una nuova strategia per il mercato unico», consegnato il 10 maggio scorso al Presidente della Commissione europea.
9/3638/164. (Testo modificato nel corso della seduta) Castagnetti.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame delinea nella sostanza di una manovra correttiva da 24,9 miliardi di euro nel biennio 2010-2011 che penalizza in particolare Regioni ed enti locali e taglia il welfare colpendo in particolare l'assistenza sanitaria;
la manovra è stata giustificata dalle richieste di un maggior rigore da parte della Commissione Europea nel contenimento della spesa pubblica, ma è stata concepita e realizzata, come dimostrano le numerose proteste da parte delle categorie più disparate della stessa amministrazione pubblica, spesso operando tagli di carattere quantitativo piuttosto che qualitativo, che vanno ad incidere anche su servizi essenziali che dovrebbero essere garantiti dallo Stato o dalle autonomie locali;
i Governatori delle Regioni nel loro documento presentato il 9 giugno scorso in occasione dell'incontro con i ministri dell'economia e delle finanze, delle regioni e delle riforme hanno calcolato, come riportato dal Sole 24 Ore, che «su una spesa nel biennio di 64 miliardi di euro, le Regioni a statuto ordinario subirebbero tagli di spesa del 13,28 per cento, quelle speciali del 4,16 per cento. I Comuni del 3,1 per cento, le Province del 3,7 per cento, mentre per lo Stato il taglio sarebbe soltanto dell'1,22 per cento». Per questi motivi nella riunione della Conferenza delle Regioni del 15 giugno è stato approvato un documento all'unanimità in cui si definisce il disegno di legge in esame «testo senza condivisione, né sulle misure né sull'entità del taglio»;
il taglio appare tanto più grave se si effettua una valutazione qualitativa dei tagli di spesa, perché si tagliano nel biennio più di 3.557 milioni di euro al trasporto pubblico locale (asset chiave per qualsiasi politica che voglia perseguire l'obiettivo della riduzione del traffico privato) e quasi 461 milioni di euro alla spesa ambientale;
un'ulteriore preoccupazione deriva dall'erosione progressiva delle risorse di bilancio del Ministero dell'ambiente, della tutela del territorio e del mare che, a quanto si ricava dall'Allegato 1 al dl 78/2010, nel triennio 2011-2013 dovrebbe portare ad un'ulteriore riduzione di 8 milioni e 566 mila euro (4 milioni e 387 mila euro nel biennio 2011-2012);
la riduzione progressiva della capacità operativa del Governo in campo ambientale appare essere un disegno tanto ineluttabile, quanto intollerabile; già nei tagli alle spese dei vari dicasteri contenuti due anni fa nel primo decreto Tremonti (decreto legge n. 112 del 2008): il Governo si era ripromesso che in tre anni, dal 2009 al 2011, i fondi del Ministero dell'ambiente sarebbero stati ridotti del 52 per cento; il taglio previsto da quella prima ambiziosa Manovra triennale stabiliva, già due anni fa, una riduzione nel triennio di 678 milioni di euro sui 1.300 milioni di euro realmente disponibili nel 2008;
lo stesso Ministro dell'ambiente, della tutela del territorio e del mare aveva già denunciato, a fine 2009, un ulteriore ridimensionamento, del bilancio del Ministero dai circa 1.700 milioni di euro nel 2008, ai 1.265 milioni del 2009, ai 738 milioni circa del 2010, per arrivare a 590 milioni di euro nel 2011;
il comma 24 dell'articolo 7 del provvedimento in esame prevede la riduzione del 50 per cento degli stanziamenti sui competenti capitoli degli stati di previsione delle amministrazioni vigilanti relativi al contributo dello Stato a enti, istituti, fondazioni e altri organismi rispetto all'anno 2009;
il 2010 è stato proclamato dall'Onu anno internazionale della Biodiversità per richiamare l'attenzione del mondo alla problematiche legate alla perdita di biodiversità;
nel nostro Paese si è celebrata da poco la Prima Conferenza nazionale per la Biodiversità che ha lanciato anche la Strategia Nazionale per la Biodiversità, anche in vista dell'appuntamento di ottobre a Nagoya dove si terrà la COP 10 della Convenzione delle Nazioni Unite sulla diversità biologica;
in Italia il sistema delle Aree Protette previsto e disciplinato dalla Legge 394/91 rappresenta il più importante strumento per la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale del nostro Paese, permettendoci non solo di valorizzare aree altrimenti depresse e marginali, ma anche di onorare impegni internazionali, come quello della Convenzione ratificato con legge n. 124 del 14 febbraio 1994 e obblighi comunitari, come quello legato al sistema Natura 2000;
si ritiene pertanto che gli enti di gestione della aree protette debbano essere esclusi dal taglio generalizzato previsto dal comma 24 dell'articolo 7 poiché questo taglio bloccherebbe (non è un rischio ma un dato di fatto) l'operatività dei singoli enti, a cominciare dalla possibilità di pagare gli stipendi dei dipendenti; verrebbero azzerate le attività di vigilanza dei territori, di ricerca scientifica, di valorizzazione delle risorse naturali del territorio;
in sostanza, si bloccherebbe il funzionamento della Legge n. 394 del 1991, legge quadro sulle Aree Protette, senza aver previsto meccanismi alternativi che comunque consentano l'assolvimento della funzione dei Parchi prevista dalla Legge quadro; attualmente le risorse trasferite alle Aree Protette sono esigue e per poter programmare le attività gli enti devono ricorrere a bandi e opportunità che arrivano da privati o dall'Unione Europea; un ulteriore taglio, anche inferiore al 50 per cento, impedirebbe anche lo svolgimento di queste attività di ricerca di fondi,
impegna il Governo
a garantire che le pur necessarie scelte di rigore economico non comportino conseguenze irreparabili sul sistema delle aree protette italiane e sul funzionamento degli enti parco, rischiando di mettere in crisi quella forma di economia che trae linfa vitale dallo stato di salute dei parchi e delle riserve del nostro paese.
9/3638/165. Ginoble, Mariani, Realacci, Benamati, Bocci, Braga, Bratti, Esposito, Iannuzzi, Marantelli, Margiotta, Morassut, Motta, Viola, Zamparutti, De Pasquale.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame delinea nella sostanza di una manovra correttiva da 24,9 miliardi di euro nel biennio 2010-2011 che penalizza in particolare Regioni ed enti locali e taglia il welfare colpendo in particolare l'assistenza sanitaria;
la manovra è stata giustificata dalle richieste di un maggior rigore da parte della Commissione Europea nel contenimento della spesa pubblica, ma è stata concepita e realizzata, come dimostrano le numerose proteste da parte delle categorie più disparate della stessa amministrazione pubblica, spesso operando tagli di carattere quantitativo piuttosto che qualitativo, che vanno ad incidere anche su servizi essenziali che dovrebbero essere garantiti dallo Stato o dalle autonomie locali;
i Governatori delle Regioni nel loro documento presentato il 9 giugno scorso in occasione dell'incontro con i ministri dell'economia e delle finanze, delle regioni e delle riforme hanno calcolato, come riportato dal Sole 24 Ore, che «su una spesa nel biennio di 64 miliardi di euro, le Regioni a statuto ordinario subirebbero tagli di spesa del 13,28 per cento, quelle speciali del 4,16 per cento. I Comuni del 3,1 per cento, le Province del 3,7 per cento, mentre per lo Stato il taglio sarebbe soltanto dell'1,22 per cento». Per questi motivi nella riunione della Conferenza delle Regioni del 15 giugno è stato approvato un documento all'unanimità in cui si definisce il disegno di legge in esame «testo senza condivisione, né sulle misure né sull'entità del taglio»;
il taglio appare tanto più grave se si effettua una valutazione qualitativa dei tagli di spesa, perché si tagliano nel biennio più di 3.557 milioni di euro al trasporto pubblico locale (asset chiave per qualsiasi politica che voglia perseguire l'obiettivo della riduzione del traffico privato) e quasi 461 milioni di euro alla spesa ambientale;
l'articolo 15, comma 1, del disegno di legge in esame prevede l'applicazione del pedaggio sulle autostrade e sui raccordi autostradali in gestione diretta di Anas Spa;
il comma 2 del sopracitato articolo dispone inoltre le norme transitorie relative al provvedimento: in attesa dell'apposito decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, è infatti prevista una «maggiorazione tariffaria forfettaria di un euro per le classi di pedaggio A e B e di due euro per le classi di pedaggio 3, 4 e 5, presso le stazioni di esazione delle autostrade a pedaggio che si interconnettono con le autostrade e i raccordi autostradali in gestione diretta Anas»;
lo stesso articolo 15 sopracitato specifica inoltre, al comma 3, che l'applicazione del pedaggio in questione è «in relazione ai costi di investimento e di manutenzione straordinaria oltre che a quelli relativi alla gestione» della tratta stradale;
il comma 4, articolo 15, del provvedimento in esame prevede che venga aumentato di alcuni millesimi di euro (da 1 a 5 millesimi, calcolato sulle percorrenza chilometrica e a seconda della classe di pedaggio dei veicoli) il canone annuo che deve essere corrisposto dai concessionari ad ANAS SpA dalle concessionari autostradali;
come rilevato da «Il Sole 24 Ore» ciò ha comportato aumenti dei pedaggi su tutta la rete autostradale dall'1,5 al 5 per cento dal primo luglio 2010 e altrettanto dal primo giugno 2011; l'ipotesi è quindi quella di un trasferimento integrale dei sovracanoni sulle tariffe, con una penalizzazione maggiore sui percorsi brevi intorno ai 60 km;
di conseguenza ci troviamo di fronte all'ennesimo aumento d'ufficio ope legis, delle tariffe autostradali, in una situazione in cui il settore autostradale è tra quelli più protetti nel nostro Paese e quello che a meno sofferto della crisi;
i dati Aiscat (l'associazione delle concessionarie autostradali) relativi al 2009 - sempre secondo quanto riportato da «Il Sole 24 Ore» del 10 maggio 2010 - hanno rilevato 82 miliardi di chilometri percorsi, appena lo 0,9 per cento in meno rispetto all'anno precedente, quasi che siano stati del tutto irrilevanti per il settore la contrazione lo scorso anno del PIL (-5 per cento), della produzione industriale (-17,5 per cento) e dei consumi di carburanti (-2,9 per cento);
gli aumenti conseguenti all'introduzione della norma sono stati estremamente variabili ed irrazionali: per il raccordo autostradale Valle d'Aosta l'aumento è dello 0,51 per cento, la Tangenziale di Napoli balza del 6,63 per cento; inoltre: Torino-Quincinetto +6,57 per cento; Milano-Serravalle +2,48 per cento; Piacenza-Brescia +2,61 per cento; Brescia-Padova +1,59 per cento; Parma-La Spezia +1,61 per cento; Milano-Torino +19,46 per cento, Torino-Piacenza +12,63 per cento; Venezia-Padova +0,66 per cento; Torino-Savona +0,73 per cento; Torino-Bardonecchia +4,57 per cento; Genova-Ventimiglia +1,83 per cento; Sestri Levante-Livorno +4,55 per cento; Livorno-Rosignano M. +5,14 per cento; Napoli-Salerno +4,89 per cento; Torino-Aosta +2,90 per cento; Raccordo Gran S. Bernardo +2,71 per cento; Asti-Cuneo +9,30;
in pratica si è tornati, con l'avallo del Governo, a valori del tutto arbitrari a spese dei consumatori, invece che fare riferimento a parametri oggettivi per calcolare i pedaggi a fronte di investimenti delle concessionarie;
si ritiene, quindi, che sia profondamente ingiusto, visti gli ampi margini di profitto che pur in un periodo di gravissima crisi sono stati conseguiti dalle Concessionarie autostradali, che il sovracanone richiesto da ANAS venga scaricato sugli utenti,
impegna il Governo:
ad introdurre ulteriori iniziative normative volte a rivedere il sistema tariffario autostradale in modo da ridurre il costo dei pedaggi e da razionalizzarne le entrate, facendo riferimento a parametri obiettivi che tengono conto degli investimenti effettuati dalle società concessionarie;
a prevedere l'esclusione dal pedaggio, disposto dai commi 1 e 2 dell'articolo 15 del provvedimento in esame, sulle autostrade e sui raccordi autostradali in gestione diretta di Anas Spa per i cittadini residenti nei comuni in cui insistono le rispettive autostrade e i raccordi autostradali;
a prevedere che l'Anas Spa debba destinare le maggiori entrate, provenienti dai singoli pedaggi introdotti per la fruizione delle autostrade e dei raccordi autostradali, ai rispettivi compartimenti regionali per consentire la corretta manutenzione ordinaria e straordinaria dei relativi tratti stradali.
9/3638/166. Ceccuzzi, Iannuzzi, Mariani, Realacci, Benamati, Bocci, Braga, Bratti, Esposito, Ginoble, Marantelli, Margiotta, Morassut, Motta, Viola, Zamparutti, De Pasquale.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame delinea nella sostanza di una manovra correttiva da 24,9 miliardi di euro nel biennio 2010-2011 che penalizza in particolare Regioni ed enti locali e taglia il welfare colpendo in particolare l'assistenza sanitaria;
la manovra è stata giustificata dalle richieste di un maggior rigore da parte della Commissione Europea nel contenimento della spesa pubblica, ma è stata concepita e realizzata, come dimostrano le numerose proteste da parte delle categorie più disparate della stessa amministrazione pubblica, spesso operando tagli di carattere quantitativo piuttosto che qualitativo, che vanno ad incidere anche su servizi essenziali che dovrebbero essere garantiti dallo Stato o dalle autonomie locali;
i Governatori delle Regioni nel loro documento presentato il 9 giugno scorso in occasione dell'incontro con i ministri dell'economia e delle finanze, delle regioni e delle riforme hanno calcolato, come riportato dal Sole 24 Ore, che «su una spesa nel biennio di 64 miliardi di euro, le Regioni a statuto ordinario subirebbero tagli di spesa del 13,28 per cento, quelle speciali del 4,16 per cento. I Comuni del 3,1 per cento, le Province del 3,7 per cento, mentre per lo Stato il taglio sarebbe soltanto dell'1,22 per cento». Per questi motivi nella riunione della Conferenza delle Regioni del 15 giugno è stato approvato un documento all'unanimità in cui si definisce il disegno di legge in esame «testo senza condivisione, né sulle misure né sull'entità del taglio»;
il taglio appare tanto più grave se si effettua una valutazione qualitativa dei tagli di spesa, perché si tagliano nel biennio più di 3.557 milioni di euro al trasporto pubblico locale (asset chiave per qualsiasi politica che voglia perseguire l'obiettivo della riduzione del traffico privato) e quasi 461 milioni di euro alla spesa ambientale;
l'articolo 15, comma 1, del disegno di legge in esame prevede l'applicazione del pedaggio sulle autostrade e sui raccordi autostradali in gestione diretta di Anas Spa;
il comma 2 del sopracitato articolo dispone inoltre le norme transitorie relative al provvedimento: in attesa dell'apposito decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, è infatti prevista una «maggiorazione tariffaria forfettaria di un euro per le classi di pedaggio A e B e di due euro per le classi di pedaggio 3, 4 e 5, presso le stazioni di esazione delle autostrade a pedaggio che si interconnettono con le autostrade e i raccordi autostradali in gestione diretta Anas»;
lo stesso articolo 15 sopracitato specifica inoltre, al comma 3, che l'applicazione del pedaggio in questione è «in relazione ai costi di investimento e di manutenzione straordinaria oltre che a quelli relativi alla gestione» della tratta stradale;
il comma 4, articolo 15, del provvedimento in esame prevede che venga aumentato di alcuni millesimi di euro (da 1 a 5 millesimi, calcolato sulle percorrenza chilometrica e a seconda della classe di pedaggio dei veicoli) il canone annuo che deve essere corrisposto dai concessionari ad ANAS SpA dalle concessionari autostradali;
come rilevato da «Il Sole 24 Ore» ciò ha comportato aumenti dei pedaggi su tutta la rete autostradale dall'1,5 al 5 per cento dal primo luglio 2010 e altrettanto dal primo giugno 2011; l'ipotesi è quindi quella di un trasferimento integrale dei sovracanoni sulle tariffe, con una penalizzazione maggiore sui percorsi brevi intorno ai 60 km;
di conseguenza ci troviamo di fronte all'ennesimo aumento d'ufficio ope legis, delle tariffe autostradali, in una situazione in cui il settore autostradale è tra quelli più protetti nel nostro Paese e quello che a meno sofferto della crisi;
i dati Aiscat (l'associazione delle concessionarie autostradali) relativi al 2009 - sempre secondo quanto riportato da «Il Sole 24 Ore» del 10 maggio 2010 - hanno rilevato 82 miliardi di chilometri percorsi, appena lo 0,9 per cento in meno rispetto all'anno precedente, quasi che siano stati del tutto irrilevanti per il settore la contrazione lo scorso anno del PIL (-5 per cento), della produzione industriale (-17,5 per cento) e dei consumi di carburanti (-2,9 per cento);
gli aumenti conseguenti all'introduzione della norma sono stati estremamente variabili ed irrazionali: per il raccordo autostradale Valle d'Aosta l'aumento è dello 0,51 per cento, la Tangenziale di Napoli balza del 6,63 per cento; inoltre: Torino-Quincinetto +6,57 per cento; Milano-Serravalle +2,48 per cento; Piacenza-Brescia +2,61 per cento; Brescia-Padova +1,59 per cento; Parma-La Spezia +1,61 per cento; Milano-Torino +19,46 per cento, Torino-Piacenza +12,63 per cento; Venezia-Padova +0,66 per cento; Torino-Savona +0,73 per cento; Torino-Bardonecchia +4,57 per cento; Genova-Ventimiglia +1,83 per cento; Sestri Levante-Livorno +4,55 per cento; Livorno-Rosignano M. +5,14 per cento; Napoli-Salerno +4,89 per cento; Torino-Aosta +2,90 per cento; Raccordo Gran S. Bernardo +2,71 per cento; Asti-Cuneo +9,30;
in pratica si è tornati, con l'avallo del Governo, a valori del tutto arbitrari a spese dei consumatori, invece che fare riferimento a parametri oggettivi per calcolare i pedaggi a fronte di investimenti delle concessionarie;
si ritiene, quindi, che sia profondamente ingiusto, visti gli ampi margini di profitto che pur in un periodo di gravissima crisi sono stati conseguiti dalle Concessionarie autostradali, che il sovracanone richiesto da ANAS venga scaricato sugli utenti,
impegna il Governo:
a valutare l'opportunità di introdurre ulteriori iniziative normative volte a rivedere il sistema tariffario autostradale in modo da ridurre il costo dei pedaggi e da razionalizzarne le entrate, facendo riferimento a parametri obiettivi che tengono conto degli investimenti effettuati dalle società concessionarie;
a prevedere l'esclusione dal pedaggio, disposto dai commi 1 e 2 dell'articolo 15 del provvedimento in esame, sulle autostrade e sui raccordi autostradali in gestione diretta di Anas Spa per i cittadini residenti nei comuni in cui insistono le rispettive autostrade e i raccordi autostradali;
a prevedere che l'Anas Spa debba destinare le maggiori entrate, provenienti dai singoli pedaggi introdotti per la fruizione delle autostrade e dei raccordi autostradali, ai rispettivi compartimenti regionali per consentire la corretta manutenzione ordinaria e straordinaria dei relativi tratti stradali.
9/3638/166. (Testo modificato nel corso della seduta) Ceccuzzi, Iannuzzi, Mariani, Realacci, Benamati, Bocci, Braga, Bratti, Esposito, Ginoble, Marantelli, Margiotta, Morassut, Motta, Viola, Zamparutti, De Pasquale.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame delinea, nella sostanza, una manovra correttiva da 24,9 miliardi di euro nel biennio 2010-2011 che penalizza in particolare Regioni ed enti locali e taglia il welfare colpendo in particolare l'assistenza sanitaria;
la manovra è stata giustificata dalle richieste di un maggior rigore da parte della Commissione Europea nel contenimento della spesa pubblica, ma è stata concepita e realizzata, come dimostrano le numerose proteste da parte delle categorie più disparate della stessa amministrazione pubblica, spesso operando tagli di carattere quantitativo piuttosto che qualitativo, che vanno ad incidere anche su servizi essenziali che dovrebbero essere garantiti dallo Stato o dalle autonomie locali;
i Governatori delle Regioni nel loro documento presentato il 9 giugno scorso in occasione dell'incontro con i ministri dell'economia e delle finanze, delle regioni e delle riforme hanno calcolato, come riportato dal Sole 24 Ore, che «su una spesa nel biennio di 64 miliardi di euro, le Regioni a statuto ordinario subirebbero tagli di spesa del 13,28 per cento, quelle speciali del 4,16 per cento. I Comuni del 3,1 per cento, le Province del 3,7 per cento, mentre per lo Stato il taglio sarebbe soltanto dell'1,22 per cento». Per questi motivi nella riunione della Conferenza delle Regioni del 15 giugno è stato approvato un documento all'unanimità in cui si definisce il disegno di legge in esame «testo senza condivisione, né sulle misure né sull'entità del taglio»;
il taglio appare tanto più grave se si effettua una valutazione qualitativa dei tagli di spesa, perché si tagliano nel biennio più di 3.557 milioni di euro al trasporto pubblico locale (asset chiave per qualsiasi politica che voglia perseguire l'obiettivo della riduzione del traffico privato) e quasi 461 milioni di euro alla spesa ambientale;
il comma 6-ter, lettera a), dell'articolo 15, prevede che le compensazioni per le concessioni di derivazione di acqua per uso idroelettrico vengano destinate anche a misure di «compensazione territoriale»;
il testo nasce da una modifica del testo originario del decreto, il quale consente azioni di «compensazione» solo se destinate al «miglioramento e risanamento ambientale del bacino idrografico di pertinenza», mentre con l'aggiunta succitata si apre alla possibilità di utilizzare in modo estensivo, generico ed improprio le eventuali compensazioni ambientali in interventi, che nulla hanno a che vedere con le finalità per le quali queste sono state concepite,
impegna il Governo
ad adoperarsi affinché, nella fase attuativa della norma citata in premessa, le risorse provenienti dalle compensazioni per le concessioni di acqua per uso idroelettrico vengano destinate prioritariamente - se non esclusivamente - ad interventi di miglioramento e risanamento ambientale del bacino idrografico di pertinenza.
9/3638/167. Benamati, Iannuzzi, Mariani, Realacci, Bocci, Braga, Bratti, Esposito, Ginoble, Marantelli, Margiotta, Morassut, Motta, Viola, Zamparutti.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame delinea, nella sostanza, una manovra correttiva da 24,9 miliardi di euro nel biennio 2010-2011 che penalizza in particolare Regioni ed enti locali e taglia il welfare colpendo in particolare l'assistenza sanitaria;
la manovra è stata giustificata dalle richieste di un maggior rigore da parte della Commissione Europea nel contenimento della spesa pubblica, ma è stata concepita e realizzata, come dimostrano le numerose proteste da parte delle categorie più disparate della stessa amministrazione pubblica, spesso operando tagli di carattere quantitativo piuttosto che qualitativo, che vanno ad incidere anche su servizi essenziali che dovrebbero essere garantiti dallo Stato o dalle autonomie locali;
i Governatori delle Regioni nel loro documento presentato il 9 giugno scorso in occasione dell'incontro con i ministri dell'economia e delle finanze, delle regioni e delle riforme hanno calcolato, come riportato dal Sole 24 Ore, che «su una spesa nel biennio di 64 miliardi di euro, le Regioni a statuto ordinario subirebbero tagli di spesa del 13,28 per cento, quelle speciali del 4,16 per cento. I Comuni del 3,1 per cento, le Province del 3,7 per cento, mentre per lo Stato il taglio sarebbe soltanto dell'1,22 per cento». Per questi motivi nella riunione della Conferenza delle Regioni del 15 giugno è stato approvato un documento all'unanimità in cui si definisce il disegno di legge in esame «testo senza condivisione, né sulle misure né sull'entità del taglio»;
il taglio appare tanto più grave se si effettua una valutazione qualitativa dei tagli di spesa, perché si tagliano nel biennio più di 3.557 milioni di euro al trasporto pubblico locale (asset chiave per qualsiasi politica che voglia perseguire l'obiettivo della riduzione del traffico privato) e quasi 461 milioni di euro alla spesa ambientale;
il comma 6-ter, lettera a), dell'articolo 15, prevede che le compensazioni per le concessioni di derivazione di acqua per uso idroelettrico vengano destinate anche a misure di «compensazione territoriale»;
il testo nasce da una modifica del testo originario del decreto, il quale consente azioni di «compensazione» solo se destinate al «miglioramento e risanamento ambientale del bacino idrografico di pertinenza», mentre con l'aggiunta succitata si apre alla possibilità di utilizzare in modo estensivo, generico ed improprio le eventuali compensazioni ambientali in interventi, che nulla hanno a che vedere con le finalità per le quali queste sono state concepite,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di adoperarsi affinché, nella fase attuativa della norma citata in premessa, le risorse provenienti dalle compensazioni per le concessioni di acqua per uso idroelettrico vengano destinate prioritariamente - se non esclusivamente - ad interventi di miglioramento e risanamento ambientale del bacino idrografico di pertinenza.
9/3638/167. (Testo modificato nel corso della seduta) Benamati, Iannuzzi, Mariani, Realacci, Bocci, Braga, Bratti, Esposito, Ginoble, Marantelli, Margiotta, Morassut, Motta, Viola, Zamparutti.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame delinea nella sostanza di una manovra correttiva da 24,9 miliardi di euro nel biennio 2010-2011 che penalizza in particolare Regioni ed enti locali e taglia il welfare colpendo in particolare l'assistenza sanitaria;
la manovra è stata giustificata dalle richieste di un maggior rigore da parte della Commissione Europea nel contenimento della spesa pubblica, ma è stata concepita e realizzata, come dimostrano le numerose proteste da parte delle categorie più disparate della stessa amministrazione pubblica, spesso operando tagli di carattere quantitativo piuttosto che qualitativo, che vanno ad incidere anche su servizi essenziali che dovrebbero essere garantiti dallo Stato o dalle autonomie locali;
i Governatori delle Regioni nel loro documento presentato il 9 giugno scorso in occasione dell'incontro con i ministri dell'economia e delle finanze, delle regioni e delle riforme hanno calcolato, come riportato dal Sole 24 Ore, che «su una spesa nel biennio di 64 miliardi di euro, le Regioni a statuto ordinario subirebbero tagli di spesa del 13,28 per cento, quelle speciali del 4,16 per cento. I Comuni del 3,1 per cento, le Province del 3,7 per cento, mentre per lo Stato il taglio sarebbe soltanto dell'1,22 per cento». Per questi motivi nella riunione della Conferenza delle Regioni del 15 giugno è stato approvato un documento all'unanimità in cui si definisce il disegno di legge in esame «testo senza condivisione, né sulle misure né sull'entità del taglio»;
il taglio appare tanto più grave se si effettua una valutazione qualitativa dei tagli di spesa, perché si tagliano nel biennio più di 3.557 milioni di euro al trasporto pubblico locale (asset chiave per qualsiasi politica che voglia perseguire l'obiettivo della riduzione del traffico privato) e quasi 461 milioni di euro alla spesa ambientale;
l'articolo 19 del provvedimento in esame introduce una norma finalizzata all'emersione ai fini fiscali dell'immenso patrimonio immobiliare finora non censito e rilevato dall'Agenzie del Territorio attraverso un accurato rilievo aerofotogrammetrico;
la relazione tecnica di accompagnamento al decreto legge stima «prudenzialmente» un sommerso fiscale per 1,3 milioni di unità immobiliari prevedendo una corrispondente rendita catastale di circa 627 milioni di euro;
la norma non fa chiarezza sui cosiddetti «abusi edilizi sostanziali», quelli cioè realizzati in assenza di titolo abilitativo e su aree inedificabili oppure in eccesso rispetto alla volumetria consentita, o per l'insediamento di destinazioni d'uso non previste dalla disciplina urbanistica o in contrasto con le prescrizioni edilizie di legge o di regolamenti, rispetto ai quali non è posto esplicitamente l'obbligo di demolizione;
in assenza di tale specifica previsione il Comune sarà libero di scegliere di far finta di niente oppure provvedere all'abbattimento giacché, come noto, solo nei casi di irregolarità formali - interventi compiuti in assenza di titolo abilitativo ma conformi a PRG e regolamento edilizio - è possibile procedere al rilascio della concessione in sanatoria;
appare difficile pensare che i comuni possano intraprendere la più gravosa - e onerosa - strada dell'abbattimento e degli inevitabili contenziosi che ne deriverebbero, rispetto a quella più agevole - e redditizia per le casse comunali - dell'inerzia;
tale meccanismo sembra far leva su una profonda illegalità che potrebbe essere sanzionata solo con l'intervento dell'Autorità Giudiziaria sebbene limitatamente ai casi di abusivismo edilizio ancora punibili per non intervenuta prescrizione del reato,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di introdurre, in successivi interventi normativi, dei meccanismi correttivi che impongano l'automaticità della demolizione nei confronti degli immobili frutto di un abuso edilizio sostanziale.
