XVI LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di lunedì 22 novembre 2010

TESTO AGGIORNATO AL 21 DICEMBRE 2010

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 22 novembre 2010.

Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Berlusconi, Bindi, Bocchino, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brunetta, Carfagna, Casero, Cicchitto, Colucci, Cossiga, Crimi, Crosetto, D'Alema, Dal Lago, Fitto, Franceschini, Frattini, Galati, Alberto Giorgetti, Giro, Leone, Lupi, Mantovano, Maroni, Martini, Meloni, Miccichè, Narducci, Leoluca Orlando, Pelino, Prestigiacomo, Ravetto, Reguzzoni, Roccella, Romani, Rotondi, Saglia, Stefani, Stucchi, Tremonti, Vegas.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta)

Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Berlusconi, Bindi, Bocchino, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brunetta, Carfagna, Casero, Cicchitto, Colucci, Cossiga, Crimi, Crosetto, D'Alema, Dal Lago, Dozzo, Fitto, Franceschini, Frattini, Galati, Gelmini, Alberto Giorgetti, Giro, Leone, Lupi, Mantovano, Maroni, Martini, Meloni, Miccichè, Narducci, Leoluca Orlando, Pelino, Prestigiacomo, Ravetto, Reguzzoni, Roccella, Romani, Rotondi, Saglia, Stefani, Stucchi, Tremonti, Vegas.

Annunzio di proposte di legge.

In data 19 novembre 2010 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE BRESSA: «Istituzione della provincia speciale montana di Belluno» (3883);
MAURIZIO TURCO ed altri: «Soppressione del tribunale di Crema» (3884);
ANNA TERESA FORMISANO: «Modifica all'articolo 14-bis del decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, in materia di termini di operatività del sistema informatico di controllo della tracciabilità dei rifiuti» (3885);
FRANCESCHINI ed altri: «Norme per il superamento della gestione emergenziale e per il funzionamento ordinario del ciclo dei rifiuti, nonché interventi in materia ambientale nella regione Campania» (3886);
PAGANO ed altri: «Disposizioni concernenti il divieto di produzione, importazione e commercio di merci prodotte mediante l'impiego di manodopera forzata e in schiavitù» (3887).

Saranno stampate e distribuite.

Adesione di deputati a proposte di legge.

La proposta di legge REGUZZONI ed altri: «Disposizioni per il trasferimento a Milano delle sedi della Commissione nazionale per le società e la borsa e dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato» (3572) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Fiano.

La proposta di legge SARUBBI ed altri: «Ratifica ed esecuzione della Convenzione sulla messa al bando delle munizioni a grappolo, sottoscritta a Oslo il 3 dicembre 2008, e norme di adeguamento dell'ordinamento interno concernenti il divieto d'impiego, di produzione, di trasferimento e di commercializzazione delle munizioni a grappolo, nonché disposizioni volte a garantire l'assistenza, la riabilitazione e il risarcimento delle vittime e la distruzione delle scorte esistenti nonché a contrastare il finanziamento delle imprese produttrici di munizioni a grappolo» (3716) è stata successivamente sottoscritta dal deputato D'Ippolito Vitale.

Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.

A norma del comma 1 dell'articolo 72 del regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:

III Commissione (Affari esteri):
SARUBBI ed altri: «Ratifica ed esecuzione della Convenzione sulla messa al bando delle munizioni a grappolo, sottoscritta a Oslo il 3 dicembre 2008, e norme di adeguamento dell'ordinamento interno concernenti il divieto d'impiego, di produzione, di trasferimento e di commercializzazione delle munizioni a grappolo, nonché disposizioni volte a garantire l'assistenza, la riabilitazione e il risarcimento delle vittime e la distruzione delle scorte esistenti nonché a contrastare il finanziamento delle imprese produttrici di munizioni a grappolo» (3716) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), IV, V, VI, X e XII.

VI Commissione (Finanze):

CONSIGLIO REGIONALE DEL TRENTINO ALTO ADIGE: «Parificazione fiscale delle spese sostenute per l'assistenza domiciliare all'infanzia» (3848) Parere delle Commissioni I, V, XII e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Trasmissione dal Presidente del Senato.

Il Presidente del Senato, con lettera in data 17 novembre 2010, ha comunicato che sono state approvate, ai sensi dell'articolo 144, commi 1 e 6, del regolamento del Senato, le seguenti risoluzioni:
risoluzione della 1a Commissione (Affari costituzionali) sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa agli attacchi contro i sistemi di informazione e che abroga la decisione quadro 2005/222/GAI del Consiglio (COM(2010)517 definitivo) (atto Senato doc. XVIII, n. 62), che è trasmessa alla II Commissione (Giustizia) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea);
risoluzione della 9a Commissione (Agricoltura e produzione alimentare) sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 2001/112/CE del Consiglio concernente i succhi di frutta e altri prodotti analoghi destinati all'alimentazione umana (COM(2010)490 definitivo) (atto Senato doc. XVIII, n. 63), che è trasmessa alla XIII Commissione (Agricoltura) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

Trasmissione dalla Corte dei Conti.

Il Presidente della Corte dei conti, con lettera in data 19 novembre 2010, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 5, comma 3, del regolamento per l'organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti:
la deliberazione n.56/2010, adottata dalle sezioni riunite in sede di controllo nell'adunanza dell'11 novembre 2010, concernente «Indirizzi e criteri di riferimento programmatico del controllo sulla gestione per l'anno 2011»;
la deliberazione n.57/2010, adottata dalle sezioni riunite in sede di controllo nell'adunanza dell'11 novembre 2010, recante il «Programma di lavoro delle sezioni riunite in sede di controllo per l'anno 2011».

Questa documentazione è trasmessa alla I Commissione (Affari costituzionali) e alla V Commissione (Bilancio).

Trasmissione dal ministro delle infrastrutture e dei trasporti.

Il ministro delle infrastrutture e dei trasporti, con lettera in data 15 novembre 2010, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7, comma 4, del decreto legislativo 10 agosto 2007, n. 162, la relazione sull'attività svolta dall'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie, relativa all'anno 2009 (doc. CCXI, n. 3).

Questo documento - che sarà stampato - è trasmesso alla IX Commissione (Trasporti).

Trasmissione dal ministro dell'economia e delle finanze.

Il ministro dell'economia e delle finanze, con lettera in data 18 novembre 2010, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 4 del decreto-legge 10 maggio 2010, n. 67, convertito dalla legge 22 giugno 2010, n. 99, il decreto ministeriale 7 settembre 2010, concernente l'erogazione di un prestito in favore della Grecia, in attuazione dell'articolo 2, comma 1, del medesimo decreto-legge.

Tale decreto è trasmesso alla V Commissione (Bilancio).

Annunzio di risoluzioni del Parlamento europeo.

Il Presidente del Parlamento europeo ha trasmesso il testo di diciotto risoluzioni e una decisione approvate nella sessione dal 18 al 21 ottobre 2010, che sono assegnate, a norma dell'articolo 125, comma 1, del regolamento, alle sottoindicate Commissioni, nonché, per il parere, alla III Commissione (Affari esteri) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea), se non già assegnate alle stesse in sede primaria:
risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2009/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la rilevazione statistica dei trasporti di merci e di passeggeri via mare (doc. XII, n. 567) - alla IX Commissione (Trasporti);
risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce un regime di controllo e di coercizione applicabile nella zona della Convenzione sulla futura cooperazione multilaterale per la pesca nell'Atlantico nordorientale (doc. XII, n. 568) - alla III Commissione (Affari esteri);
risoluzione legislativa sulla proposta di decisione del Consiglio relativa all'approvazione, a nome dell'Unione europea, della modifica della convenzione sulla futura cooperazione multilaterale per la pesca nell'Atlantico nord-occidentale (doc. XII, n. 569) - alla III Commissione (Affari esteri);
decisione sulla revisione dell'accordo quadro sui rapporti tra il Parlamento europeo e la Commissione europea (doc. XII, n. 570) - alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea);
risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE, Euratom) n. 1605/2002 del Consiglio, che stabilisce il regolamento finanziario applicabile al bilancio generale delle Comunità europee, relativamente al servizio europeo per l'azione esterna (doc. XII, n. 571) - alla III Commissione (Affari esteri);
risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica lo statuto dei funzionari delle Comunità europee e il regime applicabile agli altri agenti (doc. XII, n. 572) - alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea);
risoluzione legislativa sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 92/85/CEE del Consiglio concernente l'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento (doc. XII, n. 573) - alle Commissioni riunite XI (Lavoro) e XII (Affari sociali);
risoluzione legislativa sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali (rifusione) (doc. XII, n. 574) - alle Commissioni riunite II (Giustizia) e X (Attività produttive);
risoluzione sul ruolo del reddito minimo nella lotta contro la povertà e la promozione di una società inclusiva in Europa (doc. XII, n. 575) - alle Commissioni riunite XI (Lavoro) e XII (Affari sociali);
risoluzione sulla crisi finanziaria, economica e sociale: raccomandazioni sulle misure e le iniziative da adottare (relazione intermedia) (doc. XII, n. 576) - alla V Commissione (Bilancio);
risoluzione recante raccomandazioni alla Commissione sul miglioramento della governance economica e del quadro di stabilità dell'Unione, in particolare nell'area dell'euro (doc. XII, n. 577) - alle Commissioni riunite V (Bilancio) e XIV (Politiche dell'Unione europea);
risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 1717/2006 che istituisce uno strumento per la stabilità (doc. XII, n. 578) - alla III Commissione (Affari esteri);
risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 1905/2006 che istituisce uno strumento per il finanziamento della cooperazione allo sviluppo e del regolamento (CE) 1889/2006 che istituisce uno strumento finanziario per la promozione della democrazia e dei diritti umani nel mondo (doc. XII, n. 579) - alla III Commissione (Affari esteri);
risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 1934/2006 del Consiglio che istituisce uno strumento finanziario per la cooperazione con paesi e territori industrializzati e con altri ad alto reddito (doc. XII, n. 580) - alla III Commissione (Affari esteri);
risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 1905/2006 che istituisce uno strumento per il finanziamento della cooperazione allo sviluppo (doc. XII, n. 581) - alla III Commissione (Affari esteri);
risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sull'indicazione del paese di origine di taluni prodotti importati da paesi terzi (doc. XII, n. 582) - alla X Commissione (Attività produttive);
risoluzione sul futuro della normazione europea (doc. XII, n. 583) - alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea);
risoluzione sulla Cambogia, segnatamente il caso di Sam Rainsy (doc. XII, n. 584) - alla III Commissione (Affari esteri);
risoluzione sulla situazione dei diritti umani nel Caucaso settentrionale (Federazione russa) e sul procedimento penale a carico di Oleg Orlov (doc. XII, n. 585) - alla III Commissione (Affari esteri).

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

La Commissione europea, in data 19 novembre 2010, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, la comunicazione della Commissione: Applicazione dell'articolo 260, paragrafo 3, TFUE (SEC(2010)1371 definitivo) che è assegnata, ai sensi dell'articolo 127 del regolamento, alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

Richieste di parere parlamentare su proposte di nomina.

Il ministro per i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 19 novembre 2010, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 5 del decreto legislativo 25 febbraio 1999, n. 66, la richiesta di parere parlamentare sulla proposta di nomina del professor Bruno Franchi a presidente dell'Agenzia nazionale per la sicurezza del volo (ANSV) (80).

Tale richiesta è assegnata, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del regolamento, alla IX Commissione (Trasporti).

Il ministro per i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 19 novembre 2010, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 1 della legge 24 gennaio 1978, n. 14, la richiesta di parere parlamentare sulla proposta di nomina del dottor Paolo Carrà a presidente dell'Ente nazionale risi (81).

Tale richiesta è assegnata, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del regolamento, alla XIII Commissione (Agricoltura).

Atti di controllo e di indirizzo.

Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell'Allegato B al resoconto della seduta odierna.

ERRATA CORRIGE

Nell'Allegato A al resoconto della seduta del 19 novembre 2010, a pagina 163, seconda colonna, undicesima riga il nome «Vaccaro» deve intendersi soppresso.

DISEGNO DI LEGGE: S. 1905 - NORME IN MATERIA DI ORGANIZZAZIONE DELLE UNIVERSITÀ, DI PERSONALE ACCADEMICO E RECLUTAMENTO, NONCHÉ DELEGA AL GOVERNO PER INCENTIVARE LA QUALITÀ E L'EFFICIENZA DEL SISTEMA UNIVERSITARIO (APPROVATO DAL SENATO) (A.C. 3687-A) ED ABBINATE PROPOSTE DI LEGGE: TASSONE ED ALTRI; GHIZZONI ED ALTRI; BARBIERI; GRIMOLDI ED ALTRI; BARBIERI; MARIO PEPE (PDL); NARDUCCI ED ALTRI; GRASSI ED ALTRI; PICIERNO; FUCCI ED ALTRI; GARAGNANI ED ALTRI; GARAVINI ED ALTRI; FIORONI ED ALTRI; GOISIS; CARLUCCI; LA LOGGIA ED ALTRI; LORENZIN ED ALTRI; ANNA TERESA FORMISANO (A.C. 591-1143-1154-1276-1397-1578-1828-1841-2218-2220-2250-2330-2458-2460-2726-2748-2841-3408)

