XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di lunedì 18 ottobre 2010

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:

La Camera,
premesso che:
il corridoio europeo 5 Lisbona-Kiev necessita di una moderna infrastruttura ferroviaria per consentire, soprattutto nel territorio italiano attraversato, un effettivo trasferimento del trasporto di merci e di persone dalla mobilità su gomma alla mobilità su ferro;
l'osservatorio tecnico per l'asse ferroviario Torino-Lione, che «governa» il progetto della nuova linea Torino-Lione, ha gestito la progettazione preliminare dell'opera e il piano dei 91 sondaggi nei territori interessati dalla nuova linea ferroviaria;
successivamente alla presentazione del progetto preliminare al tavolo politico di Palazzo Chigi, entro il mese di ottobre 2010 si avvierà la fase valutativa e approvativa di tale progetto;
la redazione e l'approvazione del progetto definitivo e dello studio di impatto ambientale dovranno concludersi entro il 31 dicembre 2013;
l'indizione della gara di appalto è prevista per il 1o gennaio 2013, mentre i cantieri si dovrebbero avviare il 3 novembre 2013,

impegna il Governo:

a predisporre un adeguato piano finanziario per l'intero ammontare dell'opera;
a provvedere alle necessarie anticipazioni dei fondi previsti e necessari a realizzare gli interventi prioritari della prima fase;
a promuovere, insieme alla regione Piemonte e agli enti locali, una campagna di divulgazione e informazione sulla realizzazione dell'opera;
a promuovere una revisione del patto di cooperazione tra Italia e Francia per la realizzazione e la gestione del tratto dell'infrastruttura comune ai due Paesi.
(1-00454)
«Misiti, Lo Monte, Commercio, Latteri, Lombardo, Brugger».

La Camera,
premesso che:
oltre un quinto degli oltre 4,5 milioni stranieri che vivono ormai in Italia è costituito da minori di 18 anni. Tra essi, nei primi undici mesi del 2009, 7.988 sono stati i minori stranieri non accompagnati, ben 3.000 dei quali, secondo una stima di Save the children, hanno visto il proprio percorso di integrazione bloccato dalla nuova normativa sulla sicurezza entrata in vigore sei mesi fa;
l'indagine Anci rileva come quasi il 56 per cento del totale dei minori accolti in strutture di seconda accoglienza si trovi in Friuli Venezia Giulia, Lazio e Sicilia, la quale, da sola, accoglie quasi il 29 per cento dei minori sul totale nazionale. In continuità con gli anni precedenti, l'aumento più significativo è stato registrato al Sud (+134 per cento), seguito dal Centro (+20 per cento), ma, dopo la Sicilia, le regioni nelle quali si rileva un aumento significativo dei minori accolti sono Toscana, Calabria, Sardegna, Basilicata e Puglia;
l'Italia ha ratificato con la legge 27 maggio 1991, n. 176, la Convenzione Onu sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, che, all'articolo 1, definisce «bambini» gli individui di età inferiore ai 18 anni; la Convenzione rappresenta uno strumento normativo internazionale importante e completo in materia di promozione e tutela dei diritti dell'infanzia e tra questi il diritto alla vita (articolo 6), il diritto alla salute e alle prestazioni sanitarie (articolo

24), il diritto ad esprimere la propria opinione (articolo 12) e ad essere informati (articolo 13), il diritto al nome, tramite registrazione anagrafica, nonché alla nazionalità (articolo 17), il diritto all'istruzione (articolo 28 e 29), il diritto al gioco (articolo 31) ed il diritto ad essere tutelati da ogni forma di sfruttamento e di abuso (articolo 34);
la Convenzione Onu sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza prevede una tutela particolare a favore di alcuni gruppi di bambini e adolescenti, in considerazione della loro maggiore vulnerabilità. Si tratta dei minori in situazione di effettiva emergenza, tra i quali figurano:
a) i minori rifugiati e i minori nei conflitti armati;
b) i minori in situazione di sfruttamento economico, compresi il lavoro minorile e l'abuso e lo sfruttamento sessuale;
c) i minori vittime di tratta o di altre forme di sfruttamento;
d) i bambini e gli adolescenti appartenenti a minoranze etniche o popolazioni indigene;
l'accesso dei minori stranieri ai diritti fondamentali spesso risulta limitato, in quanto essi sono maggiormente esposti al rischio di marginalizzazione ed esclusione sociale. L'impatto di politiche incentrate sulla sicurezza ha avuto una ricaduta molto forte sulla quotidianità di tutti i minori stranieri e di origine straniera sul territorio, in particolar modo dei minori stranieri non accompagnati;
dalla legge sulla sicurezza, legge 15 luglio 2009, n. 94, sono stati stabiliti criteri più severi per la conversione del permesso di soggiorno; questi prevedono la permanenza di almeno tre anni sul territorio italiano prima del conseguimento della maggiore età e l'aver seguito un percorso di integrazione sociale di almeno due anni presso un ente riconosciuto; l'applicazione di tali norme ha, di fatto, diminuito la già esigua gamma di possibilità che questi minori, per la maggior parte adolescenti di 16 e 17 anni, hanno di compiere un percorso di accoglienza, regolarizzazione e integrazione;
sul numero totale di minori stranieri non accompagnati presenti sul territorio italiano al 15 novembre 2009, l'organizzazione Save the children ha distinto tre diversi gruppi:
a) 2.503 sono i ragazzi ancora minorenni che sono stati segnalati per la prima volta nei primi mesi del 2009 e che rischiano in larga parte di subire le restrizioni della nuova legge, soprattutto in tema di conversione del permesso di soggiorno alla maggiore età. Di questi ben 1.900 non matureranno i requisiti temporali richiesti dalla normativa in vigore, in particolare i tre anni di permanenza sul territorio nazionale, pur avendo già avviato un percorso di integrazione. Si è stimato in base al trend degli anni precedenti, che circa il 75 per cento delle nuove segnalazioni riguardi minori tra i 16 e i 17 anni e che, pertanto, prima del compimento della maggiore età al massimo siano in Italia da due anni;
b) altri 926 minori sono stati segnalati e sono divenuti maggiorenni nel 2009: anche per circa 500 di loro si stima non sarà possibile avere la conversione del permesso di soggiorno alla maggiore età. Il resto, pari a meno del 50 per cento, potrebbe essere riuscito a convertire il proprio permesso di soggiorno prima dell'entrata in vigore della legge n. 94 del 2009;
c) altri 4.559 minori, invece, segnalati negli anni precedenti e divenuti maggiorenni nel 2009, subiranno in minima parte gli effetti della legge n. 94 del 2009 in tema di conversione del permesso di soggiorno alla maggiore età. L'80 per cento di loro, infatti, è riuscito a convertire il permesso di soggiorno subito dopo essere diventato maggiorenne e prima dell'entrata in vigore della legge in questione. Comunque circa 900 neomaggiorenni, pur avendo sostenuto un percorso di integrazione

molto lungo, non hanno maturato i requisiti temporali richiesti dalla nuova normativa;
oltre 3.000 minori arrivati in Italia nel 2009 hanno visto improvvisamente dissolversi la possibilità di un percorso di crescita ed integrazione nel nostro Paese: un dato che deve far riflettere sulla prospettiva di vita di migliaia di minori che arrivano soli nel nostro Paese e che, di fatto, potrebbero utilmente portare avanti tale percorso o che, al contrario, potrebbero trovarsi, al compimento del diciottesimo anno di età, in posizione di clandestinità per l'impossibilità di convertire il proprio permesso di soggiorno;
il reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato viene contestato ai minori in alcune città ed in altre no, così come l'aggravante dell'irregolarità, mentre, per quanto riguarda la conversione del permesso di soggiorno, solo alcune questure stanno, di fatto, applicando un regime transitorio;
ad esclusione di Milano, dove sembra formarsi una buona prassi di consolidamento del percorso di integrazione fino ai 21 anni, permettendo al giovane di ottenere i documenti ed essere inserito nel mercato del lavoro, nelle altre città è molto forte la preoccupazione che i minori, disincentivati, fuggano dalle comunità di accoglienza e trovino sostentamento in circuiti illegali di sfruttamento o nell'ambito del lavoro irregolare;
da sottolineare è il caso di alcuni minori non accompagnati, come ad esempio quelli egiziani - ben il 14 per cento dei minori migranti presenti nella banca dati del Comitato per i minori stranieri al 30 settembre 2009 - che, mentre per la legge italiana diventano maggiorenni al compimento del diciottesimo anno d'età, per quella del proprio Paese di provenienza lo diventano al compimento del ventunesimo. La ricognizione ha evidenziato a Roma una forte presenza di egiziani, maggiori di 18 anni e minori di 21, sottoposti a tutela, ma che, sulla base di questo provvedimento, non hanno mai ottenuto un permesso di soggiorno. Ad oggi, infatti, le istanze di rinnovo di permesso di soggiorno avanzate dai giovani egiziani non accompagnati all'ufficio immigrazione della questura di Roma risultano sospese o improcedibili,

impegna il Governo:

a garantire la possibilità di permanenza in Italia dei minori stranieri non accompagnati, qualora ciò corrisponda al loro superiore interesse, e a favorirne l'integrazione, anche dopo il compimento della maggiore età, ove abbiano intrapreso un percorso verificato di integrazione;
a fornire indicazioni alle questure sul territorio, affinché sia garantita, in particolare, l'applicazione del regime transitorio, assumendo iniziative volte a prevedere la possibilità di convertire il permesso di soggiorno ai minori affidati o sottoposti a tutela che compiranno la maggiore età entro l'8 agosto 2011, senza dimostrazione di ulteriori requisiti;
ad assumere iniziative normative finalizzate a prevedere la possibilità di convertire il permesso di soggiorno ai minori affidati, ai sensi degli articoli 4 e 9 della legge n. 184 del 1983, all'interno di un nucleo familiare, anche monoparentale;
a garantire che i criteri utilizzati per l'adozione dei provvedimenti di tutela dei minori stranieri non accompagnati siano omogenei su tutto il territorio nazionale;
ad assumere iniziative, anche normative, volte a consentire il rilascio del permesso di soggiorno ai giovani cittadini di Paesi con differente regolamentazione della maggiore età, come, ad esempio, gli egiziani sottoposti a tutela fino al ventunesimo anno di età;
a eseguire un'attività periodica di monitoraggio sull'applicazione della normativa italiana in materia di rilascio del permesso di soggiorno ai minori non accompagnati al compimento del diciottesimo anno di età;

a coordinare, d'intesa con regioni e comuni, le iniziative affinché la rete delle comunità alloggio sia capillare e presente sull'intero territorio nazionale, evitando la concentrazione in alcune regioni, come la Sicilia e, in particolare, in tutto il Mezzogiorno, al fine di ospitare i minori stranieri non accompagnati all'atto delle dimissioni dai centri di prima accoglienza.
(1-00455)
«Misiti, Lo Monte, Commercio, Latteri, Lombardo, Brugger».

La Camera,
premesso che:
la Convenzione Onu sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, sottoscritta a New York il 20 novembre 1989 e ratificata nel nostro Paese con la legge 27 maggio 1991, n. 176, costituisce lo strumento normativo internazionale più importante e completo in materia di promozione e tutela dei diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, tra cui il diritto alla vita previsto nel suo articolo 6, il diritto alla salute e a godere delle prestazioni sanitarie, previsto nell'articolo 24; il diritto all'istruzione di cui agli articoli 28 e 29, il diritto al gioco nell'articolo 31 ed il diritto ad essere tutelati da ogni forma di sfruttamento e di abuso nell'articolo 34;
detta Convenzione prevede una tutela speciale a favore dei bambini e degli adolescenti in situazioni di emergenza, come i minori rifugiati, i minori impiegati nei conflitti armati e i minori costretti a lavorare e sfruttati economicamente;
la Convenzione tutela i minori oggetto di abuso e di sfruttamento sessuale, i minori vittime di tratte o di altre forme di sfruttamento e i bambini e adolescenti appartenenti a minoranze etniche o popolazioni indigene;
la Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza ha avviato nell'ottobre del 2008 un'indagine conoscitiva per conoscere le condizioni dei minori stranieri non accompagnati presenti nel nostro territorio in assenza di familiari;
tale indagine aveva come obiettivo di comprendere le ragioni per le quali questi minori, dopo essere stati identificati e quindi non espulsi dal territorio italiano, abbandonano i centri di prima accoglienza per gli immigrati;
l'indagine conoscitiva ha posto in evidenza un dato preoccupante: buona parte di questi minori che si allontanano dalle comunità alloggio non lasciano alcuna traccia e si espongono al rischio di traffici illeciti e allo sfruttamento da parte della criminalità organizzata e di chiunque abbia cattive intenzioni sui minori;
secondo il Ministero dell'interno, alla data 31 ottobre 2009, il fenomeno dei minori scomparsi continua a destare allarme per l'entità dei dati;
dal 1o gennaio 1974 al 31 ottobre 2009 si è accertato che le persone scomparse in Italia ancora da rintracciare sono in totale 25.871, di cui 10.755 cittadini italiani e 15.116 cittadini stranieri; quelli maggiorenni sono 15.103, di cui 8.761 italiani e 6.342 stranieri. I minori sono, invece, 10.768, di cui 1.994 italiani e 8.774 stranieri;
la differenza, rispetto al dato rilevato al 31 marzo 2009, è di 1.067 unità in più e di 1.318 in più rispetto al 31 dicembre 2008;
la categoria dei minori scomparsi per allontanamento dagli istituti e comunità di affido risulta essere quella con il maggior numero di casi registrati: 1.775 in totale, di cui 1.539 stranieri e 236 italiani;
fino al mese di ottobre 2009 i minori allontanatisi dagli istituti e dalle comunità sono stati in totale 567, di cui 439 stranieri,

impegna il Governo:

ad assumere ogni iniziativa necessaria che intervenga sulla condizione dei minori stranieri non accompagnati nel nostro Paese, in conformità con quanto stabilito dalla Convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza;

ad assumere ogni provvedimento di competenza necessario alla tutela dei minori non accompagnati, secondo le direttive dell'Unione europea e in conformità con i principi sanciti dalla Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei minori;
ad assumere iniziative tendenti a garantire le necessarie risorse a favore degli enti locali per il potenziamento delle strutture di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati;
a promuovere ogni iniziativa necessaria al ritrovamento dei nuclei familiari dei minori stranieri che vivono da soli e ad assicurare a detti minori la possibilità di rimpatriare e di ricongiungersi con i propri genitori o, eventualmente, con i familiari più stretti;
ad adoperarsi affinché sia garantita l'integrazione dei bambini e degli adolescenti che sono in Italia perché fuggono da guerre, conflitti civili e scontri religiosi, che impediscono loro di vivere serenamente nel proprio Paese.
(1-00456)
«Iannaccone, Belcastro, Gaglione, Milo, Sardelli, Brugger».

La Camera,
premesso che:
l'Unione europea ha predisposto un generale ripensamento del proprio sistema trasportistico e logistico (passeggeri e merci), partendo dalla constatazione dell'insostenibilità della movimentazione delle merci su gomma dal punto di vista ambientale ed economico;
il trasporto merci sull'asse Nord-Sud dell'Europa si è sviluppato maggiormente rispetto a quello Est-Ovest, creando uno squilibrio di passaggi che si punta a ridurre proprio grazie al corridoio 5 Lisbona-Kiev, al cui interno si colloca la linea Torino-Lione;
la realizzazione di questa opera è un'indifferibile occasione per l'Italia, al fine di modernizzare la propria rete infrastrutturale e per porre le basi dello sviluppo economico che verrà lasciato alle prossime generazioni. L'opera risulta essere essenziale, al fine di rendere il sistema dei trasporti italiano più efficiente ed il territorio più competitivo;
la scelta che si impone oggi è tra far compiere al Paese un passo di modernità oppure condannarlo all'isolamento. Una scelta indifferibile, con la consapevolezza che da essa dipende il futuro, non solo economico, di tutta l'Italia;
i cantieri per la realizzazione del tunnel di Chiomonte, in Val di Susa, dovranno partire entro l'inizio del 2011 e per la fine del 2010 dovrà essere pronto il progetto definitivo della Torino-Lione. In assenza di tutto ciò, l'Unione europea potrebbe decidere di dirottare sulla realizzazione di altre opere i 672 milioni di euro già stanziati per la tav;
la necessità di infrastrutture per un Paese, oltre all'ammodernamento del sistema Paese, porta indubbi benefici per i territori in cui si colloca. La tav è l'esempio macroscopico: con tale opera l'Italia diventerà un nodo strategico per andare in Europa e viceversa. È previsto un aumento della competitività del Piemonte e delle regioni attraversate, con il beneficio di nuovi posti di lavoro derivanti da nuovi insediamenti industriali e dallo sviluppo della logistica;
la consegna del progetto preliminare della Torino-Lione è avvenuta nei primi giorni di luglio 2010. Questo progetto include la definizione del nuovo tracciato in Piemonte/Valle di Susa;
il progetto preliminare è stato elaborato in relazione con la principale struttura di concertazione, l'osservatorio tecnico, presieduto dal commissario del Governo, Mario Virano. Gli enti locali in Valle di Susa sono stati pienamente coinvolti in questa nuova fase;
gli studi legati al progetto preliminare sono stati avviati a maggio 2009,

mentre la validazione da parte dei poteri pubblici italiani è prevista, secondo l'iter, per l'autunno 2010,

impegna il Governo:

a garantire gli impegni presi fino alla realizzazione dell'opera, con particolare riferimento alla copertura finanziaria che richiede l'immediata erogazione di 20 milioni di euro quale anticipo per la copertura degli interventi di prima fase per la realizzazione della tav;
a predisporre per il Piemonte un piano di sviluppo sia infrastrutturale che intermodale per il completo utilizzo della nuova opera, al fine di trasferire il traffico da gomma a mezzi ferroviari, in collegamento con l'intero sistema ferroviario nazionale;
a monitorare tutte le fasi della realizzazione dell'opera, sia preliminari che definitive, affinché la salute del cittadini e la tutela del territorio vengano preservate.
(1-00457)
«Allasia, Fogliato, Montagnoli, Buonanno, Togni, Simonetti, Pastore, Cavallotto, Desiderati, Crosio, Torazzi, Maggioni, Di Vizia».

La Camera,
premesso che:
secondo i dati Istat, in Italia è diabetico il 4,8 per cento degli italiani (il 5 per cento delle donne e il 4,6 per cento degli uomini), pari a circa 2.900.000 persone. Numeri che segnano un aumento rispetto all'indagine multiscopo del 1999-2000, secondo cui era diabetico il 3,7 per cento degli italiani (il 4 per cento le donne e il 3,5 per cento degli uomini). La prevalenza del diabete aumenta con l'età fino ad arrivare al 18,9 per cento nelle persone con età uguale o superiore ai 75 anni. Per quanto riguarda la distribuzione geografica, la prevalenza è più alta nel Sud e nelle Isole, con un valore del 5,5 per cento. Seguono il Centro con il 4,9 per cento e il Nord con il 4,2 per cento;
non solo, la situazione è ancora più drammatica se si osservano i dati dell'obesità infantile: nel nostro Paese un bambino su tre è obeso e si parla di soggetti che rischiano di sviluppare il diabete in età adolescenziale e di subire l'infarto già a 20 anni, ma nella realtà lo stesso dato attuale è condizionato al ribasso dal fatto che un diabetico su tre non sa ancora di esserlo. In prospettiva, inoltre, il diabete va assumendo le caratteristiche di una pandemia: 10 anni fa i malati nel mondo erano 120 milioni, oggi sono 270 milioni e di questo passo nel 2020 saranno 400 milioni; in pratica, ci sono due nuovi casi ogni 10 secondi;
il diabete comporta anche costi molto elevati: i dati dello studio Code-2 effettuato nel 2000 mostrano infatti come il 6,7 per cento dell'intera spesa sanitaria nazionale, pubblica e privata (circa 5,5 miliardi di euro nel 2004) sarà assorbita dalla popolazione diabetica;
poiché il diabete, come emerge dai dati, è una minaccia per tutto il mondo è stata istituita nel 1991 dall'International Diabetes Federation e dall'Organizzazione mondiale della sanità la giornata del diabete che viene celebrata in tutto il mondo il 14 novembre di ogni anno e l'ONU in data il 21 dicembre 2006 ha siglato una risoluzione che designa il 14 novembre come giornata delle Nazioni Unite per il diabete, nella quale si richiede a tutti gli Stati membri di promuovere una politica per la prevenzione e la sensibilizzazione volta ad informare sui rischi del diabete e le relative cure;
in Italia l'evento è organizzato dal 2002 grazie al supporto volontario di medici e infermieri diabetologi, dietisti, associazioni di pazienti e altri operatori sanitari;
una persona affetta da diabete grava sulla sua famiglia e le condizioni socio-economiche sono fortemente correlate

alla gestione della malattia; anche per questo il decreto ministeriale 28 maggio 1999, n. 329, con il quale è stato adottato il «Regolamento recante norme di individuazione delle malattie croniche e invalidanti ai sensi dell'articolo 5, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 124», aveva riconosciuto il diabete mellito quale patologia che dà diritto «all'esenzione dalla partecipazione al costo per le correlate prestazioni sanitarie incluse nei livelli essenziali di assistenza, ai sensi dell'articolo 5, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 124»;
ad oggi diverse prestazioni per la cura e la prevenzione delle complicanze connesse alla patologia del diabete non sono incluse nei livelli essenziali di assistenza, come il cosiddetto «piede diabetico», il quale comporta una cura non solo molto dolorosa, ma anche complessa, lunga, costosa, e soggetta a ticket;
sono altresì esclusi gli esami ematochimici, gli esami strumentali, l'educazione terapeutica, ed anche, paradossalmente, le dichiarazioni e/o attestazioni di idoneità alla guida di autoveicoli per il rinnovo della concessione della patente, così come molte altre prestazioni;
la ricerca sul diabete negli ultimi dieci anni ha avuto degli sviluppi importantissimi, come per esempio i sensori glicemici, in grado di monitorare il paziente 24 ore su 24, tuttavia la cura, come altre, non solo non è inserita nelle prestazioni a tariffario dei livelli essenziali di assistenza, ma può accadere che, all'interno della stessa regione, venga concessa gratuitamente a seconda dell'azienda sanitaria locale di riferimento;
i presidi per l'autocontrollo della glicemia, pur fondamentale per la cura e la gestione del diabete, non si possono detrarre dalla dichiarazione dei redditi, in quanto non considerati farmaci, ma vengono concessi in modo differenziato e carente dal Servizio sanitario nazionale rispetto alle effettive necessità del paziente;
è sempre più evidente il ricorso alla compartecipazione privata attraverso forme assicurative, che di fatto gravano sul privato, alleggerendo il settore pubblico, ma snaturando la ratio della legge istitutrice del Servizio sanitario nazionale e il diritto all'accesso alle cure;
la politica sanitaria tende ad un ampliamento della platea degli aventi diritto e ad una riduzione del livello delle prestazioni erogate a carico del Servizio sanitario nazionale,

impegna il Governo:

a garantire l'accesso alla cura e alle prestazioni per i pazienti diabetici in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale, inserendo, in ottemperanza all'articolo 32 della Costituzione, la gratuità degli esami ematochimici, degli esami strumentali, dell'educazione terapeutica e di tutte le prestazioni connesse alla gestione del diabete e delle relative complicanze, in sede di revisione dei livelli essenziali di assistenza ormai fermi al lontano 2001;
a prevedere una campagna d'informazione e di prevenzione, in linea con gli obiettivi posti in essere dall'Organizzazione mondiale della sanità di riduzione dell'incidenza del diabete di tipo 2, mettendo l'accento sull'importanza di stili di vita corretti, attraverso un'adeguata attività fisica e una corretta alimentazione, nonché sull'importanza del test glicemico.
(1-00458)
«Pedoto, Livia Turco, Lenzi, Grassi, Farina Coscioni, Murer, Bucchino, Sarubbi, Bossa, Burtone, Sbrollini».

Risoluzione in Commissione:

La XII Commissione,
premesso che:
si vive in un'epoca in cui, grazie alle scoperte scientifiche, si è ottenuto un

considerevole allungamento della vita media e questo costituisce uno dei risultati più significativi del secolo;
la malattia dell'Alzheimer offusca questo importante risultato, poiché l'insorgere di questa gravissima patologia ha un effetto devastante proprio sul periodo della vita «conquistato» dal progresso scientifico;
i malati di Alzheimer nel mondo sono 25 milioni, solo in Italia si contano 600 mila malati e, visto che la popolazione dei Paesi occidentali ha una speranza di vita sempre più lunga, si prevede per il futuro un notevole aumento di persone affette da questa malattia. Per tale motivo il morbo di Alzheimer è diventato il terzo problema sanitario, dopo le malattie cardiache e tumorali;
durante la giornata nazionale dell'Alzheimer che si celebra ogni anno il 21 settembre l'ADI (Alzheimer disease international) ha comunicato i dati del rapporto mondiale 2010 che hanno esplicitato concretamente i costi economici e sociali della demenza a livello mondiale, costi che sono destinati ad aumentare;
il dato più significativo è che dopo i 65 anni di età la probabilità di sviluppare la malattia raddoppia ogni cinque anni e a 85 anni la probabilità è pari al 50 per cento;
secondo i numeri forniti dal rapporto mondiale Alzheimer, la demenza è un'emergenza sanitaria e sociale che non può essere ignorata dai Governi nazionali, stante gli enormi oneri per le persone, le famiglie e le strutture sanitarie che questa comporta;
i costi sociali di tale malattia sono elevatissimi proprio perché coinvolge i vari componenti della famiglia e, in Paesi come il nostro, dove l'assistenza socio sanitaria dello Stato e delle regioni è carente o quanto meno non uniforme su tutto il territorio nazionale, il peso di tale malattia, ma anche di molte altre patologie croniche e invalidanti, si riversa totalmente sull'ambito familiare;
proprio per questi motivi, nel nostro Paese è urgente migliorare i servizi creando una rete assistenziale intorno al malato e alla sua famiglia, che non li lasci soli ad affrontare il lungo e difficile percorso di malattia. Una rete territoriale che comprenda medico di famiglia, specialisti, centri di riferimento, assistenza domiciliare, centri diurni, ricoveri di sollievo e ricoveri definitivi,

impegna il Governo:

a sviluppare, per quanto di competenza, più incisive politiche di sostegno alle famiglie all'interno delle quali ci sia un familiare affetto da patologie croniche e invalidanti ed, in particolare, per quelle famiglie al cui interno ci sia una persona affetta da demenza poiché, non esistendo al momento terapie farmacologiche efficaci, l'unico intervento è di tipo assistenziale;
ad individuare di concerto con le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, le risorse economiche e gli strumenti giuridici necessari affinché in tutto il territorio nazionale vi siano servizi integrati di assistenza sanitaria e sociale che sostengano quindi non solo i malati ma anche coloro che se ne prendono cura, assumendo iniziative volte a definire, prima dell'entrata in vigore del federalismo fiscale, i livelli essenziali delle prestazioni sociali (Lep) così come previsti all'articolo 22 della legge quadro n. 328 del 2000 e dall'articolo 117, secondo comma, lettera m) della Costituzione;
ad investire da subito nella ricerca assumendo iniziative volte ad aumentare le risorse per questa malattia al pari di quelle messe a disposizione per le malattie cardiache e oncologiche.
(7-00415)
«Pedoto, Livia Turco, Lenzi, Grassi, Farina Coscioni, Murer, Sbrollini».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA
DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:

MURGIA. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
la razionalizzazione del sistema universitario è, come noto, obiettivo precipuo del Governo e del complesso delle università italiane;
nell'ambito di questo necessario e urgente processo di verifica e di riflessione sulle strutture di ciascun ateneo e sulle potenzialità che possono offrire, una particolare attenzione merita la situazione delle facoltà di medicina veterinaria;
è noto, infatti, che la loro istituzione, evoluzione ed eventuale arricchimento presuppone e richiede un monitoraggio e una verifica tali da comprovare il rispetto degli standard di qualità previsti dalla Unione europea che consentano un percorso formativo di qualità e, conseguentemente, ai laureati di svolgere la relativa professione in tutti i Paesi della stessa Unione;
per tale ragione diviene imprescindibile la valutazione da parte dell'European Association of Establishments of Veterinary Education (EAEVE), presa in riferimento anche per la programmazione del prossimo anno accademico;
la facoltà di medicina veterinaria dell'università di Sassari è ancora priva della certificazione di qualità rilasciata dall'European Association of Establishments of Veterinary Education;
l'ateneo di Sassari sta attivamente lavorando per arrivare alla costruzione dell'ospedale veterinario e per innalzare i parametri produttivi in vista della valutazione europea, che si prevede fissata per il 2013 -:
se il Governo, al fine di consentire a tutti gli atenei che necessitano di potenziare l'organizzazione di facoltà con adeguate strutture scientifiche, didattiche e di ricovero affinché possano candidarsi alla valutazione del predetto organismo, non ritenga necessario assumere iniziative volte a far sì che l'approvazione - anche condizionata - possa essere differita oltre il 2013, per scongiurare una possibile chiusura delle facoltà di medicina veterinaria non accreditate, considerando soprattutto il valore che molte di loro rivestono per l'economia delle regioni di appartenenza.
(3-01282)

Interrogazioni a risposta scritta:

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
sul quotidiano Italia Oggi del 14 ottobre 2010, un articolo dal titolo «Caos di leggi sui militari» evidenzia come il recentissimo decreto legislativo n. 66 del 15 marzo 2010 e il decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 90, siano stati oggetto di numerose successive correzioni che, secondo il giornalista, ammonterebbero alla non trascurabile cifra di 196;
in particolare il codice dell'ordinamento militare, emanato con il decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, contiene numerose norme che, ad avviso degli interroganti, suscitano dubbi sul piano della legittimità costituzionale oltre che del rispetto dei criteri di delega, concretizzatosi nella riscrittura di norme dallo stesso abrogate -:
quali uffici e quante persone siano state impiegate e per quanto tempo nell'attività di stesura del testo dei citati atti normativi originariamente emanati;
se non ritenga opportuno assumere iniziative normative urgenti al fine di sospenderne l'applicazione.
(4-09046)

BOFFA. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
il decreto-legge n. 78 del 31 maggio 2010, all'articolo 15, prevede l'introduzione, entro il dicembre del 2011, di un pedaggio diretto sui raccordi autostradali e sulle autostrade in gestione diretta dell'Anas, con esazione di tipo free flow (pedaggio elettronico);
nell'elenco delle 25 tratte, tra autostrade e raccordi autostradali, interessate dall'applicazione del pedaggio elettronico, figura anche il raccordo autostradale RA9 di Benevento che collega l'A16 Napoli-Canosa con la città di Benevento per una lunghezza di circa 12 km;
la norma in questione è stata successivamente bocciata dai Tribunali amministrativi regionali del Lazio e del Piemonte e, in via definitiva, dal Consiglio di Stato che, con una sentenza del 1o settembre 2010, ha disposto il blocco degli aumenti per i territori che avevano presentato ricorso;
in virtù della sopra citata sentenza del Consiglio di Stato, l'Anas disponeva la sospensione degli aumenti per tutte le autostrade italiane;
il 30 settembre 2010, la Camera dei deputati ha approvato in via definitiva la legge di conversione del decreto-legge n. 125 del 5 agosto 2010, recante misure urgenti per il settore dei trasporti e disposizioni in materia finanziaria;
il citato decreto-legge, come modificato dalla legge di conversione 1o ottobre 2010, n. 163, prevede che il Governo dovrà, entro il 30 aprile 2011, disciplinare l'applicazione del pedaggio sui raccordi autostradali gestiti dall'Anas e fornire l'elenco delle strade da sottoporre a pedaggio;
in tal senso, si dovrebbe attendere un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri attuativo del decreto-legge n. 125 del 2010 per stabilire le modalità e i criteri di pagamento sulle 25 tratte, tra autostrade e raccordi autostradali, gestite direttamente dall'Anas, sulle quali sarà applicato il pedaggio elettronico;
insolitamente, però, il 13 settembre 2010, veniva pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale un bando di gara indetto dalla direzione generale Anas spa per la fornitura e messa in opera di un sistema di pedaggiamento senza barriere sulle autostrade ed i raccordi autostradali Anas tra i quali è compreso anche il raccordo autostradale RA9 di Benevento e questo «In attuazione di quanto previsto all'articolo 15, comma 1, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, così come modificato dal decreto-legge 5 agosto 2010 n. 125»;
in data 1o ottobre 2010, il consiglio provinciale di Benevento si è espresso unanimemente contro l'introduzione del pedaggio sul raccordo autostradale RA9 di Benevento in quanto il raccordo non risponde alle caratteristiche di infrastruttura autostradale indicate dal codice della strada, perché privo di corsie di emergenza, di recinzioni e di sistemi di assistenza all'utenza;
la strada statale 7 Appia, ad una sola corsia per senso di marcia, parallela ed unica alternativa al RA9, appare del tutto inadeguata a reggere il prevedibile aumento di traffico conseguente all'introduzione del pedaggio sul raccordo autostradale che collega Benevento alla A16;
la provincia di Benevento è la sola in Campania ad essere esclusa dalla rete autostradale italiana;
ad avviso dell'interrogante desta dubbi sul piano della legittimità la scelta della direzione generale dell'Anas che, includendo il raccordo autostradale RA9 di Benevento nell'elenco delle tratte autostradali dove si prevede di installare i nuovi pedaggi elettronici, di fatto ha anticipato una scelta di competenza del Governo -:
se la scelta di Anas spa di individuare, mediante il bando di gara di cui in

premessa, le tratte in relazione alle quali si prevede di attivare il nuovo sistema di pedaggiamento possa pregiudicare le decisioni in merito del Governo, cui compete per legge stabilire criteri e modalità per l'applicazione del pedaggio sulle autostrade e sui raccordi autostradali in gestione diretta di Anas spa, nonché l'elenco delle tratte da sottoporre a pedaggio;
se non si ritenga, viste le osservazioni di cui in premessa riguardo la non rispondenza del raccordo autostradale RA9 di Benevento ai requisiti disposti dal codice della strada per la classificazione delle infrastrutture autostradali, di escludere l'applicazione del pedaggio sulla tratta stradale in questione;
in caso contrario, se non si ritenga, considerata l'inadeguatezza dell'unica strada parallela al raccordo autostradale RA9 di Benevento, la strada statale 7 Appia, di esentare dal pagamento del pedaggio i cittadini residenti nei comuni dell'area interessata.
(4-09051)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
alcuni giorni fa è stato presentato il primo rapporto condotto dal Consiglio nazionale dei geologi italiani (Cng) con la collaborazione del Cresme dal titolo «Terra e sviluppo. Decalogo della Terra 2010» da cui emerge un'Italia «vulnerabile», dal «territorio fragile», esposta alle fisiologiche calamità ambientali, incapace di garantire la tutela dei cittadini con ben 30 mila chilometri quadrati di territorio inclini a eventi naturali come frane e alluvioni in grado di determinare gravi effetti su cose e persone;
solo in Campania oltre un milione di persone vivono in aree ad alto rischio di frane e alluvioni, 825 mila in Emilia-Romagna e oltre mezzo milione in ognuna delle tre grandi regioni del Nord, Lombardia, Piemonte e Veneto;
circa sei milioni di persone abitano in aree a elevato rischio idrogeologico ed il 40 per cento della popolazione italiana in zone ad alta sismicità;
quanto al rischio sismico, il dossier documenta come i comuni interessati da un «rischio elevato» sono 725, mentre quelli esposti ad un pericolo «medio» sono 2.344. In questi comuni ci sono circa 6,3 milioni di abitazioni e 12,5 milioni di abitanti, oltre 24 milioni gli italiani interessati dai fenomeni sismici ed oltre a 28 mila scuole e migliaia di ospedali. Le regioni con il maggior numero di istituti scolastici costantemente monitorati dagli esperti sono la Sicilia, con 4.856 scuole, e la Campania, con 4.600 edifici. Anche Toscana e Lazio hanno più di 2.500 istituti «a rischio». Situazione preoccupante anche in Calabria ed Emilia Romagna. Completamente esenti da rischio elevato sono solo i territori di Valle d'Aosta, Sardegna e Trentino-Alto Adige;
secondo Pietro Antonio De Paola, presidente del Consiglio nazionale dei geologi: «Dal dopoguerra ad oggi sono stati spesi 213 miliardi di euro per il dissesto idrogeologico e il risultato è quello che vediamo in Liguria, Campania o Sicilia. Il nostro territorio ha una vulnerabilità elevatissima, per la quale siamo costretti ad inseguire le emergenze con spese continue, senza peraltro raggiungere un livello accettabile di sicurezza». Della cifra indicata, 27 miliardi di euro sono stati investiti solo dal 1996 al 2008;
inoltre, nel periodo di riferimento 1991-2008 per la mitigazione del rischio idrogeologico sono stati impiegati soltanto 7,3 miliardi di euro, poco più di 400 milioni l'anno;
secondo il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il fabbisogno finanziario per mettere in sicurezza il territorio nazionale oggi è pari a 40 miliardi di euro. Il 68 per cento di

questi è destinato alle 12 regioni del Centro-Nord, il restante 32 alle 8 regioni del Mezzogiorno. Una cifra insufficiente, per i geologi, che non ha finora trovato riscontro;
la situazione è destinata a peggiorare soprattutto nelle regioni a più elevata urbanizzazione anche in ragione delle previsioni demografiche per il prossimo decennio se si calcola che l'incremento della popolazione nelle zone sismiche sarà di oltre 500 mila persone e nelle zone a rischio idrogeologico di circa 250 mila e che nel 2019 l'incremento della pressione insediativa toccherà valori a livello nazionale del 4 per cento di abitanti in più, il 5 per cento nel Nord-Ovest e al Centro e il 7,9 per cento nelle regioni del Nord-Est -:
quali iniziative il Governo intenda adottare per la messa in sicurezza del territorio e del patrimonio edilizio.
(4-09056)

LABOCCETTA. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
nell'estate 2006 il calcio italiano è stato sconvolto da eventi traumatici, meglio conosciuti sotto l'appellativo di Calciopoli, che, coinvolgendo dirigenti di società, arbitri, dirigenti arbitrali e persino un vice presidente della Federazione italiana giuoco calcio, ne hanno profondamente minato le basi di credibilità;
a seguito di tali avvenimenti e delle sentenze, sia della giustizia sportiva che di quella ordinaria, si è cercato di mettere mano agli ordinamenti sportivi, per evitare che in futuro potessero ripetersi tali incresciose situazioni;
nella revisione degli ordinamenti federali a tutti i livelli si è posta la giusta attenzione alla cosiddetta «questione etica» dei protagonisti del mondo calcio, tant'è che la Federazione italiana giuoco calcio si è dotata di una normativa in «materia di onorabilità dei propri tesserati»;
in base ad essa non possono assumere la carica di dirigente di società di qualunque ordine e grado coloro che "siano stati condannati con sentenza passata in giudicato per le seguenti colpe: disciplina del fallimento, concordato preventivo, sfruttamento della prostituzione, reati di mafia, reati di frode sportiva, traffico di sostanze stupefacenti, false comunicazioni sociali, delitti contro la pubblica amministrazione (peculato, malversazione, concussione, corruzione), violazioni di obblighi per amministratori di S.p.A. ed s.r.l., la normativa prevede che in caso di mendace dichiarazione o di omessa immediata comunicazione della sentenza di condanna anche non definitiva, i soggetti interessati incorrono nella decadenza dalla carica;
per quanto riguarda i dirigenti della Federazione italiana giuoco calcio, l'articolo 29 dello Statuto recita testualmente «sono ineleggibili coloro che hanno riportato condanne penali passate in giudicato per reati non colposi a pene detentive superiori ad 1 anno»;
nell'ambito della Federazione italiana giuoco calcio rientra la Lega nazionale dilettanti, che ingloba nel suo ambito anche il settore giovanile e scolastico; tale organismo rappresenta l'organizzazione che è alla base della diffusione del gioco del calcio, annoverando 1.500.000 tesserati, circa 14.300 società che gestiscono 54.500 squadre: in pratica per ogni 7 tesserati di tutte le Federazioni sportive nazionali, uno è tesserato per la Lega nazionale dilettanti e secondo una recente indagine conoscitiva, 20 milioni di persone sono direttamente o indirettamente in contatto con la LND;
sulla base della normativa riportata precedentemente chiunque abbia subito una condanna con sentenza passata in giudicato non può assumere alcuna carica di dirigente di società, ivi compresa la 3o categoria, che rappresenta il gradino più basso della organizzazione piramidale della Lega nazionale dilettanti, mentre chiunque abbia riportato condanne penali superiori ad un anno non può ricoprire

incarichi nell'ambito della Federazione italiana giuoco calcio;
il Presidente della Lega nazionale dilettanti, signor Carlo Tavecchio, nato a Ponte Lambro il 13 luglio 1943 è a capo di un'organizzazione che esprime i numeri di cui sopra, radicalmente diffusa sul territorio, con i suoi 19 Comitati regionali e le sue delegazioni territoriali presenti in tutte le province italiane, oltre alle delegazioni zonali, ubicate in aree particolarmente significative, nonostante annoveri condanne penali per anni 1 mesi 3 e giorni 28 di reclusione, oltre a multe e ammende per oltre euro 7.000,00 così articolate:
falsità in titolo di credito continuato in concorso - Corte di appello di Milano, sentenza del 1o luglio 1970, pena: reclusione mesi 4;
violazione delle norme per la repressione dell'evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto - tribunale di Como, sentenza del 29 novembre 1994, pena: reclusione mesi 2 giorni 28, multa euro 1652,66;
omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali - omissione o falsità in registrazione o denuncia obbligatorie - pretura di Como, sentenza del 2 luglio 1996, pena: reclusione mesi 3, multa euro 320,20;
omissione o falsità in denunce obbligatorie - pretura di Como, sentenza del 7 luglio 1998, pena: reclusione mesi 3;
abuso d'ufficio - tribunale di Como, sentenza del 15 ottobre 1998, pena: reclusione mesi 3;
violazione delle norme per la tutela della acque dall'inquinamento - tribunale monocratico di Como, sentenza dist. Erba, pena: multa euro 5.154,57 -:
se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere al riguardo.
(4-09070)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
la prima firmataria del presente atto, è presentatrice dell'atto di sindacato ispettivo 4-08158, pubblicato lunedì 26 luglio 2010 in occasione della seduta della Camera n. 358;
l'interrogazione a risposta scritta faceva riferimento alla drammatica situazione - dal punto di vista strutturale, funzionale, igienico e sanitario - del carcere Gazzi di Messina;
i fatti descritti a seguito della visita ispettiva effettuata il 17 luglio 2010, erano così gravi che l'interrogante trasmetteva il testo della suddetta interrogazione alla procura della Repubblica di Messina;
nessuna risposta è giunta alla presentatrice e agli altri firmatari dell'interrogazione da parte dei Ministri interrogati;
in data 13 ottobre 2010 la prima firmataria del presente atto riceveva dal garante per i detenuti della Regione Sicilia, una lettera a lei indirizzata proveniente proprio dalla casa circondariale Gazzi, lettera il cui testo si riporta integralmente;
«Chi vi scrive è un detenuto del carcere di Gazzi che tra l'altro ho avuto il piacere di conoscerla quando ero al così detto ma non di fatto "reparto sosta". Come prima cosa le chiedo di accettare le mie scuse per non firmare con il mio giusto nome e cognome questo mio scritto, le ragioni sono perché non vorrei che l'amministrazione carceraria prendesse dei provvedimenti sulla mia persona! Perché per quanto può essere ingiusto la nostra posta viene aperta o addirittura non recapitata. Preferirei essere chiamato con un nome di fantasia "Felipe". All'epoca della sua visita in questo istituto durante il nostro colloquio le esponevo alcuni fatti gravosi che dovevamo subire: fra cui il sovraffollamento delle celle di cui

se si ricorda dovevamo convivere in 13 in una cella che ne doveva ospitare soltanto 4 persone, oltre le persone, dovevamo convivere con i topi per non parlare delle condizioni sgradevoli igienico sanitari, inoltre dovevamo convivere con persone con gravi patologie, del tipo siero positivo! Per non parlare di quante volte abbiamo dovuto subire che la nostra dignità venisse calpestata dalle stesse guardie carceriere e dai loro superiori! Oggi le scrivo per fargli presente che la maggior parte di noi dopo nove mesi e più abbiamo avuto la possibilità si salire al reparto camerotti. Devo dire che siamo passati dalla stalle alle stelle, qui abbiamo un bagno dignitoso, un reparto a prima vista pulito e la possibilità di frequentare alcuni corsi messi a disposizione da questo istituto. Ma per quanto riguarda la capienza dei detenuti in una cella devo dire che è peggiorata perché in un cubicolo di due persone ne siamo sei. Lascio immaginare a lei come si può vivere dignitosamente in sei metri quadri, li vero motivo che mi preoccupa e mi angoscia e devo dire che non sono l'unico detenuto ad essere preoccupato ma siamo seriamente preoccupati tutti i detenuti di ogni reparto. Il motivo di questa nostra preoccupazione è dovuto al fatto che questi bravi dottori che operano all'interno dell'istituto e un ringraziamento va al direttore di questo carcere per averci dato la possibilità di convivere con persone affette da malattie gravi come l'aids, e cosa molto più grave, con malati di tubercolosi. Le faccio presente che malgrado le nostre giuste preoccupazioni e la nostra disponibilità nel farci fare le analisi del sangue ci viene negato questo nostro diritto assicurandoci solo con fandonie che non c'è nulla di preoccupante. A suo dire basta un colpo d'occhio alle visite mediche per capire se qualcuno ha contratto qualche malattia. Per intanto non capisco perché il detenuto R.G. presumibilmente affetto da tubercolosi sia stato trasferito e isolato al reparto del centro clinico? E i 5 compagni di stanza vengono muniti di mascherina, e viene vietato a loro qualsiasi attività comune, tipo l'aria la fanno da soli, i colloqui non li possono fare, ecc. ecc. Per tanto noi tutti percepiamo la presenza di qualcosa di grave preoccupandoci per (a nostra salute e quella dei nostri famigliari che ci vengono a trovare! Per tanto vi chiedo nuovamente di poter avviare un'indagine su tutta questa storia prima che la situazione possa seriamente degenerare con conseguenze molto più gravi e disastrose per tutti noi e i nostri famigliari. Concludo con il dirvi che se l'amministrazione carceraria non prenderà subito provvedimenti noi detenuti saremo costretti a manifestare una rivolta! Preciso che non si può scherzare con le nostre vite e quelle delle nostre famiglie. Fiducioso in un vostro intervento ringrazio anticipatamente. Saluti Felipe»;
a fronte dell'aspetto migliorativo del trasferimento - dopo nove mesi - dal reparto denominato «la sosta» ai cosiddetti camerotti che continuano ad essere sovraffollati ma perlomeno con bagni più dignitosi e con celle più pulite, sotto l'aspetto sanitario la situazione permane allarmante per il pericolo di diffusione di malattie infettive, in particolare la tubercolosi, visto che i detenuti attraverso la lettera sopra riportata, fanno sapere di avere avuto contatti con altri carcerati che attualmente si troverebbero in isolamento, dotati di mascherine, senza la possibilità di effettuare colloqui e di frequentare le ore d'aria insieme agli altri -:
quale sia l'attuale situazione strutturale, funzionale, igienica e sanitaria della casa circondariale di Gazzi a Messina;
se e quanti detenuti siano ancora ristretti presso il reparto denominato «la sosta» e se tale reparto sia stato bonificato dal punto di vista igienico-ambientale;
quali controlli e misure siano stati adottati per scongiurare il rischio della diffusione di malattie contagiose, quali la tubercolosi, non solo fra i detenuti ma anche fra il personale costretto ad avere contatti con i portatori di tali pericolose patologie.
(4-09074)

AFFARI ESTERI

Interrogazioni a risposta orale:

MARCAZZAN. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
in data 14 giugno 2010, Angelo Malavasi, di Casalgrande (RE), è stato arrestato nella città di Bayamo dalla polizia cubana;
dopo circa quaranta giorni di carcere scontati a Granma è stato trasferito presso il carcere de La Condesa nei pressi de L'Avana;
le accuse formulate a suo carico sarebbero pesantissime, si parla di spaccio di droga, corruzione ed omicidio, che, se confermate, sarebbero sanzionate con pene durissime;
la famiglia del Malavasi è stata avvertita in data 23 luglio 2010 tramite l'ambasciata italiana a Cuba, informata a sua volta dal Ministero degli affari esteri;
solo in data 16 agosto 2010 è stato permesso all'ambasciata di fare una visita consolare al Malavasi;
ad oggi dopo quattro mesi di prigionia, il Malavasi non conosce ancora esattamente le accuse che gli vengono mosse né la propria posizione e sembrerebbe che il suo legale non possa accedere agli atti o avere puntuali e ufficiali informazioni circa la posizione del suo assistito;
in attesa del processo il Malavasi non può contare su una adeguata assistenza legale e sanitaria;
nell'ultima telefonata ai genitori, Angelo Malavasi avrebbe detto «... ho fatto testamento, preferisco morire che rimanere qua da innocente» -:
se non ritenga di attivare ogni utile canale istituzionale volto a chiarire l'esatta posizione del Malavasi, che si ritiene vittima di una situazione rispetto alla quale ha sempre dichiarato una totale estraneità, e a fornire tutta l'assistenza legale e sanitaria che necessita.
(3-01281)

FERRANTI. - Al Ministro degli affari esteri, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
notizie giornalistiche adombrano sospetti sulla mancata prontezza dei soccorsi e sulla morte di Daniele Franceschi avvenuta il 25 agosto 2010 nel carcere francese di Grasse e sulle modalità di conservazione e trasporto della salma, che è stata restituita alla famiglia in ritardo, senza organi ed in uno stato di avanzata decomposizione che rende difficoltosa una autopsia in territorio italiano;
fonti giornalistiche riferiscono inoltre che nel corso di una protesta contro le autorità francesi per i continui ritardi e dinieghi, la madre del giovane è stata fermata, trattenuta e, da quanto si apprende, malmenata dalle guardie carcerarie riportando gravi lesioni -:
di quali informazioni dispongano in ordine alle modalità di soccorso e alle cause della morte di Daniele Franceschi, al trattamento, ai tempi e alla conservazione della salma e quali iniziative abbiano assunto o intendano assumere per fare piena luce su questi accadimenti e sulle violenze subite dalla madre.
(3-01283)

Interrogazioni a risposta scritta:

ZACCHERA. - Al Ministro degli affari esteri, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il cittadino italiano Carlo Parlanti è stato accusato nel 2002 di reati da parte della magistratura americana e, in occasione di un suo viaggio in Germania, arrestato poiché - senza che lui lo sapesse - era oggetto di mandato di cattura internazionale;
venne pertanto detenuto in Germania per 11 mesi e quindi estradato negli Stati Uniti;
in occasione del processo negli USA, rinunciando a un patteggiamento che lo avrebbe probabilmente fatto liberare in pochissimo tempo e ribadendo la sua

estraneità ai fatti contestatigli, veniva però condannato a ben nove anni di reclusione durante un dibattimento che ha lasciato molti dubbi di legittimità ed imparzialità, così come riportato da numerose fonti di stampa italiana e negli ultimi anni da esperti medici e criminologi che hanno stilato relazioni dettagliate anche su illegalità commesse nei confronti del nostro concittadino;
alcune fonti di stampa italiane riportate sul sito dell'associazione prigionieri del silenzio e su altri siti web provano, sulla base di documentazione rilasciata dal tribunale di Ventura, California, luogo in cui il nostro concittadino ha subito il processo, accrediterebbero il fatto che per tentare di produrre documentazione medica a favore dell'accusa sono stati presentati documenti medici che contrastano tra loro e che sembrano prodotti per ingannare i servizi federali americani e far usufruire all'accusatrice del signor Parlanti delle agevolazioni federali destinate alle vittime di violenza e persone inabili al lavoro. Da quanto viene denunciato dall'associazione Prigionieri del silenzio e nel libro pubblicato da Armando Editore e scritto dal professore Vincenzo Mastronardi, sul caso le investigazioni sono state lacunose, se non del tutto assenti, e la dove sono state approfondite sono state omesse rilevazioni che avrebbero impedito la celebrazione del processo con il conseguente rilascio, già nel 2005 del nostro connazionale;
nel libro citato vengono sottolineate illegalità da parte degli enti coinvolti nei confronti del nostro concittadino; l'ostacolo che sovente si è incontrato è stata la mancanza di un avvocato che avesse potere negli Stati Uniti di denunciare queste illegalità e richiedere la convocazione di un grand jury che sembra l'unica soluzione per far ottenere giustizia al nostro connazionale;
Prigionieri del silenzio informa che allo stato attuale il professor Vincenzo Mastronardi e la sua equipe sono ben disposti a poter usare le ormai conoscenze approfondite del caso indicando ad un legale con cui sia scorrevole la comunicazione quali i passi da fare per fare chiarezza nella vicenda Parlanti -:
se si intenda chiedere al Governo americano di fare chiarezza sui fatti su esposti;
se intendano assumere ogni utile iniziativa sul piano diplomatico per verificare le condizioni di salute del nostro connazionale che in maniera poco chiara è stato estradato dall'Europa e per far luce sugli eventuali soprusi perpetrati, come, da quanto si legge sui siti che riguardano il caso, l'omissione e l'affossamento di prove al momento della richiesta di estradizione;
se si abbia intenzione di assumere ogni iniziativa affinché l'innocenza gli esperti autori del libro sul caso abbiano il massimo appoggio per far riconoscere l'innocenza di Carlo Parlanti e richiedere di indagare sui legittimi dubbi che il libro solleva;
se si vorrà favorire a livello consolare la visita della signora Katia Anedda, che da anni è animatrice in Italia dell'opinione pubblica sul caso in esame, al penitenziario dove è detenuto Carlo Parlanti in programma per il 21 ottobre 2010.
(4-09040)

MECACCI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
Saba Gdey è una giovane donna eritrea di 32 anni, richiedente asilo nel nostro Paese;
nell'ottobre 2008 Saba Gdey è sbarcata con numerosi suoi connazionali a Lampedusa ed è stata nello stesso periodo condotta dalla autorità italiane a Rieti;
il 2 ottobre 2010, Cittadinanzattiva provincia di Rieti, associazione Postribù Rieti, associazione Germogli di Toffia, il Gruppo EveryOne - organizzazione inter

nazionale per i diritti umani -, l'Agenzia Habeshia per la cooperazione allo sviluppo e il Circolo Generazione Italia di Milano hanno diramato un appello per tutelare l'incolumità di Saba Gdey;
si tratta di un appello urgente in favore di Saba Gdey, con il quale s'allertano le principali istituzioni nazionali ed internazionali e s'afferma che, qualora il decreto di espulsione (allontanamento) - emesso dalla questura di Rieti - fosse attuato, potrebbero esserci gravi conseguenze per la vita della donna;
Saba Gdey è, infatti, psicologicamente instabile e se ne teme davvero il suicidio (già tentato); si riporta di seguito il testo dell'appello, così come è stato pubblicato su vari siti e blog italiani:
«APPELLO URGENTE IN FAVORE DELLA sig.ra SABA GDEY, RIFUGIATA ERITREA CON RICORSO RESPINTO ED A GRAVE RISCHIO VITA»:
Milano, 2 ottobre 2010
On. PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA GIORGIO NAPOLITANO
On. PRESIDENTE DELLA CAMERA GIANFRANCO FINI
On. MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA ANGELINO ALFANO
On. MINISTRO DEGLI INTERNI ROBERTO MARONI
Ecc.mo PREFETTO Provincia di Rieti
Ecc.mo QUESTORE di Rieti
Ecc.mo SINDACO Comune di Rieti

E p.c.
ALTO COMMISSARIO ONU RIFUGIATI ANTONIO GUTERRES
ALTO COMMISSARIO ONU DIRITTI UMANI NAVI PILLAY
COMMISSARIO DIRITTI UMANI CONSIGLIO D'EUROPA THOMAS HAMMARBERG
Gentili Referenti istituzionali in indirizzo;
a conoscenza delle intenzioni della Questura di Rieti di procedere al respingimento della sig.ra SABA GDEY, di anni 32 di nazionalità eritrea, rifugiata politica e per ragioni umanitarie, sbarcata con numerosi suoi connazionali a Lampedusa nell'ottobre 2008 e condotta a Rieti nello stesso periodo, ci corre l'obbligo morale e sociale di rappresentare con estrema urgenza l'inopportunità di una tale decisione che metterebbe questa persona ad un gravissimo rischio per la sua stessa vita;
nonostante 2 successive sentenze delle Commissioni per i Rifugiati richiedenti asilo che respingevano il suo ricorso, abbiamo il dovere di dire quanto di nostra conoscenza per evitare il concreto rischio di una ennesima, ingiusta, tragedia umana;
la signora Saba Gdey, nata il 1o gennaio 1978 in Eritrea, infatti, dopo aver subito nel suo Paese il carcere con suo marito per alcuni mesi, è scappata rifugiandosi in un campo profughi in Sudan, Da qui, dopo alcuni mesi, ha tentato la traversata del deserto verso la Libia. Per circa 2 anni ha cercato di sopravvivere onestamente con un'attività in un ristorante di Tripoli senza trascurare di dare una mano a tanti suoi connazionali colpiti dalla tragedia della fuga verso la salvezza da un Paese da moltissimi anni in guerra civile ed in attesa di poter approdare in Europa, cosa che ha attirato, purtroppo, l'attenzione del polizia libica che per ben 2 volte l'ha incarcerata e successivamente liberata. Il seguito è la fuga fortunosa di alcuni giorni su un barcone della speranza dalle coste libiche verso Lampedusa e l'Italia, verso la salvezza.
A quanto pare però, così non è stato se, dopo l'esame di 2 Commissioni, i risultati sono questi! Secondo il Giudice del Tribunale di Roma, la signora Saba, nelle sue dichiarazioni, si sarebbe contraddetta più volte. Ad esempio, avrebbe affermato di aver dei figli, ma questi figli non sono suoi, ma della sorella. Avrebbe

dichiarato prima di provenire dall'Eritrea e di "...essere scappata per ragioni politiche...", ma nel ricorso avrebbe dichiarato, al contrario, di provenire dal Ghana e di essere voluta venire in Europa, semplicemente "...per migliorare le sue condizioni economiche". Chi conosce bene la storia di questa donna sa che la signora ha detto verità certificabili e che, caso mai, di altri sono gli errori di comunicazione per conto di una persona, semianalfabeta, in grado di parlare solo il tigrigno (lingua eritrea) e l'amarigno (lingua etiopica) e che deve affidarsi a traduttori, interpreti ed avvocati per comunicare. Che, ad esempio ha certamente affermato di avere avuto 2 figli, che ha poi specificato non suoi, in quanto di una sorella con gravi problemi mentali e non in grado di accudirli. In Eritrea ed in molta parte dell'Africa infatti, chi si "affilia", anche informalmente bambini non suoi, li ritiene "naturalmente" suoi e come tale li dichiara, saltando molte formalità occidentali (ma chi non ricorda come nel meridione d'Italia di appena qualche decennio fa, "l'affidamento fiduciario" dei bambini provenienti spesso da famiglie numerose e poverissime era di "ordinaria amministrazione"). E, per quanto riguarda il Paese di provenienza ed il motivo, vi sono testimonianze certe che di errore materiale di trascrittura dell'avvocato si tratta (=trascrizione errata sul ricorso da parte dell'impiegato dell'avvocato!), che avrebbe dovuto essere corretto o specificato davanti al giudice e non si capisce come di questo non si sia tenuto conto! Non solo, è forse proprio il caso di ricordare come, in conseguenza del grave disorientamento di cui soffrono molti rifugiati in fuga dalla guerra e dalla disperazione, dopo anni di tribolazioni, peggiori la loro capacità di reggere i rapporti sociali ed umani e come molti finiscano per vivere in una condizione di depressione e di auto isolamento che li mette a grave rischio sociale. È ciò che incontrovertibilmente è capitato proprio alla sfortunata signora Saba! In un rapporto della polizia di Rieti infatti, a carico della signora Saba, dovrebbe essere evidenziato un palese tentativo di suicidio risalente al mese di luglio 2009 (è stata tirata su e salvata per un soffio, appesa da un balcone al terzo piano dello stabile, dove era ospite, a seguito di un diverbio con la polizia presente!); nonché come, da un litigio con un immigrato esitato con una banalissima lesione accidentale, la polizia, di sua spontanea volontà, ha ritenuto di dover procedere a denunzia per lesioni volontarie! Insomma, non ancora sufficienti le infinite tribolazioni di una povera profuga eritrea, oggi si rischia di perpetuare la sua mala sorte "respingendola" ancora verso terre ostili - la Libia e/o l'Eritrea - dalle quali aveva creduto di essere finalmente salva, affidandosi alle "accoglienti ed umane" (speriamo ancora!) braccia dell'Italia. Nella certezza che un provvedimento di espulsione della signora in questione possa spingere la stessa verso la disperazione ed a gesti di autolesionismo estremo. In considerazioni di ragioni umanitarie, preghiamo l'Ecc.mo Presidente della Repubblica a far recedere le autorità dal respingimento esecutivo, provvedendo ad un più attento riesame del caso in oggetto. Alla Prefettura e Questura di Rieti chiediamo di soprassedere, per il momento, a detto respingimento. In attesa di miglior giudizio, ed al Comune di Rieti di continuare a farsi carico dell'assistenza di una persona evidentemente in gravi difficoltà umane e sociali» -:
se il Governo sia a conoscenza dei fatti sopra menzionati;
se alla luce di quanto riportato, il Governo intenda assumere ogni iniziativa immediata e urgente di competenza al fine di annullare il provvedimento di respingimento esecutivo a carico di Saba Gdey e di garantirle la protezione umanitaria internazionale.
(4-09072)

TESTO AGGIORNATO ALL'8 NOVEMBRE 2010

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:

BRAGA, MARIANI, BENAMATI, BOCCI, BRATTI, ESPOSITO, GINOBLE, IANNUZZI, MARANTELLI, MARGIOTTA, MORASSUT, MOTTA, REALACCI, VIOLA, ZAMPARUTTI e RUBINATO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
la tutela del nostro territorio rappresenta un interesse prioritario della collettività e un impegno del Governo e delle amministrazioni territoriali non più rinviabile: il dissesto idrogeologico continua a determinare gravi perdite di vite umane e distruzione di paesi ed equilibri territoriali precari: il risultato sono 44 vittime solo nell'ultimo anno e 200 milioni di euro spesi per fronteggiare soltanto l'emergenza;
l'Italia è particolarmente fragile per quanto riguarda i fenomeni di dissesto idrogeologico: circa il 10 per cento del territorio nazionale è classificato ad elevato rischio per alluvioni, frane e valanghe; i 2/3 delle aree esposte a rischio interessano centri urbani, infrastrutture e aree produttive; il rischio di frane e alluvioni, seppur con diversa intensità, riguarda praticamente tutto il territorio nazionale: sono oltre l'80 per cento i comuni a rischio idrogeologico mentre 5,8 milioni di italiani vivono sotto minaccia;
l'assenza di una cultura della pianificazione territoriale responsabile, motivazioni politiche ed esigenze di cassa unite a forti vincoli di bilancio, ostacolano anche a livello territoriale razionali strategie di prevenzione; gravi sono i provvedimenti di condono edilizio e di deroga alla normativa urbanistica varati in questi anni dai governi di centro-destra, che premiano e incentivano pratiche di abusivismo edilizio e di speculazione immobiliare, totalmente indifferenti alla sicurezza del territorio;
il fabbisogno stimato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per la messa in sicurezza complessiva del territorio italiano dal rischio idrogeologico ammonta a 44 miliardi di euro: 27 per il centro nord, 13 per il Sud e 4 per il territorio costiero;
in questi ultimi anni le risorse iscritte a bilancio dal Governo Berlusconi per sostenere questa grande opera di prevenzione e difesa del suolo sono del tutto incongrue rispetto al fabbisogno, e in molti casi risultano gravemente insufficienti anche a fronteggiare l'emergenza;
il 26 gennaio 2010 la Camera dei deputati ha approvato una mozione unitaria che impegnava il Governo a presentare ed a dotare delle opportune risorse pluriennali il piano nazionale straordinario per il rischio idrogeologico; ad oggi nessuna indicazione è formalmente pervenuta al Parlamento da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare circa l'assegnazione delle risorse finanziarie né in merito alla definizione del piano nazionale per la difesa del suolo;
il comma 240 dell'articolo 2 della legge 23 dicembre 2009 n.191 (legge finanziaria per il 2010) ha destinato ai piani straordinari per rimuovere le situazioni a più elevato rischio idrogeologico le risorse - pari a 1 miliardo di euro - assegnate dalla delibera CIPE 6 novembre 2009 per interventi di risanamento ambientale a valere sulle disponibilità del Fondo infrastrutture e del Fondo strategico per il Paese a sostegno dell'economia reale, previsti dall'articolo 18, comma 1, lettere b) e b-bis) del decreto-legge n. 185 del 2008;
il comma 1 dell'articolo 18 del decreto-legge n. 185 del 2008 (convertito dalla legge n. 2 del 2009) aveva infatti disposto, per contrastare la crisi economica, l'assegnazione - da parte del CIPE - di una quota delle risorse nazionali disponibili del Fondo aree sottoutilizzate (FAS) anche al Fondo infrastrutture di cui

all'articolo 6-quinquies del decreto-legge n. 112 del 2008 per finanziare obiettivi prioritari, tra cui le opere di risanamento ambientale;
il comma 3 del citato articolo 18 ha disposto in merito al criterio di ripartizione territoriale delle risorse, ribadendo, per le risorse derivanti dal FAS che affluiscono ai citati fondi, il vincolo di destinazione dell'85 per cento delle risorse alle regioni del Mezzogiorno e del 15 per cento alle regioni del Centro-Nord, già previsto per il Fondo infrastrutture dall'articolo 6-quinquies del decreto-legge n. 112 del 2008;
secondo la legge istitutiva il Fondo infrastrutture è destinato, in via prioritaria, al finanziamento di interventi finalizzati al potenziamento della rete infrastrutturale di livello nazionale, e alla realizzazione di opere di cui è riconosciuta la valenza strategica ai fini della competitività e della coesione del Paese; tra queste rientrano senz'altro le opere di risanamento ambientale;
a valere sulle risorse assegnate dal CIPE al citato Fondo, il CIPE, con delibera 6 novembre 2009 n. 83 - non ancora pubblicata in Gazzetta Ufficiale - ha assegnato 900 milioni di euro per interventi di risanamento ambientale, «attraverso la rimodulazione di precedenti assegnazioni che saranno successivamente reintegrate»; per la medesima finalità, a tale importo si aggiunge l'assegnazione di 100 milioni di euro a carico del Fondo strategico per il Paese a sostegno dell'economia reale, la cui dotazione, a norma del citato decreto-legge n. 185 del 2008, è alimentata mediante risorse del Fondo aree sottoutilizzate;
sulla delibera CIPE n. 83 del 6 novembre 2009, inviata alle Camere per il parere parlamentare da parte Commissione VIII il 14 settembre 2010, la Commissione ambiente ha reso parere favorevole in data 29 settembre 2010;
nella medesima seduta il sottosegretario Giuseppe Maria Reina ha sottolineato le ragioni di assoluta urgenza che nello scorso novembre portarono il CIPE a deliberare lo stanziamento di 900 milioni di euro per avviare quantomeno un programma straordinario di interventi per la riduzione del rischio idrogeologico e la messa in sicurezza del territorio, con la garanzia di una ripartizione delle risorse «in assoluto rispetto della quota che la legge impone di destinare alle regioni del Mezzogiorno»;
il medesimo comma 240 dell'articolo 2 della legge finanziaria 2010 prevede che l'individuazione delle situazioni a più elevato rischio idrogeologico sia effettuata dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sentite le autorità di bacino (sia quelle «nuove», cioè quelle distrettuali previste dall'articolo 63 del decreto legislativo n. 152 del 2006, sia quelle «vecchie» prorogate dall'articolo 1 del decreto-legge n. 208 del 2008) e il dipartimento della protezione civile; il citato comma consente l'utilizzo delle risorse assegnate anche tramite accordo di programma, sottoscritto dalla regione interessata e dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro per gli affari regionali, purché tale accordo definisca la quota di cofinanziamento regionale a valere sull'assegnazione di risorse del FAS che ciascun programma attuativo regionale prevede di destinare all'intervento di risanamento ambientale;
nell'articolo 67 del decreto legislativo n. 152 del 2006 (cosiddetto Codice ambientale) sono previsti piani stralcio di distretto per l'assetto idrogeologico (PAI) per la tutela dal rischio idrogeologico; nel medesimo articolo, al comma 2, si prevede che le autorità di bacino possano approvare piani straordinari di emergenza diretti a rimuovere le situazioni a più elevato rischio idrogeologico; tali piani straordinari di emergenza devono essere corredati di alcuni elementi essenziali, e in particolare devono prevedere l'individuazione e la perimetrazione delle aree a rischio idrogeologico molto elevato per

l'incolumità delle persone e per la sicurezza delle infrastrutture e del patrimonio ambientale e culturale, con priorità per le aree a rischio idrogeologico per le quali è stato dichiarato lo stato di emergenza, ai sensi dell'articolo 5 della legge n. 225 del 1992 -:
quale sia l'elenco delle opere ammesse a finanziamento in forza dello schema di delibera n. 83 del 2009;
quali urgenti iniziative il Ministro intenda intraprendere:
a) affinché siano attivati gli strumenti previsti dalla legge finanziaria per il 2010 per l'individuazione delle situazioni a più elevato rischio idrogeologico;
b) per favorire un rapido e pieno utilizzo delle risorse assegnate anche tramite accordo di programma;
c) per individuare e rendere immediatamente operativi, anche mediante le autorità di bacino, piani straordinari di emergenza e piani stralcio di distretto per la tutela dal rischio idrogeologico ai sensi dell'articolo 67 del decreto legislativo n. 152 del 2006 (cosiddetto Codice ambientale);
d) per favorire modalità di gestione degli interventi pubblici - sia per quanto riguarda la programmazione, sia per quanto riguarda l'emergenza - chiari, stabili ed efficaci, anche per evitare di ricorrere a gestioni commissariali che si sottraggono alla necessaria pianificazione concordata e gestiscono fondi fuori bilancio;
e) per completare il riassetto della governance prevista dal decreto legislativo n. 152 del 2006, evitando la frammentazione di competenze, soggetti e strumenti che appesantiscono, rendendolo meno efficiente, il sistema di prevenzione, programmazione e gestione degli interventi;
f) per rispettare l'impegno assunto dal Governo in sede parlamentare di dare immediata attuazione ad un Piano nazionale straordinario per la difesa del suolo, con adeguate e certe risorse, in particolare per iniziative di medio e lungo termine di prevenzione e riduzione del rischio idrogeologico;
g) per garantire in tale piano straordinario l'applicazione di meccanismi più trasparenti di assegnazione e gestione delle risorse, nonché di coinvolgimento di capitali privati attraverso lo strumento della leva fiscale, sulla base di una programmazione pluriennale d'intesa con le regioni, le autorità di bacino e nel rispetto dei piani per l'assetto idrogeologico.
(5-03611)