9/3638/168. Marantelli, Mariani, Realacci, Benamati, Bocci, Braga, Bratti, Esposito, Ginoble, Iannuzzi, Margiotta, Morassut, Motta, Viola, Zamparutti.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame delinea nella sostanza di una manovra correttiva da 24,9 miliardi di euro nel biennio 2010-2011 che penalizza in particolare Regioni ed enti locali e taglia il welfare colpendo in particolare l'assistenza sanitaria;
la manovra è stata giustificata dalle richieste di un maggior rigore da parte della Commissione Europea nel contenimento della spesa pubblica, ma è stata concepita e realizzata, come dimostrano le numerose proteste da parte delle categorie più disparate della stessa amministrazione pubblica, spesso operando tagli di carattere quantitativo piuttosto che qualitativo, che vanno ad incidere anche su servizi essenziali che dovrebbero essere garantiti dallo Stato o dalle autonomie locali;
i Governatori delle Regioni nel loro documento presentato il 9 giugno scorso in occasione dell'incontro con i ministri dell'economia e delle finanze, delle regioni e delle riforme hanno calcolato, come riportato dal Sole 24 Ore, che «su una spesa nel biennio di 64 miliardi di euro, le Regioni a statuto ordinario subirebbero tagli di spesa del 13,28 per cento, quelle speciali del 4,16 per cento. I Comuni del 3,1 per cento, le Province del 3,7 per cento, mentre per lo Stato il taglio sarebbe soltanto dell'1,22 per cento». Per questi motivi nella riunione della Conferenza delle Regioni del 15 giugno è stato approvato un documento all'unanimità in cui si definisce il dl 78/2010 «testo senza condivisione, né sulle misure né sull'entità del taglio»;
il taglio appare tanto più grave se si effettua una valutazione qualitativa dei tagli di spesa, perché si tagliano nel biennio più di 3.557 milioni di euro al trasporto pubblico locale (asset chiave per qualsiasi politica che voglia perseguire l'obiettivo della riduzione del traffico privato) e quasi 461 milioni di euro alla spesa ambientale;
l'articolo 43 del provvedimento in esame, al comma 1, consente l'istituzione di «zone a burocrazia zero» nel Meridione d'Italia, in aree non soggette a vincolo; in tali zone le nuove iniziative produttive godono di tre tipi di vantaggi:
i provvedimenti conclusivi dei procedimenti amministrativi di qualunque natura ed oggetto, ad esclusione di quelli di natura tributaria, sono adottati in via esclusiva da un Commissario di Governo attraverso un meccanismo di silenzio-assenso;
priorità di assegnazione delle risorse previste per le zone franche urbane dall'articolo 1, comma 340, della legge n. 296 del 2006;
priorità assoluta da parte delle Prefetture - nella realizzazione ed attuazione dei piani di presidio e sicurezza del territorio - alle iniziative da assumere negli ambiti territoriali in cui insistono le zone a burocrazia zero;
appare inoltre caratterizzata da eccessiva vaghezza la locuzione «non soggette a vincolo» riferita alle aree di applicazione della norma in esame,
impegna il Governo
a precisare, in successivi atti normativi, che il tipo di vincolo a cui sono soggette le zone per le quali si possa prevedere lo snellimento procedurale stabilito con l'articolo 43 del provvedimento in esame, sia quello paesaggistico o storico-artistico.
9/3638/169. Esposito, Mariani, Realacci, Benamati, Bocci, Braga, Bratti, Ginoble, Iannuzzi, Marantelli, Margiotta, Morassut, Motta, Viola, Zamparutti.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame delinea nella sostanza di una manovra correttiva da 24,9 miliardi di euro nel biennio 2010-2011 che penalizza in particolare Regioni ed enti locali e taglia il welfare colpendo in particolare l'assistenza sanitaria;
la manovra è stata giustificata dalle richieste di un maggior rigore da parte della Commissione Europea nel contenimento della spesa pubblica, ma è stata concepita e realizzata, come dimostrano le numerose proteste da parte delle categorie più disparate della stessa amministrazione pubblica, spesso operando tagli di carattere quantitativo piuttosto che qualitativo, che vanno ad incidere anche su servizi essenziali che dovrebbero essere garantiti dallo Stato o dalle autonomie locali;
i Governatori delle Regioni nel loro documento presentato il 9 giugno scorso in occasione dell'incontro con i ministri dell'economia e delle finanze, delle regioni e delle riforme hanno calcolato, come riportato dal Sole 24 Ore, che «su una spesa nel biennio di 64 miliardi di euro, le Regioni a statuto ordinario subirebbero tagli di spesa del 13,28 per cento, quelle speciali del 4,16 per cento. I Comuni del 3,1 per cento, le Province del 3,7 per cento, mentre per lo Stato il taglio sarebbe soltanto dell'1,22 per cento». Per questi motivi nella riunione della Conferenza delle Regioni del 15 giugno è stato approvato un documento all'unanimità in cui si definisce il dl 78/2010 «testo senza condivisione, né sulle misure né sull'entità del taglio»;
il taglio appare tanto più grave se si effettua una valutazione qualitativa dei tagli di spesa, perché si tagliano nel biennio più di 3.557 milioni di euro al trasporto pubblico locale (asset chiave per qualsiasi politica che voglia perseguire l'obiettivo della riduzione del traffico privato) e quasi 461 milioni di euro alla spesa ambientale;
l'articolo 43 del provvedimento in esame, al comma 1, consente l'istituzione di «zone a burocrazia zero» nel Meridione d'Italia, in aree non soggette a vincolo; in tali zone le nuove iniziative produttive godono di tre tipi di vantaggi:
i provvedimenti conclusivi dei procedimenti amministrativi di qualunque natura ed oggetto, ad esclusione di quelli di natura tributaria, sono adottati in via esclusiva da un Commissario di Governo attraverso un meccanismo di silenzio-assenso;
priorità di assegnazione delle risorse previste per le zone franche urbane dall'articolo 1, comma 340, della legge n. 296 del 2006;
priorità assoluta da parte delle Prefetture - nella realizzazione ed attuazione dei piani di presidio e sicurezza del territorio - alle iniziative da assumere negli ambiti territoriali in cui insistono le zone a burocrazia zero;
appare inoltre caratterizzata da eccessiva vaghezza la locuzione «non soggette a vincolo» riferita alle aree di applicazione della norma in esame,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di precisare, in successivi atti normativi, che il tipo di vincolo a cui sono soggette le zone per le quali si possa prevedere lo snellimento procedurale stabilito con l'articolo 43 del provvedimento in esame, sia quello paesaggistico o storico-artistico.
9/3638/169. (Testo modificato nel corso della seduta) Esposito, Mariani, Realacci, Benamati, Bocci, Braga, Bratti, Ginoble, Iannuzzi, Marantelli, Margiotta, Morassut, Motta, Viola, Zamparutti.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame delinea nella sostanza di una manovra correttiva da 24,9 miliardi di euro nel biennio 2010-2011 che penalizza in particolare Regioni ed enti locali e taglia il welfare colpendo in particolare l'assistenza sanitaria;
la manovra è stata giustificata dalle richieste di un maggior rigore da parte della Commissione Europea nel contenimento della spesa pubblica, ma è stata concepita e realizzata, come dimostrano le numerose proteste da parte delle categorie più disparate della stessa amministrazione pubblica, spesso operando tagli di carattere quantitativo piuttosto che qualitativo, che vanno ad incidere anche su servizi essenziali che dovrebbero essere garantiti dallo Stato o dalle autonomie locali;
i Governatori delle Regioni nel loro documento presentato il 9 giugno scorso in occasione dell'incontro con i ministri dell'economia e delle finanze, delle regioni e delle riforme hanno calcolato, come riportato dal Sole 24 Ore, che «su una spesa nel biennio di 64 miliardi di euro, le Regioni a statuto ordinario subirebbero tagli di spesa del 13,28 per cento, quelle speciali del 4,16 per cento. I Comuni del 3,1 per cento, le Province del 3,7 per cento mentre per lo Stato il taglio sarebbe soltanto dell'1,22 per cento». Per questi motivi nella riunione della Conferenza delle Regioni del 15 giugno è stato approvato un documento all'unanimità in cui si definisce il dl 78/2010 «testo senza condivisione, né sulle misure né sull'entità del taglio»;
il taglio appare tanto più grave se si effettua una valutazione qualitativa dei tagli di spesa, perché si tagliano nel biennio più di 3.557 milioni di euro al trasporto pubblico locale (asset chiave per qualsiasi politica che voglia perseguire l'obiettivo della riduzione del traffico privato) e quasi 461 milioni di euro alla spesa ambientale;
l'articolo 45 del provvedimento in esame stabilisce di destinare i risparmi provenienti dalle risoluzione anticipate delle convenzioni CIP6 a non meglio identificati progetti di ricerca del Ministero della Pubblica istruzione;
la norma iniziale, modificata durante l'esame al Senato, disponeva l'abolizione dell'obbligo - da parte del GSE - del ritiro dell'eccesso dell'offerta di certificati verdi;
le modifiche intervenute al Senato, pur migliorando sostanzialmente il testo, hanno lasciato comunque un quadro normativo piuttosto confuso, con il rischio, paventato anche dalle associazioni di categoria, di effetti negative sul settore e conseguente blocco degli investimenti;
il meccanismo dei certificati verdi - come ha sottolineato il quotidiano «La Repubblica» del 15 giugno, riprendendo i giudizi di Confindustria, Abi e associazioni imprenditoriali di settore - sinora ha ben funzionato, producendo negli anni ottimi risultati: 4,5 miliardi di euro di investimenti realizzati e 2,8 miliardi di euro in programma; 25 mila posti di lavoro nel settore delle energie rinnovabili che potrebbero salire a 67 mila nel 2020,
impegna il Governo
a promuovere l'avvio di un tavolo di discussione con le associazioni di categoria, le associazioni di tutela ambientale e le associazioni dei consumatori per valutare l'opportunità di rivedere la norma in modo da trovare un punto di equilibrio tra le esigenze del mercato, dei consumatori e della tutela ambientale, cercando di tutelare un settore economico e produttivo in crescita.
9/3638/170. Bratti, Mariani, Realacci, Benamati, Bocci, Braga, Esposito, Ginoble, Iannuzzi, Marantelli, Margiotta, Morassut, Motta, Viola, Zamparutti.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame delinea nella sostanza di una manovra correttiva da 24,9 miliardi di euro nel biennio 2010-2011 che penalizza in particolare Regioni ed enti locali e taglia il welfare colpendo in particolare l'assistenza sanitaria;
la manovra è stata giustificata dalle richieste di un maggior rigore da parte della Commissione Europea nel contenimento della spesa pubblica, ma è stata concepita e realizzata, come dimostrano le numerose proteste da parte delle categorie più disparate della stessa amministrazione pubblica, spesso operando tagli di carattere quantitativo piuttosto che qualitativo, che vanno ad incidere anche su servizi essenziali che dovrebbero essere garantiti dallo Stato o dalle autonomie locali;
i Governatori delle Regioni nel loro documento presentato il 9 giugno scorso in occasione dell'incontro con i ministri dell'economia e delle finanze, delle regioni e delle riforme hanno calcolato, come riportato dal Sole 24 Ore, che «su una spesa nel biennio di 64 miliardi di euro, le Regioni a statuto ordinario subirebbero tagli di spesa del 13,28 per cento, quelle speciali del 4,16 per cento. I Comuni del 3,1 per cento, le Province del 3,7 per cento mentre per lo Stato il taglio sarebbe soltanto dell'1,22 per cento». Per questi motivi nella riunione della Conferenza delle Regioni del 15 giugno è stato approvato un documento all'unanimità in cui si definisce il dl 78/2010 «testo senza condivisione, né sulle misure né sull'entità del taglio»;
il taglio appare tanto più grave se si effettua una valutazione qualitativa dei tagli di spesa, perché si tagliano nel biennio più di 3.557 milioni di euro al trasporto pubblico locale (asset chiave per qualsiasi politica che voglia perseguire l'obiettivo della riduzione del traffico privato) e quasi 461 milioni di euro alla spesa ambientale;
l'articolo 45 del provvedimento in esame stabilisce di destinare i risparmi provenienti dalle risoluzione anticipate delle convenzioni CIP6 a non meglio identificati progetti di ricerca del Ministero della Pubblica istruzione;
la norma iniziale, modificata durante l'esame al Senato, disponeva l'abolizione dell'obbligo - da parte del GSE - del ritiro dell'eccesso dell'offerta di certificati verdi;
le modifiche intervenute al Senato, pur migliorando sostanzialmente il testo, hanno lasciato comunque un quadro normativo piuttosto confuso, con il rischio, paventato anche dalle associazioni di categoria, di effetti negative sul settore e conseguente blocco degli investimenti;
il meccanismo dei certificati verdi - come ha sottolineato il quotidiano «La Repubblica» del 15 giugno, riprendendo i giudizi di Confindustria, Abi e associazioni imprenditoriali di settore - sinora ha ben funzionato, producendo negli anni ottimi risultati: 4,5 miliardi di euro di investimenti realizzati e 2,8 miliardi di euro in programma; 25 mila posti di lavoro nel settore delle energie rinnovabili che potrebbero salire a 67 mila nel 2020,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di promuovere l'avvio di un tavolo di discussione con le associazioni di categoria, le associazioni di tutela ambientale e le associazioni dei consumatori per valutare l'opportunità di rivedere la norma in modo da trovare un punto di equilibrio tra le esigenze del mercato, dei consumatori e della tutela ambientale, cercando di tutelare un settore economico e produttivo in crescita.
9/3638/170. (Testo modificato nel corso della seduta) Bratti, Mariani, Realacci, Benamati, Bocci, Braga, Esposito, Ginoble, Iannuzzi, Marantelli, Margiotta, Morassut, Motta, Viola, Zamparutti.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame delinea nella sostanza di una manovra correttiva da 24,9 miliardi di euro nel biennio 2010-2011 che penalizza in particolare Regioni ed enti locali e taglia il welfare colpendo in particolare l'assistenza sanitaria;
la manovra è stata giustificata dalle richieste di un maggior rigore da parte della Commissione Europea nel contenimento della spesa pubblica, ma è stata concepita e realizzata, come dimostrano le numerose proteste da parte delle categorie più disparate della stessa amministrazione pubblica, spesso operando tagli di carattere quantitativo piuttosto che qualitativo, che vanno ad incidere anche su servizi essenziali che dovrebbero essere garantiti dallo Stato o dalle autonomie locali;
i Governatori delle Regioni nel loro documento presentato il 9 giugno scorso in occasione dell'incontro con i ministri dell'economia e delle finanze, delle regioni e delle riforme hanno calcolato, come riportato dal Sole 24 Ore, che «su una spesa nel biennio di 64 miliardi di euro, le Regioni a statuto ordinario subirebbero tagli di spesa del 13,28 per cento, quelle speciali del 4,16 per cento. I Comuni del 3,1 per cento, le Province del 3,7 per cento, mentre per lo Stato il taglio sarebbe soltanto dell'1,22 per cento». Per questi motivi nella riunione della Conferenza delle Regioni del 15 giugno è stato approvato un documento all'unanimità in cui si definisce il disegno di legge in esame «testo senza condivisione, né sulle misure né sull'entità del taglio»;
il taglio appare tanto più grave se si effettua una valutazione qualitativa dei tagli di spesa, perché si tagliano nel biennio più di 3.557 milioni di euro al trasporto pubblico locale (asset chiave per qualsiasi politica che voglia perseguire l'obiettivo della riduzione del traffico privato) e quasi 461 milioni di euro alla spesa ambientale;
alla lettera a) del comma 1 dell'articolo 47 del disegno di legge in esame si stabilisce, nella sostanza, che vengano approvate per legge tutte le convenzioni autostradali già firmate tra ANAS SpA e società concessionarie entro il 31 luglio prossimi;
questa disposizione è stata concepita dopo che nella presente legislatura sono state già approvate ope legis, ex articolo 8-duodecies del dl 59/2008, converto nella l. 101/2008 (come richiamato al comma 1 dell'articolo 7 del disegno di legge in esame), dieci convenzioni;
ancora una volta sembra che si voglia eludere, con una disposizione normativa, il percorso di verifica previsto dal comma 84 dell'articolo 2 del decreto-legge n. 262 del 2006, in ragione del quale ogni schema di convenzione deve passare al vaglio del Nucleo per l'Attuazione delle linee guida per la Regolazione dei Servizi di pubblica utilità, per poi passare all'esame del CIPE, e alle Commissioni parlamentari competenti in materia;
la scelta del Governo sembra orientata a garantire i privilegi delle società concessionarie autostradali che, in questo modo, operano in un mercato protetto; un meccanismo discorsivo il cui prezzo è pagato dai consumatori,
impegna il Governo:
ad evitare, in futuro, simili forzature e a rispettare i principi introdotti con il decreto-legge n. 262 del 2006, il cui obiettivo è quello di evitare automatismi che potrebbero essere eccessivamente discrezionali e basati prevalentemente su valutazioni di carattere politico.
9/3638/171. Martella, Viola, Mariani, Realacci, Benamati, Bocci, Braga, Bratti, Esposito, Ginoble, Iannuzzi, Marantelli, Margiotta, Morassut, Motta, Zamparutti.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame delinea nella sostanza di una manovra correttiva da 24,9 miliardi di euro nel biennio 2010-2011 che penalizza in particolare Regioni ed enti locali e taglia il welfare colpendo in particolare l'assistenza sanitaria;
la manovra è stata giustificata dalle richieste di un maggior rigore da parte della Commissione Europea nel contenimento della spesa pubblica, ma è stata concepita e realizzata, come dimostrano le numerose proteste da parte delle categorie più disparate della stessa amministrazione pubblica, spesso operando tagli di carattere quantitativo piuttosto che qualitativo, che vanno ad incidere anche su servizi essenziali che dovrebbero essere garantiti dallo Stato o dalle autonomie locali;
i Governatori delle Regioni nel loro documento presentato il 9 giugno scorso in occasione dell'incontro con i ministri dell'economia e delle finanze, delle regioni e delle riforme hanno calcolato, come riportato dal Sole 24 Ore, che «su una spesa nel biennio di 64 miliardi di euro, le Regioni a statuto ordinario subirebbero tagli di spesa del 13,28 per cento, quelle speciali del 4,16 per cento. I Comuni del 3,1 per cento, le Province del 3,7 per cento, mentre per lo Stato il taglio sarebbe soltanto dell'1,22 per cento». Per questi motivi nella riunione della Conferenza delle Regioni del 15 giugno è stato approvato un documento all'unanimità in cui si definisce il disegno di legge in esame «testo senza condivisione, né sulle misure né sull'entità del taglio»;
il comma 2 dell'articolo 49 del provvedimento in esame prevede la modifica del comma 7 dell'articolo 14-ter della legge n. 241 del 1990 in modo che, nella conferenza dei servizi, sia introdotto un meccanismo di silenzio-assenso per l'acquisizione dei pareri di alcuni organismi interessati;
il testo approvato al Senato peggiora di gran lunga la situazione in quanto gli interessi paesaggistico territoriali non sono esclusi dal meccanismo del silenzio assenso come invece previsto nel testo originario del decreto legge; appare evidente la minaccia alla corretta tutela dell'ambiente, dei beni del patrimonio culturale, della salute e della pubblica incolumità;
la norma, inoltre, indebolisce significativamente il ruolo delle Sovrintendenze, per le quali sarà oggettivamente difficile - per ragioni di organico - partecipare alle conferenze dei servizi,
impegna il Governo
a valutare con attenzione le conseguenze di una eccessiva «deregulation» dei meccanismi di funzionamento della conferenza dei servizi, che potrebbe relegare le esigenze di tutela ambientale e storica ad un ruolo ingiustamente marginale, e a dichiararsi disponibile ad apportare opportune e condivise correzioni alla norma che troppo frettolosamente si è scelto di approvare.
9/3638/172. Motta, Mariani, Realacci, Benamati, Bocci, Braga, Bratti, Esposito, Ginoble, Iannuzzi, Marantelli, Margiotta, Morassut, Viola, Zamparutti.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame delinea nella sostanza di una manovra correttiva da 24,9 miliardi di euro nel biennio 2010-2011 che penalizza in particolare Regioni ed enti locali e taglia il welfare colpendo in particolare l'assistenza sanitaria;
la manovra è stata giustificata dalle richieste di un maggior rigore da parte della Commissione Europea nel contenimento della spesa pubblica, ma è stata concepita e realizzata, come dimostrano le numerose proteste da parte delle categorie più disparate della stessa amministrazione pubblica, spesso operando tagli di carattere quantitativo piuttosto che qualitativo, che vanno ad incidere anche su servizi essenziali che dovrebbero essere garantiti dallo Stato o dalle autonomie locali;
i Governatori delle Regioni nel loro documento presentato il 9 giugno scorso in occasione dell'incontro con i ministri dell'economia e delle finanze, delle regioni e delle riforme hanno calcolato, come riportato dal Sole 24 Ore, che «su una spesa nel biennio di 64 miliardi di euro, le Regioni a statuto ordinario subirebbero tagli di spesa del 13,28 per cento, quelle speciali del 4,16 per cento. I Comuni del 3,1 per cento, le Province del 3,7 per cento, mentre per lo Stato il taglio sarebbe soltanto dell'1,22 per cento». Per questi motivi nella riunione della Conferenza delle Regioni del 15 giugno è stato approvato un documento all'unanimità in cui si definisce il disegno di legge in esame «testo senza condivisione, né sulle misure né sull'entità del taglio»;
il comma 2 dell'articolo 49 del provvedimento in esame prevede la modifica del comma 7 dell'articolo 14-ter della legge n. 241 del 1990 in modo che, nella conferenza dei servizi, sia introdotto un meccanismo di silenzio-assenso per l'acquisizione dei pareri di alcuni organismi interessati;
il testo approvato al Senato peggiora di gran lunga la situazione in quanto gli interessi paesaggistico territoriali non sono esclusi dal meccanismo del silenzio assenso come invece previsto nel testo originario del decreto legge; appare evidente la minaccia alla corretta tutela dell'ambiente, dei beni del patrimonio culturale, della salute e della pubblica incolumità;
la norma, inoltre, indebolisce significativamente il ruolo delle Sovrintendenze, per le quali sarà oggettivamente difficile - per ragioni di organico - partecipare alle conferenze dei servizi,
impegna il Governo
a valutare le conseguenze della «deregulation» dei meccanismi di funzionamento della conferenza dei servizi.
9/3638/172.(Testo modificato nel corso della seduta)Motta, Mariani, Realacci, Benamati, Bocci, Braga, Bratti, Esposito, Ginoble, Iannuzzi, Marantelli, Margiotta, Morassut, Viola, Zamparutti.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame delinea nella sostanza di una manovra correttiva da 24,9 miliardi di euro nel biennio 2010-2011 che penalizza in particolare Regioni ed enti locali e taglia il welfare colpendo in particolare l'assistenza sanitaria;
la manovra è stata giustificata dalle richieste di un maggior rigore da parte della Commissione Europea nel contenimento della spesa pubblica, ma è stata concepita e realizzata, come dimostrano le numerose proteste da parte delle categorie più disparate della stessa amministrazione pubblica, spesso operando tagli di carattere quantitativo piuttosto che qualitativo, che vanno ad incidere anche su servizi essenziali che dovrebbero essere garantiti dallo Stato o dalle autonomie locali;
i Governatori delle Regioni nel loro documento presentato il 9 giugno scorso in occasione dell'incontro con i ministri dell'economia e delle finanze, delle regioni e delle riforme hanno calcolato, come riportato dal Sole 24 Ore, che «su una spesa nel biennio di 64 miliardi di euro, le Regioni a statuto ordinario subirebbero tagli di spesa del 13,28 per cento quelle speciali del 4,16 per cento. I Comuni del 3,1 per cento, le Province del 3,7 per cento, mentre per lo Stato il taglio sarebbe soltanto dell'1,22 per cento». Per questi motivi nella riunione della Conferenza delle Regioni del 15 giugno è stato approvato un documento all'unanimità in cui si definisce il disegno di legge in esame «testo senza condivisione, né sulle misure né sull'entità del taglio»;
il taglio appare tanto più grave se si effettua una valutazione qualitativa dei tagli di spesa, perché si tagliano nel biennio più di 3.557 milioni di euro al trasporto pubblico locale (asset chiave per qualsiasi politica che voglia perseguire l'obiettivo della riduzione del traffico privato) e quasi 461 milioni di euro alla spesa ambientale;
con l'articolo 49 del provvedimento in esame è stato introdotto un nuovo comma 4-bis all'articolo 19 della legge n. 241/1990 che sostituisce la Dichiarazione di Inizio Attività (DIA) con la Segnalazione Certificata di inizio attività (SCIA);
la norma, pur lievemente migliorata durante l'esame in aula al Senato con l'esclusione dei «casi in cui sussistono vincoli ambientali, paesaggistici o culturali», comporta un discutibile ribaltamento delle procedure, mettendo in secondo piano l'attività di controllo, che potrà essere svolta solo ex post, con immaginabili difficoltà qualora l'amministrazione riscontri l'eventuale assenza dei requisiti stabiliti dalla legge,
impegna il Governo
a prendere in considerazione, nell'ambito di successive iniziative normative, l'ipotesi di ripristinare la precedente procedura DIA, di cui all'articolo 19 della legge n. 241 del 1990, tra l'altro recentemente modificato con l'articolo 9 della legge n. 69 del 2009, anche in considerazione del fatto che il proposito di garantire una maggiore libertà nell'attività di impresa viene già pienamente soddisfatto dall'attuale DIA senza mettere a rischio il territorio italiano con le importanti ricadute in termini di sicurezza ambientale e pubblica incolumità.
9/3638/173. Braga, Mariani, Realacci, Benamati, Bocci, Bratti, Esposito, Ginoble, Iannuzzi, Marantelli, Margiotta, Morassut, Motta, Viola, Zamparutti.
La Camera,
premesso che:
il settore agricolo versa da tempo in una situazione di difficoltà, ulteriormente aggravata dalla generale crisi economica e dall'accresciuta pressione concorrenziale determinata dalla globalizzazione;
il settore agricolo costituisce uno degli elementi fondamentali del tessuto produttivo nazionale, sia in termini occupazionali sia per il livello di assoluta eccellenza raggiunto dalle produzioni agricole nazionali;
in tale contesto la fiscalizzazione degli oneri contribuitivi gravanti sugli imprenditori agricoli costituisce un importante strumento di sostegno del comparto, atteso da tutte le organizzazioni rappresentative e dagli operatori del settore,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di prorogare quanto prima, nell'ambito di ulteriori iniziative normative, le norme per la fiscalizzazione degli oneri sociali a carico degli imprenditori agricoli.
9/3638/174. Antonio Pepe, Distaso.
La Camera,
premesso che:
il 31 dicembre 2010 scadrà la vigenza delle agevolazioni fiscali per la riqualificazione energetica degli edifici - detrazione del 55 per cento delle spese sostenute - introdotte dalla legge finanziaria per il 2007 e più volte prorogate dalle leggi finanziarie successive;
queste agevolazioni hanno permesso a decine di migliaia di famiglie ed imprese di introdurre negli edifici tecniche avanzate finalizzate al risparmio energetico: si pensi solamente ai panelli solari, alle coibentazioni ed isolazioni di facciate e tetti, a serramenti e finestrature isolanti, all'uso della geotermia; tutto a concorrere alla creazione di sistemi complessi, quali ad esempio CasaClima - KlimaHaus, esportati in tutto il mondo per la loro capacità di generare economia «pulita», cioè risparmio di preziose risorse energetiche;
molto di tutto questo, senza l'agevolazione statale che ha persuaso tantissimi cittadini ed imprese alla scelta ecologica, non sarebbe stato possibile; questi provvedimenti hanno, inoltre, decisamente contribuito alla crescita della produzione, nel nostro Paese, di quelle tecnologie che prima venivano del tutto importate, nonché hanno costituito fonte di reddito, in un momento di grave crisi economica, per migliaia di piccole imprese impegnate nel recupero energetico. Le circa 600.000 domande presentate in tre anni, portano a calcolare un volume di poco meno di 8 miliardi di euro di investimenti in ristrutturazioni ed isolamento di edifici, in installazione di pannelli solari e fotovoltaici, di caldaie a condensazione, infissi ed impianti a maggiore efficienza;
è in fase di pubblicazione uno studio ENEA-CPESME che dimostra la fattibilità, in termini di crescita del bilancio dello Stato, di tali agevolazioni; le minori entrate determinate dalle detrazioni sarebbero infatti compensate dalle maggiori entrate derivanti dall'imposizione fiscale sui nuovi investimenti e dal contributo che tali strumenti hanno dato rispetto a fenomeni di evasione fiscale; va considerato inoltre il rilevante impatto occupazionale che queste misure inducono;
anche la Commissione Ambiente della Camera, nell'ambito della discussione del decreto-legge n. 79 del 2009 (decreto anticrisi), ha espresso parere favorevole in merito alla permanenza di queste agevolazioni. - tale proposta, fortemente condivisa dalla CNA Confederazione Nazionale dell'Artigianato e delle PMT, contribuirebbe non poco a dare certezze sia agli operatori economici che ai cittadini, nonché ad evitare che la crisi economica nella quale si trova il nostro Paese si ripercuota in modo pesante su settori nei quali è estremamente significativa la presenza di aziende artigiane e di piccole imprese, e generi un sostanziale blocco degli interventi di ristrutturazione edilizia e di riqualificazione energetica degli edifici, con una conseguente influenza negativa, sia in termini economici sia occupazionali, sui settori delle costruzioni, dell'impiantistica, della produzione di serramenti ed infissi ed un aumento dell'economia sommersa con conseguente danno alle casse erariali,
impegna il Governo
a considerare l'opportunità di portare a regime, mediante l'adozione di ulteriori iniziative normative, le detrazioni per le spese di riqualificazione energetica del patrimonio edilizio esistente - detrazione del 55 per cento delle spese sostenute - introdotte dalla legge finanziaria 2007 e più volte prorogate dalle leggi di bilancio successive, dando così una positiva risposta alla richiesta di stabilità del quadro normativo proveniente dall'intera filiera produttiva interessata da tali agevolazioni.
9/3638/175. Mariani, Realacci, Benamati, Bocci, Braga, Bratti, Esposito, Ginoble, Iannuzzi, Marantelli, Margiotta, Morassut, Motta, Viola, Zamparutti.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame delinea nella sostanza di una manovra correttiva da 24,9 miliardi di euro nel biennio 2010-2011 che penalizza in particolare Regioni ed enti locali e taglia il welfare colpendo in particolare l'assistenza sanitaria;
la manovra è stata giustificata dalle richieste di un maggior rigore da parte della Commissione Europea nel contenimento della spesa pubblica, ma è stata concepita e realizzata, come dimostrano le numerose proteste da parte delle categorie più disparate della stessa amministrazione pubblica, spesso operando tagli di carattere quantitativo piuttosto che qualitativo, che vanno ad incidere anche su servizi essenziali che dovrebbero essere garantiti dallo Stato o dalle autonomie locali;
i Governatori delle Regioni nel loro documento presentato il 9 giugno scorso in occasione dell'incontro con i ministri dell'economia e delle finanze, delle regioni e delle riforme hanno calcolato, come riportato dal Sole 24 Ore, che «su una spesa nel biennio di 64 miliardi di euro, le Regioni a statuto ordinario subirebbero tagli di spesa del 13,28 per cento, quelle speciali del 4,16 per cento. I Comuni del 3,1 per cento, le Province del 3,7 per cento, mentre per lo Stato il taglio sarebbe soltanto dell'1,22 per cento». Per questi motivi nella riunione della Conferenza delle Regioni del 15 giugno è stato approvato un documento all'unanimità in cui si definisce il disegno di legge in esame «testo senza condivisione, né sulle misure né sull'entità del taglio»;
il taglio appare tanto più grave se si effettua una valutazione qualitativa dei tagli di spesa, perché si tagliano nel biennio più di 3.557 milioni di euro al trasporto pubblico locale (asset chiave per qualsiasi politica che voglia perseguire l'obiettivo della riduzione del traffico privato) e quasi 461 milioni di euro alla spesa ambientale;
appare ormai non più rinviabile, al fine di contenere la spesa pubblica senza dare vita a tagli indiscriminati che possono produrre disagi e disservizi, l'adozione di misure per assicurare il controllo di gestione dei singoli progetti di spesa;
dette misure consentirebbero, altresì, di assicurare il rispetto della legalità ed il corretto agire della pubblica amministrazione, prevenire fenomeni di corruzione e di infiltrazione mafiosa, favorire l'efficacia, la trasparenza e il controllo in tempo reale dell'azione amministrativa nella gestione della spesa pubblica,
impegna il Governo
ad adottare ulteriori iniziative normative volte a:
istituire un'apposita anagrafe, presso l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, presso la quale tutte le stazioni appaltanti avranno l'obbligo di iscriversi;
prevedere che l'Autorità attribuisca un apposito codice per tutti i contratti pubblici a prescindere dalla procedura di affidamento, dall'importo e dal settore, prima dell'avvio della procedura di affidamento di qualsiasi contratto pubblico di lavori, servizi e forniture;
stabilire che le informazioni relative ai singoli contratti dovranno essere correlate in modo univoco con i codici degli strumenti di bilancio e inserite in una banca dati nazionale dei contratti pubblici, istituita presso l'Autorità;
imporre l'obbligo della trasparenza e della pubblicità di tutti i dati così acquisiti, anche attraverso la diffusione attraverso un sito web dedicato.