A.C. 3687-A - Questione pregiudiziale

QUESTIONE PREGIUDIZIALE

La Camera,
premesso che:
al comma 2 dell'articolo 1 si riconosce alle «università che hanno conseguito la stabilità e sostenibilità del bilancio, nonché risultati di elevato livello nel campo della didattica e della ricerca» la facoltà di «sperimentare propri modelli funzionali e organizzativi, ivi comprese diverse modalità di composizione e costituzione degli organi di governo» (in pratica gli atenei più virtuosi si vedrebbero attribuita la possibilità di esercitare un grado maggiore di autonomia statutaria rispetto agli altri);
tuttavia, tale maggiore autonomia non sarebbe solo condizionata al soddisfacimento di requisiti fissati e verificati con atti ministeriali, ma sarebbe anche subordinata alla stipula di specifici accordi di programma con il Ministero;
tale previsione contrasta con l'articolo 33, sesto comma, della Costituzione, il quale dispone che le università «hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato»;
i limiti alla autonomia ordinamentale delle università possono essere dunque definiti in maniera più o meno stringente, ma solo dalla legge, e che la legge ordinaria non può trasferire la potestà di interferire sulla autonomia ordinamentale delle università al Governo; rilevato che peraltro verrebbe in questo modo utilizzato l'accordo di programma per una finalità diversa da quella propria di questo istituto, che consiste nella identificazione di obiettivi condivisi, con scadenze temporali predeterminate, sostenuti da risorse aggiuntive conferite dal ministero; considerato che l'articolo 4 del testo in esame prevede l'istituzione presso il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca di un fondo per il merito destinato ad erogare premi di studio, premi di studio o finanziamenti secondo criteri stabiliti in decreti ministeriali di natura non regolamentare;
la Corte costituzionale, con la sentenza n. 304 del 2004, ha qualificato le norme riguardanti il prestito fiduciario agli studenti come disposizioni di principio in materia di istruzione, materia cioè a competenza concorrente dello Stato e delle regioni, ai sensi dell'articolo 117, terzo comma, della Costituzione;
la stessa Corte ha dunque ritenuto costituzionalmente illegittime le norme riguardanti la gestione del relativo fondo in quanto riservavano ogni potere decisionale ad organi dello Stato, laddove invece tale disciplina di dettaglio avrebbe richiesto un coinvolgimento delle Regioni;
l'articolo 33, sesto comma, della Costituzione pone una riserva di legge relativa nei confronti delle fonti di autonomia universitaria (sia pure accordabile dallo Stato «in termini più o meno larghi, sulla base di un suo apprezzamento discrezionale, che tuttavia, non sia irrazionale», come riconosciuto dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 145 del 1985);
tale riserva è comunque tradizionalmente intesa come assoluta nei confronti del Legislativo e che, anche considerandola «»aperta« a svolgimenti da parte dell'amministrazione», richiede che un'eventuale attività normativa secondaria sia limitata «a integrarle e svolgerle in concreto i contenuti sostanziali» della legge e sia collocata «in un contesto di scelte normative sostanziali predeterminate, tali che il potere dell'amministrazione sia circoscritto secondo limiti e indirizzi ascrivibili al legislatore» (si veda la sentenza della Corte costituzionale n. 383 del 1998); considerato che l'articolo 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988 dispone che i regolamenti di delegificazione sono emanati nelle materie «non coperte da riserva assoluta di legge»;
per la disciplina della materia il disegno di legge fa un ampio e disinvolto rinvio, oltre che alla delega legislativa, a fonti secondarie tipiche ed atipiche, attraverso autorizzazioni alla delegificazione (peraltro senza compiere la ricognizione delle disposizioni vigenti destinate ad essere abrogate richiesta invece ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988, come segnalato dal Comitato per la legislazione nel parere del 29 settembre 2010) ed il rinvio a decreti ministeriali di natura non regolamentare;
l'autorizzazione al ricorso a regolamenti di delegificazione per disciplinare il trattamento economico di professori e ricercatori nonché la disciplina delle procedure finalizzate al conseguimento della «abilitazione scientifica nazionale» si pone in contrasto con il principio della riserva assoluta nei confronti del legislativo di cui all'articolo 33, sesto comma, della Costituzione e comunque non soddisfa i requisiti di cui alla sentenza della Corte costituzionale n. 383 del 1998;
il ricorso a decreti ministeriali qualificati come non regolamentari appare un mezzo per eludere i vincoli normativi e procedimentali posti dalla legge n. 400 del 1988,

delibera

di non procedere all'esame del disegno di legge n. 3687-A.
n. 1. Vassallo, Ghizzoni, Lenzi, Zaccaria, Bressa, Bachelet, Coscia, De Biasi, De Pasquale, De Torre, Levi, Lolli, Mazzarella, Melandri, Nicolais, Pes, Rossa, Antonino Russo, Siragusa.

MOZIONI BOCCHINO ED ALTRI N. 1-00436, GIULIETTI, ZACCARIA, TABACCI, EVANGELISTI, NICCO ED ALTRI N. 1-00441, SARDELLI ED ALTRI N. 1-00496, LO MONTE ED ALTRI N. 1-00503 E CICCHITTO ED ALTRI N. 1-00504 CONCERNENTI INIZIATIVE PER LA TUTELA DELLA QUALITÀ E DEL PLURALISMO DELL'INFORMAZIONE NEL SERVIZIO PUBBLICO RADIOTELEVISIVO, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AL CONTRATTO DI SERVIZIO

Mozioni

La Camera,
premesso che:
ai sensi dell'articolo 45, comma 1, del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, Testo unico della radiotelevisione, il servizio pubblico generale radiotelevisivo è affidato per concessione a una società per azioni, che lo svolge sulla base di un contratto nazionale di servizio stipulato con il Ministero concedente;
secondo quanto disposto dall'articolo 49, comma 1, del Testo unico della radiotelevisione, la concessione del servizio pubblico generale radiotelevisivo è affidata, per la durata di dodici anni dall'entrata in vigore del citato decreto legislativo, alla Rai - Radiotelevisione italiana s.p.a., che è tenuta ad adempiere ai compiti generali del servizio pubblico radiotelevisivo, come stabiliti dall'articolo 45, comma 2, e agli ulteriori obblighi individuati dalle linee guida definite d'intesa tra l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e il Ministro competente, prima di ciascun rinnovo triennale del contratto di servizio (articolo 45, comma 2, del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177);
la concessionaria del servizio pubblico non è, dunque, solo tenuta a rispettare - come qualunque operatore radiotelevisivo - i principi generali in materia di informazione, di cui all'articolo 7, comma 2, del Testo unico della radiotelevisione, a partire dalla «presentazione veritiera dei fatti e degli avvenimenti, in modo tale da favorire la libera formazione delle opinioni», dalla garanzia dell'accesso «di tutti i soggetti politici alle trasmissioni di informazione e di propaganda elettorale e politica in condizioni di parità di trattamento e di imparzialità» e dall'«assoluto divieto di utilizzare metodologie e tecniche capaci di manipolare in maniera non riconoscibile allo spettatore il contenuto delle informazioni». La Rai è anche vincolata ad un particolare obbligo di obiettività, correttezza, lealtà e completezza dell'informazione, in ragione della funzione stessa del servizio di radiodiffusione pubblica che, come è espressamente riconosciuto dal Trattato CE, in particolare all'articolo 16 e all'articolo 86 e dal Protocollo di Amsterdam ad esso allegato, «è direttamente collegato alle esigenze democratiche, sociali e culturali di ogni società, nonché all'esigenza di preservare il pluralismo dei mezzi di comunicazione»;
l'atto di indirizzo sulle garanzie del pluralismo nel servizio pubblico radiotelevisivo, approvato l'11 marzo 2003 dalla Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, stabilisce che «dai telegiornali ai programmi di approfondimento» la programmazione della Rai debba «rispettare rigorosamente, con la completezza dell'informazione, la pluralità dei punti di vista e la necessità del contraddittorio; ai direttori, ai conduttori, a tutti i giornalisti che operano nell'azienda concessionaria del servizio pubblico, si chiede di orientare la loro attività al rispetto dell'imparzialità, avendo come unico criterio quello di fornire ai cittadini utenti il massimo di informazioni, verificate e fondate, con il massimo di chiarezza»;
la delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni n. 614/09/CONS, ai fini del rinnovo del contratto di servizio tra il Ministero dello sviluppo economico e la Rai - Radiotelevisione italiana s.p.a. per il triennio 2010-2012, richiamando i recenti indirizzi comunitari, che sottolineano come quella radiotelevisiva rappresenti tuttora la principale fonte di informazione e, quindi, di partecipazione al dibattito civile e politico dei cittadini, ribadisce l'esigenza di una «definizione qualitativa» degli obblighi di servizio pubblico, sia rispetto alla programmazione nel suo complesso, sia rispetto all'informazione: «l'innalzamento del livello qualitativo dell'informazione deve essere perseguito dalla Rai agendo lungo più direttrici, attraverso interventi nel merito e di metodo. Orizzonte internazionale, pluralismo, completezza, deontologia professionale, devono costituire tratti distintivi dell'informazione di servizio pubblico, che deve essere, pertanto, aperta sul mondo, pluralistica, equilibrata e diversificata, così da garantire l'informazione, l'apprendimento e lo sviluppo del senso critico, civile ed etico della collettività nazionale, nel rispetto del diritto/dovere di cronaca, della verità dei fatti e del diritto dei cittadini ad essere informati.»;
l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha sanzionato la concessionaria per l'inadempimento dell'articolo 3 del contratto di servizio 2007-2009 (delibera 67/10/CONS dell'11 marzo 2010), per avere attivato un sistema di monitoraggio della qualità dell'offerta radiotelevisiva solo alla fine del periodo contrattuale, oltre i termini previsti e, comunque, in forma non coerente rispetto a quanto stabilito dall'articolo 3 del contratto di servizio; il sistema di rilevazione, «sottoposto a controllo da parte di un organismo esterno alla Rai», secondo quanto previsto dalla delibera 481/06/CONS dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, avrebbe dovuto rilevare la qualità della programmazione sulla base di indicatori specifici, primi tra i quali «l'imparzialità, l'indipendenza e l'obiettività per i generi informativi»;
la stessa Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, nella delibera 614/09/CONS, adottata ai fini del rinnovo del contratto di servizio tra il Ministero dello sviluppo economico e la Rai - Radiotelevisione italiana s.p.a. per il triennio 2010-2012 ha ribadito che «la realizzazione di un sistema di valutazione della qualità dell'offerta basato su una duplice attività di monitoraggio (una relativa alla corporate reputation dell'azienda e una relativa alla qualità dei singoli programmi) rimane un obiettivo prioritario che la concessionaria pubblica è tenuta a realizzare»;
il servizio pubblico di informazione, per le caratteristiche proprie del mercato radiotelevisivo italiano e della mission della concessionaria del servizio pubblico, impone una particolare tutela del principio del pluralismo, non inteso nel senso di una equilibrata «lottizzazione» degli spazi informativi tra le diverse forze politiche in ragione del loro diverso peso parlamentare, ma in quello di una rappresentazione realistica della pluralità delle posizioni in cui si articola il dibattito politico-istituzionale e in un uso sistematico e non derogabile del principio del contraddittorio;
ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, nel suo complesso l'informazione della Rai non soddisfa oggi, né secondo criteri quantitativi, né secondo quelli qualitativi, i requisiti di imparzialità, completezza e correttezza e lealtà richiesti alla concessionaria del servizio pubblico, in particolare, la principale testata giornalistica della Rai, il Tg1, partecipa al dibattito politico e istituzionale a sostegno di determinate posizioni o proposte legislative. Inoltre, il direttore generale della Rai, interpretando il suo ruolo ben oltre i limiti previsti dall'articolo 49, comma 12, del Testo unico della radiotelevisione e dall'articolo 29 dello statuto della Rai - Radiotelevisione italiana s.p.a. - non si limita ad assicurare «in collaborazione con i direttori di rete e di testata, la coerenza della programmazione radiotelevisiva con le linee editoriali» dell'azienda, ma è giunto ad avocare una responsabilità sostanzialmente esclusiva sui programmi di informazione e approfondimento politico, secondo criteri chiaramente ispirati a valutazioni di opportunità politica e non al rispetto degli obblighi connessi al servizio pubblico di informazione;
l'Esecutivo, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, è doppiamente responsabile rispetto alle violazioni da parte della Rai dei principi di correttezza, completezza e imparzialità dell'informazione. Il Governo, infatti, come controparte contrattuale è garante del diritto all'informazione dei cittadini, e d'altra parte, come titolare della quasi totalità del capitale di Rai - Radiotelevisione italiana s.p.a è tenuto a vigilare sull'inadempimento dei contenuti del contratto di servizio da parte dell'azienda, viste le conseguenze economiche delle relative sanzioni,

impegna il Governo:

a modificare lo schema di contratto di servizio tra il Ministero dello sviluppo economico e la Rai - Radiotelevisione Italiana s.p.a. per il periodo 1o gennaio 2010 - 31 dicembre 2012, recependo le indicazioni contenute nel parere della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi del 9 giugno 2010 - in particolare per quanto attiene alla definizione degli indicatori di verifica della qualità dell'informazione - e adottando specifici e tempestivi strumenti di controllo sull'adempimento da parte della concessionaria degli obblighi del contratto di servizio, e più in generale degli atti di indirizzo parlamentare;
fatte salve le competenze dell'Autorità per le garanzie delle comunicazioni e della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, a disporre una verifica sull'adempimento da parte della concessionaria del contratto di servizio 2007-2009, anche per il periodo successivo alla scadenza, nelle more del suo rinnovo, affidandone la certificazione tecnica, sulla base dei dati raccolti, ad un organismo esterno, composto da esperti di riconosciuta autorevolezza scientifica e selezionati con procedure concorsuali.
(1-00436)
«Bocchino, Della Vedova, Angeli, Barbareschi, Barbaro, Bellotti, Bongiorno, Briguglio, Consolo, Giorgio Conte, Cosenza, Di Biagio, Divella, Granata, Lamorte, Lo Presti, Moffa, Moroni, Angela Napoli, Paglia, Patarino, Perina, Polidori, Proietti Cosimi, Raisi, Ruben, Sbai, Scalia, Siliquini, Tremaglia».

La Camera,
premesso che:
la libertà di manifestazione del pensiero (articolo 21 della Costituzione italiana) è la «pietra angolare dell'ordine democratico» (Corte costituzionale, sentenza n. 84 del 1969) e il principio del pluralismo informativo, nella sua duplice accezione di pluralismo interno e di pluralismo esterno, costituisce principio fondamentale dell'ordinamento costituzionale, come ha ripetutamente affermato la Corte costituzionale, traendo da questa premessa l'esistenza di un diritto costituzionale all'informazione (sentenze n. 105 del 1972, n. 94 del 1977, n. 112 del 1993, n. 826 del 1988, n. 420 del 1994, n. 155 del 2002);
l'articolo 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali del 1950 (CEDU) tutela la libertà d'espressione, secondo i contenuti espressi nel testo e nell'interpretazione data dalla Corte europea dei diritti dell'uomo; la Corte costituzionale ha affermato che, sulla base del richiamo dell'articolo 117 della Costituzione agli obblighi internazionali, le norme della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali sono un parametro interposto di costituzionalità delle normative nazionali (sentenza n. 384 del 2007); tra gli obblighi internazionali assunti dall'Italia con la sottoscrizione e la ratifica della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali vi è quello di adeguare la propria legislazione alle norme di tale trattato, nel significato attribuito dalla Corte specificamente istituita per dare ad esse interpretazione ed applicazione;
l'articolo 11, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea sancisce espressamente il rispetto del pluralismo e la libertà dei media, nonché la libertà di espressione che include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera;
la direttiva sui servizi di media audiovisivi (direttiva 2007/65/CE) ribadisce che la diversità culturale e la libertà di espressione e il pluralismo dei mezzi di comunicazione sono elementi importanti del settore audiovisivo europeo e rappresentano, quindi, condizioni indispensabili per la democrazia e il pluralismo; la stessa direttiva dà una nuova definizione di servizio di media audiovisivo;
sia le disposizioni del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, sia le direttive sulle comunicazioni elettroniche del 2002, come recentemente modificate, tutelano la concorrenza nel settore, impedendo che un soggetto possa avere un significativo potere su un mercato rilevante nel settore delle comunicazioni elettroniche e richiedono agli Stati membri di utilizzare criteri trasparenti, obiettivi e non discriminatori per l'attribuzione dei titoli abilitativi agli operatori di comunicazione elettronica; le stesse direttive richiamano gli obblighi di tutti gli Stati ad avere autorità amministrative rigorosamente indipendenti;
il Protocollo sui sistemi di servizio pubblico radiotelevisivo riconosce il ruolo del servizio pubblico radiotelevisivo in Europa come direttamente collegato alle esigenze democratiche, sociali e culturali di ogni società, nonché all'esigenza di preservare il pluralismo dei mezzi di comunicazione;
le direttive comunitarie sulle comunicazioni elettroniche, avendo come principio ispiratore quello della concorrenza, escludono la legittimità di concentrazioni oligopolistiche nel mercato della radiodiffusione;
la risoluzione dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa n. 1387 del 2004, Monopolisation of the electronic media and possible abuse of power in Italy, richiedendo alla Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto di dare una valutazione sulla congruità della normativa italiana sul pluralismo e sul conflitto di interessi, ha espresso preoccupazione per la situazione italiana e sollecitato interventi legislativi;
il parere della Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto, nota come Commissione di Venezia, sulla compatibilità delle leggi italiane del 3 maggio 2004, n. 112 (cosiddetta legge Gasparri) e del 20 luglio 2004, n. 215 (cosiddetta legge Frattini) con gli standard del Consiglio d'Europa in materia di libertà d'espressione e pluralismo dei media (giugno 2005), ha indicato una lista di incongruità delle due leggi con i parametri del Consiglio d'Europa sulla libertà di espressione e il pluralismo nei media, nonché sulla disciplina del conflitto di interessi; questi rilievi sono teoricamente idonei ad influire come parametri di riferimento per le valutazioni giurisprudenziali interpretative dell'articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo;
la raccomandazione n. 1641 del 2004, adottata dall'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa il 27 gennaio 2004, affermando che l'indipendenza è requisito indispensabile e missione del servizio pubblico radiotelevisivo, indica, fra i vari stati a rischio, l'Italia;
vanno, altresì, ricordate le raccomandazioni del rapporto Osce «Visit to Italy: The Gasparri Law» del 7 giugno 2005, che ha sottolineato le anomalie costituzionali dell'Italia in riferimento alla concentrazione mediatica e politica. Tale rapporto è stato richiamato di recente dal rapporto Osce/Odihr sulle elezioni del 2008, in quanto la condizione anomala dell'Italia nel settore radiotelevisivo è stata ancora una volta stigmatizzata: anche il rapporto del 2008 esorta le autorità italiane a dare seguito alle raccomandazioni del rappresentante Osce per la libertà nei media nel rapporto Osce del 2005;
le leggi sulla disciplina del sistema radiotelevisivo richiamano ripetutamente i principi in tema di pluralismo, indipendenza ed imparzialità dell'informazione con particolare riferimento al servizio pubblico radiotelevisivo;
il contratto di servizio stipulato tra la Rai e il Ministro dello sviluppo economico ribadisce questi principi in forma di obblighi specifici della concessionaria Rai;
è in corso la definizione dei contenuti del nuovo contratto di servizio tra la Rai e il Ministero dello sviluppo economico per il triennio 2010-2012, e la Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi il 9 giugno 2010 ha dato un parere sullo schema di contratto, in particolare relativamente alla definizione degli indicatori di verifica della qualità dell'informazione;
la legge 22 febbraio 2000, n. 28, sulla cosiddetta par condicio, pone vincoli sul rispetto del pluralismo rafforzati durante le campagne elettorali, ma applicabili comunque all'attività radiotelevisiva in ogni altro periodo;
le stesse leggi hanno previsto poteri rigorosi di indirizzo, di vigilanza e di sanzione in capo sia alla Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, sia all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni; l'Autorità deve rendere facilmente fruibili e consultabili i risultati aggregati nel suo essenziale compito di monitoraggio scrupoloso, incisivo e tempestivo sul rispetto dei tempi e sulle modalità di presentazione delle notizie soprattutto politiche,