Interrogazioni a risposta scritta:

REALACCI. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
numerose agenzie di stampa e il reportage del settimanale Panorama del 15 ottobre 2010 riportano la notizia di una grave emergenza ambientale che interessa l'importante area industriale antistante la costa di Portovesme (CA). Esiste in tale area un bacino di contenimento di fanghi rossi della società Eurallumina che produce allumina dalla bauxite;
il bacino di deposito dei fanghi in questione, sulle coste sarde è stato realizzato nel 1975 dalla società Eurallumina sulla base di autorizzazione regionale per contenere i residui della lavorazione della bauxite, preventivamente sottoposti ad un processo di filtrazione ed ispessimento;
sono 20 milioni i metri cubi di fanghi rossi finora accumulati e classificati come rifiuti speciali;
tutta l'area industriale di Portovesme è stata inserita tra le zone ad alto rischio di crisi ambientale nel 1989 dal Governo su richiesta della regione Sardegna e successivamente ricompresa nel piano di disinquinamento approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri nel 1994. Nel citato piano era stato accuratamente valutato l'impatto ambientale del

bacino ed era prevista anche una serie di misure atte a ridurre i possibili impatti del bacino di fanghi rossi;
il bacino è attualmente gestito dalia società Eurallumina sulla base di rigorose prescrizioni della regione Sardegna;
nel 2009, riferisce Panorama, i carabinieri del nucleo operativo ecologico hanno sequestrato i bacini di stoccaggio (nel frattempo Eurallumina aveva cessato la produzione) perché le acque della falda iniziavano a riversarsi in strada per un danno alle tubature. Ora nuove indagini sul bacino sono affidate al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che il magistrato ha nominato custode giudiziale del sito -:
se il Ministro non ritenga necessario rendere note le iniziative urgenti finora adottate nell'ambito del piano di disinquinamento e dopo il sequestro dei carabinieri del NOE, e quali azioni debbano ancora essere messe in atto al fine di assicurare un più rigoroso monitoraggio e la messa in sicurezza del bacino, onde evitare possibili danni ambientali nell'area di Portovesme.
(4-09053)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportano il Messaggero di Udine del 15 ottobre 2010 e Il Friuli del 7 giugno 2010, nel comune di Forgaria nel Friuli, in provincia di Udine, nella riserva naturale del lago di Cornino con la sua colonia di grifoni, l'unica di tutto l'arco alpino, ai 140 esemplari di grifoni osservati recentemente dal personale dell'area protetta, se ne sono aggiunti tre nei giorni scorsi, andando a ingrossare le file della popolazione rapace che in quest'angolo del Friuli ha trovato il sua habitat naturale;
un «sistema» che ora rischia, tuttavia, di essere messo a repentaglio, secondo gli amministratori forgaresi, per via del progettato parco eolico che una ditta privata vorrebbe realizzare a Trasaghis con il placet del comune. Desta preoccupazione, infatti, la vicinanza del parco progettato sia con la riserva naturale del lago di Cornino sia con «la valle del Medio Tagliamento» (sito di interesse comunitario), in particolare in relazione al progetto di reintroduzione del grifone nell'area; la prevista realizzazione del parco ha suscitato le perplessità del WWF, preoccupato per le possibili conseguenze ai grifoni che nidificano nella zona. L'impianto andrebbe ad interferire, inoltre, con la popolazione di gufo reale, anch'essa nidificante nell'area; come già sostenuto in altre interrogazioni relative ai parchi eolici nel Salento, il movimento delle pale è particolarmente pericoloso per l'incolumità degli avvoltoi. «Il rischio è che vadano a schiantarsi contro le pale e ne restino vittime. Un paio di decessi l'anno e a Forgaria di grifoni non ce ne sarà più uno in meno di un decennio», aveva dichiarato con preoccupazione il vicesindaco di Forgaria, Enrico Frucco, che in qualità di delegato alla riserva naturale sta seguendo da vicino l'evolversi delle vicenda, e che giorni fa ha accolto i «suoi» tre nuovi ospiti assieme al responsabile faunistico Fulvio Genero; per ora la colonia continua a crescere; i tre volatili, che provengono dal monte Bondone in provincia di Trento, dove per anni sono stati accuditi in voliera nel centro di ecologia alpina, a Forgaria sono stati sistemati nella nuova maxi voliera (realizzata grazie ad un finanziamento comunitario) così da poter essere osservati da vicino dai visitatori. «Si tratta di soggetti che a causa di precedenti ferite non possono essere liberati - spiega Genero. Per questo sono stati sistemati in voliera, dove i visitatori, specie i tanti studenti che ogni anno visitano la riserva, potranno ammirarli da vicino»; si tratta di avvoltoi di dimensioni importanti, basti pensare che possono arrivare a sforare i tre metri di apertura alare, meritandosi l'appellativo di giganti dell'aria. Essi sorvolano abitualmente la zona della val Tagliamento e, in particolare, l'altipiano di

monte Prat; dei 140 grifoni contati di recente, 14 sono piccoli, nati dalle coppie che nidificano in zona, a dimostrazione di come la specie si sia radicata in quest'area del Friuli e sia al contempo divenuta un punto di riferimento per la migrazione. «L'acquisizione di questi tre nuovi esemplari - dichiara il vicesindaco Frucco - rappresenta un'altra operazione importante per la valorizzazione della riserva naturale in cui l'amministrazione comunale crede fermamente, sia per il grande interesse ecologico e scientifico che il progetto riveste, sia per i suoi risvolti in termini di turismo e sviluppo dell'area» -:
di quali elementi disponga il Ministro in relazione al progetto di cui in premessa, con particolare riferimento ai rischi per le specie protette e quali iniziative di competenza intenda assumere al riguardo.
(4-09069)

CENNI, MARIANI e CECCUZZI. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
la problematica relativa al trattamento ed allo smaltimento dei fanghi prodotti dai processi di depurazione delle acque reflue provenienti da insediamenti civili assume oggi una notevole valenza sia a livello nazionale che internazionale;
la produzione di tali fanghi è infatti cresciuta notevolmente negli ultimi anni per effetto della normativa nazionale e comunitaria: il decreto legislativo n. 152 del 2006 (in attuazione della direttiva 91/271/CEE) ha comportato un incremento della dotazione di impianti di depurazione di reflui civili; ma al tempo stesso il decreto legislativo n. 36 del 2003 ha introdotto norme restrittive rispetto alla possibilità dello smaltimento in discarica dei fanghi;
una situazione che pone all'attenzione la necessità di introdurre nuove tecnologie di depurazione e di riutilizzo dei fanghi, soprattutto per uso agricolo;
la direttiva comunitaria 86/278/CEE del Consiglio, del 12 giugno 1986, «concernente la protezione dell'ambiente, in particolare del suolo, nell'utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura» ha disciplinato l'utilizzo di tali fanghi negli usi agronomici, in modo da evitare effetti nocivi sul suolo, sulla vegetazione, sugli animali e sull'uomo. In particolare, essa stabilisce i valori limite per la concentrazione di metalli pesanti e proibisce lo spandimento di fanghi di depurazione, quando la concentrazione di determinate sostanze nel suolo superi questi valori;
ai sensi della citata direttiva n. 86/278/CEE, i fanghi di depurazione possono essere usati in agricoltura, a condizione che lo Stato membro ne disciplini la loro utilizzazione;
tale direttiva è stata recepita, nell'ordinamento italiano, con il decreto legislativo n. 99 del 27 gennaio 1992. Questo provvedimento fissa, nello specifico: i valori limite di concentrazione per alcuni metalli pesanti che devono essere rispettati nei suoli e nei fanghi; le caratteristiche agronomiche e microbiologiche dei fanghi; le quantità massime dei fanghi che possono essere applicate sui terreni. Si tratta di norme che hanno quindi anche l'obiettivo di tutelare la qualità della vita della popolazione presente in prossimità delle zone di «utilizzo» dei fanghi, limitando i possibili effetti legati, ad esempio, alle emissioni di cattivi odori;
alcune regioni, nei limiti delle loro competenze, hanno regolamentato ulteriormente tale materia sulle linee guida della normativa nazionale;
i fanghi di depurazione presentano generalmente buoni contenuti di sostanza organica ed elementi della fertilità vegetale (N, P, K), tali da renderne compatibile e preferibile l'utilizzo come fertilizzanti, anche nell'ottica del riciclo degli elementi naturali. Alcune sperimentazioni agronomiche hanno evidenziato che i ripetuti apporti di fango nel terreno hanno prodotto un incremento significativo della sostanza organica, dell'azoto totale, del

fosforo ammissibile e di altri metalli (rimanendo comunque tali concentrazioni ampiamente al di sotto dei limiti fissati dalla normativa vigente);
il riutilizzo agronomico dei fanghi (diretto o previo compostaggio) risulta quindi una valida soluzione al problema dello smaltimento dei fanghi di depurazione e assume notevole interesse per l'efficacia agronomica, in quanto sostituisce, in tutto o in parte, altri tipi di concimazione organica e la stessa concimazione chimica, che non è certo indenne dal provocare effetti indesiderati sia nel terreno che nella eventuale falda acquifera sottostante;
la legislazione attuale in materia, nazionale e comunitaria, prevede la possibilità che i fanghi possano essere trasportati e smaltiti su tutto il territorio nazionale. Una norma che esclude le amministrazioni territoriali dalla eventualità di porre limiti a tale «esportazione» e dalla possibilità di pianificare una programmazione adeguata e funzionale, soprattutto per quanto riguarda per il loro utilizzo «locale» in agricoltura;
introducendo, infatti, il principio di «prossimità» nell'ordinamento vigente si potrebbe razionalizzare con maggior efficacia il trattamento e lo smaltimento dei fanghi, responsabilizzando l'intera filiera di produzione e gli enti locali (per quanto riguarda soprattutto le concessioni ed i relativi controlli), promuovendo processi di tutela ambientale ed evitando anche i costi economici oggi necessari per il trasporto dei fanghi da una regione all'altra del Paese;
gli Stati membri dell'Unione europea hanno il compito di mettere in vigore, entro il 12 dicembre 2010, le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva comunitaria sui rifiuti (direttiva 2008/98/CE);
va aggiunto che sarebbe inoltre opportuno, dal momento che la legge che disciplina l'utilizzo dei fanghi in agricoltura risale (come già indicato) al 1992, rivedere le norme relative ai controlli preventivi su tali fanghi, verificando ed aggiornando (qualora fosse necessario per tutelare l'ambiente, i prodotti agricoli ed conseguentemente aziende e consumatori) i parametri chimici che ne autorizzano l'utilizzo, nonché prevedendo, in particolare, eventuali indicazioni specifiche per lo spargimento di tali fanghi nelle zone ad alto pregio agricolo -:
se non si ritenga opportuno, per i motivi esposti in premessa e soprattutto per incentivare l'utilizzo dei fanghi di depurazione in agricoltura, coinvolgendo e responsabilizzando le comunità e le realtà territoriali, promuovere tutte le azioni necessarie per introdurre il principio di «prossimità» di cui alla direttiva comunitaria sui rifiuti (direttiva 2008/98/CE) dando quindi la possibilità agli enti locali di programmare direttamente la gestione integrata dei fanghi prodotti dai processi di depurazione delle acque reflue provenienti da insediamenti civili, ed implementando così ulteriormente le garanzie di tracciabilità dei fanghi stessi.
(4-09073)

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BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazione a risposta scritta:

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riporta Maurizio Bolognetti, direzione nazionale Radicali Italiani, un'altra vicenda relativa alle attività estrattive in Basilicata riguarda il Centro Oli della Total, che dovrà sorgere a Corleto Perticara (Val Camastra);

l'8 settembre del 2004, il direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici della regione Basilicata, dottor Paolo Scarpellini, dichiara di «interesse archeologico particolarmente importante» una vasta area ubicata in agro del comune di Corleto Perticara. Scarpellini prende la sua decisione sulla base della relazione redatta dall'archeologo Marcello Tagliente che tra l'altro scrive: «A seguito di un sopralluogo effettuato in località Tempa Rossa si è riscontrata, in condizioni particolarmente favorevoli per la visibilità del suolo, la presenza di un importante sito archeologico. Al fine di evitare qualsiasi compromissione, risulta, in ogni caso, necessario tutelare, in forme adeguate, il sito archeologico di Tempa Rossa di Corleto Perticara, mediate l'imposizione del vincolo archeologico diretto ex articolo 2 del decreto legislativo n. 490 del 1999 sull'area perimetrata»;
tuttavia, poco tempo dopo, ci si accorge che l'area vincolata coincide in parte con il sito su cui dovrebbe nascere il Centro Oli della Total;
il 19 settembre 2007, il direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici della regione Basilicata, il professor Alfredo Giacomazzi, annulla il regime di tutela diretta, dichiarato con D.D.R. nel 2004 dal suo predecessore Paolo Scarpellini. La decisione viene presa sulla base della relazione scientifica redatta dall'archeologo Salvatore Bianco;
come precisato dallo stesso Bianco, gli scavi effettuati in località Tempa Rossa, su cui l'archeologo basa le sue valutazioni, vengono finanziati dalla Total Scrive Branco: «A seguito dello scavo estensivo eseguito dalla Soprintendenza per i beni archeologici della Basilicata su tutta l'area soggetta a vincolo archeologico diretto, con onere a carico della Total Italia, si sono del tutto precisate l'estensione e l'entità delle realtà archeologiche effettivamente esistenti sul pianoro di Tempa Rossa»;
insomma, le nuove indagini fanno cadere i vincoli imposti nel 2004 e danno il via libera alla Total per l'insediamento del Centro Oli in località Tempa Rossa -:
per quali ragioni un luogo riconosciuto importante sito archeologico, a distanza di soli tre anni, sia stato declassificato, alla stregua di una qualsiasi altra area sulla quale avviare attività estrattive, determinando una nuova perimetrazione con l'obiettivo di eliminare qualsiasi interferenza con il sito progettato dalla Total;
per quali ragioni, inoltre, gli scavi effettuati dal professor Tagliente siano stati finanziati dalla Total, considerata la parzialità della società nella vicenda;
se si intenda effettuare un'ampia indagine nell'area descritta, verificando l'effettiva estensione del sito archeologico ed eventualmente rivedendo il progetto di trivellazioni, al fine di salvaguardare il patrimonio ambientale e archeologico della regione Basilicata.
(4-09055)

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DIFESA

Interrogazioni a risposta scritta:

DI PIETRO e DI STANISLAO. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
i commi da 627 a 629 dell'articolo 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria per il 2008), hanno previsto la predisposizione da parte del Ministero della difesa di un apposito programma pluriennale per la costruzione, l'acquisto e la ristrutturazione di alloggi di servizio, di cui alla legge n. 497 del 1978, in relazione alle esigenze derivanti dalla riforma strutturale connessa al nuovo modello delle Forze armate; al fine di agevolare e rendere più rapida la realizzazione di tale programma pluriennale è stata prevista, altresì, dalla stessa legge, «l'alienazione della proprietà, dell'usufrutto o della nuda

proprietà di alloggi non più funzionali alle esigenze istituzionali» e l'assegnazione dei fondi alla Difesa;
i punti qualificanti del programma di alienazione e rinnovo del patrimonio abitativo riconoscono il diritto di prelazione al conduttore non proprietario di altra abitazione nella provincia, nonché «la permanenza negli alloggi dei conduttori delle unità immobiliari e delle vedove, con basso reddito familiare, non superiore a quello determinato annualmente con apposito decreto del Ministro della difesa, ovvero con componenti familiari portatori di handicap, dietro corresponsione del canone in vigore all'atto della vendita, aggiornato in base agli indici ISTAT»;
il decreto-legge n. 78 del 2010 recante «Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività» ha previsto, con il comma 2l-quater dell'articolo 6, che tali alloggi saranno soggetti ad aumento del canone a prezzi di libero mercato che provocherà alle famiglie interessate inevitabili ripercussioni economiche;
dal coordinatore nazionale del Comitato nazionale utenza e valorizzazione demanio militare di abitazione (CASADIRITTO), si apprende che «dopo il Comando Aeronautica di Milano e quello di Bari, anche quello di Roma dal 25 settembre scorso sta provvedendo all'invio di lettere riportanti »l'invito« a lasciare l'alloggio. Questo procedere prematuro, che mette termine a un periodo almeno di tre anni...è intempestivo anche rispetto all'uscita del Decreto che riporterà l'elenco delle alienazioni degli alloggi, così come stabilito dal Decreto (Regolamento) del Ministro delle Difesa del 18 maggio 2010, previsto all'articolo 6»;
lo stesso Comitato citato ha evidenziato che tali comunicazioni colpiscono «alla cieca», ovvero non tengono conto di quelle famiglie incluse nella normativa sopra menzionata (vedove, portatori di handicap, limite reddituale) -:
quali iniziative intenda adottare tese a tutelare gli inquilini degli alloggi del demanio militare;
quali iniziative intenda prevedere, nella fase di applicazione dell'articolo 6, comma 21-quater, del decreto-legge n. 78 del 2010, per risolvere i problemi che stanno determinando le maggiorazioni di canone rispetto a quello già in vigore nei confronti degli utenti con reddito familiare annuo lordo non superiore a quello fissato annualmente dal decreto del Ministro della difesa richiamato in premessa;
come intenda garantire, agli utenti che non superano la soglia di reddito familiare annuo lordo stabilita annualmente dal Ministro della difesa, con il decreto emanato ai sensi dell'articolo 9, comma 7, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, l'applicazione del canone così come definito con l'articolo 43 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, mirando a contemperare le esigenze dell'amministrazione con le condizioni sociali degli utenti.
(4-09043)

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
il giorno 12 ottobre 2010 si è svolta, presso il tribunale militare di Roma, la prima udienza del processo contro il maresciallo dei carabinieri Antonio Farina, membro del consiglio di base della rappresentanza militare (Co.Ba.R.) della legione carabinieri Lazio, accusato di aver aggredito un inferiore di grado, membro del medesimo consiglio -:
se e quali immediati provvedimenti cautelativi si intendano adottare nei confronti del militare di cui in premessa, al fine di garantire il regolare svolgimento delle attività del citato consiglio e di salvaguardare il prestigio della Forza armata.
(4-09044)

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
sul numero 4/2010 della rivista Informazioni della Difesa è pubblicato un articolo a firma del colonnello Antonino Lo Torto dal titolo «L'autodisciplina e il corretto esercizio dei diritti politici» in cui l'autore offre al lettore un'ampia interpretazione di come dovrebbero essere esercitati taluni diritti da parte dei militari in servizio a mente della legge di principio sulla disciplina militare, 11 luglio 1978, n. 382;
con il decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, la citata legge n. 382 del 1978 è stata espressamente abrogata dall'articolo 2268, n. 744;
ad avviso degli interroganti il citato articolo contiene affermazioni volte a rendere confusa la questione trattata e tali affermazioni possono indurre nel personale militare la falsa illusione di poter godere di libertà analoghe a quelle riconosciute ai non appartenenti alle Forze armate quando invece è notorio che esistono delle rilevanti restrizioni, che spesso, secondo gli interroganti, sono di dubbia conformità al dettato costituzionale -:
se esistano e quali siano eventuali ulteriori disposizioni che possano ingenerare dubbi in relazione al chiaro dettato del decreto legislativo e se non si intenda ritirarle, qualora esistano;
se intenda emanare una disposizione in merito che fughi ogni possibile dubbio sull'inesistenza del divieto di iscrizione ai partiti politici da parte di militari in servizio permanente e, in caso affermativo, se intenda dare alla notizia ampia diffusione anche mediante gli organi di informazione.
(4-09065)

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
con un proprio atto, il Ministro interrogato, in data 7 aprile 2009 ha decretato l'accoglimento dell'istanza di assenso ex articolo 8, comma 3, della legge 11 luglio 1978, n. 382, all'associazione denominata «Podgora» prodotta in data 1o marzo 2007;
nella risposta data all'interrogazione n. 4-05722 il Ministro interrogato ha dichiarato che «non si dispone, invece, del numero complessivo degli associati»;
risulta agli interroganti che gli associati al sodalizio abbiano autorizzato l'amministrazione militare a effettuare una trattenuta sulle competenze mensili corrispondente all'importo della quota associativa dovuta al sodalizio in argomento e quindi, alla luce della risposta fornita dal Ministro interrogato, appare impossibile che, quantomeno il comandante generale dell'Arma dei carabinieri non conosca il reale dato numerico a suo tempo richiesto;
il Ministro della difesa, ad avviso degli interroganti, dovrebbe esercitare, tramite i suoi uffici, un rigoroso controllo delle attività concretamente svolte dall'associazione Podgora, come avvenuto nei confronti di altre associazioni costituite tra militari a cui fu revocato l'assenso ministeriale per una ipotetica deriva sindacale;
in altri atti di sindacato ispettivo gli interroganti hanno posto domande sui comportamenti dei fondatori del sodalizio e sugli atti dell'amministrazione che ne hanno autorizzato e favorito determinate attività verso le quali ci si sarebbe aspettato un immediato intervento volto ad interessare, per quanto di competenza, l'autorità giudiziaria;
quanti siano i militari regolarmente iscritti all'associazione di cui in premessa, se siano stati presentati i bilanci e i conti economici relativamente all'anno 2009 e quali siano i dati in esso contenuti;
quali immediate iniziative intenda adottare per accertare la regolarità delle azioni e dei commerci svolti dal sodalizio di cui in premessa e degli atti e delle autorizzazioni ad essi riferiti emanati dalle competenti articolazioni del comando generale dell'Arma dei carabinieri.
(4-09066)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:

ROSSOMANDO. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
per effetto di un decreto ministeriale emanato l'11 giugno 2010, il Ministero della giustizia ha deciso di chiudere l'ufficio esecuzione penale esterna (UEPE) della sede di Verbania.: tale servizio è una sede distaccata da Novara, operativa dall'aprile del 2009, e dipendente dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, situata all'interno della scuola di formazione del personale della polizia penitenziaria di Verbania;
l'UEPE ha gestito sino ad oggi, nell'ambito della provincia del Verbano Cusio Ossola, l'esecuzione delle misure alternative, svolgendo una funzione di consulenza alla magistratura di sorveglianza di Novara: gli operatori assegnati hanno finora sviluppato un collegamento tra il carcere di Verbania e la società esterna, rivolgendosi a persone maggiorenni che hanno subito una condanna penale in via definitiva, sovrintendendo all'esecuzione delle pene in misura alternativa e sostenendo le persone condannate nel percorso di reinserimento sociale;
sono stati predisposti, in collaborazione con gli enti pubblici del Verbano Cusio Ossola e del privato sociale, progetti individualizzati di trattamento ed inclusione sociale per soggetti sottoposti alle misure alternative alla detenzione, che hanno facilitato il reinserimento nella vita libera degli ex detenuti, contribuendo così alla crescita del livello di sicurezza sociale;
solo nell'ultimo anno (15 agosto 2009-15 agosto 2010) il servizio ha gestito, complessivamente, oltre 300 casi, di cui una novantina riguardanti le misure alternative messe in atto;
prima dell'apertura della sede di Verbania, il lavoro sul territorio del Verbano Cusio Ossola era svolto da operatori sempre in missione da Novara, sia per quanto riguardava il lavoro sul territorio che per i contatti con l'utenza ed i servizi di zona, con costi economici decisamente eccessivi;
nonostante i risultati ottenuti dall'impegno sul campo di questi servizi, si decide di non investire in attività che sono importanti anche per il carico di lavoro che devono sopportare gli agenti della polizia penitenziaria del carcere di Verbania, il quale, strutturato per una settantina di detenuti, ne ospita un centinaio, in presenza di una grave carenza di organico del personale, sia degli agenti e sia delle altre figure professionali. Come noto, in tale situazione, il personale è costretto ad un continuo lavoro straordinario e ad un conseguente ripetuto salto dei turni di riposo;
allarmante altresì appare la grave carenza di risorse economiche, più volte denunciata dallo stesso presidente del tribunale di Verbania, Massimo Terzi, necessaria all'acquisto di materiale di cancelleria necessario alla gestione ordinaria degli uffici del tribunale di Verbania -:
se il Ministro, considerati gli effetti derivanti dall'applicazione del decreto ministeriale dell'11 gennaio 2010, non intenda rivedere le proprie decisioni, a difesa e tutela di questo importante ufficio della pubblica amministrazione, in virtù delle importanti funzioni sociali, amministrative e giuridiche svolte, che viene sottratto al territorio di Verbano-Cusio-Ossola, compromettendo gravemente la capacità e l'autonomia amministrativa della provincia;
quali iniziative urgenti intenda intraprendere al fine di porre rimedio alle suddette gravi disfunzioni derivanti dalla carenza di fondi necessari alla gestione ordinaria del tribunale di Verbania.
(5-03608)

Interrogazioni a risposta scritta:

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
Carmelo Di Bartolo, 42 anni, ex collaboratore di giustizia originario di Gela (Catania), si è suicidato la mattina del 12 ottobre 2010 nel carcere di Ravenna. Il cadavere dell'uomo, che si è impiccato nella sua cella, è stato scoperto intorno alle 8;
l'uomo era stato arrestato il 29 settembre 2010 per rapina. Già noto alle forze dell'ordine, aveva anche un passato da collaboratore di giustizia;
Carmelo Di Bartolo era stato già arrestato nel 1997 allorquando aveva sparato al cugino, Carmelo Fiorisi, nel centro storico di Gela. Fiorisi venne ferito di striscio, mentre Di Bartolo venne arrestato la stessa sera nella sua abitazione. Venne trovato a letto ancora vestito e con la pistola sotto il cuscino. Dopo aver scontato la pena era tornato in libertà. Il 29 settembre ancora un arresto, questa volta per rapina;
a giudizio della prima firmataria del presente atto, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e il Ministero della giustizia non sembrano capaci di arginare la mattanza che si sta consumando all'interno delle carceri italiane: tra «auto-soppressioni», aggressioni, violenze, sovrappopolamento e violazione del diritto, i nostri penitenziari hanno perso ogni residuo di civiltà, umanità e legalità. Nonostante gli sforzi del personale, abbandonato a sé stesso, nulla si può migliorare se non intervengono soluzioni strutturali;
ed invero la gravissima, allarmante, incivile emergenza dei suicidi in carcere impone di trovare quelle soluzioni che ancora non si intravedono; il fenomeno è stato denunciato tempo fa anche dal dossier «Morire di carcere», realizzato dai detenuti e dai volontari della redazione della rivista «Ristretti Orizzonti»;
è emerso dal citato documento che i detenuti in Italia si tolgono la vita con una frequenza diciannove volte superiore rispetto alle persone libere; tale dato, di per sé agghiacciante, si carica di implicazioni che sgomentano e avviliscono -:
di quali informazioni il Ministro interrogato disponga circa i fatti riferiti in premessa;
quali iniziative intenda intraprendere affinché siano accertate le eventuali responsabilità sul piano amministrativo e disciplinare in ordine alla mancanza degli opportuni controlli che avrebbero potuto impedire il tragico suicidio avvenuto nel carcere di Ravenna;
più in generale, quali provvedimenti urgenti il Governo intenda adottare, con riferimento alla triste piaga dei suicidi in carcere, al fine di garantire ai detenuti una non effimera attività di valutazione e trattamento, nonché i livelli essenziali di assistenza sanitario-psicologica previsti dalla legge.
(4-09047)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
risulta all'interrogante che nella casa circondariale di Agrigento, vi siano detenuti che stanno scontando la pena dell'ergastolo;
che gli ergastolani reclusi nell'istituto agrigentino, in alcuni casi, siano assegnati in celle con altri detenuti; in particolare, risulta all'interrogante che, in celle destinate dal punto di vista regolamentare ad un detenuto, convivano ben tre persone e che siano rarissime le attività trattamentali visto che solo una minoranza dei detenuti ha accesso al lavoro, allo sport, allo studio;

l'articolo 22 del codice penale stabilisce che la pena dell'ergastolo è perpetua, ed è scontata in uno degli stabilimenti a ciò destinati, con l'obbligo del lavoro e con l'isolamento notturno. Il condannato all'ergastolo può essere ammesso al lavoro all'aperto -:
se quanto esposto in premessa corrisponda al vero e, in caso affermativo, come mai gli ergastolani ristretti nel carcere di Agrigento non scontino la pena negli appositi istituti previsti dal codice penale;
come mai gli ergastolani del carcere di Agrigento non lavorino e per quale motivo non scontino la loro pena in isolamento notturno;
se sia a conoscenza di situazioni simili a quelle che si verificano nel carcere di Agrigento quanto al trattamento dei detenuti ergastolani;
quanti siano in Italia gli stabilimenti destinati all'espiazione della pena dell'ergastolo, dove siano ubicati e di quanti posti regolamentari dispongano;
quanti siano gli ergastolani detenuti nelle carceri italiane;
cosa intenda fare per rimuovere la mancata attuazione dell'articolo 22 del codice penale nell'istituto agrigentino ed, eventualmente, negli altri istituti ove tale disposizione normativa non sia applicata.
(4-09061)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
la firmataria del presente atto, è presentatrice dell'atto di sindacato ispettivo 4-08895, pubblicato in occasione della seduta n. 377 del 4 ottobre 2010;
purtroppo, la persona di cui si parla nell'interrogazione è nel frattempo morta: si chiamava Graziano Scialpi ed è deceduto la notte di giovedì 14 ottobre 2010;
dalle notizie riportate sui giornali locali e riprese da Ristretti orizzonti, agenzia e rivista per la quale Graziano Scialpi aveva lavorato durante la sua detenzione presso il carcere di Padova Due Palazzi, emergono ulteriori aspetti del calvario che quest'uomo di 48 anni ha dovuto patire;
il padre di Graziano Scialpi ha raccontato la malattia del figlio in questi termini al Corriere Veneto del 16 ottobre:
«Dallo scorso novembre (perciò, un anno fa, ndr) mio figlio chiedeva di fare una risonanza magnetica per cercare di capire la natura del fortissimo mal di schiena che lo tormentava - racconta con la voce rotta il signor Vittorio Scialpi, padre di Graziano - ma nessuno gli ha mai permesso di fare neanche una visita. Lo hanno tenuto dentro finché una notte lo hanno trovato paralizzato. Finché era troppo tardi»;
«Lui era arrivato al punto di trascinare le gambe sul pavimento, ma neanche in quel caso gli credevano»;
«I primi segni della malattia sono apparsi nel novembre 2008; all'epoca mio figlio godeva del regime della semilibertà e di giorno lavorava all'esterno del carcere, così quando usciva si comprava degli antidolorifici per il mal di schiena. Già allora aveva chiesto il permesso di farsi visitare, ma non gli fu concesso. I problemi sono arrivati qualche mese dopo, quando a Graziano è stata revocata la semilibertà, perché gli avevano trovato nel sangue le tracce di quegli oppiacei che aveva assunto per calmare il dolore. Tornato dentro non gli hanno fatto prendere nemmeno il Voltaren e così le cose di sono immediatamente aggravate»;
«A quel punto abbiamo sollecitato i responsabili della struttura detentiva, perché permettessero alcune visite specialistiche, lo stesso avevo chiesto al giudice di sorveglianza di consentire a mio figlio un'uscita: lo avrei accompagnato io dal dottore. Niente, hanno cincischiato»;
a marzo 2010 la malattia si è fatta sempre più aggressiva. Scialpi chiede nuovamente

di potersi sottoporre ad una risonanza e questa volta i responsabili medici del carcere accettano. Ma accade l'inverosimile. «Caricano Graziano su una ambulanza e lo portano in ospedale - ricorda il padre - ma il giorno della visita era quello sbagliato. la visita era l'indomani. Così conducono di nuovo mio figlio in carcere, ma il giorno dopo non lo riportano in ospedale»;
il 30 aprile 2010 Scialpi, sofferente, viene portato in pronto soccorso: gli fanno soltanto una visita ortopedica e gli danno dei palliativi. «In caso di reclusione, però, durante le ferie i medici non gli somministravano medicinali. È così Graziano rimaneva piegato dal dolore - prosegue il signor Vittorio. Un giorno sono stato costretto a interrompere il nostro colloquio perché lui non ce la faceva;
prima dell'estate il padre compra un busto al figlio, però c'è chi non permette l'ingresso in cella dell'attrezzo. «Ho dovuto spedirlo due volte e solo alla terza, grazie alla benevolenza di qualche agente. Graziano ha potuto ricevere il busto e indossarlo», riprende Vittorio. Si arriva ad agosto. Graziano ormai non muove più le gambe. È una notte rimane paralizzato. Gli agenti dunque decidono di portarlo immediatamente in ospedale. «I medici gli fanno le lastre e appena le vedono lo portano in sala operatoria - sussurra il signor Vittorio - aveva un tumore enorme, partito dai polmoni ed esteso fino alla schiena. Bastava fargli quegli esami un anno prima e forse non sarebbe finita così» -:
al di là dell'inchiesta aperta dalla magistratura per accertare eventuali responsabilità penali nel trattamento riservato al signor Graziano Scialpi, se non ritengano - in via cautelativa nei confronti degli altri detenuti ristretti nel carcere «Due Palazzi» di Padova - di dover verificare, attraverso un'approfondita indagine interna, se il trattamento sanitario previsto nell'istituto abbia corrispondenza con le leggi dello Stato e, soprattutto, con quanto previsto dagli articoli 3, 13 (comma 4), 27 (comma 3), 32 della Costituzione;
quanti siano, negli ultimi cinque anni i detenuti i morti in carcere per malattia e quanto coloro che, usciti dal carcere in sospensione della pena per malattia, siano successivamente morti in ospedale o nelle proprie abitazioni.
(4-09067)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il giorno 14 ottobre 2010 sul Corriere.it è apparso l'articolo della giornalista Alessandra Bravi intitolato: «L'avvocato della donna morta: anni di denunce inutili»; sottotitolo: «Dopo la morte di Anna Maria Liotti avvenuta per mano del vicino di casa, l'avvocato delle due donne, Lisa Panini, in lacrime ricorda le denunce che erano state fatte, spesso archiviate dalla Procura»;
data l'importanza delle notizie riportate nel citato articolo, la prima firmataria del presente atto ritiene di dover trascriverne integralmente il contenuto: «Signa (Firenze). Non era il primo agguato, non era la prima volta che Anna Maria Lotti e la figlia Eva, la prima, morta ieri sera dopo una serie di coltellate, la seconda in condizioni gravissime, subivano gli attacchi e le minacce di Giovacchino Sereni, il pensionato di 75 anni, condannato per stalking proprio ieri mattina e che nel pomeriggio ha aggredito le due donne, uccidendo la madre, Anna Maria Lotti di 64 anni, e ferendo in maniera molto grave la figlia di 40 anni. L'avvocato delle due donne, Lisa Parrini, visibilmente scossa e in lacrime ricorda le denunce che erano state fatte, per cui la procura spesso aveva richiesto l'archiviazione. Ricorda le minacce e le persecuzioni. Dal 2007 le due donne si erano trasferite vicino alla casa dell'uomo e il dramma era cominciato. Prima con i cani: le due donne nel giardino, tenevano un meticcio maremmano e un dobermann, lui non li sopportava e tentò di avvelenarli. Poi, Sereni cercò di accoltellare

il figlio della signora Lotti, aveva un fucile con il quale usciva di casa, tentava di infilzare i cani con una lancia che aveva costruito da solo. E tutti questi racconti erano finiti in denunce regolarmente presentate in procura, denunce per le quali il PM aveva chiesto l'archiviazione. Quando lanciò con una fionda un sasso contro Eva, colpendola alla mandibola, finalmente fu adottata la misura del divieto di avvicinarsi alle due donne: misura sempre violata dall'uomo. L'ultima segnalazione, spiega l'avvocato, è stata fatta 15 giorni fa. Adesso restano solo le lacrime dell'avvocato e quelle del fratello delle due donne: «Perché, perché non ci hanno ascoltato prima, perché quando le donne denunciano di essere in pericolo, vengono considerate moleste?». Anche il fratello Adamo è molto duro: »Tutti quelli che hanno sottovalutato il nostro problema e non hanno preso in considerazione le nostre denunce, sono tutti responsabili«. L'avvocato Panini ha parlato di 10 denunce. I dissapori fra i due nuclei familiari sorgono quasi subito generando »uno stato di ansia e di paura nelle due donne - dice ancora il legale - Inoltre poiché Eva Bigalli è psicologa, non le era sfuggito il potenziale di pericolo del loro stalker«. Proprio a causa del vicino, le due donne erano seguite dal servizio psichiatrico pubblico. Contrasti erano sorti fra Sereni e la moglie anche con altri vicini: tra questi uno, accusato di far rumore spingendo un interruttore della luce, coibentò la parete per eliminare qualsiasi possibilità di discutere col vicino. (...) Con una confessione-lampo, durata circa mezz'ora, Gioacchino Sereni, 75 anni, ha confessato ieri sera al PM Tommaso Coletta di aver accoltellato le due vicine, uccidendo la madre e ferendo gravemente la figlia, per dissapori che duravano da tempo. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, Sereni - cui i carabinieri avevano tolto l'autorizzazione a detenere il fucile da caccia - era stato convinto dal cognato ad accompagnarlo in una battuta, nel pomeriggio, dopo che la mattina era stato condannato in tribunale per stalking. Un modo per distrarlo, secondo il parente. Ma quando Sereni, al ritorno, ha incrociato in strada le due donne, è scoppiato un litigio, sembra proprio sull'esito di un processo che madre e figlia, esasperate e impaurite dalle sue persecuzioni, fecero aprire contro di lui. Nella discussione Sereni all'improvviso ha estratto il coltello da caccia, che aveva con sé e che a suo dire si era portato per aiutare il cognato a pulire l'eventuale selvaggina catturata, e ha colpito le due donne con impeto. Poi è andato nella sua casa, a poca distanza, dove poco dopo lo hanno arrestato i carabinieri di Signa e dov'è stata trovata l'arma. Al PM Coletta, Sereni ha confermato i fatti, e i dissidi con le due vicine, rendendosi conto di aver fatto uno sbaglio, »una bischerata grossa«, avrebbe detto. Ora è nel carcere di Sollicciano. Intanto, Eva Bigalli ha superato un difficile intervento chirurgico a cui è stata sottoposta nella notte all'ospedale di San Giovanni di Dio, dove è ricoverata. Le sue condizioni, pur stabilizzate dall'azione dei medici, rimangono tuttavia gravissime. È quanto si apprende da fonti sanitarie. Le coltellate hanno raggiunto la donna all'addome e al torace; sono stati colpiti organi e in particolare la lama avrebbe lacerato tessuti all'altezza del cuore. Sempre nella notte il magistrato di turno Tommaso Coletta ha interrogato nella caserma dei carabinieri di Signa, Giovacchino Sereni che dopo l'interrogatorio, è stato condotto in carcere» -:
se, in relazione alla vicenda di cui in premessa, non intenda attivare i propri poteri ispettivi presso la procura della Repubblica di Firenze, in particolare presso gli uffici dei pubblici ministeri titolari del procedimenti penali incardinati su denuncia/querela della signora Anna Maria Liotti, e nel caso ne sussistano i presupposti, promuovere le iniziative di competenza.
(4-09068)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:

GRAZIANO e PETRENGA. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
nella giornata del 7 ottobre 2010, il treno Eurostar 9357, partito da Roma alle 16.45 e diretto a Lecce, con arrivo previsto alle 18.20, ha subito un guasto di natura elettrica che ha comportato la rottura dell'impianto di condizionamento. Il guasto ha provocato nell'immediato una fiammata vistosa, quindi una nuvola di fumo che ha invaso l'ultima carrozza della vettura e una situazione di panico diffusa tra i passeggeri;
il fatto, vissuto personalmente insieme ad altri colleghi, è accaduto nei pressi di Ceccano, in provincia di Frosinone, intorno alle 17.30 circa. Il treno è rimasto fermo a lungo, per oltre due ore, nelle campagne circostanti e isolate dal centro abitato. Il fumo diffuso ha prodotto un'atmosfera pesante e maleodorante, costringendo, nell'attesa forzata, alcuni passeggeri a rompere i vetri e altri a scendere dalla vettura e a sostare sui binari. Il tutto in condizioni di sicurezza altamente rischiose, anche in considerazione del transito di altri treni avvenuto durante l'attesa. Nel frattempo le risorse di acqua a disposizione sono terminate;
un'agenzia di stampa delle 18.13 lanciata dall'Ansa ha riferito della partenza del treno, prevista nel tempo di alcuni minuti, previo trasferimento dei passeggeri nelle altre vetture e isolamento di quella invasa dal fumo;
invece, dopo ancora un'ora la situazione non era affatto migliorata. Invero, un'agenzia di stampa, sempre di fonte Ansa, delle 19.23, ha riportato l'intenzione, tardiva, di Ferrovie dello Stato di sostituire l'intero treno con un altro per garantire maggiori livelli di sicurezza ai viaggiatori. A seguito di questo, il nuovo treno sarebbe ripartito per Lecce con un ritardo di oltre due ore sull'orario di marcia previsto;
i tempi di attesa appaiono sproporzionati rispetto a quanto accaduto e fanno ragionevolmente credere che l'azienda versi in condizioni di mancanza di risorse umane e/o strumentali dinanzi ad eventi straordinari e urgenti -:
quali iniziative intenda promuovere nei confronti di Trenitalia, affinché l'azienda nelle sue scelte future provveda a svolgere in modo soddisfacente, nei tempi e nelle modalità, la propria missione industriale concernente la circolazione dei treni, la puntualità e qualità del servizio, la sicurezza d'esercizio, migliorando la performance delle vetture;
quali iniziative il Ministro interrogato ritenga tempestivamente di assumere, per il tramite della società Trenitalia, al fine di assicurare l'adozione di tutte le misure necessarie per risolvere disagi simili a quelli rappresentati in premessa, evitare che si ripeta l'accaduto e fare in modo che in situazioni analoghe sia fornita alle persone a bordo tempestiva assistenza e informazione.
(5-03606)

...

INTERNO

Interpellanza:

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere - premesso che:
i gravissimi incidenti provocati nello stadio Luigi Ferraris di Genova da ultras nazionalisti serbi, compresi elementi pregiudicati, in occasione dell'incontro di calcio Italia-Serbia ha suscitato vivo sgomento nella opinione pubblica;
gruppi di vandali hanno operato indisturbati nella città di Genova provocando

la rottura di vetrine, il danneggiamento delle auto, atteggiamenti minacciosi verso i passanti, nonché, all'interno dello stadio, danni alle strutture senza alcuna valida ed efficace reazione da parte degli organi preposti alla sicurezza;
le forze di polizia impegnate sono apparse inadeguate rispetto alla gravità della situazione;
secondo notizie di stampa, i nazionalisti serbi sono entrati dall'Austria, hanno comprato i razzi nei negozi di Genova, sono entrati allo stadio dopo perquisizioni «ridicole», mentre sono stati perquisiti i bambini e sequestrate le magliette degli stessi -:
se non vi sia stata una sottovalutazione dell'evento sia rispetto alla conoscenza del fenomeno del nazionalismo serbo che aveva provocato disordini nella città di Belgrado in occasione del gay pride sia rispetto ai fax pervenuti da Belgrado che annunciavano l'arrivo di soli 97 tifosi;
se non vi sia stata una sottovalutazione nell'impiego dei reparti di pubblica sicurezza in 400 unità, anche in considerazione del tardivo invio di 300 uomini dei reparti mobili giunti dalla città di Roma a supporto della questura di Genova;
quali siano le ragioni per le quali non siano stati utilizzati reparti da città più vicine a Genova in grado di meglio assicurare la funzionalità operativa fin dall'arrivo dei tifosi serbi;
quali siano le ragioni per le quali non siano stati operati gli indispensabili filtraggi, individuando la identità dei passeggeri, e non sono stati sequestrati oggetti contundenti, cesoie, spranghe, martelli, bombe carta, fumogeni immessi nello stadio;
di chi sia la responsabilità di così gravi carenze informative non solo nelle frontiere, ma anche nella città di Genova;
come sia considerato l'operato della questura di Genova rispetto all'azione preventiva fuori e dentro lo stadio nelle ore precedenti l'incontro di calcio;
come siano da considerare le affermazioni del portavoce dell'Osservatorio del Viminale sulle manifestazioni sportive Roberto Massucci per il quale «È chiaro che sabato e domenica terremo ancora di più gli stadi sotto controllo» che sembrerebbero una conferma del completo fallimento della tessera del tifoso e la inadeguata valutazione e distinzione tra evento internazionale e gare nazionali;
se risulti altresì al vero che dalla questura sia arrivato l'ordine di evitare scontri di piazza e di «evitare arresti a tutti i costi»;
quali iniziative intenda assumere per accertare ogni tipo di responsabilità nella gestione dell'evento, che rappresenta una pagina negativa per lo sport oltre che una brutta figura a livello internazionale;
quale sia lo stato degli accordi tra Italia e Serbia in ordine allo scambio di informazioni sulle persone che si muovono tra i due Paesi e se intenda intervenire per modificare l'attuale situazione alla luce di così gravi episodi.
(2-00856)
«Ruvolo, Drago, Romano, Mannino, Pisacane».

Interrogazione a risposta in Commissione:

META, ARGENTIN, MORASSUT, POMPILI e CARELLA. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
nella giornata di venerdì 8 ottobre 2010 si sono dati appuntamento presso la sede della presidenza della regione Lazio, in via Cristoforo Colombo a Roma, alcune decine di persone per manifestare, in modo assolutamente pacifico e previa comunicazione alla questura di Roma, contro la chiusura di 41 ospedali prevista dal piano regionale del commissario alla sanità del Lazio, Renata Polverini;
alla manifestazione erano presenti molti sindaci della provincia di Roma e alcuni rappresentanti di quella di Rieti e

Latina che avevano più volte sollecitato la richiesta di un incontro con la presidente Polverini;
durante l'attesa, del tutto pacifica, davanti all'ingresso principale della presidenza della giunta, si è schierato un plotone di carabinieri del reparto mobile in tenuta antisommossa, chiamato ad intervenire dalla presidenza della regione Lazio, a formare un cordone che impediva l'ingresso alle scale per accedere al piano superiore dove si trovano gli uffici del gabinetto del presidente della regione Lazio;
gli amministratori non hanno fatto mancare il disappunto per l'accoglienza loro riservata in quanto, nonostante la loro presenza in quella sede fosse nelle vesti istituzionali di rappresentanti delle comunità interessate al taglio dei presidi sanitari, erano trattati alla pari di facinorosi;
successivamente ad una lunga attesa nell'androne del palazzo, alcuni sindaci hanno provato a rivolgersi di persona agli uffici del gabinetto del sindaco, ricevendo a quanto pare in cambio spintoni e un allontanamento da parte dei carabinieri schierati in cordone nell'ingresso;
solo in quel momento è giunto un membro della segreteria della presidente Polverini, al fine di rassicurare i sindaci che sarebbero stati contattati entro la serata per avere l'incontro sperato;
avendo ottenuto l'impegno di essere ricevuti della presidente Polverini, i sindaci si sono recati all'esterno del palazzo e, nell'imbarazzo generale, sono stati fermati e identificati dalle forze dell'ordine -:
se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti;
in base a quali considerazioni di ordine pubblico siano state fatte intervenire le forze dell'ordine chiamate dalla presidente della regione Lazio nei confronti di sindaci e amministratori che pacificamente stavano chiedendo un incontro, più volte negato, sul piano sanitario regionale che allarma non poco le comunità interessate dal riordino dei presidi sanitari con il rischio che 500.000 cittadini siano privati dell'assistenza di primo soccorso, apparendo agli interroganti del tutto sproporzionato l'intervento dei reparti mobili in situazioni di questo tipo dove rappresentanti delle istituzioni, eletti dal popolo e amministratori svolgono il mandato loro conferito dai cittadini, richiedendo sedi di confronto con altri livelli istituzionali in maniera del tutto adeguata alla collaborazione tra gli enti del sistema locale.
(5-03610)

Interrogazioni a risposta scritta:

GARAGNANI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
in riferimento agli autovelox e ai controlli di velocità sulle strade, l'interrogante rileva la necessità che sul territorio nazionale, da parte delle prefetture, siano attivate le operazioni di monitoraggio atte a controllare che l'operato delle autorità preposte, anche a livello locale, sia volto esclusivamente alla prevenzione di incidenti stradali e non al mero introito di risorse con modalità che appaiono di dubbia legittimità;
il monitoraggio andrebbe svolto anche in riferimento alla distanza che deve intercorrere tra i vari autovelox, agli appositi cartelli che devono essere collocati in posizione visibile ed alle postazioni fisse che debbono rispettare determinati criteri di sicurezza e di garanzia -:
se disponga di dati riepilogativi sul fenomeno, anche in relazione all'operato dei comuni e delle province, con particolare riferimento alle somme introitate per le finalità previste dalla legge;
se le conferenze tra prefetti e sindaci annunciate abbiano avuto effettivamente luogo.
(4-09045)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa ANSA in data 11 ottobre 2010, nel Centro di prima accoglienza di Elmas, alle porte di Cagliari, sarebbero scoppiati violenti disordini;
nel caso di specie un centinaio di extracomunitari si sarebbero riversati in massa sulla pista dello scalo aereo cagliaritano, rendendo necessario il blitz delle forze dell'ordine;
si tratta della terza rivolta negli ultimi undici giorni. Nell'occasione gli stranieri hanno messo a soqquadro la struttura, riuscendo anche a prenderne il controllo per un paio d'ore. Alcuni dei rivoltosi sono fuggiti dal centro raggiungendo la vicina pista dell'aeroporto civile «Mario Mameli», tanto che lo scalo è stato chiuso per motivi di sicurezza fino a quando le forze di polizia hanno fatto irruzione nel centro;
in precedenza, decine di agenti della Polaria, supportati da altro personale mandato dalla questura di Cagliari, hanno effettuato un rastrellamento della pista e di tutta l'area adiacente. Alla fine, tutti gli immigrati fuggiti sono stati rintracciati;
non è la prima protesta nel Centro di prima accoglienza di Elmas. Il primo ottobre 2010 alcune decine di ospiti avevano appiccato un incendio a materassi, cuscini e arredi al secondo piano dell'edificio, dove si trovavano circa 40 persone, dopo aver manomesso le telecamere di videosorveglianza. Quattro giorni dopo la scena si era ripetuta al primo piano. All'origine delle due rivolte, il tentativo di impedire il trasferimento di alcuni ospiti ad un altro centro. Nei giorni scorsi, dopo nuovi sbarchi dal nord Africa, il numero delle presenze nel Centro di Elmas è salito a un centinaio di unità -:
se intenda avviare un'ispezione ministeriale all'interno del Centro di identificazione ed espulsione di Elmas;
quale sia l'esatta dinamica di questo episodio e dei due che lo hanno preceduto e se sugli stessi intenda aprire una rigorosa inchiesta;
se non si reputi opportuno intervenire urgentemente al fine di migliorare le condizioni degli immigrati ristretti all'interno del centro.
(4-09048)

PIFFARI e CIMADORO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
nel 2009 il Governo ha avviato un percorso di sanatoria per lavoratori e lavoratrici extracomunitari che favorisse la regolarizzazione della loro posizione di immigrato e lavoratore, portando alla luce rapporti di lavoro con datori di lavoro italiani;
la sanatoria, rivolta per lo più ad una determinata categoria di lavoratrici e per questo nota come «sanatoria colf e badanti», avrebbe dovuto regolarizzare centinaia di migliaia di posizioni individuali con conseguenti notevoli introiti a favore delle casse dello Stato;
basti pensare che la presentazione della domanda di sanatoria doveva essere accompagnata non solo da una dichiarazione del datore di lavoro ma anche da un versamento forfettario di 500 euro, contestuale al pagamento di una somma pari a un anno di regolari contributi da lavoro;
tra i principali elementi ostativi o causa di rigetto alla richiesta di regolarizzazione, vanno ricordati l'essere stato destinatario di provvedimenti di espulsione diversi dal mancato rinnovo del permesso di soggiorno, l'essere stato destinatario di segnalazioni di non ammissione sul territorio italiano, destinatario di denunce per uno dei reati di cui agli articoli 380 e 381 del codice di procedure penale per i quali si preveda la pena detentiva, l'essere stato destinatario di una misura di prevenzione o costituire una minaccia per la sicurezza nazionale;
tra questi elementi per la regolarizzazione, non viene fatto nessun richiamo

specifico alla legge sull'immigrazione Bossi-Fini e al reato di clandestinità, che non dipende dall'aver commesso atti criminosi ma dal non essere in possesso di regolare permesso di soggiorno;
la succitata legge, inoltre, all'articolo 14, individua come unico reato passibile di arresto «la mancata ottemperanza di un provvedimento di espulsione»;
come riportato da un articolo di la Repubblica.it, il Ministero dell'interno, seppure attraverso vie informali, come una mail del 23 settembre 2010 indirizzata a Confartigianato di Rimini che poneva formalmente tale quesito, pare avesse dichiarato «idonee all'istruzione» le domande provenienti da soggetti in tale posizione;
in data 28 settembre 2010 si è appresa la notizia dell'allestimento di un presidio permanente di immigrati in via Lupi di Toscana, davanti all'ufficio unico della prefettura di Brescia;
nonostante l'intervento delle forze dell'ordine e lo sgombero del 29 settembre 2010, in data 7 ottobre 2010 il presidio è stato rafforzato con l'arrivo di due prefabbricati, accompagnati da una campagna straordinaria di sottoscrizione di contributi per sostenere i relativi costi di noleggio;
la protesta degli immigrati è stata avviata contro le sentenza con cui il Tribunale amministrativo regionale di Brescia ha respinto i ricorsi presentati a causa dell'esclusione dalla sanatoria;
da quanto appreso dal sito ufficiale dell'associazione «Diritti per tutti» di Brescia, a livello nazionale, su 300 mila richieste, 170 mila hanno ottenuto risposta, 130 restano inevase e 20 mila sono state rigettate. Nella sola provincia lombarda, secondo i dati forniti dalla prefettura, su 11.200 domande di regolarizzazione, le risposte sono state 7000, 4000 le domande che attendono risposta e 1000 sarebbero state rigettate a causa del reato di «clandestinità» -:
cosa intenda fare il Ministro interrogato per risolvere tale controversa situazione, che penalizza ingiustamente migliaia di lavoratori immigrati, e se non ritenga opportuno assumere iniziative urgenti per ripristinare al più presto la certezza del diritto nei confronti di queste persone, uniformando, attraverso disposizioni chiare e dettagliate, i criteri d'interpretazione delle norme relative alla valutazione delle richieste di regolarizzazione.
(4-09049)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il giorno 8 ottobre 2010 il giornalista Gianni Lannes si è rivolto al questore di Foggia, dottoressa Maria Rosaria Maiorino, per segnalare che in mattinata, alle ore 8,30, qualcuno ha suonato insistentemente al video citofono della sua abitazione;
dal video citofono era ben visibile il viso di una persona sui trent'anni con barba incolta ed accento non spiccatamente del luogo, il quale gli ha chiesto di scendere a ritirare la posta. Accanto a questo soggetto si intravedeva la schiena di un altro individuo;
per via dell'orario insolito e dell'insistenza della richiesta Gianni Lannes non ha aperto ed ha telefonato all'assistente di polizia Francesco Gitto, mettendolo al corrente dell'accaduto. Dopodiché ha telefonato al 112. I carabinieri della locale stazione sono sopraggiunti poco dopo e a loro ha spiegato l'accaduto;
i due sottufficiali hanno controllato la cassetta della posta, ma non vi era nulla;
il fatto è accaduto in una giornata in cui nel pomeriggio il giornalista teneva una conferenza a Grottaglie (Taranto) sul tema «sanità ed ecomafie» e l'indomani,

sabato 9 ottobre 2010 partecipava ad una manifestazione pubblica in Basilicata (Tricarico) contro un inceneritore di rifiuti. Attualmente sta ultimando un'inchiesta sulle cosiddette «navi dei veleni», nonché sulla strage di Ustica, in quest'ultimo caso ha fornito indicazioni utili ai due magistrati della procura della Repubblica di Roma che hanno riaperto il caso;
infine, si occupava fattivamente di ecomafie;
Gianni Lannes, è un giornalista che ha subito tre attentati: 2 luglio 2009 quando è saltata in aria l'auto della moglie; 21 luglio 2009 quando ignoti hanno sabotato i freni della sua auto; 5 novembre quando ignoti hanno bruciato la sua auto. Le intimidazioni e le minacce si sono estese anche ai suoi collaboratori, dal 25 giugno 2009 a tutt'oggi. In particolare a maggio ignoti hanno sottratto un computer e minacciato telefonicamente alle 6 del mattino la moglie di Lannes;
dal 22 dicembre 2009 ha ottenuto la scorta della Polizia quale forma di protezione;
la scorta assegnatagli non appare agli interroganti adeguata: la questura di Foggia ha messo a disposizione un solo agente per turno, che funge da autista e guardia del corpo;
consta agli interroganti che nel corso dell'estate è cambiato il questore e a settembre sarebbe stato comunicato a Gianni Lannes, a voce dall'assistente capo di pubblica sicurezza tale Lioce, che per disposizione del capo della digos la moglie e il figlio non potranno più viaggiare con lui sulla macchina di scorta;
tale misura, appare agli interroganti, come un ingiustificato aggravamento della libertà e della condizione di vita di Lannes e della sua famiglia -:
se e di quali informazioni disponga il Ministero in merito agli attentati e alle intimidazioni anche recenti subite dal giornalista;
quali ulteriori misure si intendano adottare a tutela dell'incolumità di Gianni Lannes e della sua famiglia senza che queste si traducano in ulteriori forme di restrizione della libertà del giornalista e della sua famiglia;
in particolare, se pertanto non si ritenga di revocare il diniego per moglie e figlio di poter accompagnare il giornalista in alcune trasferte per rafforzare in altro modo la loro protezione.
(4-09050)

CATANOSO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
dal 2 ottobre 2010 il comando provinciale dei Vigili del fuoco di Catania si ritrova senza dirigente superiore in quanto l'ingegner Alessandro Carraresi è stato collocato in quiescenza per raggiunti limiti di età;
in base all'importanza della sede, nel novero dei 100 comandi, alla direzione di Catania spetta un dirigente d'esperienza, non un primo dirigente;
nell'attesa della nomina del nuovo comandante provinciale, le funzioni di vicario vengono svolte da un direttore vice dirigente che, seppur consapevole del gravoso onere, sta tentando di coordinare e gestire al meglio le tematiche che caratterizzano una sede importante come quella di Catania;
le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative aderenti alla Confsal, Cgil, Cisl, Uil e Conapo hanno scritto al capo dipartimento dei Vigili del fuoco, prefetto Francesco Paolo Tronca, per sollecitarne la nomina;
sempre le stesse organizzazioni sindacali rappresentative, con il solito spirito di collaborazione, stanno supportando il comando e collaborando il facente funzioni, ma la nomina del dirigente titolare è diventata condizione prioritaria non più procrastinabile e l'amministrazione e la cittadinanza catanese non può permettersi ulteriori indugi;

il comando di Catania detiene, suo malgrado, una condizione diversa rispetto agli altri comandi che sono in attesa della nomina di un nuovo dirigente e tale condizione è stata acclarata dalla recente disposizione ministeriale che ha determinato la sola nomina dei vice comandanti quali vicari dei 4 comandi che si trovavano senza dirigente, mentre la nomina di quello di Catania non è stata effettuata, poiché Catania è diretta da un dirigente superiore e non da un primo dirigente;
inoltre, l'atipicità della sede è caratterizzata oltre che dalla quiescienza del comandante, anche dalla recente promozione del suo vice comandante a dirigente nell'occasione dell'ultimo scrutinio a dirigenti e lo stesso, promosso primo dirigente, è attualmente impegnato a sostenere il corso di formazione all'ISA;
il comando di Catania, suo malgrado, si è ritrovato quasi in contemporanea a non avere più il vertice e proprio in conseguenza di questa peculiarità in aggiunta alla caratteristica del Comando di rilevante importanza, ha bisogno con urgenza del nuovo dirigente -:
quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato per risolvere le problematiche esposte in premessa.
(4-09052)

OSVALDO NAPOLI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
da qualche tempo è invalsa l'abitudine, da parte di molti sindaci italiani, di partecipare a manifestazioni e marce di protesta indossando la fascia tricolore;
si è potuto assistere a questo uso improprio della fascia, diventato ormai una prassi, durante le varie manifestazioni NO-TAV in Valsusa, dove i sindaci di molti comuni la indossano per sfilare e i vigili urbani in divisa portano i gonfaloni rappresentativi della città;
i sindaci sono i rappresentanti della Nazione a livello locale e ricevono, in virtù di questa loro rappresentanza, la fascia tricolore che è il simbolo dell'istituzione e dei valori nazionali che essa rappresenta. Per questo essa non può essere utilizzata per imporre delle idee private e per fare opposizione ad altre istituzioni nazionali;
tale utilizzo appare all'interrogante fuori luogo e lesivo delle istituzioni -:
se il Ministro interrogato non ritenga di ribadire la necessità di applicare correttamente le disposizioni che regolano l'impiego della fascia tricolore, indicando quando essa va utilizzata e quando ne è proibito l'uso, visto l'alto valore simbolico che essa rappresenta per la Nazione e i cittadini.
(4-09058)

TESTO AGGIORNATO AL 23 FEBBRAIO 2011

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ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta orale:

MELIS, PES e FARINA COSCIONI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
il decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca del 3 luglio 2009, «definizione del numero dei posti destinati alle immatricolazioni ai corsi di laurea specialistica magistrale in medicina-veterinaria anno accademico 2009-2010» prevede (articolo 1, comma 1) che «limitatamente all'anno accademico magistrale 2009-2010, il numero di posti disponibili a livello nazionale per le immatricolazioni ai corsi di laurea specialistica/ magistrale in medicina veterinari è determinato in n. 1.160»;
la tabella allegata a detto decreto fissa in soli 26 i posti disponibili per la facoltà di medicina veterinaria dell'Università di Sassari (erano 43 nei due anni precedenti, 85 all'inizio del Duemila);
tale numero riduce notevolmente (-39,53 per cento i posti disponibili in detta facoltà, a fronte di una domanda

crescente che trova alimento costante nelle caratteristiche del territorio, stante la spiccata vocazione della Sardegna per le attività agro-pastorali e l'entità del patrimonio, in particolare ovino, bovino ed equino di detta regione;
viceversa il numero dei veterinari ritenuti necessari in base all'accordo tra lo stato e la Regione sarda attualmente in vigore è di 45 (cifra determinata sulla base delle richieste dell'Assessorato alla Sanità della Regione);
la facoltà di medicina veterinaria di Sassari, istituita come istituto superiore nel 1928, facoltà dal 1934, oltre ad una brillante tradizione di ricerche e di studi di elevata qualità, ciò che l'ha da tempo segnalata anche nel contesto nazionale, essendo l'unica facoltà di veterinaria dell'isola, è frequentata da studenti provenienti da tutte le province sarde (e non solo), svolgendo dunque un ruolo di servizio verso tutta la regione;
d'altra parte già nel 2004 detta facoltà aveva spontaneamente ridotto le matricole da 80 a 50; ma in quest'ultima occasione - come risulta dalle dichiarazioni del suo preside - la facoltà non è stata in nessun modo, come pure sarebbe stato se non doveroso almeno opportuno, preventivamente consultata dal Ministero su quali fossero le reali esigenze formative e didattiche;
sulla base dell'impegno documentato della Regione sarda e degli enti locali sono in via di realizzazione in Sardegna le strutture necessarie per far ottenere alla facoltà l'accreditamento europeo, ciò che naturalmente accrescerà notevolmente le sue potenzialità di azione;
comunque, a testimonianza del livello degli studi, nell'ultima classifica Censis la facoltà veterinaria di Sassari è al quinto posto in Italia, precedendo altre facoltà già accreditate dall'Unione europea; si aggiunga che la facoltà rappresenta un importante punto di riferimento per la medicina pubblica e per i veterinari liberi privati della Sardegna;
sono in atto a Sassari e in provincia vivaci manifestazioni studentesche volte a contestare la tabella. La stessa Università di Sassari, gli ordini veterinari e la città nel suo insieme aderiscono pienamente ai suoi massimi livelli alla protesta, chiedendo la revisione della tabella -:
quale risposta intenda dare il Ministro alla richiesta della Ateneo sassarese, della facoltà di medicina veterinaria e degli studenti e se non ritenga opportuno, considerata l'eccezionale condizione della Sardegna e le sue specifiche esigenze, legate alle forme peculiari della sua economia, nonché la rilevanza degli studi medico-veterinari nell'isola, porre mano ad una revisione della tabella accrescendo il numero dei posti destinati a Sassari.
(3-01284)