9/3638/176. Margiotta, Mariani, Realacci, Benamati, Bocci, Braga, Bratti, Esposito, Ginoble, Iannuzzi, Marantelli, Morassut, Motta, Viola, Zamparutti, Pes.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame delinea nella sostanza di una manovra correttiva da 24,9 miliardi di euro nel biennio 2010-2011 che penalizza in particolare Regioni ed enti locali e taglia il welfare colpendo in particolare l'assistenza sanitaria;
la manovra è stata giustificata dalle richieste di un maggior rigore da parte della Commissione Europea nel contenimento della spesa pubblica, ma è stata concepita e realizzata, come dimostrano le numerose proteste da parte delle categorie più disparate della stessa amministrazione pubblica, spesso operando tagli di carattere quantitativo piuttosto che qualitativo, che vanno ad incidere anche su servizi essenziali che dovrebbero essere garantiti dallo Stato o dalle autonomie locali;
i Governatori delle Regioni nel loro documento presentato il 9 giugno scorso in occasione dell'incontro con i ministri dell'economia e delle finanze, delle regioni e delle riforme hanno calcolato, come riportato dal Sole 24 Ore, che «su una spesa nel biennio di 64 miliardi di euro, le Regioni a statuto ordinario subirebbero tagli di spesa del 13,28 per cento, quelle speciali del 4,16 per cento. I Comuni del 3,1 per cento, le Province del 3,7 per cento, mentre per lo Stato il taglio sarebbe soltanto dell'1,22 per cento». Per questi motivi nella riunione della Conferenza delle Regioni del 15 giugno è stato approvato un documento all'unanimità in cui si definisce il disegno di legge in esame «testo senza condivisione, né sulle misure né sull'entità del taglio»;
il taglio appare tanto più grave se si effettua una valutazione qualitativa dei tagli di spesa, perché si tagliano nel biennio più di 3.557 milioni di euro al trasporto pubblico locale (asset chiave per qualsiasi politica che voglia perseguire l'obiettivo della riduzione del traffico privato) e quasi 461 milioni di euro alla spesa ambientale;
appare ormai non più rinviabile, al fine di contenere la spesa pubblica senza dare vita a tagli indiscriminati che possono produrre disagi e disservizi, l'adozione di misure per assicurare il controllo di gestione dei singoli progetti di spesa;
dette misure consentirebbero, altresì, di assicurare il rispetto della legalità ed il corretto agire della pubblica amministrazione, prevenire fenomeni di corruzione e di infiltrazione mafiosa, favorire l'efficacia, la trasparenza e il controllo in tempo reale dell'azione amministrativa nella gestione della spesa pubblica,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di adottare ulteriori iniziative normative volte a:
istituire un'apposita anagrafe, presso l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, presso la quale tutte le stazioni appaltanti avranno l'obbligo di iscriversi;
prevedere che l'Autorità attribuisca un apposito codice per tutti i contratti pubblici a prescindere dalla procedura di affidamento, dall'importo e dal settore, prima dell'avvio della procedura di affidamento di qualsiasi contratto pubblico di lavori, servizi e forniture;
stabilire che le informazioni relative ai singoli contratti dovranno essere correlate in modo univoco con i codici degli strumenti di bilancio e inserite in una banca dati nazionale dei contratti pubblici, istituita presso l'Autorità;
imporre l'obbligo della trasparenza e della pubblicità di tutti i dati così acquisiti, anche attraverso la diffusione attraverso un sito web dedicato.
9/3638/176.(Testo modificato nel corso della seduta)Margiotta, Mariani, Realacci, Benamati, Bocci, Braga, Bratti, Esposito, Ginoble, Iannuzzi, Marantelli, Morassut, Motta, Viola, Zamparutti, Pes.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame delinea nella sostanza di una manovra correttiva da 24,9 miliardi di euro nel biennio 2010-2011 che penalizza in particolare Regioni ed enti locali e taglia il welfare colpendo in particolare l'assistenza sanitaria;
la manovra è stata giustificata dalle richieste di un maggior rigore da parte della Commissione Europea nel contenimento della spesa pubblica, ma è stata concepita e realizzata, come dimostrano le numerose proteste da parte delle categorie più disparate della stessa amministrazione pubblica, spesso operando tagli di carattere quantitativo piuttosto che qualitativo, che vanno ad incidere anche su servizi essenziali che dovrebbero essere garantiti dallo Stato o dalle autonomie locali;
i Governatori delle Regioni nel loro documento presentato il 9 giugno scorso in occasione dell'incontro con i ministri dell'economia e delle finanze, delle regioni e delle riforme hanno calcolato, come riportato dal Sole 24 Ore, che «su una spesa nel biennio di 64 miliardi di euro, le Regioni a statuto ordinario subirebbero tagli di spesa del 13,28 per cento, quelle speciali del 4,16 per cento. I Comuni del 3,1 per cento, le Province del 3,7 per cento, mentre per lo Stato il taglio sarebbe soltanto dell'1,22 per cento». Per questi motivi nella riunione della Conferenza delle Regioni del 15 giugno è stato approvato un documento all'unanimità in cui si definisce il disegno di legge in esame «testo senza condivisione, né sulle misure né sull'entità del taglio»;
il taglio appare tanto più grave se si effettua una valutazione qualitativa dei tagli di spesa, perché si tagliano nel biennio più di 3.557 milioni di euro al trasporto pubblico locale (asset chiave per qualsiasi politica che voglia perseguire l'obiettivo della riduzione del traffico privato) e quasi 461 milioni di euro alla spesa ambientale;
il comma 16 dell'articolo 14 del provvedimento in esame consente di introdurre un contributo straordinario sulle valorizzazioni immobiliari generate dallo strumento urbanistico;
la norma nasce dall'esigenza di porre fine ad un contenzioso avviato sulle norme tecniche di attuazione della variante al piano regolatore generale del Comune di Roma, che prevedeva detta possibilità e che erano state dichiarate illegittime dal TAR del Lazio, con la sentenza n. 1524 del 2010;
il principio giuridico affermato nella variante al piano regolatore appare sicuramente condivisibile, anche perché costituisce un efficace correttivo all'enorme vantaggio economico che comporta la trasformazione della destinazione urbanistica delle aree, come confermato dalla sentenza del Consiglio di Stato intervenuta il 13 luglio 2010, ossia successivamente all'emanazione del provvedimento in esame, che ha ribaltato il giudizio del TAR dei Lazio;
la scelta operata dal Comune di Roma merita di essere estesa all'intero territorio nazionale, in modo da consentire a tutti gli enti locali di poter applicare misure compensative,
impegna il Governo:
a adottare iniziative normative volte a prevedere che i comuni possano applicare un contributo straordinario sulle valorizzazioni immobiliari e sui programmi urbanistici indiretti e sugli interventi diretti per i quali sono previste, nelle norme dello strumento urbanistico generale vigente (PRG), incentivazioni urbanistiche, calcolato sul valore aggiuntivo da essere derivante;
a stabilire che detto contributo sia esclusivamente finalizzato alla realizzazione di opere pubbliche e di urbanizzazione primaria e secondaria e quindi indirizzato sul capitolo di bilancio degli investimenti;
a computare detto contributo fino al limite massimo dell'80 per cento del valore aggiuntivo.
9/3638/177. Morassut, Mariani, Realacci, Benamati, Bocci, Braga, Bratti, Esposito, Ginoble, Iannuzzi, Marantelli, Margiotta, Motta, Viola, Zamparutti.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame delinea nella sostanza di una manovra correttiva da 24,9 miliardi di euro nel biennio 2010-2011 che penalizza in particolare Regioni ed enti locali e taglia il welfare colpendo in particolare l'assistenza sanitaria;
la manovra è stata giustificata dalle richieste di un maggior rigore da parte della Commissione Europea nel contenimento della spesa pubblica, ma è stata concepita e realizzata, come dimostrano le numerose proteste da parte delle categorie più disparate della stessa amministrazione pubblica, spesso operando tagli di carattere quantitativo piuttosto che qualitativo, che vanno ad incidere anche su servizi essenziali che dovrebbero essere garantiti dallo Stato o dalle autonomie locali;
i Governatori delle Regioni nel loro documento presentato il 9 giugno scorso in occasione dell'incontro con i ministri dell'economia e delle finanze, delle regioni e delle riforme hanno calcolato, come riportato dal Sole 24 Ore, che «su una spesa nel biennio di 64 miliardi di euro, le Regioni a statuto ordinario subirebbero tagli di spesa del 13,28 per cento, quelle speciali del 4,16 per cento. I Comuni del 3,1 per cento, le Province del 3,7 per cento, mentre per lo Stato il taglio sarebbe soltanto dell'1,22 per cento». Per questi motivi nella riunione della Conferenza delle Regioni del 15 giugno è stato approvato un documento all'unanimità in cui si definisce il disegno di legge in esame «testo senza condivisione, né sulle misure né sull'entità del taglio»;
il taglio appare tanto più grave se si effettua una valutazione qualitativa dei tagli di spesa, perché si tagliano nel biennio più di 3.557 milioni di euro al trasporto pubblico locale (asset chiave per qualsiasi politica che voglia perseguire l'obiettivo della riduzione del traffico privato) e quasi 461 milioni di euro alla spesa ambientale;
il comma 16 dell'articolo 14 del provvedimento in esame consente di introdurre un contributo straordinario sulle valorizzazioni immobiliari generate dallo strumento urbanistico;
la norma nasce dall'esigenza di porre fine ad un contenzioso avviato sulle norme tecniche di attuazione della variante al piano regolatore generale del Comune di Roma, che prevedeva detta possibilità e che erano state dichiarate illegittime dal TAR del Lazio, con la sentenza n. 1524 del 2010;
il principio giuridico affermato nella variante al piano regolatore appare sicuramente condivisibile, anche perché costituisce un efficace correttivo all'enorme vantaggio economico che comporta la trasformazione della destinazione urbanistica delle aree, come confermato dalla sentenza del Consiglio di Stato intervenuta il 13 luglio 2010, ossia successivamente all'emanazione del provvedimento in esame, che ha ribaltato il giudizio del TAR dei Lazio;
la scelta operata dal Comune di Roma merita di essere estesa all'intero territorio nazionale, in modo da consentire a tutti gli enti locali di poter applicare misure compensative,
impegna il Governo:
a valutare l'opportunità di adottare iniziative normative volte a prevedere che i comuni possano applicare un contributo straordinario sulle valorizzazioni immobiliari e sui programmi urbanistici indiretti e sugli interventi diretti per i quali sono previste, nelle norme dello strumento urbanistico generale vigente (PRG), incentivazioni urbanistiche, calcolato sul valore aggiuntivo da essere derivante;
a stabilire che detto contributo sia esclusivamente finalizzato alla realizzazione di opere pubbliche e di urbanizzazione primaria e secondaria e quindi indirizzato sul capitolo di bilancio degli investimenti;
a computare detto contributo fino al limite massimo dell'80 per cento del valore aggiuntivo.
9/3638/177.(Testo modificato nel corso della seduta)Morassut, Mariani, Realacci, Benamati, Bocci, Braga, Bratti, Esposito, Ginoble, Iannuzzi, Marantelli, Margiotta, Motta, Viola, Zamparutti.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame delinea nella sostanza di una manovra correttiva da 24,9 miliardi di euro nel biennio 2010-2011 che penalizza in particolare Regioni ed enti locali e taglia il welfare colpendo in particolare l'assistenza sanitaria;
la manovra è stata giustificata dalle richieste di un maggior rigore (la parte della Commissione Europea nel contenimento della spesa pubblica, ma è stata concepita e realizzata, come dimostrano le numerose proteste (la parte delle categorie più disparate della stessa amministrazione pubblica, spesso operando tagli di carattere quantitativo piuttosto che qualitativo, che vanno ad incidere anche su servizi essenziali che dovrebbero essere garantiti dallo Stato o dalle autonomie locali;
i Governatori delle Regioni nel loro documento presentato il 9 giugno scorso in occasione dell'incontro con i ministri dell'economia e delle finanze, delle regioni e delle riforme hanno calcolato, come riportato dal Sole 24 Ore, che «su una spesa nel biennio di 64 miliardi di euro, le Regioni a statuto ordinario subirebbero tagli di spesa del 13,28 per cento, quelle speciali del 4,16 per cento. I Comuni del 3,1 per cento, le Province del 3,7 per cento, mentre per lo Stato il taglio sarebbe soltanto dell'1,22 per cento». Per questi motivi nella riunione della Conferenza delle Regioni del 15 giugno è stato approvato un documento all'unanimità in cui si definisce il disegno di legge in esame «testo senza condivisione, né sulle misure né sull'entità del taglio»;
il taglio appare tanto più grave se si effettua una valutazione qualitativa dei tagli di spesa, perché si tagliano nel biennio più di 3.557 milioni di euro al trasporto pubblico locale (asset chiave per qualsiasi politica che voglia perseguire l'obiettivo della riduzione del traffico privato) e quasi 461 milioni di euro alla spesa ambientale;
la riduzione progressiva della capacità operativa del Governo in campo ambientale appare essere un disegno tanto ineluttabile quanto intollerabile; già nei tagli alle spese dei vari dicasteri contenuti due anni fa nel decreto-legge 25 giugno 2008, convertito, in legge, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, il Governo si era ripromesso che, in tre anni, dal 2009 al 2011, i fondi del Ministero dell'ambiente sarebbero stati ridotti del 52 per cento; il taglio previsto da quella prima ambiziosa Manovra triennale stabiliva, già due anni fa, una riduzione nel triennio di 678 milioni di euro sui 1.300 milioni di euro realmente disponibili nel 2008;
lo stesso Ministro per l'ambiente, la tutela del territorio e del mare aveva già denunciato, a fine 2009, un ulteriore ridimensionamento del bilancio del Ministero di competenza dai circa 1.700 milioni di euro nel 2008, ai 1.265 milioni di 2009, ai 738 milioni circa del 2010, per arrivare a 590 milioni di euro nel 2011;
l'articolo 2 del provvedimento in esame prevede la riduzione lineare del 10 per cento delle dotazioni finanziarie, iscritte a legislazione vigente nell'ambito delle spese rimodulabili di cui all'articolo 21, comma 5, lettera b), della legge n. 196 del 2009, delle missioni di spesa di ciascun Ministero che, a quanto si ricava dall'Allegato 1 al decreto, nel triennio 2011-2013 dovrebbe portare per il Ministero dell'Ambiente ad un'ulteriore riduzione di 8 milioni e 566 mila euro (4 milioni e 387 mila euro nel biennio 2011-2012);
il programma riguardante la Conservazione dell'assetto idrogeologico ha subito un drastico ridimensionamento di risorse e il Piano strategico nazionale per la mitigazione del rischio idrogeologico è ancora al palo;
la maggior parte del territorio del nostro Paese è ad alto rischio idrogeologico: alluvioni, frane e smottamenti causano ogni anno vittime e danni gravissimi alle abitazioni e alle strutture produttive, comportando un esborso notevole per le casse dello Stato solo per riparare e rimborsare i danni;
la prevenzione - attraverso la messa in sicurezza delle aree a rischio e la manutenzione del territorio, con una vasta opera di rimboschimento dei pendii e di controllo degli alvei dei fiumi - è l'unica politica efficace per ridurre drasticamente gli eventi calamitosi e rappresenta la più grande e indispensabile opera pubblica del Paese;
il ministro per l'ambiente, la tutela del territorio e del mare ha dichiarato nei scorsi giorni che «a livello nazionale riguardo alla difesa del suolo abbiamo una situazione drammatica e d'emergenza: abbiamo calcolato che 10 miliardi di euro non sarebbero sufficienti per far fronte a tutti gli interventi che servono»,
impegna il Governo
ad assumere come impegno prioritario della propria azione una diffusa e capillare opera di prevenzione del rischio idrogeologico, attraverso uno sforzo straordinario che coinvolga uomini, mezzi e risorse, nella prospettiva di consistenti risparmi per la finanza pubblica che la messa in sicurezza del territorio garantirebbe per il futuro.
9/3638/178. Bocci, Mariani, Realacci, Benamati, Braga, Bratti, Esposito, Ginoble, Iannuzzi, Marantelli, Margiotta, Morassut, Motta, Viola, Zamparutti, De Pasquale.
La Camera,
premesso che:
la drastica riduzione delle risorse per gli Enti Parco nazionali, operato con il disegno di legge in esame, pone gli Enti stessi in gravissime difficoltà operative, mettendo in discussione la possibilità di far fronte ad impegni di spesa obbligatori (pagamento del personale dipendente, affitto delle sedi, fornitura della benzina per la vigilanza del Corpo Forestale dello Stato, prevenzione degli incendi) cioè, in pratica, ponendoli a rischio di sopravvivenza, come più volte segnalato dal Ministro dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare;
le risorse previste dalla Legge di assestamento, destinate oggi a ventitre Enti Parco, rappresentano, in cifra assoluta, il cinquanta per cento di quelle stanziate già nel 1998 (e in seguito rimaste mediamente analoghe) e allora destinate ad un numero inferiore di Enti funzionanti e comunque già a quel tempo insufficienti a coprire le esigenze di completamento delle rispettive piante organiche e di garantire al meglio alcune esigenze gestionali primarie come quelle della vigilanza;
il dimezzamento delle risorse è operato dalla Legge di assestamento sulla base di una equiparazione degli Enti Parco nazionali con gli Enti controllati dai diversi Ministeri, equiparazione che non considera due aspetti specifici sostanziali: uno relativo alla natura di soggetto misto, in cui hanno una parte fondamentale gli Enti Locali che trovano diretta rappresentanza nell'ambito del Consiglio Direttivo dell'Ente e nella Comunità del Parco; l'altro riferito alla funzione di governo del territorio attraverso due dei principali strumenti di gestione e promozione di area vasta previsti dalla legge quali il Piano del Parco e il Piano di Sviluppo Socioeconomico, strumenti nei quali trovano sintesi gli interessi di tutela sovraordinati che sono in capo allo Stato e gli interessi di sviluppo e promozione delle comunità locali;
vi sono fondamentali ed esclusivi adempimenti di legge - quali ad esempio i pareri e i nulla osta relativi sia alle misure di salvaguardia, sia alle disposizioni previste dal Piano del Parco, sia ancora alle valutazioni d'incidenza su aree tutelate da vincoli comunitari - che gli Enti Parco sono tenuti a rispettare e che sarebbero messi a rischio per il forte indebolimento della loro funzionalità, con conseguenti gravi problemi tanto per gli Enti Locali interessati quanto per i cittadini e gli operatori economici residenti;
oltre agli aspetti sopra richiamati esistono superiori e inoppugnabili ragioni che militano a favore del mantenimento delle capacità gestionali degli Enti Parco nazionali, legate alla insostituibile funzione che essi svolgono per la salvaguardia ambientale così come sancita dalla legge 394/91, cioè per la tutela di paesaggi, ambienti, ecosistemi, specie di fauna e flora che si annoverano fra i più preziosi del Paese, insieme a ricchissime testimonianze di storia e tradizione locale. Si tratta di luoghi della nostra identità comune, simboli dell'Italia all'estero; rappresentano una parte cospicua di una responsabilità che gli italiani hanno nei confronti del resto del mondo;
specie in questo anno, proclamato dalle Nazioni Unite quale Anno Internazionale della Biodiversità, è doveroso per ogni autorità responsabile adoperarsi per il più ampio sostegno alla lotta contro la perdita di biodiversità, lotta alla quale i parchi sono prioritariamente destinati - come affermato dalla Carta di Siracusa approvata nel vertice internazionale dell'aprile 2009, secondo la linea già contenuta nell'articolo 8 della Convenzione mondiale sulla diversità biologica, (CBD, Rio de Janeiro 1992) ratificata dall'Italia con Legge n. 124 del 14 febbraio 1994 - e che i parchi nazionali italiani, come confermato nella recente prima Conferenza Nazionale sulla biodiversità e da riconoscimenti anche internazionali, hanno dimostrato di saper condurre con capacità, professionalità ed ottime esperienze nonostante l'impiego complessivo di soli 522 dipendenti a fronte dei circa 800 previsti dalle piante organiche;
l'indotto economico provocato dai pur esigui finanziamenti destinati ai Parchi nazionali è di grandissimo interesse in settori chiave quali il turismo di natura e quello scolastico, l'artigianato di qualità, la promozione dei prodotti e delle produzioni agroalimentari tipiche, la difesa del suolo dai fenomeni di dissesto idrogeologico, e che l'interruzione delle innumerevoli attività in corso o programmate dagli Enti Parco nazionali vedrebbe disattese le aspettative di tante comunità locali, specie di aree marginali o di nuovo e diverso sviluppo perché provocherebbe la perdita di finanziamenti europei già acquisiti, come sempre in passato, in misura sostanziosa; determinerebbe l'abbandono di iniziative di promozione di sviluppo sostenibile; causerebbe la chiusura di insostituibili servizi come quelli di educazione all'ambiente e alla sostenibilità,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di:
monitorare l'applicazione delle norme in premessa al fine di adottare ulteriori provvedimenti volti a ricostituire un flusso di finanziamenti agli Enti Parco nazionali in linea con le necessità e delle funzioni di tutela del territorio e dell'ambiente ad essi affidati;
permettere al Ministero dell'Ambiente della tutela del territorio e del mare, nell'ambito delle risorse già disponibili, di garantire tali funzioni.
9/3638/179. Realacci, Mariani, Benamati, Bocci, Braga, Bratti, Esposito, Ginoble, Iannuzzi, Marantelli, Margiotta, Morassut, Motta, Viola, Zamparutti, Tortoli, Bonciani, Toto, Stradella.
La Camera,
premesso che:
dopo oltre due anni dall'inizio della legislatura, con il provvedimento in esame, si conferma il profilo programmatico dell'esecutivo, caratterizzato da incertezze, confusione ed interventi inadeguati alle esigenze del Paese;
la tutela giurisdizionale costituisce uno strumento imprescindibile per assicurare ai cittadini la garanzia e la piena attuazione dei loro diritti, non solo in sede penale ma anche in ambito civile, tributario e amministrativo;
in particolare, le cause civili attualmente pendenti sono più di 5 milioni (con una crescita media annua del 7,5 per cento); per avere giustizia oggi un cittadino attende anche fino a sette anni e mezzo e, una volta giunta la sentenza, questa risulta spesso priva di qualsiasi effetto positivo per chi intendeva far valere un proprio diritto: è necessario, quindi, procedere allo smaltimento dell'arretrato civile, ma rifuggendo da logiche emergenziali e di rottamazione affrontando una riforma di sistema capace di riportare l'arretrato come i nuovi flussi di contenzioso a tempi di esaurimento che assicurino la ragionevole durata dei processi;
i giudici che si occupano di civile in Italia sono solo 2.000,
impegna il Governo
ad adottare ulteriori iniziative normative volte a stanziare 80.000.000 di euro all'anno al fine di dotare ciascun magistrato di due assistenti stagisti, che collaboreranno con il giudice nella ricerca dei materiali giurisprudenziali, nell'assistenza in corso di udienza e nella catalogazione dei precedenti delle sezioni giudicanti.
9/3638/180. Cavallaro, Capano, Ferranti, Andrea Orlando, Ciriello, Concia, Cuperlo, Melis, Picierno, Rossomando, Samperi, Tenaglia Tidei, Touadi.
La Camera,
premesso che:
dopo oltre due anni dall'inizio della legislatura, con il provvedimento in esame, si conferma il profilo programmatico dell'esecutivo, caratterizzato da incertezze, confusione ed interventi inadeguati alle esigenze del Paese;
la tutela giurisdizionale costituisce uno strumento imprescindibile per assicurare ai cittadini la garanzia e la piena attuazione dei loro diritti, non solo in sede penale ma anche in ambito civile, tributario e amministrativo;
in particolare, le cause civili attualmente pendenti sono più di 5 milioni (con una crescita media annua del 7,5 per cento); per avere giustizia oggi un cittadino attende anche fino a sette anni e mezzo e, una volta giunta la sentenza, questa risulta spesso priva di qualsiasi effetto positivo per chi intendeva far valere un proprio diritto: è necessario, quindi, procedere allo smaltimento dell'arretrato civile, ma rifuggendo da logiche emergenziali e di rottamazione affrontando una riforma di sistema capace di riportare l'arretrato come i nuovi flussi di contenzioso a tempi di esaurimento che assicurino la ragionevole durata dei processi;
i giudici che si occupano di civile in Italia sono solo 2.000,
impegna il Governo
se le condizioni di finanza pubblica lo consentono, ad adottare ulteriori iniziative normative volte a stanziare 80.000.000 di euro all'anno al fine di dotare ciascun magistrato di due assistenti stagisti, che collaboreranno con il giudice nella ricerca dei materiali giurisprudenziali, nell'assistenza in corso di udienza e nella catalogazione dei precedenti delle sezioni giudicanti.
9/3638/180.(Testo modificato nel corso della seduta)Cavallaro, Capano, Ferranti, Andrea Orlando, Ciriello, Concia, Cuperlo, Melis, Picierno, Rossomando, Samperi, Tenaglia Tidei, Touadi.
La Camera,
premesso che:
il comma 21-quinquies dell'articolo 6 prevede l'emanazione di un D.P.C.M. volto a disciplinare i termini e le modalità per la vendita dei titoli di cui all'articolo 2 del decreto-legge n. 143 del 2008, (azioni, obbligazioni, Bot, Cct, ecc.) oggetto di sequestro nell'ambito di procedimenti penali o per l'applicazione di misure di prevenzione antimafia di cui alla legge n. 575 del 1965 e il cui ricavato affluisce al cd. Fondo unico giustizia;
si tratta di un D.P.C.M. di natura regolamentare, per il quale, quindi, non sono necessari né il parere del Consiglio di Stato, né l'obbligo di registrazione della Corte dei Conti;
considerato che:
si tratta di un dispositivo suscettibile di recare oneri a carico della finanza pubblica, poiché la norma potrebbe risultare inapplicabile attesa la composizione dei portafogli titoli da liquidare che contengono valori non negoziabili come polizze, garanzie ed altri titoli di valore reale pressoché nullo. La vendita di titoli sequestrati configura, in realtà, la cessione di valori e di beni di proprietà di terzi e può determinare, all'atto del possibile dissequestro, oneri a carico del bilancio dello Stato per la restituzione del titolo stesso. L'eventualità della restituzione è, peraltro, esclusa dal testo presentato dal Governo, il quale prevede la restituzione del solo ricavato;
l'affidamento delle procedure di vendita dei titoli sequestrati all'operatore finanziario detentore degli stessi, oltre ad estromettere Equitalia giustizia dalla gestione delle risorse di cui è responsabile, non ne garantirebbe l'ottimale collocazione sul mercato, stante l'assenza di controlli e la mancata disciplina della possibile situazione di conflitto. Ciò potrebbe determinare oneri a carico del bilancio dello Stato per la differenza tra il valore nominale e il valore di realizzo. La liquidazione delle attività sequestrate potrebbe altresì determinare un contenzioso volto ad ottenere il riconoscimento di eventuali danni patrimoniali derivanti dalla vendita di beni dissequestrati;
anche per questi motivi la Commissione bilancio del Senato aveva sollevato il problema di copertura in merito alla previsione di questo Fondo,
impegna il Governo:
a riferire al Parlamento, entro 6 mesi dall'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, circa gli effetti sui saldi di finanza pubblica derivanti dall'applicazione della normativa introdotta;
a presentare alle Camere entro 6 mesi dall'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto legge, una relazione dettagliata sugli interventi finanziati con il fondo giustizia e i relativi impegni di spesa.
9/3638/181. Capano.
La Camera,
premesso che:
il comma 21-quinquies dell'articolo 6 prevede l'emanazione di un D.P.C.M. volto a disciplinare i termini e le modalità per la vendita dei titoli di cui all'articolo 2 del decreto-legge n. 143 del 2008, (azioni, obbligazioni, Bot, Cct, ecc.) oggetto di sequestro nell'ambito di procedimenti penali o per l'applicazione di misure di prevenzione antimafia di cui alla legge n. 575 del 1965 e il cui ricavato affluisce al cd. Fondo unico giustizia;
si tratta di un D.P.C.M. di natura regolamentare, per il quale, quindi, non sono necessari né il parere del Consiglio di Stato, né l'obbligo di registrazione della Corte dei Conti;
considerato che:
si tratta di un dispositivo suscettibile di recare oneri a carico della finanza pubblica, poiché la norma potrebbe risultare inapplicabile attesa la composizione dei portafogli titoli da liquidare che contengono valori non negoziabili come polizze, garanzie ed altri titoli di valore reale pressoché nullo. La vendita di titoli sequestrati configura, in realtà, la cessione di valori e di beni di proprietà di terzi e può determinare, all'atto del possibile dissequestro, oneri a carico del bilancio dello Stato per la restituzione del titolo stesso. L'eventualità della restituzione è, peraltro, esclusa dal testo presentato dal Governo, il quale prevede la restituzione del solo ricavato;
l'affidamento delle procedure di vendita dei titoli sequestrati all'operatore finanziario detentore degli stessi, oltre ad estromettere Equitalia giustizia dalla gestione delle risorse di cui è responsabile, non ne garantirebbe l'ottimale collocazione sul mercato, stante l'assenza di controlli e la mancata disciplina della possibile situazione di conflitto. Ciò potrebbe determinare oneri a carico del bilancio dello Stato per la differenza tra il valore nominale e il valore di realizzo. La liquidazione delle attività sequestrate potrebbe altresì determinare un contenzioso volto ad ottenere il riconoscimento di eventuali danni patrimoniali derivanti dalla vendita di beni dissequestrati;
anche per questi motivi la Commissione bilancio del Senato aveva sollevato il problema di copertura in merito alla previsione di questo Fondo,
impegna il Governo:
a valutare l'opportunità di riferire al Parlamento, entro 6 mesi dall'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, circa gli effetti sui saldi di finanza pubblica derivanti dall'applicazione della normativa introdotta;
a presentare alle Camere entro 6 mesi dall'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto legge, una relazione dettagliata sugli interventi finanziati con il fondo giustizia e i relativi impegni di spesa.