impegna il Governo:

a dare seguito effettivo alle indicazioni provenienti dalle organizzazioni internazionali in tema di pluralismo, concentrazioni e conflitto di interessi;
ad allineare più scrupolosamente la normativa nazionale ai principi delle direttive di settore, in particolare a quella del 2007, e a promuovere la modifica delle disposizioni del Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici nella parte in cui, ad avviso dei sottoscrittori del presente atto di indirizzo in violazione della direttiva 2007/65/CE, esclude le trasmissioni in pay per view dalla nozione di programma audiovisivo, in tal modo consentendo che le stesse non vengano prese in considerazione nel calcolo dei «tetti» a tutela del pluralismo;
a garantire l'indipendenza del servizio pubblico radiotelevisivo e ad astenersi da ogni interferenza con l'indipendenza editoriale e l'autonomia istituzionale delle emittenti pubbliche, secondo le indicazioni dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa;
a recepire nello schema di contratto di servizio tra il Ministero dello sviluppo economico e la Rai per il triennio 2010-2012, le indicazioni contenute nel parere della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi del 9 giugno 2010, in particolare per quanto attiene alla definizione degli indicatori di verifica della qualità dell'informazione;
a rendere effettive le condizioni affinché l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni possa svolgere con maggiore efficacia ed indipendenza la verifica dell'adempimento dei compiti del servizio pubblico radiotelevisivo, ex articolo 48 del decreto legislativo n. 177 del 2005.
(1-00441)
(Nuova formulazione) «Giulietti, Zaccaria, Tabacci, Evangelisti, Nicco, Soro, Beltrandi, Gentiloni Silveri, Meta, Bressa, Peluffo, Rosato, Garofani, Rao».

La Camera,
premesso che:
la libertà di manifestazione del pensiero è diritto costituzionale (articolo 21 della Costituzione) e il principio del pluralismo informativo costituisce principio fondamentale del nostro ordinamento, come riaffermato dalla Corte costituzionale (sentenze nn. 105 del 1972, 94 del 1977, 112 del 1993, 826 del 1988, 420 del 1994, 155 del 2002);
la concessionaria del servizio pubblico è tenuta a rispettare i principi generali in materia di informazione, di cui all'articolo 7, comma 2, del testo unico della radiotelevisione, garantendo l'accesso «di tutti i soggetti politici alle trasmissioni di informazione e di propaganda elettorale e politica in condizioni di parità di trattamento e di imparzialità». La Rai è anche vincolata a un particolare obbligo di obbiettività, correttezza, lealtà e completezza dell'informazione, in ragione della funzione stessa del servizio di radiodiffusione pubblica, che, come riconosciuto dal Trattato CE (ex articoli 16 e 86) e dall'allegato Protocollo di Amsterdam «è direttamente collegato alle esigenze democratiche, sociali e culturali di ogni società, nonché all'esigenza di preservare il pluralismo dei mezzi di comunicazione»;
la direttiva 2007/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 dicembre 2007, che modifica la direttiva 89/552/CEE del Consiglio relativa all'esercizio delle attività televisive negli Stati membri, mira a garantire la libera circolazione dei servizi televisivi nell'ambito del mercato interno, tutelando nel contempo importanti obiettivi di interesse pubblico, come la diversità culturale, e ribadisce che «il pluralismo dell'informazione dovrebbe essere un principio fondamentale dell'Unione europea»;
la risoluzione dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa n. 1387 del 2004, Monopolisation of the electronic media and possible abuse of power in Italy, alla luce del parere negativo e preoccupato della Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto, riguardo alla congruità della normativa italiana sul pluralismo e sul conflitto di interessi, ha sollecitato interventi normativi;
l'atto di indirizzo sulle garanzie del pluralismo nel servizio pubblico radiotelevisivo approvato dalla Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi nella seduta dell'11 marzo 2003, nella prima raccomandazione alla concessionaria, stabilisce che: «Tutte le trasmissioni di informazione - dai telegiornali ai programmi di approfondimento - devono rispettare rigorosamente, con la completezza dell'informazione, la pluralità dei punti di vista e la necessità del contraddittorio; ai direttori, ai conduttori, a tutti i giornalisti che operano nell'azienda concessionaria del servizio pubblico, si chiede di orientare la loro attività al rispetto dell'imparzialità, avendo come unico criterio quello di fornire ai cittadini utenti il massimo di informazioni, verificate e fondate, con il massimo di chiarezza»;
la Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi il 9 giugno 2010 ha espresso parere favorevole relativamente alla definizione degli indicatori «pluralismo, completezza e obiettività» per la verifica della qualità dell'informazione (ex articolo 4 del contratto di servizio Rai 2010-2012);
anche i recenti seminari della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi si sono espressi sul valore del pluralismo informativo, definendo «l'informazione e la circolazione di idee e opinioni (...) i cardini su cui poggia ogni democrazia e intorno ai quali si sviluppano i diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione» e concludendo, poi, con la precisazione: «Con queste premesse non desideriamo contestare agli operatori del servizio pubblico il diritto di esprimere opinioni, ma neghiamo la pretesa di fare del proprio il pensiero di tutti»;
l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha sanzionato la Rai per inadempimento dell'articolo 3 del contratto di servizio per il triennio 2007-2009 (delibera 67/10/CONS, 11 marzo 2010) per avere attivato un sistema di monitoraggio della qualità dell'offerta radiotelevisiva solo in prossimità della scadenza del periodo contrattuale, senza rilevare la qualità della programmazione sulla base di indicatori specifici, tra i quali «l'imparzialità, l'indipendenza e l'obiettività dei generi informativi»;
a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo, attualmente l'informazione della Rai non soddisfa appieno i requisiti di completezza e correttezza richiesti alla concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, soprattutto alla luce della scarsa attenzione dedicata nei programmi informativi, e non solo, alle realtà «periferiche» come quella meridionale;
riguardo ai doveri del servizio pubblico radiotelevisivo verso l'utenza, si dovrà garantire che la Rai si attenga scrupolosamente ai canoni di pluralismo, considerato in tutte le sue accezioni, definite nel contratto di servizio e nella Carta dei doveri Rai: il pluralismo politico, sociale, di genere ed età, associativo e produttivo;
il servizio pubblico è tenuto a rappresentare con equilibrio le posizioni della maggioranza e delle opposizioni, delle coalizioni e delle diverse forze politiche, nel rispetto comunque della veridicità e del peso informativo di un evento, affinché per par condicio non si finisca a creare eventi «artificiali»;
dal punto di vista sociale e territoriale, il servizio pubblico deve mostrare le realtà sociali del Paese in tutta la loro ricchezza, dando voce a chi spesso voce non ha. In ogni genere televisivo, quindi, è opportuno, anzi doveroso, rappresentare quanto più possibile le realtà «periferiche» in senso stretto e in senso lato, nonché le minoranze;
per quanto riguarda il pluralismo di genere ed età, il servizio pubblico deve promuovere la cultura e la politica delle pari opportunità e anche la pubblicità delle tante associazioni volontarie,

impegna il Governo:

a rispettare ma anche a sviluppare, per quanto di competenza, le indicazioni date dalle organizzazioni internazionali, dalle autorità garanti e dalle commissioni in tema di pluralismo;
a garantire l'indipendenza del servizio pubblico radiotelevisivo, evitando ogni interferenza nelle scelte editoriali, affinché in esso vengano rispettati i canoni di completezza e onestà dell'informazione;
come controparte del contratto di servizio Rai, a rispettare il proprio ruolo di garante e a vigilare con costanza sull'adempimento dei contenuti del contratto;
a recepire, nell'ambito del contratto di servizio, la richiesta che il servizio pubblico radiotelevisivo rappresenti tutte le realtà socio-territoriali possibili, con particolare attenzione a quelle fino a ora meno considerate, come il Meridione d'Italia, e tutte le realtà «periferiche» che hanno minore accesso ai mezzi di comunicazione di massa e minore attenzione, in maniera a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo totalmente immotivata, da parte dei media, in primis quelli gestiti dalla Rai;
nel quadro del rinnovo del contratto di servizio, a promuovere e sostenere in maniera sempre più vigorosa l'ampliamento della capacità tecnologica e produttiva in tutti i nuovi strumenti di comunicazione, il cui sviluppo rappresenta un interesse generale, il cosiddetto «pluralismo produttivo».
(1-00496)
«Sardelli, Ruvolo, Belcastro, Gaglione, Gianni, Iannaccone, Mannino, Milo, Pisacane, Porfidia, Romano».

La Camera,
premesso che:
la missione del servizio pubblico generale radiotelevisivo, così come previsto nel contratto nazionale di servizio tra il Ministero dello sviluppo economico e la Rai, trova fondamento nei principi posti dalla Costituzione e dall'Unione europea con la «direttiva tv senza frontiere» del 1989, e successive modificazioni, con il IX Protocollo sulla televisione pubblica allegato al Trattato di Amsterdam del 1993, con la Comunicazione della Commissione europea relativa all'applicazione delle norme sugli aiuti di Stato al servizio pubblico di radiodiffusione;
tale mission è disciplinata dalla normativa nazionale legislativa e regolamentare in conformità ai predetti principi. In particolare, gli obblighi di servizio pubblico risultano definiti per il triennio 2010-2012 dall'insieme di tali fonti: dalla legge 31 luglio 1997, n. 249, dalla legge 3 maggio 2004, n. 112, dal testo unico e dal contratto di servizio, in coerenza con le linee guida emanate, d'intesa con il Ministero dello sviluppo economico, dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, con delibera 614/09/CONS, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 614/09/CONS 26 novembre 2009, 614/09/CONS;
mentre in precedenza il contratto di servizio era vincolato ai contenuti individuati nella convenzione accessiva alla concessione, di cui era strumento negoziale integrativo, nell'attuale sistema normativo esso è vincolato direttamente dalla legge che ha puntualmente definito l'articolazione dei contenuti minimi del servizio pubblico, riservando alle linee guida approvate dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, d'intesa con il Ministero dello sviluppo economico, il compito di fissare gli ulteriori obblighi del servizio pubblico generale radiotelevisivo, in relazione allo sviluppo dei mercati, al progresso tecnologico e alle mutate esigenze culturali, nazionali e locali;
tale procedimento fa sì che il contratto di servizio, pur essendo un atto paritetico tra il Ministero dello sviluppo economico e la Rai, debba essere inquadrato nel contesto di disposizioni precettive che lo vincolano;
del resto, la connotazione «pubblicistica» del contratto di servizio è in sintonia con la norma di cui all'articolo 1, comma 6, lettera b), n. 10, non abrogata dal Testo Unico, la quale stabilisce che la Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi esprime parere obbligatorio entro trenta giorni «sul contratto di servizio con la concessionaria del servizio pubblico»;
secondo il quadro normativo vigente, inoltre, la potestà di rivolgere indirizzi alla società concessionaria del servizio pubblico è attribuita alla Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, mentre compete all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni accertare la mancata osservanza da parte della Rai degli indirizzi impartiti dalla predetta Commissione parlamentare. In riferimento alla materia della comunicazione politica e dell'informazione, il riparto di funzioni tra la Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi e l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni è confermato dalla legge 22 febbraio 2000, n. 28, sulla «par condicio»;
gli obiettivi del servizio pubblico, fissati dalla legge, possono essere ricondotti a tre grandi categorie: il mantenimento della coesione sociale, cui corrisponde il compito della massima diffusione sul territorio e della continuità nell'erogazione del servizio; la promozione culturale, che attiene al sostegno e alla difesa delle culture nazionali e della diversità culturale, cui corrisponde il compito della produzione di programmi distinti per contenuti e diretti a soddisfare le esigenze della totalità degli utenti; l'innovazione tecnologica, che attiene al ruolo del servizio pubblico nei nuovi media, sia allo scopo di contenere fenomeni di emarginazione sociale (il cosiddetto digital divide), sia per consentire l'introduzione e lo sviluppo di nuove tecnologie;
il ruolo del servizio pubblico è espressamente riconosciuto dal Trattato CE, in particolare all'articolo 16 e all'articolo 86, e dal Protocollo di Amsterdam, ad esso allegato, secondo il quale «il sistema di radiodiffusione pubblica negli Stati membri è direttamente collegato alle esigenze democratiche, sociali e culturali di ogni società, nonché all'esigenza di preservare il pluralismo dei mezzi di comunicazione»;
così l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha individuato i nove compiti prioritari del servizio pubblico: fornire ai cittadini una programmazione equilibrata e di qualità; rappresentare l'Italia in tutte le sue articolazioni territoriali, sociali e culturali; promuovere l'educazione e l'attitudine mentale all'apprendimento e alla valutazione; stimolare l'interesse per la cultura e la creatività, anche valorizzando il patrimonio artistico nazionale; garantire la fruizione gratuita dei contenuti di qualità; promuovere la conoscenza dell'Italia nel mondo e una non superficiale conoscenza del contesto internazionale in Italia; promuovere la diffusione dei principi costituzionali e la consapevolezza dei diritti di cittadinanza e la crescita del senso di appartenenza dei cittadini italiani all'Unione europea; rispecchiare la diversità culturale e multietnica nell'ottica dell'integrazione e della coesione sociale; estendere al maggior numero di cittadini i benefici delle nuove tecnologie, in un contesto innovativo e concorrenziale;
in tale contesto la Rai, pur muovendo da una regolamentazione legislativa comune a tutte le emittenti e a tutti i fornitori di contenuti, che considera l'attività di informazione radiotelevisiva come un servizio di interesse generale, è soggetta ad un concetto di pluralismo più stringente, in considerazione dei particolari obblighi connessi alla prestazione di un pubblico servizio sostenuto da risorse pubbliche e del vasto numero di soggetti raggiunti dalle sue trasmissioni;
ciò esige un'applicazione attenta della deontologia professionale del giornalista, la cui funzione viene oggi accresciuta per la necessità di approfondire e mettere a fuoco l'informazione, coniugando il principio di libertà con quello di responsabilità, nel rispetto della dignità della persona, rendendo imprescindibile la funzione di garanzia della qualità dell'informazione da parte dei giornalisti del servizio pubblico radiotelevisivo;
alla luce di quanto riportato sopra, non risulta, allo stato attuale, che l'informazione della Rai risponda, sia in termini qualitativi che quantitativi, ai criteri di imparzialità, completezza, correttezza e lealtà richiesti alla concessionaria del servizio pubblico. Questo sia per quanto concerne il dibattito politico-istituzionale, sia per quanto riguarda la rappresentazione delle varie realtà sociali del Paese;
in particolare, la principale testata giornalistica della Rai, il Tg1, anziché esporre in modo plurale le diverse posizioni, sembra prendere parte, ad avviso dei sottoscrittori del presente atto di indirizzo, in modo pressoché esplicito al dibattito politico ed istituzionale, assumendo di fatto quasi il ruolo di soggetto politico,