Interrogazione a risposta in Commissione:

SIRAGUSA, LEVI e DE PASQUALE. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
le modifiche normative in tema di adozione di libri testo introdotte con la circolare ministeriale n. 16 del 10 febbraio 2009 - che recepisce i cambiamenti introdotti dall'articolo 5 del decreto-legge n. 137 del 2008 - hanno prodotto, nel corso della campagna scolastica appena conclusasi, una serie di comportamenti che appaiono lesivi delle corrette dinamiche di mercato nell'ambito dell'editoria scolastica ed in particolare, in quello della promozione commerciale volta all'adozione dei libri di testo;
il blocco delle adozioni introdotto dal decreto-legge n. 137 del 2008 (si impone, infatti, alle scuole di mantenere gli stessi libri di testo per cinque anni nella scuola primaria e per sei anni nella scuola secondaria), oltre ad essere in contrasto, ad avviso degli interroganti, con l'autonomia scolastica, rischia di favorire l'instaurazione da parte di alcune case editrici, per il tramite dei loro agenti, di pratiche di incentivo nei rapporti con i docenti e con

i dirigenti scolastici, che mettono in pericolo il principio di autonomia degli insegnanti nell'adozione dei libri di testo e finiscono per generare di fatto posizioni di rendita (per chi ottiene l'adozione) e di esclusione (per chi ne rimane fuori) che assumono un rilievo economico importante: vi è il concreto pericolo, infatti, del determinarsi di fatto di un oligopolio del mercato scolastico con il rischio di scomparsa per «asfissia» degli editori indipendenti;
inoltre, stante il quadro normativo di cui sopra e tenuto conto che il mercato potenziale di riferimento procede in media ogni anno ad un ricambio dell'adottato in misura pari a circa il 25-30 per cento del totale, tasso di cambiamento notevolmente accelerato a seguito della introduzione dei nuovi programmi di studio, è di tutta evidenza che, nell'arco di tre o quattro anni al massimo, il ciclo di rinnovamento dell'adottato inevitabilmente giunge al termine;
a questo punto chi sarà dentro al mercato avrà la possibilità di recuperare i costi di investimento e di mantenere vivo il legame con le scuole, alimentando il rapporto con tutta una serie di «servizi» legati, ad esempio, alle nuove tecnologie digitali connesse all'uso delle L.I.M (lavagne interattive multimediali); viceversa, chi non ha avuto la possibilità di restare sul mercato, non solo non potrà rientrare degli investimenti effettuati ma avrà enormi difficoltà a mantenere aperti i canali con le scuole;
in forza delle suesposte ragioni nelle scuole si assiste a forme di pressione da parte delle reti commerciali che fanno capo soprattutto ad alcuni grossi gruppi editoriali, che pur di entrare e rimanere sul mercato, in cambio dell'adozione dei loro testi, offrono alle scuole in forma di comodato d'uso le L.I.M piuttosto che notebook o altro, con ciò ponendo in essere pratiche che a giudizio degli interroganti contrastano non solo con i più elementari precetti che regolano la corretta concorrenza commerciale, ma anche con le norme che dovrebbero presiedere all'adozione dei libri di testo;
tale situazione è stata denunciata dall'ANARPE (Associazione nazionale agenti e rappresentanti editoriali) in due diverse e successive circolari indirizzate ai dirigenti scolastici e ai propri associati;
stando così le cose, la normativa introdotta con il decreto-legge n. 137 del 2008, lungi dall'abbassare i costi per le famiglie, favorisce di fatto, secondo gli interroganti, pratiche non conformi ai princìpi della libera concorrenza e della libertà di insegnamento -:
se il Ministro sia a conoscenza di tale situazione e se non ritenga, anche alla luce di quanto sopra argomentato, di assumere iniziative normative urgenti volte a modificare il decreto-legge n. 137 del 2008, che, ad avviso degli interroganti, ha arrecato scarsi benefici alle famiglie, in modo da tutelare la libertà di insegnamento, demandando nel contempo ai docenti la responsabilità che le loro scelte non gravino sui già tormentati bilanci familiari.
(5-03607)

Interrogazione a risposta scritta:

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
con interrogazione parlamentare a risposta scritta n. 4-08869 in data 4 ottobre 2010, diretta al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, la prima firmataria del presente atto denunziava il fenomeno della preoccupante riduzione degli organici della scuola, con particolare riferimento al sostegno agli studenti diversamente abili;
la predetta interrogazione prendeva spunto da una accorata lettera/appello indirizzata dalla signora Anna De Castiglione al Corriere della Sera;

in relazione ai fatti riportati nel precedente atto di sindacato ispettivo, la prima firmataria del presente atto è venuta a conoscenza delle seguenti ulteriori circostanze;
prima di arrivare all'istituto scolastico ITSOS Albe Steiner, la signora Anna de Castiglione si è rivolta a diverse altre scuole (Agnesi, Tenca e Virgilio, solo per citarne alcune). Ovunque, non potendo per legge rifiutare l'iscrizione, i dirigenti scolastici sollecitavano la richiedente, senza tanti giri di parole, a rivolgersi altrove con espressioni del tipo: «le assicuro che suo figlio non si troverà bene»; «non pensiamo che suo figlio sia in grado di seguire i nostri programmi»; «se vuole lo accettiamo, ma non abbiamo nemmeno le infrastrutture»;
all'ITSOS, nel 2010, il rapporto cattedre di sostegno/alunni disabili è drasticamente diminuito (è stata concessa una nuova cattedra a fronte di sei nuovi alunni disabili). Nel caso del figlio della signora De Castiglione, tetraplegico, le ore di sostegno sono quindi passate da 18 settimanali a 9;
risulta alla prima firmataria del presente atto che alla signora De Castiglione, come a molti altri genitori, proprio l'ufficio integrazione alunni diversamente abili abbia suggerito di rivolgersi al tribunale amministrativo regionale per vedere riconosciuti i propri diritti; tanto è vero che negli ultimi anni il numero di ricorsi, non a caso, è andato aumentando in modo vertiginoso, con una percentuale di soccombenza per la pubblica amministrazione che tocca punte dell'80 per cento;
i fondi stanziati per l'assistenza agli alunni disabili dall'ufficio diritto allo studio all'ITSOS continuano a non coprire le spese effettivamente sostenute. Lo «scoperto» registrato nell'anno 2009 si sommerà a quello del 2010 rendendo così necessario, ancora un volta, l'utilizzo di fondi destinati alla didattica;
la messa in discussione dell'integrazione scolastica dei disabili, in particolare gravi e psichici, rischia di creare nuovo disagio sociale scaricando tutti i limiti delle istituzioni sulle spalle delle famiglie già fortemente provate -:
quanti siano i ricorsi promossi in sede amministrativa dai genitori di allievi diversamente abili e in quanti di essi la pubblica amministrazione sia risultata soccombente;
quali finanziamenti intenda erogare per salvaguardare il diritto all'assistenza agli alunni disabili che devono trovare nella scuola la reale opportunità di istruzione e di crescita personale.
(4-09060)

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LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta scritta:

DI PIETRO, PALADINI e PORCINO. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
il Corriere della Sera del 6 ottobre 2010, nelle pagine dell'economia, ha riportato che il presidente dell'INPS, Antonio Mastrapasqua, durante un convegno, ha dichiarato che non sarà possibile per i lavoratori parasubordinati - ovvero coloro che hanno un contratto a progetto, co.co.co., di prestazione occasionale, o che hanno partita Iva - simulare sul sito dell'INPS la loro pensione, aggiungendo «con una battuta che però nasconde un fondo di verità, "se dovessimo dare la simulazione della pensione ai parasubordinati rischieremmo un sommovimento sociale"»;
la simulazione sul sito dell'INPS della pensione è invece possibile per i lavoratori subordinati;
il sito de La Repubblica (http://miojob.repubblica.it/notizie-e-servizi/notizie/dettaglio/l-inps-e-le-pensioni-dei-precari-in-rete-scoppiata-la-protesta/3853676) riporta invece che: «Sui blog e sui siti il tam-tam di

protesta ha impiegato un attimo a prendere forma. Tanto che molti siti hanno ripubblicato la stessa notizia esprimendo rabbia, irrequietezza e stupore. Agoravox riprende un pezzo scritto da www.mazzetta.splinder.com: "i precari, tenuti all'oscuro o troppo occupati a sopravvivere, difficilmente noteranno la dichiarazione di Mastrapasqua al Corriere della Sera e i media sembrano proprio intenzionati a non rovinare loro la sorpresa. Proprio una bella sorpresa". Lo stesso fa Contintasca, del circuito Blogosfere, che scrive: "l'unico sistema che l'Inps ha trovato per affrontare l'amara verità, è stato quello di nascondere ai lavoratori che nel loro futuro la pensione non ci sarà, sperando che se ne accorgano il più tardi possibile e che facciano meno casino possibile"»;
nel corso della trasmissione televisiva «Uno mattina» del 15 ottobre 2010, il presidente Mastrapasqua ha inoltre dichiarato che il sistema pensionistico su base contributiva, a differenza del sistema su base retributiva, richiede, specie ai più giovani, che ci si doti di una pensione integrativa attraverso versamenti volontari che andrebbero ad aggiungersi a quelli obbligatori;
i lavoratori parasubordinati versano i loro contributi previdenziali obbligatori alla gestione separata Inps, istituita con la legge n. 335 del 1995 (articolo 2, comma 26);
la situazione delle forme di collaborazione coordinata e continuativa e delle partire IVA è tale che oggi la maggior parte di esse non riesce ad avere una continuità lavorativa per 12 mesi l'anno e questo determina che non tutti i mesi vengano versati alla gestione separati contributi previdenziali. A maggior ragione - se non si lavora tutti i mesi e se quando si lavora in media si arriva difficilmente a guadagnare 1.000 euro al mese - è insostenibile che questi lavoratori possano disporre delle risorse economiche necessarie a dotarsi di una pensione complementare;
secondo appositi studi condotti dall'Associazione dei consulenti del terziario avanzato (ACTA) infatti, i lavoratori iscritti alla gestione separata dell'Inps che in questi anni abbiano guadagnato circa 1.000 euro al mese e che per effetto della crisi non abbiano avuto sempre la continuità lavorativa, anche se avessero versato alle casse dell'Inps per 15 o 20 anni il contributo fisso del 27,2 per cento dei propri incassi, non arriverebbero nemmeno ad avere diritto all'assegno di pensione sociale;
la gravità delle affermazioni del presidente dell'Inps è espressione, ad avviso degli interroganti, della superficialità con la quale oggi il Governo ignora il problema di un gran numero dei nostri giovani, sperando che il giorno della loro pensione arrivi il più tardi possibile -:
se il Governo non intenda assumere iniziative volte ad individuare meccanismi di solidarietà e di garanzia che possano portare i trattamenti pensionistici per i lavoratori titolari di contratti atipici e parasubordinati ad un livello non inferiore al 60 per cento della media della retribuzione, al netto della fiscalità.
(4-09057)

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PARI OPPORTUNITÀ

Interrogazione a risposta scritta:

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro per le pari opportunità, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
l'agenzia «Redattore Sociale» il 14 ottobre 2010 ha reso noto che «sempre più persone con sindrome di Down vengono chiamate dall'INPS alle visite di controllo volute per smascherare i »falsi« invalidi e molte di queste, dopo essere state sottoposte a test di valutazione non

idonei e attuati in modi sbrigativo, si vedono evocato il diritto all'indennità di accompagnamento»;
la denuncia cui fa riferimento «Redattore Sociale» è di Coordown il coordinamento delle associazioni di persone con sindrome di Down e loro familiari, che ha inviato una richiesta ufficiale di spiegazioni e chiarimenti all'INPS;
da numerose testimonianze, risulterebbe infatti che «sempre più numerose famiglie», e che le visite avvengono «senza gli idonei test di valutazione, in modo sbrigativo, sommario e lesivo dei diritti delle persone con sindrome di Down»;
alla luce delle segnalazioni raccolte, l'ipotesi adombrata da Coordown che le azioni dell'INPS, e in particolare le linee guida pubblicate ad uno interno dall'INPS con lo scopo di chiarire la natura e i metodi dei controlli, siano tese «più che a individuare i falsi invalidi, a restringere il campo delle persone a cui viene concessa l'indennità, tra le quali in particolar modo, le persone con sindrome di Down, soprattutto adulti, che da tanti anni hanno riconosciuto, legittimamente, questo diritto»;
il coordinamento Coordown denuncia le modalità sommarie con cui avvengono le visite, e ricorda che è evidente che la disabilità intellettiva e il grado di autonomia delle persone con sindrome di Down deve essere valutati in modo approfondito e in base alle scale IADL - Instrumental activities of daily living; la richiesta che viene dunque avanzata è che siano rispettate, e che «i controlli siano eseguiti sulla base delle suddette scale di valutazione», una richiesta estesa anche al Governo, perché agisca per mettere «le famiglie nelle condizioni migliori per poter effettuare i test gratuitamente poiché molti genitori non riescono nemmeno a individuare le strutture sul territorio a cui rivolgersi»;
se quanto sopra esposto e denunciato dall'associazione Coordown corrisponda a verità;
in caso affermativo quali iniziative si intendano promuovere, adottare, sollecitare, a fronte di quanto sopra esposto, e in particolare se non si ritenga di dover accogliere le richieste avanzate dal coordinamento delle associazioni di persone con sindrome di Down e loro familiari.
(4-09059)

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POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:

DI GIUSEPPE, MESSINA e ROTA. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
il mondo agricolo italiano, già fiaccato da elementi di crisi pregressa, è stato colpito gravemente dalla crisi economica internazionale. Fra il 2003 e il 2008, intatti, l'indice generale dei prezzi al consumo, che fornisce l'indicazione dell'inflazione, con riferimento ai prodotti agricoli, ha mostrato una crescita costante, intorno all'1,3 per cento annuo. Al contempo però, i costi medi di produzione non hanno seguito linearmente, ma sono quasi triplicati, segnando una crescita media annua del 3,7 per cento. Tale stato di cose ha determinato una forte contrazione di redditi degli agricoltori, aggravando la loro esposizione verso le banche e gli istituti previdenziali ed innescando una spirale di difficoltà nell'accesso al credito per l'esercizio e per gli investimenti;
secondo dati diffusi dalla Confederazione italiana agricoltori (CIA), dal 2008 i redditi dei produttori hanno subito un taglio del 21 per cento, tra il 2000 e il 2010 hanno chiuso così 500.000 aziende agricole (20.000 solo nel 2010) e, entro il 2013, ne potrebbero chiudere altre 150.000;

sui costi di produzione gravano pesantemente i costi del lavoro, i costi energetici e, specialmente al Sud, la struttura produttiva delle aziende, fatta di piccole imprese, per lo più non organizzate tra loro in associazioni o in filiere di comparto. Non vanno poi dimenticati il problema dell'intermediazione, che fa lievitare i prezzi al consumo, nonché gli effetti della globalizzazione e di un mercato estero sempre più competitivo che minaccia le nostre produzioni;
a fronte delle suddette difficoltà del settore, dall'inizio della XVI legislatura non sono stati approntati ad avviso degli interroganti provvedimenti idonei a trovare soluzioni strutturali. L'ultima manovra finanziaria approvata nel luglio 2010, che traccia le future linee dell'agenda politica di questo Governo, ha anzi fortemente penalizzato il comparto agroalimentare riducendo gli stanziamenti relativi alla missione «agricoltura, politiche agroalimentari e pesca», per un ammontare pari a 3.880.000 euro per il 2011 e 3.746.000 euro per ciascuno degli anni 2012 e 2013. A ciò vanno aggiunti i considerevoli tagli di risorse al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali (anno 2011: 23.274,000 euro - anno 2012: 17.470.000 anno - anno 2013: 17.491.000) e l'abolizione di due strumenti fondamentali per i produttori: il bonus gasolio e lo sgravio dei contributi previdenziali, con una ricaduta sui costi di produzione che la Federagri quantifica in 200 milioni di euro;
il Governo ha promesso da tempo un piano straordinario di interventi per il comparto, richiesto a gran voce anche dalla Commissione politiche agricole della Conferenza Stato-regioni, con un documento sottoscritto da tutti gli assessori regionali all'agricoltura già nel novembre 2009. Le iniziative del Governo in materia di competitività del settore agroalimentare appaiono agli interroganti prive di una forza strutturale di riordino del comparto e rischiano di trasformarsi in un semplice aggravio sui costi di produzione;
dati Eurostat sembrerebbero confermare l'inadeguatezza di politiche strutturali riguardanti il settore, in quanto rilevano che i redditi agricoli reali, in Italia, dal 2000 al 2009, sono diminuiti del 35,8 per cento contro un aumento del 5,3 per cento nei 27 Paesi dell'Unione europea. Questa sostanziale divergenza del nostro Paese viene confermata anche esaminando il dato del solo biennio 2008-2009, in cui si rileva un calo del 20,6 per cento in Italia, contro un calo medio dei redditi reali dell'11,6 per cento;
all'interno di questo quadro generale di crisi che affligge tutto il comparto, merita una particolare attenzione l'agricoltura siciliana, considerando il peso determinante che ricopre non solo per l'economia della regione Sicilia ma per l'intero comparto agricolo italiano. In Sicilia, infatti, l'agricoltura mantiene un peso determinante nell'economia regionale e il comparto agricolo impiega un numero di addetti superiore alla media nazionale. A beneficio complessivo dell'economia nazionale questa peculiarità andrebbe valorizzata: è da considerare, ad esempio, che, come superficie posta a coltura, la Sicilia ha il primato per i cereali, mentre è la prima produttrice di arance, con metà dell'intera produzione nazionale, proveniente per gran parte da due aree altamente specializzate, il palermitano e il catanese-siracusano; detiene inoltre il primato o si colloca ai primissimi posti per la produzione di uva, olive, melanzane, zucchine e ortaggi in genere;
i dati della crisi dell'agricoltura siciliana sono pesanti: gli ettari coltivati dal 1990 ad oggi sono passati da 1,6 a 1,25 milioni di ettari coltivati ed hanno chiuso 184 mila imprese, i redditi derivanti da coltivazione dei cereali sono calati del 38 per cento, mentre hanno registrato un meno 24 per cento quelli da olio, un meno 46 per cento quelli da uva da vino

e un meno 25 per cento quelli relativi all'uva da tavola. Secondo i dati dell'Istituto di servizi per il mercato agricolo e alimentare (ISMEA) il comparto delle arance ha subito un tracollo a causa di un calo dell'export e un aumento vertiginoso del 307,1 per cento delle importazioni (113,194 tonnellate), provenienti principalmente dalla Spagna, dal Sudafrica e dalla Francia. Non si può dimenticare le produzioni di qualità e Igp, come quella dei pomodori pachino che, con la riduzione dei redditi delle famiglie dovuta alla crisi economica congiunturale, hanno sofferto particolarmente per il calo delle vendite, la concorrenza delle importazioni dai Paesi dei Mediterraneo e le contraffazioni. Nel 2009, ad esempio, sono stati venduti direttamente dalla grande distribuzione 22 tonnellate di pomodori provenienti dalla Tunisia e spacciati per siciliani. A fronte di questi dati, ad oggi, sul programma di sviluppo rurale 2007-2013 sono stati effettivamente spesi appena 240,9 milioni di euro e solo 8,7 per cento dei fondi europei;
anche dai dati Istat sui principali aggregati dei conti economici regionali del 2009 emerge che il prodotto interno lordo siciliano per il settore agricolo registra un calo del 4 per cento rispetto all'anno precedente, contro una media nazionale che si ferma a meno 1 per cento. Tale calo non è certo compensato dai deboli segnali di ripresa, di appena uno 0,4 per cento, rilevati dall'Istat sull'andamento tendenziale del prodotto interno lordo nell'ultimo trimestre, segnali che, in ogni caso, andrebbero sostenuti -:
quali misure strutturali si intendano portare avanti per il settore dell'agricoltura e quali iniziative a breve termine si intendano porre in atto per sostenere i pur deboli segnali di ripresa rilevati dall'Istat nel settore ed, in particolare, come si intenda affrontare la pesante crisi dell'agricoltura siciliana che rappresenta una voce importante non solo per l'economia della regione ma per l'intera agricoltura italiana.
(5-03609)

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PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E INNOVAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:

MADIA. - Al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. - Per sapere - premesso che:
in riferimento all'atto di sindacato ispettivo 4-07743, concernente l'assunzione di vincitori ed idonei di un concorso pubblico bandito dall'istituto nazionale di previdenza sociale (INPS) e la richiesta di avviare un monitoraggio al fine di rilevare il numero di vincitori di concorso non assunti nelle amministrazioni dello Stato, il Ministro interrogato rispondeva che trattasi di materia interamente di competenza delle singole amministrazioni e che, stante la normativa generale sul regime delle assunzioni nel pubblico impiego e le risorse disponibili, ciascuna amministrazione è chiamata a «valutare autonomamente le proprie esigenze organizzative, scegliendo , ad esempio, quali graduatorie utilizzare e se procedere all'esaurimento delle stesse, o in alternativa all'indizione di nuovi concorsi pubblici»;
inoltre, risponde il Ministro, proprio a causa dell'autonomia organizzativa delle singole amministrazioni: «ai sensi della normativa vigente, non è possibile quantificare, come richiesto dall'interrogante, il numero di procedure concorsuali avviate dalle pubbliche amministrazioni e non ancora concluse»;
L'interrogante rileva quanto segue:
la prima parte della risposta del ministro è totalmente in contrasto con le sentenze del TAR n. 8743 del 2009, Corte di Cassazione n. 3252 del 2003 e con la legge n. 388 del 2000 che affermano l'inopportunità nel bandire nuovi concorsi in presenza di valide graduatorie di concorsi;

la seconda parte della risposta del Ministro, sull'impossibilità di effettuare un monitoraggio dei concorsi non chiusisi con assunzioni, è totalmente non sostanziata da elementi concreti;
il Ministro ha infatti promosso e realizzato monitoraggi sulla presenza del lavoro flessibile nelle pubbliche amministrazioni, monitoraggi sull'utilizzo delle cosiddette «auto blu», e sembra da notizie di stampa anche monitoraggi atti a rilevare la presenza del lavoro parziale nelle pubbliche amministrazioni;
a giudizio dell'interrogante, non si capisce quali siano gli impedimenti organizzativi e giuridici che ostano alla realizzazione di un monitoraggio sui concorsi se non una scelta meramente politica -:
se il Ministro interrogato non ritenga comunque opportuno esortare le pubbliche amministrazioni al rispetto dei princìpi enunciati nelle sentenze succitate;
se il Ministro non intenda procedere a un'indagine conoscitiva della situazione delle procedure concorsuali non concluse nel settore pubblico, al fine di dare risposte certe, in nome del concetto di trasparenza, ai vincitori di concorsi non assunti.
(4-09071)

TESTO AGGIORNATO AL 16 NOVEMBRE 2010

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SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:

FOLLEGOT e STUCCHI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il gioco d'azzardo non conosce recessione tanto che in questo momento di crisi economica si tenta ancora più la sorte;
nel solo 2009, nella regione Friuli Venezia Giulia, sono stati giocati 814 milioni di euro: questo dato riflette la situazione nazionale dove per lo stesso periodo sono stati spesi ben 54 miliardi di euro di cui lo Stato ne ha incassati oltre 9;
il gioco d'azzardo riguarda tutte le classi sociali e persone di ogni età e genere anche le donne sono ben rappresentate;
il gioco d'azzardo diventa per molti una vera e propria malattia i cui effetti nefasti ricadono per lo più sulla famiglia del giocatore;
è del tutto inopportuna la pubblicità per incentivare il gioco causa di molti drammi familiari;
un aiuto per coloro che hanno dipendenza al gioco viene da associazioni che hanno come obbiettivo il recupero di queste persone -:
quali azioni intenda intraprendere per limitare il numero delle persone dipendenti dal gioco.
(4-09042)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riporta Terra di martedì 12 ottobre 2010, a poche centinaia di metri in linea d'aria da Mantova si trova il polo petrolchimico, costruito nel 1957 sfruttando l'ideale collocazione costituita dalle anse del Mincio. Oggi si presenta come un groviglio di metallo sbuffante, cisterne e stabilimenti, con tutto il suo carico di veleni che nessuno riesce davvero a fermare; questa zona ha un grande valore naturalistico, certificato dall'istituzione delle riserve naturali regionali «Vallazza» e «Valli del Mincio», che costituiscono anche siti di importanza comunitaria (SIC). All'interno di questo territorio si colloca il polo chimico, sito di interesse nazionale per la cui messa in sicurezza e bonifica è stato presentato nel novembre 2007 un accordo di programma da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, curato dalla

Sogesid, la società in house del Ministero, e l'Icram. I risultati delle analisi parlano chiaro: nei suoli del polo chimico-industriale sono presenti moltissimi inquinanti come solventi, idrocarburi, e non solo; le sostanze, di diretta derivazione delle produzioni industriali, di cui si è riscontrato un superamento dei limiti di legge dopo la caratterizzazione ad opera della Sogesid, sono: metalli, benzene, toluene, etilbenzene, cilene, stirene, idrocarburi leggeri e pesanti e diossine. Tuttavia, è nel sottosuolo che il Polo mantovano nasconde il suo lato più inquietante: la contaminazione delle acque. L'inquinamento del suolo, infatti, è stato osservato principalmente in prossimità di aree a cui corrisponde anche un elevato inquinamento delle acque sotterranee. Intanto, sotto al polo chimico «galleggia» un enorme lago di surnatante, un composto di oli, benzine, petrolio. Una bomba ecologica sospesa sulla falda; l'ultima relazione dell'Arpa, datata 6 luglio 2010, ha stimato, solo al di sotto dello stabilimento Ies, «una superficie interessata dalla presenza di surnatante di oltre 200 mila metri quadrati». La rete di pozzi dedicati al recupero, misure attuate per iniziare la messa in sicurezza, il cui procedimento però è appena agli inizi, «riesce a creare un'area di richiamo di circa 52 mila metri quadrati. Circa due terzi dell'area non è attualmente interessata da alcuna attività di recupero». Questo lago venefico potrebbe essere «in realtà più esteso di quanto non appaia dalle semplici misure effettuate»; inoltre, «le concentrazioni delle sostanze inquinanti rimangono costanti nel tempo, a testimonianza quindi del loro continuo rilascio in falda»; di fatto, il surnatante è sotto ad una gran parte dell'intero polo e qualcuno continua a produrre inquinamento ancora oggi: tuttavia, risalire alle responsabilità sarà difficile perché le varie aziende hanno spesso cambiato ragione sociale, ed è praticamente impossibile stabilire chi, quanto e quando abbia inquinato;
«Se queste sostanze arrivassero nel Mincio sarebbe un disastro», conferma l'assessore comunale ai lavori pubblici di Mantova, Giampaolo Benedini. I tecnici confermano che gli inquinanti sotterranei sono ormai a pochi metri dall'acqua del lago, già contaminato di mercurio. Intanto, sei mesi fa la raffineria Ies ha avuto l'autorizzazione ad aumentare il quantitativo di petrolio da raffinare. Il progetto di potenziamento ha avuto 115 prescrizioni dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dagli enti locali;
il medico di base Laura Costani, nei primi anni '90, si era accorta di una frequenza molto alta di tumori di vario genere tra i suoi assistiti. In particolare, fu colpita da alcuni casi di neoplasia piuttosto rara: il sarcoma dei tessuti molli. Una forma di tumore che colpisce i tessuti di
sostegno dei vari organi;
la conferma della gravita della situazione arriva anche da Paolo Ricci, epidemiologo dell'Asl di Mantova, che da anni tiene sottocontrollo il territorio. Insieme a colleghi e a istituti internazionali come lo Iarc, ha pubblicato degli studi che non lasciano dubbi: «Per chi è stato residente nel raggio di 2 chilometri dal petrolchimico tra il 1960 ed il 1990 la probabilità di ammalarsi di sarcoma dei tessuti molli è oltre 30 volte più elevata di chi ha abitato nel centro città»;
un successivo importante studio di approfondimento ha evidenziato in un campione statistico di popolazione mantovana che la concentrazione di diossine nel sangue dei residenti aumenta con l'avvicinarsi delle abitazioni all'inceneritore del polo chimico. Le diossine sono una delle principali cause del sarcoma dei tessuti molli. Il rischio di morire di tumore maligno, in particolare il linfoma NH, era stato calcolato fino ad 8 volte superiore alla norma per chi aveva lavorato nel petrolchimico;
gli studi del medico mantovano furono trasmessi alla magistratura e l'ex Ministro della salute Veronesi dispose l'istituzione di un'apposita commissione. L'attuale Ministro della salute Ferruccio Fazio, sollecitato da Terra per più di due settimane, al momento a quanto consta

agli interroganti, non avrebbe nemmeno risposto. Nel frattempo, da alcune anticipazioni che Terra è in grado di riportare sui nuovi studi ancora in corso, emerge che il tasso di malformazioni congenite per i nati in provincia di Mantova è doppio di quello presente nella vicinissima Emilia Romagna;
a Mantova c'è spazio anche per un terribile paradosso; chi non ha causato il danno ambientale potrebbe essere costretto a pagarlo. La legge europea sancisce il «chi inquina paga», tuttavia, in pratica, la questione è molto più complicata. Secondo quanto racconta Aldo Patrini, il direttore della Belleli Energy Cpe, un'azienda leader per la produzione di apparecchiature meccaniche per impianti di produzione d'energia a Mantova da 65 anni, nel 2007 «abbiamo trovato sotto di noi un mare di surnatante, e cosi abbiamo subito avvisato le autorità. Quindi il ministero ci ha detto: "Bene, allora datevi da fare per mettere in sicurezza"». Infatti, «secondo la legge 152 del 2006 dovrei segnalare al ministro la situazione di inquinamento, e poi bonificare. Chi non inquina è obbligato a sobbarcarsi le spese, con diritto di rivalsa [...]. Qui al Polo chimico ci sono aziende che rischiano di pagare per quello che non hanno fatto». E qualcuna di loro potrebbe anche scegliere di andarsene. Peraltro, «anche se io pulissi il mio sottosuolo, se non si blocca la fonte d'inquinamento continuerei a riceverei veleni» -:
se si stia verificando se ci siano ancora cause attive di contaminazione;
per quali ragioni l'accordo di programma del 2007 per la messa in sicurezza dell'area non abbia ancora portato a termine gli obiettivi prefissati;
se i Ministri interrogati intendano avviare un'ampia indagine al fine di tutelare la salute e l'ambiente;
se non si ritenga opportuno avviare le necessarie operazioni di bonifica dell'area descritta, considerati i gravi danni alla salute pubblica e ad un ambiente che costituisce patrimonio naturalistico certificato di immenso valore;
per quali ragioni il Ministro della salute non abbia ancora risposto ai numerosi solleciti relativamente allo stato di contaminazione dell'area;
se i Ministri interrogati intendano promuovere, per quanto di competenza, tutte le verifiche necessarie, al fine di risalire ai responsabili dell'inquinamento e di applicare nei loro confronti la normativa europea.
(4-09054)

PEDOTO e GRASSI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
ogni anno nel nostro Paese novantamila donne over 60 subiscono una frattura del femore. Una donna su due non sa di soffrire di osteoporosi. E anche chi è consapevole di avere le ossa fragili non si cura, né immagina di essere ad alto rischio di frattura. Chi, infatti, ha avuto una frattura da osteoporosi ha una probabilità 5 volte superiore di avere un'altra frattura;
il 20 ottobre è giornata mondiale dell'osteoporosi;
la ricerca scientifica ha fatto passi importanti ed ha individuato una nuova generazione di farmaci per trattare l'osteoporosi, recentemente approvata in Europa e in Italia, che riduce il rischio di fratture vertebrali e del femore, in pazienti con osteoporosi post-menopausale;
la spesa sanitaria per la patologia cresce in modo esponenziale di anno in anno;
è di fondamentale importanza la creazione di registri per patologie che necessitano di banche dati aggiornate costantemente -:
se il Ministro non ritenga opportuno porre in essere tutte le iniziative più

idonee alla sensibilizzazione e alla conoscenza dell'osteoporosi, attraverso la promozione di campagne informative sui corretti stili di vita, sulle cure oggi disponibili e sull'importanza di controlli specifici presso gli ambulatori dei medici di famiglia, i consultori e i presidi extra ospedalieri e le strutture sanitarie, quali le farmacie;
se non ritenga opportuno assumere le iniziative di competenza al fine di offrire un servizio pubblico adeguato alla prevenzione e alla cura dell'osteoporosi attraverso l'istituzione dei registri nazionali delle «prime fratture» coerentemente alla decisione assunta dal Ministro della salute in Consiglio dei Ministri il 30 luglio 2010 e che ha previsto l'«Istituzione del registro nazionale e dei registri regionali degli impianti protesici mammari, obblighi informativi alle pazienti nonché divieto di plastica mammaria ai minori».
(4-09062)

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
l'agenzia «Ansa» il 16 ottobre 2010 ha diffuso in «rete» la notizia «Dopo ricovero in coma per tre settimane, muore a Gela»;
nella corrispondenza da Gela, si riferiva che «dopo 25 giorni di coma è morto nel reparto di rianimazione dell'ospedale »Vittorio Emanuele« di Gela il signor Giuseppe Donzella, 45 anni; l'uomo era stato ricoverato nella clinica «Regina Pacis» di San Cataldo, per una banale operazione di correzione del setto nasale»;
Donzella, forse a causa di un'allergia, prima dell'intervento è entrato in coma; trasferito nell'ospedale di Gela, unico centro che aveva la disponibilità di un posto in rianimazione, vi è rimasto per 25 giorni, fino al decesso -:
se il Ministro non intenda acquisire elementi al fine di accertare quanto riportato in premessa, che appare l'ennesimo caso di malasanità.
(4-09063)

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
l'agenzia «Ansa» il 16 ottobre 2010 ha diffuso in «rete» la notizia «Sanità: mandato a casa tredicenne muore dopo nuovo ricovero. Operato prima del decesso»;
nella corrispondenza, da Catanzaro, si riferisce che un ragazzo bulgaro è stato portato in ospedale con l'ambulanza perché accusava forti dolori addominali, ma per i medici del pronto soccorso dell'ospedale «Pugliese Ciaccio» di Catanzaro, il ricovero non era necessario;
tuttavia i dolori si sono ripetuti il giorno successivo, e questa volta non solo è stato ricoverato, ma anche operato. Una trafila che si è conclusa con la morte del ragazzo; il ragazzo, secondo quanto ha raccontato la madre, quando era a scuola ha accusato forti dolori addominali; gli insegnanti hanno chiamato il 118, che in ambulanza ha portato il ragazzo all'ospedale, dove è stato visitato al pronto soccorso e rimandato a casa; il giorno successivo però i dolori si sono ripetuti e il ragazzino è tornato in ospedale, e questa volta i medici hanno deciso il ricovero e poche ore dopo lo hanno sottoposto ad intervento chirurgico. Il giorno successivo il cuore del ragazzo ha cessato di battere -:
di quali elementi disponga il Ministro interrogato in merito all'episodio descritto in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere al riguardo, anche al fine di fare piena luce sulla dinamica dei fatti.
(4-09064)

TESTO AGGIORNATO AL 16 NOVEMBRE 2010

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta scritta:

FOLLEGOT e STUCCHI. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
gli abitanti del Friuli Venezia Giulia lamentano da anni un problema di roaming internazionale con la Repubblica della Slovenia e la Repubblica della Croazia nelle zone di confine marittimo e terrestre, che ha ripercussioni anche sui turisti che soggiornano in aree costiere e frontaliere;
tale problema è causato dalle interferenze radioelettriche, attribuibili agli elevati valori del campo elettrico relativo alle stazioni radio base (SRB) degli operatori sloveni e croati nelle aree di confine;
le interferenze potrebbero anche essere causate dai valori di emissioni delle SRB degli operatori italiani, insufficienti a garantire in alcuni punti della regione Friuli Venezia Giulia, forse anche nella necessità di rispettare i limiti nazionali ammessi per le emissioni in campo elettromagnetico, un adeguato rapporto di protezione nei confronti delle emissioni irradiate dagli operatori esteri;
agli utenti che utilizzano il telefono sul territorio italiano nelle zone di confine, vengono spesso applicate le tariffe internazionali piuttosto che le tariffe previste dal piano proposto dal proprio operatore -:
se il Ministro sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative di competenza intenda intraprendere al fine di risolvere questo annoso problema;
se non ritenga opportuno promuovere incontri bilaterali con la Slovenia e la Croazia per trovare una soluzione equa che eviti i danni economici agli utenti in territorio italiano ricordati in premessa.
(4-09041)

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Apposizione di firme a mozioni.

La mozione Mussolini ed altri n. 1-00371, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 1o giugno 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Lussana.

La mozione Ghiglia ed altri n. 1-00442, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 29 settembre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Tortoli.

Pubblicazione di testi ulteriormente riformulati.

Si pubblica il testo ulteriormente riformulato della mozione Zampa n. 1-00361, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 314 del 29 aprile 2010.

La Camera,
premesso che:
la Commissione bicamerale per l'infanzia nell'ottobre del 2008 ha dato avvio ad un'indagine conoscitiva per approfondire la condizione dei minori stranieri non accompagnati, ovvero dei minori immigrati nel territorio italiano ed ivi presenti in assenza di familiari e per ricostruire il percorso di questi minori, una volta che abbandonano i centri di prima accoglienza per gli immigrati, dopo essere stati identificati come minori e pertanto esclusi dalla proceduta di espulsione dal territorio italiano. Dall'indagine è emersa una situazione di grave allarme sociale; infatti, una larga parte dei minori che vengono rilasciati dai centri di prima accoglienza affrontano un destino incerto, allontanandosi in molti casi senza lasciare traccia dalle comunità alloggio che li ospitano ed esponendosi così a pericoli di sfruttamento da parte della criminalità organizzata o a gravi rischi per la loro stessa incolumità. Le ragioni dell'allontanamento di questi minori dalle comunità ospitanti sono principalmente da ricondurre

alla soppressione dei fondi dedicati, ai tagli al Fondo sociale, e alla conseguente insufficienza delle risorse finanziarie a disposizione degli enti locali su cui insistono i centri di prima accoglienza; ai comuni sono infatti nella grande maggioranza dei casi affidati i minori con il provvedimento di tutela del magistrato, che segue alla prima accoglienza finanziata dal Ministero dell'interno;
l'Italia ha ratificato il 27 maggio 1991 con legge n. 176 la Convenzione Onu sui diritti dell'infanzia che all'articolo 1 definisce «bambini» gli individui di età inferiore ai 18 anni;
tale Convenzione rappresenta lo strumento normativo internazionale più importante e completo in materia di promozione e tutela dei diritti dell'infanzia, tra cui il diritto alla vita (articolo 6), il diritto alla salute e a godere delle prestazioni sanitarie (articolo 24), il diritto ad esprimere la propria opinione (articolo 12) e ad essere informati (articolo 13), il diritto al nome, tramite registrazione anagrafica, nonché alla nazionalità (articolo 17), il diritto all'istruzione (articolo 28 e 29), il diritto al gioco (articolo 31) ed il diritto ad essere tutelati da ogni forma di sfruttamento e di abuso (articolo 34);
alla Convenzione sui diritti dell'infanzia si accompagnano due protocolli opzionali che l'Italia ha ratificato con legge n. 46 del 9 maggio 2002 il Protocollo opzionale concernente il coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati e il Protocollo opzionale sulla vendita, prostituzione e pornografia dei bambini;
la Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, negli articoli 22, 30, 32, 34, 35, 36, 38 e 39, prevede una tutela particolare a favore di alcuni gruppi di bambini e adolescenti in considerazione della loro maggiore vulnerabilità. Si tratta dei minori in situazione di emergenza, come i minori rifugiati e i minori nei conflitti armati; dei minori in situazione di sfruttamento economico, compreso il lavoro minorile, abuso e sfruttamento sessuale; delle vittime di tratta o di altre forme di sfruttamento; infine dei bambini e adolescenti di minoranze etniche o popolazioni indigene;
la presenza dei minori stranieri non accompagnati in Italia, secondo l'organizzazione non governativa Save the Children è data in crescita, con una concentrazione nelle città con più di 100.000 abitanti, sebbene negli ultimi anni sia emersa una crescente preferenza dei minori per città più piccole (tra i 15.001 e i 100.000 abitanti);
secondo i dati contenuti nel Rapporto ANCI 2009 oggi i minori stranieri provengono soprattutto dall'Afghanistan (+170 per cento in due anni) - e non più dalla Romania in quanto ora fa parte dell'Unione europea -, preferiscono fermarsi nelle città medio piccole, che dal 2006 al 2008 hanno registrato un aumento della loro presenza del 200 per cento e fuggono meno dalle strutture di prima accoglienza rispetto a qualche anno fa (il 40 per cento contro il 62 per cento del 2006). Seguono poi l'Albania, l'Egitto e il Marocco. In aumento anche il numero di minori che arrivano dai Paesi africani instabili o in conflitto (Nigeria, Somalia ed Eritrea), e dunque potenziali richiedenti asilo. E per la prima volta fa capolino il Kosovo (non presente fino a oggi nelle statistiche in quanto Stato autonomo solo dal febbraio 2008);
secondo il comitato per i minori stranieri, al 30 settembre 2009, vi erano in Italia 6.587 minori stranieri non accompagnati, tra questi il 77 per cento è ricompreso nella fascia d'età che va dai 16 ai 17 anni. Il 90 per cento dei minori è di sesso maschile e più della metà ha 17 anni. Il 74 per cento dei minori censiti è alloggiato presso una struttura di prima o seconda accoglienza, il 16 per cento presso un privato, mentre 70 si trovano in Istituti penali minorili;
il Comitato per i minori stranieri al 15 novembre 2009 diffondeva i seguenti

dati relativi al flusso di minori stranieri non accompagnati:
a) 2.503 minori segnalati per la prima volta nell'anno in corso e ancora minorenni, i quali in larga parte presumibilmente subiranno gli effetti negativi della legge n. 94 del 2009 in tema di conversione del permesso di soggiorno alla maggiore età;
b) 926 minori segnalati nell'anno in corso e già divenuti maggiorenni, molti dei quali hanno già subìto o subiranno sicuramente gli effetti negativi della legge n. 94 del 2009 in tema di conversione del permesso di soggiorno alla maggiore età;
c) 4.559 minori segnalati negli anni precedenti e divenuti maggiorenni nel 2009, i quali potrebbero subire in minima parte gli effetti negativi della legge n. 94 del 2009 in tema di conversione del permesso di soggiorno alla maggiore età;
questi dati forniscono in parte la misura di quanto potrà incidere l'entrata in vigore dell'articolo 1, comma 22, lettera v), legge n. 94 del 2009 sulle prospettive di vita di migliaia di minori (sulla base della stima più di 3.000). Minori che in relazione alle scelte istituzionali e alla gestione delle politiche migratorie, potrebbero utilmente portare avanti un percorso di crescita ed integrazione nel nostro Paese, o che al contrario potrebbero trovarsi al compimento del diciottesimo anno di età in posizione di clandestinità per l'impossibilità di convertire il proprio permesso di soggiorno. Per il rilascio del permesso di soggiorno, infatti, sono necessarie una seria di condizioni che difficilmente il minore può soddisfare: il minore non accompagnato, infatti, deve essere sottoposto a tutela o affidamento, deve essere inserito da almeno due anni in un progetto di integrazione, avere la disponibilità di un alloggio, deve essere iscritto a un regolare corso di studio o svolgere un'attività lavorativa. Le condizioni devono essere soddisfatte tutte contemporaneamente;
in caso di interpretazioni restrittive della normativa si calcola che, più di 3.000 neomaggiorenni diverranno invisibili per le istituzioni, dunque irregolari e «clandestini» (imputabili del reato di ingresso e soggiorno illegale, assoggettabili a detenzione amministrativa fino a sei mesi e non più regolarizzabili), e saranno esposti ad un altissimo rischio di essere attratti dal mercato del lavoro irregolare o, ancor peggio, in circuiti criminali;
secondo uno studio condotto da Save The Children, si verifica nel nostro Paese una difformità di prassi in merito all'interpretazione degli articoli 10-bis e 32 del decreto legislativo n. 286 del 1998 e dell'articolo 61-bis del codice penale in riferimento ai minori stranieri non accompagnati. Il reato di ingresso e soggiorno illegale viene contestato ai minori in alcune città ed in altre no. Per quanto riguarda la conversione del permesso di soggiorno, alcune questure stanno di fatto applicando un regime transitorio, mentre altre no. In sostanza la condizione giuridica di un minore straniero non accompagnato cambia a seconda della città dove viene accolto;
il fenomeno descritto presenta altresì preoccupanti connessioni con i flussi dell'immigrazione clandestina, gestiti dalla criminalità organizzata, spesso con base al di fuori del territorio italiano, a conferma dell'esistenza di gravi fenomeni di tratta di esseri umani, finalizzata allo sfruttamento di minori, soprattutto donne;
la gravità sociale dei fenomeni sin qui descritti e l'urgenza di individuare al più presto gli strumenti per una maggiore tutela di questi minori e per l'affermazione dei loro diritti, accertando tutte le eventuali responsabilità connesse, necessita, da parte del Governo, di porre attenzione ad una politica di accoglienza in sintonia con il 4o rapporto di aggiornamento sul monitoraggio della convenzione ONU in Italia, 2007-2008, pubblicato dal gruppo di lavoro per la Convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza. In particolare nel citato rapporto si raccomanda, in accordo con i principi e le disposizioni della Convenzione,

soprattutto gli articoli 2, 3, 22 e 37, e con il rispetto dei bambini, richiedenti o meno asilo, che l'Italia: a) incrementi gli sforzi per creare sufficienti centri speciali di accoglienza per minori non accompagnati, con particolare attenzione per quelli che sono stati vittime di traffico e/o sfruttamento sessuale; b) assicuri che la permanenza in questi centri sia più breve possibile e che l'accesso all'istruzione e alla sanità siano garantiti durante e dopo la permanenza nei centri di accoglienza; c) adotti, il prima possibile, una procedura armonizzata nell'interesse superiore del bambino per trattare con minori non accompagnati in tutto lo Stato parte; d) assicuri che sia previsto il rimpatrio assistito quando ciò è nel superiore interesse del bambino, e che sia garantita a questi stessi bambini l'assistenza per tutto il periodo successivo,

impegna il Governo:

a predisporre tutte le misure atte a far sì che la permanenza dei minori nell'ambito delle strutture di accoglienza che li ospitano, dopo il rilascio dai centri di prima accoglienza, non sia in alcun modo condizionata da valutazioni di convenienza economica delle strutture stesse, le quali potrebbero indurre i minori ad allontanarsi, favorendone lo stato di clandestinità;
a coordinare le opportune iniziative per instaurare una rete di comunità alloggio estesa al territorio nazionale, evitando la concentrazione nella Regione Sicilia, attraverso la quale ospitare i minori stranieri non accompagnati all'atto delle dimissioni dai centri di prima accoglienza, per ripartire equamente il carico finanziario di tale ospitalità, valutando se porre a carico dello Stato le spese dell'accoglienza a lungo termine di questi minori;
a verificare se i criteri utilizzati per l'adozione dei provvedimenti di tutela dei minori stranieri non accompagnati siano omogenei su tutto il territorio nazionale;
ad adoperarsi, nell'ambito delle proprie competenze, affinché ogni intervento, anche normativo, che influisca sulla condizione dei minori stranieri non accompagnati, risulti in armonia con i principi della Convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza nonché con la normativa dell'Unione europea e con le indicazioni del Consiglio d'Europa in materia;
ad adoperarsi per rendere effettivo l'esercizio del diritto d'asilo dei minori stranieri non accompagnati;
a garantire ai minori stranieri non accompagnati uno status giuridico in grado di poterli maggiormente tutelare;
a prevedere il rilascio del permesso di soggiorno anche per quei minori stranieri che abbiano raggiunto la maggiore età e che abbiano già intrapreso un percorso documentato di integrazione sociale e civile.
(1-00361)
(Ulteriore nuova formulazione) «Zampa, Livia Turco, Lo Moro, De Torre, Cardinale, Zaccaria, Sbrollini, Touadi, Arturo Mario Luigi Parisi, Farinone, Schirru, Recchia, Siragusa, Bossa, Vannucci, Zucchi, Mattesini, Brandolini, Motta, Lenzi».

Si pubblica il testo ulteriormente riformulato della mozione Di Giuseppe n. 1-00367, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 323 del 18 maggio 2010.

La Camera,
premesso che:
le Nazioni Unite hanno stimato, relativamente all'anno 2006, che nel mondo ci siano circa 18 milioni di minori migranti, di cui quasi 6 milioni come rifugiati. All'interno di questo processo migratorio, i minori non accompagnati, negli ultimi 10 anni sono notevolmente

aumentati: secondo l'United Nations High Commissioner for Refugees (UNHCR), nel 2008 sono state presentate oltre 16.300 domande di protezione internazionale da parte di minori stranieri non accompagnati in 68 diversi Paesi, e a circa 6.000 è stato riconosciuto lo status di rifugiato o una forma complementare di protezione;
per «minore straniero non accompagnato», la risoluzione del Consiglio dell'Unione europea del 26 giugno 1997 sui minori non accompagnati cittadini di Paesi terzi, intende un minore di diciotto anni di età che si trova fuori dal proprio paese di origine e che entra o soggiorna irregolarmente nel territorio di un Paese terzo, separato da entrambi i genitori o dall'adulto che, per legge o per consuetudine è tenuto alla sua tutela;
il minore non richiedente asilo o protezione umanitaria è un emigrato con il sostanziale consenso degli esercenti la potestà genitoriale o comunque senza essere stato sottratto contro la sua volontà. Si tratta di minorenni quindi che si trovano nella condizione di migranti quasi sempre indotti dalle contingenze di ordine sociali, economico, culturale, e che rappresentano quindi un fenomeno ben diverso da quello della tratta e del traffico di esseri umani per sfruttamento, sia esso sessuale, di lavoro o di altro tipo;
giunto nel nostro Paese, qualora venga individuato o si presenti spontaneamente alle autorità competenti, il minore viene segnalato al Comitato minori stranieri (l'organo competente a vigilare sul soggiorno dei minori stranieri temporaneamente ammessi sul territorio nazionale, nonché a coordinare le attività delle amministrazioni coinvolte) e dotato di un permesso di soggiorno per minore età, come previsto dalla legge, e introdotto nei centri di prima accoglienza per un periodo relativamente breve, fino a un massimo di quaranta giorni, ma che molto spesso si protrae per alcuni mesi. Qui vengono avviati dei percorsi scolastici, di base o di formazione professionale, atti a favorire un inserimento graduale e mirato nella realtà italiana;
anche nel nostro Paese i minori stranieri, e quelli non accompagnati in particolare, costituiscono una realtà sempre più importante, dalle caratteristiche molto variegate e composite. Ciò comporta anche la difficoltà di quantificare con precisione il fenomeno. I dati enucleabili risultano tendenzialmente sottostimati anche perché in essi non sono inclusi i minori neocomunitari, le vittime di tratta, quelli che non sono mai entrati in contatto con il sistema istituzionale di accoglienza, e altri;
per stimare la presenza dei minori stranieri non accompagnati i dati sui residenti e sui soggiornanti presentano quindi dei limiti. Questi, infatti, spesso non riescono a essere identificati ed è frequente che se ne perdano le tracce. E ciò li rende inevitabilmente particolarmente vulnerabili ed esposti al pericolo di entrare in circuiti di tratta e sfruttamento;
sulla base del monitoraggio effettuato dall'Associazione Onlus Save the Children, la quota principale di minori presenti nelle banche dati regionali è quella segnalata da operatori e/o pubblici ufficiali della Sicilia, e rappresenta il 33 per cento del totale. Il resto dei minori inseriti in banca dati è stato segnalato dalle altre regioni: Lombardia (829), Emilia Romagna (561), Lazio (526), Piemonte (496), Marche (363), Puglia (345), Veneto (310), Toscana (310), Friuli Venezia Giulia (262), Trentino Alto Adige (121), Campania (78), Calabria (76), Liguria (51), Abruzzo (35), Sardegna (34), Umbria (17), Basilicata (8), Valle d'Aosta (7), Molise (3);
nel 2008 sulle coste meridionali del nostro Paese ne sono giunti 2.124, e di questi la grande maggioranza dei minori non accompagnati è arrivata negli ultimi due anni a Lampedusa. Una tendenza che risulta in aumento: nel 2007 ne erano infatti arrivati 1.700;

la principale fonte informativa sulla presenza dei minori stranieri non accompagnati sul territorio è la banca dati del Comitato per i minori stranieri, in cui vengono puntualmente registrate le segnalazioni effettuate da pubblici ufficiali, incaricati di pubblico servizio e da enti che svolgono attività sanitaria o di assistenza. Al 30 settembre 2009 la banca dati conta 6.587 minori non accompagnati;
con specifico riferimento invece ai minori non accompagnati richiedenti protezione internazionale, i dati parlano di 573 richieste di protezione internazionale nel 2008. Un numero che è andato aumentando negli anni: secondo i dati del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) le richieste di accoglienza sono infatti passate da 102 nel 2004 a 251 nel 2006, a 295 nel 2007;
il 21 aprile 2009, la Commissione parlamentare bicamerale per l'infanzia e l'adolescenza ha concluso una indagine conoscitiva, avviata nell'ottobre del 2008, sulla condizione dei minori stranieri non accompagnati, approvando all'unanimità una importante risoluzione alla cui elaborazione finale hanno contribuito tutti i gruppi parlamentari. L'obiettivo principale dell'indagine è stato proprio quello di voler approfondire la situazione e il destino dei suddetti minori immigrati clandestinamente in Italia, una volta abbandonati i centri di prima accoglienza per gli immigrati;
è evidente infatti come sia estremamente critica la fase del loro primo inserimento nella società civile, che li espone inevitabilmente a gravi rischi di sfruttamento da parte della criminalità, oltre che per la loro stessa incolumità;
va ricordato infatti come una larga parte dei minori che vengono rilasciati dai centri di prima accoglienza per gli immigrati subiscano un destino incerto, scomparendo in molti casi senza lasciare traccia e sottraendosi così alle strutture di ospitalità previste dal nostro Stato;
il fenomeno per il quale molti minori si allontanano senza lasciare traccia dalle strutture di ospitalità per loro previste impone, di conseguenza l'individuazione di efficaci strumenti di contrasto alla loro scomparsa e alla tutela dei loro diritti fondamentali;
va sottolineato come una delle ragioni dell'allontanamento di questi giovani dalle comunità che li ospitano è da rinvenirsi anche nella riduzione delle risorse finanziarie assegnate ai comuni e conseguentemente ai relativi centri di prima accoglienza. Va evidenziato infatti che è proprio ai comuni che essi sono affidati con il provvedimento di tutela del magistrato;
si segnala che l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati - e le relative spese - rientra nella responsabilità dei comuni che, a partire dal 1990, hanno acquisito autonomia statutaria (legge n. 142 del 1990). In questo senso il Ministero dell'interno si limita a gestire la prima accoglienza fino alla nomina del tutore, mentre i fondi da assegnare per i progetti di accoglienza dei minori vengono stanziati dalle regioni sulla base delle presenze. Per quanto riguarda la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali è la legge n. 328 del 2000 a stabilire che siano i comuni a programmare e realizzare i servizi in accordo con i diversi enti interessati;
l'ente locale è quindi il soggetto su cui gravano i costi di queste permanenze. In base ad alcune stime, i comuni spendono complessivamente circa 200 milioni di euro l'anno per la gestione del problema;
è indispensabile che decisioni e politiche di intervento che riguardano i bambini e gli adolescenti debbano essere prese nel rispetto della considerazione preminente del superiore interesse del minore, così come previsto dall'articolo 3 della Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia, a cui l'Italia è vincolata anche nell'esecuzione di accordi bilaterali. Peraltro l'articolo 12 della medesima Convenzione,

impone agli Stati, di ascoltare il minore in ogni procedura giudiziaria e amministrativa che lo riguarda. Occorre ricordare, a tal proposito, che l'Italia ha ratificato con la legge n. 176 del 1991 la predetta Convenzione dell'Onu;
qualsivoglia previsione di un rientro del minore straniero nel Paese di origine deve quindi essere valutata sulla base di un'attenta analisi dei fattori di rischio e di accurati accertamenti circa l'identità del minore, la sua rete familiare di riferimento, il suo percorso migratorio e la sicurezza che il minore non cada in circuiti di tratta e sfruttamento;
un minore straniero non accompagnato dovrebbe avere la possibilità di poter restare nel Paese ospite e il permesso di soggiornare temporaneamente nel Paese ospite non dovrebbe essere inteso solo come una procedura amministrativa che può essere interrotta bruscamente quando il minore compie i 18 anni;
peraltro con le modifiche normative intervenute con l'approvazione della legge n. 94 del 2009 (il cosiddetto «pacchetto sicurezza») che - tra l'altro - introduce il reato di ingresso e soggiorno illegale in Italia, il rilascio di un permesso di soggiorno al minore straniero non accompagnato al compimento dei suoi 18 anni, è ora possibile solo a condizione che sussistano contemporaneamente, e non alternativamente (come invece previsto dalla normativa precedentemente in vigore - legge n. 189 del 2002), i seguenti requisiti: un provvedimento di tutela o affidamento, l'ingresso in Italia da almeno 3 anni e la partecipazione a progetti di integrazione per almeno 2 anni;
la normativa recentemente approvata rischia quindi di disincentivare i minori entrati in Italia a seguire un percorso di integrazione sociale, poiché vedrebbero probabilmente preclusa la prospettiva di ottenere il rilascio del permesso di soggiorno dopo il compimento del diciottesimo anno. Esclusi da percorsi formali di protezione ed inclusione, i minori restano così maggiormente esposti ai rischi di sfruttamento e tratta, ed al coinvolgimento in attività irregolari o illegali,

impegna il Governo:

ad assumere iniziative volte ad assicurare maggiori risorse finanziarie a favore delle regioni sulla base dei dati relativi alle presenze, per il potenziamento e il miglioramento dei progetti di accoglienza, prevedendo specifiche risorse a favore dei minori stranieri non accompagnati;
ad attuare un più stretto coordinamento tra il livello centrale e i governi locali, e a valorizzare a pieno il potenziale della società civile e dell'associazionismo per l'accoglienza e l'integrazione dei minori stranieri non accompagnati;
a dare soluzione alle note difficoltà connesse a procedure e prassi territorialmente eterogenee per quanto riguarda l'identificazione all'arrivo, le tempistiche, le condizioni di accoglienza, i casi di sovraffollamento, il profilo professionale degli operatori, la predisposizione di servizi di mediazione culturale, nonché l'attività informativa riguardo alla possibilità di presentare domanda di asilo;
a mettere in atto un più efficace e costante monitoraggio per valutare gli aspetti quantitativi relativamente alle presenze e agli allontanamenti dai centri di prima accoglienza, e a verificare gli standard qualitativi dell'accoglienza con particolare riferimento ai minori non accompagnati, approfondendo la situazione e il destino dei suddetti minori immigrati clandestinamente in Italia, una volta lasciati i centri di prima accoglienza per gli immigrati;
ad attuare efficaci iniziative, anche normative, al fine di intervenire nella fase estremamente critica del primo inserimento nella società civile dei minori non accompagnati, aiutandoli in una fase che li espone inevitabilmente a gravi rischi per la loro incolumità e di sfruttamento da parte

della criminalità, e a favorire la loro integrazione, agevolando a tal fine opportune forme di affido temporaneo;
a considerare la possibilità di assumere le necessarie iniziative per rilasciare il permesso di soggiorno anche ai minori stranieri che abbiano compiuto la maggiore età e che abbiano iniziato un percorso di integrazione sociale nel nostro Paese.
(1-00367)
(Ulteriore nuova formulazione) «Di Giuseppe, Donadi, Mura, Palagiano, Favia, Borghesi, Evangelisti».

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
interrogazione a risposta scritta Melis e altri n. 4-03670 del 21 luglio 2009 in interrogazione a risposta orale n. 3-01284;
interrogazione a risposta scritta Murgia n. 4-08362 del 4 agosto 2010 in interrogazione a risposta orale n. 3-01282.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTARISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA

CAMBURSANO e SCILIPOTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro per i rapporti con le regioni. - Per sapere - premesso che:
da secoli sul territorio nazionale italiano esistono le minoranze linguistiche storiche citate all'articolo 2 della legge 15 dicembre 1999, n. 482;
gli idiomi parlati da tali minoranze linguistiche non sono riconducibili alla lingua italiana o ai dialetti italoromanzi perché essi, come nel caso degli arbëreshë (italo-albanesi: da qui in poi dicasi solo arbëreshë), i Valser, i Grecanici, hanno antiche origini riconducibili all'esterno del territorio nazionale italiano;
gli idiomi parlati dalle minoranze storiche citate all'articolo 2 della n. 482 del 1999) sono di forma arcaica, quindi diverse dal codice linguistico attuale in uso nei territori d'origine: l'arbëreshë, per esempio, che non si è evoluto con l'insieme delle altre forme linguistiche regionali extranazionali a lui collegate;
la lingua arbëreshë, che erroneamente, e creando confusioni, nella legge n. 482 del 1999 viene citata come «albanese», differisce dall'albanese d'Albania nelle preposizioni, nei gruppi consonantici, nelle desinenze, nella forma piena dei verbi, nel tempo dei verbi, nella fonetica, e in altro. Va dunque precisato che, l'erronea dicitura «albanese» crea confusioni nell'individuazione della lingua oggetto di tutela;
gli idiomi citati alla n. 482 del 1999, per la loro arcaicità, nelle odierne lingue nazionali extranazionali non possono trovare la loro presupposta lingua madre, ma in loro, trovare affinità come varianti linguistiche regionali extranazionali;
facendo il caso dell'arbëreshë, esso non può trovare la sua ipotetica lingua madre nell'albanese d'Albania ma, insieme ad esso, può essere iscritto in una famiglia linguistica più ampia comprendenti altre varianti linguistiche regionali extranazionali: queste lingue, l'arbëreshë, l'albanese d'Albania ed altre forme della stessa lingua parlate in Kosovo, Grecia e Macedonia, possono trovare il loro sostrato più antico, e quindi la loro ipotetica lingua madre, nello scomparso illiro o tracio-illiro: così come insegnato da due insigni linguisti, Ferdinand de Saussure in «Corso di linguistica generate» e da Merritt Ruhlen in «L'origine delle lingue», le lingue possono trovare il loro precursore in un sostrato più antico a loro e mai in qualcosa a loro posteriore. Ora, l'albanese arcaico parlato in Italia, per la sua antichità, non può trovare nel recente ed artificiale albanese standard d'Albania codificato solo nel 1953 la sua lingua madre, ma solo essere messo in relazione ad esso come ad un'altra variante linguistica regionale;

i parlanti gli idiomi riferiti alle minoranze linguistiche citate alla legge n. 482 del 1999 per gli sconvolgimenti geopolitici avvenuti negli ultimi secoli, non possono più riferirsi ad un odierno territorio d'origine che possa essere definito come loro madrepatria: è il caso degli arbëreshë (italo-albanesi da secoli stanziati in Italia), che in maggior parte sono provenienti dai territori originari della Ciameria, della Morea, dell'Epiro e del Peloponneso. Questi nominati territori sono attualmente parte integrante della Grecia, ergo, gli italo-albanesi non possono riconoscersi nella limitata regione dell'attuale Albania come nella loro madrepatria;
la Carta costituzionale, nei suoi principi fondamentali, all'articolo 3 recita: «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua» e all'articolo 6 si legge che: «la repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche»;
la legge 15 dicembre 1999, n. 482 «Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche» all'articolo 2 recita: «In attuazione dell'articolo 6 della Costituzione e in armonia con i princìpi generali stabiliti dagli organismi europei e internazionali, la Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l'occitano ed il sardo»;
all'articolo 4 comma 1 recita: «Nelle scuole materne dei comuni di cui all'articolo 3, l'educazione linguistica prevede, accanto all'uso della lingua italiana, anche l'uso della lingua di minoranza per lo svolgimento delle attività educative. Nelle scuole elementari e nelle scuole secondarie di primo grado è previsto l'uso anche della lingua della minoranza come strumento di insegnamento»;
al comma 2 recita: «...al fine di assicurare l'apprendimento della lingua di minoranza,...»; al comma 5 recita: «Al momento della prescrizione i genitori comunicano all'istituzione scolastica interessata se intendono avvalersi per i propri figli dell'insegnamento della lingua di minoranza»;
la legge 15 dicembre 1999, n. 482 «Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche», all'articolo 2 recita: «...la Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi...» e che questo ingenera confusioni su quale lingua e cultura la Repubblica intenda tutelare, se dunque intenda tutelare la lingua di minoranza nelle sue forme e la cultura riferita alte popolazioni che da secoli hanno contribuito alla formazione dell'attuale contesto italiano e quindi popolazioni storiche stanziate sul territorio nazionale italiano, oppure, se la tutela delle lingue di minoranza vada riferita alle lingue straniere in uso nelle attuati nazioni d'Albania, di Croazia, di Grecia e altro;
la stessa legge agli articoli 7, comma 2 e 3, all'articolo 8, comma 1, all'articolo 9, commi 1 e 3, e agli articoli seguenti, sempre in modo generico parla di «...lingua ammessa a tutela...» senza ulteriormente specificare se la lingua sia riferita al codice linguistico parlato dalle popolazioni di minoranza linguistica di riferimento, oppure, se la tutela sia riferita alle lingue nazionali di paesi esteri come l'Albania, la Croazia, la Grecia;
come evidenziato sopra, il generico nome usato nell'articolo 2 della citata legge n. 482 del 1999 «...albanese, croato, greco, ...» per la lingua posta a tutela, senza ulteriori specificazioni, genera confusione sulla corretta interpretazione da attribuire ad essa e che l'errata interpretazione, che ad una superficiale analisi, potrà sembrare pura disquisizione linguistica, se non urgentemente corretta, - oltre all'evidente guasto apportato ad un patrimonio linguistico da tutelare -, si presta, e potrà prestarsi ad un indebito uso dei fondi destinati alla tutela delle minoranze linguistiche storiche d'Italia -:
se non ritengano utile ed opportuno promuovere una disposizione di interpretazione autentica della legge n. 482 del 15

dicembre 1999, in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche d'Italia;
se risulti che i fondi destinati dalla legge n. 482 del 1999 siano stati usati erroneamente per la promozione di lingue straniere e non dunque per la promozione delle lingue di minoranza nella varie espressioni in uso nelle minoranze linguistiche storiche d'Italia.
(4-05982)

Risposta. - Va preliminarmente evidenziato che la legge n. 482 del 1999 non si presta ad interpretazioni tali da consentire la tutela delle lingue straniere genericamente intese, e ciò per varie considerazioni.
Innanzitutto, l'obiettivo della legge è desumibile non solo dal titolo, che fa riferimento espresso alle «minoranze linguistiche storiche» ma anche dalla lettura coordinata dell'articolo 2 della legge con il regolamento d'attuazione. Ed inoltre, l'articolo 2 specifica che le dodici minoranze individuate, tra le quali è compresa quella albanese, vengono tutelate ai sensi dell'articolo 6 della Costituzione e dei princìpi generali stabiliti dagli organismi europei e internazionali; tra questi ultimi, l'articolo 1, lettera
a) della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie - adottata a Strasburgo il 5 novembre 1992, firmata dall'Italia e non ancora ratificata - esclude dal proprio ambito di applicazione sia i dialetti della lingua ufficiale dello Stato sia le lingue degli immigrati; l'articolo 1, comma 3, del regolamento di attuazione delle legge n. 482 citata, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 2 maggio 2001, n. 345, prevede che «l'ambito territoriale e sub-comunale in cui si applicano le disposizioni di tutela di ciascuna minoranza linguistica storica previste dalla legge coincide con il territorio in cui la minoranza è storicamente radicata e in cui la lingua ammessa a tutela è il modo di esprimersi dei componenti della minoranza linguistica».
Inoltre, dalla relazione introduttiva alla legge risulta con chiarezza che l'intenzione del legislatore è quella di tutelare la lingua parlata dalle popolazioni espressamente elencate all'articolo 2, prescindendo da eventuali norme di tutela linguistica che si rendessero necessarie a seguito delle immigrazioni verificatesi di recente nel nostro Paese.
L'impianto normativo viene altresì confermato dalla Corte costituzionale che, in materia di tutela delle lingue minoritarie ha ritenuto, da ultimo, con la sentenza n. 170/9010, che le regioni a statuto ordinario debbano adeguare la propria legislazione ai princìpi di cui agli articoli 2 e 3 della legge n. 482, precisando che «la legge evita di stabilire in via definitoria un criterio astratto per l'identificazione delle minoranze linguistiche e si rivolge, invece, sin dal titolo, soltanto a quelle considerate "storiche" nell'esperienza italiana, enumerando dettagliatamente, nello stesso articolo 2, le specifiche "popolazioni" destinatarie della tutela».
Il concreto rispetto delle disposizioni e dei princìpi appena richiamati impedisce di tutelare le lingue attualmente parlate dalla popolazione di recente immigrazione, in quanto niente affatto coincidenti con quelle parlate dalle popolazioni storicamente presenti nei territori individuati ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 345 del 2001 citata.
Quanto all'effettivo utilizzo dei fondi destinati dalla legge n. 482 del 1999, il dipartimento per gli affari regionali - che gestisce i detti fondi per il finanziamento dei progetti finalizzati all'attivazione di sportelli linguistici ed alla promozione di attività culturali presentati dagli enti locali dove insistono minoranze linguistiche storiche, ai sensi degli articoli 9 e 14 della legge n. 482 del 1999 - ha comunicato che gli stessi sono stati destinati alle comunità appartenenti alle minoranze linguistiche storiche, territorialmente delimitate, che ne hanno fatto richiesta, al fine di garantire il diritto all'uso della lingua parlata da queste popolazioni nei rispettivi ambiti geografici, ed in particolare nei rapporti con la pubblica amministrazione.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Nitto Francesco Palma.