9/3638/181.(Testo modificato nel corso della seduta)Capano.
La Camera,
premesso che:
dopo oltre due anni dall'inizio della legislatura, con il provvedimento in esame, si conferma il profilo programmatico dell'esecutivo, caratterizzato da incertezze, confusione ed interventi inadeguati alle esigenze del Paese;
rilevato che:
la tutela giurisdizionale costituisce uno strumento imprescindibile per assicurare ai cittadini la garanzia e la piena attuazione dei loro diritti, non solo in sede penale ma anche in ambito civile, tributario e amministrativo;
l'efficienza del sistema giudiziario presuppone necessariamente un'efficace distribuzione sul territorio nazionale degli uffici giudiziari e l'adeguatezza della loro struttura dimensionale: per questo la revisione della geografia giudiziaria da un lato e delle dimensioni degli uffici giudiziari dall'altro, rappresenta una priorità da perseguire prevedendo l'individuazione di una rete omogenea di tribunali ordinari secondo criteri obbiettivi di prossimità di tipo socioeconomico e territoriale, con particolare attenzione alle zone di forte criminalità organizzata, a quelle con intensa densità abitativa e ove vi sia una rilevante domanda di giustizia, nonché ulteriori criteri che saranno individuati dopo il confronto con i territori;
allo stesso tempo si dovrà procedere verso l'incremento delle risorse strumentali e umane, attualmente del tutto insufficienti e sproporzionate rispetto ai carichi di lavoro degli uffici, e verso la completa ed effettiva informatizzazione (e telematizzazione) del procedimento, semplificando il regime delle notifiche, tenuto conto della recente introduzione delle modalità di notifica tramite posta elettronica certificata;
per quanto riguarda le risorse finanziare, è necessario ripristinare almeno le previsioni, anche se largamente insufficienti, approvate dalla Finanziaria 2010 che con la nuova manovra economica scendono di ulteriori 47,83 milioni di euro per 2011 e di 48,52 milioni di euro per il 2012,
impegna il Governo
ad adottare ulteriori iniziative, anche di carattere normativo, volte a varare un piano per la riqualificazione del personale, mediante lo stanziamento di 40 milioni di euro, e per l'assunzione di almeno 4.000 nuove unità, stanziando a tal fine 152 milioni di euro.
9/3638/182. Ferranti, Andrea Orlando, Capano, Cavallaro, Ciriello, Concia, Cuperlo, Melis, Picierno, Rossomando, Samperi, Tenaglia, Tidei, Touadi, De Pasquale.
La Camera,
premesso che:
dopo oltre due anni dall'inizio della legislatura, con il provvedimento in esame, si conferma il profilo programmatico dell'esecutivo, caratterizzato da incertezze, confusione ed interventi inadeguati alle esigenze del Paese;
rilevato che:
la tutela giurisdizionale costituisce uno strumento imprescindibile per assicurare ai cittadini la garanzia e la piena attuazione dei loro diritti, non solo in sede penale ma anche in ambito civile, tributario e amministrativo;
l'efficienza del sistema giudiziario presuppone necessariamente un'efficace distribuzione sul territorio nazionale degli uffici giudiziari e l'adeguatezza della loro struttura dimensionale: per questo la revisione della geografia giudiziaria da un lato e delle dimensioni degli uffici giudiziari dall'altro, rappresenta una priorità da perseguire prevedendo l'individuazione di una rete omogenea di tribunali ordinari secondo criteri obbiettivi di prossimità di tipo socioeconomico e territoriale, con particolare attenzione alle zone di forte criminalità organizzata, a quelle con intensa densità abitativa e ove vi sia una rilevante domanda di giustizia, nonché ulteriori criteri che saranno individuati dopo il confronto con i territori;
allo stesso tempo si dovrà procedere verso l'incremento delle risorse strumentali e umane, attualmente del tutto insufficienti e sproporzionate rispetto ai carichi di lavoro degli uffici, e verso la completa ed effettiva informatizzazione (e telematizzazione) del procedimento, semplificando il regime delle notifiche, tenuto conto della recente introduzione delle modalità di notifica tramite posta elettronica certificata;
per quanto riguarda le risorse finanziare, è necessario ripristinare almeno le previsioni, anche se largamente insufficienti, approvate dalla Finanziaria 2010 che con la nuova manovra economica scendono di ulteriori 47,83 milioni di euro per 2011 e di 48,52 milioni di euro per il 2012,
impegna il Governo
compatibilmente con le esigenze di finanza pubblica, ad adottare ulteriori iniziative, anche di carattere normativo, volte a varare un piano per la riqualificazione del personale, mediante lo stanziamento di 40 milioni di euro, e per l'assunzione di almeno 4.000 nuove unità, stanziando a tal fine 152 milioni di euro.
9/3638/182.(Testo modificato nel corso della seduta)Ferranti, Andrea Orlando, Capano, Cavallaro, Ciriello, Concia, Cuperlo, Melis, Picierno, Rossomando, Samperi, Tenaglia, Tidei, Touadi, De Pasquale.
La Camera,
premesso che:
dopo oltre due anni dall'inizio della legislatura, con il provvedimento in esame, si conferma il profilo programmatico dell'esecutivo, caratterizzato da incertezze, confusione ed interventi inadeguati alle esigenze del Paese;
la tutela giurisdizionale costituisce uno strumento imprescindibile per assicurare ai cittadini la garanzia e la piena attuazione dei loro diritti, non solo in sede penale ma anche in ambito civile, tributario e amministrativo;
la garanzia del diritto dei cittadini alla sicurezza presuppone necessariamente - oltre all'efficienza dell'azione delle forze dell'ordine cui vanno assicurati i mezzi indispensabili per il loro operato - un sistema giudiziario efficiente, per il cui miglioramento è necessario stanziare risorse adeguate e idonee a realizzare un effettivo miglioramento della qualità dell'amministrazione della giustizia; l'efficienza del sistema giudiziario rappresenta una condizione essenziale per la promozione dello sviluppo economico del Paese, favorendone la competitività e l'attitudine ad attrarre investimenti internazionali, anche in virtù di procedure giurisdizionali capaci di garantire adeguatamente l'attuazione delle obbligazioni contrattuali;
il nostro sistema giudiziario soffre, oggi, di gravi carenze strutturali, che non sono affrontate dal Governo anche a causa delle scarse risorse stanziate: ne è prova l'ultima manovra finanziaria che le ha ulteriormente ridotte rispetto all'esercizio precedente, quando già rappresentavano soltanto l'1,4 per cento del bilancio dello Stato;
al taglio di oltre 327 milioni di euro operato nel corso della precedente finanziaria si vanno ad aggiungere, con il provvedimento in esame, altri 140 milioni di euro nel triennio di tagli alla missione 6 - Giustizia. Una riduzione significativa e suscettibile di determinare un ulteriore forte decremento dello standard qualitativo dell'amministrazione della giustizia se si considera che a tale missione sono ricondotti quattro 'programmi' cruciali per la funzionalità della giustizia - e quindi anche per la sicurezza e la tutela dei diritti dei cittadini - come quelli dell'amministrazione penitenziaria, della giustizia civile e penale, della giustizia minorile e dell'edilizia giudiziaria, penitenziaria e minorile;
tali disposizioni aggravano ulteriormente la disfunzionalità che già oggi caratterizza i sistemi giudiziario e penitenziario e in generale l'amministrazione della giustizia che con gli ulteriori tagli contenuti nel decreto rischia addirittura la paralisi;
le forti riduzioni di spesa previste dal Ministero della giustizia ostacoleranno in misura significativa la piena attuazione delle politiche per la sicurezza e il contrasto alla criminalità, impedendo il celere ed effettivo accertamento dei reati e l'identificazione dei colpevoli, nonché la prevenzione dei delitti, in palese contraddizione con quanto asserito dagli esponenti del Governo e della stessa maggioranza non solo in sede parlamentare o in contesti istituzionali, ma anche nell'ambito di dichiarazioni rese alla stampa;
la riduzione delle risorse rischia di rallentare l'informatizzazione dei procedimenti civili, penali, amministrativi e di prevenzione, necessaria per assicurare la qualità complessiva del «servizio giustizia», come è imposto, peraltro, dalle crescenti esigenze di cooperazione internazionale;
i consistenti tagli operati dai provvedimenti in analisi alle risorse destinate al dicastero della giustizia dimostrano il carattere meramente simbolico - come tale inefficace - della politica del Governo, che a fronte della continua introduzione di nuove norme incriminatrici, non prevede le risorse necessarie alla loro applicazione, sia in sede giudiziaria che penitenziaria, con il rischio di aggravare ulteriormente non solo la disfunzionalità del sistema giudiziario, ma anche di minare la certezza del diritto e la stessa legittimazione e credibilità della funzione dell'amministrazione della giustizia, con gravi pregiudizi per la sicurezza e la tutela giurisdizionale dei diritti per i cittadini,
impegna il Governo
ad assumere iniziative normative volte a prevedere lo stanziamento di fondi per attuare misure concrete volte alla prevenzione del fenomeno degli atti persecutori, per costruire campagne educative volte al rispetto della donna e della persona in generale, a partire dalla scuola, per predisporre e promuovere codici etici per l'informazione, la pubblicità e, in generale, riguardo all'immagine femminile, contro i linguaggi violenti e prevaricanti.
9/3638/183. Concia, Ferranti, Andrea Orlando, Capano, Cavallaro, Ciriello, Cuperlo, Melis, Picierno, Rossomando, Samperi, Tenaglia, Tidei, Touadi, Sarubbi.
La Camera,
premesso che:
dopo oltre due anni dall'inizio della legislatura, con il provvedimento in esame, si conferma il profilo programmatico dell'esecutivo, caratterizzato da incertezze, confusione ed interventi inadeguati alle esigenze del Paese;
la tutela giurisdizionale costituisce uno strumento imprescindibile per assicurare ai cittadini la garanzia e la piena attuazione dei loro diritti, non solo in sede penale ma anche in ambito civile, tributario e amministrativo;
la garanzia del diritto dei cittadini alla sicurezza presuppone necessariamente - oltre all'efficienza dell'azione delle forze dell'ordine cui vanno assicurati i mezzi indispensabili per il loro operato - un sistema giudiziario efficiente, per il cui miglioramento è necessario stanziare risorse adeguate e idonee a realizzare un effettivo miglioramento della qualità dell'amministrazione della giustizia; l'efficienza del sistema giudiziario rappresenta una condizione essenziale per la promozione dello sviluppo economico del Paese, favorendone la competitività e l'attitudine ad attrarre investimenti internazionali, anche in virtù di procedure giurisdizionali capaci di garantire adeguatamente l'attuazione delle obbligazioni contrattuali;
il nostro sistema giudiziario soffre, oggi, di gravi carenze strutturali, che non sono affrontate dal Governo anche a causa delle scarse risorse stanziate: ne è prova l'ultima manovra finanziaria che le ha ulteriormente ridotte rispetto all'esercizio precedente, quando già rappresentavano soltanto l'1,4 per cento del bilancio dello Stato;
al taglio di oltre 327 milioni di euro operato nel corso della precedente finanziaria si vanno ad aggiungere, con il provvedimento in esame, altri 140 milioni di euro nel triennio di tagli alla missione 6 - Giustizia. Una riduzione significativa e suscettibile di determinare un ulteriore forte decremento dello standard qualitativo dell'amministrazione della giustizia se si considera che a tale missione sono ricondotti quattro 'programmi' cruciali per la funzionalità della giustizia - e quindi anche per la sicurezza e la tutela dei diritti dei cittadini - come quelli dell'amministrazione penitenziaria, della giustizia civile e penale, della giustizia minorile e dell'edilizia giudiziaria, penitenziaria e minorile;
tali disposizioni aggravano ulteriormente la disfunzionalità che già oggi caratterizza i sistemi giudiziario e penitenziario e in generale l'amministrazione della giustizia che con gli ulteriori tagli contenuti nel decreto rischia addirittura la paralisi;
le forti riduzioni di spesa previste dal Ministero della giustizia ostacoleranno in misura significativa la piena attuazione delle politiche per la sicurezza e il contrasto alla criminalità, impedendo il celere ed effettivo accertamento dei reati e l'identificazione dei colpevoli, nonché la prevenzione dei delitti, in palese contraddizione con quanto asserito dagli esponenti del Governo e della stessa maggioranza non solo in sede parlamentare o in contesti istituzionali, ma anche nell'ambito di dichiarazioni rese alla stampa;
la riduzione delle risorse rischia di rallentare l'informatizzazione dei procedimenti civili, penali, amministrativi e di prevenzione, necessaria per assicurare la qualità complessiva del «servizio giustizia», come è imposto, peraltro, dalle crescenti esigenze di cooperazione internazionale;
i consistenti tagli operati dai provvedimenti in analisi alle risorse destinate al dicastero della giustizia dimostrano il carattere meramente simbolico - come tale inefficace - della politica del Governo, che a fronte della continua introduzione di nuove norme incriminatrici, non prevede le risorse necessarie alla loro applicazione, sia in sede giudiziaria che penitenziaria, con il rischio di aggravare ulteriormente non solo la disfunzionalità del sistema giudiziario, ma anche di minare la certezza del diritto e la stessa legittimazione e credibilità della funzione dell'amministrazione della giustizia, con gravi pregiudizi per la sicurezza e la tutela giurisdizionale dei diritti per i cittadini,
impegna il Governo
compatibilmente con le esigenze di finanza pubblica, ad assumere iniziative normative volte a prevedere lo stanziamento di fondi per attuare misure concrete volte alla prevenzione del fenomeno degli atti persecutori, per costruire campagne educative volte al rispetto della donna e della persona in generale, a partire dalla scuola, per predisporre e promuovere codici etici per l'informazione, la pubblicità e, in generale, riguardo all'immagine femminile, contro i linguaggi violenti e prevaricanti.
9/3638/183.(Testo modificato nel corso della seduta)Concia, Ferranti, Andrea Orlando, Capano, Cavallaro, Ciriello, Cuperlo, Melis, Picierno, Rossomando, Samperi, Tenaglia, Tidei, Touadi, Sarubbi.
La Camera,
premesso che:
dopo oltre due anni dall'inizio della legislatura, con il provvedimento in nostro esame, si conferma il profilo programmatico dell'esecutivo, caratterizzato da incertezze, confusione ed interventi inadeguati alle esigenze del Paese;
la tutela giurisdizionale costituisce uno strumento imprescindibile per assicurare ai cittadini la garanzia e la piena attuazione dei loro diritti, non solo in sede penale ma anche in ambito civile, tributario e amministrativo;
la garanzia del diritto dei cittadini alla sicurezza presuppone necessariamente - oltre all'efficienza dell'azione delle forze dell'ordine cui vanno assicurati i mezzi indispensabili per il loro operato - un sistema giudiziario efficiente, per il cui miglioramento è necessario stanziare risorse adeguate e idonee a realizzare un effettivo miglioramento della qualità dell'amministrazione della giustizia; l'efficienza del sistema giudiziario rappresenta una condizione essenziale per la promozione dello sviluppo economico del Paese, favorendone la competitività e l'attitudine ad attrarre investimenti internazionali, anche in virtù di procedure giurisdizionali capaci di garantire adeguatamente l'attuazione delle obbligazioni contrattuali;
il nostro sistema giudiziario soffre, oggi, di gravi carenze strutturali, che non sono affrontate dal Governo anche a causa delle scarse risorse stanziate: ne è prova l'ultima manovra finanziaria che le ha ulteriormente ridotte rispetto all'esercizio precedente, quando già rappresentavano soltanto l'1,4 per cento del bilancio dello Stato;
considerato che:
al taglio di oltre 327 milioni di euro operato nel corso della precedente finanziaria si vanno ad aggiungere, con il provvedimento in esame, altri 140 milioni di euro nel triennio di tagli alla missione 6 - Giustizia. Una riduzione significativa e suscettibile di determinare un ulteriore forte decremento dello standard qualitativo dell'amministrazione della giustizia se si considera che a tale missione sono ricondotti quattro «programmi» cruciali per la funzionalità della giustizia - e quindi anche per la sicurezza e la tutela dei diritti dei cittadini - come quelli dell'amministrazione penitenziaria, della giustizia civile e penale, della giustizia minorile e dell'edilizia giudiziaria, penitenziaria e minorile;
tali disposizioni aggravano ulteriormente la disfunzionalità che già oggi caratterizza i sistemi giudiziario e penitenziario e in generale l'amministrazione della giustizia che con gli ulteriori tagli contenuti nel decreto rischia addirittura la paralisi;
le forti riduzioni di spesa previste dal Ministero della giustizia ostacoleranno in misura significativa la piena attuazione delle politiche per la sicurezza e il contrasto alla criminalità, impedendo il celere ed effettivo accertamento dei reati e l'identificazione dei colpevoli, nonché la prevenzione dei delitti, in palese contraddizione con quanto asserito dagli esponenti del Governo e della stessa maggioranza non solo in sede parlamentare o in contesti istituzionali, ma anche nell'ambito di dichiarazioni rese alla stampa;
la riduzione delle risorse rischia di rallentare l'informatizzazione dei procedimenti civili, penali, amministrativi e di prevenzione, necessaria per assicurare la qualità complessiva del «servizio giustizia», come è imposto, peraltro, dalle crescenti esigenze di cooperazione internazionale;
i consistenti tagli operati dai provvedimenti in analisi alle risorse destinate al dicastero della giustizia dimostrano il carattere meramente simbolico - come tale inefficace - della politica del Governo, che a fronte della continua introduzione di nuove norme incriminatrici, non prevede le risorse necessarie alla loro applicazione, sia in sede giudiziaria che penitenziaria, con il rischio di aggravare ulteriormente non solo la disfunzionalità del sistema giudiziario, ma anche di minare la certezza del diritto e la stessa legittimazione e credibilità della funzione dell'amministrazione della giustizia, con gravi pregiudizi per la sicurezza e la tutela giurisdizionale dei diritti per i cittadini,
impegna il Governo
ad adottare iniziative normative volte a garantire adeguati finanziamenti al Ministero della Giustizia per l'attuazione del processo telematico, per investimenti adeguati nell'informatica giudiziaria, nella formazione e incentivazione economica e professionale del personale dell'amministrazione della giustizia.
9/3638/184. Andrea Orlando, Ferranti, Capano, Cavallaro, Ciriello, Concia, Cuperlo, Melis, Picierno, Rossomando, Samperi, Tenaglia, Tidei, Touadi.
La Camera,
premesso che:
dopo oltre due anni dall'inizio della legislatura, con il provvedimento in nostro esame, si conferma il profilo programmatico dell'esecutivo, caratterizzato da incertezze, confusione ed interventi inadeguati alle esigenze del Paese;
la tutela giurisdizionale costituisce uno strumento imprescindibile per assicurare ai cittadini la garanzia e la piena attuazione dei loro diritti, non solo in sede penale ma anche in ambito civile, tributario e amministrativo;
la garanzia del diritto dei cittadini alla sicurezza presuppone necessariamente - oltre all'efficienza dell'azione delle forze dell'ordine cui vanno assicurati i mezzi indispensabili per il loro operato - un sistema giudiziario efficiente, per il cui miglioramento è necessario stanziare risorse adeguate e idonee a realizzare un effettivo miglioramento della qualità dell'amministrazione della giustizia; l'efficienza del sistema giudiziario rappresenta una condizione essenziale per la promozione dello sviluppo economico del Paese, favorendone la competitività e l'attitudine ad attrarre investimenti internazionali, anche in virtù di procedure giurisdizionali capaci di garantire adeguatamente l'attuazione delle obbligazioni contrattuali;
il nostro sistema giudiziario soffre, oggi, di gravi carenze strutturali, che non sono affrontate dal Governo anche a causa delle scarse risorse stanziate: ne è prova l'ultima manovra finanziaria che le ha ulteriormente ridotte rispetto all'esercizio precedente, quando già rappresentavano soltanto l'1,4 per cento del bilancio dello Stato;
considerato che:
al taglio di oltre 327 milioni di euro operato nel corso della precedente finanziaria si vanno ad aggiungere, con il provvedimento in esame, altri 140 milioni di euro nel triennio di tagli alla missione 6 - Giustizia. Una riduzione significativa e suscettibile di determinare un ulteriore forte decremento dello standard qualitativo dell'amministrazione della giustizia se si considera che a tale missione sono ricondotti quattro «programmi» cruciali per la funzionalità della giustizia - e quindi anche per la sicurezza e la tutela dei diritti dei cittadini - come quelli dell'amministrazione penitenziaria, della giustizia civile e penale, della giustizia minorile e dell'edilizia giudiziaria, penitenziaria e minorile;
tali disposizioni aggravano ulteriormente la disfunzionalità che già oggi caratterizza i sistemi giudiziario e penitenziario e in generale l'amministrazione della giustizia che con gli ulteriori tagli contenuti nel decreto rischia addirittura la paralisi;
le forti riduzioni di spesa previste dal Ministero della giustizia ostacoleranno in misura significativa la piena attuazione delle politiche per la sicurezza e il contrasto alla criminalità, impedendo il celere ed effettivo accertamento dei reati e l'identificazione dei colpevoli, nonché la prevenzione dei delitti, in palese contraddizione con quanto asserito dagli esponenti del Governo e della stessa maggioranza non solo in sede parlamentare o in contesti istituzionali, ma anche nell'ambito di dichiarazioni rese alla stampa;
la riduzione delle risorse rischia di rallentare l'informatizzazione dei procedimenti civili, penali, amministrativi e di prevenzione, necessaria per assicurare la qualità complessiva del «servizio giustizia», come è imposto, peraltro, dalle crescenti esigenze di cooperazione internazionale;
i consistenti tagli operati dai provvedimenti in analisi alle risorse destinate al dicastero della giustizia dimostrano il carattere meramente simbolico - come tale inefficace - della politica del Governo, che a fronte della continua introduzione di nuove norme incriminatrici, non prevede le risorse necessarie alla loro applicazione, sia in sede giudiziaria che penitenziaria, con il rischio di aggravare ulteriormente non solo la disfunzionalità del sistema giudiziario, ma anche di minare la certezza del diritto e la stessa legittimazione e credibilità della funzione dell'amministrazione della giustizia, con gravi pregiudizi per la sicurezza e la tutela giurisdizionale dei diritti per i cittadini,
impegna il Governo
compatibilmente con le esigenze di finanza pubblica, ad adottare iniziative normative volte a garantire adeguati finanziamenti al Ministero della Giustizia per l'attuazione del processo telematico, per investimenti adeguati nell'informatica giudiziaria, nella formazione e incentivazione economica e professionale del personale dell'amministrazione della giustizia.
9/3638/184.(Testo modificato nel corso della seduta)Andrea Orlando, Ferranti, Capano, Cavallaro, Ciriello, Concia, Cuperlo, Melis, Picierno, Rossomando, Samperi, Tenaglia, Tidei, Touadi.
La Camera,
premesso che:
dopo oltre due anni dall'inizio della legislatura, con il provvedimento in esame, si conferma il profilo programmatico dell'esecutivo, caratterizzato da incertezze, confusione ed interventi inadeguati alle esigenze del Paese;
la tutela giurisdizionale costituisce uno strumento imprescindibile per assicurare ai cittadini la garanzia e la piena attuazione dei loro diritti, non solo in sede penale ma anche in ambito civile, tributario e amministrativo;
la garanzia del diritto dei cittadini alla sicurezza presuppone necessariamente - oltre all'efficienza dell'azione delle forze dell'ordine cui vanno assicurati i mezzi indispensabili per il loro operato - un sistema giudiziario efficiente, per il cui miglioramento è necessario stanziare risorse adeguate e idonee a realizzare un effettivo miglioramento della qualità dell'amministrazione della giustizia; l'efficienza del sistema giudiziario rappresenta una condizione essenziale per la promozione dello sviluppo economico del Paese, favorendone la competitività e l'attitudine ad attrarre investimenti internazionali, anche in virtù di procedure giurisdizionali capaci di garantire adeguatamente l'attuazione delle obbligazioni contrattuali;
il nostro sistema giudiziario soffre, oggi, di gravi carenze strutturali, che non sono affrontate dal Governo anche a causa delle scarse risorse stanziate: ne è prova l'ultima manovra finanziaria che le ha ulteriormente ridotte rispetto all'esercizio precedente, quando già rappresentavano soltanto l'1,4 per cento del bilancio dello Stato;
al taglio di oltre 327 milioni di euro operato nel corso della precedente finanziaria si vanno ad aggiungere, con il provvedimento in esame, altri 140 milioni di euro nel triennio di tagli alla missione 6 - Giustizia. Una riduzione significativa e suscettibile di determinare un ulteriore forte decremento dello standard qualitativo dell'amministrazione della giustizia se si considera che a tale missione sono ricondotti quattro «programmi» cruciali per la funzionalità della giustizia - e quindi anche per la sicurezza e la tutela dei diritti dei cittadini - come quelli dell'amministrazione penitenziaria, della giustizia civile e penale, della giustizia minorile e dell'edilizia giudiziaria, penitenziaria e minorile;
tali disposizioni aggravano ulteriormente la disfunzionalità che già oggi caratterizza i sistemi giudiziario e penitenziario e in generale l'amministrazione della giustizia che con gli ulteriori tagli contenuti nel decreto rischia addirittura la paralisi;
le forti riduzioni di spesa previste dal Ministero della giustizia ostacoleranno in misura significativa la piena attuazione delle politiche per la sicurezza e il contrasto alla criminalità, impedendo il celere ed effettivo accertamento dei reati e l'identificazione dei colpevoli, nonché la prevenzione dei delitti, in palese contraddizione con quanto asserito dagli esponenti del Governo e della stessa maggioranza non solo in sede parlamentare o in contesti istituzionali, ma anche nell'ambito di dichiarazioni rese alla stampa;
la riduzione delle risorse rischia di rallentare l'informatizzazione dei procedimenti civili, penali, amministrativi e di prevenzione, necessaria per assicurare la qualità complessiva del «servizio giustizia», come è imposto, peraltro, dalle crescenti esigenze di cooperazione internazionale;
i consistenti tagli operati dai provvedimenti in analisi alle risorse destinate al dicastero della giustizia dimostrano il carattere meramente simbolico - come tale inefficace - della politica del Governo, che a fronte della continua introduzione di nuove norme incriminatrici, non prevede le risorse necessarie alla loro applicazione, sia in sede giudiziaria che penitenziaria, con il rischio di aggravare ulteriormente non solo la disfunzionalità del sistema giudiziario, ma anche di minare la certezza del diritto e la stessa legittimazione e credibilità della funzione dell'amministrazione della giustizia, con gravi pregiudizi per la sicurezza e la tutela giurisdizionale dei diritti per i cittadini,
impegna il Governo
ad adottare iniziative normative volte a prevedere adeguati finanziamenti per l'ufficio del processo inteso come complessivo progetto di ristrutturazione degli uffici giudiziari, necessario per ottenere l'ottimizzazione delle risorse e l'accelerazione dei tempi dei processi assicurando alla giurisdizione un fattivo supporto organizzativo.
9/3638/185. Tenaglia, Ferranti, Andrea Orlando, Capano, Cavallaro, Ciriello, Concia, Cuperlo, Melis, Picierno, Rossomando, Samperi, Tidei, Touadi, De Pasquale.
La Camera,
premesso che:
dopo oltre due anni dall'inizio della legislatura, con il provvedimento in esame, si conferma il profilo programmatico dell'esecutivo, caratterizzato da incertezze, confusione ed interventi inadeguati alle esigenze del Paese;
la tutela giurisdizionale costituisce uno strumento imprescindibile per assicurare ai cittadini la garanzia e la piena attuazione dei loro diritti, non solo in sede penale ma anche in ambito civile, tributario e amministrativo;
la garanzia del diritto dei cittadini alla sicurezza presuppone necessariamente - oltre all'efficienza dell'azione delle forze dell'ordine cui vanno assicurati i mezzi indispensabili per il loro operato - un sistema giudiziario efficiente, per il cui miglioramento è necessario stanziare risorse adeguate e idonee a realizzare un effettivo miglioramento della qualità dell'amministrazione della giustizia; l'efficienza del sistema giudiziario rappresenta una condizione essenziale per la promozione dello sviluppo economico del Paese, favorendone la competitività e l'attitudine ad attrarre investimenti internazionali, anche in virtù di procedure giurisdizionali capaci di garantire adeguatamente l'attuazione delle obbligazioni contrattuali;
il nostro sistema giudiziario soffre, oggi, di gravi carenze strutturali, che non sono affrontate dal Governo anche a causa delle scarse risorse stanziate: ne è prova l'ultima manovra finanziaria che le ha ulteriormente ridotte rispetto all'esercizio precedente, quando già rappresentavano soltanto l'1,4 per cento del bilancio dello Stato;
al taglio di oltre 327 milioni di euro operato nel corso della precedente finanziaria si vanno ad aggiungere, con il provvedimento in esame, altri 140 milioni di euro nel triennio di tagli alla missione 6 - Giustizia. Una riduzione significativa e suscettibile di determinare un ulteriore forte decremento dello standard qualitativo dell'amministrazione della giustizia se si considera che a tale missione sono ricondotti quattro «programmi» cruciali per la funzionalità della giustizia - e quindi anche per la sicurezza e la tutela dei diritti dei cittadini - come quelli dell'amministrazione penitenziaria, della giustizia civile e penale, della giustizia minorile e dell'edilizia giudiziaria, penitenziaria e minorile;
tali disposizioni aggravano ulteriormente la disfunzionalità che già oggi caratterizza i sistemi giudiziario e penitenziario e in generale l'amministrazione della giustizia che con gli ulteriori tagli contenuti nel decreto rischia addirittura la paralisi;
le forti riduzioni di spesa previste dal Ministero della giustizia ostacoleranno in misura significativa la piena attuazione delle politiche per la sicurezza e il contrasto alla criminalità, impedendo il celere ed effettivo accertamento dei reati e l'identificazione dei colpevoli, nonché la prevenzione dei delitti, in palese contraddizione con quanto asserito dagli esponenti del Governo e della stessa maggioranza non solo in sede parlamentare o in contesti istituzionali, ma anche nell'ambito di dichiarazioni rese alla stampa;
la riduzione delle risorse rischia di rallentare l'informatizzazione dei procedimenti civili, penali, amministrativi e di prevenzione, necessaria per assicurare la qualità complessiva del «servizio giustizia», come è imposto, peraltro, dalle crescenti esigenze di cooperazione internazionale;
i consistenti tagli operati dai provvedimenti in analisi alle risorse destinate al dicastero della giustizia dimostrano il carattere meramente simbolico - come tale inefficace - della politica del Governo, che a fronte della continua introduzione di nuove norme incriminatrici, non prevede le risorse necessarie alla loro applicazione, sia in sede giudiziaria che penitenziaria, con il rischio di aggravare ulteriormente non solo la disfunzionalità del sistema giudiziario, ma anche di minare la certezza del diritto e la stessa legittimazione e credibilità della funzione dell'amministrazione della giustizia, con gravi pregiudizi per la sicurezza e la tutela giurisdizionale dei diritti per i cittadini,
impegna il Governo
compatibilmente con le esigenze di finanza pubblica, ad adottare iniziative normative volte a prevedere adeguati finanziamenti per l'ufficio del processo inteso come complessivo progetto di ristrutturazione degli uffici giudiziari, necessario per ottenere l'ottimizzazione delle risorse e l'accelerazione dei tempi dei processi assicurando alla giurisdizione un fattivo supporto organizzativo.