impegna il Governo:

a garantire, quale controparte del contratto nazionale di servizio, l'indipendenza del servizio pubblico attraverso il rispetto dei principi di obiettività, completezza, imparzialità, lealtà dell'informazione;
a recepire, nell'ambito del contratto di servizio la richiesta che il servizio pubblico radiotelevisivo rappresenti tutte le realtà, in particolare quelle realtà socio-territoriali che fino ad ora sono state in minor misura considerate, come il Meridione d'Italia o altre zone del Paese che sono espressione di una minoranza linguistica o etnoculturale;
a mettere in atto ogni iniziativa affinché venga assicurato un elevato livello qualitativo dell'informazione che tenga conto della pluralità delle diverse opinioni, che garantisca il rispetto della dignità umana e che contribuisca ad uno sviluppo del senso critico, civile ed etico della collettività nazionale, recependo, nello schema di contratto di servizio tra il Ministero dello sviluppo economico e la Rai per il triennio 2010-2012, le indicazioni contenute nel parere della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi del 9 giugno 2010, per quanto attiene alla definizione degli indicatori di verifica della qualità dell'informazione, anche al fine di garantire la verità dei fatti e il diritto del cittadino ad essere informato correttamente;
a predisporre ogni iniziativa affinché venga salvaguardato nei palinsesti dell'informazione il pluralismo politico.
(1-00503)
«Lo Monte, Commercio, Latteri, Lombardo, Misiti, Brugger».
(22 novembre 2010)
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).

La Camera,
premesso che:
il testo unico della radiotelevisione, di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, stabilisce, all'articolo 45, che il servizio pubblico generale radiotelevisivo è affidato per concessione a una società per azioni, che lo svolge sulla base di un contratto nazionale di servizio stipulato con il Ministero concedente;
secondo quanto disposto dal citato testo unico all'articolo 49, comma 1, la concessione del servizio pubblico generale radiotelevisivo è affidata, per la durata di dodici anni dall'entrata in vigore del citato decreto legislativo, alla Rai - Radiotelevisione italiana s.p.a., che è tenuta ad adempiere ai compiti generali del servizio pubblico radiotelevisivo, come stabiliti dall'articolo 45, comma 2, e agli ulteriori obblighi individuati dalle linee guida definite d'intesa tra l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e il Ministro competente, prima di ciascun rinnovo triennale del contratto di servizio;
in particolare, il testo unico conferisce, con gli articoli 47, 49 e 52, vari compiti di valutazione, di controllo e di gestione sull'attività della società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo al Governo, che si affiancano a quelli attribuiti dalla legislazione vigente all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ed alla Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi;
ferma restando la superiorità gerarchica delle norme costituzionali, con il testo unico si richiamano gli obblighi di correttezza e obiettività dell'informazione; in particolare, all'articolo 7, comma 2, si ribadiscono «la presentazione veritiera dei fatti e degli avvenimenti, in modo tale da favorire la libera formazione delle opinioni», la garanzia dell'accesso «di tutti i soggetti politici alle trasmissioni di informazione e di propaganda elettorale e politica in condizioni di parità di trattamento e di imparzialità» e «l'assoluto divieto di utilizzare metodologie e tecniche capaci di manipolare in maniera non riconoscibile allo spettatore il contenuto delle informazioni»;
la «tutela del principio del pluralismo» non significa lottizzazione numerica degli spazi e degli operatori fra i partiti, ma corretta rappresentazione della pluralità delle posizioni in cui si articola il dibattito politico-istituzionale e delle diverse ispirazioni culturali. Tutte le diverse matrici culturali del Paese hanno dignità e diritto di esprimere la propria visione progettuale e la propria interpretazione della realtà;
il servizio pubblico di informazione, per le caratteristiche proprie del mercato radiotelevisivo italiano e della mission della concessionaria del servizio pubblico, impone una particolare tutela del principio del pluralismo, non inteso nel senso di un'equilibrata «lottizzazione» degli spazi informativi tra le diverse forze politiche in ragione del loro diverso peso parlamentare, ma in quello di una rappresentazione realistica della pluralità delle posizioni in cui si articola il dibattito politico-istituzionale e in un uso sistematico e non derogabile del principio del contraddittorio;
il servizio pubblico televisivo non può essere considerato come il luogo di espressione privilegiato di determinati ambienti ed aree politiche; non è possibile, infatti, pensare che oggi il servizio pubblico televisivo (o parti rilevanti di esso) possa configurarsi come uno spazio privato ad uso e consumo di conduttori e giornalisti dichiaratamente schierati nell'area politica e culturale della sinistra;
lo squilibrio che intacca la tutela del pluralismo è verificabile, soprattutto, attraverso la valutazione delle trasmissioni di approfondimento, i cosiddetti talk show, dove si assiste a processi mediatici e manipolazioni funzionali a specifiche tesi precostituite (sovente sostenute - con tifo da stadio - da spettatori organizzati e presenti in sala) sempre più spesso in assenza di contraddittorio; elementi, questi, che rendono evidente come il quadro della loro articolazione in Rai manifesti uno scompenso evidente a favore di una sola e ben riconoscibile visione culturale e politica. La realtà oggettiva presenta una serie di trasmissioni dal chiaro orientamento coincidente con la vecchia matrice egemonica, a fronte delle quali quelle di diverso segno culturale sono molto esigue e ridotte;
in tal modo si tradisce la lettera e lo spirito del testo unico che, all'articolo 7, comma 2, stabilisce come ci si debba attenere alla «presentazione veritiera dei fatti e degli avvenimenti, in modo tale da favorire la libera formazione delle opinioni», assicurando la garanzia dell'accesso «di tutti i soggetti politici alle trasmissioni di informazione e di propaganda elettorale e politica in condizioni di parità di trattamento e di imparzialità» e, soprattutto, prescrive «l'assoluto divieto di utilizzare metodologie e tecniche capaci di manipolare in maniera non riconoscibile allo spettatore il contenuto delle informazioni»
nonostante questo contesto di forte sbilanciamento a favore di una parte politica, tutto il centrodestra, onorando i valori fondanti a cui ispira la propria visione di una società libera e democratica, ha sempre auspicato una Rai aperta, in cui nessuna voce venisse soppressa ma altre, di diversa propensione culturale, potessero aggiungersi;
ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, con riferimento alle recenti polemiche contro il Tg1, vale la pena ricordare che, secondo quanto riprodotto dai più recenti dati dell'Osservatorio di Pavia, riferiti al mese di settembre 2010, sul tempo di parola e le presenze dei politici nei telegiornali, il Tg1, dopo il Presidente del Consiglio dei ministri e il Presidente della Repubblica, presenta una graduatoria che pone come terza presenza il leader dell'opposizione Bersani, quindi il Presidente della Camera dei deputati, Gianfranco Fini, e fra i più presenti gli onorevoli Casini e Di Pietro. Se riferiti al prime time la graduatoria del Tg1 vede nell'ordine: Berlusconi, Fini, Bersani, Napolitano, Casini, Di Pietro. Dunque, la verità dei numeri ribalta affermazioni solo tendenziose sul Tg1;
il contratto nazionale di servizio tra il Ministero dello sviluppo economico e la Rai, sia nel testo tuttora vigente approvato con decreto ministeriale del 6 aprile 2007, sia nel nuovo testo sul quale la Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi ha espresso parere favorevole il 9 giugno 2010, prevede che la Rai adotti una serie di misure intese a sostenere la produzione audiovisiva italiana ed europea, a garantire la neutralità tecnologica e competitiva e ad assicurare con idonei criteri tecnico-gestionali l'efficienza aziendale, con particolare riferimento alla trasparenza della gestione economico-finanziaria, riferendone poi al Ministero in varie occasioni e in riferimento a più atti e adempimenti;
in rapporto all'attività della Rai il Ministro dello sviluppo economico provvede poi a determinare l'ammontare del canone di abbonamento alla radiotelevisione;
in quest'ottica, in particolare il pluralismo produttivo, inteso come la necessità di agire in modo che le opere trasmesse dalla Rai non siano l'espressione di un unico produttore o gruppo di produttori, è riconosciuto come uno degli elementi fondamentali del pluralismo, sin dalla risoluzione, avente natura di indirizzo generale, approvata dalla Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi il 13 febbraio 1997,

impegna il Governo:

a porre in essere tutte le misure che rientrino nelle sue competenze per garantire che l'attività della Rai risulti sempre scrupolosamente conforme alle prescrizioni della legislazione vigente, alle indicazioni del contratto di servizio, agli indirizzi della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, in particolare che ne vengano garantiti il pluralismo culturale e la libertà di accesso delle diverse espressioni, senza discriminare i giornalisti, gli opinionisti e gli editorialisti di orientamento culturale e politico diverso da quello della sinistra e, comunque, garantendo in ogni caso il pieno diritto al contraddittorio;
a garantire, in coordinamento con le competenze dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, il rispetto della libertà di espressione in conformità ai Trattati di Parigi e alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che per loro natura, secondo una consolidata dottrina, sono norme aventi rango costituzionale;
a garantire migliori criteri di razionalità, trasparenza, efficienza ed economicità gestionale-amministrativa;
a porre in essere le misure utili che rientrano nelle sue competenze per garantire assoluta trasparenza ai rapporti tra la Rai e il mondo della produzione televisiva, sia con riferimento ai contenuti, sia con riferimento agli operatori del settore.
(1-00504)
«Cicchitto, Landolfi, Baldelli, Laffranco, Mazzuca, De Angelis, Lupi, Mottola, Santelli, Lainati».
(22 novembre 2010)
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).

MOZIONI BERSANI ED ALTRI N. 1-00471 E BORGHESI ED ALTRI N. 1-00497, CICCHITTO ED ALTRI N. 1-00499, GALLETTI ED ALTRI N. 1-00500, REGUZZONI ED ALTRI N. 1-00501, COMMERCIO ED ALTRI N. 1-00502 E SARDELLI ED ALTRI N. 1-00505 CONCERNENTI INIZIATIVE IN MATERIA DI RIFORMA DEL SISTEMA FISCALE