DI BIAGIO, ANGELI e BERARDI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
l'agenzia consolare d'Italia in Mannheim, Germania, operante dal 1976 è rientrata nel programma di razionalizzazione della rete diplomatico-consolare annunciata nel 2009 dal Ministero degli affari esteri;
sulla base delle direttive tracciate dal Ministero degli affari esteri nel suo piano di riorganizzazione, le attività di natura amministrativa ed organizzativa attualmente svolte dalla suindicata agenzia, così come il lavoro degli impiegati non di ruolo, verrebbero differite ad una sede ricevente, quale il consolato generale di Stoccarda;
nella circoscrizione consolare di Mannheim sono residenti circa 20.000, di cui 17.039 risultano iscritti all'Aire;
il consolato di Stoccarda è caratterizzato da difficoltà di natura organizzativa e logistica e, stando alle già presenti criticità date anche dall'esiguità degli spazi e dall'abbondanza delle attività e delle pratiche da gestire, è ipotizzabile che si possano creare delle inevitabili complicazione gestionali all'interno delle sue strutture;
nel corso del 2009 e del 2010 sono state molteplici le forme di sostegno e di attenzione mostrate dai referenti politici ed istituzionali locali orientate alla sensibilizzazione dell'amministrazione italiana al fine di salvaguardare la sopravvivenza della struttura consolare: in questa prospettiva si segnala l'offerta del comune di Mannheim che ha messo a disposizione del consolato alcuni locali pubblici, con un onere di soli 500 euro mensili a titolo di pagamento degli oneri accessori;
alla luce delle già citate difficoltà logistiche della struttura consolare di Stoccarda, al fine di assorbire il carico di documenti e materiale proveniente dall'archivio di Mannheim, l'amministrazione - stando alle notizie a disposizione degli interroganti - sarebbe in procinto di stipulare un contratto di locazione di un immobile presente nell'area centrale della cittadina di Stoccarda, il cui costo - stando ai dati di riferimento - si aggirerebbe intorno ai 1.500/2.000 euro mensili -:
se le notizie di cui in premessa corrispondano al vero, segnatamente in riferimento al nuovo affitto del consolato di Stoccarda, e, posto che appare agli interroganti contraddittoria rispetto all'orientamento di razionalizzazione e di contenimento delle risorse, la scelta di beneficiare di nuovi affitti, con aggravio sull'erario dello Stato, se non si intenda usufruire di un'offerta di locazione presso la sede originaria della struttura consolare di Mannheim, esorcizzando l'ipotesi di chiusura che tante difficoltà sta comportando.
(4-07445)

Risposta. - In merito a quanto rappresentato dall'interrogante nella presente interrogazione si forniscono i seguenti elementi di informazione.
Questo Ministero degli esteri, nella elaborazione del piano di razionalizzazione del patrimonio immobiliare della rete diplomatico-consolare all'estero, alla luce delle primarie esigenze di contenimento delle risorse economico-finanziarie, ha sempre effettuato, preliminarmente alle proposte di soppressione ed accorpamento di sedi, una attenta analisi dei costi-benefici derivanti dalle operazioni immobiliari da porre in essere.
Per quanto concerne, in particolare, la chiusura dell'agenzia consolare di Mannheim ed il suo accorpamento al Consolato generale di Stoccarda, proprio alla luce delle richiamate esigenze di contenimento della spesa, si è preliminarmente accertato che la sede ricevente fosse adeguata strutturalmente e funzionalmente a farsi carico delle accresciute esigenze logistiche derivanti dall'assorbimento del personale e dell'archivio dell'ufficio di Mannheim, senza dover reperire in locazione ulteriori spazi.
Preme poi sottolineare come la determinazione di riconsiderare la presenza istituzionale italiana in Mannheim non abbia

carattere isolato, dovendo essere ricondotta al più generale piano di razionalizzazione della rete estera che è stato presentato, esentato, in più occasioni, alle commissioni esteri della Camera e del Senato, al Consiglio generale degli italiani all'estero ed alle organizzazioni sindacali. Tale piano, che inizialmente prevedeva scadenze più ravvicinate per l'attuazione dei provvedimenti di chiusura, ha subìto una successiva rimodulazione cronologica, in funzione degli approfondimenti svolti dall'amministrazione in merito ai singoli aspetti di problematicità relativi alle sedi interessate. In questi approfondimenti, che sono ancora in corso, il Ministero degli esteri riserva prioritario riguardo ai servizi destinati alle collettività italiane, che si intendono mantenere ad un livello qualitativamente elevato.
Nel quadro dei menzionati approfondimenti è stata attribuita privilegiata attenzione alla salvaguardia dei livelli di assistenza prestati ai nostri connazionali residenti in Germania, come legittimamente segnalato dalle varie istanze coinvolte, in particolare con la risoluzione della III commissione della Camera dei deputati in data 21 luglio 2009. A tale riguardo, si conferma l'impegno del Ministero degli esteri al rafforzamento delle sedi che riceveranno le competenze dagli uffici in chiusura, permettendo il mantenimento di alti livelli qualitativi nell'erogazione dei servizi ai cittadini e alle imprese. Priorità dell'amministrazione degli esteri è, infatti, che le risorse umane e finanziarie ottenute attraverso il piano di razionalizzazione siano reinvestite nella rete all'estero, al fine di garantirne la sostenibilità nel suo insieme. Con riferimento ai criteri adottati dall'amministrazione nella scelta delle sedi da accorpare e sempre tenuto conto del quadro generale del processo di razionalizzazione della rete, sono stati oggetto di complessiva ponderazione fattori quali la densità delle collettività italiane residenti, le distanze fra le sedi accorpate, l'esistenza di edifici demaniali, gli interessi economico-commerciali del sistema paese e le relazioni con le autorità locali.
Parallelamente, prosegue l'impegno del Ministero degli esteri nella realizzazione di piattaforme informatiche innovative, progetto cui è stata attribuita particolare priorità dal punto di vista dei tempi di realizzazione e delle risorse dedicate, e nel perseguimento dell'obiettivo di garantire sia la promozione degli interessi nazionali, sia l'assistenza alle collettività italiane residenti all'estero. Come peraltro illustrato nel corso della visita di una delegazione di parlamentari al consolato di Bruxelles, tale progetto è volto a consentire all'intera rete consolare di:
a) aumentare il livello di produttività degli uffici, rendendoli sempre più efficienti e rispondenti alle esigenze dei connazionali, b) fornire all'utenza adeguati servizi telematici a distanza, e c) corrispondere agli indirizzi governativi in tema di innovazione, digitalizzazione e dematerializzazione delle attività delle pubbliche amministrazioni.
Alla luce di quanto precede, l'amministrazione degli esteri intende procedere alla chiusura della sede di Mannheim adottando nel contempo specifiche misure per rafforzare il consolato generale di Stoccarda per assicurare un adeguato livello di servizi alla collettività italiana interessata.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Alfredo Mantica.

DI BIAGIO. - Al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. - Per sapere - premesso che:
ai sensi dell'articolo 40 del decreto legislativo 165 del 2001, come modificato dal decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, in attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni, vengono escluse dalla contrattazione collettiva «le materie attinenti all'organizzazione degli uffici»;
in occasione della sottoscrizione del contratto integrativo per il personale di alcune amministrazioni dello Stato tra i referenti sindacali sono emersi dei dubbi interpretativi circa la ratio del citato articolo

40 che hanno condotto al rifiuto da parte di taluni referenti della medesima sottoscrizione;
i dubbi interpretativi afferiscono alla collocazione o meno della materia attinente all'orario di lavoro e della sua articolazione nell'ambito dell'organizzazione degli uffici o se sia da considerarsi materia di contrattazione fra le parti;
malgrado la richiesta di delucidazioni a riguardo formulata all'Aran dalle parti sociali, dall'Agenzia non è stato formalmente espresso chiarimento in merito alle difficoltà interpretative sorte in sede di contrattazione;
l'agenzia interpellata più volte ha risposto - in maniera informale - affermando di non avere avuto ancora dal Dicastero competente gli elementi per poter determinare la reale interpretazione del citato articolo -:
se intenda formulare un parere in merito alla ratio dell'articolo 40 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, al fine di fornire chiarimenti in merito alla collocazione o meno della materia afferente agli orari di lavoro nell'ambito dell'organizzazione degli uffici di cui al medesimo articolo.
(4-08238)

Risposta. - Con l'interrogazione in esame si chiede al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione se intenda formulare un parere in merito alla collocazione o meno della materia afferente agli orari di lavoro nell'ambito dell'organizzazione degli uffici.
La richiesta di chiarimenti è formulata in virtù dei dubbi interpretativi emersi in occasione della sottoscrizione del contratto integrativo per il personale di alcune amministrazioni dello Stato, dubbi che hanno provocato il rifiuto di alcuni referenti sindacali di sottoscrivere il testo dell'accordo.
Al riguardo, si ritiene opportuno un preliminare richiamo delle disposizioni relative al potere di organizzazione delle amministrazioni pubbliche ed alla contrattazione collettiva dettate dal decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nel testo risultante dalle modifiche apportate dal decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150.
L'articolo 40, al comma 1, definisce gli ambiti riservati, rispettivamente, alla contrattazione collettiva ed alla legge, e, tra le materie escluse dalla contrattazione collettiva, fa esplicito riferimento anche a quelle «attinenti all'organizzazione degli uffici, a quelle afferenti alle prerogative dirigenziali ai sensi degli articoli 5, comma 2, 16 e 17 ...conferimento e ...revoca degli incarichi dirigenziali».
L'articolo 5, a sua volta, stabilisce, nel primo periodo del secondo comma, che «le determinazioni per l'organizzazione degli uffici, e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunti in via esclusiva dagli organi preposti alla gestione con la capacità ed i poteri del privato datore di lavoro», fatta salva la sola informazione ai sindacati ove prevista nei contratti collettivi nazionali, e, nel secondo periodo, include nell'esercizio dei poteri dirigenziali «le misure inerenti la gestione delle risorse umane..., nonché la direzione, l'organizzazione del lavoro nell'ambito degli uffici».
Tanto premesso, nel merito, si evidenzia che il Ministero per la pubblica amministrazione e l'innovazione - dipartimento della funzione pubblica - ha emanato, d'intesa con il Ministero dell'economia e delle finanze, la circolare 13 maggio 2010, n. 7 in materia di contrattazione integrativa e indirizzi applicativi del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 (registrata alla Corte dei conti il 7 giugno 2010, registro n. 6, foglio n. 287).
Nel punto «4» della richiamata circolare, specificamente dedicato alla ripartizione delle materie tra contratto e legge, con particolare riferimento al comma 3-
bis e al comma 1 dell'articolo 40 del decreto legislativo n. 165 del 2001, come novellato dall'articolo 54 del decreto legislativo n. 150 del 2009, si chiarisce, tra l'altro, che: «... a) la contrattazione nazionale ed a maggior ragione quella integrativa non potranno aver luogo sulle materie appartenenti alla sfera della organizzazione e della microorganizzazione, su quelle oggetto di partecipazione sindacale e su quelle afferenti

alle prerogative dirigenziali (articolo 40, comma 1, decreto legislativo n. 165 del 2001); ciò, in particolare, con riferimento alle materie dell'organizzazione del lavoro e della gestione delle risorse umane, che costituiscono l'ambito elettivo tipico delle prerogative dirigenziali; b) in tali materie - esclusa la contrattazione - la partecipazione sindacale potrà svilupparsi esclusivamente nelle forme dell'informazione, qualora prevista nei contratti collettivi nazionali».
La definizione dell'articolazione delle tipologie dell'orario di lavoro appare, quindi, rientrare tra le misure di «microorganizzazione» che possono essere poste in essere dal dirigente ai fini dell'organizzazione del lavoro nell'ambito del proprio ufficio e, pertanto - stante le norme di legge prima menzionate e i contenuti della sopra citata circolare applicativa - non può essere oggetto di contrattazione collettiva nazionale, né di quella integrativa.
Resta ferma, ovviamente, la regolazione degli aspetti economici correlati alla misura dell'orario di lavoro espletato, che continuano ad essere regolati dalla fonte contrattuale, ai sensi dell'articolo 45, comma 1, del decreto legislativo n. 165 del 2001, come modificato dall'articolo 57, comma 1, lettera
a), del decreto legislativo n. 150 del 2009.
Il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione: Renato Brunetta.

CASSINELLI. - Al Ministro degli affari esteri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
giovedì 22 ottobre 2009, due navi mercantili italiane della compagnia Messina, la «Jolly Rosso» e la «Jolly Smeraldo», hanno subito attacchi di pirateria rispettivamente al largo delle coste del Kenya e nel mar arabico;
fortunatamente nessun membro dei due equipaggi è rimasto ferito e le imbarcazioni hanno subito solo danni lievi, grazie alle manovre diversive attuate dal comandante della «Jolly Rosso» ed ai due elicotteri militari intervenuti in aiuto dopo le segnalazioni inviate dalla «Jolly Smeraldo»;
ormai da tempo si verificano con frequenza tentativi di abbordaggio da parte di commandos armati ai danni delle navi mercantili battenti bandiera italiana, i quali mettono così a repentaglio l'incolumità degli equipaggi, causano danni alle imbarcazioni e disincentivano la percorrenza di talune determinate rotte considerate «a rischio», pregiudicando di fatto gli scambi commerciali -:
quali iniziative il Governo intenda assumere, anche coinvolgendo Stati esteri ed istituzioni internazionali, affinché sia attuato con maggior criterio un controllo dei mari più pericolosi, non concentrando le risorse in un'unica area limitata ma ampliando lo specchio d'azione, valutando l'opportunità di autorizzare gli armatori ad imbarcare personale armato ed eventualmente predisponendo, nelle aree più critiche, una «scorta» militare alle imbarcazioni, sì da proteggere l'incolumità dei marinai, tutelare i beni degli armatori e consentire la massima serenità nell'esercizio del commercio internazionale.
(4-04723)

Risposta. - L'Italia ha impiegato, già dal 2005, unità navali per il pattugliamento al largo delle coste somale per affrontare l'emergente problema della pirateria nel golfo di Aden e nel Somali Basin. Nel 2008 allorché il fenomeno della pirateria al largo della Somalia ha assunto proporzioni preoccupanti la reazione a livello internazionale ha portato alla creazione di missioni di contrasto articolate su diverse linee di comando. Tra queste spiccano la missione Atalanta dell'Unione europea, per la protezione dei cargo del Programma alimentare mondiale destinati alla Somalia, e la missione Nato Ocean Shield, cui l'Italia partecipa attualmente con l'impiego di una unità navale.
L'azione internazionale di interdizione navale viene coordinata in teatro attraverso un meccanismo denominato
Shared Awareness and Deconfliction (Shade), che

opera in Bahrain ed al quale partecipa un ufficiale della Marina militare. Tale meccanismo è volto a facilitare lo scambio di informazioni, il coordinamento delle operazioni navali, tra le missioni militari multinazionali (Ue, Nato e Task Force 151) e le marine militari impegnate a titolo nazionale, e l'assistenza alle navi mercantili in avvicinamento all'area a rischio di attacchi dei pirati. In tale contesto viene valutata collegialmente la possibilità di rafforzare l'azione di deterrenza nelle acque ad est delle coste somale, nel Somali Basin, una zona marina che per la sua estensione è più difficilmente controllabile rispetto all'area di transito attraverso il golfo di Aden.
A livello operativo un centro internazionale a Dubai raccoglie informazioni sulle rotte seguite dai navigli commerciale europei e, ove possibile ed opportuno, viene disposta una scorta militare. Più frequentemente, su indicazione delle autorità militari internazionali, vengono organizzati convogli di navi in maggio sulla stessa rotta per diminuire le possibilità di attacco. Il numero delle imbarcazioni in transito nel golfo di Aden rende infatti inattuabile una scorta militare individuale.
Nel gruppo di contatto sulla pirateria al largo delle coste somale, istituito in ambito Nazioni unite e di cui fanno parte 50 Paesi e 7 organizzazioni internazionali, è stato promosso soprattutto il ricorso a misure di autodifesa non letali, sviluppate dalle associazioni internazionali di categoria del trasporto marittimo.
Infatti, l'impiego di scorte armate a bordo di navi mercantili o in imbarcazioni al seguito è controverso. Non vi sono orientamenti univoci in seno alla comunità degli armatori sui vantaggi derivanti dall'impiego di scorte armate rispetto ai maggiori rischi per l'equipaggio connessi alla presenza di unità armate a bordo e ai problemi di ordine giuridico relativi alla responsabilità per danni inflitti attraverso l'impiego di armi da parte delle scorte. La questione si è posta anche in ambito europeo. Nel quadro della missione Atalanta è prevista la possibilità di effettuare misure di protezione del naviglio mercantile con armati a bordo (cosiddetto
Vessel Protection Detachment - Vpd) distaccati dall'unità militare che effettua la scorta, da valutarsi caso per caso e comunque solo con il consenso delle autorità dello Stato di bandiera. Tale meccanismo si è tuttavia rivelato di difficile attuazione nell'area di operazione.
Per quanto riguarda l'Italia, il fenomeno ha creato particolare preoccupazione tra gli armatori, poiché la pirateria nel golfo di Aden minaccia direttamente i traffici da e per il Mediterraneo, a favore delle rotte verso l'Atlantico per il Capo di Buona Speranza. In tale contesto la principale associazione degli armatori Confitarma, ha avviato contatti con la Marina militare italiana e la Guardia costiera, ed ha effettuato studi di settore per migliorare la sicurezza delle imbarcazioni.
Il Comando generale del corpo delle capitanerie di porto segnala, anche, che esiste, per le navi in transito nelle zone a rischio, la possibilità di richiedere specifica protezione, adottando l'apposita procedura.
La Farnesina, dal canto suo, segue attentamente il fenomeno della pirateria in acque internazionali. Il Ministro degli esteri ha convocato i rappresentanti di Confitarma per verificare possibili forme di collaborazione nel contrasto al fenomeno stesso.
Alla riunione ha partecipato anche il Sottosegretario di Stato alla difesa Cossiga. È emerso da parte degli armatori un generale orientamento all'adozione di soluzioni basate sulla tecnologia (
radar più avanzati, idranti più potenti, concertina attorno alle navi) piuttosto che sulla possibilità di imbarcare personale armato, che può comportare rischi sia per la navigazione che in caso d'ingaggio.
Il Ministro, da parte sua, ha illustrato la possibile assistenza del Ministero degli esteri nel casi di pirateria, sollecitando altresì l'adozione di un comportamento di cautela nelle rotte più pericolose ed incoraggiando il massimo coordinamento e scambio di informazioni per la prevenzione degli attacchi.
In tale contesto, sono state evocate le iniziative di vigilanza e di scorta portate avanti in ambito europeo ed atlantico. È

emersa altresì la conferma della particolare utilità dei progetti promossi a livello internazionale dal Ministero degli affari esteri per la formazione e l'equipaggiamento della guardia costiera somala e kenyota, così da costituire già in loco una prima forza di reazione. Al riguardo Confitarma ha fatto stato della possibilità di fornire un proprio contributo finanziario.
Il Ministro Frattini ha anche proposto e ottenuto l'istituzione di un tavolo tecnico di lavoro finalizzato al miglioramento della collaborazione tra armatori e Governo e alla promozione di un'azione coordinata in materia di sicurezza della navigazione marittima tra i diversi enti coinvolti. Tale tavolo, già riunitosi presso l'unità di crisi del Ministero degli affari esteri, prevede la partecipazione di Confitarma, del Ministero della difesa, del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e del Ministero dello sviluppo economico, cui associare le principali aziende che usufruiscono delle imprese di trasporto marittimo.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Stefania Gabriella Anastasia Craxi.

DI STANISLAO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
l'amministratore delegato di Ferrovie dello Stato Franco Moretti, ha affermato che l'alta velocità diventerà sostanzialmente la «metropolitana veloce d'Italia», una «metropolitana» che è anche un'opera infrastrutturale imponente, «la più rilevante tra quelle realizzate nel nostro Paese dalla fine della guerra». Mille chilometri di binari, 145 in galleria, 73 dei quali tra Firenze e Bologna;
il Presidente del Consiglio dei ministri ha affermato che «L'alta velocità rappresenta una maggiore dinamicità per il Paese, una maggiore capacità di sviluppo e la continueremo perché potremo incontrare nell'area di Novara il corridoio che va da Genova a Rotterdam e il corridoio numero 5 che vogliamo realizzare. Questa è l'Italia che si modernizza e che va avanti [...] Il Governo ha intenzione di recuperare il tempo che è stato perduto»;
dal 14 dicembre 2009 sono entrate in vigore le nuove norme di Trenitalia: con l'avvento dell'alta velocità sono aumentate le tariffe e sono state soppresse molte fermate «di provincia». I treni continuano però ad accumulare ritardi e sono cambiate anche le regole per i rimborsi;
la ristrutturazione 2010 di Trenitalia, entrata in vigore a metà dicembre, non ha incontrato il favore da parte dei viaggiatori. Tante sono state le lamentele e le proteste, soprattutto per ciò che riguarda il rialzo dei prezzi del biglietto e la soppressione di molte corse di alcune fermate. Di fatto le nuove norme di Trenitalia hanno cambiato la «geografia dei treni italici» svantaggiando quasi sempre gli utenti specie di provincia;
inoltre l'incremento dei costi raggiunge picchi del 33 per cento: ad esempio viaggiare da Bologna a Firenze sarà molto più veloce (37 minuti anziché un'ora), ma costerà 24 euro anziché 18,10 euro. Altri esempi Milano-Torino: 22 minuti in meno di viaggio con il 30 per cento in più sul biglietto; l'eurostar da Reggio Emilia a Roma Termini in seconda classe costava 37,18 euro, ora ne costa 44 con un rialzo del 18,34 per cento; Milano-Bologna passa da 37,10 a 41 euro con lo stesso lasso di tempo e anche il Roma-Napoli passa da 39,90 a 44 euro con un risparmio di soli 11 minuti;
purtroppo la realtà però non coincide con i «buoni» propositi di Ferrovie dello Stato perché il debutto dell'alta velocità non è stato dei più felici. Il primo giorno l'eurostar Milano-Roma ha accumulato 24 minuti di ritardo, mentre l'Eurostar Roma-Brescia è arrivato 26 minuti dopo. Nei giorni seguenti la situazione è del tutto peggiorata: fermate cancellate, eurostar city e intercity soppressi, regionali rallentati «per dare la precedenza all'alta velocità». Cresce quotidianamente il malcontento dei pendolari dal Piemonte al Veneto, dalla Lombardia alla Puglia, quelli

dei regionali ma soprattutto quelli delle medio-lunghe percorrenze. E prende corpo nelle forme più diverse: raccolte di firme (in difesa del pendolino Bergamo-Cremona-Roma o delle fermate a Follonica e Cecina), lettere al Governo (l'ha inviata la regione Piemonte, orfana di collegamenti diretti con il Nord-Est e il Sud). E ancora: occupazioni dei binari (l'hanno organizzata i pendolari della Firenze-Orvieto-Roma), occupazioni degli uffici dei capistazione (è successo a Bergamo), litigi agli sportelli per il nuovo sistema di rimborsi (25 per cento per i ritardi tra i 60 e i 119 minuti, 50 per cento oltre i 119);
un miliardo e mezzo è stato il costo per i nuovi «Frecciarossa» e Moretti afferma di volerli da 600 posti, modificabili e ancora più veloci, ma grave resta il problema irrisolto dei pendolari, un esercito di persone che quotidianamente e non per vacanza, ma per bisogno è costretta a combattere una partita persa contro Ferrovie dello Stato tra ritardi, disservizi e disagi. Milioni di italiani studenti, lavoratori, professionisti, impiegati, pensionati e altri completamente dimenticati e abbandonati al loro destino e ai quotidiani problemi di mobilità da un'azienda che, secondo l'interrogante, non si preoccupa di portare avanti e di modernizzare l'intero trasporto su rotaie in Italia;
se vi siano oltre al miliardo e mezzo per i «Frecciarossa» risorse importanti per dare risposta ai milioni di pendolari di cui sembra non preoccuparsi Ferrovie dello Stato -:
se il Governo intende prendere in considerazione le problematiche tecniche riscontrate con l'avvento dell'Alta velocità su tutto il territorio nazionale;
se e come il Governo intenda affrontare le problematiche legate ai treni pendolari, quelli regionali e quelli con sovvenzione pubblica rallentati e messi in secondo piano per dare la precedenza all'alta velocità.
(4-05684)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, si premette che i servizi ferroviari alta velocità e i treni a, lunga e media percorrenza non sono inclusi nel perimetro dei servizi contribuiti e regolati perciò con contratto di servizio. Essi sono gestiti da Trenitalia s.p.a. in regime di autonomia commerciale: l'impresa può cioè declinare autonomamente le caratteristiche qualitative e quantitative dell'offerta ed i livelli di prezzo. Tali servizi, come recita l'articolo 2, comma 253 della legge 244 del 2007, sono gestiti in regime di liberalizzazione.
Per gli altri servizi ferroviari la legge fa carico al limitato interministeriale per la programmazione economica di individuare «i servizi di utilità sociale, in termini di frequenza, copertura territoriale, qualità e tariffazione e che sono mantenuti in servizio tramite l'affidamento di contratti di servizio pubblico». Lo Stato assicura dunque, mediante il contratto di servizio, l'erogazione di quei trasporti che non sarebbero prodotti dall'impresa ferroviaria o lo sarebbero a condizioni diverse in quanto non in grado di conseguire l'equilibrio economico.
L'intervento dello Stato è volto a mantenere quei servizi a domanda debole e/o a costi strutturalmente più elevati come, ad esempio, per la ridotta velocità commerciale dovuta alla maggiore capillarità del servizio e/o a condizioni più arretrate dell'infrastruttura.
Diversamente dai treni erogati in regime di autonomia commerciale, i servizi contribuiti sono sottoposti a regolazione pubblica in riferimento a quantità, qualità e tariffe. Quest'impostazione è peraltro coerente con la normativa comunitaria che disciplina il settore e che, in sostanza, ammette limiti all'autonoma erogazione dei servizi soltanto nel quadro del contratto di servizio pubblico. Naturalmente l'intervento dello Stato è condizionato da molteplici fattori, incluso l'ammontare di risorse disponibili.
Ciò posto, è cura del ministero delle infrastrutture e dei trasporti verificare e valutare nel tempo che il perimetro dei servizi contribuiti mantenga requisiti di efficacia e di ottimale allocazione delle risorse pubbliche disponibili. Considerate le interferenze tra i diversi tipi di servizi

ferroviari, l'esigenza di calibrare al meglio i servizi da commissionare all'impresa ferroviaria comporta la necessità di tenere conto, nei limiti delle competenze dello Stato, del complesso dei servizi erogati dall'impresa ferroviaria, inclusi i servizi alta velocità in regime di autonomia commerciale.
Tuttavia, ai fini di fornire ulteriori elementi di risposta agli specifici quesiti posti, sono state chieste informazioni alla società Ferrovie dello Stato che ha riferito quanto segue.
Con l'orario del 13 dicembre scorso, contestualmente al completamento dell'alta velocità tra Torino e Salerno, è stata attuata un'ulteriore fase di riorganizzazione dell'offerta ferroviaria in linea con le aspettative e le esigenze di mobilità del Paese attraverso una considerevole riduzione dei tempi di percorrenza e assicurando collegamenti più frequenti e veloci fra i centri metropolitani di primaria importanza. Ciò ha consentito di creare un sistema di trasporto integrato con linee sempre più specializzate per i diversi tipi di traffico viaggiatori: metropolitano, regionale, media/lunga percorrenza, alta velocità.
L'obiettivo di differenziare i diversi prodotti ferroviari e di velocizzare i collegamenti è stato ottenuto anche attraverso una riduzione del numero delle fermate attuata, peraltro, tenendo conto dei volumi di traffico di ciascuna e la creazione di un efficace sistema di connessioni con i treni alta velocità che consente di estendere i benefici dell'offerta alta velocità anche a località che non sono direttamente interessate dai nuovi tracciati ad alta velocità.
La riorganizzazione del sistema di trasporto dei passeggeri, conseguente all'introduzione dell'alta velocità, è stata effettuata nell'ottica di utilizzare appieno le potenzialità offerte dagli ingenti investimenti infrastrutturali realizzati nel nostro Paese e di assicurare un servizio migliore alla clientela che si muove sulle distanze medio-lunghe.
Relativamente all'aumento del prezzo dei biglietti introdotto dal 13 dicembre 2009, Ferrovie dello Stato evidenzia che questo è stato accompagnato da un sensibile miglioramento del servizio offerto con i nuovi collegamenti alta velocità
Frecciarossa e Frecciargento sia per la sensibile riduzione dei tempi di percorrenza e l'aumento della frequenza delle corse che per la qualità ed il comfort del materiale rotabile utilizzato. L'offerta alta velocità è inoltre corredata da servizi «dedicati» sia a terra che a bordo in tutte le fasi del viaggio; nel contempo, sono state previste delle offerte particolarmente vantaggiose per la clientela che consentono di usufruire di rilevanti riduzioni rispetto all'importo base del biglietto e che sono state ulteriormente implementate.
Per quanto riguarda la regolarità dei treni, l'impresa ferroviaria ha comunicato che il livello di puntualità dei collegamenti
Frecciarossa, Frecciargento e Frecciabianca (fascia 0'-15') è dall'inizio del corrente anno in costante e progressiva crescita, nell'ultimo periodo, fino al mese di maggio 2010, è attestato intorno al 93 per cento con punte che in alcune giornate hanno raggiunto il 97-98 per cento. Analogo dato si registra, nello stesso periodo per la puntualità dei restanti treni di media/lunga percorrenza. Le modalità e l'entità dei rimborsi stabiliti in caso di ritardo, in vigore dal 13 dicembre 2009, sono conformi a quanto previsto dalla normativa comunitaria in materia (Regolamento CE 1371/2007).
A conferma del gradimento della clientela per la nuova offerta ferroviaria alta velocità, va evidenziato che nei primi quattro mesi del 2010 si sono registrati oltre 6 milioni di viaggiatori, in particolare, tra Milano e Napoli l'incremento è stato del 31 per cento.
Per quanto concerne la qualità del materiale rotabile impiegato per i servizi di interesse pendolare, Ferrovie dello Stato fa presente che nel mese di settembre 2009 e, quindi, prima dell'avvio dell'investimento per i treni dell'alta velocità è stato varato il più grande piano di investimenti per il trasporto regionale degli ultimi trent'anni: 2 miliardi di euro per l'acquisto di nuove carrozze e locomotori destinati ai treni pendolari oltre alla ristrutturazione di un numero elevato di vetture già circolanti.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Altero Matteoli.

DI STANISLAO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
è stata realizzata la linea ad alta velocità Roma-Napoli, ma l'Abruzzo è tagliato fuori dal futuro insieme alla direttrice adriatica che ha rappresentato e rappresenta per i trasporti e per la mobilità europea un asse strategico per il collegamento con il Mediterraneo e i Balcani;
anche su facebook, il social network più famoso del mondo, nasce il gruppo dei pendolari della tratta ferroviaria Pescara-Giulianova-Teramo che porta avanti la protesta nei confronti di Trenitalia. Sono in tanti a scambiarsi opinioni, ad esprimere reciprocamente solidarietà, a lasciare sui numerosi gruppi la propria testimonianza fatta di disagi, le proprie storie di disservizi e ritardi. Una situazione che spinge sempre più utenti a scendere sul piede di guerra;
l'Abruzzo viene lasciata su un binario morto abbandonata tanto da Ferrovie dello Stato quanto dal Governo nazionale e regionale. L'alta velocità in questo suo fantascientifico decollo lascia di fatto a piedi tanti abruzzesi. L'amministratore delegato Franco Moretti parlando dell'alta velocità che diventerà la metropolitana veloce d'Italia con treni che sfrecceranno a 350 Km/h si è letteralmente dimenticato dell'Abruzzo dei pendolari a cui non viene data alcuna risposta per i loro quotidiani bisogni di mobilità. Lavoratori, studenti, impiegati, professionisti e chi più ne ha più ne metta continueranno a non avere alcun beneficio e di contro si troveranno di fronte aumenti tariffari tra il 10 e il 15 per cento;
un miliardo e mezzo è la cifra stanziata da Ferrovie dello Stato per i nuovi super treni, a quando verranno rinviati stanziamenti tesi a dare una risposta concreta al quotidiano e alla vita reale di migliaia e migliaia di abruzzesi che hanno a che fare con un servizio scadente ed ora anche con il taglio delle fermate lungo la costa abruzzese da Giulianova a Vasto passando per Pescara con problemi enormi per chi viaggia dopo l'eliminazione delle fermate degli eurostar e intercity -:
se il Governo sia a conoscenza della realtà e delle problematiche dei pendolari abruzzesi;
se il Governo intenda assumere iniziative nei confronti delle Ferrovie dello Stato affinché siano ripristinate le fermate dei treni in Abruzzo e si valuti la possibilità di mantenere le biglietterie al fine di dare un doveroso servizio a tutti quei cittadini che utilizzano il treno non solo per le vacanze, ma anche come unico mezzo di trasporto per lavoro, studio e per i fabbisogni giornalieri.
(4-05685)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
Ferrovie dello Stato fa presente che, con il completamento dell'alta velocità tra Torino e Salerno, sulla direttrice adriatica sono stati riorganizzati i collegamenti
eurostar city e intercity con l'obiettivo di differenziare adeguatamente i due diversi prodotti, di velocizzare i collegamenti anche attraverso una riduzione del numero delle fermate attuata tenendo conto dei volumi di traffico di ciascuna e di creare un efficace sistema di connessioni con i treni alta velocità.
Tale riorganizzazione è stata realizzata nell'ottica di utilizzare appieno le potenzialità offerte dagli ingenti investimenti infrastrutturali realizzati nel nostro Paese e di assicurare un servizio migliore ai viaggiatori che si muovono sulle distanze medio-lunghe a cui sono prevalentemente destinati questi collegamenti.
A partire dal 1o marzo 2010 il Ministero delle infrastrutture e trasporti ha incluso nell'ambito dei treni ammessi al contributo statale e regolati dal nuovo contratto di servizio tra questo ministero e Trenitalia (servizio universale), un nuovo collegamento
intercity Lecce-Torino (e viceversa), che effettua, in Abruzzo, le fermate di Vasto - S. Salvo, Pescara e Giulianova.


Per quanto concerne invece il materiale rotabile, va tenuto conto che il nuovo contratto di servizio tra la regione Abruzzo e Trenitalia prevede un investimento complessivo di 56 milioni di euro per l'acquisto di nuovo materiale rotabile da destinare ai servizi ferroviari regionali dell'Abruzzo, che consentirà il rinnovo sostanziale del parco rotabili regionale; inoltre, la collettività abruzzese beneficerà anche dei miglioramenti conseguenti agli investimenti per nuovo materiale rotabile, previsti dai contratti di servizio delle Marche e del Lazio, utilizzato anche per il servizio su relazioni abruzzesi.
Da ultimo, relativamente alle questioni inerenti le biglietterie, Ferrovie dello Stato fa sapere che con i nuovi contratti di servizio, cosiddetti «a catalogo», ciascuna regione ha la possibilità di scegliere autonomamente ed acquistare anche i servizi che ritiene utili nelle stazioni del proprio territorio, tra cui quelli di biglietteria.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Altero Matteoli.

DI STANISLAO. - Al Ministro del turismo, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
la «F.T.I. - Ferrovie Turistiche Italiane» è un'Associazione di volontariato nata nel 1998 che parte di «FEDECRAIL», la federazione europea del settore. La FEDECRAIL in particolare si prefigge di: promuovere il salvataggio, il restauro e la gestione del patrimonio ferroviario in Europa (i suoi membri rappresentano gli interessi vis-a-vis degli organismi internazionali e, in particolare, la Commissione europea a Bruxelles e il Parlamento europeo a Strasburgo); incoraggiare lo scambio di idee oltre i confini nazionali e culturali, nonché promuovere la cooperazione tra il museo ferroviario ed organizzazioni turistiche; contribuire a fornire consulenza e assistenza per tali organizzazioni;
uno dei principali obiettivi della «F.T.I.» è quello di estendere il concetto di ferrovia turistica anche a quelle linee ferroviarie dove, per il momento, non è possibile introdurre, per diversi motivi, servizi con convogli ferroviari propriamente detti. Si intende quindi salvaguardare il patrimonio ferroviario - dai binari, in primo luogo, alle stazioni, ai diversi manufatti ed agli stessi tracciati - che ancora esiste in tante splendide zone italiane;
oggi il patrimonio storico ferroviario è un'importante risorsa per la valorizzazione dei territori, in particolare dei territori interni, che ancora conservano ferrovie secondarie ottocentesche di eccezionale valore paesaggistico e naturalistico. Non si dimentichi che all'estero alcune ferrovie sono entrate nel patrimonio dell'umanità Unesco (ad esempio la ferrovia del Bernina da Tirano a Saint Moritz) mentre la rivista Siti della stessa Unesco ha ospitato proprio nel dicembre scorso un articolo sul deposito rotabili storici di Pistoia;
l'attenzione internazionale sulle ferrovie secondarie e la grande domanda di pubblico che caratterizza i viaggi sui treni storici o comunque turistici, non sono suffragate da un sufficiente apprezzamento da parte delle imprese di trasporto, impegnate con problemi contingenti di budget e che, in genere, non appaiono molto interessate a conservare la loro memoria;
le numerose esperienze di treni storico/turistici che circolano in tutta l'Italia sono quasi esclusivamente frutto di un impegno gravoso, ma competente e ostinato, delle tante associazioni di volontari finalizzate alla promozione del patrimonio storico ferroviario;
l'attività delle associazioni è però «strozzata» dai problemi economici, perché i treni sono proprietà delle imprese di trasporto che richiedono alti prezzi per affittare locomotive, littorine e carrozze; inoltre, complice una rigida normativa, ai volontari risulta difficile svolgere anche semplici mansioni dell'esercizio ferroviario, tali da ridurre le cifre del canone di noleggio;

occorre valutare una normativa specifica per i treni storici (come del resto esiste da decenni in tutti i paesi europei più avanzati) che pur garantendo la sicurezza del servizio, riduca i costi di effettuazione di questa tipologia di treni ed un'opera di sensibilizzazione di regioni ed enti locali per inserire nei contratti di servizio regionali una quota di chilometri da destinare ai viaggi dei treni storici e turistici -:
se il Governo non ritenga di dover valutare una serie di soluzioni che possano consentire ai treni storici di circolare e di continuare la loro opera di valorizzazione del territorio e in generale dell'Italia cosiddetta «minore».
(4-07160)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
In merito alle tariffe dei «treni storici», il cui parco è gestito e curato per la quasi totalità dalle direzioni regionali di Trenitalia, Ferrovie dello Stato fa presente che i treni di cui trattasi richiedono interventi specifici relativi a:
rimessaggio, effettuato negli spazi di pertinenza delle direzioni regionali (impianti, parchi, rimesse) avendo cura, per quanto possibile, di assicurare, in particolare, il ricovero al coperto dei mezzi di trazione a vapore (come avviene negli impianti di Rimini, Bussoleno, Tirano, Fabriano e in quello di Firenze Romito);
conservazione, che per la particolarità del materiale richiede specifici interventi di manutenzione straordinaria - al fine di assicurarne il mantenimento in efficienza e sicurezza - che vengono svolti sia nelle officine ferroviarie che in quelle private;
preparazione e condotta in esercizio.
Tali interventi comportano costi di una certa rilevanza e molto superiori a quelli dei treni ordinari, di cui è necessaria la copertura; in tale ottica e in linea con l'analogo criterio introdotto per la definizione dei nuovi contratti di servizio con le regioni per i servizi ordinari, anche per l'utilizzo dei treni storici è stato adottato un sistema di prezzi cosiddetto «a catalogo». Tali tariffe, distinte per tipologia di materiale rotabile (vapore, elettrico, diesel, automotrici), consentono la copertura dei costi sia di esercizio specifici sia di quelli relativi ai necessari interventi di mantenimento in efficienza sopra citati. Nell'ambito del catalogo sono, fra l'altro, previste riduzioni di prezzo nel caso in cui determinate operazioni (accensione, accudienza, eccetera) vengano, eventualmente, svolte direttamente dalle associazioni che richiedono il noleggio.
Infine, per quanto di competenza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ferma restando l'indubbia condivisibilità delle considerazioni e delle finalità sottese all'atto ispettivo in esame e salve le necessarie verifiche in ordine alla compatibilità con la disciplina normativa dei contratti di servizio, si evidenzia come la regolazione con contratto di servizio avverrebbe, a parità di risorse, a scapito del finanziamento di treni destinati al trasporto di passeggeri (segnatamente: intercity e treni notturni). Tali risorse sono costantemente sottodimensionate, rispetto al fabbisogno effettivo con conseguente contrazione, nel tempo, del perimetro dei servizi contribuiti.
Considerata la diversa
ratio sottesa alla salvaguardia dei treni storici rispetto alla erogazione di servizi di trasporto, è auspicabile destinare risorse finanziarie ad hoc allo scopo di consentire l'intervento dello Stato a tutela dei treni storici.
Ciò posto il ministero delle infrastrutture e dei trasporti è disponibile ad approfondire le prospettive di intervento pubblico in tale settore, verosimilmente con il ruolo precipuo dell'amministrazione preposta alla salvaguardia dei beni storici, al fine di garantire la preservazione e la fruizione pubblica di tale patrimonio.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Altero Matteoli.

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro

dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
la Commissione europea ha mandato un monito all'Italia, perché siano aboliti, entro due mesi, i costi dello smaltimento delle scorie radioattive, che compaiono ancora nella bolletta dell'ENEL (voce A2), costi che la Commissione ritiene ingiustificati;
questi costi impediscono la riduzione delle tariffe elettriche, perché «la produzione nazionale di elettricità beneficia degli oneri a carico dei clienti, usufruendo dei vantaggi derivanti da quegli stessi sovrapprezzi, laddove per le imprese straniere questi sovraprezzi costituiscono un onere netto, che aumenta il prezzo finale del loro prodotto»;
le autorità di Bruxelles sostengono in sostanza che i prezzi dell'energia elettrica sono maggiori in Italia perché gravati dai costi dello smaltimento delle centrali in esercizio negli anni 70-80 che, anche se non sono più attive, comportano enormi spese per il trattamento delle scorie radioattive; costi che dovrebbero essere a carico dell'Enel e non degli utenti;
secondo l'Unione europea, «tali costi ... devono essere sopportati dai produttori di elettricità ... secondo il principio «chi inquina, paga», una quota delle risorse finanziarie avrebbe dovuto essere messa da parte degli operatori nucleari per il trattamento dei residui e il loro stoccaggio a lungo termine in previsione dello smantellamento -:
se sia vero quanto riportato in premessa;
quando il governo aderirà alle richieste della Commissione europea;
a quanto ammontino le spese per il trattamento delle scorie radioattive delle centrali in esercizio negli anni 70-80.
(4-06533)

Risposta. - In merito a quanto evidenziato nell'interrogazione in esame, alla quale si risponde per delega della Presidenza del Consiglio dei ministri, si ricorda, in via preliminare, che la componente tariffaria A2, corrispettivo introdotto dall'articolo 3, commi 10 e 11, del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, offre copertura agli oneri generali afferenti al sistema elettrico, fra i quali i costi (oneri nucleari) della «commessa nucleare» della So.g.i.n spa, ossia i costi connessi allo smantellamento delle centrali elettronucleari dismesse, alla chiusura del ciclo del combustibile nucleare e alle attività connesse e conseguenti.
Pertanto, la componente tariffaria A2 non riguarda la copertura dei costi definiti impropriamente «smaltimento delle centrali» pregresse, bensì concerne il risarcimento degli oneri derivanti dal complesso delle attività di
decommissioning di tutti gli impianti nucleari e dalle attività concernenti la chiusura del ciclo del combustibile che comprendono, a loro volta, la sistemazione dei rifiuti derivanti sia dall'esercizio che dallo smantellamento di tali impianti.
Si precisa che i rilievi della Commissione europea sono finalizzati, ad oggi, non all'abolizione paventata, bensì alla richiesta di elementi per le valutazioni del caso e sono attinenti non solo alla componente A2, relativa agli oneri nucleari, ma anche ad altre componenti tariffarie, segnatamente la A3 (nuovi impianti da fonti rinnovabili e assimilate) e la A5 (ricerca e sviluppo per il sistema elettrico nazionale). Pertanto, il riferimento esclusivo dei rilievi della Commissione ad oneri derivanti dalle pregresse attività nucleari italiane, evidenziato nell'atto in esame, non appare appropriato, soprattutto alla luce dell'affermazione contenuta nell'atto medesimo a proposito della stretta interrelazione fra la presenza nella bolletta elettrica della componente tariffaria A2 e l'eccessivo costo dell'energia elettrica italiana, rispetto a quella di molti altri Paesi europei, che dipende invece da molti altri fattori.
Tale interrelazione, in realtà, non si deduce dai rilievi della Commissione europea. Quest'ultima, infatti, nel dare corso alla procedura di infrazione, rileva che nella struttura della bolletta elettrica compaiono

delle voci che producono una distorsione del mercato violando il principio della libera concorrenza, costituendo un'imposizione che concede ai prodotti nazionali un trattamento più favorevole nei confronti dei prodotti similari degli altri Stati membri.
Secondo l'interpretazione della Commissione, infatti, le maggiorazioni sono percepite indistintamente sia sull'elettricità di produzione nazionale che su quella di importazione, mentre gli introiti da esse derivanti verrebbero ridistribuiti solo in favore dei produttori italiani, neutralizzando così in parte l'onere fiscale che grava su questi ultimi, con conseguente svantaggio per i produttori esteri, che non riceverebbero, viceversa, alcuna compensazione. Nel caso della componente A2, gli introiti da essa derivanti verrebbero utilizzati per finanziare attività che, a parere della Commissione, sembrano essere rivolte unicamente a beneficio dei prodotti italiani.
In ogni caso la Commissione, ritenendo di non disporre di informazioni precise sulla misura in cui l'onere impositivo sull'energia elettrica nazionale è compensato dal finanziamento ricevuto dalle imprese nazionali produttrici di elettricità, ha chiesto alle Autorità italiane chiarimenti che, per la parte relativa al ministero dello sviluppo economico, sono stati forniti nel mese di giugno 2010. Le valutazioni che sono state proposte all'attenzione della Commissione sono, nella sostanza, finalizzate a mettere in luce che:

a) la componente A2, così come le altre componenti de quibus, non può essere considerata tributo che colpisca indistintamente i prodotti nazionali e quelli importati, dal momento che non incide sulla formazione del prezzo dell'energia elettrica, ma, sul prodotto al momento della sua distribuzione (la cessione dell'energia elettrica importata avviene attraverso contratti bilaterali tra produttore e distributore e, in quel momento, il prodotto non è gravato dall'imposizione di oneri aggiuntivi);
b) la componente A2, a suo tempo istituita dall'Autorità per l'energia elettrica ed il gas, rappresenta la maggiorazione sulla tariffa a copertura degli oneri nucleari che i fondi accantonati da Enel non sono stati in grado di coprire. Tale, incapienza è dipesa dal breve periodo di esercizio di tali impianti da parte di Enel (conseguente alla chiusura anticipata degli impianti) e, quindi, dalla conseguente impossibilità per l'esercente di costituire la necessaria riserva di fondi;
c) l'aver compensato i suddetti costi con la componente A2 in quota parte non ha, dunque, determinato un indebito vantaggio a favore della produzione nazionale, ma ha semplicemente posto a carico della collettività i costi conseguenti ad una scelta politica, supportata dai risultati di un referendum nazionale, non imputabile ad Enel, né da essa prevedibile (e che peraltro nessun produttore estero ha dovuto affrontare);
d) da quanto precede, deriva che per la parte che ha coperto il decommissioning accelerato la componente A2 non ha determinato alcun effetto discriminatorio, in quanto per i costi conseguenti alla scelta politica di uscire dal nucleare, così come per tutte le spese pubbliche (articolo 53 costituzione italiana), è stato deciso che fossero pagati dalla collettività, che ha determinato quella scelta a partire dagli esiti dei referendum del 1987.
In merito alla necessità che i costi della disattivazione siano sostenuti dai produttori di elettricità, lo Stato italiano ha dato subito segnale di piena condivisione del principio di «chi inquina, paga» attraverso il recepimento dello stesso nella normativa nazionale. Anche la nuova normativa di riassetto del settore nucleare, il decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 31, ha espressamente previsto la costituzione del «Fondo per il
decommissioning», alimentato dal titolare dell'autorizzazione all'esercizio dei nuovi impianti nucleari previsti dalla politica energetica del Governo. L'entità degli accantonamenti sarà tale da sostenere, da sola, i costi di decommissioning sempre che l'impianto possa restare in esercizio per la durata necessaria ad ammortizzarli.


Per quanto concerne, infine, i costi da sostenere per il trattamento, condizionamento e smaltimento dei rifiuti radioattivi prodotti nel passato dal settore energetico nucleare nazionale, essi dipendono sia dalle tecniche utilizzate per il
decommissioning che dai modi e tempi di realizzazione su cui è difficile fare previsioni e valutazioni realistiche, in quanto, a loro volta, condizionati dai tempi necessari alle autorizzazioni di competenza esclusiva degli enti locali che gestiscono i territori in cui sono localizzati tali impianti. È verosimile comunque stimare, al momento, un costo complessivo finale di 5,2 miliardi di euro.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Stefano Saglia.

GALATI. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
negli ultimi giorni a causa delle continue e incessanti piogge, il settore agricolo ha subito ingenti danni. La Confederazione italiana agricoltori ha quantificato in decine di milioni di euro l'ammontare di tali danni. La Cia traccia un quadro abbastanza preoccupante dopo le piogge torrenziali e le grandinate di questi giorni, in particolare nelle regioni del Centro-Nord. Sono andate distrutte molte coltivazioni, gravi le conseguenze per serre e strutture aziendali, impercorribili molte strade rurali. Diversi fiumi e laghi sono al limite di guardia, gli smottamenti e le violente folate di vento hanno avuto conseguenze devastanti per le campagne. Pesanti le conseguenze per moltissime colture orticole in campo aperto, alberi da frutta primaverile ed estiva. Danni che - come conferma la confederazione - hanno colpito anche strutture agricole e in particolar modo serre florovivaistiche. Un discorso che in modo equivalente si estende alle stalle e alle cascine per il rimessaggio di foraggio e di attrezzature aziendali, invase dalle acque. I danni maggiori si registrano per l'appunto nelle regioni del Nord, con particolare riferimento a Lombardia, Veneto, e ancora Toscana ed Emilia Romagna che sembrano però registrare problemi di entità lieve. La Cia ha già provveduto a dichiarare lo stato di calamità naturale istituendo delle unità di crisi per fronteggiare eventuali peggioramenti causati soprattutto dal possibile aggravarsi della situazione meteorologica;
questo grave danno per l'agricoltura italiana va inoltre ad aggiungersi al possibile disimpegno delle risorse messe a disposizione dell'Unione europea per i programmi di sviluppo rurale -:
quali misure urgenti il Ministero intenda adottare per superare questo terribile momento per la categoria degli agricoltori;
quali provvedimenti ritenga opportuno assumere per le regioni più colpite in considerazione del fatto che le stesse rappresentano quelle più virtuose nei cosiddetti programmi di sviluppo rurale (Psr) e motore trainante dell'agricoltura nazionale.
(4-07220)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, concernente l'ondata di maltempo che nel mese di maggio 2010 ha colpito il nord Italia (in particolare, Lombardia, Veneto, Toscana ed Emilia Romagna) con conseguenti gravi danni al comparto agricolo, faccio presente che il decreto legislativo n. 82 del 2008 (recante modifiche al decreto legislativo n. 102 del 2004 sugli interventi finanziari a sostegno delle imprese agricole) stabilisce, tra l'altro, l'attivazione di interventi compensativi del Fondo di solidarietà nazionale esclusivamente nel caso di danni a produzioni, strutture e impianti produttivi non inseriti nel Piano assicurativo agricolo annuale, finalizzati alla ripresa economica e produttiva delle imprese agricole che hanno subito danni (superiori al 30 per cento della produzione lorda vendibile) determinati dagli eventi ivi indicati e nei limiti previsti dalla normativa comunitaria.
Qualora dovessero pervenire richieste formali da parte delle citate regioni, l'ufficio competente provvederà tempestivamente

alla relativa istruttoria con l'eventuale emissione, accertati i presupposti di legge, del decreto di declaratoria di attivazione delle misure di aiuto.
Con l'occasione metto in evidenza che, ai sensi della vigente normativa, per le colture, strutture e avversità, non assicurabili al mercato agevolato, sono previsti i seguenti interventi:

a) contributi in conto capitale fino all'80 per cento del danno sulla produzione lorda vendibile ordinaria;
b) prestiti d'ammortamento quinquennale per le maggiori esigenze di conduzione aziendale nell'anno in cui si è verificato l'evento calamitoso;
c) proroga delle rate delle operazioni di credito in scadenza nell'anno in cui si è verificato l'evento calamitoso;
d) contributi in conto capitale per il ripristino delle strutture aziendali e la ricostituzione delle scorte eventualmente compromesse o distrutte.

Compatibilmente con le esigenze primarie delle imprese agricole, potranno essere adottate anche misure volte al ripristino delle infrastrutture connesse all'attività agricola, tra cui quelle irrigue e di bonifica, con onere della spesa a carico del Fondo di solidarietà nazionale.
Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali: Giancarlo Galan.

GALATI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
in una delle ultime inchieste di Altroconsumo, associazione per la difesa del consumatore, è emersa una situazione altamente a rischio per ciò che concerne la viabilità urbana ed extraurbana. L'associazione ha passato al setaccio circa 2500 chilometri della nostra rete stradale, evidenziando molti punti di rischio, con una documentazione sia fotografica che video. Molte sono le situazioni di pericolo soprattutto per i motociclisti a causa di pali in mezzo alla strada, assenza di guard rail, scarpate senza protezioni, dossi non segnalati. La maggior parte degli incidenti, oltre all'imprudenza dei motociclisti e automobilisti, è originata dalla scarsa sicurezza autostradale causata da una cattiva gestione e da investimenti miopi. Controllando bene i bilanci dello Stato, molte sono le risorse messe in campo ed investite per la manutenzione delle strade, calcolate in 5 miliardi di euro all'anno. A tali fondi si aggiungono le quote provenienti dal pedaggio autostradale che le società private gestiscono per ammortizzare i loro investimenti senza peraltro raggiungere la fase di ammortamento;
i maggiori costi dunque sono a carico del cittadino, che rischia quotidianamente la vita a causa del dissesto della nostra rete autostradale;
è opportuno non sottovalutare il grido d'allarme lanciato dalle varie associazioni dei consumatori, ma intervenire per ammodernare le nostre infrastrutture e ridurre le concause delle morti sulle strade -:
se il Ministro sia a conoscenza della pericolosa situazione connessa alla cosiddetta emergenza nella viabilità stradale;
quali forme di controllo il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti intenda attuare per evitare eventuali cattivi investimenti;
se siano previste ulteriori forme di investimento per la manutenzione e la messa in sicurezza delle nostre strade.
(4-07568)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
Le società concessionarie investono annualmente, sulle infrastrutture in gestione, le risorse previste nei piani finanziari contenuti nelle convenzioni stipulate con il ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Tali interventi comprendono sia la manutenzione ordinaria che quella straordinaria

dove è inclusa anche la voce «barriere di sicurezza».
Lo stato di attuazione delle opere viene controllato dal competente ispettorato di vigilanza concessioni autostradali (Ivca) che verifica eventuali scostamenti dai piani di riferimento ed avvia, di conseguenza, azioni nei confronti della società concessionaria inadempiente.
L'ispettorato di vigilanza svolge, inoltre, puntuali visite ispettive sulle tratte autostradali, tese al controllo dei lavori effettivamente svolti dalle concessionarie; nel caso in cui vengano rilevate eventuali anomalie, l'Ivca provvede a dispone l'immediata regolarizzazione.
Per quanto riguarda la rete viaria statale, si fa presente che l'ANAS gestisce direttamente circa 21.500 chilometri di strade statali e circa 1.200 chilometri di autostrade.
Nel corso dell'anno 2009, sono stati spesi per la manutenzione ordinaria 217 milioni di euro circa e 174 milioni circa per quella straordinaria di cui 128 milioni per interventi sulle pavimentazioni.
L'ANAS è costantemente impegnata nel controllo delle condizioni di sicurezza sulla rete di pertinenza ed ha in corso un progetto per la risoluzione dei punti neri, inserito nel «piano nazionale della sicurezza stradale», che parte proprio dalla individuazione dei punti particolarmente critici per la viabilità e per i quali vengono proposti interventi risolutivi.
Allo stato risultano avviati 59 progetti, dei circa 200 interventi previsti nel piano, per un investimento di oltre 171 milioni di euro.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Altero Matteoli.

GARAVINI, BUCCHINO, FEDI, NARDUCCI e PORTA. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
sono state riscontrate anomalie riguardanti il voto per i candidati italiani, da parte di numerosi italiani all'estero nel corso delle elezioni europee tenutesi presso i seggi allestiti dai Consolati nei giorni 5 e 6 giugno 2009;
gli italiani all'estero hanno potuto scegliere se votare per i candidati italiani presso i seggi allestiti dai Consolati i giorni 5 e 6 giugno, o per i candidati del Paese di residenza in una giornata compresa nell'arco di tempo tra il 4 ed il 7 giugno 2009, a seconda delle consuetudini elettorali dei diversi Paesi di residenza;
come previsto dalla legge, gli italiani all'estero hanno ricevuto dal comune di residenza i moduli per iscriversi alle liste elettorali del Paese di residenza o direttamente la scheda elettorale del Paese di residenza nel caso in cui si fossero già iscritti a tali liste per elezioni europee o eventuali amministrative passate;
gli italiani iscritti all'AIRE, compresi coloro che in elezioni passate si erano iscritti alle liste elettorali del Paese di residenza, hanno ricevuto direttamente da Roma la scheda elettorale per votare per i candidati italiani;
nei documenti giunti dal Ministero dell'interno o dal comune estero di residenza era data indicazione di dare un solo voto per non andare incontro a sanzioni, poiché il possesso eventuale di due schede elettorali rendeva di fatto possibile votare sia per i candidati italiani, sia per quelli esteri;
in nessuno dei documenti inviati era data indicazione della necessità di accertarsi di non essere inseriti nelle liste elettorali del Comune di residenza nel caso si volesse votare per un candidato italiano;
in nessuno dei documenti era indicato di doversi cancellare ufficialmente dalle liste elettorali presso il comune di residenza, nel caso ci si fosse iscritti alle liste elettorali in occasione di elezioni europee o amministrative passate;
in Olanda, Francia e Finlandia si sono verificati numerosi casi di connazionali che desideravano votare per i candidati italiani, respinti al seggio nonostante

fossero in possesso di una scheda di voto valida per i candidati italiani;
in Olanda le votazioni per i candidati locali si sono svolte il giorno 4 giugno: nei giorni 5 e 6 giugno numerosi connazionali si sono recati al seggio con regolare certificato elettorale italiano, ma circa un terzo di loro, da dichiarazioni di stampa, è stato respinto dalle autorità perché considerato «optante»; pur non avendo espresso l'intenzione di votare per i candidati locali, le autorità italiane li hanno considerati optanti alla luce di scelte evidentemente prese in occasione di tornate elettorali precedenti;
molti di questi connazionali residenti in Olanda avevano con sé anche il certificato elettorale del Paese di residenza integro, a testimonianza di non aver già votato per i candidati olandesi il 4 giugno, e di non voler quindi esprimere un doppio voto; tali cittadini sono stati tuttavia respinti al seggio;
le autorità hanno impedito la votazione agli «optanti» sulla base di una lista fornita dalle autorità locali sulla quale erano elencati gli italiani all'estero che in elezioni passate si erano iscritti alle liste elettorali del Paese di residenza;
perché, rispetto ad un crescente ed allarmante astensionismo, non si sia provveduto a fornire un'indicazione trasparente, chiara e completa sulle modalità di voto per gli italiani all'estero;
perché attraverso i documenti elettorali inviati non sia stata data comunicazione direttamente dal Ministero, o attraverso i comuni di residenza della necessità di cancellarsi dalle liste elettorali locali nel caso si fosse votato per candidati esteri in tornate elettorali passate;
perché non si sia fatto tutto il possibile per consentire l'esercizio del voto a quei connazionali in possesso del certificato elettorale locale integro e di cui si sarebbe potuto quindi accertare la volontà di esercitare il voto per i soli candidati italiani e non per il doppio voto;
come si giustifichi che numerosi certificati elettorali siano arrivati in forte ritardo e che talvolta gli indirizzi dei seggi indicati non fossero corretti.
(4-03208)

Risposta. - In un'ottica di sempre maggiore integrazione europea la normativa comunitaria ha previsto da tempo la possibilità - per i cittadini comunitari residenti in uno Stato dell'Unione diverso da quello di cittadinanza - di poter votare su domanda (cosiddetta opzione) per i candidati dello Stato di residenza.
Tale facoltà è espressamente prevista solo in occasione di elezioni europee (direttiva n. 93/109/CE) e di elezioni comunali e circoscrizionali (direttiva n. 94/80/CE).
Al riguardo, ogni Stato membro ha emanato apposite disposizioni nazionali, con le quali ha dato attuazione a tali direttive; il nostro Paese ha approvato, per le elezioni europee, il decreto-legge n. 408 del 1994, convertito dalla legge n. 483 del 1994 e, per le comunali e circoscrizionali, il decreto legislativo n. 197 del 1996; tali provvedimenti disciplinano le procedure sia per la presentazione delle domande dei comunitari, che per la conseguente tenuta, da parte di tutti i comuni italiani, delle distinte «liste elettorali aggiunte» per le elezioni comunali e, rispettivamente, per le elezioni europee.
Ciò premesso, mentre per le elezioni comunali non vi è rischio di «doppio voto» degli optanti (perché, ad esempio, il comunitario che vota per il sindaco italiano può continuare a votare per le diverse elezioni degli organi del comune di ultima residenza dello Stato di cittadinanza), completamente differente si presenta la situazione degli «optanti» per i candidati locali delle elezioni europee i quali, essendo ormai elettori dei membri del Parlamento europeo del Paese di residenza, non possono votare due volte per le elezioni europee, esprimendo anche il voto per i candidati dello Stato di cittadinanza.
Il rischio di doppio voto può concretamente sussistere specie nel caso in cui, come prevede il nostro ordinamento, vengono istituiti seggi, nel territorio degli altri Paesi dell'Unione europea, per la partecipazione

degli elettori italiani ivi residenti alle elezioni dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia.
Al fine di garantire la regolarità delle elezioni europee, la Commissione europea ha emanato, come di consueto, istruzioni agli organi tecnici di tutti i Paesi membri dell'Unione, affinché venisse attuato - preferibilmente in via informatica e attraverso «punti di contatto» unici per ogni Stato e accreditati presso la stessa Commissione europea - il necessario scambio di informazioni sui nominativi degli optanti, da cancellare necessariamente dalle liste elettorali dei Paesi di cittadinanza, proprio nell'ottica della necessità di impedire il doppio voto.
Conformemente a tali direttive della Commissione europea, il Ministero dell'interno ha provveduto ad elaborare l'elenco degli optanti comunitari residenti in Italia, comunicandolo doverosamente, pro quota parte, ai rispettivi Stati di cittadinanza per le necessarie cancellazioni e, specularmente, si sono ricevute le comunicazioni degli optanti italiani per i candidati locali da parte di tutti gli Stati membri, provvedendo doverosamente a cancellare tali optanti dalle liste sezionali italiane all'estero; nel caso di comunicazioni di optanti negli ultimi giorni prima del voto (in alcuni Paesi europei il termine ultimo per l'opzione era fissato con propria normativa in date molto ravvicinate a quelle di votazione), si è provveduto a segnalare in via informatica tali nominativi al Ministero degli affari esteri perché, a sua volta, ne informasse i Consolati ed i presidenti di seggio all'estero (ad alcuni optanti dell'ultima ora potrebbe anche essere stato inviato il certificato elettorale prima che lo Stato di residenza comunicasse al Ministero dell'interno che costoro avevano effettuato l'opzione).
Ogni Stato membro, conformemente alle direttive della Commissione europea, ha l'onere di informare i propri elettori sulle modalità previste dalla propria normativa in merito all'esercizio del voto per i membri del Parlamento europeo ad esso spettanti ed ha la responsabilità della formazione delle proprie liste elettorali, ivi comprese le liste degli «optanti», elaborate, si ripete, sulla base della normativa dello Stato di residenza.
Per quanto sopra - non potendo certo le Autorità italiane mettere in discussione eventuali principi introdotti per la formazione delle liste elettorali dalle normative interne dei vari Stati dell'Unione nell'ambito della loro piena sovranità, né la correttezza dell'operato amministrativo dei vari Stati membri - non poteva in ogni caso procedersi sulla base di mere lamentele ad ammettere al voto per i membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia persone che altri Stati ritenevano essere propri elettori e che risultavano iscritti nelle liste elettorali di altri Paesi.
Appare evidente, infatti, che eventuali rettifiche agli elenchi di optanti precedentemente comunicati da ogni Stato non possono che provenire dagli Stati stessi.
In particolare, per quanto riguarda gli specifici casi citati dall'interrogante si precisa che, per quanto riguarda l'Olanda, appare evidente che i cittadini avrebbero dovuto attivarsi tempestivamente presso le Autorità locali olandesi per chiarire la loro volontà di essere cancellati dalle liste olandesi e poter così esprimere il proprio voto nel nostro Paese.
Nei certificati inviati dall'Italia, tra l'altro, era espressamente ricordato il divieto del doppio voto (con l'ovvia conseguenza, quindi, che ogni elettore può essere iscritto nelle liste di un solo Stato).
Per quanto, invece, concerne la Francia, il punto di contatto del Governo francese ha comunicato la «
radiation» di diciotto elettori italiani dall'elenco di optanti, per cui gli stessi sono stati conseguentemente ammessi al voto per i membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia tramite attestazione consolare.
Nessun'altra comunicazione di cancellazione dall'elenco di optanti da parte della Francia o di altri Paesi risulta essere pervenuta ad Autorità italiane.
Quanto a coloro che si sono presentati al seggio muniti di certificato elettorale del Paese di residenza integro, come prova della volontà di non esprimere un doppio voto, va precisato che la eventuale dimostrazione

di non aver espresso il voto per i candidati di tale Stato non può consentire, in ogni caso, di poter votare all'ultimo momento per i candidati di un altro Stato (così come analogamente non sono consentiti, nel territorio nazionale, i «cambi» da una circoscrizione all'altra, ad esempio in occasione delle elezioni politiche).
Quanto, infine, alle modalità di consegna dei certificati elettorali spediti dall'Italia, si rappresenta che tali certificati sono stati tutti spediti nel termine di legge del quindicesimo giorno antecedente la consultazione e, nonostante qualche «chiusura» di sistemi postali stranieri dovuta ad alcune festività locali, risultano comunque generalmente arrivati in tempo utile.
Per quanto, infine, concerne la correttezza degli indirizzi dei seggi indicati dal Ministero degli affari esteri sulla base delle scelte logistiche dei vari Consolati, non risulta che vi siano stati particolari disservizi.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Michelino Davico.