9/3638/185.(Testo modificato nel corso della seduta)Tenaglia, Ferranti, Andrea Orlando, Capano, Cavallaro, Ciriello, Concia, Cuperlo, Melis, Picierno, Rossomando, Samperi, Tidei, Touadi, De Pasquale.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame prevede tagli lineari del 10 per cento delle dotazioni finanziarie (spese rimodulabili) delle missioni di spesa di ciascun Ministero;
nello specifico, l'Allegato 1 alla manovra correttiva riporta relativamente al Ministero della salute un taglio di 13.706 milioni di euro per l'anno 2011 di cui 2.322 per la ricerca e l'innovazione e 8,364 per la tutela alla salute, di 14.105 milioni di euro per l'anno 2012 e di 14.090 milioni di euro per l'anno 2013 mentre per il ministero del lavoro e delle politiche sociali prevede un taglio di 12.326 milioni di euro per l'anno 2011 di cui 175 per i diritti sociali, politiche sociali e famiglia, 11 per le politiche dell'immigrazione, accoglienza e garanzia dei diritti, un taglio di 12.235 milioni di euro per l'anno 2012 ed un analogo taglio per l'anno 2013;
il settore sanitario è chiamato a contribuire alla riduzione della spesa pubblica per un ammontare di circa 1,2 miliardi di euro a decorrere dall'anno 2012. Circa 628 milioni di euro sono recuperati da tagli al personale sanitario e la restante parte, per un ammontare pari a 600 milioni di euro a regime, da tagli alla spesa farmaceutica;
la manovra interviene in modo indiscriminato sul pubblico impiego, negando alla radice l'incentivazione del merito, dimezzando il numero dei lavoratori a tempo determinato o con contratti di collaborazione e bloccando il turn-over senza distinguere le specificità e le diversissime esigenze di ciascun ambito;
quindi, se appare assolutamente condivisibile la lotta agli sprechi, non è pensabile di risolvere il problema della spesa sanitaria intervenendo in modo drastico ed indiscriminato sulla sanità pubblica, la riqualificazione del sistema sanitario passa necessariamente attraverso misure aventi carattere strutturale e non emergenziale,
impegna il Governo
a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni di cui in premessa al fine di assicurare agli enti del servizio sanitario nazionale e alle regioni, per poter garantire la continuità assistenziale e l'erogazione delle prestazioni sanitarie comprese nei livelli essenziali d'assistenza, tutte le risorse economiche adeguate affinché tali enti possano, tra le altre misure organizzative, anche continuare ad avvalersi del personale con contratti a tempo determinato o comunque con contratti atipici nei limiti delle dotazioni organiche previste negli anni precedenti;
ad adottare tutte le misure normative e economiche atte a far fronte alle conseguenze dell'eventuale applicazione del blocco delle assunzioni a tempo determinato dei giovani precari impegnati nel pronto soccorso sui tempi di attesa dei cittadini, sulla sicurezza delle cure.
9/3638/186. D'Incecco, De Pasquale.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame prevede tagli lineari del 10 per cento delle dotazioni finanziarie (spese rimodulabili) delle missioni di spesa di ciascun Ministero;
nello specifico, l'Allegato 1 alla manovra correttiva riporta relativamente al Ministero della salute un taglio di 13.706 milioni di euro per l'anno 2011 di cui 2.322 per la ricerca e l'innovazione e 8,364 per la tutela alla salute, di 14.105 milioni di euro per l'anno 2012 e di 14.090 milioni di euro per l'anno 2013 mentre per il ministero del lavoro e delle politiche sociali prevede un taglio di 12.326 milioni di euro per l'anno 2011 di cui 175 per i diritti sociali, politiche sociali e famiglia, 11 per le politiche dell'immigrazione, accoglienza e garanzia dei diritti, un taglio di 12.235 milioni di euro per l'anno 2012 ed un analogo taglio per l'anno 2013;
il settore sanitario è chiamato a contribuire alla riduzione della spesa pubblica per un ammontare di circa 1,2 miliardi di euro a decorrere dall'anno 2012. Circa 628 milioni di euro sono recuperati da tagli al personale sanitario e la restante parte, per un ammontare pari a 600 milioni di euro a regime, da tagli alla spesa farmaceutica;
la manovra interviene in modo indiscriminato sul pubblico impiego, negando alla radice l'incentivazione del merito, dimezzando il numero dei lavoratori a tempo determinato o con contratti di collaborazione e bloccando il turn-over senza distinguere le specificità e le diversissime esigenze di ciascun ambito;
quindi, se appare assolutamente condivisibile la lotta agli sprechi, non è pensabile di risolvere il problema della spesa sanitaria intervenendo in modo drastico ed indiscriminato sulla sanità pubblica, la riqualificazione del sistema sanitario passa necessariamente attraverso misure aventi carattere strutturale e non emergenziale,
impegna il Governo
compatibilmente con le esigenze di finanza pubblica, ad adottare misure normative e economiche atte a far fronte alle conseguenze dell'eventuale applicazione del blocco delle assunzioni a tempo determinato dei giovani precari impegnati nel pronto soccorso sui tempi di attesa dei cittadini, sulla sicurezza delle cure.
9/3638/186.(Testo modificato nel corso della seduta)D'Incecco, De Pasquale.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame prevede tagli lineari del 10 per cento delle dotazioni finanziarie (spese rimodulabili) delle missioni di spesa di ciascun Ministero;
nello specifico, l'Allegato 1 alla manovra correttiva riporta relativamente al Ministero della salute un taglio di 13.706 milioni di euro per l'anno 2011 di cui 2.322 per la ricerca e l'innovazione e 8.364 per la tutela alla salute, di 14.105 milioni di euro per l'anno 2012 e di 14.090 milioni di euro per l'anno 2013 mentre per il ministero del lavoro e delle politiche sociali prevede un taglio di 12.326 milioni di euro per l'anno 2011 di cui 175 per i diritti sociali, politiche sociali e famiglia, 11 per le politiche dell'immigrazione, accoglienza e garanzia dei diritti, un taglio di 12.235 milioni di euro per l'anno 2012 ed un analogo taglio per l'anno 2013;
il settore sanitario è chiamato a contribuire alla riduzione della spesa pubblica per un ammontare di circa 1,2 miliardi di euro a decorrere dall'anno 2012. Circa 628 milioni di euro sono recuperati da tagli al personale sanitario e la restante parte, per un ammontare pari a 600 milioni di euro a regime, da tagli alla spesa farmaceutica;
la manovra interviene in modo indiscriminato sul pubblico impiego, negando alla radice 1'incentivazione del merito, dimezzando il numero dei lavoratori a tempo determinato o con contratti di collaborazione e bloccando il turn-over senza distinguere le specificità e le diversissime esigenze di ciascun ambito;
non è chiaro se al comporto sanità si applichi o meno le regola del blocco del turn-over, visto che alcune regioni in disavanzo sono già intervenute bloccando il turn-over del personale sanitario;
il nuovo Patto per la Salute 2010-2012 siglato il 3 dicembre 2009 tra lo stato e le regioni prevede all'articolo 12 (personale del servizio sanitario nazionale) la proroga per gli anni 2010-2012 delle finalità di cui all'articolo 1, comma 565, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 tra cui l'ulteriore contenimento della spesa de personale degli enti del Servizio sanitario nazionale, compreso quello operante nelle aziende ospedaliero universitaria a carico anche parziale del Servizio sanitario nazionale;
quindi, se appare assolutamente condivisibile la lotta agli sprechi, non è pensabile di risolvere il problema della spesa sanitaria intervenendo in modo drastico ed indiscriminato sulla sanità pubblica, la riqualificazione del sistema sanitario passa necessariamente attraverso misure aventi carattere strutturale e non emergenziale,
impegna il Governo
a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate in premessa al fine di garantire al comparto sanità tutte le risorse economiche necessarie e una chiarezza normativa necessaria atta ad evitare il blocco del turnover in quanto, la garanzia di turnover dei Medici e dirigenti sanitari, veterinari ed amministrativi del Sistema sanitario merita certezze e chiarezza al fine di non generare discriminazioni tra una Regione e l'altra e tra un'Azienda sanitaria e l'altra.
9/3638/187. Lenzi.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame prevede tagli lineari del 10 per cento delle dotazioni finanziarie (spese rimodulabili) delle missioni di spesa di ciascun Ministero;
nello specifico, l'Allegato 1 alla manovra correttiva riporta relativamente al Ministero della salute un taglio di 13.706 milioni di euro per l'anno 2011 di cui 2.322 per la ricerca e l'innovazione e 8.364 per la tutela alla salute, di 14.105 milioni di euro per l'anno 2012 e di 14.090 milioni di euro per l'anno 2013 mentre per il ministero del lavoro e delle politiche sociali prevede un taglio di 12.326 milioni di euro per l'anno 2011 di cui 175 per i diritti sociali, politiche sociali e famiglia, 11 per le politiche dell'immigrazione, accoglienza e garanzia dei diritti, un taglio di 12.235 milioni di euro per l'anno 2012 ed un analogo taglio per l'anno 2013;
il settore sanitario è chiamato a contribuire alla riduzione della spesa pubblica per un ammontare di circa 1,2 miliardi di euro a decorrere dall'anno 2012. Circa 628 milioni di euro sono recuperati da tagli al personale sanitario e la restante parte, per un ammontare pari a 600 milioni di euro a regime, da tagli alla spesa farmaceutica;
la manovra interviene in modo indiscriminato sul pubblico impiego, negando alla radice 1'incentivazione del merito, dimezzando il numero dei lavoratori a tempo determinato o con contratti di collaborazione e bloccando il turn-over senza distinguere le specificità e le diversissime esigenze di ciascun ambito;
non è chiaro se al comporto sanità si applichi o meno le regola del blocco del turn-over, visto che alcune regioni in disavanzo sono già intervenute bloccando il turn-over del personale sanitario;
il nuovo Patto per la Salute 2010-2012 siglato il 3 dicembre 2009 tra lo stato e le regioni prevede all'articolo 12 (personale del servizio sanitario nazionale) la proroga per gli anni 2010-2012 delle finalità di cui all'articolo 1, comma 565, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 tra cui l'ulteriore contenimento della spesa de personale degli enti del Servizio sanitario nazionale, compreso quello operante nelle aziende ospedaliero universitaria a carico anche parziale del Servizio sanitario nazionale;
quindi, se appare assolutamente condivisibile la lotta agli sprechi, non è pensabile di risolvere il problema della spesa sanitaria intervenendo in modo drastico ed indiscriminato sulla sanità pubblica, la riqualificazione del sistema sanitario passa necessariamente attraverso misure aventi carattere strutturale e non emergenziale,
impegna il Governo
compatibilmente con le esigenze di finanza pubblica, a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate in premessa al fine di garantire al comparto sanità tutte le risorse economiche necessarie e una chiarezza normativa necessaria atta ad evitare il blocco del turnover in quanto, la garanzia di turnover dei Medici e dirigenti sanitari, veterinari ed amministrativi del Sistema sanitario merita certezze e chiarezza al fine di non generare discriminazioni tra una Regione e l'altra e tra un'Azienda sanitaria e l'altra.
9/3638/187.(Testo modificato nel corso della seduta)Lenzi.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame prevede tagli lineari del 10 per cento delle dotazioni finanziarie (spese rimodulabili) delle missioni di spesa di ciascun Ministero;
nello specifico, l'Allegato 1 alla manovra correttiva riporta relativamente al Ministero della salute un taglio di 13.706 milioni di euro per l'anno 2011 di cui 2.322 per la ricerca e l'innovazione e 8.364 per la tutela alla salute, di 14.105 milioni di euro per l'anno 2012 e di 14.090 milioni di euro per l'anno 2013 mentre per il ministero del lavoro e delle politiche sociali prevede un taglio di 12.326 milioni di euro per l'anno 2011 di cui 175 per i diritti sociali, politiche sociali e famiglia, 11 per le politiche dell'immigrazione, accoglienza e garanzia dei diritti, un taglio di 12.235 milioni di euro per l'anno 2012 ed un analogo taglio per l'anno 2013;
il settore sanitario è chiamato a contribuire alla riduzione della spesa pubblica per un ammontare di circa 1,2 miliardi di euro a decorrere dall'anno 2012. Circa 628 milioni di euro sono recuperati da tagli al personale sanitario e la restante parte, per un ammontare pari a 600 milioni di euro a regime, da tagli alla spesa farmaceutica;
la manovra interviene in modo indiscriminato sul pubblico impiego, negando alla radice 1'incentivazione del merito, dimezzando il numero dei lavoratori a tempo determinato o con contratti di collaborazione e bloccando il turn-over senza distinguere le specificità e le diversissime esigenze di ciascun ambito;
quindi, se appare assolutamente condivisibile la lotta agli sprechi, non è pensabile di risolvere il problema della spesa sanitaria intervenendo in modo drastico ed indiscriminato sulla sanità pubblica, la riqualificazione del sistema sanitario passa necessariamente attraverso misure aventi carattere strutturale e non emergenziale,
impegna il Governo:
a monitorare gli effetti applicativi delle norme richiamate in premessa al fine di individuare tutte le risorse economico e finanziarie affinché le regioni possano fornire in maniera adeguata tutte le prestazioni previste in materia sanitaria;
a adottare iniziative normative volte a rivedere le modalità di distribuzione e di divisione delle risorse economico finanziaria nel settore della sanità dal livello centrale a livello regionale, attualmente fortemente incentrato sull'anzianità della popolazione residente in ciascuna regione, in quanto tale sistema penalizza le Regioni del sud, in particolare la regione Puglia che, per questo calcolo riceve molto meno di Regioni con analoga o inferiore popolazione e, considerando tra l'altro nella distribuzione delle risorse finanziarie anche l'indice di povertà che, l'Organizzazione Mondiale della Sanità, considera dirimente ai fini della sanità stessa.
9/3638/188. Grassi.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame prevede tagli lineari del 10 per cento delle dotazioni finanziarie (spese rimodulabili) delle missioni di spesa di ciascun Ministero;
nello specifico, l'Allegato 1 alla manovra correttiva riporta relativamente al Ministero della salute un taglio di 13.706 milioni di euro per l'anno 2011 di cui 2.322 per la ricerca e l'innovazione e 8.364 per la tutela alla salute, di 14.105 milioni di euro per l'anno 2012 e di 14.090 milioni di euro per l'anno 2013 mentre per il ministero del lavoro e delle politiche sociali prevede un taglio di 12.326 milioni di euro per l'anno 2011 di cui 175 per i diritti sociali, politiche sociali e famiglia, 11 per le politiche dell'immigrazione, accoglienza e garanzia dei diritti, un taglio di 12.235 milioni di euro per l'anno 2012 ed un analogo taglio per l'anno 2013;
il settore sanitario è chiamato a contribuire alla riduzione della spesa pubblica per un ammontare di circa 1,2 miliardi di euro a decorrere dall'anno 2012. Circa 628 milioni di euro sono recuperati da tagli al personale sanitario e la restante parte, per un ammontare pari a 600 milioni di euro a regime, da tagli alla spesa farmaceutica;
la manovra interviene in modo indiscriminato sul pubblico impiego, negando alla radice 1'incentivazione del merito, dimezzando il numero dei lavoratori a tempo determinato o con contratti di collaborazione e bloccando il turn-over senza distinguere le specificità e le diversissime esigenze di ciascun ambito;
quindi, se appare assolutamente condivisibile la lotta agli sprechi, non è pensabile di risolvere il problema della spesa sanitaria intervenendo in modo drastico ed indiscriminato sulla sanità pubblica, la riqualificazione del sistema sanitario passa necessariamente attraverso misure aventi carattere strutturale e non emergenziale,
impegna il Governo:
compatibilmente con le esigenze di finanza pubblica, a monitorare gli effetti applicativi delle norme richiamate in premessa al fine di individuare tutte le risorse economico e finanziarie affinché le regioni possano fornire in maniera adeguata tutte le prestazioni previste in materia sanitaria;
a adottare iniziative normative volte a rivedere le modalità di distribuzione e di divisione delle risorse economico finanziaria nel settore della sanità dal livello centrale a livello regionale, attualmente fortemente incentrato sull'anzianità della popolazione residente in ciascuna regione, in quanto tale sistema penalizza le Regioni del sud, in particolare la regione Puglia che, per questo calcolo riceve molto meno di Regioni con analoga o inferiore popolazione e, considerando tra l'altro nella distribuzione delle risorse finanziarie anche l'indice di povertà che, l'Organizzazione Mondiale della Sanità, considera dirimente ai fini della sanità stessa.
9/3638/188.(Testo modificato nel corso della seduta)Grassi.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame prevede tagli lineari del 10 per cento delle dotazioni finanziarie (spese rimodulabili) delle missioni di spesa di ciascun Ministero;
nello specifico, l'Allegato 1 alla manovra correttiva riporta relativamente al Ministero della salute un taglio di 13.706 milioni di euro per l'anno 2011 di cui 2.322 per la ricerca e l'innovazione e 8.364 per la tutela alla salute, di 14.105 milioni di euro per l'anno 2012 e di 14.090 milioni di euro per l'anno 2013 mentre per il ministero del lavoro e delle politiche sociali prevede un taglio di 12.326 milioni di euro per l'anno 2011 di cui 175 per i diritti sociali, politiche sociali e famiglia, 11 per le politiche dell'immigrazione, accoglienza e garanzia dei diritti, un taglio di 12.235 milioni di euro per l'anno 2012 ed un analogo taglio per l'anno 2013;
le politiche sociali non possono essere solo considerate come una voce di spesa nel bilancio di uno stato a cui vanno anteposte politiche di risanamento economico, di investimenti produttivi e in infrastrutture;
le politiche a vantaggio delle persone e delle famiglie sono invece investimenti per lo sviluppo in quanto creano al pari della ricerca scientifica, delle politiche educative e formative i presupposti al progresso sociale e civile di un paese;
investire sulla persona, sulle sue capacità, sulla sua autonomia, sulla capacità di autorganizzarsi, significa produrre ricchezza economica e sociale indispensabile allo sviluppo;
lo sviluppo di un Paese, il rinnovamento del rapporto di fiducia tra Istituzioni e cittadini e lo stretto legame tra solidarietà, sicurezza e legalità, si realizzano, prima di tutto, con l'affermazione di una politica che superi le disuguaglianze e garantisca diritti e tutele a tutti, cittadini e non,
impegna il Governo
ad adottare ulteriori iniziative normative volte a:
introdurre tutte le misure atte a prevenire le condizioni di povertà, assumendo come riferimento l'Agenda sociale europea, nonché a definire i livelli essenziali delle prestazioni sociali (leps), così come previsti all'articolo 22 della legge quadro n. 328 del 2000 e dall'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione e ad integrare con risorse economiche adeguate il fondo nazionale per le politiche sociali, in modo da garantire, su tutto il territorio nazionale, sia risorse adeguate per il mantenimento, sia opportunità reali per l'inserimento sociale;
ad individuare gli indirizzi, gli strumenti e le risorse per un Piano nazionale contro le povertà prendendo in carico le persone e le famiglie che sono in condizioni disagiate;
a definire una politica universalistica di lotta alle povertà superando la giungla attuale di interventi settoriali, categoriali e locali che il più delle volte accentuano le diseguaglianze perché tutelano alcuni e non altri nelle stesse condizioni di bisogno;
ad adottare le misure normative ed economiche necessarie affinché gli enti locali possano costituire punti unici d'Accesso alla rete integrata dei servizi sociali per la presa in carico delle persone e delle famiglie mediate progetti assistenziali personalizzati finalizzati al superamento delle condizioni di disagio economico e delle cause che lo determinano.
9/3638/189. Livia Turco.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame prevede tagli lineari del 10 per cento delle dotazioni finanziarie (spese rimodulabili) delle missioni di spesa di ciascun Ministero;
nello specifico, l'Allegato 1 alla manovra correttiva riporta relativamente al Ministero della salute un taglio di 13.706 milioni di euro per l'anno 2011 di cui 2.322 per la ricerca e l'innovazione e 8.364 per la tutela alla salute, di 14.105 milioni di euro per l'anno 2012 e di 14.090 milioni di euro per l'anno 2013 mentre per il ministero del lavoro e delle politiche sociali prevede un taglio di 12.326 milioni di euro per l'anno 2011 di cui 175 per i diritti sociali, politiche sociali e famiglia, 11 per le politiche dell'immigrazione, accoglienza e garanzia dei diritti, un taglio di 12.235 milioni di euro per l'anno 2012 ed un analogo taglio per l'anno 2013;
le politiche sociali non possono essere solo considerate come una voce di spesa nel bilancio di uno stato a cui vanno anteposte politiche di risanamento economico, di investimenti produttivi e in infrastrutture;
le politiche a vantaggio delle persone e delle famiglie sono invece investimenti per lo sviluppo in quanto creano al pari della ricerca scientifica, delle politiche educative e formative i presupposti al progresso sociale e civile di un paese;
investire sulla persona, sulle sue capacità, sulla sua autonomia, sulla capacità di autorganizzarsi, significa produrre ricchezza economica e sociale indispensabile allo sviluppo;
lo sviluppo di un Paese, il rinnovamento del rapporto di fiducia tra Istituzioni e cittadini e lo stretto legame tra solidarietà, sicurezza e legalità, si realizzano, prima di tutto, con l'affermazione di una politica che superi le disuguaglianze e garantisca diritti e tutele a tutti, cittadini e non,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di adottare ulteriori iniziative normative volte a:
introdurre tutte le misure atte a prevenire le condizioni di povertà, assumendo come riferimento l'Agenda sociale europea, nonché a definire i livelli essenziali delle prestazioni sociali (leps), così come previsti all'articolo 22 della legge quadro n. 328 del 2000 e dall'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione e ad integrare con risorse economiche adeguate il fondo nazionale per le politiche sociali, in modo da garantire, su tutto il territorio nazionale, sia risorse adeguate per il mantenimento, sia opportunità reali per l'inserimento sociale;
ad individuare gli indirizzi, gli strumenti e le risorse per un Piano nazionale contro le povertà prendendo in carico le persone e le famiglie che sono in condizioni disagiate;
a definire una politica universalistica di lotta alle povertà superando la giungla attuale di interventi settoriali, categoriali e locali che il più delle volte accentuano le diseguaglianze perché tutelano alcuni e non altri nelle stesse condizioni di bisogno;
ad adottare le misure normative ed economiche necessarie affinché gli enti locali possano costituire punti unici d'Accesso alla rete integrata dei servizi sociali per la presa in carico delle persone e delle famiglie mediate progetti assistenziali personalizzati finalizzati al superamento delle condizioni di disagio economico e delle cause che lo determinano.
9/3638/189.(Testo modificato nel corso della seduta)Livia Turco.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame prevede tagli lineari del 10 per cento delle dotazioni finanziarie (spese rimodulabili) delle missioni di spesa di ciascun Ministero;
nello specifico, l'Allegato 1 alla manovra correttiva riporta relativamente al Ministero della salute un taglio di 13.706 milioni di euro per l'anno 2011 di cui 2.322 per la ricerca e l'innovazione e 8.364 per la tutela alla salute, di 14.105 milioni di euro per l'anno 2012 e di 14.090 milioni di euro per l'anno 2013 mentre per il ministero del lavoro e delle politiche sociali prevede un taglio di 12.326 milioni di euro per l'anno 2011 di cui 175 per i diritti sociali, politiche sociali e famiglia, 11 per le politiche dell'immigrazione, accoglienza e garanzia dei diritti, un taglio di 12.235 milioni di euro per l'anno 2012 ed un analogo taglio per l'anno 2013;
le politiche sociali non possono essere solo considerate come una voce di spesa nel bilancio di uno stato a cui vanno anteposte politiche di risanamento economico, di investimenti produttivi e in infrastrutture;
le politiche a vantaggio delle persone e delle famiglie sono invece investimenti per lo sviluppo in quanto creano al pari della ricerca scientifica, delle politiche educative e formative i presupposti al progresso sociale e civile di un paese;
l'Italia, alla stregua di tutti gli altri Paesi economicamente e socialmente avanzati, invecchia e, che oltre il 20 per cento dei suoi sessanta milioni di abitanti conta più di 65 anni, in quasi 6 milioni hanno più di 75 anni;
se il dato è un positivo segnale di benessere diffuso e di complessiva soddisfacente tutela sociale e sanitaria del cittadino, c'è però da considerare che inevitabilmente un crescente numero di anziani è affetto da malattie croniche o comunque vive situazioni psicofisiche invalidanti e, ciò determina un progressivo aumento del fenomeno della non autosufficienza, che cresce dopo i 65 anni e si impenna dopo gli 80;
fonti diverse, dal Censis all'ISTAT, sono concordi nello stimare in oltre 2,7 milioni gli anziani non autosufficienti con un trend di crescita proiettato verso i 3 milioni nel 2015,
impegna il Governo:
a considerare tra le sue priorità il problema della non autosufficienza delle persone anziane sia escludendo tra i tagli ai trasferimenti delle regioni le risorse destinate alla non autosufficienza sia individuando le risorse necessarie per l'anno 2011;
ad adottare ulteriori iniziative normative volte a riorganizzare l'intera materia definendo anche i livelli essenziali d'assistenza delle prestazioni sociali (leps), così come previsti all'articolo 22 della legge quadro n. 328 del 2000 e dall'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, inserendoci le prestazioni per la non autosufficienza affinché si possano avere prestazioni uniformi su tutto il territorio nazionale.
9/3638/190. Argentin.
La Camera:
premesso che:
il disegno di legge in esame prevede tagli lineari del 10 per cento delle dotazioni finanziarie (spese rimodulabili) delle missioni di spesa di ciascun Ministero;
nello specifico, l'Allegato 1 alla manovra correttiva riporta relativamente al Ministero della salute un taglio di 13.706 milioni di euro per l'anno 2011 di cui 2.322 per la ricerca e l'innovazione e 8.364 per la tutela alla salute, di 14.105 milioni di euro per l'anno 2012 e di 14.090 milioni di euro per l'anno 2013 mentre per il ministero del lavoro e delle politiche sociali prevede un taglio di 12.326 milioni di euro per l'anno 2011 di cui 175 per i diritti sociali, politiche sociali e famiglia, 11 per le politiche dell'immigrazione, accoglienza e garanzia dei diritti, un taglio di 12.235 milioni di euro per l'anno 2012 ed un analogo taglio per l'anno 2013;
la legge 25 febbraio 1992, n. 210 e successive modificazioni ed integrazioni, prevede un indennizzo economico a favore dei soggetti lesi in seguito a trasfusioni con sangue o da somministrazioni di emoderivati infetti,
il decreto-legge n. 159 del 1o ottobre 2007, recante interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l'equità sociale, convertito dalla legge 29 novembre 2007 n. 222, all'articolo 33 prevede uno stanziamento di 150 milioni di euro per l'anno 2007 per le transazioni con soggetti danneggiati e promotori di risarcimento tuttora pendenti;
la legge finanziaria per il 2008 (legge n. 244 del 2007), all'articolo 2, comma 361, concede per le transazioni da stipulare con soggetti talassemici, affetti da altre emoglobinopatie o da anemie ereditarie, emofilici ed emotrasfusi occasionali danneggiati da trasfusione con sangue infetto o da somministrazione di emoderivati infetti e con soggetti danneggiati da vaccinazione obbligatorie che abbiano instaurato azioni di risarcimento danni tuttora pendenti, una spesa 180 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2008;
mentre chi ha cause pendenti è ancora in attesa della quantificazioni dell'indennizzo, la norma in esame colpisce retroattivamente chi già è beneficiario in virtù di una sentenza passata in giudicato ed esecutiva;
l'articolo 11 comma 13 del provvedimento in esame reca una norma d'interpretazione autentica del comma 2, dell'articolo 2, della legge 25 febbraio 1992, n. 210;
come riconosciuto dalla Corte costituzionale, l'indennizzo previsto dall'articolo 1 della legge n. 210 del 1992 consiste in una misura di sostegno economico fondata sulla solidarietà collettiva garantita ai cittadini, alla stregua degli articoli 2 e 38 della Costituzione, a fronte di eventi generanti una situazione di bisogno (sentenze n. 342 del 2006, n. 226 del 2000 e n. 118 del 1996) e trova il proprio fondamento nella «insufficienza dei controlli sanitari fino ad allora predisposti» in questo specifico settore (sentenza n. 476 del 2002);
l'indennizzo previsto dalla legge n. 210 del 1992 è composto da due parti, un assegno, reversibile per quindici anni e cumulabile con ogni altro emolumento a qualsiasi titolo percepito, rivalutabile annualmente sulla base del tasso di inflazione programmato (articolo 2, comma 1) e una somma corrispondente all'indennità integrativa speciale prevista per la prima qualifica funzionale degli impiegati civili dello Stato di cui alla legge n. 324 del 1959 che va ad integrare l'indennizzo sopra descritto (articolo 2, comma 2);
la norma di interpretazione autentica recata dal comma 13 chiarisce che la somma corrispondente all'importo dell'indennità integrativa speciale che integra l'indennizzo non è rivalutata secondo il tasso d'inflazione mentre il comma 14 dello stesso articolo stabilisce che, fermo restando gli effetti esplicati da sentenze passate in giudicato per i periodi da esse definiti, cessa l'efficacia di provvedimenti emanati al fine di rivalutare la predetta somma, in forza di un titolo esecutivo;
quindi, se appare assolutamente condivisibile la lotta agli sprechi, non è pensabile risolverla limitando l'indennizzo a coloro che si trovino in tale situazione per una negligenza dello Stato.
impegna il Governo
a valutare gli effetti applicativi della normativa di cui all'articolo 11 commi 13 e 14 del provvedimento in esame al fine di garantire, a tutti coloro che hanno diritto all'indennizzo, eguale trattamento economico evitando così discriminazioni tra soggetti già fortemente penalizzati dalla negligenza nei controlli da parte dello Stato italiano ed evitando che siano ancora una volta i soggetti più deboli a dover pagare il risanamento dei conti pubblici.