Mozioni

La Camera,
premesso che:
è necessario riscrivere il patto fiscale, pilastro di un nuovo patto sociale, per ridurre le tasse su lavoratori, professionisti ed imprese, per l'equità e lo sviluppo sostenibile. La vera strategia per uscire dalla stagnazione e dall'elevata disoccupazione passa per una stagione di riforme, da avviare subito;
per disegnare un coerente sistema fiscale, orientato alla crescita sostenibile, alla progressività e al federalismo è necessario, anzitutto, ricordare quanto sia poco rispettato l'articolo 53 della Costituzione. La principale imposta diretta, l'Irpef, è diventata un'imposta di specie: la versano quasi esclusivamente i redditi assoggettati alla trattenuta alla fonte;
l'evasione fiscale in Italia ha dimensioni patologiche (secondo l'Istat, nel 2008 il valore del sommerso economico è compreso tra il 16,3 per cento e il 17,5 per cento del prodotto interno loro, tra 255 e 275 miliardi di euro) e ostacola gli interventi di riforma fiscale, mentre la sua riduzione potrebbe rappresentare una rilevante leva di sviluppo se il recupero di gettito verrà utilizzato per ridistribuire in maniera più equa il carico delle imposte tra le diverse categorie di contribuenti;
l'evasione di qualunque natura non può essere tollerata o promossa come, invece, è avvenuto recentemente con lo scudo fiscale. L'evasione colpisce l'equità ed è fonte di concorrenza sleale;
costruire una nuova compliance fiscale, che porti gradualmente l'evasione italiana a livelli medi europei, è condizione necessaria per alleggerire il carico sui produttori. Gli strumenti per combattere l'evasione devono essere adeguati ed includere non solo la repressione ed i controlli, ma le politiche per la crescita, la riduzione del carico fiscale individuale, la semplificazione degli adempimenti burocratici, la riqualificazione dei servizi pubblici;
il federalismo è una straordinaria opportunità di modernizzazione del Paese. Tuttavia, alla prova dei decreti attuativi, stanno emergendo, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, tutti i limiti e le contraddizioni del Governo, ossia la politica dei due tempi: prima il federalismo fiscale, poi la riforma complessiva del sistema fiscale. Tale impostazione non può funzionare perché il fisco, per funzionare, deve essere un sistema. Non si può toccare il potere impositivo delle autonomie territoriali senza mettere a punto le linee generali della riforma del fisco;
il maggior contributo all'indebolimento della politica economica nell'ultimo quarto di secolo è venuto dalla competizione fiscale sleale. È un processo che va interrotto e va ripristinato un livello decente di pari condizioni di gioco. È necessario riprendere prima in sede di Euro-gruppo, poi in sede Ecofin e successivamente in sede Ocse il capitolo del contrasto alla competizione fiscale dannosa. Non solo la lotta ai paradisi fiscali, peraltro mai cominciata davvero, ma la limitazione del tax dumping, in particolare nei confronti dei Paesi europei beneficiari di fondi strutturali;
la crisi economica e sociale esplosa nell'autunno 2008 ha reso necessari imponenti salvataggi bancari e consistenti politiche di contrasto alla contrazione delle economie drogate dalle bolle immobiliari e finanziarie. Il risultato è stato l'aumento dei debiti pubblici in rapporto alla dimensione della produzione di ciascun Paese. Una tendenza insostenibile. Ma, senza crescita, la riscrittura del patto di stabilità, pur distaccandosi dalle tesi più estremistiche proposte dalla Commissione europea, genera il pericolo di stagnazione e di elevata disoccupazione e non elimina i rischi di tenuta per l'unione monetaria. È necessaria una politica economica comune ed una strategia di investimenti finanziata con eurobond. È necessaria una rete di rafforzamento delle garanzie sui debiti sovrani dell'area euro, anche attraverso l'introduzione di un'imposta sovranazionale sulle transazioni finanziarie. Inoltre, le politiche di risanamento e le riforme fiscali non possono ignorare la colossale regressione nella distribuzione del reddito e della ricchezza, causa primaria della grande recessione prima e della grande stagnazione ora in atto. Negli Stati Uniti, punta estrema di una tendenza condivisa tra i Paesi dell'Ocse, dal 1976 al 2007, per ogni dollaro di crescita reale, 58 centesimi sono andati all'1 per cento più ricco delle famiglie. In Italia, tra i Paesi europei a maggiore disuguaglianza di reddito e ricchezza e minore mobilità sociale, la quota della ricchezza nelle mani del decile più ricco delle famiglie è arrivata al 47 per cento, mentre dal 1993 al 2006 la quota di ricchezza detenuta dall'1 per cento più ricco delle famiglie è aumentata di 3 punti percentuali, a svantaggio della variegata platea delle classi medie. Migliorare le condizioni distributive è una condizione decisiva per la crescita;
la sfida delle riforme è estremamente complessa, ma è necessario iniziare subito. Le riforme devono premiare i produttori, soprattutto nelle aree più in difficoltà, recuperare universalità e progressività e semplificare, sulla base di un principio di fondo: un euro di reddito da lavoro o di impresa non può essere tassato più di un euro tratto dalla rendita. L'aliquota del 20 per cento deve essere l'aliquota di riferimento per la tassazione di tutti i redditi;
è necessario riallocare il prelievo: a) da chi paga a chi non paga; b) dai redditi da lavoro alla rendita; c) da chi ha di meno a chi ha di più, in particolare per sostenere la famiglia con figli e monoreddito; d) da attività inquinanti; e) dalla dimensione nazionale al territorio;
per realizzare il nuovo patto fiscale, necessario a ridurre le tasse, si dovrebbe procedere lungo tre strade: la tracciabilità, i controlli ex post attraverso l'uso efficiente e sinergico delle informazioni già a disposizione delle amministrazioni pubbliche e l'innalzamento ex ante della fedeltà fiscale dei contribuenti all'atto dell'autodichiarazione. Non può funzionare la scelta di puntare esclusivamente o prevalentemente sui controlli, con le misure del decreto-legge n. 780 del 2010, in un quadro di riavvio dei condoni e di eliminazione delle principali misure di emersione spontanea. Negli ultimi due anni, il rapporto tra il recupero di evasione ex post attraverso i controlli dell'Agenzia delle entrate e la perdita di gettito dovuto alla riduzione della fedeltà fiscale è stato circa di 1 a 10. In altri termini, per ogni miliardo di euro di maggior recupero da controlli, si è avuto un aumento di evasione di 10 miliardi di euro;
la vigente tassazione delle imprese presenta una serie di ostacoli alla crescita, perché scoraggia gli investimenti provenienti dall'estero, disincentiva l'utilizzo del capitale proprio rispetto al capitale di debito, tassa differentemente il reddito del capitale investito a seconda della forma giuridica dell'impresa;
la fiscalità rappresenta anche una delle leve decisive per sviluppare la green economy e per orientare l'economia verso la sostenibilità ecologica. È un obiettivo da perseguire soprattutto in ambito europeo e internazionale attraverso il coordinamento delle politiche di intervento fiscale, ma, in parallelo all'iniziativa comunitaria, si deve procedere anche a livello nazionale. Nella precedente legislatura erano stati fatti importanti passi avanti in termini di fiscalità ambientale ma l'attuale Governo, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, ha bloccato il cammino, ad esempio con lo svuotamento del credito di imposta per la ricerca e l'innovazione, la mancata proroga della detrazione del 55 per cento per le ristrutturazioni eco-sostenibili, la limitazione all'utilizzo dei certificati verdi;
l'autonomia impositiva degli enti territoriali può essere definita soltanto all'interno di chiare linee guida per la riforma del sistema fiscale generale. Invece, ci si trova di fronte ad un processo incoerente, frutto della scelta politica di privilegiare la logica degli annunci e dei decreti-manifesto. In sostanza, si è svuotato il federalismo e tradita l'impostazione della legge n. 42 del 2009;
data la condizione della nostra finanza pubblica, il vincolo della riforma è la neutralità in termini di gettito. Le riforme fiscali hanno anche un altro vincolo imprescindibile: ogni euro recuperato dall'innalzamento della fedeltà fiscale va vincolato alla riduzione delle imposte. Pertanto, il carico fiscale effettivo sul singolo produttore di reddito da lavoro e reddito di impresa dovrà essere ridotto contestualmente all'emersione di basi imponibili, al potenziamento del gettito da rendite e da patrimonio e alla riduzione e riqualificazione della spesa pubblica, per la quale va abbandonata quella che, ai firmatari del presente atto di indirizzo, appare la strada iniqua ed inefficiente dei tagli alla cieca praticata dal Governo, in favore della realizzazione, per ciascuna amministrazione centrale, di un «piano industriale» di riorganizzazione, del benchmarking dei servizi offerti, della efficace valutazione dei risultati e dell'introduzione del metodo dei costi standard, oggi in fase di avvio sperimentale solo per le amministrazioni locali;
i principali settori di intervento sono, pertanto, le famiglie, le attività autonome e professionali, le imprese ed i redditi da capitale, l'innovazione «verde», il federalismo fiscale, l'evasione fiscale, il coordinamento sovranazionale delle politiche fiscali,

impegna il Governo:

ad assumere ogni iniziativa volta a realizzare progressivamente e compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica:
a) la riduzione al 20 per cento dell'aliquota sul primo scaglione dell'imposta personale sul reddito, la riduzione del numero delle aliquote intermedie e la revisione degli scaglioni a vantaggio dei redditi bassi e medi, riconducendo a razionalità il groviglio di deduzioni e detrazioni oggi vigenti e risolvendo il problema dell'incapienza mediante l'erogazione di un trasferimento pari alla detrazione spettante ma non goduta;
b) l'unificazione delle detrazioni fiscali e degli assegni al nucleo familiare nel «bonus per i figli», un istituto unico, generalizzato e fruibile dai capienti come sconto d'imposta e dagli incapienti come trasferimento a loro favore, riguardante tutti coloro che hanno figli minori, sia dipendenti, sia parasubordinati, sia indipendenti;
c) l'introduzione di una consistente agevolazione fiscale per il reddito da lavoro delle donne, soprattutto in nuclei familiari con figli minori;
d) l'eliminazione graduale dell'Irap sul costo del lavoro;
e) l'esenzione della parte di reddito reinvestita nella propria azienda, nella propria attività professionale e nella propria società;
f) l'applicazione dell'aliquota dei 20 per cento al reddito ordinario percepito dal lavoratore autonomo, dall'imprenditore individuale, dal socio in società di persone e l'assoggettamento all'Irpef della parte eccedente;
g) l'allineamento al 20 per cento, livello medio europeo, della tassazione dei redditi da capitale ad esclusione dei titoli di Stato;
h) la riforma degli studi di settore per semplificarli ed evitare che siano una sorta di minimum tax, iniqua nei confronti dei contribuenti di dimensioni minori e, al tempo stesso, inefficace contro l'evasione, prevedendo la riduzione del loro numero, la revisione delle modalità di calcolo e un piano straordinario di formazione degli operatori dell'Agenzia delle entrate sul corretto funzionamento degli studi e la modifica dei criteri di attribuzione della retribuzione di risultato;
i) la riduzione delle aliquote Iva per i beni ad elevata efficienza energetica, la messa a regime della detrazione fiscale del 55 per cento per l'efficienza energetica degli edifici, l'eliminazione del tetto all'utilizzo del credito di imposta per le spese in ricerca e sviluppo ed investimenti in tecnologie sostenibili, l'applicazione della carbon tax;
l) l'attuazione di un federalismo responsabile, che preveda:
1) per l'autonomia impositiva dei comuni: l'eliminazione dell'addizionale comunale all'Irpef e della Tarsu/Tia sugli immobili ad uso residenziale, l'esclusione dall'Ici della prima casa degli immobili locati a canone concordato, l'applicazione dell'imposta sostituiva del 20 per cento sui canoni da locazione residenziale ai soli contratti sottoscritti successivamente alla sua entrata in vigore, per favorire la riduzione del canone; l'introduzione dell'imposta comunale sui servizi quale principale tributo proprio dei comuni con ampi gradi di manovrabilità, l'istituzione di una compartecipazione comunale all'Irpef, determinata in via residuale, in modo che sia garantito il finanziamento integrale delle funzioni fondamentali e dei livelli essenziali delle prestazioni come previsto dalla legge n. 42 del 2009, la possibilità di introdurre tributi propri, in particolare per particolari scopi di interesse generale e per finalità di tutela ambientale;
2) per l'autonomia impositiva delle province: l'articolazione intorno a tributi relativi al trasporto su gomma e ad una compartecipazione all'Irpef, e la possibilità di introdurre tributi propri, in particolare di scopo;
3) per l'autonomia impositiva delle regioni: il mantenimento dell'Irap con esclusione del costo del lavoro e la compartecipazione all'Iva per il finanziamento dei servizi essenziali e dei fondi perequativi a ciò destinati, l'uso facoltativo dell'addizionale regionale Irpef e di tributi propri da istituire mediante legge regionale per fornire strumenti alla flessibilità fiscale a livello locale;
m) l'attuazione di un piano straordinario per semplificare gli adempimenti, in particolare per i contribuenti di dimensioni minori e per riqualificare gli uffici territoriali dell'Agenzia delle entrate e della Guardia di finanza e la revisione dei meccanismi di premialità retributiva per i risultati per promuovere controlli senza esisti precostituiti e sempre più personalizzati ed aperti alle posizioni dei contribuenti, e l'introduzione della facoltà per i contribuenti di fare un invio provvisorio dei dati, precedente alla fase della dichiarazione definitiva, al fine di consentire all'Agenzia delle entrate una valutazione ed, eventualmente, invitare il contribuente a modificare, senza alcuna sanzione, i dati meno plausibili;
n) il potenziamento della capacità di utilizzo da parte dell'Agenzia delle entrate di tutte le banche dati delle pubbliche amministrazioni per migliorare i controlli e l'applicazione del «redditometro» e l'obbligo per ogni contribuente di dichiarare annualmente la consistenza del proprio patrimonio;
o) l'estensione della fatturazione elettronica e la rincentivazione dell'uso della moneta elettronica;
p) la promozione, nei vertici europei e internazionali, di una proposta di financial transaction tax, sia a fini anti-speculativi, sia per recuperare gettito da destinare ad un fondo internazionale dedicato alla riduzione del debito pubblico accumulato dopo l'esplosione della crisi, dell'introduzione di un'imposta sulle banche sistemiche (più grandi e con attività in più Paesi) per far fronte al loro eventuale fallimento, di una prima ipotesi di border tax adjustment, ossia tariffe europee alle importazioni di prodotti e servizi irrispettosi di standard sociali (rispetto dei diritti civili, lavoristici, sindacali) ed ambientali minimali;
q) la sterilizzazione degli effetti del fiscal drag, neutralizzando gli inasprimenti delle imposte conseguenti all'inflazione;
r) il ripristino della piena disponibilità del credito di imposta per le spese in ricerca e sviluppo e per gli investimenti nel Mezzogiorno;
a non proporre più condoni.
(1-00471)
«Bersani, Franceschini, Ventura, Maran, Villecco Calipari, Amici, Boccia, Lenzi, Quartiani, Giachetti, Rosato, Baretta, Fluvi, Sposetti».