GARAVINI, BUCCHINO, PORTA e FEDI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
a seguito del consistente taglio delle risorse finanziarie stabilito dalla legge di bilancio per gli assegni di sede del personale da destinare all'estero presso le istituzioni e le iniziative scolastiche e universitarie, il Ministero degli esteri ha disposto un'ulteriore revisione in termini riduttivi di tale contingente per l'anno scolastico-accademico 2010-2011;
in particolare, la circolare ministeriale (numero di protocollo 267/P) destinata alle sedi consolari e ambasciate italiane all'estero comunica il «congelamento» del lettorato di MAE di Mannheim a partire dal prossimo settembre;
tale decisione si pone in forte contrasto con gli impegni già assunti dallo Stato italiano e ribaditi solo pochi mesi fa ai quadri dirigenti dell'università di Mannheim nel corso di un incontro tenutosi a Mannheim lo scorso febbraio tra la dirigenza del seminario di romanistica e la rappresentanza diplomatica italiana, nel quale il console generale a Stoccarda ha confermato l'arrivo di un lettore/lettrice di ruolo all'università di Mannheim;
in funzione del suddetto colloquio e come segnale di apprezzamento per l'interesse segnalato dalle autorità italiane, la dirigenza del seminario di romanistica ha subito deliberato l'attivazione di nuovi corsi di studio e l'aumento delle quote di studenti ammessi ai corsi, impegnandosi in un potenziamento dell'italianistica già a partire dal prossimo semestre accademico che richiede necessariamente la presenza di un docente ministeriale che possa coprire 18 ore settimanali di carico didattico nonché garantire una presenza quotidiana in istituto al fine di promuovere e seguire l'istituzionalizzazione delle riforme in questione;
il congelamento del lettorato MAE di Mannheim, oltre a impone un passo indietro poco dignitoso al seminario, rischierebbe di compromettere seriamente il futuro dell'italianistica a Mannheim la quale non sarebbe più in grado di offrire neanche il minimo contingente di ore atte a coprire i corsi base, dal momento che attualmente l'università di Mannheim dispone di un solo lettorato in sede, direttamente dipendente dal Land Baden-Württemberg, di 16 ore settimanali assolutamente insufficienti a coprire il carico di cui sopra;
l'eliminazione del lettorato MAE presso l'università di Mannheim rappresenterebbe un ulteriore grave perdita per la popolazione italiana residente che costituisce ben il 20 per cento degli oltre 450.000 abitanti della città;
dopo l'eliminazione, nell'arco degli ultimi anni, di tutta una serie servizi di supporto vitali per i cittadini italiani residenti quali la soppressione dei corsi di lingua garantiti a tutti i figli dei cittadini italiani emigrati all'estero, la chiusura degli uffici didattici così come dell'agenzia consolare prevista per l'agosto 2010 e ora

anche il congelamento del lettorato ministeriale, la città di Mannheim non avrà più alcuna rappresentanza italiana a tutela dei propri cittadini e dei loro figli che cresceranno senza possibilità di rapporto con la cultura di origine;
con il progressivo venire meno dell'impegno dello Stato italiano nella regione si toglierebbe non solo supporto ai cittadini italiani oltreconfine, ma si colpirebbe anche l'impresa Italia all'estero, visto che Mannheim, punto nevralgico nel bacino del Rhein-Neckar, ha un'importanza strategica dal punto di vista delle relazioni commerciali con la Germania ed è sede di importanti industrie come la Boehringer o la BASF che sono state spesso preziosi sponsor di iniziative italiane e hanno avuto contatti privilegiati con le rappresentanze italiane in loco come la raccolta di italianistica -:
se non si ritenga necessario intervenire affinché la lingua, la cultura e il potenziale produttivo che l'Italia possiede nella regione non vadano sprecati disponendo di conseguenza la revoca della misura disposta dal MAE per la sede di Mannheim e garantendo così la continuità dell'insegnamento dell'italiano.
(4-07080)

Risposta. - In merito a quanto rappresentato dall'interrogante nella presente interrogazione si forniscono i seguenti elementi di informazione.
A fronte della difficile congiuntura economica la legge finanziaria ha ridotto notevolmente per il 2010 le risorse sul capitolo di bilancio 2503 del Ministero degli affari esteri, sul quale gravano le spese relative agli assegni di sede da corrispondere al personale destinato a prestare servizio nelle istituzioni scolastiche e accademiche all'estero. Di conseguenza è stato inevitabile adottare misure atte a ridurre la spesa. In particolare la contrazione delle risorse finanziarie ha imposto inizialmente una riduzione di dodici lettorati e successivamente la disattivazione di altri sei per un totale di diciotto posti, unitamente ad altri 94 posti di personale scolastico di ruolo all'estero. Tale riduzione è stata effettuata prevalentemente nell'area dell'Europa occidentale, nei Paesi dove più elevata è la percentuale di contingente dei lettori (Spagna, Francia e Germania), nonché in altri paesi in relazione a criteri quali il ridotto numero di ore di lezione e/o di studenti tale da non giustificare pienamente l'impiego di un lettore. Per quanto attiene in particolare alla situazione di Mannheim si fa presente che in Germania, dove gli studi di italianistica dispongono in linea generale di strutture e mezzi, sono attualmente attivi 19 lettorati e che il lettore in servizio svolge 16 ore e 45 minuti di insegnamento a fronte delle 18 previste dall'articolo 28 del Contratto collettivo nazionale scuola (Ccnl/scuola) in vigore anche se i lettori sono tenuti al completamento dell'orario di servizio in attività seminariale, di assistenza agli studenti o di tutoraggio
ex articolo 12, lettera b) del Contratto collettivo nazionale integrato estero (Ccnie) dell'8 maggio 2001.
Nella predisposizione di un piano di dimensionamento dei lettorati, conseguente alla riduzione di spesa, sono state individuate prioritariamente quelle sedi, come nel caso di Mannheim, ove l'impegno orario e/o il numero degli studenti risulta ridotto.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Alfredo Mantica.

GARAVINI, BUCCHINO, FEDI e PORTA. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
l'ufficio scuola del consolato d'Italia a Dortmund ha dato prova nel tempo di capacità organizzative e didattico-pedagogiche fondamentali per l'integrazione e la crescita socio-culturali e scolastiche dei bambini italiani residenti nella circoscrizione consolare;
nel quadro delle restrizioni assunte dal Ministero degli affari esteri in ordine agli interventi per la promozione della lingua e della cultura, dal 1° settembre 2010 si è disposta l'eliminazione dell'ufficio scuola del consolato di Dortmund come probabile conseguenza della razionalizzazione

della rete consolare messa in atto dal Governo;
la chiusura di tale ufficio e il venir meno dell'importante figura del referente scolastico circoscrizionale, che non può essere sostituita dal sistema integrato di funzioni consolari, rappresenta una seria minaccia per i servizi essenziali da offrire agli oltre 8.000 alunni italiani e alle loro famiglie e comporta negative ripercussioni nei rapporti con le istituzioni tedesche;
in particolare, l'azione di suddetto ufficio risulta indispensabile per corrispondere a molteplici esigenze: concertare azioni con il Governo del Land Nordreno-Vestfalia; riavviare i tavoli di intesa bilaterale affinché venga garantita l'offerta dei corsi di lingua e cultura: promuovere, in collaborazione con le istituzioni locali, nuovi progetti per l'integrazione scolastica, consolidare e diffondere scuole e sezioni bilingue italo-tedesche ed esperienze di alfabetizzazione coordinata bilingue a livello prescolare: coordinare e integrare le iniziative di sostegno per gli alunni con difficoltà di apprendimento promosse dalle scuole e dagli enti gestori attingendo a risorse locali -:
se non si intenda assumere tutte le iniziative necessarie per evitare che si determini uno squilibrio nella situazione consolidatasi negli ultimi anni, garantendo l'operatività dell'ufficio scuola del consolato di Dortmund.
(4-07216)

Risposta. - In merito a quanto rappresentato dall'interrogante nella presente interrogazione si forniscono i seguenti elementi di informazione.
La chiusura dell'ufficio scuola presso il consolato d'Italia a Dortmund, decisa nel quadro dell'opera di razionalizzazione messa in atto dal Ministero degli affari esteri, ed il trasferimento del dirigente scolastico a Colonia, non costituiranno un ostacolo alla realizzazione dei servizi scolastici culturali, né pregiudicheranno la collaborazione con le autorità locali, in quanto il dirigente continuerà anche nell'anno scolastico 2010/2011 ad avere la giurisdizione sulle attività scolastiche di Dortmund, oltreché su quelle della nuova sede di residenza di Colonia.
Sarà quindi la stessa persona a garantire, coordinare e ad integrare le iniziative di sostegno degli alunni in difficoltà di apprendimento. Non verranno meno le attività di concertazione con il Governo del Land Nordreno Westfalia in merito sia ai progetti volti all'integrazione degli alunni nel tessuto sociale e scolastico del Paese ospitante, sia al mantenimento delle sezioni bilingui nelle istituzioni scolastiche tedesche, obiettivi prioritari della politica scolastica all'estero di questo Ministero degli affari esteri.
Le famiglie degli alunni potranno mettersi in contatto con il dirigente scolastico per via telematica, telefonica o di persona nei giorni che saranno fissati per gli incontri.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Alfredo Mantica.

GARAVINI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
il sottosegretario agli affari esteri onorevole Vincenzo Scotti, nel corso della risposta ad un'interpellanza urgente dell'interrogante volta a richiedere una sospensione del piano di razionalizzazione dei consolati, ha affermato testualmente che «i contatti con le autorità tedesche, in merito all'istituzione di eventuali strutture consolari più leggere in loco, hanno fatto emergere una preclusione rispetto a soluzioni diverse dal mantenimento di un vice consolato»;
l'amministrazione della Farnesina, in occasione di un incontro con le rappresentanze sindacali interne, ha dichiarato che in conseguenza di questa evenienza, ha deciso di operare la chiusura delle sedi di Amburgo (1° gennaio 2011), Mannheim (1° ottobre 2010), Norimberga (1° settembre 2010), Saarbrücken (1° settembre 2010), senza prevedere soluzioni alternative per assicurare la continuità dei servizi per le nostre comunità;

la posizione delle autorità tedesche in merito alla chiusura dei consolati nel recente passato si è manifestata in termini di preoccupazione sia per il fatto che sarebbero venuti a mancare utili punti di riferimento in alcune aree importanti per i rapporti tra i due Stati che per l'interruzione del flusso dei servizi a sostegno di un'importante comunità come quella italiana;
in diverse occasioni alcune autorità tedesche regionali e locali hanno espresso una concreta disponibilità a concorrere alla riduzione dei costi della rete consolare, dichiarandosi pronti a mettere a disposizione anche locali pubblici per consentire la conservazione dei consolari minacciati di chiusura;
ancora in queste settimane alcuni rappresentanti di istituzioni tedesche, come il Borgomastro della città di Norimberga, Ulrich Maly, e il deputato federale Michael Frieser, hanno rivolto un appello al Ministro degli esteri tedesco Guido Westerwelle, affinché consideri con favore la possibilità di una mediazione circa il profilo del personale amministrativo italiano chiamato a gestire eventuali strutture alternative dei consolati -:
quale sia lo stato delle relazioni tra le nostre autorità diplomatiche e quelle tedesche in merito alla questione della presenza dei nostri consolati in Germania, visto che a più riprese i nostri interlocutori si sono dichiarati molto interessati a conservare la nostra rete consolare sul loro territorio a beneficio di entrambi i Paesi;
se non ritenga di rivedere la politica attuata in relazione ai nostri consolati in terra tedesca, disponendo la chiusura di quattro di essi senza prevedere alcuna efficace alternativa, sia pure di diverso profilo amministrativo;
se non ritenga di disporre la sospensione di tali misure, che potrebbero ancor più inasprire i rapporti con i nostri interlocutori, e aprire con le autorità tedesche una seria trattativa rivolta a cercare una soluzione soddisfacente per entrambi le parti.
(4-07552)

Risposta. - In merito a quanto rappresentato dall'interrogante nel presente atto parlamentare si forniscono i seguenti elementi di risposta.
Nel mantenere un costante dialogo con il Parlamento durante tutto il processo di razionalizzazione della rete estera, la Farnesina ha sempre attribuito prioritaria importanza alle esigenze dei connazionali residenti nelle circoscrizioni interessate dagli interventi, ricercando soluzioni condivise con le Autorità locali. Nel caso dei Consolati di Norimberga e Saarbrücken, a seguito di serrate consultazioni con il Ministero degli esteri tedesco - cui hanno contribuito anche interventi di autorevoli esponenti dei
Laender coinvolti - è stata accolta l'ipotesi da noi prospettata di collocare in loco strutture consolari sostitutive, modulabili secondo le nostre esigenze e tali da consentire di continuare a garantire una piena assistenza alle collettività italiane a seguito della chiusura dei citati Consolati.
Difatti, proprio per venire incontro alle istanze delle comunità di connazionali, in luogo del mero accorpamento, originariamente previsto, dei Consolati di Norimberga e Saarbrücken con i Consolati generali di Monaco e di Francoforte, era stata ipotizzata l'attivazione di strutture sostitutive «leggere» (uno sportello consolare a Saarbrücken ed un'agenzia consolare a Norimberga). In particolare, il modello dello sportello consolare, desumibile dalla Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari del 1963, è già operante, con successo, anche in altri Paesi interessati dalla razionalizzazione - quali Francia, Regno Unito, Austria e Canada - sempre, beninteso, a titolo di eccezione nel quadro della razionalizzazione della rete.
Tuttavia, nel corso di successivi e ripetuti contatti con le autorità tedesche, queste ultime avevano inizialmente escluso la possibilità di concedere il loro necessario benestare all'istituzione di strutture sostitutive del tipo ipotizzato (sportelli ed agenzie consolari), contemplando invece come grado minimo per un ufficio consolare quello di vice consolato, alla luce della prassi vigente in Germania. La questione è stata successivamente

oggetto di approfondimento con gli interlocutori tedeschi sia attraverso la nostra Ambasciata, sia a livello diretto fra i vertici del Ministero degli affari esteri e dell'Auswaertiges Amt.
In particolare, è in questa fase che si sono svolti proficui contatti sul piano politico tra lo scrivente e, per parte tedesca, il Ministro Presidente del Saarland e il Sottosegretario di Stato Peter Ammon.
Da ultimo, a conclusione delle consultazioni così avute, l'
Auswaertiges Amt ha rivisto il proprio orientamento iniziale, accettando sostanzialmente le presenze consolari italiane dopo la chiusura dei locali consolati, ove denominate come «Uffici consolari», ex articolo 4, comma 5 della Convenzione di Vienna e dipendenti dai Consolati generali di Monaco e di Francoforte. A tali rimodulate strutture, in ambedue i casi riconducibili al citato modello degli sportelli consolari, verrebbe assegnato personale a contratto, in considerazione delle loro più ridotte esigenze funzionali.
Tenuto conto della necessità di ridurre i costi d'esercizio rispetto alle strutture consolari preesistenti - in ragione dell'ulteriore contrazione di bilancio che la recente manovra finanziaria prefigura anche per il Ministero degli affari esteri a partire dai 2011 - preme sottolineare che saranno tempestivamente individuate appropriate soluzioni logistiche per garantire tale nuova forma di presenza consolare a Saarbrücken e a Norimberga.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Alfredo Mantica.

GARAVINI, BUCCHINO, FEDI e PORTA. - Al Ministro degli affari esteri. - per sapere - premesso che:
il Ministero degli affari esteri sta procedendo nelle scadenze previste all'attuazione del piano di «razionalizzazione» della rete consolare, nonostante le manifestazioni di contrarietà sviluppatesi nelle comunità interessate e le posizioni critiche assunte dagli organismi di rappresentanza, quali i Comites e il Cgie;
alcune drastiche soluzioni riguardanti la comunità italiana in Germania, la più consistente a livello mondiale, sono state temperate a seguito di tali manifestazioni critiche convertendo la chiusura di alcuni consolati nella decisione di declassarli in sportelli consolari, come nel caso di Saarbrücken e Norimberga, consentendo in essi la permanenza di una parte del personale a contralto già impegnato;
la paziente attività di mediazione svolta dall'ambasciatore italiano in Germania e dal personale d'ambasciata ha consentito di superare il disappunto manifestato dalle autorità tedesche verso il declassamento dei consolati, per l'importante servizio da essi svolto a favore di consistenti comunità ubicate in aree di valore strategico dell'economia e del territorio tedeschi;
con la decisione di attivare gli sportelli consolari si è aperta, come ha sottolineato il Presidente del Comites di Norimberga in un messaggio indirizzato al Ministro degli esteri italiano, la questione della definizione della struttura degli sportelli, delle deleghe da assegnare e dell'efficienza del loro operato in modo che rispondano compiutamente alle complesse esigenze di servizio a favore delle cospicue comunità esistenti;
da prime informazioni relative all'organizzazione dello sportello consolare di Norimberga si manifesterebbe un orientamento a una riduzione degli spazi destinati agli uffici e al trasferimento dell'archivio cartaceo del consolato di quella circoscrizione, il che trasformerebbe lo sportello consolare in un semplice punto di raccolta di documenti da inviare successivamente a Monaco di Baviera;
si è in attesa delle decisioni che il Ministero degli affari esteri vorrà adottare per i consolati di Amburgo e di Mannheim, inseriti a loro volta nel piano di chiusura, per i quali, in mancanza della decisione di sospenderne la chiusura, andrebbero attivate almeno le operazioni per la conversione in sportelli consolari, coerentemente

con quanto è avvenuto per Saarbrücken e Norimberga -:
se il modello organizzativo degli sportelli consolari di Saarbrücken e Norimberga per le deleghe ricevute e per le modalità operative adottate consenta di corrispondere pienamente alla domanda di servizi delle comunità interessate;
se sia stata già presa la decisione di uniformare le prospettive dei consolati di Amburgo e Maanheim quanto meno a quelle già delineate per i consolati di Saarbrücken e Norimberga, assicurando anche in quelle realtà una soglia minima di prestazioni attraverso l'attivazione di sportelli consolari.
(4-08011)

Risposta. - In merito a quanto rappresentato dagli interroganti nell'interrogazione in esame si forniscono i seguenti elementi di informazione.
Nel mantenere un costante dialogo con il Parlamento durante tutto il processo di razionalizzazione della rete estera, la Farnesina ha sempre attribuito prioritaria importanza alle esigenze dei connazionali residenti nelle circoscrizioni interessate dagli interventi e ricercato soluzioni condivise con le autorità locali. Come osservato anche dagli stessi interroganti, nel caso dei consolati di Norimberga e Saarbrücken, a seguito di serrate consultazioni con il Ministero degli affari esteri tedesco, è stata accolta l'ipotesi da noi prospettata di collocare in loco strutture consolari sostitutive e modulabili secondo le nostre esigenze. In tal modo, verrà consentita la prosecuzione di un'efficace assistenza alle collettività italiane residenti.
Proprio per venire incontro alle istanze delle comunità di connazionali, infatti, in luogo del mero accorpamento, originariamente previsto, dei consolati di Norimberga e Saarbrücken con i consolati generali di Monaco e di Francoforte, era stata ipotizzata l'attivazione di strutture «leggere» (sportello consolare a Saarbrücken ed agenzia consolare a Norimberga). In particolare, il modello dello sportello consolare, desumibile dalla convenzione di Vienna sulle relazioni consolari del 1963, è già operante con successo anche in altri paesi interessati dalla razionalizzazione - quali Francia, Regno Unito, Austria e Canada - sempre, beninteso, a titolo di eccezione nel quadro della razionalizzazione della rete.
Tuttavia, nel corso di successivi e ripetuti contatti con le autorità tedesche, queste ultime avevano inizialmente escluso la possibilità di concedere il loro necessario benestare all'istituzione di strutture sostitutive del tipo ipotizzato (sportelli ed agenzie consolari), contemplando invece come grado minimo per un ufficio consolare quello di vice consolato, alla luce della prassi vigente in Germania. La questione è stata successivamente oggetto di approfondimento con gli interlocutori tedeschi sia attraverso la nostra ambasciata, sia a livello diretto fra i vertici del Ministero degli affari esteri e dell'
Auswaertiges Amt.
In particolare, è in questa fase che ho personalmente avuto proficui contatti sul piano politico con il Ministro Presidente del Saarland Peter Mueller e il Sottosegretario di Stato Peter Ammon.
A conclusione di tali consultazioni, il Ministero degli affari esteri tedesco ha rivisto il proprio orientamento iniziale, accettando sostanzialmente le residue presenze consolari italiane dopo la chiusura dei consolati, ove denominate «uffici consolari»
ex articolo 4, comma 5 della convenzione di Vienna e costituenti parte integrante dei consolati generali di Monaco e di Francoforte. A tali strutture, riconducibili al modello degli sportelli consolari, verrebbe assegnato personale a contratto, in considerazione delle loro più ridotte esigenze funzionali.
Riguardo agli uffici consolari di Amburgo e Mannheim - ambedue contemplati dal piano di razionalizzazione - appare opportuno distinguere le situazioni in ragione delle differenti circostanze di fatto che le caratterizzano. Nel caso del consolato generale di Amburgo, è in corso presso questa amministrazione un'approfondita riflessione in merito alle opzioni più appropriate e concretamente attuabili.
Quanto alla sede di Mannheim, di cui è previsto l'accorpamento con consolato generale di Stoccarda a partire dal 1o ottobre

2010, tanto la sua natura di agenzia consolare - configurazione già snella che non si presta a rimodulazioni - quanto la vicinanza e facilità di collegamento con la capitale del Land, hanno indotto ad escludere una qualche struttura sostitutiva dell'agenzia in soppressione.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Alfredo Mantica.

GRIMOLDI e STUCCHI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
la stazione ferroviaria di Milano Porta Garibaldi è la principale stazione della città di Milano per traffico pendolare, con 25 milioni di passeggeri ogni anno, mentre come traffico complessivo risulta essere la seconda, dopo la stazione centrale;
nel 2006 si è inaugurato l'intervento di restyling della stazione, che ha portato nuovo arredo e illuminazione, oltre alla creazione di nuovi spazi commerciali;
tale restyling, però, non ha riguardato la biglietteria che è assolutamente inadeguata ad un traffico di passeggeri così elevato;
infatti, nelle ore di punta molto spesso vi sono solamente due sportelli aperti, con conseguenti code e disagi da parte degli utilizzatori, per la maggior parte pendolari;
inoltre, nella stazione esistono alcuni distributori automatici di biglietti che però non sono in grado di rispondere alla domanda e, peraltro, spesso, sono fuori uso -:
se il Ministro non ritenga opportuno intervenire affinché la seconda più importante stazione cittadina del capoluogo lombardo possa rispondere in modo adeguato alle esigenze dei suoi utilizzatori.
(4-07935)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
Trenitalia fa sapere che nella biglietteria della stazione di Milano Porta Garibaldi il servizio di vendita dei titoli di viaggio viene svolto nei giorni feriali dalle ore 6.30 alle ore 20.30 presso tre sportelli che osservano la chiusura nei giorni festivi.
Durante il periodo estivo, in concomitanza del minore afflusso di clientela pendolare, il turno di apertura degli sportelli viene articolato secondo il seguente schema:
due sportelli osservano l'orario 6.30-20.30;
uno sportello osserva l'orario ridotto dalle 8.00 alle 16.42.

Per la clientela della stazione di Milano Porta Garibaldi la vendita dei biglietti ferroviari viene anche assicurata:
da quattro emettitrici automatiche di ultima generazione, funzionanti solo con denaro contante, abilitate all'emissione di titoli di viaggio del trasporto regionale. Esse sono situate nella stazione sotterranea di P. Garibaldi da cui si accede alle linee della rete suburbana;
è stata prevista la riattivazione di una emettitrice di titoli di viaggio regionali - non funzionante a seguito di ripetuti furti e atti vandalici - e l'attivazione di due
self-service di ultima generazione, funzionanti con denaro contante, per l'emissione di biglietti regionali;
due punti vendita convenzionati per l'emissione di titoli di viaggio del trasporto regionale, uno ubicato nella stazione di superficie e l'altro nella stazione sotterranea;
tre emettitrici automatiche per l'acquisto dei biglietti della media/lunga percorrenza, che erogano anche biglietti del trasporto regionale, dislocate nella stazione di superficie funzionanti sia con contante sia con moneta elettronica (bancomat, carte di credito).

Infine, Ferrovie dello Stato evidenzia che i biglietti ferroviari possono essere acquistati in qualsiasi momento attraverso il sito web di Trenitalia mentre i biglietti del

servizio regionale, del tipo cosiddetto «a fasce chilometriche», non hanno scadenza né sono vincolati a specifiche stazioni di partenza o destinazione e, pertanto, possono essere acquistati con largo anticipo.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Altero Matteoli.

JANNONE. - Al Ministro degli affari esteri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
il 12 ed il 13 luglio 2010, si è tenuto a Milano il «Forum economico e finanziario per il Mediterraneo», un'occasione di incontro per riflettere sulle potenzialità di crescita dell'area euromediterranea, anche in vista di una zona comune di libero scambio;
secondo le parole di Carlo Sangalli (presidente della Camera di Commercio di Milano), sul Mediterraneo «si affacciano, da una parte, un esperimento unico la mondo, l'Unione economica europea, e dall'altra, i Paesi della sponda Sud del Mediterraneo che per risorse demografiche, minerarie, energetiche e naturali, hanno le potenzialità per diventare i nuovi Bric (Brasile, Russia, India e Cina). Una combinazione che è davvero la scommessa sul futuro»;
i Paesi del Mediterraneo hanno dimostrato una notevole capacità di affrontare la crisi economica, collocandosi tra i protagonisti dei segnali di ripresa: dopo una crescita che nel 2009 ha registrato tassi medi intorno al 4 per cento, dalle sponde Sud ed Est nel 2010 ci si attendono tassi di circa il 5 per cento;
l'interscambio commerciale dell'Italia verso i Paesi mediterranei è cresciuto, rispetto al primo trimestre del 2009, del 25 per cento. L'Italia si posiziona al quinto posto come partner importatore dell'area mediterranea ed al secondo come partner esportatore: tra il 2003 ed il 2008 il valore dell'import risulta più che raddoppiato (+107 per cento) ed anche l'export registra aumenti considerevoli (+83 per cento);
nei rispettivi interventi al Forum, Carlo Sangalli ed il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, hanno evidenziato la necessità di sviluppare l'integrazione economica nella regione, creando legami durevoli e proficui anche con le imprese estere: «L'area del Mediterraneo - ha osservato Formigoni - deve oggi pensare a fare rete: il nuovo elemento determinante nel rafforzamento dei sistemi territoriali è la capacità di stringere alleanze internazionali, di mettersi in rete con altri sistemi, di attivare confronti e realizzare collaborazioni virtuose»;
nel 1995, a Barcellona ha preso forma il Partenariato euromediterraneo, un'alleanza avente l'obiettivo di creare, tra l'Unione europea ed i partner delle sponde meridionale ed orientale del Mediterraneo, un'area si stabilità, sviluppo e di dialogo, avviando, a tal fine, processi di liberalizzazione negli scambi commerciali ed istituzionali;
oggi, dall'analisi degli strumenti geopolitici internazionali, emerge come l'area mediterranea costituisca un'interessante prospettiva in termini di capacità di investimento e di creazione di nuove opportunità lavorative, nella quale la rete infrastrutturale diviene fattore rilevante e strategico per chiunque operi in tale contesto, consentendo possibilità di scambio tra il Nord ed il Sud della regione;
al fine di soddisfare la sempre crescente domanda di servizi di trasporti, la maggior parte dei Paesi dell'area mediterranea ha da tempo promosso progetti connessi al settore delle infrastrutture. Nel periodo 1997-2005 la rete infrastrutturale dell'area è cresciuta in modo considerevole: gli aeroporti principali sono cresciuti del 25 per cento; i porti principali del 7 per cento e le autostrade del 7 per cento. Tuttavia, rispetto all'Unione europea, le infrastrutture nei Paesi mediterranei rimangono limitate, sottodimensionate, poco dense ed in taluni casi carenti rispetto agli standard internazionali;
in particolare, il traffico marino rappresenta oggi l'alternativa dominante nello

scambio di merci tra l'area mediterranea e l'Unione europea (74 per cento circa sul totale degli scambi nell'anno 2009). La Commissione europea già a partire dalla fine degli anni Ottanta ha promosso un ampio processo di revisione delle politiche di trasporto, mettendo a punto un piano di reti transeuropee di trasporti (Ten-T). Nel 2001 si è assistito ad un rilancio di tale progetto da parte della Commissione, che in un «libro bianco» ha presentato un piano sul trasporto delle merci, delineando un ambizioso programma di azioni comuni da realizzare entro il 2010, tra cui la creazione delle autostrade del mare (Adm), finalizzate al miglioramento dei collegamenti esistenti ed alla realizzazione di nuovi, affinché venga ridotta la congestione stradale e sia migliorata l'accessibilità delle regioni e degli Stati insulari e periferici. L'idea delle Autostrade del mare non si limita solo alla considerazione della via marittima dei trasporti, ma, al contrario, consiste in una strategia che coinvolge l'intera rete transeuropea dei trasporti (Ten-T): in tal senso uno dei fattori determinanti per il successo delle Autostrade del mare sarà la reale integrazione tra le diverse tipologie di trasporti, siano essi stradali, ferroviari o marittimi;
tuttavia finora, nonostante la rete transeuropea dei trasporti abbia destinato un budget di circa 300 milioni di euro a favore delle Autostrade del mare per il periodo 2007-2013, le azioni messe in atto non sono state molte, benché i diversi stakeholder confermino il loro interesse e richiedano una maggiore precisione nel raggiungimento degli obiettivi -:
nella consapevolezza del ruolo centrale che i Paesi del Mediterraneo rivestiranno per il futuro, rappresentando una grande opportunità di sviluppo e possibilità di crescita, nonché dell'importanza di un buon funzionamento dei trasporti quale condizione necessaria per la crescita economica e l'integrazione dell'area del Mediterraneo, quali iniziative i Ministri intendano intraprendere a sostegno dello sviluppo e della realizzazione delle infrastrutture di trasporto, fondamentali per l'interscambio commerciale fra l'Italia e l'Area Med, e, più in generale, quali interventi si intendano predisporre al fine di favorire nuove forme di cooperazione nell'area euromediterranea.
(4-08239)

Risposta. - Lo sviluppo delle infrastrutture nell'area euro mediterranea costituisce un nodo nevralgico per un futuro integrato del Mediterraneo ed è stato uno dei temi al centro del Forum economico e finanziario per il Mediterraneo tenutosi a Milano il 12 e 13 luglio 2010. Il Forum si è rivelato un momento importante di discussione sull'urgenza di sviluppare le reti energetiche, di trasporto e di telecomunicazioni per sopperire a quelle carenze di cui la regione soffre, sia lungo il suo asse orizzontale, sia lungo quello verticale. In tal senso è stato confermato il ruolo propulsivo che il Forum può svolgere per fare dell'area euro mediterranea una regione di benessere e prosperità, nonché un'entità sempre più integrata dell'economia mondiale, in grado di andare oltre la creazione di un'area di libero scambio già prevista dalle intese euro-mediterranee. È stato anche messo ampiamente in luce come in questa fase storica molti dei partners mediterranei della sponda sud del Mediterraneo si caratterizzino per un crescente dinamismo economico e per la capacità di assorbire positivamente le ripercussioni della crisi economica internazionale.
L'Italia è impegnata da tempo nella costruzione di una relazione più stretta e dinamica tra le due sponde del Mediterraneo. Va segnalato a questo proposito che il nostro Paese è divenuto il primo
partner commerciale tra i Paesi dell'Unione europea per i Paesi della sponda meridionale e orientale con oltre il 20 per cento dell'interscambio totale ed intende consolidare ulteriormente questa sua posizione.
In questo contesto sono da valutare positivamente alcune iniziative, quale ad esempio il fondo Inframed, un'iniziativa promossa congiuntamente dalla Cassa depositi e prestiti e dalle omologhe istituzioni di Francia, Marocco ed Egitto, divenuta operativa alla fine di maggio 2010 e volta a finanziare la realizzazione di infrastrutture

«greenfield» nei Paesi della sponda sud. Essa costituisce una delle operazioni finanziarie più concrete finora realizzate in ambito euro mediterraneo.
Un'altra importante iniziativa è quella promossa dall'associazione nazionale costruttori edili (ANCE) per la creazione di una associazione euro mediterranea dei costruttori, la quale ha tra i suoi obiettivi quello di sviluppare un «anello» mediterraneo delle infrastrutture collegato al sistema europeo dei Ten-T , insieme a tutte le altre iniziative che mirano a potenziare il sistema logistico regionale, essenziale per l'instaurarsi di relazioni commerciali più strette nella regione. Tra queste assumono particolare rilievo il rilancio del progetto di «
green corridor» Alessandria-alto Adriatico ed il progetto per lo sviluppo di un sistema portuale logistico nell'alto Adriatico, lanciato dalla Conferenza di Trieste sullo spazio Mediterraneo della mobilità nel febbraio 2010.
Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha avviato una serie di iniziative tese a rilanciare e sostenere lo sviluppo dei traffici marittimi e delle autostrade del mare nel Mediterraneo. In particolare, per sviluppare la cooperazione nel bacino del mar Mediterraneo sono stati stipulati, ed alcuni sono in fase di ratifica, nuovi accordi bilaterali di navigazione che contribuiranno a rilanciare iniziative tese a potenziare i traffici marittimi da e per l'Italia e a rafforzare la cooperazione nel settore marittimo e marino (sicurezza dei traffici marittimi, tutela ambientale, innovazione e ricerca tecnologica, eccetera) nel predetto bacino con Paesi quali il Marocco, l'Algeria, l'Egitto, la Siria, la Tunisia, la Turchia, l'Albania e la Croazia.
A tale proposito appare opportuno evidenziare che proprio nell'ottica dello sviluppo della cooperazione nel bacino del Mediterraneo, si è svolta a Roma il 20 maggio 2009 la Giornata europea del mare alla quale hanno partecipato il Presidente della Commissione europea Barroso, i Commissari ai trasporti e al mare e molti Ministri dei trasporti europei e dei paesi del Mediterraneo (Egitto, Tunisia, eccetera). In quella occasione, l'Italia ha promosso la nascita della Piattaforma tecnologica del Mediterraneo e del mar Nero (Ptmb) in materia di ricerca, innovazione e formazione nei settori marittimo e marino.
Alla Piattaforma, costituita lo scorso anno a Tangeri e presieduta per il primo anno dall'Italia, hanno aderito molti dei Paesi terzi del Mediterraneo e dell'Unione europea (Italia, Marocco, Tunisia, Algeria, Spagna, Francia, Grecia, eccetera).
Per quanto concerne gli interventi collegati al Piano di reti transeuropee di trasporti (Ten-T) connesse allo sviluppo delle autostrade del mare, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha supportato la presentazione delle seguente quattro proposte progettuali nell'ambito dei programmi Ten-T 2010:
Progetto Miele (
Multimodal Interoperability E-services for Logistic and Environment sustainability) applicazione pilota relativa all'interoperabilità dei sistemi informativi pubblico/privato in linea con il cosiddetto approccio e-maritime. Il progetto comprende un partenariato internazionale con coordinamento italiano;
Progetto Costa (
CO2 & other emissions Ship Transport Abatement) studio finalizzato alla identificazione delle problematiche e delle relative possibili soluzioni tecniche economiche e logistiche connesse con l'utilizzo del gas naturale liquefatto (Lng) quale combustibile per il trasporto marittimo e per vie d'acqua interne. Il progetto comprende un partenariato internazionale con coordinamento italiano;
Progetto Ris (
River Information Services in the Northern Italy Waterway System) finalizzato alla sicurezza della navigazione interna ed al suo miglioramento e al coordinamento/interfacciamento tra navigazione interna e marittima. Il progetto prevede un partenariato nazionale;
Progetto Mos
Education and Training Network che riguarda la creazione di un programma Erasmus per studenti universitari e allievi di accademie del mare, propedeutico allo sviluppo di nuove professioni collegate alle Autostrade del mare.

Progetto a carattere multinazionale con partecipazione italiana.

Sono stati altresì sostenuti i progetti presentati dagli operatori nazionali di settore nell'ambito del programma europeo «Marco Polo», il quale è volto a ridurre la congestione stradale, a migliorare le prestazioni ambientali del sistema di trasporto e a potenziare il trasporto intermodale, contribuendo in tal modo ad un sistema di trasporti efficace e sostenibile che dia valore aggiunto all'Unione europea.
Il programma, che nel corso degli anni scorsi ha visto l'approvazione di molti progetti italiani, ha durata di 7 anni (2007-2013) e la sua finalità è il trasferimento di una parte sostanziale del previsto aumento aggregato annuo dei traffico merci internazionale su strada, misurato in tonnellate/chilometro, verso il trasporto marittimo a corto raggio, il trasporto ferroviario e per vie d'acqua interne o verso una combinazione di modi di trasporto in cui percorsi stradali siano i più brevi possibile.
Il progetto Autostrade del mare prevede quattro assi marittimi:
1) Europa sud-orientale (collegamento fra mare Adriatico, mar Ionio e Mediterraneo orientale, incluso Cipro);
2) Europa sud-occidentale (collegamenti fra Spagna, Francia, Italia, Malta nel Mediterraneo occidentale e successiva connessione con l'asse dell'Europa sud-orientale);
3) mar Baltico (collegamento fra gli Stati membri del mar Baltico e quelli dell'Europa centrale e occidentale, incluso il collegamento attraverso il canale mare del Nord/mar Baltico [Canale di Kiel]);
4) Europa occidentale (collegamento fra Portogallo e Spagna al mare del Nord e al mare d'Irlanda).

Nel 2007 la Commissione ha designato il portoghese Luis Valente de Oliveira come «coordinatore europeo» delle Autostrade del mare, con il compito di facilitare l'attuazione coordinata del progetto. Il mandato del coordinatore è stato rinnovato dalla Commissione nel luglio 2010, su proposta del vicepresidente Antonio Tajani.
Il Mediterraneo può considerarsi il fulcro del programma, considerata la presenza di numerosi
partners comunitari e dell'interesse dei Paesi della sponda Sud ed Est allo sviluppo del progetto. Nella prospettiva del processo d'integrazione euro-mediterranea le Autostrade del mare costituiscono una rete di interconnessione fondamentale e rivestono una valenza strategica. Per la sua collocazione geografica l'Italia è al centro di questo reticolo, costituendone lo snodo essenziale.
Sul piano nazionale, con le leggi n. 488 del 1999, n. 388 del 2000 e n. 166 del 2002, lo Stato ha previsto l'adozione ed il finanziamento di un programma per la realizzazione di opere infrastrutturali di ampliamento, ammodernamento e riqualificazione dei porti, da realizzare nell'ambito delle programmazioni triennali adottate dalle Autorità portuali e dalle Aziende speciali, riservando parte dei predetti finanziamenti alla realizzazione delle cosiddette Autostrade del mare. Le leggi hanno assegnato risorse complessivamente pari a 1,24 miliardi di euro, e con il decreto ministeriale 2 maggio 2001 si è dato corso alla ripartizione dei fondi alle Autorità portuali ed alle Aziende speciali per i porti.
Successivamente, a seguito dell'inserimento delle Autostrade del mare nell'ambito dei trenta progetti prioritari Ten-T, nel 2004 è stata creata Ram (Rete autostrade mediterranee) Spa, società a capitale pubblico interamente detenuto dal Ministero dell'economia e delle finanze. La società costituisce il braccio operativo del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, promuove l'attuazione del programma nazionale delle autostrade del mare all'interno del bacino del Mediterraneo e offre assistenza tecnico-economica alle iniziative ed ai progetti comunitari. I principali progetti in corso di attuazione, ai quali l'Italia partecipa tramite Ram Spa, sono il Progetto «
West Med Corridors» (l'elaborazione di un piano per la definizione e la realizzazione delle autostrade del mare nel Mediterraneo occidentale, a cui prendono parte anche Francia, Spagna, Malta) e il Progetto

«East Med Mos» (un piano di analogo tenore nell'area del Mediterraneo orientale, in collaborazione con Grecia, Cipro, Malta e Slovenia).
Nel rapporto 2008-2009 del coordinatore europeo per le Autostrade del mare si fa tuttavia stato di alcune difficoltà che sono state riscontrate nell'attuazione dei progetto.
In ambito Ue l'Italia si è costantemente impegnata per assicurare che i rapporti con i Paesi dell'area mediterranea conservino adeguata centralità nell'ambito delle relazioni esterne dell'Ue.
Siamo stati fra i sostenitori del progetto di «Unione per il Mediterraneo» (UpM), varato nel luglio 2008 con l'obiettivo di rilanciare la cooperazione fra l'Unione e i Paesi della sponda sud, privilegiando la concretezza dei contenuti progettuali rispetto all'approccio spesso troppo declaratorio che aveva caratterizzato l'esperienza del Processo di Barcellona. In questo ambito specifici sforzi sono stati profusi da parte italiana per favorire l'avvio di progetti concreti nelle macro aree di cooperazione individuate, con particolare attenzione ai temi delle piccole e medie imprese e della «sicurezza condivisa», sulla base di un approccio globale verso temi quali la sicurezza marittima e delle infrastrutture, la gestione dei disastri naturali, la pesca illegale, la lotta contro la criminalità.
In considerazione della maggiore attenzione riservata dalle recenti Presidenze ceca e svedese alle relazioni con i vicini orientali, da ultimo si è peraltro reso necessario richiamare i vertici comunitari sull'esigenza di dare peso adeguato alla dimensione meridionale della Politica europea di vicinato (Pev).
Preoccupazione in merito all'equilibrio finanziario all'interno della Pev è stata infatti suscitata dalla recente approvazione da parte della Commissione di allocazioni per i Piani indicativi 2011-2013 fortemente sbilanciate a favore dei vicini orientali a scapito di quelli mediterranei.
L'Italia si è dunque fatta promotrice al riguardo di una lettera congiunta dei Ministri Frattini, Kouchner e Moratinos all'Alto rappresentante Ashton ed al Commissario per l'allargamento e la politica di vicinato Fule.
La lettera, inviata il 3 agosto 2010, evidenzia l'importanza strategica che il Mediterraneo riveste per l'Unione europea e sollecita una ripartizione delle risorse disponibili che tenga debito conto delle esigenze poste dalla collaborazione con un'area del vicinato che, oltre a presentare per gli Stati membri sfide di notevole portata e suscettibili di avere un impatto diretto sulla società civile (a partire dai problemi posti dall'immigrazione e dal terrorismo, fino alle ripercussioni dei conflitti in atto), offre considerevoli opportunità economiche, sia dal punto di vista delle prospettive di crescita dell'interscambio commerciale e degli investimenti che per gli approvvigionamenti energetici.
Nel sottolineare dunque la necessità di non discostarsi, dal punto di vista finanziario, dalla ripartizione dei fondi Enpi convenuta sin dal 2006, in base alla quale i due terzi delle risorse disponibili sono da attribuirsi ai vicini meridionali ed un terzo a quelli orientali, i tre Ministri caldeggiano un rinnovato impegno europeo in favore della crescita democratica e dello sviluppo economico dei Paesi mediterranei, nella certezza che gli sforzi in tal senso rappresentino un investimento per il benessere della stessa Europa.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Stefania Gabriella Anastasia Craxi.

LARATTA. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
San Giovanni in fiore (Cosenza) è il centro più importante della Sila calabrese, tra i comuni più grandi per estensione (27.945 ettari di cui circa 15.000 nel Parco nazionale della Sila), di fatto il primo dei 21 comuni come superficie comunale ricompresa nell'area protetta;
gran parte del suo territorio, circa l'80 per cento, è coperto da boschi e foreste con una elevata biodiversità;

il territorio del comune di San Giovanni in Fiore si estende dai 400 fino ai 1880 metri di quota. All'interno di esso, oltre alla grande superficie ricadente del perimetro del Parco nazionale della Sila, esiste una parte della ZPS (zona di protezione speciale) del marchesato crotonese, nonché la zona di protezione speciale della Sila Grande e 4 SIC (siti di importanza comunitaria), tutte aree della rete europea, denominata «natura 2000»;
questo territorio per quanto prezioso e complesso, è spesso oggetto di numerosi e gravi incendi boschivi, nonché di gravi reati contro il patrimonio ambientale;
attualmente il Comando del Corpo forestale dello Stato di San Giovanni in Fiore è di fatto chiuso: vi opera infatti una sola unità, mentre in quello che controlla il Parco nazionale, il comando stazione Val di Neto, operano solo due unità;
secondo quanto si è appreso, il comando stazione di San Giovanni in Fiore è destinato a chiudere definitivamente per mancanza di personale. Nel 2009, erano tre le unità impiegate, ma una è stata collocata in pensionamento, altra unità è stata trasferita presso altro comando. Simile la situazione presso il comando stazione Val di Neto, dove rimarrebbe in servizio una sola unità;
per un territorio così vasto e articolato e di particolare importanza, appare del tutto insignificante il numero del personale impiegato. Pensare ad un suo ulteriore ridimensionamento, significherebbe di fatto eliminare definitivamente la fondamentale azione del Corpo forestale dello Stato a San Giovanni in Fiore e nell'area silana -:
se il Governo sia a conoscenza di quanto su esposto;
quali iniziative intenda assumere, per quanto di sua competenza, in merito al mantenimento della presenza e della funzione del Corpo forestale dello Stato su di un territorio così importante dal punto di vista forestale e naturalistico quale quello di San Giovanni in Fiore dell'intera area della Sila.
(4-05809)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla carenza di personale in servizio presso il Comando del corpo forestale dello Stato di S. Giovanni in Fiore e il Comando stazione di Val di Neto, faccio presente che, a far data da gennaio 2010, il personale effettivo in servizio nei ruoli di ispettore, sovrintendente, agente e assistente del CFS ha visto ridursi di 730 unità la dotazione organica di legge, pari a 7.841 elementi. Tale riduzione su scala nazionale, riconducibile essenzialmente ai numerosi pensionamenti volontari anticipati degli ultimi anni, ha comportato una diffusa carenza di personale nei presidi territoriali con conseguente aggravio di talune criticità determinate anche dalla notevole estensione del territorio da presidiare e molteplicità dei compiti da espletare.
La stazione di San Giovanni in Fiore dipende dal Comando provinciale del CFS di Cosenza, nella cui provincia risultano in servizio 127 unità (rispetto a una pianta organica provinciale di 123 elementi), mentre la stazione di Val di Neto dipende dal coordinamento territoriale presso il parco nazionale della Sila, area in cui si registra, invece, una carenza di personale rispetto all'organico normativamente previsto.
Le due stazioni, pur trovandosi in contesti organizzativi differenti, presentano effettivamente le problematiche descritte dall'interrogante.
Peraltro, considerata la perdurante carenza di personale, dal 7 luglio 2010 la circoscrizione territoriale di S. Giovanni in Fiore (Cosenza) è stata aggregata (su proposta del Comando regionale del CFS della Calabria) a quella della limitrofa stazione di Spezzano sulla Sila che dispone di un congruo numero di unità. Grazie a tale misura, che comporta l'unificazione delle circoscrizioni dei due presidi, il servizio di controllo sul territorio del comune di S. Giovanni in Fiore sarà assicurato dagli uomini della stazione di Spezzano della Sila, in attesa di poter ripristinare l'autonomo funzionamento del primo presidio.


Per quanto riguarda, invece, la stazione di Val di Neto occorrerà attendere nuove assunzioni (finora non realizzabili a causa di previsioni contenute in leggi di finanza pubblica) tenendo altresì presente che, per il personale del ruolo «agenti», le assunzioni avvengono solo attraverso il canale del reclutamento dei volontari che hanno esaurito le ferma breve nell'Esercito e per contingenti limitati.

Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali: Giancarlo Galan.

LARATTA. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
domenica 12 luglio 2010, in Spagna, a Barcellona, durante i festeggiamenti per la vittoria della coppa del mondo, uno studente universitario italiano, Nicola Tanno, è stato ferito gravemente ad un occhio. Si trovava vicino piazza di Spagna, nella Granvia di fronte al bar Mas Frankfurt, quando è stato colpito violentemente da un oggetto non esplosivo, lanciato ad una velocità assai elevata. I medici credono che possa trattarsi di un colpo di gomma di quelli usati dalla polizia per disperdere la folla;
Nicola in quel momento era solo;
dopo 2 interventi (ricostruzione della palpebra, ricostruzione dell'orbita e del bulbo oculare) Nicola Tanno è tuttora ricoverato nel reparto di neurologia di una clinica di Barcellona per un ematoma cerebrale che pare esser stabile. Purtroppo ha perso la vista con l'occhio destro;
la famiglia ha contattato il consolato italiano a Barcellona e l'unica forma di assistenza è stata il suggerimento del nome di un avvocato spagnolo di loro conoscenza;
notevole è la solidarietà scattata nel popolo di internet, mentre su Facebook è nato un gruppo;
la famiglia sta raccogliendo video e cercando testimoni, ma chiede un minimo di supporto anche da parte dello Stato italiano. Non è facile per genitori anziani portare avanti questa battaglia lontano da casa propria -:
se il Governo italiano sia a conoscenza di quanto sopra riportato;
che cosa intenda fare per garantire al giovane Nicola Tanno tutta l'assistenza e l'attenzione che il caso richiede;
che cosa intenda fare per garantire alla famiglia del giovane tutto quanto necessario per avere notizie del giovane e notizie sugli sviluppi delle vicende relative all'incidente accaduto al ragazzo.
(4-08271)

Risposta. - In merito a quanto rappresentato dall'interrogante nell'interrogazione in esame si forniscono i seguenti elementi di informazione.
Il 13 luglio 2010, dopo un primo contatto telefonico, il padre e la sorella del signor Nicola Tanno si sono recati al consolato generale di Barcellona per esporre i fatti occorsi al proprio congiunto la sera precedente. Intenzionati a sporgere denuncia contro la polizia locale per l'accaduto, i familiari hanno chiesto i contatti del legale di fiducia del consolato generale, che hanno potuto incontrare nella serata dello stesso giorno. Tuttavia, pur ringraziando per la pronta assistenza fornita, la famiglia Tanno decideva di affidarsi ad un legale differente da quello di fiducia suggerito dal consolato generale.
Il 28 luglio 2010 il consolato generale ha richiesto al tribunale di Barcellona copia degli atti della denuncia. Tale richiesta è stata rinnovata il 3 agosto 2010. In attesa del riscontro da parte del tribunale, il consolato generale ha informalmente ottenuto copia della denuncia, che è stata presentata contro la polizia locale per aver impartito l'ordine di «sparare proiettili di gomma in modo indiscriminato su cittadini che stavano esercitando i propri diritti civili, in violazione del protocollo di attuazione delle misure di sicurezza», e contro il poliziotto - di cui non si conoscono le generalità - accusato di aver ferito il signor Tanno.


L'11 agosto 2010 il signor Tanno, accompagnato dalla sorella, ha potuto incontrare il console a Barcellona ed il personale incaricato di seguire il caso. Il connazionale, apparso in buone condizioni di salute, ha segnalato la sua permanenza
in loco, assistito dalla famiglia, per seguire da vicino gli eventuali sviluppi giudiziari derivanti dalla sua denuncia.
Il consolato generale ha confermato la piena disponibilità ad assistere il signor Tanno nei mesi a venire, sia in termini di possibili consulenze mediche o legali (attraverso medici ed avvocati di fiducia del consolato generale), sia per ciò che concerne l'
iter giudiziario.
Si conferma che il Ministero degli affari esteri continuerà a seguire con ogni opportuna attenzione, in raccordo con il consolato generale a Barcellona, la vicenda in questione.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Alfredo Mantica.

MACCANTI e ALLASIA. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
in Italia è stato conservato un interessante e diversificato parco di treni storici, sia presso Trenitalia che presso altri musei o associazioni pubbliche o private;
il parco dei rotabili storici delle Ferrovie dello Stato è uno dei più numerosi fra quelli delle Imprese ferroviarie europee, dei più eterogenei per epoche e tipologie dei mezzi ed anche, fino a pochi anni fa, uno dei meglio conservati; si tratta di un prezioso esempio di alta tecnologia ancora intatto ed in gran parte funzionante. Risultano conservati e funzionanti circa 260 mezzi in totale, tra cui: 40 locomotive a vapore; 30 locomotive elettriche; 3 locomotive diesel; 40 tra automotrici (littorine) ed elettromotrici; 140 tra carrozze passeggeri, bagagliai ed alcuni carri merci; 10 carrozze salone o di lusso, un tempo riservate al trasferimento di alte autorità o facenti parte del treno reale;
questi mezzi costituiscono un eccezionale patrimonio storico di valore culturale inestimabile in quanto rappresentativi dell'evoluzione del trasporto ferroviario per circa un secolo. Tale patrimonio, che appartiene alla storia d'Italia, è forse ancora oggi misconosciuto e relegato all'utilizzo di una ristretta cerchia di appassionati e cultori del settore. Il valore assoluto di questo spaccato di tecnica ed archeologia industriale è, tuttavia, innegabile e va portato alla attenzione di un pubblico più vasto;
alla preservazione ed al restauro di questi mezzi hanno contribuito, negli anni, decine di associazioni di volontari, appassionati ed ex-ferrovieri che, gratuitamente, hanno profuso sforzi e dedizione per tenere in ordine di marcia questi mezzi unici, consentendo alle FS di contenere i costi di manutenzione ed esercizio;
con questi mezzi, nel corso dell'anno 2008, sono stati effettuati circa 200 treni straordinari (di cui un centinaio con trazione a vapore); le tariffe in vigore hanno consentito ampiamente la copertura dei costi degli stessi (anche grazie a quanto detto nel punto precedente);
in molti Paesi esteri le rispettive amministrazioni stanno puntando molto sui treni storici in chiave di attrazione turistica, con ottimi risultati anche in Italia. La potenzialità in chiave turistica sarebbe altresì enorme: riscoprire il nostro territorio e le sue paesaggistiche linee secondarie, a bordo di antiche vetture trainate da sbuffanti vaporiere, costituirebbe un eccellente volano per l'economia ed il turismo delle zone attraversate. I nostri borghi, i comuni, gli itinerari minori potrebbero essere riscoperti con quegli stessi treni che hanno fatto la storia dei viaggi degli italiani;
oggi questo inestimabile patrimonio pare costituire più un problema che una risorsa ed è abbandonato a se stesso: le Ferrovie dello Stato, da alcuni anni, non destinano più alcun fondo né alcuna attenzione per la preservazione di questi particolari mezzi; numerose carrozze e

locomotive degli anni '10 e '20, mantenute ancora funzionanti grazie agli sforzi sopradetti, giacciono all'aperto negli scali ferroviari, in balia di degrado e vandalismo;
le carrozze del treno Presidenziale, ex-Treno Reale, risalenti agli anni '20 e dotate di ricchi arredi e decorazioni interne, sono accantonate in una rimessa vicino alla stazione di Roma Termini, con ancora a bordo componenti in amianto che nessuno ha mai provveduto a rimuovere e bonificare;
il celeberrimo elettrotreno ETR 302, il mitico «Settebello», simbolo della rinascita economica dell'Italia, del «Boom degli anni '50», esempio del design e del «Bel Paese», giace abbandonato nei pressi di Ancona, vandalizzato ed «abitato» da vagabondi senza dimora;
a Bussoleno (Torino), così come a Trieste Campo Marzio ed in altri musei, pregevoli collezioni di cimeli ed una varietà enorme di documenti e di testi ferroviari giacciono dimenticate, preservate solo grazie alla volontà di alcuni appassionati, del tutto ignorati dalle FS le quali, invece, vanno dismettendo le aree e gli immobili che ospitano tali collezioni, come il Deposito Locomotive di Pistoia;
la manutenzione di carrozze e locomotive d'epoca, affidate alla divisione passeggeri regionale di Trenitalia, è ferma da anni. Tale divisione è, a quel che pare agli interroganti, del tutto disinteressata alla preservazione dei mezzi storici, dovendo provvedere, piuttosto, al trasporto metropolitano e pendolare che già fatica ad espletare con efficacia;
la direzione commerciale della divisione passeggeri regionale ha emanato nuove tariffe per il nolo di rotabili storici. Si tratta di prezzi assolutamente esosi e fuori mercato che renderanno inaccessibile alla clientela il noleggio di questi caratteristici treni e causeranno la cessazione di tutte le interessanti iniziative ad essi correlate. Tale misura è assurda specie in un contesto di totale abbandono del settore, come quello sopra descritto. Non si comprende, d'altra parte, come mai in tempi di affannosa ricerca, da parte delle FS, di tutte le possibili fonti di introito potenziale, il parco dei rotabili storici non venga efficacemente utilizzato allo scopo -:
se il Ministro essendo a conoscenza della situazione non intenda attivarsi presso le Ferrovie dello Stato al fine di procedere ad una più equa revisione delle nuove tariffe dei treni storici, in modo da dare impulso a questo settore verificando inoltre quali concrete azioni intendano intraprendere per impedire la perdita di questo immenso patrimonio.
(4-02686)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
In merito alle tariffe dei «treni storici», il cui parco è gestito e curato per la quasi totalità dalle direzioni regionali di Trenitalia, Ferrovie dello Stato fa presente che i treni di cui trattasi richiedono interventi specifici relativi a:
rimessaggio, effettuato negli spazi di pertinenza delle Direzioni regionali (impianti, parchi, rimesse) avendo cura, per quanto possibile, di assicurare, in particolare, il ricovero al coperto dei mezzi di trazione a vapore (come avviene negli impianti di Rimini, Bussoleno, Tirano, Fabriano e in quello di Firenze Romito);
conservazione, che per la particolarità del materiale richiede specifici interventi di manutenzione straordinaria - al fine di assicurarne il mantenimento in efficienza e sicurezza - che vengono svolti sia nelle officine ferroviarie che in quelle private;
preparazione e condotta in esercizio.

Tali interventi comportano costi di una certa rilevanza e molto superiori a quelli dei treni ordinari, di cui è necessaria la copertura; in tale ottica e in linea con l'analogo criterio introdotto per la definizione dei nuovi contratti di servizio con le Regioni per i servizi ordinari, anche per l'utilizzo dei treni storici è stato adottato un sistema di prezzi cosiddetto «a catalogo».

Tali tariffe, distinte per tipologia di materiale rotabile (vapore, elettrico, diesel, automotrici), consentono la copertura dei costi sia di esercizio specifici sia di quelli relativi ai necessari interventi di mantenimento in efficienza sopra citati. Nell'ambito del catalogo sono, fra l'altro, previste riduzioni di prezzo nel caso in cui determinate operazioni (accensione, accudienza, eccetera) vengano, eventualmente, svolte direttamente dalle associazioni che richiedono il noleggio.
Infine, per quanto di competenza del ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ferma restando l'indubbia condivisibilità delle considerazioni e delle finalità sottese all'atto ispettivo in esame e salve le necessarie verifiche in ordine alla compatibilità con la disciplina normativa dei contratti di servizio, si evidenzia come la regolazione con contratto di servizio avverrebbe, a parità di risorse, a scapito del finanziamento di treni destinati al trasporto di passeggeri (segnatamente: intercity e treni notturni). Tali risorse sono costantemente sottodimensionate rispetto al fabbisogno effettivo con conseguente contrazione, nel tempo, del perimetro dei servizi contribuiti.
Considerata la diversa
ratio sottesa alla salvaguardia dei treni storici rispetto alla erogazione di servizi di trasporto, è auspicabile destinare risorse finanziarie ad hoc allo scopo di consentire l'intervento dello Stato a tutela dei treni storici.
Ciò posto il ministero delle infrastrutture e dei trasporti è disponibile ad approfondire le prospettive di intervento pubblico in tale settore, verosimilmente con il ruolo precipuo dell'amministrazione preposta alla salvaguardia dei beni storici, al fine di garantire la preservazione e la fruizione pubblica di tale patrimonio.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Altero Matteoli.