9/3638/191. Sarubbi.
La Camera:
premesso che:
il disegno di legge in esame prevede tagli lineari del 10 per cento delle dotazioni finanziarie (spese rimodulabili) delle missioni di spesa di ciascun Ministero;
nello specifico, l'Allegato 1 alla manovra correttiva riporta relativamente al Ministero della salute un taglio di 13.706 milioni di euro per l'anno 2011 di cui 2.322 per la ricerca e l'innovazione e 8.364 per la tutela alla salute, di 14.105 milioni di euro per l'anno 2012 e di 14.090 milioni di euro per l'anno 2013 mentre per il ministero del lavoro e delle politiche sociali prevede un taglio di 12.326 milioni di euro per l'anno 2011 di cui 175 per i diritti sociali, politiche sociali e famiglia, 11 per le politiche dell'immigrazione, accoglienza e garanzia dei diritti, un taglio di 12.235 milioni di euro per l'anno 2012 ed un analogo taglio per l'anno 2013;
la legge 25 febbraio 1992, n. 210 e successive modificazioni ed integrazioni, prevede un indennizzo economico a favore dei soggetti lesi in seguito a trasfusioni con sangue o da somministrazioni di emoderivati infetti,
il decreto-legge n. 159 del 1o ottobre 2007, recante interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l'equità sociale, convertito dalla legge 29 novembre 2007 n. 222, all'articolo 33 prevede uno stanziamento di 150 milioni di euro per l'anno 2007 per le transazioni con soggetti danneggiati e promotori di risarcimento tuttora pendenti;
la legge finanziaria per il 2008 (legge n. 244 del 2007), all'articolo 2, comma 361, concede per le transazioni da stipulare con soggetti talassemici, affetti da altre emoglobinopatie o da anemie ereditarie, emofilici ed emotrasfusi occasionali danneggiati da trasfusione con sangue infetto o da somministrazione di emoderivati infetti e con soggetti danneggiati da vaccinazione obbligatorie che abbiano instaurato azioni di risarcimento danni tuttora pendenti, una spesa 180 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2008;
mentre chi ha cause pendenti è ancora in attesa della quantificazioni dell'indennizzo, la norma in esame colpisce retroattivamente chi già è beneficiario in virtù di una sentenza passata in giudicato ed esecutiva;
l'articolo 11 comma 13 del provvedimento in esame reca una norma d'interpretazione autentica del comma 2, dell'articolo 2, della legge 25 febbraio 1992, n. 210;
come riconosciuto dalla Corte costituzionale, l'indennizzo previsto dall'articolo 1 della legge n. 210 del 1992 consiste in una misura di sostegno economico fondata sulla solidarietà collettiva garantita ai cittadini, alla stregua degli articoli 2 e 38 della Costituzione, a fronte di eventi generanti una situazione di bisogno (sentenze n. 342 del 2006, n. 226 del 2000 e n. 118 del 1996) e trova il proprio fondamento nella «insufficienza dei controlli sanitari fino ad allora predisposti» in questo specifico settore (sentenza n. 476 del 2002);
l'indennizzo previsto dalla legge n. 210 del 1992 è composto da due parti, un assegno, reversibile per quindici anni e cumulabile con ogni altro emolumento a qualsiasi titolo percepito, rivalutabile annualmente sulla base del tasso di inflazione programmato (articolo 2, comma 1) e una somma corrispondente all'indennità integrativa speciale prevista per la prima qualifica funzionale degli impiegati civili dello Stato di cui alla legge n. 324 del 1959 che va ad integrare l'indennizzo sopra descritto (articolo 2, comma 2);
la norma di interpretazione autentica recata dal comma 13 chiarisce che la somma corrispondente all'importo dell'indennità integrativa speciale che integra l'indennizzo non è rivalutata secondo il tasso d'inflazione mentre il comma 14 dello stesso articolo stabilisce che, fermo restando gli effetti esplicati da sentenze passate in giudicato per i periodi da esse definiti, cessa l'efficacia di provvedimenti emanati al fine di rivalutare la predetta somma, in forza di un titolo esecutivo;
quindi, se appare assolutamente condivisibile la lotta agli sprechi, non è pensabile risolverla limitando l'indennizzo a coloro che si trovino in tale situazione per una negligenza dello Stato.
impegna il Governo
compatibilmente con le esigenze di finanza pubblica, a valutare gli effetti applicativi della normativa di cui all'articolo 11 commi 13 e 14 del provvedimento in esame al fine di garantire, a tutti coloro che hanno diritto all'indennizzo, eguale trattamento economico evitando così discriminazioni tra soggetti già fortemente penalizzati dalla negligenza nei controlli da parte dello Stato italiano ed evitando che siano ancora una volta i soggetti più deboli a dover pagare il risanamento dei conti pubblici.
9/3638/191.(Testo modificato nel corso della seduta)Sarubbi.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame prevede tagli lineari del 10 per cento delle dotazioni finanziarie (spese rimodulabili) delle missioni di spesa di ciascun Ministero;
nello specifico, l'Allegato 1 alla manovra correttiva riporta relativamente al Ministero della salute un taglio di 13.706 milioni di euro per l'anno 2011 di cui 2.322 per la ricerca e l'innovazione e 8.364 per la tutela alla salute, di 14.105 milioni di euro per l'anno 2012 e di 14.090 milioni di euro per l'anno 2013 mentre per il ministero del lavoro e delle politiche sociali prevede un taglio di 12.326 milioni di euro per l'anno 2011 di cui 175 per i diritti sociali, politiche sociali e famiglia, 11 per le politiche dell'immigrazione, accoglienza e garanzia dei diritti, un taglio di 12.235 milioni di euro per l'anno 2012 ed un analogo taglio per l'anno 2013;
all'articolo 10, comma 4, del provvedimento in esame si prevede un programma di verifiche sui titolari di benefici economici di invalidità civile pari a 250.000 unità;
nonostante il decreto ministeriale del Ministro dell'economia e delle finanze del 2 agosto 2007 escluda dal piano di verifica coloro che siano affetti da tipologie di malattie a carattere ingravescente, l'Inps ha convocando nei precedenti programmi di verifica anche soggetti esenti,
impegna il Governo
ad adottare iniziative nei confronti dell'Inps affinché abbia cura di evitare i controlli su soggetti portatori di menomazioni di natura irreversibile o di patologie rispetto alle quali sono escluse visite di controllo sulla permanenza dello stato invalidante ai sensi del decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 2 agosto 2007, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 27 settembre 2007, n. 225 onde evitare che tali soggetti debbano subire un ulteriore umiliazioni rispetto al loro stato di salute.
9/3638/192. Murer.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame prevede tagli lineari del 10 per cento delle dotazioni finanziarie (spese rimodulabili) delle missioni di spesa di ciascun Ministero;
nello specifico, l'Allegato 1 alla manovra correttiva riporta relativamente al Ministero della salute un taglio di 13.706 milioni di euro per l'anno 2011 di cui 2.322 per la ricerca e l'innovazione e 8.364 per la tutela alla salute, di 14.105 milioni di euro per l'anno 2012 e di 14.090 milioni di euro per l'anno 2013 mentre per il ministero del lavoro e delle politiche sociali prevede un taglio di 12.326 milioni di euro per l'anno 2011 di cui 175 per i diritti sociali, politiche sociali e famiglia, 11 per le politiche dell'immigrazione, accoglienza e garanzia dei diritti, un taglio di 12.235 milioni di euro per l'anno 2012 ed un analogo taglio per l'anno 2013;
all'articolo 10, comma 4, del provvedimento in esame si prevede un programma di verifiche sui titolari di benefici economici di invalidità civile pari a 250.000 unità;
nonostante il decreto ministeriale del Ministro dell'economia e delle finanze del 2 agosto 2007 escluda dal piano di verifica coloro che siano affetti da tipologie di malattie a carattere ingravescente, l'Inps ha convocando nei precedenti programmi di verifica anche soggetti esenti,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di adottare iniziative nei confronti dell'Inps affinché abbia cura di evitare i controlli su soggetti portatori di menomazioni di natura irreversibile o di patologie rispetto alle quali sono escluse visite di controllo sulla permanenza dello stato invalidante ai sensi del decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 2 agosto 2007, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 27 settembre 2007, n. 225 onde evitare che tali soggetti debbano subire un ulteriore umiliazioni rispetto al loro stato di salute.
9/3638/192.(Testo modificato nel corso della seduta)Murer.
La Camera,
premesso che:
all'articolo 7 del comma 3-bis del provvedimento in esame prevede la soppressione dell'Ente nazionale di assistenza magistrale (ENAM), istituito in base al decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 21 ottobre 1947, n. 1346, ratificato dalla legge 21 marzo 1953, n. 90, e successive modificazioni e, le sue funzioni sono attribuite all'INPDAP che succede in tutti i rapporti attivi e passivi;
l'ENAM è nato dalla fusione dell'istituto Nazionale Orfani dei Maestri con l'Istituto Nazionale di Assistenza Magistrale ed è oggi, un Ente pubblico non economico, con personalità giuridica di diritto pubblico, posto sotto la vigilanza del Ministero della Pubblica Istruzione;
tale ente, da sessant'anni, fa assistenza sociale e sanitaria ai suoi soci e, come ha sostenuto all'inizio di quest'anno il Consiglio di Stato, agisce per «sostenere fasce di cittadini non sufficientemente sorrette dal sistema pubblico» e cioè proprio quei maestri delle scuole materne ed elementari che hanno stipendi molto bassi e, ora bloccati, che hanno vinto la partita per il ripristino degli scatti di anzianità ma che ora si vedono nuovamente attaccati;
attualmente, come è noto, l'ENAM si finanzia con l'0,80 per cento dello stipendio dei maestri in servizio, nonché dei dirigenti scolastici, ex direttori didattici, ha 330 mila soci ma assicura prestazioni a una platea di 1,3 milioni di persone considerando pensionati e familiari;
l'85 per cento delle entrate servono a coprire prestazioni sociosanitarie (circa 20 milioni di euro nel 2009), interventi per eventi eccezionali come il sisma in Abruzzo (3 milioni di euro) e a sostegno di casi di particolare indigenza, soggetti non autosufficienti e borse di studio agli orfani degli iscritti;
la misura di soppressione non ha senso né vantaggi e non serve a contenere la spesa pubblica in quanto l'Enam non costa un centesimo allo Stato ed è finanziato dal contributo del personale a cui sono destinate prestazioni di natura assistenziale e mutualistica;
nel caso di accorpamento dell'Enam all'Inpdap, deve essere trasferito anche l'ingente patrimonio immobiliare di case e centri estivi e climatico-termali (con la presenza media annuale di 10 mila persone) costruiti in oltre sessant'anni di risparmi e investimenti. Un patrimonio che, come ha stimato nel 2009 l'Agenzia del Territorio, ha un valore totale di oltre 107 milioni di euro. Questo è un patrimonio dei maestri italiani. Di nessun altro. «L'accorpamento sarebbe un vero e proprio esproprio», come ha affermato il presidente dell'Enam;
impegna il Governo
a valutare gli effetti applicativi della norma richiamata in premessa, che dispone la soppressione dell'Ente nazionale di assistenza magistrale (ENAM) e il passaggio delle sue funzioni nonché del suo patrimonio all'INPDAP, considerato che tale ente non incide sul bilancio dello Stato poiché viene interamente finanziato dai maestri della scuola primaria e dell'infanzia, nonché dagli ex direttori didattici.
9/3638/193. Pedoto, Pes, De Pasquale.
La Camera,
premesso che:
l'Allegato 1 alla manovra correttiva riporta relativamente al Ministero della salute un taglio di 13 706 milioni di euro per l'anno 2011 di cui 2.322 per la ricerca e l'innovazione e 8.364 per la tutela alla salute, di 14.105 milioni di euro per l'anno 2012 e di 14.090 milioni di euro per l'anno 2013 mentre per il ministero del lavoro e delle politiche sociali prevede un taglio di 12.326 milioni di euro per l'anno 2011 di cui 175 per i diritti sociali, politiche sociali e famiglia, 11 per le politiche dell'immigrazione, accoglienza e garanzia dei diritti, un taglio di 12.235 milioni di euro per l'anno 2012 ed un analogo taglio per l'anno 2013;
il settore sanitario è chiamato a contribuire alla riduzione della spesa pubblica per un ammontare di circa 1,2 miliardi di euro a decorrere dall'anno 2012. Circa 628 milioni di euro sono recuperati da tagli al personale sanitario e la restante parte, per un ammontare pari a 600 milioni di euro a regime, da tagli alla spesa farmaceutica;
la non chiarezza del provvedimento fa si che se fosse confermata l'ipotesi di un contenimento del 50 per cento delle spese per i precari nel comporto sanità, i precari potrebbero essere dimezzati comportando «effetti devastanti» soprattutto «in punti nevralgici come i Pronto Soccorso»;
il numero dei professionisti della sanità che operano nel sistema pubblico con un lavoro flessibile, spesso con contratti atipici di breve durata, sono aumentati «a causa del blocco delle assunzioni imposto dalle leggi finanziarie e dai vari piani di rientro» e , come sottolinea l'Anaao-assomed (l'associazione dei medici dirigenti), ricordando, dati alla mano dal Conto annuale 2008 della Ragioneria dello Stato, «solo la dirigenza esprime da sola 8.239 precari (circa il 60 per cento donne) tra medici, veterinari e dirigenti sanitari, professionali, tecnici ed amministrativi»;
un'alta percentuale di precarizzazione del lavoro si trova anche nell'area della prevenzione veterinaria, con 1.200 veterinari precari a fronte dei circa 6.000 dirigenti contrattualizzati;
ridurre il numero dei medici, soprattutto nei Pronto soccorso avrà effetti devastanti, con un aumento dei carichi di lavoro per chi resta, un allungamento delle liste di attesa e ripercussioni inevitabili sulla qualità del servizio. Senza contare poi che con il blocco del turn-over, nei prossimi 4 anni andranno in pensione 30mila medici che potranno essere sostituiti solo in minima parte,
impegna il Governo:
ad assicurare tutte le risorse economiche necessarie per tutelare i posti di lavoro nel comparto sanità, tutelando così anche le prestazioni dovute ai cittadini;
a precisare, in sede di applicazione delle disposizioni richiamate in premessa, se il comparto sanità sia escluso o meno dalla normativa sul blocco delle assunzioni di cui all'articolo 9 comma 5 e comunque a prevedere, anche mediante iniziative di carattere normativo, una deroga al blocco delle assunzioni nonché alla riduzione dei posti letto nelle unità di pronto soccorso.
9/3638/194. Lucà, De Pasquale.
La Camera,
premesso che:
l'Allegato 1 alla manovra correttiva riporta relativamente al Ministero della salute un taglio di 13 706 milioni di euro per l'anno 2011 di cui 2.322 per la ricerca e l'innovazione e 8.364 per la tutela alla salute, di 14.105 milioni di euro per l'anno 2012 e di 14.090 milioni di euro per l'anno 2013 mentre per il ministero del lavoro e delle politiche sociali prevede un taglio di 12.326 milioni di euro per l'anno 2011 di cui 175 per i diritti sociali, politiche sociali e famiglia, 11 per le politiche dell'immigrazione, accoglienza e garanzia dei diritti, un taglio di 12.235 milioni di euro per l'anno 2012 ed un analogo taglio per l'anno 2013;
il settore sanitario è chiamato a contribuire alla riduzione della spesa pubblica per un ammontare di circa 1,2 miliardi di euro a decorrere dall'anno 2012. Circa 628 milioni di euro sono recuperati da tagli al personale sanitario e la restante parte, per un ammontare pari a 600 milioni di euro a regime, da tagli alla spesa farmaceutica;
la non chiarezza del provvedimento fa si che se fosse confermata l'ipotesi di un contenimento del 50 per cento delle spese per i precari nel comporto sanità, i precari potrebbero essere dimezzati comportando «effetti devastanti» soprattutto «in punti nevralgici come i Pronto Soccorso»;
il numero dei professionisti della sanità che operano nel sistema pubblico con un lavoro flessibile, spesso con contratti atipici di breve durata, sono aumentati «a causa del blocco delle assunzioni imposto dalle leggi finanziarie e dai vari piani di rientro» e , come sottolinea l'Anaao-assomed (l'associazione dei medici dirigenti), ricordando, dati alla mano dal Conto annuale 2008 della Ragioneria dello Stato, «solo la dirigenza esprime da sola 8.239 precari (circa il 60 per cento donne) tra medici, veterinari e dirigenti sanitari, professionali, tecnici ed amministrativi»;
un'alta percentuale di precarizzazione del lavoro si trova anche nell'area della prevenzione veterinaria, con 1.200 veterinari precari a fronte dei circa 6.000 dirigenti contrattualizzati;
ridurre il numero dei medici, soprattutto nei Pronto soccorso avrà effetti devastanti, con un aumento dei carichi di lavoro per chi resta, un allungamento delle liste di attesa e ripercussioni inevitabili sulla qualità del servizio. Senza contare poi che con il blocco del turn-over, nei prossimi 4 anni andranno in pensione 30mila medici che potranno essere sostituiti solo in minima parte,
impegna il Governo:
compatibilmente con le esigenze di finanza pubblica, ad assicurare tutte le risorse economiche necessarie per tutelare i posti di lavoro nel comparto sanità, tutelando così anche le prestazioni dovute ai cittadini;
a precisare, in sede di applicazione delle disposizioni richiamate in premessa, se il comparto sanità sia escluso o meno dalla normativa sul blocco delle assunzioni di cui all'articolo 9 comma 5 e comunque a prevedere, anche mediante iniziative di carattere normativo, una deroga al blocco delle assunzioni nonché alla riduzione dei posti letto nelle unità di pronto soccorso.
9/3638/194.(Testo modificato nel corso della seduta)Lucà, De Pasquale.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame prevede tagli lineari del 10 per cento delle dotazioni finanziarie (spese rimodulabili) delle missioni di spesa di ciascun Ministero;
nello specifico, l'Allegato 1 alla manovra correttiva riporta relativamente al Ministero della salute un taglio di 13706 milioni di euro per l'anno 2011 di cui 2.322 per la ricerca e l'innovazione e 8.364 per la tutela alla salute, di 14,105 milioni di euro per l'anno 2012 e di 14.090 milioni di euro per l'anno 2013 mentre per il ministero del lavoro e delle politiche sociali prevede un taglio di 12.326 milioni di euro per l'anno 2011 di cui 175 per i diritti sociali, politiche sociali e famiglia, 11 per le politiche dell'immigrazione, accoglienza e garanzia dei diritti, un taglio di 12.235 milioni di euro per l'anno 2012 ed un analogo taglio per l'anno 2013;
le strutture per la prima infanzia sono insufficienti nel tessuto del nostro Paese, che la richiesta di strutture è superiore alla reale offerta e che gli Asili Nido, oltre che un aiuto per le famiglie sono anche un luogo in cui i bambini trovano cure ed assistenza adeguata;
l'impegno deve essere quello di aumentarne la presenza, facilitarne l'accesso con rette adeguate e congrue alle possibilità delle famiglie;
il progetto del «Fondo Decennale» per gli asili nido, era teso a migliorare una situazione di arretratezza del nostro Paese in questo settore specifico dell'infanzia,
impegna il Governo
ad adottare iniziative normative volte a:
rifinanziare il fondo decennale per gli asili nido per poter garantire aiuti concreti e supporti adeguati all'infanzia e alle famiglie;
prevedere una modifica del testo unico delle imposte sui redditi, al fine di inserire una detrazione delle spese documentate sostenute per i servizi di assistenza e cura di figli minori nonché per il pagamento delle rette relative alla frequenza degli asili nido.
9/3638/195. Sbrollini, De Pasquale.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame prevede tagli lineari del 10 per cento delle dotazioni finanziarie (spese rimodulabili) delle missioni di spesa di ciascun Ministero;
nello specifico, l'Allegato 1 alla manovra correttiva riporta relativamente al Ministero della salute un taglio di 13706 milioni di euro per l'anno 2011 di cui 2.322 per la ricerca e l'innovazione e 8.364 per la tutela alla salute, di 14,105 milioni di euro per l'anno 2012 e di 14.090 milioni di euro per l'anno 2013 mentre per il ministero del lavoro e delle politiche sociali prevede un taglio di 12.326 milioni di euro per l'anno 2011 di cui 175 per i diritti sociali, politiche sociali e famiglia, 11 per le politiche dell'immigrazione, accoglienza e garanzia dei diritti, un taglio di 12.235 milioni di euro per l'anno 2012 ed un analogo taglio per l'anno 2013;
le strutture per la prima infanzia sono insufficienti nel tessuto del nostro Paese, che la richiesta di strutture è superiore alla reale offerta e che gli Asili Nido, oltre che un aiuto per le famiglie sono anche un luogo in cui i bambini trovano cure ed assistenza adeguata;
l'impegno deve essere quello di aumentarne la presenza, facilitarne l'accesso con rette adeguate e congrue alle possibilità delle famiglie;
il progetto del «Fondo Decennale» per gli asili nido, era teso a migliorare una situazione di arretratezza del nostro Paese in questo settore specifico dell'infanzia,
impegna il Governo
compatibilmente con le esigenze di finanza pubblica, ad adottare iniziative normative volte a:
rifinanziare il fondo decennale per gli asili nido per poter garantire aiuti concreti e supporti adeguati all'infanzia e alle famiglie;
prevedere una modifica del testo unico delle imposte sui redditi, al fine di inserire una detrazione delle spese documentate sostenute per i servizi di assistenza e cura di figli minori nonché per il pagamento delle rette relative alla frequenza degli asili nido.
9/3638/195.(Testo modificato nel corso della seduta)Sbrollini, De Pasquale.
La Camera,
premesso che:
nello specifico, l'Allegato 1 alla manovra correttiva riporta relativamente al Ministero della salute un taglio di 13706 milioni di euro per l'anno 2011 di cui 2322 per la ricerca e l'innovazione e 8.364 per la tutela alla salute, di 14.105 milioni di euro per l'anno 2012 e di 14.090 milioni di euro per l'anno 2013 mentre per il ministero del lavoro e delle politiche sociali prevede un taglio di 12.326 milioni di euro per l'anno 2011 di cui 175 per i diritti sociali, politiche sociali e famiglia, Il per le politiche dell'immigrazione, accoglienza e garanzia dei diritti, un taglio di 12.235 milioni di euro per l'anno 2012 ed un analogo taglio per l'anno 2013;
la violenza, prevalentemente intrafamiliare, è la prima causa di morte delle donne;
in Italia, secondo i dati ISTAT e del Ministero dell'interno, nel corso dell'ultimo anno, un milione di donne ha subito violenza fisica o sessuale e nei primi sei mesi del 2007 ne sono state uccise 62, 141 sono state oggetto di tentato omicidio, 1.805 sono state abusate, 10.383 sono state vittime di sevizie o maltrattamenti;
dal 2004 al 2005 le violenze sessuali sono aumentate del 22 per cento e un caso su tre di decessi conseguenti a violenze carnali riguarda attualmente donne uccise dal marito, dal convivente o dal fidanzato;
sono in costante ascesa le molestie ripetute e ossessive (cosiddetto stalking) nei confronti di donne che sfociano spesso nell'uccisione della vittima o che comunque causano loro rilevanti pregiudizi psico-fisici;
l'intensità e il grado di diffusione di tali forme di violenza e abuso nei confronti delle donne sono tali da avere suggerito alla letteratura sociologica di coniare il termine di «femminicidio», a proposito di tale attacco alle donne intese come genere;
impegna il Governo:
ad adottare iniziative normative volte a:
stanziare risorse adeguate al fine di promuovere la diffusione in tutte le zone d'Italia e in particolare nel Mezzogiorno dei centri anti-violenza e delle case-rifugio, quali strutture indispensabili per la tutela delle vittime di violenza sessuale, nonché per il contrasto a tale crimine, la sensibilizzazione della società nei confronti di questo fenomeno e la promozione di una cultura che riconosca il valore e i diritti delle donne;
valorizzare la funzione dei centri-antiviolenza e delle case-rifugio, destinando a tali strutture finanziamenti sufficienti rispetto ai loro compiti, tipizzandone tra l'altro funzioni e finalità, nonché mettendo a disposizione delle donne che non comprendano la lingua italiana un mediatore culturale per comunicare con il personale dei centri;
istituire un registro dei centri accreditati in base a precisi criteri, nonché un coordinamento nazionale dei centri anti-violenza;
ricomprendere, all'interno dei livelli essenziali delle prestazioni di accoglienza e socioassistenziali, le attività a tutela delle donne vittime di violenza, quali in particolare quelle volte all'assistenza e al soccorso di tali persone, nonché all'istituzione di centri antiviolenza e case-rifugio per l'accoglienza temporanea delle persone che subiscono violenza, anche ad indirizzo riservato, cui attribuire competenze nell'ambito della progettazione dei percorsi di reintegrazione personale e sociale;
rifinanziare il Fondo di cui all'articolo 2, comma 463, della legge 244 del 2007.
9/3638/196. Bossa, De Pasquale.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 15 del disegno di legge in esame prevede nuove norme per il pagamento del pedaggio autostradale per le autostrade ed i raccordi autostradali gestiti direttamente da ANAS, nonché per le autostrade in concessione;
per l'attuazione della disposizione è prevista l'emanazione di un Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri entro 45 giorni dalla entrata in vigore del presente decreto;
peraltro, l'Anas spa è il gestore della rete stradale di interesse nazionale, prevalentemente non soggetta a pedaggio;
da tempo è in corso un contenzioso riguardante alcune incongruenze circa l'ammontare dei canoni richiesti agli utenti che risiedono lungo le strade statali ed hanno accesso alle stesse;
si tratta di richieste inoltrate da Anas riguardanti l'ammontare di canoni che appaiono disomogenei nelle modalità di calcolo, e comunque di importo rilevantissimo;
i contatti in corso fra i cittadini coinvolti, peraltro associati nel «comitato passi carrai» e l'amministrazione dell'Anas hanno già condotto all'interessamento del competente Ministero anche su sollecitazione di numerosi atti ispettivi presentati da parlamentari di vari gruppi politici,
impegna il Governo:
a valutare, nell'ambito delle intese da raggiungere con l'Anas anche in sede di applicazione delle norme sopraindicate, la possibilità di individuare le iniziative più opportune affinché il contenzioso aperto con centinaia di contribuenti venga risolto con equità e secondo criteri di ragionevolezza nella applicazione dei canoni richiesti;
a valutare l'opportunità di concordare con l'Anas criteri e modalità affinché gli incrementi dei canoni che periodicamente vengono aggiornati non superino l'andamento dell'inflazione.
9/3638/197. Miotto.
La Camera,
premesso che:
al fine di contrastare i fenomeni di esclusione sociale negli spazi urbani e favorire l'integrazione sociale e culturale delle popolazioni abitanti in circoscrizioni o quartieri delle città caratterizzati da degrado urbano e sociale, la legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007), all'articolo 1, comma 340, ha istituito le zone franche urbane, con un numero di abitanti non superiore a 30.000;
ai sensi del comma 342 dell'articolo 2 della legge finanziaria 2007, spetta al Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE), su proposta del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro della solidarietà sociale (ora del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali), provvedere alla definizione dei criteri per l'allocazione delle risorse e per la individuazione e la selezione delle zone franche urbane, sulla base di parametri socio-economici, rappresentativi dei fenomeni di degrado;
la stessa legge finanziaria del 2007, nel subordinare l'efficacia delle disposizioni istitutive delle zone franche urbane all'autorizzazione della Commissione europea, ai sensi dell'articolo 88, par. 3, del Trattato istitutivo della Comunità europea, ha istituto un Fondo nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico, con una dotazione di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009, per il finanziamento di programmi di intervento da realizzarsi in tali zone;
con delibera n. 5 del 30 gennaio 2008, il CIPE ha fissato i criteri e gli indicatori per la delimitazione delle zone franche urbane e il 1o ottobre 2008 il Ministero dello sviluppo economico - Dipartimento politiche di sviluppo ha reso noto che sono state selezionate, sulle 64 proposte pervenute, 22 «zone franche urbane» in aree di disagio sociale e occupazionale che hanno diritto a incentivi e agevolazioni fiscali e previdenziali, per nuove attività economiche;
con delibera CIPE n. 14 dell'8 maggio 2009 è stata definita l'allocazione finanziaria per le zone franche urbane ammesse al finanziamento;
l'articolo 3 comma 5 della legge 23 luglio 2009, n. 99 recante: «Disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia», autorizza il CIPE a destinare risorse, fino al limite di 50 milioni di euro annui, al Fondo destinato a finanziare le agevolazioni previste per le zone franche urbane a valere sulle risorse disponibili del Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS). La medesima disposizione, ai fini dell'utilizzo delle risorse stanziate, assegna al CIPE il compito di provvedere, con le modalità di cui al comma 342 dell'articolo 1 della legge finanziaria 2007, ad aggiornare i criteri e gli indicatori per l'individuazione e la delimitazione delle zone franche urbane al fine di incrementare progressivamente la loro distribuzione territoriale;
l'articolo 43 del disegno di legge in esame ha previsto l'istituzione nel Meridione d'Italia di zone a burocrazia zero e ove la zona a burocrazia zero coincida, nelle Regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, con una delle zone franche urbane individuate dalla citata delibera CIPE dell'8 maggio 2009, n. 14, le risorse previste per tali zone franche urbane ai sensi dell'articolo 1, comma 340, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, sono utilizzate dal Sindaco territorialmente competente per la concessione di contributi diretti alle nuove iniziative produttive avviate nelle zone a burocrazia zero;
da tale previsione sono rimasti esclusi i comuni di Ventimiglia, di Massa e di Carrara già individuati nelle zone franche urbane dalla predetta delibera CIPE, con l'effetto di rendere del tutto incerto il regime di applicazione delle risorse assegnate al Fondo per il finanziamento dei programmi di intervento nelle citate zone franche urbane;
si rende opportuno un chiarimento da parte del Governo circa la conferma della fruizione da parte delle zone franche urbane individuate delle risorse già assegnate per i citati programmi di interventi per i comuni di Ventimiglia, di Massa e di Carrara o l'impegno a prevedere l'assimilazione del regime introdotto dall'articolo 43 del decreto-legge in esame alle zone franche urbane individuate,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di assimilare, mediante ulteriori iniziative di carattere normativo, la disciplina, introdotta dall'articolo 43 del disegno di legge in esame, alle zone franche urbane individuate nelle regioni Toscana e Liguria o a confermare per esse la piena operatività delle risorse già assegnate al Fondo per il finanziamento dei programmi di intervento nelle zone franche urbane.