La Camera,
premesso che:
la pressione fiscale per l'anno 2010 è prevista in misura pari al 42,8 per cento del prodotto interno lordo, a fronte del picco del 43,2 per cento registratosi nel 2009, e poi in leggera flessione al 42,4 per cento nel 2011, per poi risalire nel 2012 al 42,6 per cento;
nel 2000 le entrate complessive dello Stato rappresentavano il 45,4 per cento del prodotto interno lordo, mentre nel 2009 questa percentuale era salita al 47,2 per cento;
l'incremento delle entrate dello Stato non è stato determinato da un incremento omogeneo delle diverse fonti di gettito: infatti, le imposte dirette sono cresciute nel periodo del 33 per cento, le imposte indirette sono diminuite del 2,3 per cento, con una riduzione più accentuata nel 2008 e nel 2009, i contributi sociali sono cresciuti addirittura del 46,6 per cento;
in altre parole, è aumentata di molto la pressione fiscale sul fattore lavoro e, in particolare, su quello dipendente, contribuendo alla riduzione della competitività del nostro sistema produttivo;
il calo delle imposte indirette può essere attribuito solo in minima parte alla crisi, mentre è da collegare all'espandersi delle attività in nero ed a meccanismi elusivi, se non truffaldini, come quelli, per quanto concerne l'iva, delle società «carosello» o delle società «cartiere» create al solo scopo di emettere fatture false;
sebbene si preveda una sostanziale stabilità delle entrate (resta costante la pressione tributaria e si riducono leggermente i contributi sociali, in buona parte per il congelamento delle retribuzioni pubbliche), in realtà le entrate vanno peggio di quanto si poteva prevedere a giugno 2010: tale peggioramento ha vanificato un quarto della correzione effettuata con la manovra (che, si ricorda, valeva 0,8 punti percentuali di prodotto interno lordo l'anno), in quanto, nei primi sei mesi del 2010, le entrate tributarie sono calate del 3,5 per cento;
tale riduzione di circa 3 miliardi di euro di entrate appare molto preoccupante, soprattutto ove si consideri che la manovra adottata dal Governo in primavera contava sulla possibilità di recuperare più di 8 miliardi di evasione fiscale da qui al 2012;
la crescita del Paese viene, inoltre, frenata dal fenomeno del sommerso, che, secondo un recente rapporto del centro studi di Confindustria, «è bruscamente accelerato nel 2009», superando il 20 per cento del prodotto interno lordo (oltre il 27 per cento, se non si considera la pubblica amministrazione e senza tenere conto che tale percentuale raggiunge al Sud un valore doppio): tale dato porta l'ammontare dell'evasione fiscale «su valori molto superiori ai 125 miliardi» stimati dal centro studi di Confindustria nel mese di giugno 2010 ed anche la stima della pressione fiscale effettiva è «rivista all'insù», ad un livello «ben sopra il 54 per cento nel 2009», più del 51,4 per cento stimato dal centro studi di Confindustria nel mese di giugno 2010 e del 43,2 per cento della «pressione apparente contenuta nei documenti ufficiali»;
nella situazione presente i costi dell'evasione fiscale e della corruzione divengono ancor più insopportabili: in particolare, il 30 per cento della base imponibile dell'iva viene regolarmente evaso, per oltre 30 miliardi di euro l'anno, cifra che sale vertiginosamente (ad oltre 100 miliardi) se si aggiunge l'evasione di altre imposte, come irpef o irap;
in tale contesto, rappresenta una costosa anomalia per l'erario il meccanismo del prelievo erariale unico (preu), applicabile, ai sensi dell'articolo 39, comma 13, del decreto-legge n. 269 del 2003, ai proventi delle società concessionarie relativamente agli apparecchi di gioco collegati in rete. Tanto più che - come affermato dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, anche straniere in una sua recente relazione - è pari a 100 miliardi di euro il «fatturato» dei giochi leciti ed illeciti, i cui «maggiori profitti vanno alla criminalità organizzata»;
secondo il Governatore della Banca d'Italia, «l'evasione fiscale è un freno alla crescita perché richiede tasse più elevate per chi le paga e riduce le risorse alle politiche sociali»;
si è proceduto a un sistematico smantellamento, presentato come «semplificazione», di un insieme di strumenti, in parte non ancora operativi, introdotti nella XV legislatura, che potevano permettere all'amministrazione finanziaria di ottenere, per via telematica, informazioni utili ai fini del contrasto all'evasione:
a) è stato soppresso l'obbligo di allegare alla dichiarazione iva gli elenchi clienti/fornitori;
b) sono state abolite le limitazioni nell'uso di contanti e di assegni;
c) sono state abolite la tracciabilità dei pagamenti e la tenuta da parte dei professionisti di conti correnti dedicati;
d) è stato soppresso l'obbligo di comunicazione preventiva per compensare crediti di imposta superiori ai 10 mila euro;
e) è stata significativamente ridimensionata la solidarietà in materia di versamento di contributi e ritenute tra committente, appaltatore e subappaltatore;
f) sul fronte degli studi di settore è stato previsto l'obbligo della loro pubblicazione entro il 30 settembre dell'anno a cui devono applicarsi, invece che entro il 31 marzo dell'anno successivo. In questo modo, il contribuente è sempre in grado di conoscere in corso d'opera quali sono le aspettative del fisco nei suoi confronti e di adeguarvisi;
g) alle imprese dei distretti industriali viene consentita la possibilità di effettuare un concordato preventivo triennale (cioè, di concordare, in anticipo, per tre anni, le imposte dovute) anche per i tributi locali, specificando che «in caso di osservanza del concordato i controlli sono eseguiti unicamente a scopo di monitoraggio»;
h) sono state dimezzate le sanzioni;
solo in parte il Governo si è ricreduto rispetto a queste decisioni ed è intervenuto nel decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, reintroducendo in parte alcune delle normative che aveva cancellato;
a questo si aggiungano i danni che derivano dal cosiddetto fiscal drag: infatti, in un'imposta progressiva, come l'irpef, l'aumento di tassazione indotto dall'inflazione discende da due fattori:
a) una quota sempre più ampia del reddito è assoggettata ad aliquote (marginali) più elevate;
b) il valore delle detrazioni e deduzioni di imposta per tipologie di redditi, per carichi familiari, ed altro non è indicizzato all'aumentare dei prezzi e, quindi, diminuisce in termini di potere d'acquisto;
da anni non viene restituito, neanche parzialmente, il drenaggio fiscale. Il mancato recupero del fiscal drag ha pesato, secondo Banca d'Italia, per due terzi sulla perdita del potere d'acquisto degli ultimi 5 anni;
fra il 2000 e il 2010 i lavoratori italiani hanno perso - secondo il centro studi della Cgil, l'Ires - 5.453 euro in termini di potere d'acquisto, in parte a causa di un livello di inflazione più alto di quanto previsto e conteggiato in sede di rinnovo dei contratti di lavoro (3.384 euro) ed in parte in ragione della mancata restituzione del fiscal drag, che ha comportato per ogni lavoratore un prelievo aggiuntivo medio di 2.000 euro, dovuto al progressivo aumento delle aliquote sui redditi per effetto dell'aumento del costo della vita;
in totale, nei dieci anni presi a riferimento, la perdita del potere di acquisto sulla somma di tutte le retribuzioni ha raggiunto la quota di 44 miliardi di euro, che sono stati sottratti alle famiglie, diminuendo la domanda interna, riducendo i consumi e alimentando la crisi;
nel frattempo, le rendite finanziarie sono tassate con un'imposta sostitutiva dell'irpef e con un'aliquota pari al 12,5 per cento, mentre l'aliquota irpef più bassa è pari al 23 per cento, il mondo del lavoro autonomo, a prescindere dal fenomeno dell'evasione, dispone della revisione degli studi di settore e di ampie possibilità di deduzione e detrazione, mentre più del 50 per cento delle imprese denuncia un reddito nullo o negativo, ed è stata abolita l'ici su tutte le prime abitazioni, anche quelle ad elevato reddito catastale;
non è un caso se il Paese, a causa della politica fiscale e della precarizzazione crescente delle tipologie contrattuali presenti nel mondo del lavoro, ha un livello di disuguaglianza dei redditi fra i più elevati tra i Paesi sviluppati, un livello di povertà ben superiore alla media dei Paesi Ocse ed è uno dei Paesi in cui la disuguaglianza è cresciuta maggiormente negli ultimi venti anni;
la distanza dell'Italia dai parametri di Lisbona sul tasso di occupazione femminile è preoccupante: non si riuscirà a raggiungere entro la fine del 2010 l'obiettivo dell'occupazione femminile al 60 per cento, essendo fermi al 46 per cento (i dati dell'Italia sono inferiori rispetto a quello medio dell'Unione europea di circa dodici punti);
il Governo aveva promesso che i risparmi derivanti dall'aumento dell'età pensionabile femminile nel pubblico impiego sarebbero stati utilizzati per l'incremento di risorse in favore delle donne medesime, delle politiche di conciliazione tra tempo di lavoro e di cura, delle politiche sociali collegate ai servizi alle famiglie: invece, il fondo strategico per il Paese a sostegno dell'economia reale, nel quale questi risparmi sono confluiti, vengono utilizzati per finalità che non hanno nulla a che vedere con le finalità originarie, come dimostrano le misure contenute nella legge di stabilità per il 2011;
per la ricerca e l'innovazione, la Commissione europea, nell'ambito del cosiddetto pnr (programma nazionale di riforma), nel contesto della strategia «Europa 2020», ha indicato nel 3 per cento del prodotto interno lordo il livello minimo di spesa da raggiungere nel prossimo decennio, anche attraverso l'adozione di. misure fiscali;
oggi l'Italia è ancora molto indietro e sarà difficile perseguire questo obiettivo senza prevedere misure strutturali di sostegno, come il credito d'imposta, per rafforzare i processi di ricerca ed innovazione in tutti i settori e per tutte le tipologie di impresa;
tutti i Paesi industrializzati stanno sostenendo con misure rilevanti sia la ricerca e l'innovazione tecnologica che l'economia verde, quali fondamentali veicoli di crescita e di opportunità per lo sviluppo di nuove imprese e la conseguente creazione di nuova occupazione;
un importante strumento fiscale istituito con la legge finanziaria per il 2007, e che ha finora dimostrato tutta la sua validità, è senz'altro quello legato alla detrazione fiscale del 55 per cento delle spese sostenute per il risparmio energetico nel settore dell'edilizia. In questi anni ha prodotto investimenti per 11 miliardi di euro, 50 mila posti di lavoro e circa 600 mila interventi, oltre a dare benefici per il sistema Paese, anche grazie ai risparmi sulla bolletta energetica nazionale. È ben vero che il Governo ha introdotto, in sede di approvazione della legge di stabilità alla Camera dei deputati, la normativa di cui sopra, tuttavia ne ha «spalmato» gli effetti su 10 anni, indebolendola fortemente rispetto al passato;
la rinnovata presa di coscienza nei confronti della strutturale instabilità dei mercati monetari e finanziari e dei danni che essa è in grado di provocare ha riaperto il dibattito sulla necessità di attribuire alla politica rinnovati strumenti di controllo e di governo delle dinamiche economiche;
un primo passo nella direzione del necessario cambiamento di rotta sopra evocato è stato da tempo individuato in una proposta basata sull'istituzione di un'imposta sulle transazioni valutarie, la cosiddetta Tobin tax, che ha raccolto negli ultimi anni il consenso di gruppi, movimenti politici, Parlamenti e Governi sempre più numerosi e significativi e una straordinaria convergenza a sostegno della stessa da parte di economisti di diversa provenienza culturale e politica;
si tratta di una tassa sulle transazioni valutarie e finanziarie che, oltre a contribuire alla riduzione dell'instabilità sui mercati finanziari, potrebbe rappresentare uno strumento per il perseguimento di molti obiettivi complessi, sia operativi sia politici, non ultimo quello di contribuire a determinare risorse addizionali per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del millennio e per far fronte ai danni sociali causati dalla crisi attuale anche nel nostro Paese;
l'introduzione di un'imposta sulle transazioni finanziarie non può certamente essere soltanto una tassa a livella nazionale e, quindi, servono posizioni armonizzate tra i Paesi, ma anche un'intesa con gli Usa e con gli altri continenti per non vanificare la possibilità di percorrere la strada di un'alternativa praticabile: una tassa sulle transazioni finanziarie permetterebbe, infatti, di raccogliere fino a 650 miliardi di dollari (secondo studi della Oxfam, una confederazione internazionale di organizzazioni non governative impegnate nella lotta alla povertà e all'ingiustizia) all'anno da destinare sia ad aiutare i più poveri nel Sud del mondo, sia a finanziare politiche sociali nei Paesi del Nord;
la politica fiscale del Governo, oltre a produrre un incremento della pressione fiscale ed una generale e continua tensione nella gestione dei conti pubblici, produce, dunque, anche una marcata sperequazione sociale;
di fronte a questa incontestabile situazione, appare prioritaria la necessità di predisporre urgentemente un riequilibrio del carico tributario, per ridurre la pressione fiscale sui redditi da lavoro, sulle pensioni e sugli investimenti delle piccole e medie imprese, misure che sono, invece, totalmente assenti nel decreto-legge n. 78 del 2010 e nel disegno di legge di stabilità,

impegna il Governo:

a promuovere le opportune iniziative fiscali a favore delle famiglie, tra le quali:
a) la riduzione progressiva al 20 per cento della prima aliquota dell'ire;
b) l'aumento delle detrazioni per carichi familiari, prevedendo un'imposta positiva per i contribuenti fiscalmente incapienti;
c) la detrazione delle spese per i servizi di assistenza e cura per i figli minori o in caso di persone non autosufficienti;
d) l'alleggerimento del carico ire sui redditi bassi e medi da lavoro e da pensione, operando sul meccanismo delle detrazioni per la produzione di reddito;
e) l'adozione di disposizioni fiscali per sostenere il lavoro delle donne, detassando parzialmente il reddito da lavoro dipendente delle donne, dando incentivi diretti alle aziende che assumono donne, favorendo l'accesso al credito delle imprese femminili operanti nel Mezzogiorno e rifinanziando il fondo per il sostegno all'imprenditoria femminile in tutti i settori produttivi, di cui alla legge n. 215 del 1992;
a sostenere fiscalmente lo sviluppo, la riconversione ecologica dell'economia e, in particolare. le piccole e medie imprese, con le seguenti misure:
a) la riduzione graduale, per le piccole e medie imprese, del peso del costo del lavoro nel calcolo dell'imponibile irap;
b) la previsione del pagamento dell'iva al momento in cui si incassa effettivamente il corrispettivo della cessione di beni o di servizi e non in anticipo;
c) agevolazioni fiscali per favorire la capitalizzazione delle piccole e medie imprese, nonché la defiscalizzazione parziale degli utili reinvestiti da parte delle stesse piccole e medie imprese;
d) l'estensione della contabilità semplificata e agevolata, già introdotta dal Governo Prodi, per 950.000 imprese minori, il cosiddetto forfettone, per i contribuenti minimi con reddito inferiore a 30 mila euro, innalzando tale limite di reddito;
e) la riduzione progressiva al 20 per cento dell'aliquota dell'ires;
f) il ripristino del credito d'imposta per gli investimenti e per le assunzioni di lavoratori a tempo indeterminato nelle aree sottoutilizzate;
g) il rifinanziamento delle disposizioni in materia di credito d'imposta per gli investimenti in ricerca e sviluppo, con particolare riguardo alle imprese che investono nei settori dell'ambiente, delle energie rinnovabili, del risparmio energetico, dei servizi collettivi ad alto contenuto tecnologico e, in particolare, quando gli investimenti siano attuati in convenzione con le università ed i centri nazionali di ricerca;
h) il ripristino della detrazione del 55 per cento dell'ire delle spese sostenute per il risparmio energetico nel settore dell'edilizia nella forma originaria, che ne prevedeva la deducibilità ai fini fiscali in due anni anziché in dieci anni;
a recuperare le risorse necessarie con le misure seguenti:
a) il ripristino delle norme di contrasto all'evasione fiscale introdotte dal Governo Prodi, anche al fine di ridurre la pressione fiscale sui contribuenti fiscalmente onesti secondo il principio di «pagare tutti per pagare meno», tra le quali:
1) la riorganizzazione dell'anagrafe tributaria;
2) la «tracciabilità» dei compensi dei professionisti;
3) l'obbligo di trasmissione telematica dei corrispettivi;
4) la tenuta dell'elenco clienti-fornitori;
5) l'anagrafe dei conti correnti bancari;
6) la lotta alle frodi iva;
b) l'introduzione di un meccanismo di determinazione sintetica del reddito delle persone fisiche e delle società di capitale minori (nuovo redditometro a riscossione immediata) a rettifica delle dichiarazioni pregresse, nonché la previsione di misure di contrasto all'elusione fiscale realizzata tramite società di comodo;
c) il recupero, con decorrenza immediata, delle somme dovute dai contribuenti che hanno aderito ai condoni fiscali 2003-2004 e che non hanno pagato buona parte delle rate da loro dovute, secondo quanto già da tempo denunciato dalla Corte dei conti;
d) la previsione di un contributo di solidarietà del 7,5 per cento sui capitali regolarizzati tramite lo scudo fiscale, in modi che l'imposta complessiva (5 per cento + 7,5 per cento = 12,5 per cento) divenga pari al 12,5 per cento, cioè all'aliquota dell'imposta sostitutiva applicata alle rendite finanziarie, ad esempio ai titoli di Stato;
e) l'incremento delle aliquote iva per i beni di lusso;
f) la tassazione con l'aliquota del 20 per cento delle plusvalenze finanziarie speculative, con l'esclusione dei rendimenti dei titoli di Stato;
g) la riduzione della percentuale di deducibilità degli interessi passivi per banche ed assicurazioni;
h) l'istituzione di un'imposta sulla pubblicità sulle emittenti televisive nazionali;
i) l'aumento delle aliquote per la determinazione del prelievo erariale unico (preu) sugli apparecchi da intrattenimento e l'inserimento del mancato collegamento degli apparecchi di gioco alla rete telematica tra i casi di evasione per i quali l'articolo 5 del decreto legislativo n. 74 del 2000 prevede la reclusione da uno a tre anni;
l) il forte sostegno, in sede europea e internazionale, della praticabilità di un'intesa sulla tassazione delle transazioni finanziarie che permetterebbe di raccogliere fondi sufficienti sia per la lotta alla povertà e all'ingiustizia nel Sud del mondo, sia per finanziare politiche sociali nei Paesi del Nord del mondo.
(1-00497)
«Borghesi, Di Stanislao, Donadi, Messina, Cambursano, Barbato».