MADIA. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. - Per sapere - premesso che:
l'Istituto nazionale della previdenza sociale nell'anno 2007 ha bandito un concorso pubblico, per esami, per l'assegnazione di 50 posti nei ruoli del personale amministrativo dell'INPS, area funzionale B, posizione economica B1, le cui prove si sono concluse nell'aprile 2010. A fronte della partecipazione di circa 25.000 candidati soli 319 sono risultati idonei;
attualmente i vincitori e gli idonei sono in attesa di assunzione, vista anche la notevole carenza di organico sofferta dall'INPS -:
se l'INPS procederà, e quando, alle assunzioni ovvero se rientrino nelle limitazioni delle facoltà assunzionali della amministrazioni dello Stato;
se non si ritenga di dover effettuare un monitoraggio, al fine di stabilire il numero effettivo dei vincitori di concorso non assunti nelle varie amministrazioni dello Stato, fornendo i relativi dati;
quali iniziative intenda adottare affinché le pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici rispettino le percentuali di assunzioni relativamente ai posti banditi riservati al personale interno ed esterno.
(4-07743)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, concernente l'assunzione di vincitori ed idonei di un concorso pubblico bandito dall'Istituto nazionale di previdenza sociale (INPS) e la richiesta di avviare un monitoraggio al fine di rilevare il numero di vincitori di concorso non assunti nelle amministrazioni dello Stato, si rappresenta quanto segue.
In via preliminare giova sottolineare che l'INPS, ente che ha indetto la procedura concorsuale in esame, è sottoposto alla vigilanza del ministero del lavoro e delle politiche sociali e che al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione sono riconducibili unicamente le competenze in materia di autorizzazione all'avvio delle suddette procedure, ai sensi dell'articolo 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni ed integrazioni.
Pertanto, ferme restando le determinazioni di competenza del citato ministero in ordine alle assunzioni evocate dall'interrogante,

è possibile in tale sede riscontrare unicamente gli altri quesiti posti nell'interrogazione e fornire, comunque, chiarimenti generali circa la disciplina vigente in materia di concorsi pubblici.
Al riguardo si rappresenta che la questione prospettata dall'interrogante circa l'assunzione dei vincitori di concorsi pubblici e l'effettuazione di un monitoraggio in materia, necessita di essere correttamente inquadrata precisando, in via preliminare, che il diritto dei vincitori di concorsi ad essere assunti dalle pubbliche amministrazioni può essere garantito solo nell'ambito e nel rispetto del regime assunzionale previsto dalla normativa vigente.
Al riguardo, i vincoli posti dalle leggi finanziarie degli ultimi anni con riferimento al cosiddetto
turn-over, nonché gli impegni assunti in sede europea al fine del contenimento della spesa per il personale pubblico, hanno determinato, come è noto, una consistente riduzione delle assunzioni presso le pubbliche amministrazioni.
Per il quadriennio 2010-2013, la legge finanziaria per il 2008 (articolo 3, comma 102 della legge n. 244 del 2007) ha, infatti, previsto che le amministrazioni possono procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato, previo svolgimento delle procedure di mobilità, nel limite del 20 per cento della spesa relativa al personale cessato nell'anno precedente, precisando che, in ogni caso, il numero delle unità di personale da assumere non può eccedere, per ciascun anno, il 20 per cento delle unità cessate nell'anno precedente. Analoghe limitazioni sono state introdotte dalle successive leggi di natura finanziaria confermando l'obiettivo della riduzione dei costi delle amministrazioni pubbliche.
Occorre dunque tener conto di tali stringenti vincoli ogni qual volta si intende affrontare il problema della mancata assunzione di candidati risultati vincitori o idonei a concorsi pubblici.
In particolare, va considerato, non solo che le risorse finanziarie destinate al reclutamento di personale pubblico sono limitate ma anche che, per l'utilizzo di tali risorse, ciascuna amministrazione è chiamata a valutare autonomamente le proprie esigenze organizzative, scegliendo, ad esempio, quali graduatorie utilizzare e se procedere all'esaurimento delle stesse o, in alternativa, all'indizione di nuovi concorsi pubblici.
Le determinazioni relative all'avvio di procedure di reclutamento sono, infatti, di competenza di ciascuna amministrazione e devono essere assunte sulla base della programmazione triennale del fabbisogno di personale. Ne consegue che la corretta programmazione dei fabbisogni di personale è indispensabile ai fini di una efficace gestione delle politiche assunzionali in quanto idonea ad evitare che i concorsi pubblici vengano banditi senza tener conto delle reali necessità delle amministrazioni; diversamente potrebbe ingenerarsi nei candidati selezionati una aspettativa ad essere assunti non tutelabile dall'ordinamento giuridico.
Ciò è quanto disposto dalla disciplina vigente in materia di ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche (decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165) la quale, peraltro, non prevede, nell'ambito delle procedure di competenza del dipartimento della funzione pubblica, alcun controllo sulle scelte assunzionali, rimesse, sulla base delle autorizzazioni rese dal citato dipartimento, alla discrezionalità di ciascuna amministrazione.
Pertanto, ai sensi della normativa vigente, non è possibile quantificare, come richiesto dall'interrogante, il numero di procedure concorsuali avviate dalle pubbliche amministrazioni e non ancora concluse. Tuttavia, il dipartimento della funzione pubblica, nell'ambito del nuovo sistema integrato degli adempimenti a carico delle pubbliche amministrazioni, basato su tecnologie
open source e noto con il nome «PER LA PA», ha intenzione di valutare la possibilità di acquisire anche i dati relativi ai concorsi pubblici.
«PER LA PA» può rappresentare la sede appropriata per una rilevazione di questo tipo trattandosi di uno strumento essenziale per la
governance dei dati e del patrimonio informativo della PA (es: incarichi conferiti, consorzi e società partecipati, ruoli dirigenziali,

eccetera), per l'avvio di una reale cooperazione applicativa con le amministrazioni, per la riduzione dei tempi di comunicazione degli adempimenti e, quindi, per il potenziamento della trasparenza.
In merito, infine, alle assunzioni presso l'INPS, sollecitate dall'interrogante, si sottolinea, per quanto di competenza dello scrivente, che valgono le medesime considerazioni generali sopra esposte alle quali va aggiunto, da un lato, che eventuali deroghe ed eccezioni a favore di una singola amministrazione innescano rischiosi effetti emulativi tali da vanificare di fatto gli obiettivi che le vigenti normative impongono di perseguire.

Il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione: Renato Brunetta.

CESARE MARINI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
un numero non trascurabile di cittadini, proprietari di oltre duecentomila autocaravan, percorrono le strade del Paese;
si diffonde l'uso della minuscola casa su quattro ruote anche in Italia per il vantaggio che hanno le famiglie nell'utilizzare questo mezzo di trasporto;
la viabilità non sempre favorisce l'uso delle autocaravan a causa dei numerosi ostacoli che caratterizzano i tracciati stradali;
la mancanza di segnaletica adeguata, l'inesistenza di una rete di aree attrezzate per ospitare le autocaravan, la presenza di sbarre altimetriche e di dossi rialzati, solo per fare alcuni esempi, ostacolano la circolazione di questi mezzi e ne dissuadono la diffusione;
per giunta, alcune società proprietarie di autostrade limitano le soste e la circolazione delle autocaravan;
il Ministero dei trasporti ha il compito di svolgere funzioni di controllo e indirizzo nella materia della circolazione -:
se non ritenga di dover promuovere iniziative al fine di sensibilizzare gli uffici periferici del Ministero, nonché di indire un tavolo di lavoro con tutti i soggetti interessati per concordare le soluzioni idonee a facilitare la circolazione delle autocaravan.
(4-07058)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
Il ministero delle infrastrutture e dei trasporti è sempre stato sensibile ed attento alla problematica della facilitazione della circolazione degli autocaravan, sollecitato ad intervenire dalle numerose istanze inviate sia dall'associazione nazionale coordinamento camperisti che da altri soggetti privati proprietari di autocaravan.
Nell'anno 2000 questo dicastero avendo preso atto di una serie di provvedimenti adottati da enti proprietari di strade e comuni che risultavano penalizzanti per questa categoria di veicoli ha emanato la direttiva 20 ottobre 2000 nella quale, tra l'altro, si è voluto specificamente richiamare gli enti in questione sulla illegittimità di numerose ordinanze aventi per oggetto la regolamentazione della circolazione stradale degli autocaravan.
Successivamente, tenuto conto del persistere della situazione di illegittimità, il ministero dei trasporti ha chiarito nella nota protocollo n. 0031543, del 2 aprile 2007 indirizzata all'associazione nazionale coordinamento camperisti, i criteri per la corretta applicazione delle disposizioni dettate dal codice della strada in materia di sosta e circolazione delle autocaravan.
Tale nota è stata oggetto di una direttiva emanata dal Ministero dell'Interno (protocollo n. 0000277 del 14 gennaio 2008) ed è stata recepita nei contenuti sia dall'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI) che dall'Unione province italiane (UPI).


La posizione assunta con la nota sopra citata è tuttora mantenuta dal ministero delle infrastrutture e dei trasporti che provvede a richiamare, quando ne viene a conoscenza, gli enti proprietari della strada che appongono segnaletica illegittima di limitazione della circolazione e sosta delle autocaravan e quando questa risulta non conforme alla normativa vigente, in particolare quando ritiene ingiustificata la posizione «anticamper» a volte tenuta da alcuni enti locali.
Infine, si comunica che il ministero delle infrastrutture e dei trasporti si rende disponibile ad accogliere ogni iniziativa volta a predisporre un tavolo di lavoro, con la partecipazione di tutti i rappresentanti dei soggetti interessati, al fine di pervenire ad una eventuale modifica normativa che disciplini in modo inequivocabile la circolazione stradale delle autocaravan e che, contestualmente, tenga conto delle reali esigenze degli enti locali.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Altero Matteoli.

MIGLIOLI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
la carenza nell'organico dei Vigili del fuoco si sta acuendo per effetto del pensionamento del personale, aumentati negli ultimi anni e l'inadeguata assunzione di nuovo personale organico pur in presenza di graduatorie di concorso ancora aperte;
in particolare il concorso riservato ai lavoratori precari dei Vigili del Fuoco che da tempo svolgono il loro lavoro a tempo determinato presso i comandi provinciali;
a Modena solo nel corso del 2008 i richiami di servizio di questi lavoratori sono stati complessivamente 500;
recentemente come denunciato dai sindacati del settore della CGIL della CISL e della UIL una interpretazione della legge finanziaria prevedrebbe di non proseguire con l'assunzione dei vigili precari ma solo dei militari in ferma breve ciò aumenterebbe la carenza di personale che ad esempio a Modena è particolarmente elevata ad esempio per quanto riguarda la responsabilità dei dirigenti di squadra -:
come il Ministero dell'Interno intenda provvedere a tale grave situazione e dunque se e quando intenda provvedere a completare l'assunzione dei vigili precari e ciò per rispondere alle esigenze del comando provinciale vigili del Fuoco di Modena.
(4-06529)

Risposta. - Il Ministero dell'interno è particolarmente impegnato affinché le necessarie misure di contenimento della spesa pubblica degli ultimi anni non incidano negativamente sugli strumenti necessari al perseguimento della missione e dei compiti affidati dall'ordinamento al corpo nazionale dei vigili del fuoco. Tra i principali versanti di impegno vi e proprio quello riguardante il contenimento al minimo della carenza di personale, pur nell'impossibilità attuale di coprire tutti i posti vacanti in organico.
Infatti, sin dall'avvio della presente legislatura, in ragione della grande professionalità e dell'altissimo rischio degli operatori del corpo, è stato avviato un percorso per assicurare un incremento delle risorse umane, a garanzia della funzionalità del sistema di soccorso pubblico del Paese.
In tale contesto, sono stati adottati diversi provvedimenti legislativi che hanno, tra l'altro, destinato apposite risorse alle assunzioni nel corpo nazionale dei vigili del fuoco: da ultimo la legge finanziaria per il 2010 (legge 23 dicembre 2009, n. 191), con cui il Governo ha allocato, per il triennio 2010-2012, ulteriori risorse per assunzioni di personale del corpo nazionale, a copertura del 100 per cento del
turn over. Tale principio è stato confermato anche in sede di approvazione del recente decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, recante «Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica».
Per quanto riguarda le procedure concorsuali per la stabilizzazione, nel precisare che nel corpo nazionale dei vigili del fuoco non vi sono lavoratori «precari», si fa presente che, in attuazione delle disposizioni contenute nelle manovre di finanza

pubblica del 2007 e del 2008, è stato avviato un processo di stabilizzazione del rapporto di lavoro di una parte dei vigili del fuoco selezionati tra quei soggetti che prestano servizio volontario nel corpo nazionale, in possesso di specifici requisiti (iscrizione negli appositi elenchi da almeno tre anni e con un minimo di 120 giorni di servizio). Ciò nella consapevolezza dell'importante contributo offerto da detto personale nell'assicurare la salvaguardia di vite umane.
L'amministrazione ha, quindi, provveduto ad assumere nella qualifica di vigile del fuoco il personale discontinuo ritenuto idoneo a seguito di apposita procedura selettiva, attingendo dalla graduatoria (6.080 unita), approvata con decreto ministeriale 28 aprile 2008, n. 1996, nei limiti stabiliti dalle disposizioni legge in tema di stabilizzazione del personale volontario del corpo nazionale.
In base a tali disposizioni, ad oggi, sono state avviate al corso di formazione per allievi vigili del fuoco n. 1.553 unità, di cui 1135 già in servizio nei comandi provinciali. Ulteriori 295 unità, saranno avviate al corso di formazione a partire dal 7 giugno 2010, ed assunte dalla graduatoria della stabilizzazione entro fine anno, a norma dell'articolo 1, comma 346, della legge finanziaria per il 2008. Per altre 95 unità, da assumere ai sensi del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito dalla legge n. 133 del 2008, provenienti dalla medesima graduatoria, si e in attesa di ricevere l'apposita autorizzazione dal competente dicastero della funzione pubblica.
Nel prossimo triennio, non essendovi graduatorie di concorso ancora aperte, le assunzioni nella qualifica di vigile del fuoco potranno avvenire soltanto attraverso la graduatoria del concorso pubblico a 814 posti, in corso di conclusione, nell'ambito del quale - proprio in ragione del riconoscimento dell'importante contributo da sempre offerto al dispositivo di soccorso pubblico del Paese - è comunque prevista dalla legge (decreto legislativo n. 217 del 2005) una significativa riserva, pari al 25 per cento, in favore del personale volontario del corpo nazionale dei vigili del fuoco.
Si rappresenta, altresì, che le prove orali del predetto concorso sono già terminate; è in corso la valutazione dei titoli, al termine della quale sarà approvata la graduatoria finale; entro fine ottobre, invece, verranno terminate le visite mediche per l'effettiva individuazione degli 814 assumibili.
Per quanto riguarda, invece, il comando provinciale dei vigili del fuoco di Modena, la carenza di personale delle qualifiche operative (vigile, capo squadra, capo reparto), - che, come e noto, costituisce l'ossatura principale dei comandi sul territorio - e pari al 7,26 per cento, in linea con la media nazionale.
In particolare, ad oggi, presso il comando di Modena, vi è un esubero di personale nella qualifica di vigile del fuoco, mentre le maggiori carenze si registrano, come del resto in tutto il territorio nazionale, nelle altre due qualifiche operative di capo squadra e capo reparto.
Al riguardo si assicura che verrà data la massima considerazione alle esigenze rappresentate dall'interrogante, sia per quanto riguarda la carenza nella qualifica di capo squadra, che potrà essere parzialmente colmata attraverso i concorsi interni in fase di espletamento, sia, nelle more, attraverso l'ulteriore assegnazione di vigili del fuoco che stanno ultimando i corsi di formazione professionale, alcuni dei quali provenienti dalla graduatoria della stabilizzazione dei volontari del corpo nazionale.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Nitto Francesco Palma.

MINASSO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
i mezzi di trasporto targati C.R.I. possono essere guidati solo da personale munito di patente di guida rilasciata dalla Croce rossa italiana a seguito della normativa inerente alle patenti per la conduzione dei veicoli targati C.R.I., ai sensi dell'articolo 138 del codice della strada (decreto legislativo n. 285 del 30 aprile 1992);

in Italia sono migliaia i volontari di associazioni e gruppi comunali che guidano mezzi di soccorso di tali organizzazioni e della Protezione civile utilizzando per la guida la propria patente, esponendosi così al rischio di subire sanzioni personali, come la decurtazione dei punti patente o addirittura la sospensione del documento, nello svolgimento dell'attività di volontariato;
si tratta di sanzioni personali che poi si ripercuotono anche al di fuori dell'attività di volontariato, con ricadute negative nella vita quotidiana se non nel lavoro, sanzioni che potrebbero essere un deterrente a svolgere l'attività di volontariato o comunque creare tensione e preoccupazione nelle persone che prestano la loro opera gratuitamente -:
se non sia il caso di assumere iniziative normative volte ad estendere quanto previsto dal codice della strada per la guida dei veicoli targati C.R.I., cioè il rilascio di una patente ad hoc, a tutti coloro che guidano per attività di volontariato autoveicoli delle organizzazioni di volontariato e della Protezione civile.
(4-07627)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
Si fa anzitutto presente che la patente di servizio, disciplinata dall'articolo 139 del codice della strada, è rivolta esclusivamente al personale dipendente delle pubbliche amministrazioni, indicate dall'articolo 12 del codice stesso, ed abilitati allo svolgimento dei compiti di polizia stradale.
Pertanto, non sussistendo i presupposti per una estensione in via meramente interpretativa dell'istituto della patente di servizio a soggetti diversi da quelli contemplati tassativamente dalle norme richiamate, la questione sollevata dagli interroganti potrebbe trovare positiva soluzione solo a condizione di una espressa disposizione legislativa.
Corre l'obbligo di rammentare che, per lo meno per quanto concerne la guida delle autoambulanze, le istanze di settore avrebbero potuto trovare ben più agevole soluzione laddove non fosse stato abolito il certificato di abilitazione professionale KE che avrebbe consentito di applicare il medesimo sistema di decurtazione di punteggio previsto per la carta di qualificazione del conducente (CQC) la quale è diretta esclusivamente ai conducenti professionali titolari di patente di guida C o D, in armonia con la disciplina dettata dalla direttiva 2003/59/CE.
Del resto, l'abolizione del certificato di abilitazione professionale KE è stato disposto dal legislatore proprio per aderire alle pressanti istanze di categoria motivate dalla sostenuta eccessiva onerosità derivante dall'obbligo previgente del possesso del KE.
Per quanto concerne, infine, la previsione di uno speciale sistema di targatura, analogo a quello previsto per la croce rossa italiana, per le autoambulanze ed i veicoli destinati allo svolgimento di compiti di protezione civile in disponibilità delle organizzazioni di volontariato, va osservato che, così come per le patenti di servizio, l'elencazione delle istituzioni ammesse a detta speciale disciplina contenuta nell'articolo 138 del codice della strada ha carattere tassativo e, in quanto tale, non è derogabile in via meramente amministrativa occorrendo una espressa previsione legislativa.
Vale tuttavia evidenziare che i soggetti richiamati dal citato articolo 138 del codice della strada gestiscono in proprio le procedure di immatricolazione dei propri veicoli, le cui targhe sono direttamente fornite dall'Istituto poligrafico e zecca dello stato.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Altero Matteoli.

NICOLAIS. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
l'area degli scavi archeologici di Pompei rappresenta una delle opere monumentali di massimo valore artistico e storico al mondo;

sono in corso in quell'area archeologica lavori definiti nella tabella di cantiere «Restauro e sistemazione per spettacoli del complesso dei teatri in Pompei scavi» che destano notevoli perplessità e preoccupazioni per gli ampi stravolgimenti dello stato originario dei monumenti e dei luoghi archeologici, con gravi danni al loro stato di conservazione;
la preoccupazione per la portata degli interventi è facilmente riscontrabile attraverso una rapida ricognizione dell'attuale consistenza del teatro, in particolare della cavea, che, rispetto ad una qualsiasi foto o disegno di diversi momenti della vita degli scavi, risulta completamente costruita ex novo con mattoni in tufo di moderna fattura;
gli interventi compiuti hanno destato l'aperta critica dei cultori della materia e dell'associazionismo impegnato nella valorizzazione e nella protezione del patrimonio culturali del Paese;
come denunciato con notevole clamore anche dalla stampa nazionale e locale gli interventi risultano in evidente contrasto con i principi internazionali sulla conservazione del patrimonio storico artistico e con le norme che regolano e tutelano il patrimonio archeologico italiano;
si segnalano, inoltre, altri interventi sul teatro e sull'area della «Caserma dei Gladiatori» che hanno riguardato opere murarie particolarmente invasive, non classificabili tra le categorie del restauro conservativo -:
se il Ministro interrogato intenda intraprendere iniziative per scongiurare ulteriori devastazioni e accertare le cause e le eventuali responsabilità dell'amministrazione in relazione ai danni causati al patrimonio culturale della Nazione;
se il Ministro interrogato intenda intraprendere iniziative per il ripristino dello stato originario dei luoghi e il conseguente restauro conservativo, necessario perché le esigenze legittime della valorizzazione degli scavi non prevarichino i fondamentali interventi di tutela e conservazione degli scavi di Pompei.
(4-07498)

Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame, si osserva quanto segue.
Con delibera del Consiglio di amministrazione della soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei n. 46 del 18 luglio 2008 è stato approvato il progetto di «Restauro, valorizzazione e recupero per spettacoli del Teatro Grande, Odeion e Quadriportico dei Gladiatori» negli scavi di Pompei.
Il complesso dei teatri (teatro Grande, Odeion e Quadriportico), messi in luce tra il 1764 e il 1766, ha subìto nel corso degli ultimi duecento anni numerosi interventi di restauro, di natura diversa a seconda delle diverse visioni culturali che li hanno determinati.
Lo scavo definitivo della cavea del teatro Grande è stato completato soltanto nel 1950, con la messa in evidenza dell'antica «rudine» che fungeva da piano di allettamento dei blocchi in tufo della cavea romana, prima della sistemazione in marmo di epoca augustea. Alla stessa epoca risale anche la sistemazione di appositi sostegni metallici, tuttora a vista, disposti in maniera filologica secondo l'originario andamento delle gradinate dell'intera cavea, quali elementi di appoggio per il tavolato ligneo destinato a ripristinare le sedute in funzione dell'utilizzo dell'edificio per le rappresentazioni teatrali.
Infatti, come si legge nella relazione progettuale allegata alla deliberazione del Consiglio di amministrazione della soprintendenza la «parte principale del progetto di restauro e fondamentale per il contestuale progetto di recupero ai fini della creazione di un teatro stabile all'aperto è costituita dalla ricostruzione in via definitiva dei cunei delle gradonate della Media Cavea secondo una filosofia ormai accettata per la maggior parte degli spazi teatrali antichi, e soprattutto in quelli dove si realizzano ancora spettacoli. Una attenta ed estesa analisi di quanto realizzato nella maggior parte del mondo romano, più o meno recentemente, ci ha poi portato alla

scelta definitiva. L'opera doveva essere realizzata a condizione che soddisfacesse a ben precisi parametri, il cui elenco non necessariamente è in ordine di priorità essendo tutte indispensabili:
reversibilità;
durabilità;
riconoscibilità;
recupero filologico dell'antico disegno sia in pianta che in sezione;
compatibilità cromatica;
ricollocazione, nella posizione originaria in cui ci erano pervenuti, degli elementi non più
in situ dopo la sistemazione risalente all'inizio degli anni '50 del secolo scorso;
conservazione degli elementi in ferro realizzati nello stesso periodo per sorreggere l'assito di tavole di legno durante le stagioni di spettacolo, importanti anche per la tecnica di posa in opera utilizzata, con chiodature e comunque testimonianza di circa cinquanta anni di vita del monumento;
adeguamento, nei limiti delle possibilità offerte da un monumento archeologico, degli attuali standard di sicurezza;
predisposizione a livello impiantistico per impianti temporanei acustici e di illuminazione».

Il progetto prevedeva una serie di interventi mirati, quali impianti e canalizzazioni elettriche ed idriche, servizi igienici, punti di ristoro, rifacimento del palcoscenico, prefabbricati per camerini e servizi collegati, oltre alla sistemazione di percorsi, accessi ed uscite di emergenza, in ossequio alla normativa vigente, allo scopo di adeguare l'intero complesso alle esigenze di fruibilità e sicurezza, in analogia ad un moderno impianto di spettacoli, seppur nel rispetto dell'identità di un monumento antico.
Tale progetto veniva altresì inserito nei finanziamenti previsti dal Piano degli interventi del commissario delegato
pro-tempore, approvato in data 6 novembre 2008 dalla Commissione di cui all'articolo 1, comma 11, dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3692 del 2008.
A seguito di gara d'appalto espletata dalla soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei vennero affidati i lavori per la realizzazione di un primo stralcio funzionale del progetto.
Per tale motivo, nell'ambito delle attribuzioni previste dall'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3795 del 2009, in base alle quali il Commissario delegato provvede per «l'apprestamento urgente di idonee iniziative volte a garantire la migliore fruizione dei siti archeologici da parte dei visitatori anche attraverso l'utilizzo delle più moderne tecnologie», venne disposta, d'intesa con la Soprintendenza, la redazione di un progetto di opere complementari, riguardanti prevalentemente gli allestimenti scenici e di servizio, atte a conferire al teatro Grande un'effettiva funzionalità per manifestazioni artistiche.
L'integrazione del progetto, unitamente all'accordo con la fondazione teatro di San Carlo di Napoli e altre istituzioni locali campane per l'organizzazione di manifestazioni permanenti di altissimo livello culturale ed artistico da tenersi presso il teatro Grande di Pompei, a partire dalla stagione estiva 2010, venne inserita nel Piano degli interventi presentato dal Commissario delegato ed approvato dalla Commissione generale di indirizzo e coordinamento di cui all'articolo 1, comma 12, dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3692 del 2008 e successive modifiche ed integrazioni il 13 novembre 2009.
Vale la pena segnalare che tutti gli interventi sono stati realizzati con elementi modulari prefabbricati e smontabili per garantirne la completa reversibilità:
nel rifacimento del quadriportico non è stato dato corso a lavori invasivi, bensì è stata riproposta la pavimentazione in coccio pesto (come da progetto) secondo il sistema gia in uso dal 1987 nell'ambito degli interventi finanziati con i Fondi Fio-Bei ed eseguiti sotto la sorveglianza della Commissione di alta vigilanza del ministero (tale pratica era gia in uso per i marciapiedi di Pompei tra i quali quelli di via di Mercurio);

tutte le opere realizzate per l'organizzazione degli spettacoli (tavolato, palcoscenico, torri-luce) sono strutture autoportanti e rimovibili che, al termine della stagione teatrale (metà agosto), saranno rimosse e smontate per il ricovero protettivo nei periodi di inattività teatrale e disponibili per essere impiegate in occasione di successive manifestazioni artistiche;
il posizionamento dei cavi e l'alloggiamento delle tubazioni è avvenuto, per la quasi totalità, al di sotto delle pavimentazioni o all'interno di integrazioni murarie di restauro, allo scopo di evitare canalizzazioni esterne che deturpassero il monumento, secondo il progetto originario e dietro sorveglianza degli archeologi della Soprintendenza; ciò consente di dotare l'area di impiantistica permanente rendendola immediatamente disponibile senza la necessità di sostenere ulteriori costi di noleggio;
il progetto originario, approvato dalla soprintendenza, che prevedeva il rifacimento delle gradinate della cavea del teatro Grande con lastre di marmo di Carrara di centimetri 4 è stato modificato in ottemperanza alle osservazioni formulate dalla Commissione generale di indirizzo e coordinamento nella seduta del 13 novembre 2009;
pertanto il marmo è stato sostituito con materiali che non traessero in inganno il visitatore, tali da consentire la distinzione tra i manufatti antichi e i recenti interventi, nel rispetto dell'articolo 179 del decreto legislativo n. 42 del 2004 (Codice dei beni culturali). La scelta di realizzare le gradinate in tufo è dipesa da una attenta analisi delle fonti storiche che, prevalentemente, segnalano l'uso di tale materiale anche in epoca romana.

Si precisa, inoltre, che all'interno del cantiere non sono state utilizzate ruspe, macchinari e/o attrezzature di grandi dimensioni o provocanti vibrazioni tali da recare danni, bensì solo qualche mezzo meccanico leggero, quali le motocarriole, necessari alla movimentazione e alla lavorazione dei materiali, come normalmente accade in numerosi cantieri all'interno degli scavi. Ciò, per garantire il pieno rispetto della normativa sulla sicurezza del lavoro che vieta il trasporto, a mano, da parte delle maestranze, di pesi eccessivi.
Corre altresì l'obbligo precisare che il responsabile unico del procedimento e il direttore dei lavori sono rispettivamente, un archeologo e un tecnico della soprintendenza, a loro volta affiancati da un direttore operativo e un ispettore di cantiere, anch'essi interni all'amministrazione.
Con particolare riferimento alla procedura di affidamento, la gara per l'esecuzione dei lavori, alla quale hanno partecipato 12 imprese, è stata aggiudicata secondo il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, ai sensi dell'articolo 83 del decreto legislativo n. 163 del 2006, con un ribasso del 28 per cento.
In relazione ai costi sostenuti per il progetto complessivo del restauro, si segnala un quadro economico iniziale dell'intervento con una spesa di euro 2.550.000,00, a cui si è aggiunta la spesa di ulteriori euro 2.500.000,00 derivanti dalle attività da realizzare per dotare il teatro degli allestimenti e delle infrastrutture, che saranno gestite d'intesa con il teatro di San Carlo e di cui la soprintendenza è proprietaria (apparecchiature illuminotecniche, attrezzature e camerini, completi di servizi a supporto delle rappresentazioni). Questo consentirà alla soprintendenza, nei prossimi anni, una completa autonomia gestionale ed eviterà i ripetuti costi derivanti dal noleggio delle apparecchiature. Inoltre, fatto di estrema importanza, si eviterà l'apposizione, di volta in volta, di apparecchiature, materiali e strutture di rete che potrebbero arrecare danni al patrimonio archeologico.
In conclusione, si può sostenere che il provvedimento di restauro è stato finalizzato alla rifunzionalizzazione dell'edificio antico, quale luogo per far continuare ad essere vivo e presente nel mondo contemporaneo il messaggio culturale proprio del mondo romano, seguendo quanto già animava, nel 1951, il professor Amedeo Maiuri: «Dovendosi procedere ad una sistemazione della cavea del "Teatro grande"

di Pompei che contemperasse l'esigenza dell'allestimento degli spettacoli con il rispetto e la visibilità delle strutture superstiti, si è voluto innanzitutto procedere al rilievo ed allo studio accurato delle strutture ancora nascoste sotto un erboso strato di terriccio, in modo da mettere completamente a nudo l'ossatura antica proprio là dove vennero asportati i sedili e i gradini in marmo dell'ultimo restauro augusteo» (notizie scavi, 1951).
Il Ministro per i beni e le attività culturali: Sandro Bondi.

NICOLAIS, COSCIA e PICIERNO. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
il giorno 11 luglio 2010 lo studente italiano Nicola Tanno, temporaneamente residente in Spagna per ragioni di studio, partecipava ai festeggiamenti di piazza conseguenti all'aggiudicazione della Coppa del Mondo di calcio organizzata dalla F.I.F.A. in Sud Africa;
durante i festeggiamenti in Barcellona presso la Plaza de España si registrava un intervento di diverse unità del corpo di polizia autonoma del Governo regionale della Catalogna (Mossos d'Esquadra) che comportava, come confermato anche dalle cronache giornalistiche, il ferimento di decine di persone;
nel corso dell'intervento delle forze di polizia sarebbero stati esplosi proiettili di gomma verso i presenti. Uno di questi colpiva il concittadino Nicola Tanno al volto, ferendolo in via permanente all'occhio e determinandogli la perdita dello stesso;
il tipo di lesione e la gravità della stessa farebbero ritenere che gli agenti del corpo di polizia autonoma della Catalogna abbiano usato le armi in loro dotazione puntando verso i cittadini che partecipavano ai festeggiamenti, in contrasto con le regole in materia di ordine pubblico;
da parte del concittadino Nicola Tanno non vi era stato alcun atteggiamento di ostilità, ma la sola partecipazione pacifica ai festeggiamenti di migliaia di cittadini per le strade di Barcellona;
un intervento della polizia autonoma catalana teso a ferire in maniera così grave un cittadino non trova alcuna giustificazione;
sulla rete internet sono reperibili diversi filmati ed interviste che documentano in diretta le gravi conseguenze subite dallo studente Nicola Tanno, negli attimi immediatamente conseguenti all'intervento dei Mossos d'Esquadra;
da parte delle autorità catalane, a distanza di diverse settimane, non sono giunte ancora spiegazioni ufficiali tese a ricostruire l'esatta dinamica dei fatti, condizione fondamentale per l'accertamento delle responsabilità per l'accaduto e per soddisfare le legittime pretese di giustizia del giovane Nicola Tanno per la menomazione fisica subita, con inevitabile pregiudizio per il libero determinarsi ed esprimersi della propria vita sociale e professionale -:
se il Ministro interrogato intenda intraprendere urgenti iniziative presso il Governo spagnolo e il Governo regionale autonomo della Catalogna, attivando la propria rappresentanza diplomatica presso l'ambasciata d'Italia in Spagna, al fine di garantire la tempestiva, chiara e trasparente ricostruzione della dinamica dei fatti che hanno portato al grave ferimento del concittadino Nicola Tanno;
se il Ministro interrogato intenda garantire il supporto dell'amministrazione del Ministero alla parte offesa e ai suoi familiari nel predisporre l'assistenza legale e il sostegno tecnico presso le autorità catalane e spagnole, volti a soddisfare le esigenze di giustizia connesse alla grave lesione dei diritti personali subita da Nicola Tanno.
(4-08279)

Risposta. - In merito a quanto rappresentato dall'interrogante nel presente atto parlamentare si forniscono i seguenti elementi di informazione.
Il 13 luglio 2010, dopo un primo contatto telefonico, il padre e la sorella del signor Nicola Tanno si sono recati al consolato generale di Barcellona per esporre i fatti occorsi al proprio congiunto la sera precedente. Intenzionati a sporgere denuncia contro la polizia locale per l'accaduto, i familiari hanno chiesto i contatti del legale di fiducia del consolato generale, che hanno potuto incontrare nella serata dello stesso giorno. Tuttavia, pur ringraziando per la pronta assistenza fornita, la famiglia Tanno decideva di affidarsi ad un legale differente da quello di fiducia suggerito dal consolato generale.
Il 28 luglio 2010 il consolato generale ha richiesto al tribunale di Barcellona copia degli atti della denuncia. Tale richiesta è stata rinnovata il 3 agosto 2010. In attesa del riscontro da parte del Tribunale, il consolato generale ha informalmente ottenuto copia della denuncia, che è stata presentata contro la polizia locale per aver impartito l'ordine di «sparare proiettili di gomma in modo indiscriminato su cittadini che stavano esercitando i propri diritti civili, in violazione del protocollo di attuazione delle misure di sicurezza», e contro il poliziotto - di cui non si conoscono le generalità - accusato di aver ferito il signor Tanno.
L'11 agosto 2010 il signor Tanno, accompagnato dalla sorella, ha potuto incontrare il console a Barcellona ed il personale incaricato di seguire il caso. Il connazionale, apparso in buone condizioni di salute, ha segnalato la sua permanenza
in loco, assistito dalla famiglia, per seguire da vicino gli eventuali sviluppi giudiziari derivanti dalla sua denuncia.
Il consolato generale ha confermato la piena disponibilità ad assistere il signor Tanno nei mesi a venire, sia in termini di possibili consulenze mediche o legali (attraverso medici ed avvocati di fiducia del Consolato Generale), sia per ciò che concerne l'
iter giudiziario.
Si conferma che il Ministero degli affari esteri continuerà a seguire con ogni opportuna attenzione, in raccordo con il consolato generale a Barcellona, la vicenda in questione.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Alfredo Mantica.

PALADINI. - Al Ministro dell'interno, al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
con l'entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica n. 210 del 2009 recante titolo: «Disposizioni relative all'organizzazione degli uffici centrali di livello dirigenziale generale del Ministero dell'interno ed al personale dell'amministrazione civile dell'interno...» in attuazione di precedenti norme adottate al fine del contenimento della spesa pubblica, l'ispettorato centrale archivistico era soppresso e le sue funzioni erano accorpate all'Ispettorato generale di amministrazione (articolo 3, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica citato);
a tutt'oggi risulterebbe quale direttore lo stesso prefetto del periodo antecedente all'anzidetta soppressione, il quale altresì continuerebbe a fruire di ogni prerogativa spettante, nonostante in data 12 gennaio 2010 il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'interno, deliberasse tra l'altro che lo stesso prefetto, direttore dell'Ispettorato generale archivistico, venisse messo a disposizione fino al collocamento a riposo;
nei fatti il taglio del posto di direzione generale sembrerebbe essere avvenuto solo sulla carta, mentre i medesimi costi parrebbero continuare ad incidere sull'erario pubblico -:
quali atti i Ministri intendano adottare al fine di accertare ed eventualmente rimuovere ogni incongruenza quanto ai provvedimenti adottati.
(4-07382)

Risposta. - A seguito dell'entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica 24 novembre 2009, con il quale si è proceduto ad un ridimensionamento degli assetti organizzativi del ministero dell'interno, in attuazione dell'articolo 74 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito nella legge 6 agosto 2008, n. 133, l'ispettorato centrale per i servizi archivistici, al quale era preposto l'ispettore generale prefetto Luciana Virgilio, è stato soppresso e le relative funzioni sono confluite nell'ispettorato generale di amministrazione.
Il corrispondente posto di funzione di prefetto è stato soppresso, in esecuzione della prevista riduzione delle relative dotazioni organiche, e la dottoressa Virgilio che lo ricopriva è stata destinata ad altre funzioni.
Infatti, con deliberazione del Consiglio dei ministri del 17 dicembre 2009 il prefetto Virgilio è cessata dalle funzioni di ispettore generale di amministrazione ed è stata collocata a disposizione con incarico ai sensi della legge 30 dicembre 1991, n. 410.
Per non disperderne la preziosa e specifica competenza professionale nella delicata fase di passaggio delle funzioni all'ispettorato generale di amministrazione, alla stessa dirigente è stato attribuito, con decreto ministeriale del 12 gennaio 2010, registrato alla Corte dei conti, l'incarico di gestire, nell'ambito del dipartimento per le politiche del personale dell'amministrazione civile e per le risorse strumentali e finanziarie del ministero dell'interno, lo stralcio della documentazione concernente le attività svolte presso l'ispettorato centrale per i servizi archivistici.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Nitto Francesco Palma.

PALAGIANO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro per i rapporti con le regioni. - Per sapere - premesso che:
in data 11 dicembre 2009 l'allora Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, Maurizio Sacconi, immediatamente prima della scissione dell'originario unico dicastero ha sottoscritto un protocollo d'intesa con i presidenti delle regioni Abruzzo e Molise per «il riordino e la valorizzazione dell'Istituto Zooprofilattico Sperimentale "G. Caporale" di Teramo»;
in data 5 maggio 2010 il presidente della giunta regionale dell'Abruzzo ha promulgato la legge n. 13, approvata dal consiglio regionale di detta regione in data 20 aprile 2010;
il suddetto istituto (da denominarsi correttamente, ai sensi delle leggi vigenti, «Istituto zooprofilattico sperimentale dell'Abruzzo e del Molise "G. Caporale«"), risulta essere commissariato da 17 anni e lo resterà fintanto che anche la regione Molise non avrà legiferato sulla materia;
con la citata legge regionale, si stravolge e si innova profondamente, il quadro normativo vigente a parere dell'interrogante del tutto in contrasto con il decreto legislativo n. 270 del 1993 (che sottende alle procedure di riordino degli istituti zooprofilattici sperimentali alle quali, correttamente, tutte le regioni che hanno legiferato si sono strettamente attenute), in particolare per le seguenti motivazioni:
a) il testo della legge de quo non fa riferimento, pur citandolo espressamente, al dettato del decreto legislativo 30 giugno 1993, n. 270, concernente il «Riordino degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali, a norma dell'articolo 1, comma e, lettera h), della legge 23 ottobre 1992, n. 421»;
b) il testo della legge, inoltre, non fa riferimento, quale ambito di azione e come correttamente avrebbe dovuto fare, alle sole regioni Abruzzo e Molise, ma parla genericamente ed in più punti di «regioni», con ciò mirando ad estendere le competenze di tale istituto a tutte le regioni italiane, senza che le stesse siano state coinvolte e consenzienti;
c) in aggiunta, per quanto riguarda l'organo di gestione (direttore generale) in dispregio al dettato del menzionato decreto legislativo n. 270 del 1993 (il direttore

generale è nominato dalla regione dove l'istituto ha sede legale, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni, le province autonome, previo avviso da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, tra gli iscritti nell'elenco nazionale istituito presso il Ministero della sanità di cui all'articolo 3, comma 10, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, appositamente integrato. Nel caso di istituti interregionali, il direttore è nominato di concerto tra le regioni interessate) la legge regionale dell'Abruzzo prevede che la nomina venga effettuata direttamente dal Ministro della salute, seppure d'intesa con i presidenti delle regioni Abruzzo e Molise, il quale Ministro, peraltro, può anche procedere alla sua rimozione per comprovate ragioni, su richiesta motivata del consiglio di amministrazione;
d) al contrario, inoltre, di quanto ancora sancito dallo stesso decreto legislativo (il direttore generale è coadiuvato da un direttore amministrativo e da un direttore sanitario veterinario), nella legge regionale in questione non si fa alcun riferimento a tali figure, discostandosi in tal modo dall'organizzazione generale di tutte le Aziende sanitarie pubbliche;
e) l'articolo 6 della legge regionale approvata dalla regione Abruzzo prevede che da un lato l'Istituto in questione usufruisca, come tutti gli altri istituti zooprofilattici sperimentali, del finanziamento di cui all'articolo 6 del decreto legislativo 270 del 1993, e, dall'altro ed in aggiunta, che lo stesso Ministero della salute garantisca «ulteriori modalità di finanziamento, per assicurare che l'Istituto possa assolvere ai compiti nazionali ed internazionali svolti per il Ministero e le Regioni»;
f) da ultimo, ma di non minore importanza, risulta l'assoluta assenza di una norma che regolamenti il rapporto di lavoro del personale, ancora una volta in dispregio del dettato del decreto legislativo n. 270 del 1993, che all'articolo 7 recita: «Il rapporto di lavoro del personale degli istituti è disciplinato dalle disposizioni contenute nel decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e nel decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29» -:
se si intenda valutare la sussistenza dei presupposti per impugnare la legge regionale dell'Abruzzo 5 maggio 2010, n. 13, ai sensi dell'articolo 127 della Costituzione.
(4-07562)

Risposta. - In relazione all'interrogazione in esame, concernente la legge della regione Abruzzo n. 13/2010, si rappresenta che il Consiglio dei Ministri nella seduta del 13 luglio 2010 ne ha deliberato l'impugnativa per le motivazioni di seguito indicate.
La predetta legge, che disciplina il funzionamento dell'Istituto zooprofilattico sperimentale dell'Abruzzo e del Molise «G. Caporale» di Teramo, è stata emanata dalla regione Abruzzo a seguito del Protocollo d'intesa stipulato tra il ministero della salute, la regione Abruzzo la regione Molise per il riordino e la valorizzazione di detto Istituto interregionale, secondo quanto previsto dall'articolo 2, comma 5, del decreto legislativo n. 270 del 1993.
La normativa regionale in esame presenta, tuttavia, profili di illegittimità costituzionale; in particolare, l'articolo 1, comma 4, l'articolo 3, comma 4, l'articolo 4, comma 2 e l'articolo 5, commi 1 e 4 si pongono in contrasto con i principi fondamentali in materia di tutela della salute, di cui al menzionato decreto legislativo n. 270 del 1993, e con l'articolo 117, terzo comma, Cost.
Per tale motivo la legge citata è stata censurata dinnanzi alla Corte Costituzionale per i motivi di seguito specificati:
1) L'articolo 1, comma 4, nella parte in cui attribuisce alle regioni Abruzzo e Molise la facoltà di assegnare all'Istituto zooprofilattico sperimentale ulteriori compiti di interesse nazionale e internazionale, si pone in contrasto con l'articolo 2, comma 2, del decreto legislativo n. 270 del 1993, che riserva alla competenza esclusiva dello Stato l'assegnazione di tali compiti.
La predetta riserva di competenza è stata, del resto, ribadita dalla sentenza n. 124 del 1994 della Consulta, anche alla

luce della lettera l) del comma 3 dello stesso articolo 2, secondo cui: «il ministero della sanità provvede a istituire presso gli Istituti Zooprofilattici Sperimentali centri specialistici di referenza nazionale, comunitaria ed internazionale, nonché attribuire agli stessi compiti e funzioni di interesse nazionale, comunitario ed internazionale»;
2) L'articolo 3, comma 4, disponendo che il collegio dei revisori è composto da tre membri, due dei quali nominati dalle regioni e uno dal ministero della salute, contrasta con il principio fondamentale in materia di coordinamento della finanza pubblica di cui all'articolo 16 della legge n. 196 del 2009. Tale disposizione, nell'ottica del controllo e monitoraggio degli andamenti della finanza pubblica, prevede la presenza di un rappresentante del ministero dell'economia e delle finanze nei collegi di revisione delle pubbliche amministrazioni. Pertanto, tenuto conto che, ex articolo 3, comma 4, del menzionato decreto legislativo n. 270 del 1993, nella composizione del collegio dei revisori dei conti dell'istituto Zooprofilattico Sperimentale in oggetto deve essere comunque assicurata la componente ministeriale ed ancora che, secondo quanto affermato dalla Consulta nella sopra richiamata sentenza n. 124 del 1994, tale componente statale non deve prevalere su quella regionale, la disposizione in esame è stata censurata nella parte in cui individua quale terzo componente un rappresentante del ministero della salute in luogo del rappresentante del ministero dell'economia e delle finanze, ed per aver violato in tal modo l'articolo 117, terzo comma, della Costituzione;
3) l'articolo 4, comma 2, disciplina il «finanziamento» dell'Istituto prevedendo che il ministero della salute individui modalità di finanziamento ministeriale «ulteriori» rispetto a quelle previste dal decreto legislativo 270 del 1993, destinate a far fronte alle spese derivanti dai nuovi compiti assegnati all'Istituto dalle regioni, tale disposizione si pone in contrasto con l'articolo 6, comma 2, lettera
a) del citato decreto legislativo secondo il quale i servizi e i compiti aggiuntivi sono assicurati da finanziamenti statali o regionali a seconda che i nuovi compiti siano stati assegnati all'istituto dallo Stato o dalle regioni;
4) L'articolo 5, comma 1, nella parte in cui attribuisce al consiglio di amministrazione «funzioni di controllo», si pone in contrasto con l'articolo 3, comma 2, del decreto legislativo n. 270 del 1993, che riserva al consiglio di amministrazione esclusivamente «compiti di indirizzo, coordinamento e verifica delle attività dell'istituto», nonché con l'articolo 3, comma 5, dello stesso decreto legislativo che, richiamando le norme di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 502 del 1993 (oggi contenute nell'articolo 3-
ter, a seguito delle modifiche apportate dal decreto legislativo n. 229 del 1999), attribuisce le funzioni di controllo al collegio dei revisori;
5) L'articolo 5, comma 4, secondo il quale il direttore generale cura la gestione dell'ente nell'ambito delle «direttive» impartite dal consiglio di amministrazione, si pone in contrasto con l'articolo 3, commi 2 e 3, del decreto legislativo 270 del 1993, che individua nel consiglio di amministrazione l'organo di indirizzo, coordinamento e verifica e nel direttore generale l'organo titolare della rappresentanza legale e della responsabilità della gestione complessiva dell'ente, nonché della direzione dell'attività scientifica.
In particolare, il consiglio di amministrazione elabora le linee programmatiche dell'attività dell'ente, fornendo indirizzi di carattere generale, che non si traducono in precise e specifiche direttive o istruzioni impartite al direttore generale, che, invece, nell'esercizio delle funzioni assegnategli, dispone degli ambiti di autonomia afferenti alla titolarità della rappresentanza legale e della responsabilità della gestione complessiva dell'ente.
6) inoltre, per quanto attiene all'articolo 5, commi 1 e 4, è da aggiungere che dette norme, con le previsioni sopra censurate, definiscono un assetto istituzionale dell'ente difforme da quello delineato dal decreto legislativo 270 del 1993. Tale decreto legislativo è, infatti, fondato sulla

separazione delle funzioni di indirizzo e verifica, delle funzioni di gestione e delle funzioni di controllo che vengono attribuite rispettivamente al consiglio di amministrazione, al direttore generale e al collegio dei revisori, profilando in tal modo una ripartizione di compiti che non viene rispettata dalle norme regionali in esame.
Per i motivi sopra esposti, il Consiglio dei Ministri ha ritenuto pertanto di impugnare le disposizioni regionali sopra indicate dinanzi alla Corte Costituzionale ai sensi dell'articolo 127 della Costituzione.

Il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale: Raffaele Fitto.

PATARINO, ANTONIO PEPE, SBAI, CONSOLO, CASTELLANI, DI VIRGILIO, RAISI e NOLA. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
la città di Taranto è da sempre una gloriosa capitale della Marina italiana, per la cui presenza in passato ha pagato un costo altissimo di vite umane, ma ha registrato anche fondamentali ritorni per l'economia cittadina;
tali ritorni si sono già fortemente ridotti per il combinato disposto della crisi dell'Arsenale e dell'eliminazione della leva obbligatoria;
contestualmente la città subiva le conseguenze di un pur discutibile «dissesto» dell'amministrazione comunale e delle difficoltà di mercato dell'ILVA, alla cui causa peraltro paga prezzi molto pesanti in termini di sicurezza ambientale;
le organizzazioni locali dei commercianti hanno lanciato un disperato allarme sul rischio che anche le visite mediche della Marina militare siano dirottate altrove, con ulteriore perdita di circa 18 mila presenze annue per tre giorni, che per alberghi, ristoranti ed esercizi commerciali, già in grave sofferenza, rappresentano un vero e proprio colpo mortale -:
se non ritenga, in caso tali allarmanti notizie dovessero essere motivate da ipotesi non prive di un certo fondamento, di intervenire con le più opportune e urgenti iniziative, perché un così grave pericolo venga prontamente scongiurato, al fine di salvaguardare, per una città che vive anche e soprattutto di Marina militare, quanto meno l'indotto derivante da tali visite mediche.
(4-06862)

Risposta. - La questione affrontata con l'interrogazione in esame, relativa al trasferimento delle visite mediche della Marina militare da Taranto ad altra sede, deve essere inquadrata nell'ambito del più ampio e complesso processo di ristrutturazione che, come noto, da alcuni anni sta interessando le Forze armate, nella prospettiva di adeguare lo strumento militare all'evoluzione dello scenario internazionale di sicurezza.
Tale processo, in estrema sintesi, è volto ad ottimizzare tutte le componenti delle Forze armate, ossia quelle di vertice, quelle dell'area tecnico operativa e tecnico-amministrativa, della logistica, della formazione e dell'organizzazione territoriale.
In sostanza, s'intende perseguire soluzioni tese ad ottenere un migliore rapporto costo/efficacia, attraverso la ridefinizione delle funzioni di comandi/enti/reparti e attuando, conseguentemente razionalizzazioni, accorpamenti - in chiave interforze qualora conveniente-opportuno - e soppressioni di quelli non più funzionali, evitando ogni duplicazione.
La ristrutturazione in atto ha evidentemente coinvolto anche le componenti della Marina militare, la quale, in linea con una propria metodologia ormai consolidata, valuta, prima di attuare qualsiasi provvedimento ordinativo, tutti gli aspetti direttamente e indirettamente correlati - di carattere operativo, economico, infrastrutturale, nonché quelli di carattere sociale legati all'indotto, alle tradizioni e ai legami storici con il territorio - nell'ottica di perseguire soluzioni che, contemperando le prioritarie esigenze funzionali e operative delle Forze armate con gli interessi delle comunità locali interessate, consentano di ottenere un ottimale rapporto costo/efficacia.


La decisione della Forza armata di trasferire le attività di «selezione» - in cui sono ricomprese le visite mediche - dei volontari in ferma prefissata di un anno (Vfp1) da Taranto al centro di selezione di Ancona rientra nell'ambito dei provvedimenti ordinativi correlati al più ampio processo di riorganizzazione e razionalizzazione dell'area periferica, avviato nel corso dell'ultimo biennio.
Ciò allo scopo di recuperare risorse sia finanziarie, per far fronte all'attuale complessa congiuntura economica, che impone misure ed iniziative volte al contenimento della spesa pubblica, sia umane da reimpiegare per soddisfare le carenze organiche esistenti e/o le crescenti e prioritarie esigenze di personale militare nell'area centrale ed interforze.
Più in particolare, tale scelta di far confluire le attività relative alla selezione dei Vfp1 presso il centro di selezione di Ancona, in linea di coerenza con l'esigenza di ridurre gli oneri attraverso indispensabili economie di scala, si è ispirata ai seguenti criteri:
la razionalizzazione e l'accorpamento delle attività concorsuali concernenti il reclutamento dei volontari presso un unico centro di selezione, in analogia a quanto già attuato dalle altre Forze armate;
l'ottimizzazione complessiva delle tempistiche ed economicità di impiego del personale coinvolto nei processi selettivi e delle risorse finanziarie assegnate per tale settore;
l'uniformità nello svolgimento delle attività di selezione e semplificazione della gestione del contenzioso;
il conseguimento di una maggiore organicità delle funzioni di gestione e di coordinamento dell'attività di selezione cui partecipano più elementi di organizzazione.

Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.

PIFFARI e CIMADORO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
l'amministrazione comunale di Pizzighettone (Cremona) ha provveduto ad installare un autovelox fisso sulla strada ex statale 234 «Codognese» nel tratto previsto dal decreto prefettizio del 25 ottobre 2007, anche a seguito dell'elevata incidentalità, anche mortale, dell'arteria stradale;
la circolare ministeriale, a firma del ministro Maroni, del 14 agosto 2009 ha evidenziato e sottolineato che i sistemi fissi e mobili di rilevamento della velocità devono avere una funzione preventiva e repressiva;
tale provvedimento ha generato un impatto positivo su quel tratto di strada, dov'è diminuito drasticamente il numero di incidenti;
l'amministrazione locale ha provveduto a finalizzare al miglioramento complessivo della viabilità, della segnaletica e della sicurezza stradale i proventi delle contravvenzioni elevate;
il bilancio di previsione per il corrente anno del comune di Pizzighettone prevedeva entrate di notevole entità derivanti da questa iniziativa di prevenzione;
analogamente al comune di Pizzighettone, anche i comuni di Soncino e di Cremona hanno provveduto ad installare dispositivi di telelaser;
improvvisamente, con decreto prefettizio n. 8030/2010 del 17 marzo 2010, inaudita altera parte, è stato rettificato ed integrato il precedente decreto, con modificazione delle progressive chilometriche in cui è possibile esercitare il controllo;
con le nuove progressive chilometriche, che spostano di circa dieci chilometri il tratto soggetto a controllo della strada ex statale 234, tutto il territorio ricompreso nel comune di Pizzighettone viene ad essere escluso dalla possibilità di installazione di autovelox o altri dispositivi analoghi;
tale provvedimento, oltre a generare sensibili danni al bilancio approvato dal

comune di Pizzighettone - per un'entità compresa tra i 600 e gli 800 mila euro, fino a paventare il mancato rispetto del tetto previsto dal patto di stabilità - è stato accolto come un fulmine a ciel sereno ed è stato interpretato dalla stampa locale (vedasi articolo Il Cittadino di Lodi del 16 aprile 2010) come il risultato dell'iniziativa assunta da qualificate autorità istituzionali del confinante territorio lodigiano, appartenenti alla Lega Nord;
il nuovo decreto prefettizio non comporta alcuna modifica alle installazioni dei medesimi dispositivi nei comuni di Soncino (località Gallignano) e per le dodici postazioni previste nel comune di Cremona -:
quali siano le motivazioni che, senza tener conto degli argomenti a suo tempo considerati dall'autorità prefettizia di Cremona, improvvisamente abbiano determinato un così clamoroso capovolgimento di indirizzo da parte della stessa autorità prefettizia che aveva generato il precedente provvedimento;
se e quali motivazioni possano portare ad una disparità così eclatante di comportamenti riferiti agli strumenti telelaser installati da altri comuni;
se e come si intenda provvedere per il ripristino delle entrate necessarie al comune di Pizzighettone per il completamento delle iniziative di sicurezza stradale indicate nel bilancio preventivo, approvato antecedentemente al decreto del prefetto.
(4-07179)

Risposta. - Con direttiva del 14 agosto 2009, il Ministro dell'interno ha indicato le linee guida da adottare nel contrasto al fenomeno dell'incidentalità stradale. Nella stessa, al fine di attuare specifiche strategie di contrasto, sono stati individuati i criteri da seguire nell'azione di contrasto degli eccessi di velocità, consistenti, tra l'altro, nella individuazione dei punti critici per la circolazione ove è maggiore la sinistrosità stradale con riferimento al biennio precedente, nella ricognizione ed eventuale revisione dei tratti di strada lungo i quali è consentito l'impiego di sistemi di controllo remoto delle violazioni, nella necessità di operare la contestazione immediata solo nei casi in cui sussistano tutte le garanzie per la sicurezza della circolazione e degli operatori.
Al fine di garantire il raggiungimento degli obiettivi prefissati è stato, inoltre, suggerito ai prefetti di attuare una intensa opera di coordinamento mediante la convocazione della conferenza provinciale permanente e l'istituzione di uno specifico osservatorio per l'incidentalità «finalizzato al monitoraggio degli incidenti stradali dipendenti dall'eccesso di velocità ed a misurare l'efficacia delle attività di contrasto adottate».
In applicazione della suddetta direttiva, il prefetto di Cremona ha convocato, in data 15 settembre 2009, la conferenza provinciale permanente. All'incontro hanno preso parte i vertici delle forze dell'ordine, degli uffici periferici dello Stato, delle polizie locali e provinciale, nonché i rappresentanti dei maggiori comuni del territorio. Nel corso della riunione sono stati ampiamente dibattuti i contenuti della citata direttiva e si è unanimemente convenuto di costituire un apposito osservatorio sulla incidentalità, al quale sono stati chiamati a far parte i rappresentanti delle forze dell'ordine, dei maggiori comuni della provincia e di quelli capofila delle unioni di comuni. Tale organismo si è riunito il 12 novembre ed il 14 dicembre 2009 ed ha analizzato i dati statistici sull'incidentalità rilevata nei tratti stradali della provincia, elaborati dalla polizia stradale e dalla stessa amministrazione provinciale.
Sulla base degli specifici pareri tecnici formulati dalla questura e dall'amministrazione provinciale, il prefetto ha successivamente indetto, in data 12 marzo 2010, una riunione, alla quale sono stati invitati tutti i sindaci nei cui territori erano stati autorizzati i dispositivi di controllo remoto delle violazioni e quelli dei territori interessati dall'emanando decreto.
Nell'occasione, il questore ha esplicitato che il controllo e la sicurezza su strada non possono esser affidate soltanto agli accertamenti eseguiti mediante apparecchiature

di controllo, ma devono essere accompagnati dalla sinergica azione delle forze dell'ordine e da quelle con compiti di polizia stradale. Lo stesso questore ha, altresì, evidenziato che la direttiva ministeriale suggerisce di consentire l'installazione di postazioni fisse di controllo solo nei tratti stradali maggiormente a rischio, evitando l'installazione delle medesime in luoghi dove l'incidentalità è ridotta o tale da poter esser agevolmente controllata con postazioni mobili.
Con decreto prefettizio del 17 marzo 2010, quindi, sono stati formalmente individuati i tratti stradali della provincia oggetto di autorizzazione all'utilizzo di sistemi di controllo remoto delle violazioni.
Dal confronto tra il precedente provvedimento del 14 maggio 2008 ed il citato decreto è risultato non soltanto un maggior numero di tratti autorizzati (da 7 a 17), ma anche un sensibile incremento chilometrico degli stessi. Inoltre, sono state adeguatamente considerate e valutate, in ragione dell'analisi dei dati incidentali relativi al biennio 2007/2008, le accresciute necessità di tutela lungo i tratti stradali che conducono al capoluogo e per i quali è stato verificato un maggior rischio di incidentalità.
Per quanto concerne il tratto stradale della S.P. n. 234.(cosiddetto) «Codognese», compreso tra i km. 50+054 e 58+452 - lungo il quale era stato in precedenza autorizzato l'impiego di sistemi di controllo remoto delle violazioni senza la presenza di operatori di polizia - si fa presente che lo stesso è risultato meno pericoloso di quello individuato dalle chilometriche 60+320 e 67+485 della medesima strada. Detto ultimo tratto stradale, infatti, in ragione di una maggiore vicinanza al centro abitato di Cremona, ha evidenziato, nel corso del biennio 2007/2008, una maggior incidentalità.
Di conseguenza, confortato dalle risultanze emerse dai lavori dell'osservatorio sull'incidentalità, il prefetto di Cremona ha ritenuto opportuno consentire l'uso di dispositivi senza obbligo di contestazione immediata lungo il tratto maggiormente pericoloso della S.P. n. 234, e non su quello statisticamente meno a rischio, in applicazione delle disposizioni ministeriali che attribuiscono ai sistemi fissi e mobili di rilevamento della velocità una funzione prevalentemente preventiva, finalizzata a ridurre drasticamente gli incidenti stradali».
Ciò non comporta, ovviamente, che gli impianti installati debbano esser dismessi o le violazioni non possano esser accertate con conseguente impossibilità dell'amministrazione comunale di sanzionare condotte illecite. È evidente che, in tali circostanze, gli organi accertatori possono, comunque, contestare le infrazioni al Codice della strada, mediante la predisposizione di servizi specifici e l'utilizzazione di sistemi mobili di rilevamento della velocità, sotto il controllo e con la presenza di un operatore di polizia che potrà legittimamente operare e sanzionare, con contestazione immediata, gli eventuali trasgressori.
Le stesse «istruzioni operative per le attività di prevenzione del fenomeno infortunistico stradale mediante il controllo dei limiti di velocità», costituenti parte integrante della suddetta direttiva, chiariscono che l'impiego di postazioni fisse di rilevamento, senza la presenza degli operatori di polizia, «non può ritenersi una modalità ordinaria di controllo, ma rappresenta uno strumento utilizzabile solo su alcune strade ed in presenza di determinate condizioni».
In relazione alla lamentata disparità di trattamento nei confronti del comune di Pizzighettone - unico ente locale al quale sarebbe stata sottratta la possibilità di posizionare postazioni fisse - si osserva che anche il comune di Soncino, in località Gallignano, non è stato autorizzato a mantenere la postazione fissa in precedenza consentita. La mancata conferma della predetta autorizzazione è stata determinata, anche in tal caso, dalla valutazione dei dati trasmessi dagli organi tecnici che hanno evidenziato la maggiore pericolosità di un altro tratto stradale che attraversa il medesimo comune, rispetto a quello in precedenza individuato.
Per il territorio del comune di Cremona, inoltre, il precedente decreto prefettizio aveva autorizzato non dodici ma due soli tratti

(quello relativo alla ex strada statale n. 45-bis dal chilometro 7+245 al chilometro 14+100 e quello della strada provinciale n. 87 dal chilometro 4+964 al chilometro 10+312).
Ora sono stati individuati, sempre in prossimità del capoluogo, otto tratti stradali, lungo i quali è consentita l'installazione di postazioni fisse senza obbligo di contestazione immediata. Ciò per motivazioni riconducibili, come più volte sopra evidenziato, all'incremento dell'incidentalità rilevato nel corso dell'istruttoria.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Nitto Francesco Palma.