9/3638/198. Portas.
La Camera,
premesso che:
al fine di contenere i costi a carico dei cittadini e delle imprese, l'articolo 3 del decreto-legge n. 185 del 2008, convertito dalla legge n. 2 del 2009, aveva disposto la sospensione dei meccanismi di adeguamento tariffario dall'entrata in vigore del medesimo decreto-legge e sino a tutto il 2009, fatta eccezione per i provvedimenti volti al recupero dei soli maggiori oneri effettivamente sostenuti e per le tariffe del servizio idrico e dei settori elettrico e del gas, per i quali settori è stata disposta una specifica disciplina;
l'articolo 5, comma 7, del decreto-legge n. 194 del 2009, convertito dalla legge n. 25 del 2010, ha prorogato al 31 dicembre 2010 il blocco selettivo delle tariffe, di cui al citato articolo 3, comma 1, del decreto-legge n. 185 del 2008, ed ha previsto che sia esclusa dal blocco anche la regolazione tariffaria relativa ai servizi aeroportuali offerti in regime di esclusiva, ai servizi di trasporto ferroviario sottoposti a regime di obbligo di servizio pubblico e alle tariffe postali agevolate;
a seguito della mozione 1-00025 approvata dall'Assemblea nella seduta del 7 ottobre 2008, il Senato ha proceduto alla istituzione della «Commissione straordinaria per il controllo dei prezzi», di durata triennale, alla quale sono stati affidati compiti di studio, osservazione e iniziativa, formulazione di proposte e relazioni all'Assemblea, votazione di risoluzioni alla conclusione dell'esame di affari ad essa assegnati, formulazione di pareri su disegni di legge e affari deferiti ad altre Commissioni;
il 18 febbraio 2009 la succitata Commissione ha avviato una indagine conoscitiva sulle determinanti della dinamica del sistema dei prezzi e delle tariffe, sull'attività dei pubblici poteri e sulle ricadute sui cittadini consumatori, alla cui origine si collocano gli episodi di aumento dei prezzi che nel 2008 hanno interessato la filiera produttiva e commerciale, dall'approvvigionamento delle materie prime fino alla vendita al dettaglio;
secondo la recente indagine Istat, nel 2009, il reddito disponibile delle famiglie consumatrici in termini correnti è diminuito del 2,6 cento rispetto all'anno precedente. Considerando la sottostante variazione dei prezzi, il potere d'acquisto ha subito una flessione del 2,5 per cento, proseguendo fa tendenza alla diminuzione iniziata già nel 2008 (-0,9 per cento);
dai dati Istat dello scorso giugno si rileva che l'indice nazionale dei prezzi al consumo per l'intera collettività presenta una variazione di più 1,3 per cento rispetto allo stesso mese dell'anno precedente;
secondo Federconsumatori e Adusbef, seppure in lieve frenata, il tasso di inflazione all'1,3 per cento si conferma un dato estremamente grave, per il fatto che l'onda lunga di cassa integrazione e licenziamenti non accenna ad arrestarsi, perciò la capacità di acquisto delle famiglie continua a diminuire e ciò comporterà ricadute di 390 euro annui per ogni famiglia, contribuendo così e ridurne ulteriormente la capacità di acquisto, con pesantissime ricadute sui consumi, non solo in termini quantitativi, ma anche dal punto di vista qualitativo;
impegna il Governo:
a prevedere, nella prossima legge di stabilità, norme volte a contenere nei limiti del tasso di inflazione programmata gli aumenti delle tariffe dei prezzi regolamentati e dei prezzi nei settori sottoposti ai regimi di concessione o autorizzazione, nonché dei canoni per alloggi ad uso sociale;
qualora si verifichino aumenti delle tariffe e dei prezzi superiori al tasso di inflazione programmata a prevedere, nell'ambito di un'iniziativa di carattere normativo a tale riguardo, che gli enti o le imprese responsabili presentino una relazione esplicativa delle ragioni degli aumenti medesimi.
9/3638/199. Causi, De Pasquale.
La Camera,
premesso che:
al fine di contrastare i fenomeni di esclusione sociale negli spazi urbani e favorire l'integrazione sociale e culturale delle popolazioni abitanti in circoscrizioni o quartieri delle città caratterizzati da degrado urbano e sociale, la legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007), all'articolo 1, comma 340, ha istituito le zone franche urbane, con un numero di abitanti non superiore a 30.000;
le Zone franche urbane consentono alle imprese che si insediano nei quartieri più svantaggiati dei comuni d'Italia individuati di usufruire di sgravi fiscali notevoli grazie ai fondi Europei. Il che può significare una notevole ripresa economica nelle zone interessate e un incentivo anche all'assunzione di dipendenti;
ai sensi del comma 342 dell'articolo 2 della legge finanziaria 2007, spetta al Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE), su proposta del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro della solidarietà sociale (ora del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali), provvedere alla definizione dei criteri per l'allocazione delle risorse e per la individuazione e la selezione delle zone franche urbane, sulla base di parametri socio-economici, rappresentativi dei fenomeni di degrado;
la stessa legge finanziaria del 2007, nel subordinare l'efficacia delle disposizioni istitutive delle zone franche urbane all'autorizzazione della Commissione europea, ai sensi dell'articolo 88, par. 3, del Trattato istitutivo della Comunità europea, ha istituto un Fondo nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico, con una dotazione di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009, per il finanziamento di programmi di intervento da realizzarsi in tali zone;
con delibera n. 5 del 30 gennaio 2008, il CIPE ha fissato i criteri e gli indicatori per la delimitazione delle zone franche urbane e il 10 ottobre 2008 il Ministero dello sviluppo economico - Dipartimento politiche di sviluppo ha reso noto che sono state selezionate, sulle 64 proposte pervenute, 22 «zone franche urbane» in aree di disagio sociale e occupazionale che hanno diritto a incentivi e agevolazioni fiscali e previdenziali, per nuove attività economiche;
con delibera CIPE n. 14 dell'8 maggio 2009 è stata definita l'allocazione finanziaria per le zone franche urbane ammesse al finanziamento;
l'articolo 3, comma 5, della legge 23 luglio 2009, n.99 recante: «Disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia», autorizza il CIPE a destinare risorse, fino al limite di 50 milioni di euro annui, al Fondo destinato a finanziare le agevolazioni previste per le zone franche urbane a valere sulle risorse disponibili del Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS). La medesima disposizione, ai fini dell'utilizzo delle risorse stanziate, assegna al CIPE il compito di provvedere, con e modalità di cui al comma 342 dell'articolo 1 della legge finanziaria 2007, ad aggiornare i criteri e gli indicatori per l'individuazione e la delimitazione delle zone franche urbane al fine di incrementare progressivamente la loro distribuzione territoriale;
l'articolo 43 del disegno di legge in esame ha previsto l'istituzione nel Meridione d'Italia di zone a burocrazia zero e ove la zona a burocrazia zero coincida, nelle Regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, con una delle zone franche urbane individuate dalla citata delibera CIPE dell'8 maggio 2009, n. 14, le risorse previste per tali zone franche urbane ai sensi dell'articolo 1, comma 340, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, sono utilizzate dal Sindaco territorialmente competente per la concessione di contributi diretti alle nuove iniziative produttive avviate nelle zone a burocrazia zero;
tra l'istituto delle Zone franche urbane e quello delle Zone a burocrazia zero esistono sostanziali differenze sia per e aree individuate cui sono rivolti gli aiuti, che non coincidono, sia per la filosofia, agli antipodi perché, di fatto, mentre le zone franche urbane sono articolate «su quattro diverse esenzioni (Irpef e Irap per 5 anni, contributi previdenziali sui dipendenti assunti per 5 anni e esenzione Ici per 5 anni, nonché la riduzione delle suddette tasse per i 9 anni successivi)», con le Zone a burocrazia zero si dà direttamente ai sindaci territorialmente competenti la responsabilità di «concedere contributi, diretti alle nuove iniziative produttive, ivi avviate a decorrere dalla data di entrata in vigore» del decreto-legge n. 78 del 2010;
entrambi gli istituti attingono dallo stesso Fondo di finanziamento che attiva però solo iniziative per le nuove imprese nate dopo il 31 maggio 2010;
il decreto attuativo richiamato dal decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194 «Proroga di termini previsti da disposizioni legislative» (Milleproroghe) per rendere operative le Zone franche urbane dal 10 gennaio 2010, con la destinazione dei fondi già precedentemente ripartiti non è stato al momento ancora varato;
i sindaci dei Comuni sono preoccupati per la rivisitazione, introdotta con a il decreto-legge n. 78 del 2010, delle Zone Franche Urbane in non meglio definite e chiare zone a burocrazia zero e temono il rischio che venga meno uno strumento tanto atteso per il rilancio di alcune zone svantaggiate d'Italia;
forti perplessità vanno espresse su tale previsione per la parte in cui si stabilisce che nel caso in cui taluna delle zone a burocrazia zero coincida con una delle zona franca urbana, il Sindaco utilizza le risorse previste in favore della Zona franca urbana ai sensi dell' articolo 1, comma 340, della Legge n.296 del 2006 per la concessione di contributi alle nuove iniziative produttive avviate nelle zone a burocrazia zero assimilando di fatto la norma ad una riproposizione dell'emendamento al decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194 «Proroga di termini previsti da disposizioni legislative» (Milleproroghe) sulle Zone franche urbane, poi ritirato dal Governo, che trasformava le esenzioni fiscali in contributi erogati dai Sindaci interessati;
la previsione apre di fatto rilevanti dubbi interpretativi che conducono a ritenere «cassato» di fatto l'istituto delle Zone franche urbane, vanificando uno sforzo di approfondimento e programmazione durato anni;
il regime di sgravi fiscali collegati alle Zone franche urbane è stato autorizzato dalla Commissione europea, mentre il nuovo regime di incentivazione introdotto attraverso erogazione di contributi (che in realtà è un regime «tradizionale», molto conosciuto nel Mezzogiorno e risultato molto inefficace) non gode ancora di tale autorizzazione, per ottenere la quale si dovrebbe avviare il relativo negoziato con gli organi dell'Unione Europa competenti;
si rende opportuno un chiarimento da parte del Governo circa la conferma della fruizione da parte delle zone franche urbane individuate delle risorse già assegnate per i citati programmi di interventi;
impegna il Governo
ad adottare iniziative normative volte ad estendere il regime normativo, introdotto dall'articolo 43 del disegno di legge in esame, alle zone franche urbane come definite all'articolo 1, comma 340 della legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007) e ad emanare il decreto attuativo richiamato dal decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194.
9/3638/200. Capodicasa.
La Camera,
premesso che:
al fine di contrastare i fenomeni di esclusione sociale negli spazi urbani e favorire l'integrazione sociale e culturale delle popolazioni abitanti in circoscrizioni o quartieri delle città caratterizzati da degrado urbano e sociale, la legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007), all'articolo 1, comma 340, ha istituito le zone franche urbane, con un numero di abitanti non superiore a 30.000;
le Zone franche urbane consentono alle imprese che si insediano nei quartieri più svantaggiati dei comuni d'Italia individuati di usufruire di sgravi fiscali notevoli grazie ai fondi Europei. Il che può significare una notevole ripresa economica nelle zone interessate e un incentivo anche all'assunzione di dipendenti;
ai sensi del comma 342 dell'articolo 2 della legge finanziaria 2007, spetta al Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE), su proposta del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro della solidarietà sociale (ora del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali), provvedere alla definizione dei criteri per l'allocazione delle risorse e per la individuazione e la selezione delle zone franche urbane, sulla base di parametri socio-economici, rappresentativi dei fenomeni di degrado;
la stessa legge finanziaria del 2007, nel subordinare l'efficacia delle disposizioni istitutive delle zone franche urbane all'autorizzazione della Commissione europea, ai sensi dell'articolo 88, par. 3, del Trattato istitutivo della Comunità europea, ha istituto un Fondo nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico, con una dotazione di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009, per il finanziamento di programmi di intervento da realizzarsi in tali zone;
con delibera n. 5 del 30 gennaio 2008, il CIPE ha fissato i criteri e gli indicatori per la delimitazione delle zone franche urbane e il 10 ottobre 2008 il Ministero dello sviluppo economico - Dipartimento politiche di sviluppo ha reso noto che sono state selezionate, sulle 64 proposte pervenute, 22 «zone franche urbane» in aree di disagio sociale e occupazionale che hanno diritto a incentivi e agevolazioni fiscali e previdenziali, per nuove attività economiche;
con delibera CIPE n. 14 dell'8 maggio 2009 è stata definita l'allocazione finanziaria per le zone franche urbane ammesse al finanziamento;
l'articolo 3, comma 5, della legge 23 luglio 2009, n.99 recante: «Disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia», autorizza il CIPE a destinare risorse, fino al limite di 50 milioni di euro annui, al Fondo destinato a finanziare le agevolazioni previste per le zone franche urbane a valere sulle risorse disponibili del Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS). La medesima disposizione, ai fini dell'utilizzo delle risorse stanziate, assegna al CIPE il compito di provvedere, con e modalità di cui al comma 342 dell'articolo 1 della legge finanziaria 2007, ad aggiornare i criteri e gli indicatori per l'individuazione e la delimitazione delle zone franche urbane al fine di incrementare progressivamente la loro distribuzione territoriale;
l'articolo 43 del disegno di legge in esame ha previsto l'istituzione nel Meridione d'Italia di zone a burocrazia zero e ove la zona a burocrazia zero coincida, nelle Regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, con una delle zone franche urbane individuate dalla citata delibera CIPE dell'8 maggio 2009, n. 14, le risorse previste per tali zone franche urbane ai sensi dell'articolo 1, comma 340, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, sono utilizzate dal Sindaco territorialmente competente per la concessione di contributi diretti alle nuove iniziative produttive avviate nelle zone a burocrazia zero;
tra l'istituto delle Zone franche urbane e quello delle Zone a burocrazia zero esistono sostanziali differenze sia per e aree individuate cui sono rivolti gli aiuti, che non coincidono, sia per la filosofia, agli antipodi perché, di fatto, mentre le zone franche urbane sono articolate «su quattro diverse esenzioni (Irpef e Irap per 5 anni, contributi previdenziali sui dipendenti assunti per 5 anni e esenzione Ici per 5 anni, nonché la riduzione delle suddette tasse per i 9 anni successivi)», con le Zone a burocrazia zero si dà direttamente ai sindaci territorialmente competenti la responsabilità di «concedere contributi, diretti alle nuove iniziative produttive, ivi avviate a decorrere dalla data di entrata in vigore» del decreto-legge n. 78 del 2010;
entrambi gli istituti attingono dallo stesso Fondo di finanziamento che attiva però solo iniziative per le nuove imprese nate dopo il 31 maggio 2010;
il decreto attuativo richiamato dal decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194 «Proroga di termini previsti da disposizioni legislative» (Milleproroghe) per rendere operative le Zone franche urbane dal 10 gennaio 2010, con la destinazione dei fondi già precedentemente ripartiti non è stato al momento ancora varato;
i sindaci dei Comuni sono preoccupati per la rivisitazione, introdotta con a il decreto-legge n. 78 del 2010, delle Zone Franche Urbane in non meglio definite e chiare zone a burocrazia zero e temono il rischio che venga meno uno strumento tanto atteso per il rilancio di alcune zone svantaggiate d'Italia;
forti perplessità vanno espresse su tale previsione per la parte in cui si stabilisce che nel caso in cui taluna delle zone a burocrazia zero coincida con una delle zona franca urbana, il Sindaco utilizza le risorse previste in favore della Zona franca urbana ai sensi dell' articolo 1, comma 340, della Legge n.296 del 2006 per la concessione di contributi alle nuove iniziative produttive avviate nelle zone a burocrazia zero assimilando di fatto la norma ad una riproposizione dell'emendamento al decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194 «Proroga di termini previsti da disposizioni legislative» (Milleproroghe) sulle Zone franche urbane, poi ritirato dal Governo, che trasformava le esenzioni fiscali in contributi erogati dai Sindaci interessati;
la previsione apre di fatto rilevanti dubbi interpretativi che conducono a ritenere «cassato» di fatto l'istituto delle Zone franche urbane, vanificando uno sforzo di approfondimento e programmazione durato anni;
il regime di sgravi fiscali collegati alle Zone franche urbane è stato autorizzato dalla Commissione europea, mentre il nuovo regime di incentivazione introdotto attraverso erogazione di contributi (che in realtà è un regime «tradizionale», molto conosciuto nel Mezzogiorno e risultato molto inefficace) non gode ancora di tale autorizzazione, per ottenere la quale si dovrebbe avviare il relativo negoziato con gli organi dell'Unione Europa competenti;
si rende opportuno un chiarimento da parte del Governo circa la conferma della fruizione da parte delle zone franche urbane individuate delle risorse già assegnate per i citati programmi di interventi;
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di adottare iniziative normative volte ad estendere il regime normativo, introdotto dall'articolo 43 del disegno di legge in esame, alle zone franche urbane come definite all'articolo 1, comma 340 della legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007) e ad emanare il decreto attuativo richiamato dal decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194.
9/3638/200.(Testo modificato nel corso della seduta)Capodicasa.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 54 del disegno di legge in esame contiene misure per contenere le spese di funzionamento di Expo 2015 S.p.a., stabilendo che le assunzioni possano essere deliberate esclusivamente dal Consiglio di amministrazione e introduce un obbligo di relazione in merito alle spese di gestione;
il comma 4 dello citato articolo 54 prevede l'invio, da parte di Expo 2015 S.p.a., di una relazione trimestrale sull'utilizzo delle risorse di cui al comma 1 per la copertura delle spese di gestione di Expo 2015 S.p.A. e sulle iniziative in materia di assunzione di personale, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, al Ministero dell'economia e delle finanze ed a quello delle infrastrutture e dei trasporti una relazione al fine di un monitoraggio trimestrale da parte del Governo della gestione economica e delle assunzioni;
impegna il Governo
a presentare al Parlamento, entro il 30 ottobre di ogni anno, la relazione annuale sulle attività e sullo stato patrimoniale della società di gestione Expo 2015 S.p.a., sullo stato di avanzamento delle opere e delle iniziative collegate nonché sullo stato di adesione dei privati al finanziamento per ciascuna opera.
9/3638/201. Merloni.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 54 del disegno di legge in esame contiene misure per contenere le spese di funzionamento di Expo 2015 S.p.a.;
con decreto del Ministro dell'Interno del 14 marzo 2003 è stato costituito il Comitato di Coordinamento per l'Alta Sorveglianza delle Grandi Opere con il compito di «cabina di regia», di livello centrale, per l'attività di monitoraggio delle infrastrutture di rilevante interesse strategico;
con decreto del Ministro dell'Interno, in data 23 dicembre 2009, di concerto con i Ministri della Giustizia e delle Infrastrutture e dei Trasporti, è stata istituita presso la Prefettura - Ufficio Territoriale del Governo di Milano, la Sezione specializzata del Comitato di Coordinamento per l'Alta Sorveglianza delle Grandi Opere, in attuazione dell'articolo 3-quinquies, comma 2, del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, convertito dalla legge 20 novembre 2009, n. 166;
con decreto del Ministro dell'Interno, in data 13 gennaio 2010, è stata formalizzata la composizione della predetta Sezione. Tale struttura opera a supporto dell'attività del Prefetto e in raccordo con il Comitato di Coordinamento per l'Alta Sorveglianza delle Grandi Opere nonché con il Gruppo Interforze Centrale per l'EXPO 2015 con incarico di prevenzione e contrasto alle infiltrazioni mafiose negli interventi per la realizzazione dell'EXPO 2015;
impegna il Governo
ad adottare iniziative, anche di carattere normativo, volte ad incrementare adeguatamente le risorse umane, a supporto della sezione specializzata del comitato di coordinamento per l'alta sorveglianza delle grandi opere di cui all'articolo 180, comma 2, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, istituita presso la Prefettura - ufficio territoriale del Governo - in considerazione dell'alto valore del lavoro svolto e dal crescente carico richiesto alla citata sezione.
9/3638/202. Vaccaro, Pes.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 54 del disegno di legge in esame contiene misure per contenere le spese di funzionamento di Expo 2015 S.p.a.;
con decreto del Ministro dell'Interno del 14 marzo 2003 è stato costituito il Comitato di Coordinamento per l'Alta Sorveglianza delle Grandi Opere con il compito di «cabina di regia», di livello centrale, per l'attività di monitoraggio delle infrastrutture di rilevante interesse strategico;
con decreto del Ministro dell'Interno, in data 23 dicembre 2009, di concerto con i Ministri della Giustizia e delle Infrastrutture e dei Trasporti, è stata istituita presso la Prefettura - Ufficio Territoriale del Governo di Milano, la Sezione specializzata del Comitato di Coordinamento per l'Alta Sorveglianza delle Grandi Opere, in attuazione dell'articolo 3-quinquies, comma 2, del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, convertito dalla legge 20 novembre 2009, n. 166;
con decreto del Ministro dell'Interno, in data 13 gennaio 2010, è stata formalizzata la composizione della predetta Sezione. Tale struttura opera a supporto dell'attività del Prefetto e in raccordo con il Comitato di Coordinamento per l'Alta Sorveglianza delle Grandi Opere nonché con il Gruppo Interforze Centrale per l'EXPO 2015 con incarico di prevenzione e contrasto alle infiltrazioni mafiose negli interventi per la realizzazione dell'EXPO 2015;
impegna il Governo
compatibilmente con le esigenze di finanza pubblica, ad adottare iniziative, anche di carattere normativo, volte ad incrementare adeguatamente le risorse umane, a supporto della sezione specializzata del comitato di coordinamento per l'alta sorveglianza delle grandi opere di cui all'articolo 180, comma 2, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, istituita presso la Prefettura - ufficio territoriale del Governo - in considerazione dell'alto valore del lavoro svolto e dal crescente carico richiesto alla citata sezione.
9/3638/202.(Testo modificato nel corso della seduta)Vaccaro, Pes.
La Camera,
premesso che:
nel corso degli ultimi anni le risorse per far fronte al diritto soggettivo dei beneficiari dei contributi e delle provvidenze per l'editoria hanno registrato un significativo contenimento;
il decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25 reca, all'articolo 10-sexies, il «differimento dell'applicazione di disposizioni in materia di contributi all'editoria» e prevede il ripristino dei contributi per l'editoria dovuti ai beneficiari per l'annualità 2009, dopo che la finanziaria 2010 aveva previsto un tetto di spesa che andava a pregiudicare la continuità operativa di numerose imprese editrici di giornali e quotidiani;
tali misure, tuttavia, non riguardano tutta la platea dei possibili beneficiari e le eccezioni previste destano forti perplessità;
le lettere a) e b) del comma 1 del citato articolo stabiliscono che ai contributi relativi al 2009 spettanti alle imprese editoriali costituite in forma di cooperative, gestite da cooperative, che editano giornali nelle lingue delle minoranze linguistiche nazionali ecc. non si applica il disposto di cui all'articolo 2, comma 62, della «finanziaria» per il 2010, che pone il limite dello stanziamento ad hoc iscritto in tabella C nella erogazione dei contributi e delle provvidenze de quibus;
la lettera d), del comma 1 del citato articolo dispone una riduzione del 50 per cento del contributo complessivo calcolato per ciascun soggetto per i contributi relativi all'anno 2009, limitatamente ai quotidiani italiani editi e diffusi all'estero per far fronte alla norma - inclusa nel medesimo provvedimento - tesa a ripristinare per il 2010, e al massimo al 100 per cento, i contributi dovuti al diritto soggettivo per testate ed emittenti di partito, no profit e cooperative;
questa situazione desta particolare preoccupazione fra i soggetti beneficiari delle provvidenze e dei contributi per l'editoria la cui continuità operativa è ora a forte rischio;
occorre provvedere con massima urgenza ad una attenta riforma della disciplina relativa alla concessione di contributi e provvidenze per l'editoria allo scopo di garantire l'effettivo pluralismo dell'informazione e la sopravvivenza di diverse testate, altrimenti destinate a sparire dalla scena;
l'applicazione della sopra indicata normativa va ad incidere sull'ammontare delle risorse destinate alle circa 150 testate italiane edite all'estero o edite in Italia per essere distribuite oltre confine applicando una riduzione del contributo relativo all'anno 2009 del 50 per cento e mettendo in discussione la sopravvivenza stessa delle realtà editoriali, considerando anche che i costi del 2009 sono già stati sostenuti dalle imprese ed un riassorbimento retroattivo delle risorse risulterebbe difficilmente gestibile;
l'applicazione delle sopra indicate disposizioni comporterebbe un riassorbimento delle risorse alla stampa italiana oltre confine pari a 5 milioni di euro;
i prodotti editoriali editi o distribuiti oltre confine rappresentano il principale riferimento culturale ed informativo delle comunità italiane all'estero, oltre che il veicolo indiscusso della promozione della lingua e cultura italiana e della crescita e valorizzazione del made in Italy;
impegna il Governo
a adottare iniziative normative volte a garantire l'erogazione integrale dei contributi a favore dei quotidiani italiani editi e diffusi all'estero e per i quotidiani editi dalle associazioni dei consumatori, rimuovendo il limite del 50 per cento previsto dal comma 1, lettera d) dell'articolo 10-sexies del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25.
9/3638/203. Levi, De Pasquale.
La Camera,
premesso che:
nel corso degli ultimi anni le risorse per far fronte al diritto soggettivo dei beneficiari dei contributi e delle provvidenze per l'editoria hanno registrato un significativo contenimento;
il decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25 reca, all'articolo 10-sexies, il «differimento dell'applicazione di disposizioni in materia di contributi all'editoria» e prevede il ripristino dei contributi per l'editoria dovuti ai beneficiari per l'annualità 2009, dopo che la finanziaria 2010 aveva previsto un tetto di spesa che andava a pregiudicare la continuità operativa di numerose imprese editrici di giornali e quotidiani;
tali misure, tuttavia, non riguardano tutta la platea dei possibili beneficiari e le eccezioni previste destano forti perplessità;
le lettere a) e b) del comma 1 del citato articolo stabiliscono che ai contributi relativi al 2009 spettanti alle imprese editoriali costituite in forma di cooperative, gestite da cooperative, che editano giornali nelle lingue delle minoranze linguistiche nazionali ecc. non si applica il disposto di cui all'articolo 2, comma 62, della «finanziaria» per il 2010, che pone il limite dello stanziamento ad hoc iscritto in tabella C nella erogazione dei contributi e delle provvidenze de quibus;
la lettera d), del comma 1 del citato articolo dispone una riduzione del 50 per cento del contributo complessivo calcolato per ciascun soggetto per i contributi relativi all'anno 2009, limitatamente ai quotidiani italiani editi e diffusi all'estero per far fronte alla norma - inclusa nel medesimo provvedimento - tesa a ripristinare per il 2010, e al massimo al 100 per cento, i contributi dovuti al diritto soggettivo per testate ed emittenti di partito, no profit e cooperative;
questa situazione desta particolare preoccupazione fra i soggetti beneficiari delle provvidenze e dei contributi per l'editoria la cui continuità operativa è ora a forte rischio;
occorre provvedere con massima urgenza ad una attenta riforma della disciplina relativa alla concessione di contributi e provvidenze per l'editoria allo scopo di garantire l'effettivo pluralismo dell'informazione e la sopravvivenza di diverse testate, altrimenti destinate a sparire dalla scena;
l'applicazione della sopra indicata normativa va ad incidere sull'ammontare delle risorse destinate alle circa 150 testate italiane edite all'estero o edite in Italia per essere distribuite oltre confine applicando una riduzione del contributo relativo all'anno 2009 del 50 per cento e mettendo in discussione la sopravvivenza stessa delle realtà editoriali, considerando anche che i costi del 2009 sono già stati sostenuti dalle imprese ed un riassorbimento retroattivo delle risorse risulterebbe difficilmente gestibile;
l'applicazione delle sopra indicate disposizioni comporterebbe un riassorbimento delle risorse alla stampa italiana oltre confine pari a 5 milioni di euro;
i prodotti editoriali editi o distribuiti oltre confine rappresentano il principale riferimento culturale ed informativo delle comunità italiane all'estero, oltre che il veicolo indiscusso della promozione della lingua e cultura italiana e della crescita e valorizzazione del made in Italy;
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di adottare iniziative normative volte a garantire l'erogazione integrale dei contributi a favore dei quotidiani italiani editi e diffusi all'estero e per i quotidiani editi dalle associazioni dei consumatori, rimuovendo il limite del 50 per cento previsto dal comma 1, lettera d) dell'articolo 10-sexies del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25.
9/3638/203.(Testo modificato nel corso della seduta)Levi, De Pasquale.