La Camera,
premesso che:
nonostante la gravità della crisi economica in atto, l'Italia ha dimostrato nel suo complesso una forte capacità di tenuta, grazie agli sforzi dei lavoratori, delle famiglie, dei comuni e degli altri enti locali, nonché all'azione del Governo;
la strategia di politica tributaria del Governo nel corso della XVI legislatura è stata responsabilmente orientata dall'esigenza di assicurare la stabilità dei conti pubblici italiani in un periodo di grave instabilità economica e finanziaria, nel rispetto degli obblighi derivanti dal patto di stabilità europeo ed alla luce del vincolo che condiziona le scelte di finanza pubblica italiana, costituito dall'imponente ammontare del debito pubblico accumulatosi nel passato;
in tale contesto l'azione di contrasto all'evasione fiscale e contributiva costantemente perseguita dal Governo nel corso della XVI legislatura ha determinato effetti positivi significativi, ulteriormente rafforzati dalle misure da ultimo adottate con il decreto-legge n. 78 del 2010, relative all'accertamento sintetico dei redditi, all'introduzione dell'obbligo della fattura telematica, all'introduzione dell'obbligo di ritenuta d'acconto sui lavori di ristrutturazione edilizia che beneficiano delle agevolazioni fiscali, all'eliminazione del regime fiscale agevolato per i fondi immobiliari a ristretta base partecipativa, all'introduzione della tracciabilità dei movimenti in contanti anche per importi inferiori a 12.500 euro, i quali determineranno effetti di maggiore entrata stimati dalla decisione di finanza pubblica in circa lo 0,5 per cento del prodotto interno lordo;
nonostante il difficile quadro economico, che sta certamente incidendo in modo molto negativo sull'andamento del gettito, le entrate tributarie dovrebbero registrare, nel 2011, un incremento pari ad oltre 4 miliardi di euro;
le scelte di politica economica del Governo si sono comunque fatte carico, sia pure nei limiti imposti dalle esigenze di stabilizzazione della finanza pubblica, dell'esigenza di sostenere la domanda in una fase economica recessiva, destinando risorse significative per alcuni interventi prioritari, quali l'esenzione totale dall'imposta comunale sugli immobili per l'unità immobiliare adibita ad abitazione principale, il finanziamento e l'ampliamento degli ammortizzatori sociali, la detassazione dei contratti di produttività, interventi a sostegno della domanda in particolari settori, misure di sostegno diretto in favore delle fasce più deboli della popolazione;
in particolare, la manovra finanziaria adottata dal Governo con il decreto-legge n. 78 del 2010 e con il disegno di legge di stabilità contiene anche numerosi interventi di alleggerimento fiscale, consistenti essenzialmente:
a) nella riduzione dell'acconto irpef per gli anni 2011 e 2012;
b) nell'applicazione di un regime irpef sostitutivo sulla quota di retribuzione correlata agli aumenti di produttività;
c) nella proroga degli incentivi fiscali in favore dei ricercatori e dei docenti italiani residenti all'estero che rientrano in Italia;
d) nell'introduzione di un meccanismo di opzione per le imprese dei Paesi dell'Unione europea che avviano un'attività produttiva in Italia;
e) nell'introduzione di un regime di fiscalità di vantaggio nelle aree deboli del Paese, attivabile dalle singole regioni;
f) nella proroga della detrazione irpef del 55 per cento sulle spese per l'efficientamento energetico degli edifici;
g) nella riduzione del carico tributario sulle attività di leasing immobiliare;
h) nell'introduzione di un nuovo credito d'imposta in favore delle imprese che affidano attività di ricerca ad università o enti pubblici;
i) nella proroga delle agevolazioni fiscali in favore della piccola proprietà contadina e del credito d'imposta in favore delle aggregazioni professionali;
l) nella proroga dello stanziamento per il finanziamento del 5 per mille;
m) nella proroga della fruibilità delle detrazioni per carichi di famiglia da parte degli italiani residenti all'estero;
i segnali di ripresa economica, evidenziatisi soprattutto nella prima parte del 2010, non consentono ancora di considerare definitivamente superata la crisi in cui si trovano tutte le economie dei Paesi avanzati ed evidenziano come sia pertanto necessario concentrare gli sforzi sui temi del sostegno allo sviluppo ed alle famiglie;
le scelte di politica fiscale dovranno sempre più tenere conto dell'elemento evolutivo rappresentato dal progressivo completamento del processo di attuazione del federalismo fiscale, il quale vedrà, da un lato, una maggiore responsabilizzazione delle regioni e degli enti locali rispetto alle proprie decisioni di allocazione delle risorse e, dall'altro, attribuirà a tali livelli di governo maggiore autonomia nella gestione degli strumenti di prelievo tributario;
il Governo sta completando la predisposizione dei decreti legislativi di attuazione delle deleghe in materia di federalismo fiscale recate dalla legge n. 42 del 2009;
in particolare, il Consiglio dei ministri ha adottato lo schema di decreto legislativo in materia di federalismo municipale, il quale prevede la riduzione del numero delle imposte dei comuni, introducendo, a partire dal 2014, un'imposta municipale propria ed un'ulteriore imposta comunale facoltativa, e consentirà di far coincidere maggiormente responsabilità amministrative e decisioni tributarie, nonché di rendere misurabili i risparmi di spesa determinati dai recuperi di efficienza realizzati dalle diverse amministrazioni;
nell'ambito dello schema di decreto legislativo in materia di federalismo municipale si prevede la revisione del regime tributario delle locazioni, introducendo un meccanismo di imposizione forfettaria a fini irpef, con aliquota del 20 per cento, sui redditi da locazione relativi a contratti concernenti immobili adibiti ad abitazione;
il Governo ha, inoltre, predisposto lo schema di decreto legislativo volto a disciplinare l'autonomia impositiva delle regioni a statuto ordinario e delle province, il quale prevede, tra l'altro, l'attribuzione alle regioni, oltre che dei tributi propri, di una compartecipazione all'iva e di un'addizionale all'irpef, nonché la possibilità, per le regioni stesse, di ridurre o eliminare l'irap;
unitamente al processo di riforma in senso federalista, il Governo ha opportunamente deciso di avviare anche un progetto di complessiva riforma del sistema fiscale nazionale, che è stato posto al centro degli obiettivi programmatici, nonché del programma nazionale di riforma presentato alla Commissione europea nel quadro del semestre europeo;
la riforma fiscale costituisce uno snodo politico fondamentale, sia in quanto proprio attorno al sistema fiscale ruota gran parte del rapporto fra l'economia, i cittadini e lo Stato, sia in quanto l'attuale modello di sistema fiscale è stato disegnato negli anni '60 ed è entrato in vigore nei primi anni '70, in un sistema economico, sociale e politico del tutto diverso dall'attuale;
è, infatti, indubbio che proprio le inadeguatezze dell'attuale sistema tributario costituiscano uno dei principali «colli di bottiglia» che rischiano di pregiudicare le prospettive di ripresa economica del Paese;
i profondi mutamenti dei modelli economici, competitivi, sociali, ambientali e istituzionali rendono, quindi, necessario un ripensamento del modello fiscale, secondo le direttrici già delineata nel libro bianco sulla riforma fiscale del 1994;
la questione fiscale assumerà, con il permanere della crisi e con la pressione dei mercati a ridurre il deficit e l'ammontare dei debiti pubblici, un rilievo sempre maggiore nel nostro Paese e, in generale, nei Paesi più avanzati, in quanto essa investe direttamente i temi cruciali nella determinazione del salario reale complessivo e della definizione dei futuri modelli di welfare;
in considerazione dell'elevato livello del debito pubblico italiano, occorre che la strategia di riforma sia tendenzialmente neutrale sul piano finanziario e punti ad adeguare il fisco ai nuovi modelli economici, competitivi, sociali, ambientali e istituzionali, a redistribuire il carico tributario, trasferendo una parte della tassazione diretta a quella indiretta, a semplificare il sistema fiscale e gli adempimenti, a ridurre gli effetti distorsivi sulla crescita determinati dalla tassazione, nonché a responsabilizzare maggiormente tutti i soggetti che operano decisioni di spesa, anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali;
occorre, inoltre, che il sistema fiscale sia maggiormente orientato da logiche di ordine ambientale e non solo da obiettivi di gettito, superando, in particolare, il paradosso per cui i combustibili a maggiore impatto ambientale sono gravati da una tassazione relativamente più favorevole;
i lavori in sede governativa su questo tema sono già stati avviati, sia attraverso l'inizio di una fase di consultazione con le parti sociali, sia attraverso la creazione di una commissione di esperti in materia;
è auspicabile che la riforma del sistema tributario sia realizzata in una prospettiva di ampio respiro, che veda il più possibile la condivisione di tutte le forze politiche e di tutti i protagonisti del tessuto economico, almeno rispetto ai principali obiettivi;
occorre, in particolare, che il predetto intervento di riforma, diversamente da quanto avvenuto in occasione di alcuni importanti interventi legislativi sul settore intervenuti negli ultimi quindici anni, risulti stabile nel medio-lungo periodo, in modo da non esporlo alle polemiche tra opposti schieramenti ed al rischio di essere smantellato ad ogni cambio di maggioranza, sia per consentire ai contribuenti, agli operatori ed all'amministrazione finanziaria di assimilare le novità della riforma, sia per permettere agli operatori economici di definire le proprie strategie imprenditoriali in un contesto normativo stabile e prevedibile,

impegna il Governo:

a proseguire in un'impostazione di politica economica che coniughi l'esigenza di garantire la sostenibilità di lungo periodo degli equilibri di bilancio con quella di liberare il più possibile risorse da destinare al sostegno della domanda e ad interventi infrastrutturali;
a proseguire nell'azione di contrasto all'evasione ed all'elusione fiscale, privilegiando le attività di accertamento di carattere non formale ed incentivando una sempre maggiore partecipazione degli enti locali, in specie dei comuni, a tale azione, non solo per incrementare il gettito erariale, ma, soprattutto, per realizzare una più equa ripartizione dell'imposizione tributaria e reperire risorse aggiuntive senza incrementare la pressione fiscale sui contribuenti onesti;
ad avviare un processo di riforma complessiva del sistema tributario, che deve essere prioritariamente orientato alle seguenti finalità:
a) perseguire l'obiettivo programmatico della progressiva riduzione della pressione fiscale, in particolare sulle imprese di piccole e medie dimensioni, sulle famiglie e sul lavoro dipendente, in un quadro di piena responsabilità di bilancio;
b) perseguire una migliore distribuzione del carico impositivo, alleggerendo i redditi da lavoro dipendente, i redditi d'impresa di natura non speculativa ed i redditi da lavoro autonomo, anche attraverso il progressivo passaggio dalla tassazione sui redditi alla tassazione sui consumi e sulle rendite, mantenendo comunque immutata la tassazione sui titoli del debito pubblico;
c) concentrare gli strumenti di sostegno di natura tributaria su alcuni obiettivi prioritari per lo sviluppo del Paese, quali il sostegno alla famiglia, la promozione della ricerca e dell'innovazione, il superamento dei divari territoriali, il miglioramento del capitale umano, la razionalizzazione del sistema delle detrazioni e delle deduzioni, che risulta oggi particolarmente complesso e farraginoso;
d) confermare l'esenzione dall'imposizione tributaria della prima casa di abitazione già introdotta dal Governo;
e) favorire una maggiore capitalizzazione delle imprese;
f) adeguare l'ordinamento tributario ai nuovi modelli economici, sociali, ambientali ed istituzionali;
g) ridurre gli effetti distorsivi dell'imposizione sulla crescita e sulle scelte strategiche delle imprese;
h) rivedere la tassazione energetica, al fine di incentivare minori consumi energetici e l'impiego di combustibili a minore impatto ambientale;
i) favorire una sempre più stretta collaborazione tra le amministrazioni coinvolte nell'attività di rilievo fiscale, in particolare attraverso un maggiore coinvolgimento dei comuni e degli altri enti locali, alla luce del connesso processo di attuazione della delega sul federalismo fiscale, nonché mediante l'integrazione delle banche dati pubbliche;
l) dare piena attuazione allo statuto dei diritti del contribuente, sia al fine di assicurare una maggiore stabilità della normativa tributaria, sia sotto il profilo di un maggiore equilibrio nei rapporti tra fisco e contribuenti;
m) semplificare la normativa ed alleggerire gli oneri amministrativi gravanti sui contribuenti e sugli intermediari per la semplice attività di compliance fiscale, anche riducendo le imposte e le tasse esistenti, nonché il numero imponente di atti normativi che appesantisce l'ordinamento tributario;
a vigilare affinché le necessarie attività di accertamento e di verifica fiscale da parte dell'amministrazione finanziaria siano sempre svolte nel pieno rispetto del contribuente, anche al fine di minimizzare gli oneri burocratici sulle imprese, soprattutto di piccole dimensioni, garantendo, inoltre, un'equilibrata distribuzione sul territorio nazionale delle attività di accertamento, tenendo conto a tal fine del fatto che in alcune aree del Paese il fenomeno del sommerso presenta dimensioni particolarmente rilevanti;
a valutare l'opportunità di apportare ulteriori correttivi alla disciplina sulla rateizzazione dei debiti tributari e contributivi, in particolare introducendo in tale ambito alcuni ulteriori elementi di flessibilità, tali da consentire agli agenti della riscossione, in presenza di condizioni oggettive ed in un quadro di garanzia degli interessi erariali, di tenere conto delle difficoltà che alcuni contribuenti ed imprese incontrano ad onorare i propri debiti tributari a causa della crisi economica in atto, al fine di evitare che il mancato pagamento di una sola rata comporti la decadenza dal beneficio della rateizzazione, con conseguenze negative sia per il contribuente interessato sia per lo stesso erario;
ad assumere tutte le iniziative in sede comunitaria al fine di favorire una maggiore armonizzazione dei regimi fiscali tra gli Stati membri dell'Unione europea, definendo linee di politica economica comune a livello comunitario, sia al fine di evitare che le pratiche di concorrenza fiscale comportino turbative alle condizioni di concorrenza tra le economie dei diversi Stati, sia in quanto tali fenomeni rischiano, come dimostrato dagli eventi dell'attuale crisi economica, di determinare elementi di debolezza ed instabilità all'interno dell'area dell'euro;
a promuovere, nel quadro complessivo della riforma della giustizia, un riassetto della giustizia tributaria, riducendo i tempi del contenzioso e riaffermando la capacità di tale settore di fornire un servizio adeguato alle evoluzioni del contesto economico e normativo, al fine di contribuire a migliorare il contraddittorio tra fisco e cittadini e di assicurare il giusto equilibrio tra le esigenze di tutela dei diritti dei contribuenti e gli interessi dell'erario.
(1-00499)
«Cicchitto, Gianfranco Conte, Baldelli, Ventucci, Bernardo, Pionati, Romano, Angelucci, Berardi, Del Tenno, Dima, Vincenzo Antonio Fontana, Germanà, Leo, Milanese, Misuraca, Pagano, Antonio Pepe, Pugliese, Savino, Soglia».
(22 novembre 2010)
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).