PILI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per i rapporti con le regioni, al Ministro della difesa, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 14 dello Statuto speciale per la Sardegna legge costituzionale 26 febbraio 1948 n. 3, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 9 marzo 1948, n. 58 dispone:
1) la regione, nell'ambito del suo territorio, succede nei beni e diritti patrimoniali dello Stato di natura immobiliare e in quelli demaniali, escluso il demanio marittimo;
2) i beni e diritti connessi a servizi di competenza statale ed a monopoli fiscali restano allo Stato, finché duri tale condizione. I beni immobili situati nella regione, che non sono di proprietà di alcuno, spettano al patrimonio della regione;
la Corte costituzionale con sentenza n. 383 del 1991, in merito al ricorso proposto da altra regione a statuto speciale, la regione Valle d'Aosta, aveva sostenuto l'automatico passaggio dei beni alla stessa regione anche in virtù del seguente esplicito riferimento alla regione Sardegna: «Del resto l'articolo 14 dello statuto speciale per la Sardegna (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3) mentre stabilisce, al primo comma, che la regione, nell'ambito del suo territorio, succede allo Stato nei beni demaniali e, al secondo comma, che restano allo Stato i beni e diritti connessi a servizi di competenza statale, da rilievo alla sopravvenienza, in quanto prevede che la detta causa di esclusione possa cessare, con l'effetto in tal caso che la successione si realizza, in un momento posteriore all'entrata in vigore dello statuto»;
la Corte costituzionale nella stessa sentenza, per il bene militare le cui funzioni di difesa erano venute meno proprio dall'intenzione dello Stato di vendere il compendio, disponeva: «Va dunque dichiarato che non spetta allo Stato porre in vendita a privati, con l'impugnato avviso d'asta, l'immobile in questione, appartenendo questo al demanio della regione Valle d'Aosta»;
le disposizioni contenute nei primi due commi dell'articolo 14 dello statuto della regione Sardegna di rango costituzionale dispongono che la regione succeda, nell'ambito del suo territorio, nei beni e nei diritti patrimoniali dello Stato di natura immobiliare, regola generale esplicitata nel primo comma;
il secondo comma del citato articolo 14 introduce un'eccezione: la successione non avviene e i beni restano di proprietà dello Stato quando sono utilizzati (connessi) per servizi di pertinenza statale;
l'eccezione, però, ha un limite ben preciso: l'utilizzazione deve essere attuale, di guisa che se tale utilizzo viene a cessare cade il presupposto della medesima eccezione ed i beni non più utilizzati ricadono nella regola generale e seguono la sorte degli altri beni statali e, cioè, la loro proprietà è trasferita «ope legis» alla regione;
la chiara e univoca statuizione dell'articolo 14, secondo cui «i diritti patrimoniali connessi a servizi di competenza statale restano allo Stato "finché duri tale condizione"» non può dare luogo a dubbi interpretativi;

la congiunzione temporale «finché» attribuisce, infatti, un sicuro valore dinamico allo norma. Nel senso che transitano nel patrimonio regionale non solo i beni che, alla data di entrata in vigore dello statuto speciale, non erano più connessi a servizi statali, ma anche quelli la cui connessione sia venuta meno successivamente;
l'applicazione di tale disposto si rileva nella nota n. 2/20680/10-1-20-20/89 dell'aprile 1989, quando l'allora Ministro della difesa, Zanone, comunicava al presidente della regione di aver impartito disposizioni agli organi tecnici della difesa, per l'avvio della procedura prevista per la cessione all'Amministrazione finanziaria dei beni demaniali non più necessari alle Forze armate;
il significato proprio dato dal legislatore alla norma porta sicuramente a dare rilievo alla sopravvenienza e, cioè, al sopravvenuto venir meno della connessione del bene con il servizio statale;
tale sopravvenienza rappresenta il limite all'eccezione di cui al secondo comma dell'articolo 14 e fa, quindi, rivivere la regola generale della successione della regione Sardegna nella proprietà dei beni dello Stato;
la cessazione della connessione dei beni immobili ai fini statali, come dispone la richiamata sentenza della Corte costituzionale, si è verificata proprio nel momento in cui l'amministrazione dello Stato ha posto in vendita o attivato forme di concessione e comodato a soggetti privati o pubblici del bene stesso;
con riferimento alla regione Sardegna non esiste nessuna disposizione normativa che possa configurarsi come ostativa al trasferimento dei beni statali alla regione stessa, quando la «dismissione» avvenga in data successiva all'entrata in vigore dello statuto sardo;
il Consiglio di Stato in sede consultiva con il parere della terza sezione del 12 febbraio 1985, n. 158, ha espresso formale parere su richiesta del Ministero della difesa proprio sull'applicazione dello statuto sardo;
l'organo consultivo in quel parere, - in estrema sintesi - si è pronunziato nel senso che l'articolo 14, secondo comma, dello statuto sardo stabilisce che i beni immobili connessi a servizi di competenza statale restano allo Stato soltanto finché duri tale condizione, riconoscendo, così, allo Stato la funzione di uso e non anche di disposizione degli immobili stessi;
con una nota stampa del Ministero della difesa il sottosegretario delegato relativamente all'utilizzo delle strutture costiere dei fari dislocati nel territorio della regione Sardegna il 7 aprile 2010 ha dichiarato: «i Fari (riferito a quelli sardi) ormai funzionano automaticamente e non hanno più bisogno di personale che li attivi o li mantenga, favorendo l'utilizzo delle suddette strutture al fine di promuovere attività turistico ricettive che oltre a favorire l'economia dei comuni interessati giovano al dicastero che con le relative entrate può migliorare e ristrutturare altri siti di interesse in Sardegna. Per realizzare tale progetto - spiega il sottosegretario alla difesa - i Comuni sono indispensabili perché devono individuare una destinazione d'uso delle strutture pertinenti i fari e sembrano ben disposti a procedere in tale direzione ricavando un vantaggio che, consentendo alla difesa di continuare l'utilizzo dell'installazione, dia però l'opportunità di valorizzarne una parte»;
con tale dichiarazione sono state di fatto preannunciate azioni lesive delle prerogative disciplinate dallo statuto speciale della regione Sardegna;
in particolar modo sono cinque i punti delle dichiarazioni rese attraverso la nota del Ministero della difesa che ad avviso dell'interrogante rischiano di porsi in contrasto con le norme di rango costituzionale

che disciplinano l'automatica cessione del patrimonio dello Stato alla regione una volta accertata la cessazione della preminente funzione statale:
1) «i fari ormai funzionano automaticamente e non hanno più bisogno di personale che li attivi o li mantenga»
2)«favorendo l'utilizzo delle suddette strutture al fine di promuovere attività turistico ricettive»;
3) «oltre a favorire l'economia dei comuni interessati giovano al dicastero che con le relative entrate»;
4) «può migliorare e ristrutturare altri siti di interesse in Sardegna»;
5) «i comuni sono indispensabili perché devono individuare una destinazione d'uso delle strutture pertinenti i fari»;
con l'affermazione «i Fari ormai funzionano automaticamente e non hanno più bisogno di personale che li attivi o li mantenga...» si dichiara esplicitamente che il Ministero della difesa non svolge più nessuna funzione di gestione della struttura e che la funzione di difesa è di fatto cessata;
con l'affermazione «... favorendo l'utilizzo delle suddette strutture al fine di promuovere attività turistico ricettive...» si dichiara ancora più esplicitamente la cessazione dell'attività di difesa e, soprattutto, si avanza un'ipotesi di nuovo utilizzo che invade palesemente, la sfera di competenza costituzionalmente riconosciuta della regione Sardegna;
con l'affermazione «oltre a favorire l'economia dei comuni interessati giovano al dicastero che con le relative entrate...» si afferma sostanzialmente che tali siti sarebbero funzionali non alla difesa ma a generare entrate a favore del ministero costituendo di fatto un presupposto del tutto illegittimo e infondato dell'utilizzo dei beni non più funzionali allo Stato ricadenti nel territorio della regione Sardegna;
con l'affermazione «può migliorare e ristrutturare altri siti di interesse in Sardegna» si manifesta la volontà di persistere nella gestione del patrimonio di fatto della regione Sardegna per perseguire scopi diversi da quelli della difesa;
con l'affermazione «i comuni sono indispensabili perché devono individuare una destinazione d'uso delle strutture pertinenti i fari», si conferma la modifica della destinazione d'uso e quindi la cessazione evidente e dichiarata della funzione della difesa e dall'altra si individua un interlocutore, il comune, in contrasto con il dettato statutario che individua la regione come unico soggetto destinatario di questo patrimonio che potrà, a sua volta e con autonoma decisione, decidere di trasferirlo ai comuni o ad altri soggetti pubblici o privati;
la regione Sardegna ha dichiarato, per quanto riguarda il faro di Punta Scorno, nel comune di Porto Torres, di essere la legittima proprietaria sin dal 1994 quando l'Agenzia del demanio l'avrebbe trasferito alla regione che lo ha iscritto nel conto patrimoniale con il numero identificativo 2133;
il Ministero con ulteriore nota ha dichiarato di essere proprietaria dell'immobile ribadendo che se non fosse intervenuto un accordo lo avrebbe tenuto nel proprio conto patrimoniale -:
se non ritenga di dover formalmente dichiarare l'effettiva proprietà di quel bene e qualora fosse ancora iscritto nei beni dello Stato provvedere, anche alla luce delle dichiarazioni sopra riportate, all'immediato trasferimento del bene alta regione;
se non ritenga necessario, con urgenza, comunicare l'elenco di tutti quei beni immobili la cui funzione della difesa è cessata, ricadenti nel territorio della regione autonoma della Sardegna e non ancora iscritti negli elenchi delle cessioni;
se non ritenga opportuno, insieme ai casi già noti, quello del faro di Punta Scorno e di Capo Mannu in Sardegna,

dove per esplicita comunicazione ai sindaci dei rispettivi comuni è stata di fatto dichiarata dal Ministero la cessata funzione della difesa per quei beni immobili, fornire un puntuale elenco di tutti quei beni ricadenti nel territorio della Sardegna non ancora transitati dal patrimonio dello Stato a quello della regione nonostante la cessata funzione originaria, oggetto di iniziative analoghe a quelle intraprese per i predetti casi;
se non ritenga opportuno comunicare formalmente a tutti gli enti locali interessati che il Ministero della difesa è incompetente a gestire la riconversione delle predette strutture e che la richiesta di parere formulata dal Ministero medesimo ai comuni è formalmente annullata per incompetenza del Ministero stesso;
se non ritenga necessario avviare un'urgente e puntuale ricognizione dei beni ancora in capo alla Difesa, e che non hanno più alcuna funzione connessa con quelle originarie, per procedere ad una rapida cessione degli stessi alla regione autonoma della Sardegna in base ai dettati dello Statuto autonomo della Sardegna, articolo 14, che si rammenta essere legge costituzionale 26 febbraio 1948 n. 3 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 9 marzo 1948, n. 58;
se il Ministro dell'economia e delle finanze non ritenga di dover procedere con propria comunicazione a tutti i soggetti in particolar modo all'Agenzia del demanio, che dispongono del patrimonio statale a rammentare la piena vigenza dell'articolo 14 dello statuto della regione autonoma della Sardegna:
se il Governo sia a conoscenza della realizzazione di una struttura alberghiera nel faro Capo spartivento nel comune di Domus De Maria località Chia;
se la disponibilità di quella struttura sia in capo allo Stato e se eventualmente con quali atti sia stato assegnato;
se lo Stato ha percepito introiti a qualsiasi titolo per quella struttura;
se non intenda procedere eventualmente all'assegnazione degli stessi alla regione Sardegna e a regolarizzare la stessa proprietà del bene ai sensi dell'articolo 14 dello statuto della regione Sardegna.
(4-06771)

Risposta. - Giova evidenziare, in premessa, che la Difesa ha sempre trattato le questioni concernenti le dismissioni d'immobili militari siti in Sardegna non soltanto nel pieno rispetto dell'articolo 14 dello statuto speciale della Sardegna, ma individuando altresì, in accordo con la regione, soluzioni volte a garantire, quanto più possibile, il più rapido soddisfacimento delle relative esigenze, in considerazione sia delle generali problematiche di gestione, sia di specifici immobili siti sul territorio.
L'interrogante pone una questione giuridica molto sottile e, cioè, se la cessazione della destinazione dell'immobile a faro sia causa della perdita della demanialità e, per questo effetto, anche del passaggio in titolarità alla regione Sardegna, ai sensi dell'articolo 14 di quello statuto speciale.
Tale articolo, ai primi due commi, afferma: «La Regione, nell'ambito del suo territorio, succede nei beni e diritti patrimoniali dello Stato di natura immobiliare e in quelli demaniali, escluso il demanio marittimo. I beni e diritti connessi a servizi di competenza statale e a monopoli fiscali restano allo Stato, finché duri tale condizione».
Si tratta dunque di vedere se i manufatti degli
ex-fari (una volta cioè che sia cessata la destinazione dell'immobile a faro) continuino ad appartenere al demanio militare e, in taluni casi, al demanio marittimo.
Vale, a questo riguardo, il principio generale di accessione (superficies solo cedit) di cui all'articolo 934 del codice civile (opere fatte sopra o sotto il suolo) che recita testualmente: «qualunque piantagione, costruzione od opera esistente sopra o sotto il suolo appartiene al proprietario di questo, salvo quanto è disposto dagli articoli 935, 936, 937 e 938 e salvo che risulti diversamente dal titolo o dalla legge».
Perciò, il manufatto, sia o non sia oggi destinato a faro, segue il regime del suolo su cui è edificato.


Ne consegue che gli
ex-fari restano pur sempre appartenenti, nello specifico, al demanio marittimo, se il loro sedime rientra tra le cose di cui all'articolo 28 del codice della navigazione (che elenca i beni del demanio marittimo); in pratica, se sono stati realizzati su area interna alla perimetrazione del demanio marittimo.
Questa qualificazione preclude la ricorrenza dell'ipotesi subordinata del secondo comma dell'articolo 14 dello statuto della Sardegna.
Infatti, anche se il secondo comma prescinde dalla natura demaniale o patrimoniale del bene (perché fa solo riferimento a «servizi di competenza statale», ed è incontestabile che l'esercizio dei fari sia un «servizio di competenza statale»), l'operatività di questo secondo comma è precluso dalla persistenza dell'appartenenza al demanio marittimo ai sensi del primo comma.
Pertanto, in tali ipotesi, anche quando cessa la condizione della destinazione del bene a quel servizio, non si realizza la fattispecie del passaggio alla regione.
Chiarito quanto sopra e con riferimento agli immobili non più necessari alle esigenze istituzionali della Difesa, si rappresenta che nel 2008 è stato formalizzato un elenco di 33 immobili dismissibili, da riconsegnare alla regione per il tramite dell'Agenzia del demanio.
Le relative attività di riconsegna, a oggi, sono state quasi integralmente realizzate (mancano solo i beni per i quali la regione deve provvedere al previo frazionamento catastale).
Con riferimento, invece, alla questione relativa agli immobili militari ancora in uso alla Difesa di specifico interesse della regione, si specifica che il dicastero si è reso disponibile alla cessione di alcuni di essi, siglando con la regione Sardegna, sempre nel 2008, un accordo di programma finalizzato a trasferire a quest'ultima alcuni beni immobili d'interesse della stessa, tuttora utilizzati dall'amministrazione militare, previa rilocazione, a cura della Regione stessa, delle funzioni ivi espletate.
Al riguardo, per l'attuazione dell'accordo, la Difesa ha già da tempo consegnato alla regione gli studi di fattibilità per le opere sostitutive, al fine di consentire a quest'ultima la predisposizione dei progetti necessari ad appaltare i lavori di rilocazione.
Per seguire l'attuazione dell'accordo è, inoltre, già operante un comitato di vigilanza con rappresentanti della regione Sardegna e del dicastero.
Per quanto riguarda, invece, i fari, oggetto dello specifico interesse dell'interrogante, occorre innanzitutto ribadire l'attualità dell'esigenza di tali infrastrutture, necessarie alla sicurezza del traffico marittimo, nonché all'assolvimento dei compiti istituzionali della Difesa.
Ai fari, peraltro, risultano annessi, quali parti di fatto integranti della struttura e non scindibili senza penalizzarne la funzione, fabbricati attualmente in notevole stato di degrado, per la cui manutenzione, al momento, non si dispone delle necessarie risorse finanziarie, ragione per la quale è necessario garantire la piena funzionalità del faro cui la struttura accede e, al contempo, evitare situazioni di degrado e di pericolo per la sicurezza.
È in tale contesto che va inquadrato l'intendimento della Difesa, in piena trasparenza e nello stesso interesse dell'ente locale in termini di sviluppo del territorio, di ricercare - unitamente ai sindaci dei comuni interessati - una soluzione praticabile e condivisa per consentire il finanziamento delle opere di manutenzione delle strutture in questione.
In particolare, l'ipotesi su cui la Difesa ha inteso avviare un approfondimento con i comuni interessati, è finalizzata ad agevolare un finanziamento esterno degli interventi infrastrutturali necessari alla continuazione della funzione originale e principale del «faro», individuando come contropartita una parziale gestione terza dell'infrastruttura stessa e, ove possibile, contestualmente (mediante forme di couso del bene), un suo utilizzo da parte del dicastero per fini di benessere del personale.

Tanto premesso, avuto riguardo alla situazione di alcuni fari di cui è cenno nell'atto in argomento, si evidenzia quanto segue:
per quanto riguarda il faro di Capo Spartivento, l'infrastruttura in questione è già transitata, in data 30 settembre 2003, nella disponibilità dell'Agenzia del demanio;
per quanto riguarda, invece, il faro di Punta Scorno, si precisa che è stato trasferito alla Regione Sardegna soltanto il fabbricato denominato «semaforo», e non anche il faro, che è rimasto in uso alla Difesa per le proprie esigenze istituzionali; pertanto, in modo erroneo, la regione Sardegna ha ritenuto che fosse stato trasferito anche quest'ultimo, poiché la denominazione che l'Agenzia del demanio ha inserito nell'elenco di trasferimento riprende l'intestazione della scheda patrimoniale («semaforo e faro»), mentre nella colonna descrizione e dati catastali è stato correttamente inserito (e quindi fatto oggetto di trasferimento) il solo «fabbricato denominato Semaforo della Marina mapp. 17» (disponibile presso il Servizio Assemblea).

In conclusione, per ricondurre ad unità quanto sinora esposto, si rappresenta che:
per quanto concerne gli immobili non più necessari al soddisfacimento delle esigenze istituzionali della Difesa, si ribadisce che gli stessi sono già stati individuati nel 2008, e risultano già transitati o in via di transito alla regione Sardegna, per il tramite dell'Agenzia del demanio;
per quanto concerne gli immobili ancora necessari, si specifica ulteriormente che l'intendimento del dicastero è di esaminare - d'intesa con i comuni interessati, con gli enti locali e territoriali interessati, nonché con la regione nell'ambito dei tavoli di concertazione già operanti - ipotesi di
partnership pubblico/privato per determinate tipologie d'immobili, attraverso cui reperire le risorse necessarie per evitare situazioni di degrado delle infrastrutture stesse e per consentire l'avvio dei lavori necessari alla razionalizzazione del parco infrastrutturale in uso alla Difesa.

Solo a seguito di tale processo di razionalizzazione potranno essere liberati, e quindi resi disponibili, per il trasferimento alla regione Sardegna attraverso l'Agenzia del demanio, ulteriori immobili attualmente in uso alla Difesa sul territorio regionale.
Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.

PORTA, BUCCHINO, GIANNI FARINA, FEDI e GARAVINI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
intorno all'attività che i consolati svolgono in favore delle comunità italiane all'estero si sviluppa una rete di servizi retribuiti, tra i quali quelli di traduzione, che rivestono una significativa importanza per i fruitori e per le attese lavorative degli operatori;
nel consolato di Belo Horizonte nel recente passato si sono manifestate delicate questioni relative alla composizione e alla gestione dell'albo ufficiale dei traduttori, che hanno indotto il Ministero degli affari esteri e la locale autorità consolare ad intervenire per escludere dall'elenco persone legate da rapporti di parentela con impiegati e funzionari del consolato;
nel mese di giugno 2010 il consolato di Belo Horizonte ha annunciato l'esclusione dalla lista dei traduttori ufficiali di cui si avvale di un certo numero di traduttori italiani motivando la decisione con l'intento di utilizzare solo i traduttori nominati dalla Junta Comercial do Estado de Minas Gerais;
nell'elenco dei Tradutores Publicos e Intérpretes Comerciais do Estado de Minas Gerais sono inclusi, tramite concorso, solo cittadini brasiliani, con esclusione, quindi, dei traduttori aventi una diversa cittadinanza. La decisione del consolato è fatta risalire a presunte indicazioni ricevute dall'amministrazione, indicazioni francamente incomprensibili dal momento che comportano l'esclusione di traduttori di cittadinanza italiana da attività collegate ad una sede istituzionale italiana e rivolte alla nostra comunità;

l'orientamento prevalente in tema di regolamentazione dell'ordine professionale dei traduttori in Italia propende per il riconoscimento della funzione di traduttore per i cittadini italiani, per quelli residenti all'estero, per i cittadini di altri Stati con i quali vi sia una regolare convenzione di reciprocità, mentre con il Brasile non esiste alcun rapporto di reciprocità in materia;
la decisione dell'amministrazione, che di fatto esclude gli italiani da servizi ruotanti intorno ai consolati, è in aperta contraddizione con il fatto che nel recente passato ai traduttori di madrelingua è stato richiesto dagli stessi consolati una prova di idoneità consistente in un esame di traduzione e che coloro che hanno superato tale prova hanno prestato giuramento di fedeltà alla legge e alla Costituzione, depositato le firme e operato in base ad un attestato ufficiale di nomina -:
se non intenda verificare l'esistenza e la provenienza dell'indirizzo dell'amministrazione al quale il consolato di Belo Horizonte si riferisce per giustificare la decisione di escludere traduttori che hanno per diverso tempo esercitato la loro professione con dichiarata soddisfazione da parte delle autorità consolari;
se non intenda definire e comunicare a tutti i consolati presenti nel mondo criteri uniformi e non penalizzanti per i nostri concittadini in tema di formazione degli albi dei traduttori italiani di cui la nostra amministrazione si avvale, in modo da assicurare efficienza e trasparenza a una funzione di notevole interesse sociale.
(4-07902)

Risposta. - La normativa italiana in materia di stato civile (decreto del Presidente della Repubblica 396 del 2000 articolo 22), nel prescrivere che i documenti redatti in lingua straniera siano corredati da una traduzione, non fornisce alcuna indicazione sull'individuazione dei traduttori ufficiali. In assenza di disposizioni normative, pertanto, l'accettazione delle traduzioni e la predisposizione di liste di traduttori di fiducia da parte degli Uffici Consolari rappresenta necessariamente una prassi rimessa al prudente apprezzamento del responsabile dell'ufficio consolare.
La presenza in alcuni paesi della figura giuridica del «traduttore ufficiale», come avviene in Brasile ed in particolare nello stato di Minas Gerais, può costituire un punto di riferimento per l'esercizio di tale prassi. In tali paesi, il responsabile dell'ufficio consolare si avvale quindi dei traduttori iscritti nei relativi albi professionali o comunque individuati secondo la normativa locale.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Alfredo Mantica.

RAISI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
in data 24 maggio 2010 nel quartiere San Donato di Bologna il signor Abdelrahim Gourich, sottoposto a sfratto per morosità, messosi un cappio al collo ha minacciato di impiccarsi e gettarsi dal balcone;
ottenuta così l'attenzione dei media e delle istituzioni, viene offerta per la moglie e la figlia una sistemazione presso un istituto religioso gestito dalle suore di Madre Teresa di Calcutta;
la sistemazione viene rifiutata con la motivazione che essendo musulmani nell'istituto religioso sarebbe stato impedito loro di pregare, pretesto discutibile in quanto a Bologna la casistica di musulmani aiutati dalla chiesa è ampia e non si è mai avuta notizia di divieti del genere -:
se il Signor Abdelrahim Gourich e la sua famiglia siano stati espulsi dal nostro paese e se non si sia proceduto all'espulsione, se sia noto cosa sia stato fatto per questa famiglia e quale sia la loro situazione attuale.
(4-07499)

Risposta. - La prefettura di Bologna ha riferito che il cittadino extracomunitario Gourich Abderrahim, il 24 maggio 2010 - mentre un ufficiale giudiziario, avvalendosi della forza pubblica, era impegnato a dare

esecuzione allo sfratto a suo carico da un'abitazione sita nel capoluogo - dopo aver infilato un cappio al collo e legato l'altro capo della corda alla ringhiera del balcone dell'appartamento, minacciava di lanciarsi nel vuoto, ma veniva trattenuto dai familiari.
Sul posto veniva chiamato personale del 118 e dei vigili del fuoco: questi ultimi posizionavano un'autoscala nei pressi del balcone, sito al primo piano dello stabile, per evitare ulteriori gesti insani da parte degli occupanti l'appartamento.
La mediazione condotta da personale della locale questura induceva il Gourich a desistere dal compiere ulteriori gesti sconsiderati e ad uscire dall'appartamento, permettendo così l'accesso nei locali e le conseguenti operazioni di sgombero.
Nella giornata seguente lo straniero si recava presso il comune di Bologna chiedendo una nuova sistemazione alloggiativa per sé e per il suo nucleo familiare. A fronte di tale richiesta, i competenti servizi sociali comunali prospettavano alla moglie ed alla figlia una Sistemazione provvisoria all'interno della «Casa di Accoglienza delle Missionarie di Carità», sita a Bologna, offerta che è stata però rifiutata con la motivazione che la condizione di musulmani avrebbe loro impedito di osservare i propri principi religiosi in una Struttura gestita da suore cristiane.
In merito alla posizione di soggiorno della famiglia Gourich si rappresenta che il Signor Gourich Abderrahim, nato a Casablanca (Marocco) il 26 gennaio 1959, entrato nel territorio nazionale nel giugno 2002, fruisce di un permesso di soggiorno, rilasciato dall'ufficio immigrazione della questura di Bologna, con scadenza 17 novembre 2011, per motivi di lavoro autonomo in quanto titolare dell'omonima impresa individuale che svolge attività di commercio su area pubblica in forma itinerante.
La moglie Taghi Chama, nata a Berrechid (Marocco) il 1o gennaio 1955 e la figlia Gourich Hind, nata a Casablanca (Marocco) il 21 ottobre 1994, invece, sono entrate nel territorio nazionale nel settembre 2005 e hanno ottenuto un permesso di soggiorno rilasciato per motivi di coesione familiare dall'ufficio immigrazione della questura di Bologna. Tale permesso è scaduto il 19 giugno 2010 ed il suo rinnovo è stato chiesto in data 15 aprile 2010.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Michelino Davico.

RAZZI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
nel trasporto ferroviario si verificano decine di incidenti ogni anno;
anche ultimamente si sono verificati un alto numero di incidenti ferroviari di cui uno molto grave: il disastro ferroviario a Viareggio in data 29 giugno 2009 -:
quali accertamenti siano stati fatti sulla rete ferroviaria, con particolare riferimento alla rete RFI Spa delle Ferrovie dello Stato, al fine di verificarne la criticità;
quali interventi siano stati programmati per eliminare tali criticità e potenziali cause di danni;
quali siano gli interventi riferibili al materiale circolante nell'intera rete ferroviaria;
quali siano i premi e i relativi massimali assicurativi a carico delle Ferrovie dello Stato con riguardo alla responsabilità per incidenti;
se risponda al vero che in caso di difesa per incidenti delle Ferrovie dello Stato siano gli avvocati delle assicurazioni ad assumere la difesa delle Ferrovie dello Stato e che tali avvocati verrebbero pagati dalle compagnie di assicurazione;
in conseguenza del disastro ferroviario di Viareggio del 29 giugno 2009, quali siano state le opere e i lavori sostenuti da parte di tutti i soggetti pubblici interessati;
quali spese siano per il futuro preventivate a carico dello Stato sempre in relazione a quanto verificatosi a Viareggio

come, per esempio, quanto contenuto nel piano del commissario governativo Martini, Presidente della Regione posto che al momento il commissario starebbe per proporre al Governo lo stanziamento di circa 20/25 milioni di euro per far fronte ad alcuni danni causati agli immobili;
come si sia fatto o si farà fronte ai danni subiti dalle famiglie delle 31 vittime e dai feriti nell'incidente;
se e a quali oneri facciano fronte le assicurazioni e se e quali restino a carico delle varie amministrazioni pubbliche;
se e quale danno per l'erario possa configurarsi di fronte ad una spesa sostenuta dal gruppo Ferrovie dello Stato.
(4-04521)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, al fine di rispondere ai quesiti posti dall'interrogante, si ritiene utile ripercorrere gli eventi successivi al gravissimo incidente ferroviario verificatosi il 29 giugno 2009 nella stazione di Viareggio.
In data 3 luglio 2009 il Consiglio dei Ministri ha deliberato la dichiarazione dello stato di emergenza prorogato sino al 31 dicembre 2010. Successivamente, d'intesa con la regione Toscana ed all'esito di una serie di riunioni con i rappresentanti di tutte le amministrazioni interessate, è stata predisposta ed emanata l'ordinanza del Presidente del Consiglio n. 3800 del 6 agosto 2009 finalizzata a porre in essere tutte le idonee misure di messa in sicurezza dell'area interessata dall'evento in questione, nonché di tutte le iniziative di carattere straordinario volte al ritorno alle normali condizioni di vita della popolazione.
Il provvedimento emergenziale, nel nominare il presidente della regione Toscana commissario delegato, ha disposto che lo stesso provveda al completamento degli interventi di soccorso ed assistenza alla popolazione, rimborsando le spese sostenute dal comune di Viareggio nella prima fase dell'emergenza, nonché per le esequie solenni delle vittime.
In particolare, il predetto commissario era tenuto ad assicurare la ripresa delle attività produttive mediante la concessione di contributi in favore dei titolari di imprese i cui immobili siano stati distrutti, danneggiati o resi inagibili dagli eventi del 29 giugno 2009 per consentire la locazione di immobili da destinare temporaneamente allo svolgimento delle attività produttive, nonché per il riacquisto dei beni mobili indispensabili per la ripresa dell'attività.
Per quanto attiene le misure per il trasporto di merci pericolose, si informa che in considerazione dell'aumento dei casi di perdita di merci pericolose da carri provenienti dall'estero registrati nel corso degli ultimi anni, l'agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie (Ansf) ha emesso, in data 1o febbraio 2010 una nota con la quale è stato disposto che le imprese ferroviarie debbano effettuare controlli sugli organi di chiusura delle ferrocisterne contenenti merci pericolose provenienti dall'estero anche se, per accordi con imprese straniere, questi controlli sono effettuati in un regime «di fiducia» dall'impresa ferroviaria estera. Questa misura è stata adottata per limitare l'ingresso sul territorio italiano di ferrocisterne con anomalie. La stessa nota suggerisce l'adozione di sistemi automatici di rilevamento delle eventuali perdite.
Probabilmente, anche in forza di questo provvedimento che ha prodotto un incremento dei controlli, è aumentato il numero di casi in cui a carri contenenti merci pericolose sono state rilevate anomalie nelle stazioni di confine, tra cui quello citato nell'interrogazione: questi carri sono stati fermati al confine, evitando il loro successivo inoltro sul territorio italiano, ottenendo in tal modo il risultato che ci si era prefissi con il provvedimento stesso.
Sempre nell'ottica del rafforzamento dei controlli sul trasporto di merci pericolose per ferrovie, all'interno del territorio nazionale è stata emessa dal ministero delle infrastrutture e dei trasporti la circolare n. 0030048 del 6 aprile 2010 che prevede una serie di azioni mirate al rafforzamento del presidio riguardante la sicurezza del trasporto delle merci pericolose, introducendo

una procedura specifica per rendere rintracciabile l'esecuzione di tutti gli accertamenti previsti, in particolare quelli svolti sulle ferrocisterne da parte dei primi operatori della catena del trasporto di merci pericolose (riempitore e impresa ferroviaria trasportatrice), con la finalità di ridurre il rischio di immettere sulla rete ferroviaria ferrocisterne in condizioni di non conformità.
Dall'entrata in vigore di tale dispositivo risulta un solo caso di perdita di merci pericolose all'interno dei confini nazionali.
Per quanto riguarda i controlli sul trasporto delle merci pericolose, si fa presente che l'agenzia, nell'assolvimento dei propri compiti ai sensi del decreto legislativo 10 agosto 2007, n. 162, svolge da tempo attività di ispezione e di
audit sulle imprese ferroviarie in possesso di certificato per effettuare trasporto di merci pericolose.
L'agenzia ha messo in atto anche misure tese a garantire l'integrità del trasporto di merci pericolose per ferrovia. Tra queste è stata richiesta per ogni rotabile l'esistenza della «tracciabilità» dei processi manutentivi, con particolare riferimento agli assili e alle sospensioni a balestra, ovvero la disponibilità delle informazioni relative agli standard costruttivi adottati, alla data di fabbricazione, al fabbricante, alle attività manutentive ed al soggetto deputato alla manutenzione, prevedendo controlli straordinari sui rotabili per i quali non siano disponibili tutte le informazioni. Ai carri per i quali non sono ancora disponibili queste informazioni, è stato imposto il limite di velocità di 60 chilometri orari nelle stazioni e durante l'attraversamento delle grandi aree urbane individuate dal gestore dell'infrastruttura ferroviaria nazionale.
Altri provvedimenti adottati sono: la richiesta alle imprese ferroviarie di utilizzare per il trasporto di merci pericolose locomotive dotate di sottosistemi di bordo per la protezione della marcia del treno, l'attivazione di sinergie con i compartimenti territoriali della polizia ferroviaria per l'immediata segnalazione di eventi anomali riguardanti carri con merci pericolose, il coinvolgimento anche di agenzie estere per la sicurezza ferroviaria per i trasporti che hanno origine al di fuori del confine italiano.
Inoltre, con la direttiva 1/dir/2010 del 22 febbraio 2010 l'agenzia ha attribuito specifiche responsabilità a Rete ferroviaria italiana (Rfi), che ha l'obbligo di individuare un proprio responsabile di scalo negli scali terminali ricadenti nell'applicazione del decreto del ministero dell'ambiente del 20 ottobre 1998 dove sono già previsti i responsabili di scalo delle imprese ferroviarie, e negli scali di smistamento in cui sono programmate manovre di carri di merci pericolose.
Al responsabile di scalo di (Rfi) la direttiva dell'agenzia attribuisce compiti organizzativi, di coordinamento e di controllo delle attività di competenza dei responsabili delle imprese ferroviarie.
Dal punto di vista normativo, il trasporto ferroviario delle merci pericolose è disciplinato a livello internazionale dal Regolamento concernente il trasporto internazionale ferroviario delle merci pericolose (Rid), relativamente agli aspetti specifici legati alle merci pericolose, e, a livello nazionale, dalle norme per la verifica tecnica dei veicoli, che si applicano a tutte le tipologie di trasporto ferroviario.
L'aggiornamento delle normative in sede europea, dal momento che l'organizzazione attuale del traffico ferroviario merci richiede che le problematiche ad esso relative siano affrontate a livello internazionale, impegna attivamente le autorità nazionali per la sicurezza delle ferrovie di tutti gli stati membri dell'Unione europea di concerto con l'Agenzia ferroviaria europea (Era). Inoltre, un comitato permanente operante nella sede dell'Unione europea si occupa dell'aggiornamento costante del Rid, che viene emesso ogni due anni: in tale ambito, questa agenzia ha promosso la rivisitazione delle specifiche tecniche di interoperabilità dei carri merci chiedendo di inserire il dispositivo denominato «rilevatore di svio» nei carri adibiti al trasporto di merci pericolose a partire dalla prossima edizione del Rid.
Per quanto concerne la normativa nazionale, le norme per la verifica tecnica dei

veicoli prevedono che sia effettuata una visita tecnica di origine prima della partenza di ogni treno merci per verificare l'assenza di eventuali anomalie e consentire quindi, l'invio di tutti i carri in composizione al treno stesso. In alternativa, la visita tecnica può essere effettuata entro 60 chilometri dalla partenza se la località di origine è sprovvista di personale abilitato alla verifica. Quest'ultima possibilità a partire dal 13 giugno non è più applicabile ai treni trasportanti merci pericolose, per i quali quindi la visita tecnica deve essere obbligatoriamente nella località di origine. Inoltre, è fatto obbligo di sottoporre i treni ad un ulteriore controllo non oltre i 700 chilometri di percorrenza.
Infine, va ricordato che con la legge 7 luglio 2010, n. 106, recante disposizioni in favore dei familiari delle vittime e in favore dei superstiti del disastro ferroviario di Viareggio, è stata assegnata al commissario delegato la somma di 10 milioni di euro per l'anno 2010 per speciali elargizioni in favore dei familiari delle vittime del disastro ferroviario di Viareggio del 29 giugno 2009 e in favore di coloro che a causa del disastro hanno riportato lesioni gravi e gravissime.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Altero Matteoli.

RAZZI. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
circa un mese fa, a causa di un incidente, al largo delle coste della Louisiana, nel golfo del Messico si è verificata un'esplosione su una piattaforma petrolifera, la quale ha sversato milioni di barili di greggio in mare, tuttora inarrestabili, che stanno investendo le coste della Louisiana e della Florida con uno sconvolgimento senza precedenti dell'ambiente marino e delle attività umane ad esso collegate;
a seguito, dunque, dell'enorme disastro ambientale avvenuto in Louisiana, catastrofe che secondo gli esperti potrebbe farsi sentire anche tra 50 anni -:
se per la piattaforma Ombrina Mare 2, situata davanti la costa di San Vito Chietino, struttura simile a quella che ha sversato nelle acque antistanti la Louisiana milioni di barili di greggio, causando una catastrofe ambientale, siano state attuate le previste procedure di valutazione dei rischi legati all'attività estrattiva;
se le previste procedure siano state condotte con il massimo rigore scientifico e fondate sul principio di precauzione ambientale;
se siano stati attentamente analizzati e verificati i sistemi di sicurezza degli impianti estrattivi offshore;
se siano stati approntati adeguati piani di emergenza;
se siano state esaustivamente analizzate e valutate, dal punto di vista sia economico che dell'impatto ambientale, le conseguenze di un possibile incidente legato all'attività estrattiva offshore in Adriatico;
se a 4 chilometri in direzione nord est da Ombrina Mare A, si posizionerà una nave serbatoio galleggiante per il primo trattamento idrocarburi denominata Floating production storage offloading - FPSO - ossia sistema galleggiante di produzione, stoccaggio e trasbordo - che immetterà in atmosfera più di una tonnellata al giorno di fumi derivanti dal primo trattamento di idrocarburi, contenenti: Sox (ossidi di zolfo), Nox (ossidi di azoto), CO (ossido di carbonio), H2S (idrogeno solforato), NMHC (idrocarburi non metanici), i quali sono stati classificati come cancerogeni dall'Istituto superiore di sanità, per cui non è possibile definire una soglia minima al di sotto della quale non si hanno effetti apprezzabili sulla salute;
se infine il Governo abbia correttamente valutato il rapporto tra il beneficio economico della produzione petrolifera dell'area adriatica ed il rischio di effetti dirompenti sull'ecosistema marino, già fragile,

e di danni economici gravissimi al complesso delle attività umane al mare strettamente connesse.
(4-07212)

Risposta. - In relazione all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
La zona marina antistante la costa di san Vito Chietino è effettivamente ed attualmente interessata dall'istanza di concessione di coltivazione «d.30B.C-MD» presentata dalla Società Medoil gas Italia a seguito del rinvenimento di una mineralizzazione ad idrocarburi liquidi avvenuto mediante la perforazione del sondaggio esplorativo denominato «Ombrina Mare 2dir».
Detto sondaggio è stato eseguito nell'ambito del permesso di ricerca «B.R269.GC» conferito dal Ministero dello sviluppo economico con decreto ministeriale 5 maggio 2005, previa verifica di compatibilità ambientale da parte del competente Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
Il pozzo è stato perforato nel periodo 31 marzo 2008-3 giugno 2008 e, successivamente, dopo l'esecuzione delle operazioni di messa in sicurezza dello stesso, è stata installata la «piattaforma» di protezione della testa pozzo.
Tale «piattaforma» consiste in una struttura di sostegno che emerge dal mare per circa 13 metri, a fronte di una profondità del mare pari a circa 20,5 metri, ed e dotata di sistemi di segnalazione ed avviso per garantire la sicurezza della navigazione nella zona e di sistemi di sicurezza per evitare e contenere eventuali perdite di idrocarburi. In particolare, essa è dotata di fari, nautofono, estintori, imbarcadero e di due valvole di sicurezza.
Si aggiunge che la stessa «piattaforma» è stata verificata dal Registro italiano navale (Rina) ed e stata altresì sottoposta a parere di conformità da parte del Comando provinciale dei vigili del fuoco di Chieti. Inoltre, essa è sottoposta al controllo della Sezione Unmig di Roma, ufficio periferico della competente direzione generale del Ministero dello sviluppo economico.
A garanzia che non si verifichino sversamenti di idrocarburi in mare, la piattaforma è, pertanto, dotata di due valvole di sicurezza tenute in posizione di chiusura e opportunamente tarate in funzione delle pressioni in gioco. In caso di eventuale evento accidentale che comporti l'abbattimento della piattaforma, la valvola situata a fondo pozzo rimarrebbe comunque in posizione di chiusura e l'unico sversamento si concretizzerebbe solo nel gasolio presente tra la testa pozzo e la valvola collocata nella parte superiore. Tale sversamento ammonterebbe a circa 1 metro cubo di gasolio.
Qualunque attività correlata alla presenza della citata «piattaforma» è, dunque, subordinata, a garanzia delle condizioni di sicurezza, al controllo e all'autorizzazione sia del citato ufficio periferico della competente direzione del Ministero dello sviluppo economico sia da parte degli organismi sopra citati.
Si precisa, inoltre, che è stato altresì predisposto e depositato presso l'autorità di vigilanza il piano di emergenza, nell'ambito del documento di sicurezza e salute presentato dalla società Medoil gas Italia ai sensi del decreto legislativo n. 624 del 1996.
In relazione alla possibilità che nel futuro venga prevista una nave di stoccaggio dell'olio estratto, si fa presente che l'avvio di tale attività, nell'ambito di un programma di sviluppo e messa in coltivazione del giacimento, è subordinato al conferimento, previa verifica di compatibilità ambientale da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, della concessione di coltivazione.
Si sottolinea, infine, che tutte le operazioni, in caso di conferimento della concessione di coltivazione, saranno condotte previa specifica autorizzazione da parte delle autorità preposte. Tale autorizzazione sarà rilasciata sulla base dei risultati ottenuti dai controlli effettuati circa le garanzie offerte dalla società richiedente per il rispetto della normativa vigente sulla sicurezza dei lavoratori, la salute della popolazione e la salvaguardia dell'ambiente.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Stefano Saglia.

RAZZI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
l'interrogante ritiene opportuno un chiarimento su alcune inesattezze riscontrate nella risposta scritta all'interrogazione n. 4-04188 del 18 maggio 2010, in cui si fa riferimento al fatto che i patronati non possono essere considerati responsabili ex lege n. 231 del 2001 (legge sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche) in quanto il patronato (la cui disciplina si ricava dalla legge n. 152 del 2001) è «un ente che svolge funzioni di rilievo costituzionale»;
per rafforzare questo assunto, il Ministro, nella risposta citata - invoca una propria circolare (n. 24/V/005743 dell'8 aprile 2008), che, a sua volta, rimanda ad una sentenza della Corte costituzionale, la n. 41 dell'anno 2000;
la sentenza della Corte costituzionale è dell'anno 2000, cioè precedente alla legge n. 152 dell'anno 2001, istitutiva dei patronati;
la sentenza quindi non può aver assegnato (ed infatti non assegna) al patronato la funzione di rilievo costituzionale a cui si fa riferimento nella circolare;
la sentenza, inoltre, attiene a tutt'altro tema e questione, interviene su un referendum che mirava (nel 1999) all'abrogazione delle norme disciplinanti i contratti di lavoro a tempo determinato;
la legge n. 152 dell'anno 2001 (legge istitutiva dei patronati), all'articolo 1, qualifica il patronato una «persona giuridica di diritto privato che svolge un servizio di pubblica utilità»;
il legislatore non dice che il patronato svolge funzione di rilievo costituzionale, ma, semplicemente, un servizio di pubblica utilità;
il Ministro pertanto - per il tramite il suo Sottosegretario, sen. Viespoli - equipara funzioni di pubblica utilità a funzioni di rilievo costituzionale: il che non è possibile, essendo i due concetti (e le due funzioni) del tutto divergenti e non collegabili l'un l'altro;
per definizione legislativa, il patronato è persona giuridica di diritto privato e non anche persona giuridica pubblica; non esercita un pubblico servizio (intendendosi per pubblico servizio un'attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza di poteri tipici di quest'ultima); non esercita un servizio di pubblica necessità (esercitano questa funzione i privati che adempiono ad un servizio dichiarato di pubblica necessità mediante un atto della pubblica amministrazione);
ciò implica la conseguenza - sotto l'aspetto soggettivo - della non qualificabilità come atti amministrativi gli atti compiuti dal patronato;
a supporto del fatto che il patronato non esercita funzioni di rango costituzionale ma è mera persona giuridica di diritto privato, si segnala un'altra sentenza della Corte costituzionale (n. 396 del 7 aprile 1988) con cui, intervenendo addirittura sugli «enti privati aventi scopo di assistenza» e facendo riferimento alla libertà di cui all'articolo 38 della Costituzione, è stato deciso che sia «da escludere che lo scopo assistenzialistico rappresenti un elemento qualificante ai fini del riconoscimento di personalità giuridica pubblica»;
sulla scorta di questa sentenza, la Corte di Cassazione (sezioni unite del 18 ottobre 1990 n. 10.149) ha scritto ad esempio che: «un'associazione di volontariato (come ad esempio AVIS) è da considerare persona giuridica privata e non anche ente pubblico: non rilevando - in difetto di espressa attribuzione di personalità pubblicistica - che l'associazione medesima operi in materie afferenti a tipiche finalità pubbliche»;

dunque non risulta vi sia, nella legge istitutiva dei patronati, espressa attribuzione agli stessi di personalità pubblicistica: risulta, invece, espressa attribuzione - per legge - di personalità privatistica -:
per quali ragioni il Ministro abbia disposto, nel novembre 2009, un'ispezione straordinaria a Zurigo, limitatamente all'anno 2008;
come mai questa ispezione non ordinaria non abbia interessato anche altri anni;
se l'ispettore ministeriale abbia accertato se il «coordinatore nazionale» di Inca per la Svizzera abbia diligentemente e mensilmente svolto le sue ispezioni nella sede di Zurigo;
se il patronato abbia un'assicurazione, per quale motivo, nel caso ci fosse, e perché gli iscritti non possano beneficiarne.
(4-08002)

Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base delle notizie acquisite presso i competenti uffici del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, si rappresenta quanto segue.
L'attività di vigilanza posta in essere dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, ai sensi dell'articolo 15 della legge n. 152 del 2001, è finalizzata unicamente all'accertamento, in conformità ai criteri dettati dal decreto ministeriale n. 193 del 2008, della regolarità dell'organizzazione e dell'attività espletata dagli istituti di patronato e di assistenza sociale, ai fini dell'attribuzione del punteggio e della conseguente ripartizione del fondo patronati.
Si evidenzia inoltre che le ispezioni straordinarie - di cui all'articolo 10, comma 2 del decreto ministeriale n. 193 del 2008 effettuate ogniqualvolta l'amministrazione ne ravvisi la necessità, non portano un'attribuzione di competenze diverse rispetto a quelle istituzionali sopra specificate.
Si precisa, inoltre, che la normativa vigente prevede che, in caso di ispezioni effettuate presso una sede di patronato presente in uno Stato estero, le eventuali decurtazioni di punteggio vengano estese, in misura proporzionale sullo stesso gruppo di attività, a tutte le sedi del medesimo istituto di patronato operanti in detto Stato. Tale meccanismo è finalizzato ad un'ottimizzazione delle risorse economiche e strumentali disponibili.
Nello specifico si fa presente che la sede INCA/CGIL (Istituto nazionale confederale di assistenza/Confederazione generale italiana del lavoro) di Zurigo è stata sottoposta, da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, a verifica ispettiva nell'anno 2009, con riferimento all'organizzazione ed all'attività svolta nel corso del 2008 nonché nell'anno 2008, con riferimento all'organizzazione e all'attività 2007.
Nel corso dei predetti accertamenti si è provveduto, in conformità ai più volte enunciati poteri del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, a verificare la regolarità sotto il profilo organizzativo della sede di che trattasi.
Per quanto concerne il quesito inerente il coordinatore nazionale, si fa presente che esula dai compiti degli ispettori il controllo sull'operato dello stesso e che, in ogni caso, rientra nella facoltà dell'istituto avvalersi o meno di tale figura.
Da ultimo, per quanto riguarda il quesito inerente l'eventuale stipula di un'assicurazione, si rappresenta che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, ha provveduto, pur non rientrando nella propria competenza, ad effettuare specifiche richieste in tal senso al patronato Inca.

Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Pasquale Viespoli.

REALACCI. - Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
il Financial Times ha rivelato, il 24 luglio 2010, che la casa petrolifera britannica BP comincerà un'attività di ricerca petrolifera al largo della Libia, nel golfo della Sirte, già «nelle prossime settimane». Indiscrezione confermata dal portavoce

del gruppo David Nicholas. L'accordo tra Tripoli e Bp vale 900 milioni di dollari ed è stato siglato nel 2007. La profondità prevista per il pozzo è di 1.700 metri. Ovvero 200 metri più in basso della piattaforma Deepwater Horizon, al largo della Louisiana. La notizia è stata ripresa il giorno successivo da molti organi di stampa italiani fra cui Il Sole24 ore e La Repubblica;
la nuova trivellazione prevista dalla British Petroleum è particolarmente critica, perché si dovrebbe effettuare a grandi profondità, sembra la più profonda al mondo, e questo è un elemento di ulteriore insicurezza in caso di incidente;
esattamente dieci giorni fa, Janez Potocnik, commissario europeo all'ambiente, ha annunciato che Bruxelles stringerà i controlli sulle esplorazioni petrolifere offshore. E il suo collega all'energia, Gunther Oettinger, gli ha fatto subito eco, suggerendo ai Governi europei di seguire l'esempio della Norvegia e di istituire una moratoria sulle perforazioni in mare, almeno fin quando non saranno chiarite le cause del disastro nel golfo del Messico;
sempre dieci giorni fa, Shokri Ghanem, capo della National Oil Corporation libica, ha chiesto alla British Petroleum di accelerare le previste attività di perforazione nel golfo della Sirte. «Noi non sospendiamo nulla - ha detto Ghanem a un'agenzia di stampa - e buona parte delle trivellazioni saranno proprio in acque profonde»;
la Convenzione di Espoo del 1991 ha stabilito le regole e princìpi di collaborazione tra gli Stati sugli impatti ambientali transnazionali, ma la Libia, al 20 maggio del 2010, non l'ha ancora ratificata. Ma è altrettanto vero che la Libia ha firmato, invece, la Convenzione di Barcellona sulla protezione del Mediterraneo;
ogni Stato ha la sua sovranità, ma ha anche il diritto di verificare che le scelte di uno non danneggino tutti gli altri. È evidente che la tecnologia esistente non è in grado di garantire il controllo degli eventi, soprattutto a quelle profondità. Se quello che è successo nel golfo del Messico avvenisse nel Mediterraneo, gli effetti sarebbero esponenzialmente più devastanti;
questo perché il sistema delle correnti marine nel Mediterraneo è molto complesso, ma in generale si può dire che le correnti di profondità si muovono verso l'Atlantico, mentre quelle più superficiali si dirigono verso oriente. Siccome il petrolio è più leggero dell'acqua e viene a galla, a meno che non venga bombardato di solventi come sta facendo la Bp in Louisiana, un eventuale incidente in Libia colpirebbe prima di tutto le coste di Israele, del Libano o della Turchia. Ma a confronto con gli oceani, il Mediterraneo è una pozzanghera. Una perdita di petrolio a grandi profondità avrebbe effetti nefasti dovunque, inclusa la Sicilia o la Sardegna;
è altrettanto importante sottolineare che proprio in seguito all'incidente nel golfo del Messico, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha da poco promosso l'introduzione nel codice ambientale, del divieto a trivellare a meno di cinque miglia dalle coste, che salgono a dodici miglia nel caso delle aree marine protette, ovviamente per i permessi alla trivellazione ancora da concedere. Il che, come sanno bene al Ministero, non risolve i potenziali problemi;
il Mediterraneo, bacino di estrema fragilità biologica, ma anche di straordinaria ricchezza di biodiversità, è quotidianamente minacciato dall'eccessiva antropizzazione, dalla cementificazione delle coste, dalla pesca, soprattutto, dall'inquinamento. Il trasporto marittimo di petrolio greggio e l'aumento dell'attività estrattiva rappresentano uno dei principali e più preoccupanti rischi per il Mare Nostrum, sia per il forte rischio di incidente, con conseguente sversamento di prodotti oleosi e inquinanti in mare. Il Mar Mediterraneo, inoltre, conta già la più alta percentuale di catrame pelagico al mondo pari a 38 milligrammi per metro cubo;
per ottenere dal colonnello Gheddafi il nulla osta alla trivellazione nel golfo

della Sirte, sembrerebbe che la British Petroleum abbia fatto pressioni sul Governo britannico perché favorisse il rilascio del terrorista libico Abdel al-Megrahi, condannato all'ergastolo nel 2001 per la strage di Lockerbie e detenuto in Scozia. Megrahi che poi è stato liberato il 20 agosto del 2009 per le sue gravi condizioni di salute. A tal proposito, il Senato americano ha convocato l'amministratore delegato di Bp, Tony Hayward, per chiedere chiarimenti sulla vicenda -:
se non intendano immediatamente promuovere, sia per la posizione geografica sia per la politica che il nostro Paese svolge nel bacino del Mediterraneo, un'azione internazionale di tutela del bacino del Mediterraneo presso il Governo Libico affinché si fermi l'avvio di questa nuova trivellazione, particolarmente critica sia perché si dovrebbe effettuare a grandi profondità, elemento di ulteriore insicurezza, sia perché, in caso di incidente in un mare chiuso e con un ricambio lentissimo, avrebbe come conseguenza una sciagura senza eguali.
(4-08190)

Risposta. - La Dichiarazione finale congiunta del vertice di Parigi per il Mediterraneo del 13 luglio 2008 ha lanciato tra le sue iniziative quella riguardante la lotta all'inquinamento marino nel Mediterraneo. In particolare, questa iniziativa si fonda sul programma Orizzonte 2020, avviato nel 2005 in occasione del 10o anniversario del processo Mediterraneo europeo e che ha come obiettivo quello di fornire le risorse ed il sostegno tecnico necessari finalizzati alla lotta all'inquinamento nel mar Mediterraneo.
Successivamente, nel corso della riunione ministeriale congiunta del consiglio Ecofin e della
Facility for Euro-Mediterranean Investment and Partnership (Femip) tenutasi il 7 ottobre 2008 a Lussemburgo, la Banca europea d'investimento (Bei) ha ricevuto il mandato per agire in qualità di coordinatore dell'iniziativa concernente la lotta all'inquinamento nel Mediterraneo. Essa consiste nello sviluppare, sulla base dei primi risultati del programma Orizzonte 2020, un programma di investimento consolidato il quale comporta una serie di progetti miranti a ridurre il livello di inquinamento nel mar Mediterraneo, con la partecipazione del settore privato.
L'Italia sta promuovendo azioni congiunte nell'ambito dell'Unione europea, volte a sensibilizzare i governi dei paesi rivieraschi ed avere una comune interlocuzione con il Governo libico, anche al fine di ottenere informazioni precise sulle trivellazioni previste da Bp (pressioni, temperature, olio, gas, eccetera) sui sistemi di sicurezza adottati.
L'azione dell'Italia si inquadra altresì nelle azioni conoscitive avviate dal Commissario Ue per l'energia, Oettinger, allo scopo di valutare i rischi connessi alle attività negli alti fondali. In tale ambito, l'Italia ha sottolineato l'opportunità di avviare un'iniziativa europea finalizzata a garantire l'esame dei rischi e la predisposizione dei piani di emergenza comuni in relazione alle attività di estrazione petrolifera nel Mediterraneo ed a tale riguardo sono già previsti nel mese di settembre degli incontri tecnici a Bruxelles.
In occasione dell'ultimo Consiglio Ue del 26 luglio 2010, il Ministro Frattini è tornato sulla questione con i colleghi comunitari ed ha fatto riferimento anche al ruolo che potrebbe svolgere l'Unione per il Mediterraneo (Upm), organismo costituito nel 2008 e di cui fanno parte i paesi Ue, unitamente a tutte le nazioni che si affacciano sul Mediterraneo e la Mauritania. La Libia, al momento, ne fa parte in qualità di paese osservatore.
In materia di incidenti che possano provocare sversamenti di idrocarburi nel mar Mediterraneo, si evidenzia che l'Italia ha assunto l'iniziativa di riunire per la prima volta le guardie costiere della regione Il 1o
forum si è svolto a Genova il 6-7 maggio 2009 ed ha posto le premesse per colmare un vuoto, istituendo uno strumento di collaborazione essenziale nell'ambito della «soft security» nel Mediterraneo. Il forum di Genova ha iniziato ad affrontare su scala regionale il terna della cooperazione in caso di disastri ambientali e quella della lotta all'inquinamento marino.

Da parte italiana si continuerà a premere per lo sviluppo di ogni iniziativa utile a tal fine.
Sempre in ambito euro-mediterraneo è stato lanciato il programma Euromed di protezione civile a guida italiana per la prevenzione, preparazione e reazione alle catastrofi naturali o causate dall'uomo (Pprd Sud): in tale programma, per gli aspetti relativi alle tematiche legate a disastri ambientali e di lotta all'inquinamento marino, è previsto l'approfondimento dei cosiddetti «
Technilcal Disasters», che comprendono il danno ambientale e lo sversamento o fuoriuscita di prodotti chimici.
Si segnala inoltre che sul piano bilaterale, all'interno degli accordi in materia di trasporto marittimo in fase di avanzata negoziazione con Tunisia e Algeria, figurano specifici richiami alla volontà comune di avviare programmi di collaborazione nel settore della tutela ambientale e che l'Algeria ha espresso la volontà, finora peraltro non concretizzatasi, di avviare un negoziato per la conclusione di un'intesa in materia ambientale, inclusa la lotta all'inquinamento marino.
Il 30 giugno 2010 è stata approvata dal Consiglio dei ministri la riforma del codice ambientale, che prescrive, tra l'altro, limitazioni dell'attività di esplorazione e produzione nelle zone costiere sensibili. Il testo introduce, difatti, il divieto assoluto di ricerca, prospezione ed estrazione di idrocarburi all'interno di aree marine e costiere protette e per una fascia di mare di 12 miglia attorno al perimetro esterno delle zone di mare e di costa protette.
Le attività di ricerca ed estrazione di petrolio vengono inoltre vietate nella fascia marina di 5 miglia lungo l'intero perimetro costiero nazionale ed al di fuori di queste aree le attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi saranno sottoposte alla valutazione di impatto ambientale.
La tutela dell'ecosistema del mar Mediterraneo rientra tra gli obiettivi della Convenzione di Barcellona. L'Italia ha ratificato la Convenzione nel 1979, sottoscrivendone i successivi emendamenti che sono poi entrati in vigore nel 2004. Il nome attuale della convenzione è «Convenzione per la protezione dell'ambiente marino e della regione costiera del Mediterraneo» ed ha dato luogo a 7 protocolli. In particolare il Protocollo «Offshore» per la protezione del mare Mediterraneo contro l'inquinamento derivante da esplorazione e sfruttamento della piattaforma continentale, del fondale marino e del relativo sottosuolo, non è stato ratificato dall'Italia e non è ancora entrato in vigore, necessitando la ratifica di almeno sei paesi. Il Protocollo è stato finora ratificato da Tunisia, Marocco, Libia, Cipro e Albania.
Si ricorda, infine, che l'Italia fa parte dell'accordo Ramoge e che tale accordo, firmato nel 1976, è lo strumento di cui si sono dotati i governi francese, italiano e monegasco per fai sì che le aree marittime della regione Provenza-Alpi-Costa Azzurra, della regione Liguria e del Principato di Monaco costituiscano una zona pilota di prevenzione e di lotta contro l'inquinamento dell'ambiente marino.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Stefania Gabriella Anastasia Craxi.

SCHIRRU. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
sulla vicenda del signor Enrico Chico Forti, campione di windsurf e produttore televisivo e cineoperatore d'assalto, da ormai dieci anni rinchiuso in un carcere di massima sicurezza sito nelle paludi delle Everglades in Florida, sono diverse anche le interrogazioni parlamentari, fra cui le seguenti presentate al Senato: interrogazione a risposta scritta 4-02472 presentata il 22 dicembre 2009, seduta n. 308 e l'interrogazione a risposta orale 3-00611 presentata l'11 marzo 2009, seduta n. 170;
il signor Enrico Forti è stato condannato all'ergastolo dal tribunale di Miami il 15 giugno 2000 per l'omicidio del cittadino australiano Dale Pike, avvenuto nel 1998 a Miami, ove il connazionale risiedeva dall'inizio degli anni '90;
il gruppo Facebook intitolato «Chico Forti: un innocente condannato all'ergastolo!!»,

consta di 89.953 membri che chiedono di aiutare il campione di windsurf ad avere giustizia;
in risposta all'interrogazione n. 4-02472, fascicolo n. 68, il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Mantica, il 9 febbraio 2010 aveva esplicitato quanto segue: «L'attuale legale del signor Forti ha ripetutamente chiesto, senza ottenerla, la revisione del processo, fondando le proprie argomentazioni sul presunto conflitto di interessi in capo al primo avvocato difensore del signor Forti all'epoca del processo;
constatata l'impossibilità di ottenere la revisione del giudizio, il legale del signor Forti ha presentato nel marzo 2009 un ricorso per habeas corpus. La Corte ha acquisito, come previsto dalla procedura penale statunitense, elementi sul processo dallo Stato della Florida, secondo cui il ricorso sarebbe stato presentato dopo la scadenza dei termini. La Corte, ad oggi, non si è ancora pronunciata (non vi è un termine massimo di legge per tale pronuncia). Qualora anche tale ricorso non dovesse essere ammesso, il signor Forti potrà appellarsi alla corte federale di Atlanta e, in ultima istanza, alla corte suprema degli Stati Uniti;
per quanto riguarda l'assistenza consolare fornita, la nostra sede diplomatica di Miami si è adoperata, in costante contatto con i legali difensori e con i congiunti in Italia, per prestare al signor Forti ogni possibile supporto, anche attraverso l'effettuazione di periodiche visite consolari in carcere per monitorarne lo stato di salute e di detenzione, l'ultima delle quali si è svolta l'11 gennaio 2010. In quell'occasione, il signor Forti è stato trovato in condizioni psicofisiche buone, compatibilmente con lo stato detentivo. Non si è altresì mancato di agevolare gli incontri tra il detenuto e i suoi familiari in occasione dei viaggi di questi ultimi negli Stati Uniti»;
la vicenda del signor Forti è stata inoltre sollevata dal nostro ambasciatore a Washington in occasione dell'incontro con il Deputy Attorney General tenutosi lo scorso 22 dicembre 2009 -:
se sussistano nuovi elementi sul caso del signor Forti ed eventualmente quali siano;
quali iniziative di propria competenza il Governo intenda assumere al fine di intervenire in via diplomatica presso le autorità degli Stati Uniti d'America per la soluzione della vicenda di cui in premessa.
(4-08300)

Risposta. - In merito a quanto rappresentato dall'interrogante nel presente atto parlamentare si forniscono i seguenti elementi di informazione.
L'ambasciata d'Italia a Washington e il consolato generale a Miami hanno seguito fin dall'inizio il caso del connazionale con costante attenzione. Durante il lungo
iter processuale, hanno fornito al medesimo la massima assistenza, tenendosi in stretto contatto con familiari e legali, intervenendo presso le autorità giudiziarie statunitensi ai più alti livelli, sia statali che federali.
I ripetuti ricorsi per la revisione del giudizio presentati dal signor Forti all'autorità giudiziaria della Florida - competente in materia trattandosi di un reato statale e non federale - hanno avuto esito negativo. Nel marzo 2009 i suoi legali statunitensi hanno quindi sottoposto al tribunale distrettuale federale un ricorso per
habeas corpus» (un'azione del cittadino Forti contro lo stato della Florida volta ad ottenere un nuovo giudizio) che è stato tuttavia respinto il 14 aprile 2010.
La vicenda Forti è stata sollevata dall'ambasciatore a Washington, ribadendo l'attenzione del governo e dell'opinione pubblica italiana per la vicenda, con il
vice attorney general David Ogden.
Forti ha recentemente manifestato l'intenzione di chiedere il trasferimento in Italia per scontarvi il residuo della pena, ai sensi della convenzione di Strasburgo del 1983 sul trasferimento delle persone condannate. Ma la decisione è in prima istanza subordinata al parere del governatore dello stato della Florida. Il reato di cui Forti è accusato rientra infatti nella competenza

statale anche nella fase di esecuzione della pena. Va comunque sottolineato che un eventuale parere favorevole del governatore non basterebbe per disporne il trasferimento, dipendendo anche dalle decisioni a livello federale ed al previo recepimento in Italia della sentenza statunitense. Sotto il profilo dell'assistenza, il consolato generale ha effettuato frequenti visite in carcere, al fine di monitorare le condizioni di salute e detenzione di Forti. L'ultima è avvenuta il 22 luglio 2010. Al connazionale è permesso di avere sovente contatti e ricevere visite dei familiari dall'Italia.
Il 23 aprile 2010 la famiglia Forti ha fatto sapere al consolato generale a Miami che il loro congiunto sarebbe stato trasferito in un altro carcere, in base ad un criterio di periodica rotazione dei detenuti. Grazie agli interventi esperiti dal consolato presso l'amministrazione penitenziaria della Florida, Forti è stato alla fine trasferito al carcere di Florida
city, circa un'ora da Miami, anziché a quello inizialmente previsto, nei pressi di Tampa, a 326 km di distanza. Ciò consentirà al personale della sede ed ai familiari, che si recano negli Stati Uniti per incontrano, di effettuare più agevolmente le visite in carcere.
Le nostre rappresentanze negli Stati Uniti continueranno a seguire da vicino il caso, nell'auspicio che la complessa vicenda giudiziaria possa evolvere in senso favorevole.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Alfredo Mantica.

SCILIPOTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
lo sviluppo economico e finanziario italiano si basa sugli scambi nazionali ed internazionali e il compito primario delle ambasciate italiane all'estero è quello di favorire gli scambi suddetti;
in data 28 novembre 2009 è stata inoltrata regolare lettera d'invito (corredata da tutti gli allegati previsti) all'ambasciata italiana a Dakar, competente anche per la Guinea, da parte della ditta «MG Macchine Grafiche» con sede in Roasio (Vercelli), interessata alla vendita di macchinari grafici ad uomini d'affari residenti in Guinea Conakry, per i quali si richiedeva il visto d'ingresso in Italia per il perfezionamento del contratto di vendita; nello specifico i destinatari dei suddetti visti d'ingresso sono i signori:
Mathurin Millimonò nato il 26 giugno 1967, nazionalità guineese, direttore della Mill Impression;
Antoine Fodè Millimonò nato il 21 settembre 1942 nazionalità guineese, ingegnere elettro-meccanico, consulente della Mill Impression;
in data 15 gennaio 2010 (due mesi dopo), il signor Mathurin, recandosi all'ambasciata a Dakar per presentare i documenti necessari per il rilascio del visto, è stato, invece rinviato al 18 giugno 2010, per essere ricevuto e, di conseguenza per poter presentare i documenti;
i tempi di istruzione della pratica dei visti, attuati dall'ambasciata italiana a Dakar - ad avviso dell'interrogante - potrebbero portare ad una rinuncia da parte degli imprenditori guineani, recando un grave danno non soltanto alla ditta venditrice, ma a tutta l'economia italiana, in quanto, i suddetti acquirenti hanno manifestato intenzione di chiudere la compravendita, qualora i tempi rimanessero questi, non più nel nostro Paese, bensì in Francia;
in previsione di possibili ulteriori sviluppi economici, sarebbe utile aprire un canale economico/diplomatico in questa direzione -:
se non si ritenga opportuno verificare, con l'urgenza del caso, l'adeguatezza delle tempistiche di rilascio dei visti d'ingresso.
(4-05878)

Risposta. - In merito a quanto rappresentato dall'interrogante nella presente interrogazione si forniscono i seguenti elementi di informazione.


Le rappresentanze diplomatico-consolari riservano la massima attenzione alle richieste di visto provenienti da uomini d'affari, nella consapevolezza che i contatti diretti tra gli imprenditori stranieri ed il nostro sistema economico e produttivo costituiscono un fondamentale volano delle relazioni economico-commerciali tra l'Italia e l'estero. In tale contesto, sono state diramate istruzioni alle sedi all'estero affinché esaminino le richieste di visti per affari, nel pieno rispetto della normativa nazionale e comunitaria vigente, ricorrendo a tutti gli strumenti previsti per agevolare il rilascio di tali visti (rilascio di visti ad ingresso multiplo, formazione di elenchi di imprenditori noti
«bona fide», accordi con Camere di commercio per la raccolta delle richieste di visto, coinvolgimento degli uffici commerciali delle ambasciate nella valutazione delle richieste, previsione di canali preferenziali per la loro presentazione, eccetera). In linea generale, ed in specie nei principali paesi con grandi economie emergenti, i cui cittadini sono ancora soggetti a visto per corti soggiorni, quali ad esempio Russia, Cina, India, Turchia, i tempi di trattazione di tali domande di visto sono stati ridotti a pochi giorni.
Allo stesso tempo è opportuno segnalare che molti uffici all'estero, e tra essi quelli in Africa sub-sahariana, si trovano ad operare in contesti ambientali molto difficili. In relazione ai visti per affari, non è infrequente il verificarsi di fenomeni esterni quali la falsificazione documentale e la creazione di società fittizie.
Si riscontra inoltre una difficoltà ad effettuare controlli ufficiali sull'attività delle imprese a cui la richiesta di visto è riconducibile, rende l'esame delle pratiche particolarmente complesso. Si aggiunge un alto «rischio migratorio» che caratterizza molti dei paesi dell'area, e da cui deriva l'opportunità di un'attenta e meticolosa analisi di ciascuna richiesta di visto, con tempi di attesa mediamente più lunghi rispetto a quelli che la maggioranza degli uffici all'estero riescono a garantire.
Nel caso specifico, si segnala che il Senegal rientra tra i paesi caratterizzati dalla difficile situazione ambientale sopra ricordata.
Tale circostanza ha suggerito l'introduzione di criteri e metodologie di lavoro e di valutazione delle richieste di visto ispirati alla massima attenzione, che non sempre possono essere agevolmente coniugati con l'esigenza, pure avvertita come prioritaria, di assicurare una rapida trattazione delle pratiche.
Alla luce di quanto precede, si è provveduto a fornire indicazioni alla sede affinché, nel rispetto della normativa, operi al fine di ridurre i tempi di attesa, con l'obiettivo di garantire un'efficiente gestione del servizio e di mantenere una buona immagine del nostro paese in Senegal e nei paesi di accreditamento secondario (tra cui la Guinea), oltre che favorire la promozione, in tali realtà, del nostro «sistema paese», garantendo agli uomini d'affari ed operatori economici che ne abbiano i requisiti la possibilità di recarsi in Italia, assicurando loro un accesso per quanto possibile facilitato alle procedure necessarie all'ottenimento del visto, ed assicurando tempi di trattazione ragionevolmente rapidi.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Alfredo Mantica.