La Camera,
premesso che:
il comma 12 dell'articolo 6 introduce limiti alle spese per missioni da parte delle pubbliche amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della P.A., incluse le autorità indipendenti;
in particolare, sancisce, a decorrere dal 2011, il divieto di effettuare spese per missioni per un ammontare superiore al 50 per cento della spesa sostenuta nel 2009;
la violazione del limite costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale;
il limite di spesa può essere superato in casi eccezionali, previa adozione di un provvedimento motivato adottato dall'organo di vertice dell'amministrazione, da comunicare preventivamente agli organi di controllo ed agli organi di revisione dell'ente;
tutto ciò costituisce un grave ostacolo soprattutto per le università ed enti di ricerca, nonché per quelle istituzioni scolastiche che periodicamente organizzano incontri all'estero degli studenti accompagnati dal personale docente;
impegna il Governo
a valutare la possibilità, per quanto riguarda le università, gli enti di ricerca e le istituzioni scolastiche, di concordare una soluzione, che le istituzioni richiamate possano avvalersi della possibilità di proseguire i proficui contatti con le corrispondenti istituzioni estere in modo tale che sia assicurata la partecipazione a convegni, riunioni e altri importanti momenti di incontro per il proficuo proseguimento della propria attività di studio e ricerca.
9/3638/204. Zampa, Levi, Ghizzoni, Bachelet, Coscia, De Biasi, De Pasquale, De Torre, Lolli, Mazzarella, Melandri, Nicolais, Pes, Rossa, Antonino Russo, Siragusa, Pes.
La Camera,
premesso che:
i 22.550 precari degli Enti locali siciliani, da anni aspettano la stabilizzazione;
la proroga di un anno del loro contratto, così come stabilito dal Senato, non è sufficiente poiché mantiene inalterata la situazione attuale;
occorre dare a questi lavoratori una risposta definitiva;
impegna il Governo
a consentire alla Regione siciliana, nell'ambito della propria potestà legislativa, di poter emanare, in deroga alle disposizioni statali vigenti in materia di assunzioni di personale e di patto di stabilità, norme volte a garantire la stabilizzazione di personale destinatario del regime transitorio dei lavori socialmente utili da almeno dieci anni ovvero titolare di contratti a tempo determinato, stipulati a seguito di processi di stabilizzazione di lavoratori impegnati in attività socialmente utili, da almeno tre anni.
9/3638/205. Siragusa, Berretta, Burtone, Capodicasa, Cardinale, Causi, D'Antoni, Genovese, Antonino Russo, Samperi.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 9, comma 32, prevede che nelle pubbliche amministrazioni, alla scadenza di un incarico di livello dirigenziale, anche in assenza di valutazione negativa, si possa non riconfermare l'incarico conferito al dirigente, conferendo al medesimo dirigente un altro incarico anche di valore economico inferiore
in ciò si ravvisa chiaramente l'intento di introdurre e rendere legale un sistema di spoil system a tutti i livelli dirigenziali della pubblica amministrazione,
impegna il Governo
a pubblicare la lista dei dirigenti rimossi in assenza di valutazione negativa e dei direttori generali che, in base al suddetto comma ne hanno operato la rimozione ed a reperire risorse affinché sia conservato il trattamento economico dei dirigenti ai quali, benché meritevoli, non è stato riconfermato l'incarico.
9/3638/206. Bachelet, Ghizzoni, Coscia, De Biasi, De Pasquale, De Torre, Levi, Lolli, Mazzarella, Melandri, Nicolais, Pes, Rossa, Antonino Russo, Siragusa.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 9, comma 32, prevede che nelle pubbliche amministrazioni, alla scadenza di un incarico di livello dirigenziale, anche in assenza di valutazione negativa, si possa non riconfermare l'incarico conferito al dirigente, conferendo al medesimo dirigente un altro incarico anche di valore economico inferiore
in ciò si ravvisa chiaramente l'intento di introdurre e rendere legale un sistema di spoil system a tutti i livelli dirigenziali della pubblica amministrazione,
impegna il Governo
a valutare la possibilità di pubblicare la lista dei dirigenti rimossi in assenza di valutazione negativa e dei direttori generali che, in base al suddetto comma ne hanno operato la rimozione ed a reperire risorse affinché sia conservato il trattamento economico dei dirigenti ai quali, benché meritevoli, non è stato riconfermato l'incarico.
9/3638/206.(Testo modificato nel corso della seduta)Bachelet, Ghizzoni, Coscia, De Biasi, De Pasquale, De Torre, Levi, Lolli, Mazzarella, Melandri, Nicolais, Pes, Rossa, Antonino Russo, Siragusa.
La Camera,
premesso che:
il Fondo unico per lo spettacolo (FUS), istituito con la legge n. 163 del 1985, è lo strumento finanziario attraverso il quale lo stato sostiene le attività del settore spettacolo, sia del cinema che dello spettacolo dal vivo, rifinanziato ogni anno con la legge finanziaria, viene ripartito tra i vari settori con un decreto del Ministro per i beni e le attività culturali;
la gestione del suddetto Fondo consente, infatti, di assegnare contributi ad enti, istituzioni, associazioni, organismi ed imprese operanti nei settori delle attività cinematografiche, musicali, di danza, teatrali, circensi e dello spettacolo viaggiante, nonché di promuovere e sostenere manifestazioni ed iniziative di carattere e rilevanza nazionali da svolgere in Italia o all'estero;
rispetto alle risorse previste dalla legge finanziaria 2007, con una dotazione di 444 milioni per il 2007 e di 544 milioni di euro per il 2008 e il 2009, con le misure previste dalla legge finanziaria 2009 si è registrato una decurtazione che ha portato i finanziamenti al minimo storico;
l'inadeguatezza e la scarsità di tali stanziamenti per la produzione e l'industria dello spettacolo italiano potrebbero determinare, di fatto, la chiusura di interi settori di attività che, al contrario, sono da considerare strategici per la ripresa del Paese e necessitano di adeguatezza progettuale, sia in termini di finanziamento, sia in termini di programmazione e di politica di interventi;
la gravissima situazione finanziaria, che interessa in particolare lo spettacolo dal vivo, mette a rischio la possibilità di portare a termine la riforma del settore, attesa da più di trent'anni; il cinema italiano vive una stagione felice, che potrà essere interrotta dalla mancanza di adeguate risorse per la crescita e la qualità del prodotto cinematografico e audiovisivo e dalla sottovalutazione dell'importanza dell'industria dei contenuti, essenziale per ricollocare l'Italia nel mercato europeo e globale della comunicazione;
lo spettacolo in Italia, nel suo complesso, conta all'incirca 250.000 addetti, tra artisti, tecnici, operatori, maestranze e una tale esiguità di finanziamenti pubblici mette in serio rischio i livelli occupazionali dell'intero comparto e il sistema dei diritti e degli ammortizzatori sociali;
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di reperire, nei provvedimenti finanziari dei prossimi mesi, risorse adeguate a garantire un significativo incremento delle risorse del Fondo unico dello spettacolo, a mettere in atto tutti i provvedimenti necessari a prevenire una crisi del settore, che potrebbe avere riflessi devastanti sulla intera industria culturale nazionale, e ad intraprendere con decisione la strada della valorizzazione e nella crescita delle attività dello spettacolo, parte essenziale dell'identità nazionale.
9/3638/207. De Biasi, Ghizzoni, Bachelet, Coscia, De Pasquale, De Torre, Levi, Lolli, Mazzarella, Melandri, Nicolais, Pes, Rossa, Antonino Russo, Siragusa.
La Camera,
visto il ruolo fondamentale che svolgono l'Istituto italiano per gli studi storici e l'Istituto italiano per gli studi filosofici, aventi sede in Napoli, destinatari di specifiche misure del CIPE a sostegno delle rispettive attività di ricerca e formazione di rilevante interesse pubblico per lo sviluppo dell'integrazione europea e mediterranea delle aree del Mezzogiorno, di cui al comma 219 dell'articolo 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e al comma 1149 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296;
considerato l'altissimo profilo scientifico e culturale che rivestono tali organismi nel panorama mondiale degli istituti culturali e considerato che le loro attività consentono che anche in aree socialmente svantaggiate del Paese si moltiplichino le occasioni di studio, di alta formazione e di ricerca;
visto il ruolo determinante che può essere svolto da tali istituti superiori per promuovere il rientro in Italia di ricercatori residenti all'estero;
considerato il riconoscimento unanime ed internazionale per l'intensa e proficua attività culturale dell'Istituto italiano per gli studi storici e l'Istituto italiano per gli studi filosofici che in una moderna «società della conoscenza» devono essere tutelati e valorizzati in ogni modo,
impegna il Governo
ad elaborare un quadro di interventi e risorse che preveda stanziamenti annuali in favore delle attività dei predetti istituti anche attraverso il rinnovarsi delle misure già destinate agli stessi per gli esercizi 2008 e 2009.
9/3638/208. Nicolais, Ghizzoni, Bachelet, Coscia, De Biasi, De Pasquale, De Torre, Levi, Lolli, Mazzarella, Melandri, Nicolais, Pes, Rossa, Antonino Russo, Siragusa.
La Camera,
visto il ruolo fondamentale che svolgono l'Istituto italiano per gli studi storici e l'Istituto italiano per gli studi filosofici, aventi sede in Napoli, destinatari di specifiche misure del CIPE a sostegno delle rispettive attività di ricerca e formazione di rilevante interesse pubblico per lo sviluppo dell'integrazione europea e mediterranea delle aree del Mezzogiorno, di cui al comma 219 dell'articolo 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e al comma 1149 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296;
considerato l'altissimo profilo scientifico e culturale che rivestono tali organismi nel panorama mondiale degli istituti culturali e considerato che le loro attività consentono che anche in aree socialmente svantaggiate del Paese si moltiplichino le occasioni di studio, di alta formazione e di ricerca;
visto il ruolo determinante che può essere svolto da tali istituti superiori per promuovere il rientro in Italia di ricercatori residenti all'estero;
considerato il riconoscimento unanime ed internazionale per l'intensa e proficua attività culturale dell'Istituto italiano per gli studi storici e l'Istituto italiano per gli studi filosofici che in una moderna «società della conoscenza» devono essere tutelati e valorizzati in ogni modo,
impegna il Governo
compatibilmente con le esigenze di finanza pubblica, ad elaborare un quadro di interventi e risorse che preveda stanziamenti annuali in favore delle attività dei predetti istituti anche attraverso il rinnovarsi delle misure già destinate agli stessi per gli esercizi 2008 e 2009.
9/3638/208.(Testo modificato nel corso della seduta)Nicolais, Ghizzoni, Bachelet, Coscia, De Biasi, De Pasquale, De Torre, Levi, Lolli, Mazzarella, Melandri, Nicolais, Pes, Rossa, Antonino Russo, Siragusa.
La Camera,
premesso che:
attraverso la disposizione di cui l'articolo 9, comma 23, del decreto-legge in esame, anche dopo la modifica apportata al testo dal Senato con l'introduzione del riferimento all'articolo 8, comma 14, con cui sono state indicate le modalità per individuare la destinazione delle risorse già destinate alle premialità dall'articolo 64, comma 9, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalle legge n. 133 del 2008, continua ad essere negato il diritto del personale della scuola al conseguimento degli scatti retributivi secondo le modalità contrattuali vigenti e continua ad essere esclusa la validità strutturale, ai fini della carriera del medesimo, del triennio 2010-2012;
tale previsione comporta in termini finanziari, come stabilito dalla relazione tecnica, un grave danno economico per la sola categoria dei dipendenti del comparto scuola, corrispondente ad un risparmio della spesa pubblica al 2047 di 18,72 miliardi di euro. Ciò significherà, a decorrere dal 2011, una riduzione di 320 milioni, che diventerebbero 640 nel 2012 e 960 nel 2013;
tali riduzioni di spesa sono rimaste nel decreto-legge in esame e la diversa destinazione delle risorse di cui all'articolo 8, comma 14, non ha alcuna relazione con la loro riaffermata permanenza nell'ambito della manovra prefigurata dal decreto;
la disposizione di cui al citato articolo 9, comma 23, in occasione della stipula definitiva del primo contratto collettivo nazionale di lavoro successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in esame, andrebbe a porsi in contrasto con quanto stabilito all'articolo 2, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001,
impegna il Governo
a fare in modo che, in sede di adozione del decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, da emanare di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, le risorse siano finalizzate al finanziamento degli scatti retributivi maturati nel triennio 2010-2012 dal personale decente e dal personale ATA della scuola.
9/3638/209. Pes, Ghizzoni, Bachelet, Coscia, De Biasi, De Pasquale, De Torre, Levi, Lolli, Mazzarella, Melandri, Nicolais, Rossa, Antonino Russo, Siragusa.
La Camera,
premesso che:
attraverso la disposizione di cui l'articolo 9, comma 23, del decreto-legge in esame, anche dopo la modifica apportata al testo dal Senato con l'introduzione del riferimento all'articolo 8, comma 14, con cui sono state indicate le modalità per individuare la destinazione delle risorse già destinate alle premialità dall'articolo 64, comma 9, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalle legge n. 133 del 2008, continua ad essere negato il diritto del personale della scuola al conseguimento degli scatti retributivi secondo le modalità contrattuali vigenti e continua ad essere esclusa la validità strutturale, ai fini della carriera del medesimo, del triennio 2010-2012;
tale previsione comporta in termini finanziari, come stabilito dalla relazione tecnica, un grave danno economico per la sola categoria dei dipendenti del comparto scuola, corrispondente ad un risparmio della spesa pubblica al 2047 di 18,72 miliardi di euro. Ciò significherà, a decorrere dal 2011, una riduzione di 320 milioni, che diventerebbero 640 nel 2012 e 960 nel 2013;
tali riduzioni di spesa sono rimaste nel decreto-legge in esame e la diversa destinazione delle risorse di cui all'articolo 8, comma 14, non ha alcuna relazione con la loro riaffermata permanenza nell'ambito della manovra prefigurata dal decreto;
la disposizione di cui al citato articolo 9, comma 23, in occasione della stipula definitiva del primo contratto collettivo nazionale di lavoro successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in esame, andrebbe a porsi in contrasto con quanto stabilito all'articolo 2, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di fare in modo che, in sede di adozione del decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, da emanare di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, le risorse siano finalizzate al finanziamento degli scatti retributivi maturati nel triennio 2010-2012 dal personale decente e dal personale ATA della scuola.
9/3638/209.(Testo modificato nel corso della seduta)Pes, Ghizzoni, Bachelet, Coscia, De Biasi, De Pasquale, De Torre, Levi, Lolli, Mazzarella, Melandri, Nicolais, Rossa, Antonino Russo, Siragusa.
La Camera,
premesso che:
a causa della situazione di crescente squilibrio finanziario delle università, negli ultimi anni il Fondo di funzionamento ordinario dell'università è stato allocato, nonostante il modello CNVSU, quasi esclusivamente sulla base delle quote storiche di spesa;
non si fa nessun riferimento alle modalità di riparto dei fondi e soprattutto al «patto per le università» siglato nell'agosto 2007, inserito nella legge finanziaria 2008, mai abrogato, con il quale il Ministero e gli atenei hanno sancito una reciproca assunzione di responsabilità, mediante la quale il primo si impegna a trasferire adeguate risorse tenendo conto del tasso di inflazione e delle dinamiche delle retribuzioni, mentre gli atenei, sottoposti ad un efficace sistema di valutazione, si vincolano al rispetto di strategie di razionalizzazione della spesa, all'adozione di un sistema programmatorio degli interventi, al miglioramento delle qualità dei servizi e dell'offerta didattica;
sarebbe ulteriormente opportuno prevedere l'unificazione di tutti i finanziamenti statali alle università in un solo capitolo di spesa,
impegna il Governo
a prevedere già per il prossimo anno un adeguato rifinanziamento del Fondo di funzionamento ordinario dell'università.
9/3638/210. Ghizzoni, Bachelet, Coscia, De Biasi, De Pasquale, De Torre, Levi, Lolli, Mazzarella, Melandri, Nicolais, Pes, Rossa, Antonino Russo, Siragusa.
La Camera,
premesso che:
a causa della situazione di crescente squilibrio finanziario delle università, negli ultimi anni il Fondo di funzionamento ordinario dell'università è stato allocato, nonostante il modello CNVSU, quasi esclusivamente sulla base delle quote storiche di spesa;
non si fa nessun riferimento alle modalità di riparto dei fondi e soprattutto al «patto per le università» siglato nell'agosto 2007, inserito nella legge finanziaria 2008, mai abrogato, con il quale il Ministero e gli atenei hanno sancito una reciproca assunzione di responsabilità, mediante la quale il primo si impegna a trasferire adeguate risorse tenendo conto del tasso di inflazione e delle dinamiche delle retribuzioni, mentre gli atenei, sottoposti ad un efficace sistema di valutazione, si vincolano al rispetto di strategie di razionalizzazione della spesa, all'adozione di un sistema programmatorio degli interventi, al miglioramento delle qualità dei servizi e dell'offerta didattica;
sarebbe ulteriormente opportuno prevedere l'unificazione di tutti i finanziamenti statali alle università in un solo capitolo di spesa,
impegna il Governo
compatibilmente con le esigenze di finanza pubblica, a prevedere già per il prossimo anno un adeguato rifinanziamento del Fondo di funzionamento ordinario dell'università.
9/3638/210.(Testo modificato nel corso della seduta)Ghizzoni, Bachelet, Coscia, De Biasi, De Pasquale, De Torre, Levi, Lolli, Mazzarella, Melandri, Nicolais, Pes, Rossa, Antonino Russo, Siragusa.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 9, comma 23, del decreto-legge in esame prevede che, per il personale docente e amministrativo, tecnico e ausiliario (ATA) della scuola, gli anni 2010, 2011 e 2012 non sono utili ai fini della maturazione degli incrementi economici previsti dalle vigenti disposizioni contrattuali per effetto dei passaggi tra posizioni stipendiali;
il comma 14 dell'articolo 8 del decreto-legge in esame destina al settore scolastico, in modo assolutamente generico, le economie di cui all'articolo 64, comma 9, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133;
si ricorda che il comma 9 del citato articolo 64 destinava specificatamente, a decorrere dall'anno 2010, i predetti risparmi all'incremento delle risorse contrattuali stanziate per la valorizzazione e lo sviluppo professionale della carriera del personale della scuola;
in base a quanto disposto dal comma 14 dell'articolo 8, i risparmi previsti dall'articolo 64 del decreto-legge n. 112 del 2008, invece di essere destinati al cd. Fondo per il merito, saranno utilizzati per ripianare i debiti pregressi e finanziare le spese ordinarie delle scuole;
in seguito ad un'ampia mobilitazione delle organizzazioni sindacali ed alle proteste del personale docente e del personale ATA della scuola, in sede di esame della manovra finanziaria in Commissione Bilancio è stata approvata, con un emendamento del relatore, una norma che prevede che la destinazione delle risorse previste dal comma 14 dell'articolo 8 «è stabilita con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative»;
con lo stesso emendamento del relatore è stata poi approvata una disposizione che aggiunge al comma 23 dell'articolo 9 il seguente periodo: «È fatto salvo quanto previsto dall'articolo 8, comma 14.»;
il combinato disposto delle due norme dovrebbe garantire, secondo quanto annunciato dal relatore, la destinazione delle suddette risorse al finanziamento degli scatti retributivi maturati dal personale docente e dal personale ATA nel triennio 2010-2012;
in realtà, affermare che la destinazione delle risorse già riservate alla premialità dall'articolo 64, comma 9, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, sia stabilita del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, non significa in nessun modo che queste risorse debbano essere necessariamente destinate a finanziare il pagamento degli scatti retributivi maturati dal personale docente e dal personale ATA nel triennio 2010-2012;
tale modifica non indica in alcun modo la destinazione delle risorse, ma esclusivamente il modo per individuarla: poiché sarà il decreto del Ministro a stabilire la destinazione delle risorse previste dal comma 14 dell'articolo 8, si può solo auspicare che il decreto stabilisca che tali somme siano corrisposte (in forme e modalità che è davvero difficile prefigurare) a compensazione della mancata attribuzione di tali scatti nel corso del triennio, ben consapevoli del fatto che quanto assicurato dal relatore non ha alcun valore giuridico;
continua infatti ad essere negato il diritto del personale della scuola al conseguimento degli scatti retributivi secondo le modalità contrattuali vigenti e continua ad essere esclusa la validità strutturale, ai fini della carriera del medesimo, del triennio 2010-2012;
tale previsione comporta in termini finanziari, come stabilito dalla relazione tecnica, un grave danno economico per la sola categoria dei dipendenti del comparto scuola, corrispondente ad un risparmio della spesa pubblica al 2047 di 18,72 miliardi di euro. Ciò significherà una riduzione di 320 milioni di euro lordi per l'anno 2011, di 640 milioni di euro lordi per l'anno 2012 e di 960 milioni di euro lordi per l'anno 2013,
impegna il Governo
a dare attuazione a quanto affermato dal relatore in sede di esame in Commissione Bilancio riguardo la destinazione delle economie di cui all'articolo 64, comma 9, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, prevedendo espressamente, in sede di adozione del decreto del Ministro dell'istruzione dell'università e della ricerca, da emanare di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, che le suddette risorse siano finalizzate al finanziamento degli scatti retributivi maturati nel triennio 2010-2012 dal personale decente e dal personale ATA della scuola.
9/3638/211. Rossa, Ghizzoni, Bachelet, Coscia, De Biasi, De Pasquale, De Torre, Levi, Lolli, Mazzarella, Melandri, Nicolais, Pes, Antonino Russo, Siragusa.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 9, comma 23, del decreto-legge in esame prevede che, per il personale docente e amministrativo, tecnico e ausiliario (ATA) della scuola, gli anni 2010, 2011 e 2012 non sono utili ai fini della maturazione degli incrementi economici previsti dalle vigenti disposizioni contrattuali per effetto dei passaggi tra posizioni stipendiali;
il comma 14 dell'articolo 8 del decreto-legge in esame destina al settore scolastico, in modo assolutamente generico, le economie di cui all'articolo 64, comma 9, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133;
si ricorda che il comma 9 del citato articolo 64 destinava specificatamente, a decorrere dall'anno 2010, i predetti risparmi all'incremento delle risorse contrattuali stanziate per la valorizzazione e lo sviluppo professionale della carriera del personale della scuola;
in base a quanto disposto dal comma 14 dell'articolo 8, i risparmi previsti dall'articolo 64 del decreto-legge n. 112 del 2008, invece di essere destinati al cd. Fondo per il merito, saranno utilizzati per ripianare i debiti pregressi e finanziare le spese ordinarie delle scuole;
in seguito ad un'ampia mobilitazione delle organizzazioni sindacali ed alle proteste del personale docente e del personale ATA della scuola, in sede di esame della manovra finanziaria in Commissione Bilancio è stata approvata, con un emendamento del relatore, una norma che prevede che la destinazione delle risorse previste dal comma 14 dell'articolo 8 «è stabilita con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative»;
con lo stesso emendamento del relatore è stata poi approvata una disposizione che aggiunge al comma 23 dell'articolo 9 il seguente periodo: «È fatto salvo quanto previsto dall'articolo 8, comma 14.»;
il combinato disposto delle due norme dovrebbe garantire, secondo quanto annunciato dal relatore, la destinazione delle suddette risorse al finanziamento degli scatti retributivi maturati dal personale docente e dal personale ATA nel triennio 2010-2012;
in realtà, affermare che la destinazione delle risorse già riservate alla premialità dall'articolo 64, comma 9, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, sia stabilita del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, non significa in nessun modo che queste risorse debbano essere necessariamente destinate a finanziare il pagamento degli scatti retributivi maturati dal personale docente e dal personale ATA nel triennio 2010-2012;
tale modifica non indica in alcun modo la destinazione delle risorse, ma esclusivamente il modo per individuarla: poiché sarà il decreto del Ministro a stabilire la destinazione delle risorse previste dal comma 14 dell'articolo 8, si può solo auspicare che il decreto stabilisca che tali somme siano corrisposte (in forme e modalità che è davvero difficile prefigurare) a compensazione della mancata attribuzione di tali scatti nel corso del triennio, ben consapevoli del fatto che quanto assicurato dal relatore non ha alcun valore giuridico;
continua infatti ad essere negato il diritto del personale della scuola al conseguimento degli scatti retributivi secondo le modalità contrattuali vigenti e continua ad essere esclusa la validità strutturale, ai fini della carriera del medesimo, del triennio 2010-2012;
tale previsione comporta in termini finanziari, come stabilito dalla relazione tecnica, un grave danno economico per la sola categoria dei dipendenti del comparto scuola, corrispondente ad un risparmio della spesa pubblica al 2047 di 18,72 miliardi di euro. Ciò significherà una riduzione di 320 milioni di euro lordi per l'anno 2011, di 640 milioni di euro lordi per l'anno 2012 e di 960 milioni di euro lordi per l'anno 2013,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di dare attuazione a quanto affermato dal relatore in sede di esame in Commissione Bilancio riguardo la destinazione delle economie di cui all'articolo 64, comma 9, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, prevedendo espressamente, in sede di adozione del decreto del Ministro dell'istruzione dell'università e della ricerca, da emanare di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, che le suddette risorse siano finalizzate al finanziamento degli scatti retributivi maturati nel triennio 2010-2012 dal personale decente e dal personale ATA della scuola.
9/3638/211.(Testo modificato nel corso della seduta)Rossa, Ghizzoni, Bachelet, Coscia, De Biasi, De Pasquale, De Torre, Levi, Lolli, Mazzarella, Melandri, Nicolais, Pes, Antonino Russo, Siragusa.
La Camera,
premesso che:
il comma 2 dell'articolo 6 rende onorifica, a decorrere dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, la partecipazione agli organi collegiali - anche di amministrazione - degli enti che comunque ricevono contributi a carico delle finanze pubbliche, nonché la titolarità degli organi medesimi;
la partecipazione e la titolarità degli organi collegiali di cui al predetto comma comporta esclusivamente il rimborso delle spese sostenute, ove previsto dalla normativa vigente e, qualora siano già previsti, i gettoni di presenza non possono superare l'importo di 30 euro a seduta giornaliera;
sotto il profilo sanzionatorio, la norma in esame stabilisce, in primo luogo, che la violazione di quanto sopra previsto determina responsabilità erariale e che gli atti adottati dagli organi degli enti e degli organismi pubblici interessati sono nulli; invece gli enti privati che non si adeguano a quanto previsto da tale comma non possono ricevere, neanche indirettamente, contributi o utilità a carico delle finanze pubbliche, ad eccezione dell'eventuale devoluzione, in base alla vigente normativa, del 5 per mille del gettito IRPEF;
l'ultimo periodo di tale comma prevede che le disposizioni ivi previste non si applichino a tutta una serie di soggetti, ai quali sono stati aggiunti, nel corso dell'esame presso il Senato, le ONLUS, le associazioni di promozione sociale, gli enti pubblici economici individuati con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze su proposta del Ministero vigilante, nonché le società;
in tale elencazione non vengono espressamente citati gli enti e le fondazioni di diritti privato,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di includere gli enti e le fondazioni di diritto privato che ricevono contributi pubblici per meno della metà del loro bilancio e che hanno un fatturato superiore ai 20 milioni di euro nella deroga della disposizione in esame.
9/3638/212.Coscia, Ghizzoni, Bachelet, De Biasi, De Pasquale, De Torre, Levi, Lolli, Mazzarella, Melandri, Nicolais, Pes, Rossa, Antonino Russo, Siragusa.
La Camera,
premesso che:
la situazione degli edifici scolastici nel nostro Paese versa ormai in gravi condizioni;
troppo spesso la cronaca ci riporta all'attenzione il rilevante problema della fatiscenza degli edifici scolastici e, purtroppo, ogni volta che si ripresenta questa evidenza si registrano perdite di vite umane, feriti o tragedie scampate;
la stampa parla di 6.900 edifici di cui è ignota la data di costruzione, più di mille sono datati fra il '500 e l'800, di 803 istituti scolastici ospitati in strutture destinate ad altro scopo; di lavori di ristrutturazione e ampliamento che anziché migliorare la sicurezza e la solidità degli edifici ne hanno messo in discussione la stabilità senza modificarne la destinazione d'uso;
dei 43 mila edifici scolastici solo il 22 per cento ha beneficiato di ristrutturazioni e messa in sicurezza nonostante le leggi vigenti in materia che sono rigorosamente prescrittive;
oltre la fatiscenza delle strutture esistenti, non è stato avviato un serio programma per la costruzione di nuovi edifici scolastici tanto che molti comuni si trovano nella condizione di non poter ospitare gli alunni presenti sul territorio,
impegna il Governo:
a valutare l'opportunità, anche tramite un provvedimento specifico, di destinare un'adeguata quota di risorse all'incremento, in via straordinaria per gli anni 2010-2011, a sostegno delle iniziative volte alla messa in sicurezza degli edifici scolastici;
a prevedere la possibilità di avviare un monitoraggio sulla carenza di edifici scolastici su scala nazionale, predisponendo un piano straordinario per la costruzione di nuove scuole a fronte delle necessità rilevate.
9/3638/213.De Pasquale, Ghizzoni, Bachelet, Coscia, De Biasi, De Torre, Levi, Lolli, Mazzarella, Melandri, Nicolais, Pes, Rossa, Antonino Russo, Siragusa.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 9, comma 1, per il triennio 2011-2013, prevede che il trattamento economico individuale complessivo dei dipendenti pubblici, anche di qualifica dirigenziale, non possa in ogni caso superare il trattamento ordinariamente spettante per l'anno 2010;
a tale disposizione si accompagna la sospensione dei meccanismi di adeguamento retributivo per il personale in regime di diritto, tra i quali i professori universitari e i ricercatori. Per questi la progressione di carriera e degli scatti di stipendio sarà utile solo ai fini giuridici, senza alcun effetto di natura economica;
per i ricercatori esordienti che in questi tre anni diventeranno docenti, con uno stipendio iniziale che si aggira intorno ai 1.200 euro mensili, la manovra si tradurrà in un perdita di 7.659 euro l'anno, circa il 32,7 per cento dello stipendio annuale, secondo una stima elaborata dal Sole 24 Ore;
i ricercatori non confermati che hanno già all'attivo due scatti stipendiali, nei prossimi anni si vedono congelati aumenti per più di 8 mila euro l'anno, cioè circa il 27,6 per cento della loro busta paga, che oggi al netto viaggia intorno a 1.530 euro mensili,
impegna il Governo
ad adottare, previo monitoraggio dell'applicazione della norma citata in premessa, ulteriori iniziative normative volte a prevedere la possibilità per i ricercatori universitari di una forma di attenuazione della norma di cui in premessa al fine di consentire loro di beneficiare dello scatto di carriera non solo ai fini giuridici.
9/3638/214.Antonino Russo, Ghizzoni, Bachelet, Coscia, De Biasi, De Pasquale, De Torre, Levi, Lolli, Mazzarella, Melandri, Nicolais, Pes, Rossa, Siragusa.