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
in un articolo pubblicato sulla Gazzetta del Mezzogiorno, edizione della Puglia, del 4 giugno scorso, dal titolo «Militare salentino in G.B. dato per "morto" da Ministero dell'interno» si apprende che nella pubblicazione della graduatoria ufficiale delle vittime del dovere, pubblicata dal Ministero dell'interno e dedicata agli appartenenti alla forze armate e di polizia morti o feriti per motivi di servizio, il maggiore dell'Esercito Carlo Calcagni, originario di Guagnano (Lecce) e residente a Cellino San Marco (Brindisi) sarebbe stato, in un primo momento, iscritto alla posizione n. 1119 come «Deceduto»;
nel predetto articolo si legge che «Insieme alle sue generalità sarebbe stata

specificata la sua condizione, ossia quella di "deceduto", con tanto di data: 30 ottobre 2007» e che «Quando un mio amico mi ha avvisato - ha detto il militare in una intervista all'emittente televisiva pugliese TeleRama - pensavo si trattasse di uno scherzo, poi ho visto che così non è, e che risulto veramente morto». «Probabilmente è per questo - ha commentato - che nessuno si preoccupa più di me e sono costretto a pagare di tasca mia le costose cure, anche all'estero, alle quali mi devo sottoporre dopo essere stato riconosciuto invalido al 100 per cento per gravi infermità contratte in missione internazionale di pace, Bosnia 1996, riconosciute dipendenti da causa di servizio»;
sempre nel medesimo articolo risulterebbe che lo stato maggiore dell'Esercito avrebbe affermato «Non sappiamo alcunché di questo errore nell'elenco del Ministero dell'Interno, di cui parla il nostro Calcagni. La cosa in ogni caso non è partita da noi. Ed è certo che noi non ci siamo dimenticati di Calcagni. Infatti Difesan (la direzione che si occupa della salute dei militari) ha autorizzato i rimborsi in suo favore, a copertura di quanto non è coperto dal servizio sanitario nazionale. E per noi continua a percepire gli emolumenti che gli competono in questa situazione»;
nei mesi di gennaio e febbraio 2010 il maggiore Carlo Calcagni si è recato presso il Centro di altissima specializzazione Breakspear Hospital Medical Group Hertfordshire House Hemel Hempstead Hertfordshire, in Inghilterra, dove è ritornato il 3 giugno 2010 per essere sottoposto ad un nuovo ciclo di cure;
all'interrogante risulta che il militare abbia dovuto provvedere personalmente al pagamento di tutte le spese mediche sostenute, senza che l'amministrazione militare vi abbia contribuito nei termini di legge -:
se i ministri siano a conoscenza di quanto narrato in premessa, quali siano le motivazioni che hanno permesso il verificarsi di un così deprecabile errore, quale sia la procedura seguita per la compilazione della graduatoria ufficiale delle vittime del dovere e quali siano le azioni, in concreto poste in essere per garantire al maggiore Carlo Calcagni l'assistenza medica ed economica per le cure di cui necessita e quelle che ha effettuato presso il Centro di altissima specializzazione Breakspear Hospital Medical Group Hertfordshire House Hemel Hempstead Hertfordshire.
(4-07484)

Risposta. - La normativa vigente, per quanto riguarda l'aspetto risarcitorio e di assistenza, appare idonea per un adeguato supporto al personale appartenente alle Forze armate italiane che si sia ammalato negli scenari operativi all'estero o sul territorio nazionale.
In particolare:
l'articolo 1, comma 564 della legge n. 266 del 2005, ha equiparato alle vittime del dovere, ai fini della concessione della speciale elargizione e degli ulteriori benefici alla stessa connessi, coloro che «abbiano contratto infermità permanentemente invalidanti o alle quali consegua il decesso, in occasione e a seguito di missioni di qualunque natura, effettuate dentro e fuori dai confini nazionali e che siano riconosciute dipendenti da causa di servizio per le particolari condizioni ambientali od operative»;
il decreto del Presidente della Repubblica n. 243 del 2006 prevede, per il personale «equiparato», i seguenti benefici:
la speciale elargizione pari a 774,69 euro (soggetta a rivalutazione Istat) per ciascun punto percentuale d'invalidità;
l'esenzione dal pagamento del ticket per ogni tipo di prestazione sanitaria;
un assegno vitalizio pari a 258,23 euro mensili (in caso d'invalidità permanente non inferiore ad un quarto della capacità lavorativa);
il riconoscimento del diritto all'assistenza psicologica a carico dello Stato;

l'articolo 34 della legge n. 222 del 2007 ha esteso il beneficio della speciale elargizione, nell'importo previsto per le vittime del terrorismo, a tutte le «vittime del dovere» (compresi i soggetti «equiparati») e della «criminalità organizzata», nella misura di 200.000 euro (soggetta a rivalutazione annuale) a favore dei superstiti e nella misura di 2.000 euro per punto percentuale di invalidità (soggetta a rivalutazione annuale) a favore degli infortunati affetti da patologie permanentemente invalidanti;
l'articolo 2, comma 78 della legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria per il 2008) ha autorizzato la spesa di 10 milioni di euro per ciascun anno del triennio 2008-2010, finalizzata al riconoscimento di adeguati indennizzi al personale italiano impiegato in missioni militari all'estero, nei poligoni di tiro e nei siti di stoccaggio di munizionamenti, nonché nei teatri di conflitto e nelle zone adiacenti le basi militari sul territorio nazionale «che abbiano contratto infermità o patologie tumorali connesse all'esposizione e all'utilizzo di proiettili all'uranio impoverito e alla dispersione nell'ambiente di nano particelle di minerali pesanti prodotte dalle esplosioni di materiale bellico, nonché ai loro superstiti»;
l'articolo 2, comma 105 della legge n. 244 del 2007 ha disposto che ai citati soggetti (vittime del dovere, della criminalità organizzata) e ai loro superstiti siano attribuiti, a decorrere dal 1o gennaio 2008, i seguenti benefici:
agli infortunati (con invalidità permanente non inferiore al 25 per cento della capacità lavorativa) un assegno vitalizio, non reversibile, di 1.033 euro mensili, soggetto alla perequazione automatica;
a tutti i superstiti lo stesso assegno vitalizio di 1.033 euro mensili;
ai superstiti aventi diritto alla pensione di reversibilità, la liquidazione di un ulteriore beneficio pari a due annualità (comprensive della tredicesima mensilità) del trattamento pensionistico, in caso di decesso dell'infortunato;
il decreto del Presidente della Repubblica n. 37 del 2009 - che disciplina le modalità ed i termini per la corresponsione degli indennizzi di cui al citato articolo 2, comma 78 della legge n. 244 del 2007 - ha previsto per il personale in questione il beneficio della speciale elargizione, pari a 2.000 euro per punto percentuale d'invalidità o 200.000 euro in caso di decesso; l'esposizione «all'uranio impoverito e alla dispersione nell'ambiente di nano particelle di minerali pesanti», deve aver costituito «la causa ovvero la concausa efficiente e determinante» della malattia o del decesso.

A tal proposito, devo ricordare che, ai sensi dell'articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica n. 461/01, il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio è demandato al «Comitato di verifica per le cause di servizio» - istituito ed operante alle dipendenze del Ministero dell'economia e delle finanze - il cui parere assume carattere vincolante ed obbligatorio per l'Amministrazione.
La difesa, ai sensi delle disposizioni di cui all'articolo 1, comma 221 della legge n. 266 del 2005 e dell'articolo 1, comma 555 della legge n. 296 del 2006, provvede, inoltre, al rimborso delle spese sanitarie a favore del personale militare, la cui infermità sia stata riconosciuta dipendente da causa di servizio.
In particolare, sono rimborsabili tutte le spese per protesi, prestazioni sanitarie (tra cui la riabilitazione presso centri sanitari nazionali/centri di altissima specializzazione all'estero), degenza e cura, compresa l'assistenza psicologica a favore del dipendente e dell'eventuale familiare accompagnatore. Inoltre, nelle more del riconoscimento della dipendenza da causa di servizio, l'Amministrazione garantisce non solo la partecipazione, ma anche l'anticipazione delle spese di degenza e di cura in relazione agli importi non corrisposti dal servizio sanitario nazionale (SSN).
Con specifico riferimento alla situazione del maggiore Calcagni, allo stesso è stata riconosciuta la dipendenza da causa di servizio per l'infermità da cui è affetto;

l'ufficiale è titolare di pensione privilegiata ordinaria di prima categoria, pari a 54.915,48 + 1.913,23 annui lordi. Al medesimo sono stati conferiti:
equo indennizzo per un importo di 17.150,71 euro;
assegno vitalizio pari a 258.23 euro mensili;
speciale assegno vitalizio pari a 1.033,00 euro mensili;
speciale elargizione nella misura di 217.569,80 euro,
nonché, ovviamente, l'esenzione dal ticket per ogni prestazione sanitaria.

Con riferimento alle spese sanitarie sostenute dall'ufficiale per accertamenti sanitari all'estero presso il centro di altissima specializzazione «Breakspear Hospital Medical Group Hertfordshire House Hemel Hempstead Hertfordshire» (Inghilterra), l'affermazione secondo la quale l'interessato «abbia dovuto provvedere personalmente al pagamento di tutte le spese mediche sostenute, senza che l'amministrazione militare vi abbia contribuito nei termini di legge», non risulta suffragata dagli elementi di riscontro in possesso del dicastero.
Sono state accolte, infatti, tutte le richieste pervenute dall'interessato; nello specifico, è stata data autorizzazione al rimborso di:
7.580,00 euro, pari al 20 per cento (come stabilito dall'articolo 6 del decreto ministeriale 3 novembre 1989) delle spese complessivamente sostenute (80 per cento delle spese a carico della Asl di Brindisi, distretto socio sanitario n. 4), relativamente alle cure sostenute in Inghilterra dal 18 gennaio 2010 al 18 febbraio 2010. Si precisa, al riguardo, che benché la documentazione sanitaria attestante la necessità del ricovero e la sua durata non fosse, inizialmente, conforme a quanto previsto, lo scorso 12 maggio è stato, comunque, autorizzato tale rimborso, considerata la necessità, da parte del maggiore Calcagni, di sottoporsi ad ulteriori cure specialistiche all'estero;
147,55 euro per le spese di viaggio dell'accompagnatore, relative allo stesso periodo;
624,44 euro per le restanti spese relative al periodo dal 18 gennaio 2010 al 18 febbraio 2010 (autorizzazione del 23 luglio 2010, sulla base delle fatture recentemente prodotte dall'interessato e visto il consuntivo delle spese sostenute presso il citato centro);
8.523,23 euro per le spese sostenute presso il centro nel periodo dal 3 giugno 2010 al 3 luglio 2010.

Per quanto concerne, in ultimo, la «compilazione della graduatoria ufficiale delle vittime del dovere», il competente servizio del Ministero dell'interno raccoglie da tutte le amministrazioni interessate gli elenchi dei nominativi di coloro che sono stati riconosciuti vittime del dovere, sulla base delle istanze presentate entro il 30 settembre e 30 marzo di ogni anno ed ha, inoltre, l'incarico di formare la graduatoria unica nazionale, di aggiornare l'inserimento dei dati e di pubblicarla sul sito ufficiale www.interno.it della graduatoria unica nazionale (sezione vittime del dovere).
Nell'effettuare l'inserimento dei nominativi, a causa di un mero errore di carattere tecnico, dovuto ad un erroneo funzionamento del programma informatico, si è determinato per alcune delle vittime del dovere uno sfalsamento del cognome e del nome, rispetto ai rimanenti campi ad essi abbinati.
Lo scorso 5 giugno, comunque, sono state eseguite le opportune rettifiche e, contestualmente, è stata informata dell'avvenuto aggiornamento la presidente dell'associazione vittime del dovere, attualmente, la graduatoria consultabile
on line è da ritenersi ufficialmente corretta.
Ad eccezione di tale increscioso inconveniente, non si è mai in precedenza verificata alcuna irregolarità in ordine alla pubblicazione della graduatoria unica nazionale. Tra l'altro, l'inconveniente, seppur spiacevole sotto il profilo umano, non ha arrecato alcun nocumento di natura economica agli interessati.

Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.

MAURIZIO TURCO, MECACCI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
nel 1998 l'Unione europea decise di iniziare i negoziati per l'inclusione del settore greco dell'isola di Cipro e nel 1999 la Grecia tolse il suo veto all'ingresso della Turchia nell'Unione fornendo aiuti al Governo turco in seguito a un devastante terremoto, segnando così un cambiamento del clima politico relativo alla questione di Cipro;
nel 2000 ripresero, almeno formalmente i negoziati tra i rappresentanti delle due comunità Klerides (greca) e Denktash (turca) nell'ambito dell'ONU, coi greco-ciprioti che sostenevano una federazione riunificata, mentre i turco-ciprioti ne volevano una basata su uguale sovranità;
nel 2001 la Turchia tolse il veto, pur ponendo alcune condizioni, all'accordo tra l'Unione europea e la NATO, rendendo possibile a Klerides di attraversare la «linea verde» che separa Nicosia per andare a incontrare Denktash nella parte nord;
nel 2002 l'Unione europea, in mancanza di un accordo interno a Cipro, sembrò nuovamente disposta ad accettare il solo settore greco, e Klerides e Denktash ripresero i negoziati quindi con la mediazione dell'ONU allo scopo di entrare nell'Unione europea;
alla fine del 2002 il segretario generale dell'ONU Kofi Annan presentò un piano di pace che proponeva una federazione governata a rotazione;
nel 2003 Tassos Papadopoulos fu eletto nel settore greco e poche settimane dopo scadde il termine stabilito dall'ONU per raggiungere un accordo. Nello stesso anno Kofi Annan ammise che il suo piano di soluzione consensuale era fallito, ma insistette affinché venisse messo ai voti;
sempre nel 2003, malgrado lo stallo negoziale, per la prima volta dopo tre decenni, turchi e greco-ciprioti attraversarono la «linea verde» che divideva il Paese;
in due referendum paralleli nell'aprile 2004 i greco-ciprioti respinsero un piano ONU per la riunificazione dell'isola, mentre i turco-ciprioti lo accettarono;
il 1° maggio Cipro divenne, insieme ad altri nove paesi, membro a pieno titolo dell'Unione europea, ma solo la parte greca ottenne i benefici dell'appartenenza;
in dicembre 2004 Ankara dichiarò che avrebbe riconosciuto Cipro quale membro dell'Unione europea prima dell'inizio dei negoziati per il proprio ingresso nell'Unione, programmati per l'ottobre 2005;
a seguito del risultato del referendum la Commissione europea promise di avviare progressivamente una serie di aiuti volti a bilanciare l'isolamento economico della parte nord dell'isola e tra questi vi era anche la promessa di un accordo di commercio diretto tra gli stati membri dell'Unione europea e Cipro nord;
nell'aprile 2005 Mehmet Ali Talat fu eletto presidente turco-cipriota. In maggio, il Governo greco-cipriota e alcuni funzionari dell'ONU ripresero a parlare della possibilità di un nuovo accordo di pace. Nel giugno di quell'anno, il Parlamento cipriota approvò la bozza della Costituzione europea;
nel marzo 2006, nonostante gli impegni assunti, Ankara non aveva ancora riconosciuto Cipro quale membro dell'Unione europea e manteneva truppe nella RTCN. I negoziati per l'ingresso della Turchia proseguivano, mentre i caschi blu pattugliavano la «linea verde»;
durante gli ultimi cinque anni le parti, seppur a fasi alterne e con risultati non sempre soddisfacenti per entrambi, hanno mantenuto vivi i contatti volti alla ricerca di una soluzione onnicomprensiva del problema;
dal 1° dicembre 2009 è entrato in vigore il trattato di Lisbona che assegna,

tra le altre cose, al Parlamento europeo un ruolo di legislatore e che quindi la procedura di definizione e adozione dell'accordo commerciale diretto tra l'Unione europea e Cipro nord è divenuto oggetto della procedura legislativa ordinaria;
nel marzo del 2010 la proposta dell'accordo è stata assegnata alla commissione per il commercio internazionale per un parere e per relatore è stato nominato un eurodeputato italiano, Niccolò Rinaldi, del gruppo dell'Alleanza dei liberal-democratici per l'Europa (ALDE);
la forte opposizione degli eurodeputati ciprioti (tutti provenienti dalla parte greca) alla bozza ha dato il via a una procedura di accertamento della basi giuridiche del documento (secondo la proposta della commissione essa sarebbe stata introdotta secondo l'articolo 207 del trattato di Lisbona (Misure per la realizzazione della politica commerciale comune) mentre i greco-ciprioti ritengono che la questione sia da affrontare secondo il 10° protocollo dell'atto d'accesso all'Unione del 2003 che quindi dovrebbe prevedere l'unanimità);
tale contrapposizione il 27 aprile 2010 ha portato la conferenza dei coordinatori dei gruppi nella commissione del commercio internazionale del Parlamento europeo a inviare alla conferenza dei presidenti la questione per una decisione inerente alle basi legali in modo da determinare quale sia la commissione del parlamento europeo competente;
alla riunione del 16 giugno 2010, la conferenza dei presidenti ha deciso di richiedere al comitato affari giuridici di pronunciarsi sulla materia di concerto con l'ufficio legale del Parlamento e che tale decisione dovrebbe essere resa alla prossima riunione prevista per settembre 2010 -:
quale sia la posizione del Governo italiano in merito all'accordo commerciale diretto tra l'Unione europea e Cipro nord, tenendo presente l'importanza che tale accordo rappresenta anche per lo sblocco definitivo del processo di ingresso della Turchia nell'Unione europa;
se il Governo sia al corrente della posizione di altri Stati membri dell'Unione europea, come per esempio quelle della Germania, e come intenda, data la nota posizione italiana a favore della rapida conclusione del processo di accesso della Turchia nell'Unione europea, coordinarsi cogli altri Governi al fine di facilitare l'adozione di tale accordo, pendente dal 2004, entro la fine del corrente anno.
(4-08058)

Risposta. - In merito a quanto rappresentato dall'interrogante nel presente atto parlamentare si forniscono i seguenti elementi di informazione.
Il Governo italiano si è costantemente adoperato in questi anni a favore di una riapertura della discussione in ambito europeo sulla proposta di Regolamento sul commercio diretto con Cipro nord, bloccata in Consiglio dal 2004 a causa del veto cipriota. Riteniamo infatti essenziale tener fede agli impegni assunti da parte europea all'indomani del referendum sul piano Annan per la riunificazione dell'isola, onde porre fine all'isolamento della comunità turco-cipriota e favorire lo sviluppo economico della parte nord di Cipro.
In tale ottica l'Italia ha pertanto incoraggiato l'iniziativa della Commissione volta a riavviare l'iter di esame del progetto di regolamento da parte del Parlamento e del Consiglio dell'Unione europea, a seguito dell'entrata in vigore del Trattato di Lisbona e del conseguente mutamento della base giuridica del regolamento (si applicherebbe ora l'articolo 207 Tfue relativo al commercio con i paesi terzi, che sostituisce l'articolo 133 del Tce e prevede il passaggio alla procedura legislativa ordinaria, segnatamente codecisione e voto a maggioranza qualificata in Consiglio). La base giuridica individuata dalla Commissione viene tuttavia contestata da parte di Nicosia, che ritiene che debba invece applicarsi il Protocollo X all'atto di adesione di Cipro, che disciplina la sospensione dell'
acquis comunitario nelle zone dell'isola non controllate

dal Governo cipriota e prevede una decisione all'unanimità in Consiglio. Tale tesi è stata peraltro sostenuta dal servizio giuridico del Consiglio nel 2004, mentre il servizio giuridico della Commissione aveva giustificato la base giuridica attuale. L'Italia ha sempre mantenuto nell'ambito di tale disputa legale un approccio flessibile e costruttivo e, pur comprendendo le preoccupazioni e gli interessi di Cipro, auspica che si possa giungere ad una soluzione concordata nel quadro dell'acquis comunitario. Riteniamo infatti essenziale procedere ad avviare un dibattito sul merito del progetto di regolamento e sosteniamo pertanto tutte le iniziative volte a favorire una sua rapida approvazione. In tale contesto abbiamo pertanto mantenuto uno stretto coordinamento con gli eurodeputati italiani all'interno della Commissione commercio internazionale del Parlamento europeo, cui è stato assegnato il dossier, ed in particolare con il relatore, Niccolò Rinaldi, onde far avanzare celermente l'esame parlamentare del provvedimento.
Il Governo italiano è infatti pienamente consapevole dell'importanza dell'approvazione di tale regolamento non solo al fine di garantire il necessario sviluppo socio-economico della comunità turco-cipriota, ma anche al fine di favorire il processo di adesione della Turchia, obiettivo prioritario di politica estera dell'Italia. Come ribadito da ultimo dal Ministro degli affari esteri turco Davutoglu in occasione del Consiglio di associazione Ue-Turchia del 10 maggio 2010, l'approvazione di tale provvedimento rappresenterebbe il giusto segnale di apertura da parte dell'UE per indurre il Governo turco a dare piena applicazione al Protocollo addizionale all'accordo di associazione Ue-Turchia (cosiddetto Protocollo di Ankara), estendendo anche a Cipro la libertà di transito attraverso i porti e gli scali aerei turchi. in tal modo verrebbe meno uno dei principali ostacoli al progresso dei negoziati tecnici in vista dell'adesione. Secondo le decisioni del Consiglio del dicembre 2006, all'adempimento da parte turca del Protocollo di Ankara è infatti subordinata l'apertura di 8 capitoli negoziali (1 circolazione delle merci; 3 diritto di stabilimento e libertà di circolazione dei servizi; 9 servizi finanziari; 11 agricoltura e sviluppo rurale; 13 pesca; 14 trasporti; 29 unione doganale; 30 relazioni esterne) e la chiusura delle trattative in tutti gli altri settori dell'
acquis comunitario. La riapertura della discussione sul commercio diretto potrebbe altresì costituire una leva per accelerare il negoziato inter-cipriota, anche alla luce di un atteggiamento di disponibilità della Turchia a considerare la possibilità di una contropartita (ad esempio, consentire l'accesso dei ciprioti alla città di Varosha).
Alla luce di tali considerazioni, l'Italia è impegnata in un'intensa attività di sensibilizzazione a favore di una rapida approvazione del regolamento, sia nei competenti fori comunitari che a livello bilaterale, in occasione dei numerosi incontri tra i massimi esponenti governativi italiani e gli omologhi dei paesi partner. Riteniamo infatti opportuno sostenere le iniziative suscettibili di imprimere maggiore dinamismo al dialogo fra l'Ue e la Turchia e favorire il superamento delle difficoltà che ostacolano il negoziato di adesione. In tale ottica, abbiamo esortato da un lato Nicosia a mantenere un atteggiamento aperto e costruttivo sulla questione del commercio diretto e, dall'altro, incoraggiato il Governo turco ad una maggiore flessibilità nelle relazioni con Cipro, con particolare riferimento al Protocollo di Ankara.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Alfredo Mantica.

ZACCHERA. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
a decorrere dal 13 dicembre 2009 il sistema ferroviario italiano ha adottato un nuovo orario per la circolazione dei treni che ha previsto la soppressione di innumerevoli fermate anche in città piuttosto importanti e per treni a carattere nazionale ed internazionale;
milioni di utenti si trovano così in difficoltà ad utilizzare i treni ad alta

velocità (come il «Frecciarossa») per l'obbiettiva impossibilità di raggiungere le stazioni principali in tempi e con servizi ragionevoli;
conseguentemente, le società del gruppo «Trenitalia» subiscono una forte contrazione degli introiti e molti utenti si trovano comunque obbligati a mantenere la propria scelta verso il trasporto aereo o automobilistico;
la soppressione di alcune fermate - come a Verbania, capoluogo di provincia che ha visto soppresse tutto le fermate di treni importanti - ha portato a vivaci proteste dell'opinione pubblica -:
quali iniziative si intendano operare per indurre Trenitalia e società collegate a meglio interconnettere le principali stazioni ferroviarie della rete nazionale con le località ove fermano i treni della «alta velocità».
(4-05975)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, sono state chieste informazioni alla società Ferrovie dello Stato che ha riferito quanto segue.
Già a partire dall'orario del 13 dicembre 2009 Ferrovie dello Stato ha attuato la ristrutturazione dell'offerta ferroviaria che ha comportato una riduzione dei servizi, soprattutto sull'asse del Sempione (via Domodossola) ma nel contempo ha consentito un miglioramento complessivo della qualità del servizio offerto, ottenuta anche attraverso la velocizzazione dei collegamenti, conseguente all'impiego di materiale rotabile di ultima generazione (ETR 610) e alla razionalizzazione delle fermate in territorio italiano, attuata tenendo conto dei volumi di traffico internazionale espressi da ciascuna.
Relativamente agli specifici rilievi posti dall'Interrogante, si fa presente che in considerazione della mobilità turistica che interessa la stazione di Verbania nel periodo estivo, con il nuovo orario ferroviario entrato in vigore il 13 giugno 2010, è stata introdotta la fermata della coppia di treni internazionali EC 35/42.
Inoltre, le esigenze di mobilità della clientela di Verbania restano assicurate durante l'intero arco dell'anno dal servizio regionale che prevede oltre 30 collegamenti giornalieri con la città di Milano, da dove è possibile raggiungere qualsiasi destinazione attraverso l'efficace sistema di connessione con i treni Alta velocità.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Altero Matteoli.

ZACCHERA. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
in Venezuela, spesso nel disinteresse dei media internazionali, il regime del presidente Chávez continua in una politica tesa ad indebolire i propri avversari, non sempre in modo democratico e corretto;
si apprende che sarebbe stato arrestato nei giorni scorsi il dissidente Alejandro Pena Esclusa, leader del gruppo politico Fuerza Solidaria;
altre fonti di stampa e reti televisive sono state recentemente chiuse dal regime chavista -:
quale sia l'attuale situazione politica in Venezuela;
se risulti che negli ultimi tempi vi sia stata una recrudescenza delle iniziative chaviste nei confronti dell'opposizione;
quali iniziative abbia in essere il Governo italiano per monitorare l'attuale situazione politica in Venezuela e se siano state intraprese iniziative sul piano politico-diplomatico tese a mantenere in Venezuela un minimo di democrazia e libertà di espressione.
(4-08027)

Risposta. - Il recente arresto in Venezuela di un dirigente politico dell'opposizione, Alejandro Peña Esclusa, è stato effettuato sull'accusa di progettare l'esecuzione di atti eversivi in collaborazione con il presunto terrorista Chávez Abarc. Si ricorda che Peña Esclusa è attualmente a capo dell'associazione civile «Fuerza Solidaria» e che nel 1988 fu candidato alle

elezioni presidenziali, dove ottenne lo 0,04 per cento dei suffragi.
Per quanto attiene alla situazione politica interna, si fa presente che durante i mandati del Presidente Chávez si sono svolte libere elezioni e consultazioni popolari quasi ogni anno ed il loro regolare svolgimento è stato anche attestato dagli osservatori internazionali. Le varie tornate elettorali hanno pertanto fornito a]la popolazione numerose occasioni. per esprimere i propri giudizi sulle politiche e la gestione de governo Chávez, in un ambito interno ove sussiste libertà di associazione (esistono oltre 30 partiti di opposizione) e sono numerosi ed attivi i mezzi di informazione critici verso il governo bolivariano.
Attualmente, in vista delle elezioni legislative del prossimo 26 settembre, è in atto una campagna elettorale dai toni accesi, che interviene in un quadro politico già fortemente polarizzato, La prospettiva elettorale contribuisce senza dubbio ad inasprire la radicalizzazione sia in ambito governativo che in quello dell'opposizione, con interventi di entrambe le parti miranti a screditare l'avversario, senza tuttavia, che vengano lesi i diritti fondamentali garantiti dal sistema costituzionale venezuelano. Pur potendo il governo disporre, ovviamente, di ampi mezzi, fondi, opportunità e comunicazione, tuttavia l'opposizione conserva i suoi spazi di mobilitazione e la società civile quelli di espressione e di aperta denuncia e condanna dell'operato dell'esecutivo.
È bene segnalare che recentemente non è stata disposta alcuna chiusura di emittenti televisive anche se è in atto un confronto serrato sul controllo della linea editoriale di Globovision, agguerrito canale audiovisivo con posizioni fortemente critiche nei confronti del governo.
In tale scenario, il rispetto dei diritti civili ed in particolare della libertà di stampa continuano a costituire indicatori assai importanti le cui criticità vengono monitorate con attenzione. Ed è in questo senso che l'Unione europea ha impegnato il paese in un dialogo franco e costruttivo incentrato, oltre che su temi di interesse comune, sul rispetto delle libertà fondamentali e dei diritti civili e condotto secondo i criteri standard dell'azione svolta dalla stessa Unione in molteplici aree geografiche.
A tale esercizio il nostro Paese partecipa attivamente e con un ruolo propositivo, con l'obiettivo di migliorare la qualità del dialogo ed ottenere un maggiore coinvolgimento delle autorità del Venezuela.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Enzo Scotti.

ZACCHERA. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
da alcuni decenni - in virtù della Convenzione italo-elvetica sulla pesca - sussiste il commissariato per la tutela e la difesa della pesca sui laghi Maggiore, di Lugano e sul Fiume Tresa ovvero operante sulle acque comuni tra i due Stati;
al commissariato viene concesso un contributo annuo da parte dello Stato fisso da circa vent'anni, contributo già di 50.000.000 lire annue, ora tradotto - senza variazioni - in euro, moneta pur operante ormai da otto anni;
tutti i componenti la commissione e lo stesso commissario svolgono le loro funzioni a titolo del tutto gratuito e con i fondi disponibili si cerca soprattutto di potenziare le operazioni di ripopolamento ittico nelle acque interessate dalla convenzione;
tali immissioni si riducono progressivamente per mancanza di fondi -:
pur nelle attuali difficoltà di bilancio, se non si ritenga opportuno assumere iniziative per un incremento della dotazione annua disponibile per il predetto commissariato.
(4-08383)

Risposta. - In merito a quanto rappresentato dall'interrogante si forniscono i seguenti elementi di informazione.
Lo stanziamento di euro 25.823 (pari a 50 milioni di vecchie lire) a favore del Commissariato per la tutela e difesa della pesca e rimasto immutato dal 2002 ad oggi,

ed appare confermato per il triennio 2011-2013 senza aver subito alcuna decurtazione in forza di disposizioni di legge intervenute in corso d'anno.
Non risultano peraltro agli atti della Farnesina richieste di incremento del contributo finanziario erogato annualmente dallo Stato italiano provenienti dal Commissariato per la tutela e difesa della pesca sui laghi Maggiore, di Lugano e sul fiume Stresa.
Ai sensi del comma 2, articolo 3 della legge n. 530 del 22 novembre 1988 recante «Ratifica ed esecuzione della Convenzione tra la Repubblica italiana e la Confederazione Svizzera per la pesca nelle acque italo-svizzere», il dicastero designato quale organo competente ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio, è il, Ministero del tesoro.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Alfredo Mantica.

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
i giornali hanno riportato che, indagando sui ritardi dei treni ad alta velocità, il pubblico ministero di Torino Raffaele Guariniello ha riscontrato come, tra il 14 dicembre e Natale, tre quarti dei quattrocento treni sotto osservazione abbia avuto un ritardo superiore ai 15 minuti;
i giornali hanno anche riportato che Ferrovie dello Stato si è affrettata a replicare sostenendo che, se si prende in considerazione un periodo più lungo, i ritardi sopra i 15 minuti sono solo un quarto;
sono state anche invocate le avverse condizioni atmosferiche, che hanno causato disagi gravi alle ferrovie in tutta Europa, nonché la necessità di un periodo di assestamento dopo l'entrata in funzione delle nuove tratte alta velocità Bologna-Firenze e Novara-Milano, proprio il 14 dicembre 2009;
Ferrovie dello Stato ha sostenuto che i treni sono da considerarsi in orario qualora arrivino a destinazione con quindici minuti di ritardo affermando che vi sia una sorta di «consuetudine europea»;
in un articolo di Andrea Boitani del 12 gennaio 2010 però si documenta come non vi sia traccia nei documenti «europei» e nei siti come quello della Dg Tren della Commissione Europea o come quello della Comunità delle ferrovie europee (Cer) di tale consuetudine;
il 3 dicembre 2009 è entrato in vigore il regolamento europeo 1371/2007 sui diritti dei passeggeri ferroviari, dove si afferma che il «ritardo significa la differenza di tempo tra l'ora in cui era programmato che il passeggero arrivasse, secondo l'orario pubblicato, e l'ora effettiva o attesa di arrivo» (articolo 3/12). Insomma, quello che qualsiasi persona di buon senso intende per «ritardo». Nessun cenno al quarto d'ora di «franchigia». Più avanti, agli articoli 15-18, il regolamento si limita a stabilire in che modo e misura i passeggeri debbano essere tutelati per ritardi superiori ai 60 minuti;
l'unico testo che conterrebbe un riferimento a «consuetudini europee» su questo sarebbe il Rapporto Bob railway case - Benchmarking passenger transport in railways, redatto per la Dg Tren da Nea, un istituto di ricerca indipendente, con base in Olanda nel 2004 e i cui dati si riferiscono al periodo 1999-2002;
il capitolo sulla puntualità a pagina 39 afferma che «In generale la definizione preferita di puntualità è la percentuale di treni che arrivano nelle stazioni entro 5 minuti dall'orario d'arrivo stabilito»;
la rilevanza per i passeggeri di un ritardo di 5 minuti si riduce al crescere della lunghezza del viaggio. Mentre per i passeggeri che vanno in treno da Roma a Milano (3 ore con il più veloce dei Frecciarossa) un ritardo di 15 minuti rappresenta solo l'8,33 per cento del tempo di viaggio, per chi va da Milano a Bologna rappresenta il 25 per cento del tempo di

viaggio previsto e per chi va da Bologna a Firenze arriva a essere il 43 per cento. La Nea ha comunque scelto di misurare il ritardo a 5 minuti, compiendo una complessa operazione di ricostruzione dei dati. E singolare che nessun dato riguardante Trenitalia compaia nel rapporto;
tutte le compagnie considerate, comunque, fanno registrare una percentuale di treni in orario (cioè che arrivano al massimo con 5 minuti di ritardo) superiore all'84 per cento;
la puntualità (ribadiamo: a 5 minuti) dei treni della compagnia giapponese considerata (Jrk) arriva a superare, tra locali e lunga distanza, il 98 per cento, mentre in Finlandia, Ungheria e Danimarca i treni locali sono puntuali, rispettivamente, al 99, 97 e 95 per cento;
gli unici riferimenti alla puntualità nel bilancio di Fs per il 2008 sono contenuti alle pagine 31 e 32: «La puntualità dei treni alta velocità ed Eurostar ha visto una sensibile crescita nel corso dell'anno passando dall'88,6 per cento del 2007 al 91,5 per cento del 2008» -:
se la puntualità sia misurata ai 5 o ai 15 minuti;
quali misure intenda adottare per migliorare la performance dei treni ad alta velocità.
(4-05774)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
Com'è noto nel periodo citato dagli interroganti si sono verificate condizioni atmosferiche particolarmente avverse caratterizzate da copiose nevicate anche in pianura e temperature molto rigide che hanno determinato inconvenienti di ordine tecnico sia alla sede infrastrutturale che al materiale rotabile, compromettendo il regolare svolgimento del servizio di trasporto ferroviario.
Nel medesimo periodo è entrata in esercizio la nuova tratta ad alta velocità tra Firenze e Bologna che ha richiesto un periodo di tempo fisiologico per la definitiva messa a punto degli apparati tecnologici e di circolazione.
Per quanto concerne i criteri adottati per il rilevamento della puntualità, si comunica che la società Ferrovie dello Stato effettua la rilevazione della puntualità dei treni con le modalità derivate dalla Leaflet 450-2 dell'
Union internationale des chemins de fer (UIC) e gli standard stabiliti dal decreto ministeriale 146 T del 4 luglio 2000 che stabilisce la fascia 0-15 minuti per misurare la puntualità dei treni di media/lunga percorrenza e la fascia 0-5 minuti per la misurazione della puntualità dei treni del trasporto regionale. Il processo di registrazione della puntualità delle Ferrovie dello Stato è stato automatizzato ed è certificato da un ente terzo: associazione di controllo tecnico (TÜV).
Inoltre, si evidenzia che il livello di puntualità dei collegamenti
Frecciarossa e Frecciargento è dall'inizio del corrente anno in costante, progressiva crescita e nell'ultimo periodo (giugno 2010) si è attestato intorno al 90 per cento (contro l'82 per cento registrato nel giugno 2009).
Infine, per quanto riguarda le modalità e l'entità dei rimborsi stabiliti in caso di ritardo si fa presente che sono conformi a quanto previsto dalla normativa comunitaria in materia (regolamento CE 1371/2007).

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Altero Matteoli.

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
da notizie della stampa locale risulta che, a seguito dell'incendio del 2 luglio 2009 del capannone industriale dell'Ecorecuperi, il foraggio contaminato da diossina verrà smaltito negli impianti Terni Ena a seguito degli interventi degli enti locali;
la copertura totale dello smaltimento richiederà alcune settimane;

ci sono da incenerire infatti ben seicento rotoli di fieno che erano rimasti in attesa del via libera per essere trasferiti da Vascigliano all'impianto di Maratta dopo l'esito delle analisi svolte dall'Arpa;
restano però dubbi sul fieno prodotto nella zona di Vascigliano dopo l'incendio di 9 mesi fa da quei produttori che non hanno bestiame e che non si sa che fine abbia fatto;
non è escluso che le indagini in corso possano riguardare anche le fatture e le bolle di accompagnamento del fieno venduto dopo il 2 luglio 2009;
infatti continua ad allargarsi la zona inquinata dall'incendio, risultando contaminato anche il bestiame allevato oltre sei chilometri dall'epicentro del rogo con la conseguenza che potrebbe ampliarsi ulteriormente l'area a rischio diossina arrivando alla soglia una volta ritenuta fantascientifica di 15 chilometri ipotizzata in passato dall'istituto zooprofilattico di Teramo;
si parla di una vera e propria strage di animali (agnelli, vitelli e capretti) che sono stati bruciati perché trovati positivi alla diossina;
la situazione sta creando danni incalcolabili per gli allevatori -:
se siano state adottate iniziative per monitorare le destinazioni del foraggio prodotto e venduto dopo l'incendio;
se e come si intenda promuovere un piano di sorveglianza delle diossine, che si caratterizzi per una programmazione a più ampio respiro;
se non ritengano di intervenire e come per evitare la strage di animali positivi alla diossina e sostenere gli allevatori dagli ingenti danni subiti.
(4-06722)

Risposta. - L'interrogazione in esame concerne l'incendio che il 2 luglio 2009 ha interessato un impianto di trattamento rifiuti nel territorio del comune di Stroncone in provincia di Terni, a seguito del quale si sono liberate sostanze tossiche che hanno inquinato l'ambiente circostante, determinando la contaminazione di colture destinate al consumo umano e all'alimentazione zootecnica, rendendole inutilizzabili.
Al riguardo faccio presente che, ai sensi del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 102, modificato dal decreto legislativo 18 aprile 2008 11. 82, è prevista l'attivazione delle provvidenze
ex post per far fronte, tra l'altro, ai danni alle produzioni agricole e zootecniche nelle zone colpite da calamità naturali o avversità atmosferiche, alle condizioni e con le modalità previste dalle disposizioni comunitarie vigenti in materia di aiuti di Stato.
L'evento segnalato dall'interrogante non rientra in nessuna delle tipologie di calamità contemplate dalla vigente normativa ai fini dell'attivazione delle provvidenze del Fondo di solidarietà nazionale. Del resto, la regione Umbria non ha formalizzato alcuna proposta in tal senso non avendo, probabilmente, riscontrato i requisiti di legge per la richiesta di attivazione degli interventi compensativi del fondo medesimo.

Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali: Giancarlo Galan.

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
in un articolo pubblicato dal quotidiano Terra il 7 aprile 2010 dal titolo «Garigliano, ancora misteri» viene denunciata la scarsa limpidezza con cui la Sogin avrebbe trattato le dichiarazioni sulla sicurezza del processo di decommissioning della struttura di Garigliano, oltre ai piani per lo stoccaggio a lungo termine delle scorie radioattive;
l'ex centrale nucleare del Garigliano sarebbe oggetto di lavori di recupero strutturale dell'impianto;
secondo il commissario regionale dei Verdi Francesco Emilio Borrelli, il nuovo

sito per contenere i rifiuti presenti nella centrale è di quasi 10 volte più grande di quello dove sono attualmente depositati ed i lavori saranno completati nel 2011;
si tratterebbe di un carico inimmaginabile per garantire la sicurezza di una zona che già sconta le conseguenze di alcuni incidenti incorsi nel ventennio dagli anni '60 agli anni '80;
in più dal 1981, anno di chiusura della centrale dopo l'ennesimo incidente, lo smantellamento non è ancora avvenuto e la Sogin aveva comunicato, nel primo cronoprogramma, che si sarebbe completato nel 2016. Oggi invece si apprende che la data è stata già spostata senza spiegazioni al 2019 -:
di quali informazioni sia in possesso il Governo sui lavori di recupero strutturale dell'impianto di Garigliano;
se sia vero che il nuovo sito per contenere rifiuti sia 10 volte superiore all'attuale e in caso affermativo per quali motivi si stia procedendo all'ampliamento;
per quali ragioni lo smantellamento della centrale di Garigliano che doveva concludersi nel 2016 sia stato posticipato al 2019.
(4-07128)

Risposta. - In relazione all'interrogazione in esame con la quale si chiede di conoscere la veridicità o meno di alcune affermazioni contenute in un articolo del quotidiano Terra dell'aprile scorso sulla ex centrale del Garigliano, si rappresenta quanto segue.
In particolare, riguardo all'asserito «recupero strutturale» dell'impianto, si evidenzia, preliminarmente, che tale dizione non appare appropriata. Tutte le attività in essere sull'impianto sono propedeutiche allo smantellamento dell'impianto stesso e sono autorizzate dal Ministero dello sviluppo economico, su parere tecnico dell'autorità di sicurezza nucleare-Ispra.
In proposito, si sottolinea che il progetto globale di disattivazione della centrale del Garigliano è stato sottoposto alla procedura di valutazione di impatto ambientale e che il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali, con decreto del 1o dicembre 2009, ha pronunciato giudizio favorevole di compatibilità ambientale, con prescrizioni, relativamente al progetto stesso. È in corso l'
iter istruttorio relativo all'approvazione dell'istanza globale di disattivazione, al termine del quale sarà emesso il relativo decreto autorizzativo ai sensi dell'articolo 55 del decreto legislativo 230 del 1995.
In merito al quesito riguardante l'entità dell'ampliamento del «sito» per contenere i rifiuti, si precisa che i lavori in corso sono relativi all'adeguamento di strutture esistenti, al fine di ospitare, in via provvisoria ed in sicurezza, i rifiuti radioattivi presenti in centrale, in attesa della disponibilità del deposito nazionale. Un deposito provvisorio progettato
ad hoc, denominato D-1, verrà reso operativo su autorizzazione del Mse, previo parere favorevole dell'Ispra, per lo stoccaggio provvisorio dei soli rifiuti di II categoria prodotti dal decommissioning della centrale. I rifiuti stoccati nel deposito D-1 saranno poi anch'essi trasferiti al deposito nazionale, quando sarà disponibile.
Pertanto, non è esatta l'espressione «ampliamento del sito», in quanto il sito della centrale mantiene la sua estensione originaria senza modifica alcuna. Infatti, i lavori in corso sono finalizzati solo ad una sistemazione dei rifiuti in condizioni di maggiore sicurezza rispetto all'attuale collocazione. Va evidenziato anche che la volumetria del deposito D-1 è stata autorizzata in sostituzione ed a seguito dell'abbattimento di equivalenti volumetrie presenti nella centrale.
Ad oggi, in centrale non sono presenti scorie radioattive (intese come scarti di combustibile nucleare irraggiato), in quanto tutti gli elementi di combustibile esauriti sono stati trasferiti già nel 1987 nella piscina del deposito «Avogadro». Di tali elementi di combustibile, una parte è stata già trasferita in Gran Bretagna per il ritrattamento, mentre la parte restante è in attesa di essere trasferita in Francia, in applicazione del contratto di riprocessamento

che Sogin ed Areva hanno stipulato in data 27 aprile 2007.
Si ricorda, infine, che la Commissione europea ha espresso, in data 25 ottobre 2007, una valutazione positiva sul progetto relativo allo smaltimento dei rifiuti radioattivi derivanti dalle attività di
decommissioning.
Quanto al quesito relativo alle ragioni del posticipo dello smantellamento della centrale all'anno 2019, si fa presente che la data del 2016, quale data originariamente prevista per la conclusione dello smantellamento della centrale del Garigliano, non è più perseguibile, poiché tale previsione si basava sulla disponibilità del deposito nazionale al 2009, come indicato dall'articolo 1, comma 2 della legge 24 dicembre 2003, n. 368. Il nuovo cronoprogramma di disattivazione prevede la conclusione delle attività di smantellamento di detta centrale per fine 2019. Tale data resta, in ogni caso, vincolata alla conclusione, in tempi certi, dei relativi iter autorizzativi ed alla disponibilità del deposito nazionale nel quale conferiranno i rifiuti oggi presenti in centrale e quelli derivanti dalle future attività di
decommissioning.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Stefano Saglia.

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
da notizie stampa risulta che a metà marzo la compagnia Forest Oil Corporation, con sede in Roma, ha avanzato richiesta di concessione di coltivazione della riserva di gas naturale per l'area Monte Pallano-Colle Santo, che interessa i comuni di Bomba, Archi, Roccascalegna, Torricella Peligna, Pennadomo, Atessa, Villa Santa Maria, Colledimezzo e Montebello sul Sangro;
già negli anni Sessanta l'Eni compì analisi petrolifere nell'area, concludendo che trivellare il lago di Bomba avrebbe provocato cedimenti della diga, con conseguenze devastanti per le popolazioni locali;
si parla di un progetto per costruire una raffineria-desolforatore, un inceneritore per bruciare rifiuti (sostanze cancerogene comprese), vari pozzi e una fitta rete di oleodotti;
oltre allo scempio ambientale, che colpirebbe abitanti, agricoltura e turismo, e alle emissioni che andranno a superare i limiti consentiti, ci sarebbe anche un serissimo rischio sismico, poiché la zona è soggetta a terremoti e la diga in terra battuta che ha dato origine al lago di Bomba andrebbe incontro alla destabilizzazione -:
se i Ministri interrogati siano al corrente del progetto, di quali ulteriori elementi dispongano e quale sia il grado di coinvolgimento dei Ministri interrogati.
(4-07136)

Risposta. - In relazione all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
La Società Forest Cmi Spa ha presentato, in data 20 febbraio 2009, istanza per il conferimento della concessione di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi denominata «Colle Santo», estesa su di un'area di 35,72 chilometri quadri ubicata in provincia di Chieti comprendente i comuni di Archi, Bomba, Torricella Peligna, Pennadomo, Roccascalegna, Atessa, Villa S. Maria e Colledimezzo.
Al riguardo, occorre, preliminarmente, precisare che la regione Abruzzo con la legge regionale 10 marzo 2008, n. 2 ha vietato l'insediamento di industrie che svolgono l'attività di prospezione, ricerca, estrazione, coltivazione e lavorazione di idrocarburi stabilendo il termine di tale divieto sino al 31 dicembre 2009.
Successivamente la regione Abruzzo con legge regionale n. 32 del 18 dicembre 2009 ha vietato l'attività di ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi ad eccezione di quelle che potranno essere svolte nelle aree che

saranno definite dalla stessa regione con un atto di tipo programmatorio, non ancora emanato.
Si segnala, inoltre, che la legge regionale Abruzzo n. 32 del 2009 è stata impugnata dal Consiglio dei ministri con delibera del 4 febbraio 2010; il relativo ricorso dovrà essere esaminato dalla Suprema corte.
Premesso quanto sopra, si evidenzia che il rilascio della concessione avviene a seguito di un procedimento unico al quale partecipano le amministrazioni competenti ai sensi del comma 7, lettera
n), dell'articolo 1 della legge n. 239 del 2004 e che esso viene svolto nel rispetto dei principi di semplificazione e con le modalità di cui alla legge n. 241 del 1990.
Riguardo alla partecipazione delle amministrazioni, si precisa che l'Abruzzo, regione competente territorialmente, dovrà esprimere l'intesa al rilascio della concessione di coltivazione previa valutazione di compatibilità ambientale della regione stessa e gli enti locali interessati, tra i quali i comuni compresi nell'area richiesta, che dovranno esprimere il proprio assenso.
In relazione alla precedente attività di ricerca e di coltivazione di idrocarburi nel comune di Bomba, si conferma quanto rappresentato nell'atto in esame e cioè che, alla fine degli anni '70, è stata rilasciata la concessione di coltivazione «Bomba» alla società Idrocarburi meridionali con decreto ministeriale 2 agosto 1967. In seguito, il titolo minerario è stato intestato alla società Agip Spa che ha condotto vari studi e ha perforato cinque pozzi negli anni 1966-1969 che attualmente risultano chiusi dal punto di vista minerario.
In effetti la società Agip non ha mai avviato i lavori di coltivazione del campo di idrocarburi, in quanto ha ritenuto onerosa la coltivazione del campo perché determinava, in pratica, la produzione di un gas ricco di inerti, per i fenomeni di instabilità superficiali presenti nell'area nonché per la presenza di una diga in terra battuta lunga circa 700 metri ed alta circa 60 metri. Di conseguenza, la concessione «Bomba» è pervenuta a cessazione a seguito di rinuncia dello stesso operatore.
La società Forest Cmi spa ha ritenuto di poter riprendere il programma di sviluppo del giacimento ed ha ottenuto un permesso di ricerca denominato «Monte Pallano», finalizzato alla verifica di fattibilità complessiva del progetto. A seguito dell'esito positivo della verifica di fattibilità dello sfruttamento dei due pozzi, previsti nel programma, a suo tempo approvato d'intesa con la regione Abruzzo, la società Forest Cmi Spa ha chiesto, in data 20 febbraio 2009, la concessione di coltivazione ed ha provveduto, nel marzo 2010, a sottoporre alla regione Abruzzo il programma in questione per la valutazione di impatto ambientale.
Tale programma prevede la perforazione e completamento di tre nuovi pozzi, la costruzione della centrale di raccolta e trattamento degli idrocarburi estratti e la costruzione del metanodotto di allacciamento alla rete nazionale.
Le possibili criticità ambientali riguardano, come rappresentato anche nell'interrogazione di cui trattasi, sia l'attività estrattiva e il trattamento degli idrocarburi sia i possibili cedimenti o dissesti di qualunque altro genere che potrebbero interessare la diga e i terreni circostanti il lago di Bomba.
Tali criticità e, più in generale, gli aspetti di inserimento nel territorio dell'attività estrattiva per idrocarburi saranno, pertanto, oggetto di attento esame e valutazione nell'ambito della valutazione di impatto ambientale (VIA) che, come riferito, è in corso di svolgimento presso la regione Abruzzo la quale dovrà esprimersi al riguardo.
Infine, in relazione a quali siano le amministrazioni coinvolte, si fa presente che il procedimento di conferimento della concessione di coltivazione «Colle Santo» interessa il Ministero dello sviluppo economico, la regione Abruzzo e gli enti locali territorialmente, compresi nell'ambito dell'area interessata dalla richiesta di concessione (comuni di Archi, Atessa, Bomba, Colledimezzo, Pennadomo, Roccascalegna, Tonicella Peligna, Villa Santa Maria).

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Stefano Saglia.

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riporta il Corriere della Sera di martedì 25 maggio 2010, i lavori in corso, e quasi ultimati, per il restauro del Teatro Grande di Pompei, invaso da betoniere, bob kart, ruspe, cavi, levigatrici e altro, avrebbero gravemente compromesso l'edificio;
gli scavi di Pompei, dichiarati dall'UNESCO patrimonio dell'umanità, restano una delle testimonianze più importanti della nostra civiltà: 440 mila metri quadrati di antiche vestigia della città riscoperta dai romani per la sua bellezza. Nel 2008, il Governo ha deciso di commissariare gli scavi di Pompei per l'emergenza incuria e degrado;
a lavori quasi finiti, l'Osservatorio del patrimonio culturale è entrato in azione con una lettera al Ministro interrogato, per denunciare «l'evidenza della gravità degli interventi»;
scrive Antonio Irlando, responsabile dell'Osservatorio: «La gravità è facilmente e banalmente dimostrabile, in particolare della cavea, che, rispetto ad una qualsiasi foto o disegno di diversi momenti della vita degli scavi, risulta completamente costruita ex novo con mattoni in tufo di moderna fattura». Sarebbe sufficiente una visita all'edificio per rendersi conto delle alterazioni provocate;
Marcello Fiori, il commissario straordinario di Pompei, spiega: «Quello è un progetto redatto dal precedente soprintendente Pietro Giovanni Guzzo e approvato dalla direzione generale del Ministero per l'Archeologia, dal segretario generale, dal capo gabinetto del Ministero, dal capo gabinetto della regione Campania. Nel teatro così restaurato suonerà il 10 giugno il maestro Riccardo Muti». Marcello Fiori, già dirigente in aspettativa dell'Acea ed ex braccio destro di Guido Bertolaso alla Protezione civile, è arrivato quindici mesi fa a Pompei. È stato lui l'uomo che ha controllato tutti i lavori del G8 all'Aquila, oltre ad aver fatto il commissario straordinario del termovalorizzatore di Acerra. Adesso Fiori è diventato un dirigente del Ministero per i beni e le attività culturali, grazie ad un decreto per le emergenze utilizzato dal Ministro interrogato, e sta gestendo i fondi per il ripristino di Pompei, circa 110 milioni di euro, più o meno, per decine di cantieri aperti in mezzo agli scavi;
i dirigenti sindacali hanno provato a chiedere da chi e come fossero gestiti questi cantieri, senza successo. Gianfranco Cerasoli della Uil ha inutilmente inviato lettere e lettere al commissario Fiori per avere dati sull'elenco dei lavori, delle forniture, delle consulenze, dei servizi, contestando i ribassi delle gare per l'aggiudicamento dei lavori, che per le rovine di Pompei sono arrivati anche al 40 per cento. «Non spetta a Cerasoli farmi queste domande», ha così risposto il commissario Fiori. La risposta di Cerasoli: «Fiori è semplicemente obbligato contrattualmente a dare le risposte nella logica della trasparenza». Fiori si è dichiarato «comunque disponibile a far vedere quello che serve, l'elenco di tutti i lavori e di tutte le procedure adottate»;
alla fine di febbraio 2010 è stato lo stesso direttore degli scavi di Pompei, Antonio Varone, a scrivere una lettera al commissario Fiori, in cui segnalava «un notevole numero di edifici di Pompei antica che versano in condizioni di degrado statico». Varone inoltre si preoccupava «per l'incolumità del pubblico, di provvedere alle identificazioni di murature ad immediato pericolo di dissesto statico»;
tuttavia, tali problemi statici esistono ancora;
in compenso ora le strade a ridosso di Porta Stabia, lungo la via delle tombe, pullulano di allegri cartelli colorati «friendly Pompei», a segnalare un percorso di visita agli scavi realizzato con colate di cemento lungo la strada archeologica: adesso non si vedono più le lastre antiche,

solo i grandi cartelloni che segnalano la possibilità di visitare i meravigliosi cantieri della Casa dei Casti Amanti, sistemati con bob kart e betoniere, a dispetto della promessa di fare soltanto scavi a mano -:
per quali ragioni si sia proceduto ad una costruzione ex novo, come risulta evidente, piuttosto che al solo restauro dell'edificio, quale dovesse essere l'obiettivo dei lavori;
se sia vero, e per quali ragioni, che vi siano stati ribassi delle gare per l'aggiudicazione dei lavori;
quali siano stati i criteri adottati nel ripristino dei disastrati scavi di Pompei, considerato che le questioni più rilevanti sollevate a fine febbraio 2010 da Antonio Varone non risultano tuttora prese in considerazione;
quali siano le azioni immediate per porre rimedio alla situazione, provvedendo innanzitutto al restauro degli edifici che versano in stato di degrado.
(4-07376)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, si osserva quanto segue.
Con delibera n. 46 del 18 luglio 2008 del Consiglio di amministrazione della soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei è stato approvato il progetto di «Restauro, valorizzazione e recupero per spettacoli del Teatro Grande, Odeion e Quadriportico dei Gladiatori» negli scavi di Pompei, redatto a cura degli architetti Ruggero Monchi e Rosario Paone, docenti universitari e progettisti di fiducia della soprintendenza, che già nel 2001 avevano curato il rilievo del complesso dei teatri e ne avevano approfondito lo studio filologico, allo scopo di renderlo, dopo un accurato restauro, funzionale ad ospitare in forma stabile, così come per altri teatri dell'antichità, le rappresentazioni teatrali.
Già nel 2003, con delibera n. 1226, il Consiglio di amministrazione avviò il procedimento per la realizzazione del progetto e contestualmente nominò il responsabile unico del procedimento.
Il complesso dei teatri (teatro Grande, Odeion e Quadriportico), messi in luce tra il 1764 e il 1766, ha subìto nel corso degli ultimi duecento anni numerosi interventi di restauro, di natura diversa a seconda delle diverse visioni culturali che li hanno determinati. Lo scavo definitivo della cavea del Teatro Grande è stato completato soltanto nel 1950, con la messa in evidenza dell'antica «rudine» che fungeva da piano di allettamento dei blocchi in tufo della cavea romana, prima della sistemazione in marmo di epoca augustea. Alla stessa epoca risale anche la sistemazione di appositi sostegni metallici, tuttora a vista, disposti in maniera filologica secondo l'originario andamento delle gradinate dell'intera cavea, quali elementi di appoggio per il tavolato ligneo destinato a ripristinare le sedute in funzione dell'utilizzo dell'edificio per le rappresentazioni teatrali.
Infatti, come si legge nella relazione progettuale allegata alla deliberazione del Consiglio di amministrazione della soprintendenza la «parte principale del progetto di restauro e fondamentale per il contestuale progetto di recupero ai fini della creazione di un teatro stabile all'aperto è costituita dalla ricostruzione in via definitiva dei cunei delle gradonate della Media Cavea secondo una filosofia ormai accettata per la maggior parte degli spazi teatrali antichi, e soprattutto in quelli dove si realizzano ancora spettacoli. Una attenta ed estesa analisi di quanto realizzato nella maggior parte del mondo romano, più o meno recentemente, ci ha portato alla scelta definitiva. L'opera doveva essere realizzata a condizione che soddisfacesse ben precisi parametri, il cui elenco non necessariamente e in ordine di priorità essendo tutte indispensabili:
reversibilità;
durabilità;
riconoscibilità;
recupero filologico dell'antico disegno sia in pianta che in sezione;
compatibilità cromatica;
ricollocazione, nella posizione originaria in cui ci erano pervenuti, degli elementi

non più in situ dopo la sistemazione risalente all'inizio degli anni '50 del secolo scorso;
conservazione degli elementi in ferro realizzati nello stesso periodo per sorreggere l'assito di tavole di legno durante le stagioni di spettacolo, importanti anche per la tecnica di posa in opera utilizzata, con chiodature e comunque testimonianza di circa cinquanta anni di vita del monumento;
adeguamento, nei limiti delle possibilità offerte da un monumento archeologico, degli attuali
standard di sicurezza;
predisposizione a livello impiantistico per impianti temporanei acustici e di illuminazione».

Il progetto prevedeva una serie di interventi mirati, quali impianti e canalizzazioni elettriche ed idriche, servizi igienici, punti di ristoro, rifacimento del palcoscenico, prefabbricati per camerini e servizi collegati, oltre alla sistemazione di percorsi, accessi ed uscite di emergenza, in ossequio alla normativa vigente, allo scopo di adeguare l'intero complesso alle esigenze di fruibilità e sicurezza, in analogia ad un moderno impianto di spettacoli, seppur nel rispetto dell'identità di un monumento antico.
Tale progetto veniva altresì inserito nei finanziamenti previsti dal piano degli Interventi del commissario delegato
pro-tempore, approvato in data 6 novembre 2008 dalla commissione di cui all'articolo 1, comma 11, dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3692 del 2008.
A seguito di gara d'appalto espletata dalla soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei vennero affidati i lavori per la realizzazione di un primo stralcio funzionale del progetto.
Per tale motivo, nell'ambito delle attribuzioni previste dall'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3795 del 2009, in base alle quali il commissario delegato provvede per «l'apprestamento urgente di idonee iniziative volte a garantire la migliore fruizione dei siti archeologici da parte dei visitatori anche attraverso l'utilizzo delle più moderne tecnologie», venne disposta, d'intesa con la soprintendenza, la redazione di un progetto di opere complementari, riguardanti prevalentemente gli allestimenti scenici e di servizio, atte a conferire al teatro Grande un'effettiva funzionalità per manifestazioni artistiche.
L'integrazione del progetto, unitamente all'accordo con la fondazione teatro di San Carlo di Napoli e altre istituzioni locali campane per l'organizzazione di manifestazioni permanenti di altissimo livello culturale ed artistico da tenersi presso il teatro Grande di Pompei, a partire dalla stagione estiva 2010, venne inserita nel piano degli interventi presentato dal commissario delegato ed approvato dalla commissione generale di indirizzo e coordinamento di cui all'articolo 1, comma 12, dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3692 del 2008 e successive modificazioni e integrazioni il 13 novembre 2009.
Vale la pena segnalare che tutti gli interventi sono stati realizzati con elementi modulari prefabbricati e smontabili per garantirne la completa reversibilità:
nel rifacimento del quadriportico non è stato dato corso a lavori invasivi, bensì è stata riproposta la pavimentazione in coccio pesto (come da progetto) secondo il sistema già in uso dal 1987 nell'ambito degli interventi finanziati con i Fondi Fio-Bei ed eseguiti sotto la sorveglianza della commissione di alta vigilanza del ministero (tale pratica era già in uso per i marciapiedi di Pompei tra i quali quelli di via di Mercurio);
tutte le opere realizzate per l'organizzazione degli spettacoli (tavolato, palcoscenico, torri-luce) sono strutture autoportanti e rimovibili che, al termine della stagione teatrale (metà agosto), saranno rimosse e smontate per il ricovero protettivo nei periodi di inattività teatrale e disponibili per essere impiegate in occasione di successive manifestazioni artistiche;
il posizionamento dei cavi e l'alloggiamento delle tubazioni è avvenuto, per la quasi totalità, al di sotto delle pavimentazioni o all'interno di integrazioni murarie di restauro, allo scopo di evitare canalizzazioni

esterne che deturpassero il monumento, secondo il progetto originario e dietro sorveglianza degli archeologi della soprintendenza; ciò consente di dotare l'area di impiantistica permanente rendendola immediatamente disponibile senza la necessità di sostenere ulteriori costi di noleggio;
il progetto originario, approvato dalla soprintendenza, che prevedeva il rifacimento delle gradinate della cavea del teatro Grande con lastre di marmo di Carrara di centimetri 4 è stato modificato in ottemperanza alle osservazioni formulate dalla commissione generale di indirizzo e coordinamento nella seduta del 13 novembre 2009;
pertanto il marmo è stato sostituito con materiali che non traessero in inganno il visitatore, tali da consentire la distinzione tra i manufatti antichi e i recenti interventi, nel rispetto dell'articolo 179 del decreto legislativo n. 42 del 2004 (Codice dei beni culturali). La scelta di realizzare le gradinate in tufo è dipesa da una attenta analisi delle fonti storiche che, prevalentemente, segnalano l'uso di tale materiale anche in epoca romana.

Si precisa, inoltre, che all'interno del cantiere non sono state utilizzate ruspe, macchinari e/o attrezzature di grandi dimensioni o provocanti vibrazioni tali da recare danni, bensì solo qualche mezzo meccanico leggero, quali le motocarriole, necessari alla movimentazione e alla lavorazione dei materiali, come normalmente accade in numerosi cantieri all'interno degli scavi. Ciò, per garantire il pieno rispetto della normativa sulla sicurezza del lavoro che vieta il trasporto, a mano, da parte delle maestranze, di pesi eccessivi.
Corre altresì l'obbligo precisare che il responsabile unico del procedimento e il direttore dei lavori sono rispettivamente, un archeologo e un tecnico della soprintendenza, a loro volta affiancati da un direttore operativo e un Ispettore di cantiere, anch'essi interni all'amministrazione.
Con particolare riferimento alla procedura di affidamento, la gara per l'esecuzione dei lavori, alla quale hanno partecipato 12 imprese, è stata aggiudicata secondo il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, ai sensi dell'articolo 83 del decreto legislativo n. 163 del 2006, con un ribasso del 28 per cento.
Inoltre, si precisa che la segnalazione dell'allarme di pericolo derivante dalla presenza di situazioni di emergenza è stata effettuata dal commissario delegato e non dal direttore degli scavi, al quale, con nota n. 7762 del 25 febbraio del 2010, è stato richiesto di provvedere ad una puntuale rilevazione di situazioni di pericolo per l'incolumità pubblica e per la salvaguardia del patrimonio archeologico e di impartire disposizioni di ordine tecnico per garantire la messa in sicurezza dell'area. A seguito di tale segnalazione, il direttore degli scavi ha provveduto ad attivare l'ufficio tecnico per l'esecuzione di tali disposizioni. Dall'attività ricognitiva sono emersi gli interventi successivamente inseriti nel piano commissariale approvato il 31 marzo 2010.
D'altra parte, il 95 per cento dei fondi complessivamente messi a disposizione del commissario delegato sono stati assorbiti dalle attività di messa in sicurezza, restauro, recupero, conservazione e manutenzione del patrimonio archeologico.
Nello stesso piano è stato approvato il progetto, avviato il 15 maggio 2010, per la realizzazione di un percorso di visita facilitato destinato ai soggetti con ridotte capacità motorie, lungo il quale è stata installata apposita segnaletica, concordata con la soprintendenza, esaustiva e chiara anche sotto il profilo informativo.
Secondo un'indagine sul grado di soddisfazione dei turisti, condotta dall'università di Salerno nei mesi scorsi, la preesistente segnaletica veniva giudicata dai turisti come il punto di maggiore criticità, proprio per la sua scarsa visibilità e carenza informativa.
In relazione ai costi sostenuti per il progetto complessivo del restauro, si segnala un quadro economico iniziale dell'intervento con una spesa di euro 2.550.000,00, a cui si è aggiunta la spesa di ulteriori euro 2.500.000,00 derivanti dalle attività da realizzare per dotare il teatro

degli allestimenti e delle infrastrutture, che saranno gestite d'intesa con il teatro di San Carlo e di cui la soprintendenza è proprietaria (apparecchiature illuminotecniche, attrezzature e camerini, completi di servizi a supporto delle rappresentazioni). Questo consentirà alla soprintendenza, nei prossimi anni, una completa autonomia gestionale ed eviterà i ripetuti costi derivanti dal noleggio delle apparecchiature. Inoltre, fatto di estrema importanza, si eviterà l'apposizione, di volta in volta, di apparecchiature, materiali e strutture di rete che potrebbero arrecare danni al patrimonio archeologico.
In conclusione, si può sostenere che il procedimento di restauro è stato finalizzato alla rifunzionalizzazione dell'edificio antico, quale luogo per far continuare ad essere vivo e presente nel mondo contemporaneo il messaggio culturale proprio del mondo romano, seguendo quanto già animava, nel 1951, il professor Amedeo Maiuri: «Dovendosi procedere ad una sistemazione della cavea del "Teatro grande" di Pompei che contemperasse l'esigenza dell'allestimento degli spettacoli con il rispetto e la visibilità delle strutture superstiti, si è voluto innanzitutto procedere al rilievo ed allo studio accurato delle strutture ancora nascoste sotto un erboso strato di terriccio, in modo da mettere completamente a nudo l'ossatura antica proprio là dove vennero asportati i sedili e i gradini in marmo dell'ultimo restauro augusteo» (notizie scavi, 1951).

Il Ministro per i beni e le attività culturali: Sandro Bondi.