La Camera,
premesso che:
il risanamento dei conti pubblici è un dovere indifferibile per tutti gli Stati membri dell'Unione europea, e di certo lo è ancor di più per il nostro Paese;
la riforma del sistema fiscale vigente oggi in Italia rappresenta la prima e più urgente riforma da intraprendere, in quanto si tratta di un sistema basato su specificità e su un contesto economico produttivo datato e quindi superato, cui si è cercato negli ultimi decenni di apportare continui adeguamenti che lo hanno reso complicato e farraginoso;
la stessa importanza devono riscontrarla, tuttavia, le necessarie misure per la ripresa economica e lo sviluppo, perché non è accettabile un'ulteriore perdita di competitività dell'economia europea rispetto alle economie mondiali;
secondo l'Istat quasi 11 milioni di persone sono gli italiani a rischio povertà (un quinto della popolazione). Nel biennio 2008-2010 circa 800 mila persone hanno perso il lavoro; di questi solo 250 mila persone hanno ripreso a lavorare; attualmente in Italia gli inattivi sono circa 15 milioni di persone;
il tasso di disoccupazione attualmente è pari al 14,8 per cento; la disoccupazione giovanile reale è pari al 30 per cento; il lavoro irregolare riguarda 2,6 milioni di persone, l'11 per cento degli occupati;
nonostante l'articolo 31 della Costituzione italiana preveda che «La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose; protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo», le politiche per la famiglia in Italia sono quasi totalmente assenti;
la spesa per le famiglie e la maternità è pari ad appena l'1,2 per cento del prodotto interno lordo: peggio di noi, nel confronto europeo, solo Bulgaria, Lituania, Malta e Polonia. La media europea si attesta al 2,1 per cento del prodotto interno lordo; si spende meno della metà della Francia (2,5 per cento) e della Germania (2,9 per cento);
la spesa per famiglie rispetto alla spesa per il welfare totale è appena il 4,7 per cento (inferiore alla media europea che si attesta all'8 per cento del prodotto interno lordo), un primato che ci vale il 26o posto rispetto ad una graduatoria di 27 Paesi;
questo è il risultato dell'andamento demografico e di un progressivo invecchiamento della popolazione: da Paese caratterizzato da famiglie numerose ci si è assestati ad un tasso di fertilità dell'1,3 per cento (equivalente al numero di figli per donna), la cui conseguenza è una graduale riduzione della popolazione (oltre che un'età mediana particolarmente avanzata);
una delle principali cause della scarsa fecondità è la scarsa occupazione femminile, in quanto la difficoltà di accesso al mercato del lavoro per le donne rende non conveniente mettere al mondo figli;
secondo alcuni studi condotti dalla Commissione europea, i Paesi che hanno minori tassi di occupazione femminile e di natalità sono proprio quei Paesi in cui le politiche e i servizi per le famiglie sono più carenti e l'Italia, dove il tasso di occupazione femminile si colloca appena al 47,2 per cento (12 punti percentuali in meno rispetto alla media europea del 60 per cento), ne è l'esempio classico;
anche il recente disegno di legge di stabilità, approvato in prima lettura alla Camera dei deputati, ha completamente, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, dimenticato le famiglie italiane, nonostante esse siano state il migliore ammortizzatore sociale in grado di impedire che nel Paese scoppiasse un forte scontro sociale durante la crisi economica mondiale;
ciò è ancor più vero se si pensa che in Italia vige attualmente un paradossale sistema di sussidiarietà «al rovescio», in cui sono le famiglie a finanziare il debito pubblico e a sostenere un Paese insussistente ed inefficiente nell'offrire i servizi essenziali;
il sistema fiscale italiano si caratterizza per una contraddizione: si fonda sulla tassazione progressiva a base individuale (che a parità di reddito penalizza le famiglie monoreddito e quelle con figli a carico) e contemporaneamente determina le tariffe sulla base del reddito familiare;
l'attuale sistema di tassazione, dunque, non prevede l'esistenza della famiglia, intesa nel senso più tradizionale del termine (padre, madre e figli): le detrazioni per familiari a carico non fanno che restituire solo una minuscola parte di quanto viene ingiustamente tolto loro con le imposte;
la normativa fiscale in vigore è, quindi, piuttosto complessa e articolata: per un sistema più equo, occorrerebbe prevedere (come già fanno le detrazioni ma in misura insufficiente) specifiche riduzioni fiscali, crescenti all'aumentare del numero dei figli a carico;
in sintesi un sistema fiscale efficace deve fondarsi sia sull'equità verticale che su quella orizzontale, in modo da tenere conto del numero dei componenti del nucleo familiare, oltre che dell'ammontare del reddito;
è, dunque, opportuno pensare ad un nuovo patto sociale e fiscale per il Paese, dove la necessaria premessa consiste nel riconoscere alle famiglie il ruolo di soggetto economico principale, piuttosto che il mero antico ruolo, di memoria «tayloristica e fordista», di insieme di soggetti che offrono esclusivamente lavoro alle imprese ed insieme di individui che consumano e risparmiano;
la visione di famiglia che si è avuta fino ad oggi, infatti, fondata sul ruolo degli individui in quanto singoli lavoratori e risparmiatori, è stata la pietra miliare su cui è stato fondato il sistema fiscale vigente, che tassa il consumo così come il reddito ed il patrimonio individuale;
in realtà il sistema fiscale andrebbe adattato alla realtà socioeconomica attuale, dove il ruolo delle famiglie è certamente di primo piano, opportunamente giustificato dal fatto che all'interno dei nuclei familiari stanno crescendo sempre più spesso persone educate ai valori ed al senso civico, che proprio per tali motivi contribuiscono a fornire all'economia risorse inestimabili, quelle del capitale umano e relazionale, non meno importanti e preziose rispetto a risorse come tecnologie e credito;
nei giorni scorsi a Milano si è tenuta la Conferenza nazionale della famiglia, occasione in cui si è discusso di alcune proposte in grado di individuare percorsi virtuosi di protezione e promozione della famiglia, quale capitale sociale da tutelare e da sostenere, oltre che nucleo su cui investire (il premio Nobel per l'economia James Heckman ha promosso diversi studi che dimostrano che sostenere gli sforzi educativi delle famiglie con bimbi piccoli genera elevati ritorni dell'investimento);
tra la decina di proposte discusse è risultata indubbiamente più convincente quella promossa dal «Forum delle associazioni familiari», il cosiddetto fattore famiglia, che consiste nell'individuare un'area di reddito non tassabile per ciascun nucleo familiare, in funzione dell'ammontare di reddito, del numero dei figli, ma soprattutto delle necessità primarie, che devono essere garantite e non tassate;
l'orientamento del Governo, specificato durante l'apertura del tavolo sulla riforma fiscale con le parti sociali, è sembrato essere focalizzato per lo più sulla rimodulazione dell'attuale sistema complesso di 242 norme sulle deduzioni e detrazioni fiscali, al fine di renderlo più efficiente;
l'Esecutivo ha precisato, inoltre, che la rivisitazione del sistema fiscale dovrà essere affrontata nel rispetto del confronto con il nuovo ruolo che gli enti locali andranno a rivestire nel caso in cui dovesse concretizzarsi il federalismo fiscale;
con riferimento a quest'ultimo aspetto, è opportuno capire come il Governo intenderebbe gestire questa evidente dicotomia tra la nuova riforma fiscale ed il federalismo fiscale, posto che probabilmente con l'attuazione della riforma federalista ci saranno regioni dove la pressione fiscale sarà inferiore e regioni dove alcune imposte (come l'irap per quelle vincolate agli eccessivi deficit sanitari) saranno certamente più elevate, generando, dunque, solo una competizione fiscale tra regioni stesse e un nuovo fenomeno emigrativo, per effetto del quale gli italiani saranno spinti a ricercare il luogo in cui si applicherà un'inferiore pressione fiscale;
l'intenzione strategica del Governo, in tema di riforma fiscale, sembra essere, inoltre, quella di spostare l'asse del prelievo dalle «persone» alle «cose», con ciò ipotizzando un aumento percentuale di imposte indirette come l'iva, ad esempio;
sarebbe ancora più opportuno, pur avendo come riferimento l'obiettivo di diminuire i carichi fiscali per le famiglie in funzione del numero dei figli, spostare il prelievo dal «lavoro» alle «cose» e, in particolar modo, dai carichi fiscali per i lavoratori dipendenti alle rendite finanziarie speculative;
il nostro Paese si colloca al primo posto in Europa per pressione fiscale sulle aziende (total tax rate): il carico complessivo di tributi nazionali e locali e dei contributi sociali è del 68,6 per cento rispetto ai profitti commerciali, il più alto tra i Paesi europei e anche tra i più alti al mondo. La media europea è del 44,2 per cento e quella mondiale del 47,8 per cento;
la disparità più evidente rispetto agli altri Paesi è da attribuire al carico fiscale sul lavoro (tasse e contributi sociali), che, rispetto al tasso complessivo del 68,6 per cento, rappresenta il 43,4 per cento;
secondo la Banca d'Italia il cuneo fiscale sul lavoro, in Italia, è di circa cinque punti superiore al livello medio europeo;
un'efficace riforma fiscale, che tenga conto del livello della spesa e del debito pubblico, non può che passare, dunque, dal riequilibrio della pressione fiscale, in modo che si possa ridurre il carico sui lavoratori dipendenti, sulle famiglie con figli, sulle imprese produttive ed innovative: ciò è possibile solo intervenendo sulle rendite finanziarie speculative ed in parte sulle imposte indirette;
il riequilibrio delle imposte e lo spostamento della tassazione dal lavoro alle cose è un obiettivo possibile, in quanto rispetto alla media europea l'Italia presenta la più evidente disparità di gettito tra imposte dirette ed indirette: il nostro Paese incassa il 3 per cento in più della media europea rispetto al prodotto interno lordo da ires e irpef ed il 3 per cento in meno dall'iva;
un secondo riequilibrio è possibile portando le rendite finanziarie ai livelli europei, intorno al 20 per cento;
un terzo riequilibrio è possibile diminuendo i carichi contributivi sui lavoratori dipendenti a favore di uno spostamento di pari entità di gettito sull'aumento dell'iva;
secondo un'indagine effettuata da Krls network of business ethics, per conto di Contribuenti.it, l'Associazione contribuenti italiani, condotta elaborando una serie di dati ministeriali, delle banche centrali, degli istituti di statistica e delle polizie tributarie dei singoli Stati europei, nei primi 10 mesi del 2010 l'evasione fiscale in Italia è cresciuta del 9,7 per cento, confermandosi al primo posto in Europa con il 54,4 per cento del reddito imponibile evaso: in termini di imposte sottratte all'erario si è nell'ordine dei 157 miliardi di euro l'anno,

impegna il Governo:

a promuovere un piano di riforma fiscale fondato sulle seguenti misure:
a) adeguare al modello in vigore alla maggior parte dei Paesi europei il sistema di tassazione sulle rendite finanziarie, attraverso un aumento della tassazione dal 12,5 per cento al 20 per cento sui redditi di capitale relativi ad operazioni finanziarie (compravendita di titoli o strumenti finanziari i cui emittenti non corrispondono allo Stato, enti o altre amministrazioni pubbliche di uno Stato appartenente all'Unione europea) di durata inferiore a 12 mesi;
b) adottare nel sistema fiscale italiano il cosiddetto fattore famiglia, il quale si fonda sulla quantificazione del costo di mantenimento ed accrescimento di ciascun componente dei nuclei familiari e, nello specifico, è basato sui seguenti principi:
1) è quantificato un livello minimo di reddito da non tassare (no tax area) attraverso il prodotto tra il costo di mantenimento del/dei percettore/i di reddito di una famiglia e alcuni valori specificati da una scala di equivalenza e che rappresentano i contributi di ogni familiare a carico;
2) il reddito che ricade all'interno della no tax area non è tassato, l'aliquota è azzerata;
3) se la no tax area è superiore al reddito percepito, la parte eccedente viene considerata come credito di imposta;
4) se il reddito percepito è superiore alla no tax area, l'imposizione progressiva viene applicata sul reddito eccedente;
c) procedere ad una revisione del metodo di calcolo dell'indicatore della situazione economica equivalente (isee), in quanto rigido e poco rispondente alla realtà che si vive quotidianamente, con una scala di equivalenza utilizzata ampiamente sottostimata e che determina situazioni d'iniquità soprattutto per le famiglie numerose e per quelle che presentano situazioni di disabilità e di non autosufficienza;
d) spostare il carico fiscale «dal lavoro alle cose», attraverso la diminuzione dei carichi contributivi verso l'Inps (e gli altri istituti previdenziali ed assistenziali) che gravano su lavoratori dipendenti ed imprese, attraverso una riduzione del cuneo fiscale, ossia della somma tra le trattenute al lavoratore e gli oneri a carico dell'azienda, in modo tale che i carichi contributivi siano in parte a carico dell'azienda ed in parte a carico del lavoratore, poste che una riduzione degli stessi è possibile e genererebbe un indubbio beneficio a favore dei seguenti soggetti:
1) i lavoratori dipendenti, che si ritroverebbero una busta paga maggiore e, dunque, risorse ulteriori a beneficio delle famiglie da destinare al consumo ed al risparmio;
2) le imprese, che avrebbero minori costi del personale e di conseguenza maggiori risorse da destinare agli investimenti e, soprattutto, all'impiego di nuova occupazione, che a questo punto diverrebbe più conveniente e meno onerosa;
e) recuperare le risorse che si renderebbero necessarie per attuare la misura di cui alla lettera c) attraverso un aumento dell'aliquota ordinaria dell'imposta sul valore aggiunto, in modo tale da avvicinarla ai valori medi europei;
f) diminuire il carico fiscale per le imprese che investono in innovazione, ricerca e sviluppo, attraverso:
1) crediti di imposta per investimenti in ricerca ed innovazione;
2) sgravi fiscali per le imprese che producono nuova occupazione giovanile;
3) detassazione degli utili reinvestiti;
g) procedere senza indugi all'elaborazione di un piano credibile di lotta all'evasione ed elusione fiscale, al fine di debellare una piaga che rappresenta non solo un elemento di freno allo sviluppo dell'economia nazionale, ma anche un deterioramento del tessuto civile ed istituzionale del Paese;
h) prevedere l'adozione di misure e strumenti atti a favorire la coesistenza della sostenibilità economica e quella ambientale, puntando sul binomio fiscalità ambientale ed eco-incentivi, anche in funzione delle potenzialità di sviluppo e di crescita economica ad esso legate.
(1-00500)
«Galletti, Occhiuto, Capitanio Santolini, Ciccanti, Compagnon, Naro, Volontè, Binetti, Cera, Libè, Rao, Poli, Delfino, De Poli».
(22 novembre 2010)
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).

La Camera,
premesso che:
poco più di due anni fa emergevano in tutta la loro drammaticità gli effetti di quella che, a posteriori, è stata definita come la più grave crisi economico-finanziaria dopo quella del 1929; i mutamenti socio-economici degli ultimi decenni, in particolare il processo di globalizzazione, ne hanno amplificato gli effetti;
l'Italia, pur essendo stata colpita gravemente dagli effetti della crisi, non ne è stata travolta: la struttura del sistema industriale, fatto da piccole e medie imprese, la capitalizzazione del sistema creditizio e il forte risparmio privato hanno consentito al sistema di reggere; oltre ai fattori strutturali, vi sono poi tutti gli interventi che il Governo in questi due anni ha messo sul tavolo; la strategia di politica economica nel corso della XVI legislatura non poteva che essere orientata alla stabilità dei conti pubblici, nel rispetto degli obblighi derivanti dal patto di stabilità europeo ed alla luce dell'imprescindibile vincolo che condiziona le scelte di finanza pubblica italiana, costituito dall'imponente ammontare del debito pubblico accumulatosi nel passato; nonostante queste rigidità il Governo si è comunque fatto carico dell'esigenza di sostenere la domanda in una fase economica recessiva, destinando risorse significative per alcuni fondamentali interventi;
fin dall'autunno 2008, nei giorni immediatamente successivi al Consiglio Ecofin, il Governo è intervenuto dando un preciso segnale ai mercati della volontà di tutelare i risparmiatori e salvaguardare la stabilità del sistema bancario e finanziario, precostituendo le condizioni normative per gli eventuali interventi pubblici; ha ampliato gli strumenti a disposizione dello Stato per entrare nel capitale delle banche e garantire la possibilità di finanziamenti, subordinando gli interventi alla necessità e alla volontà dei singoli istituti alla presenza di un preciso programma di stabilizzazione e di rafforzamento e alla vigilanza della Banca d'Italia; vista la forte contrazione del reddito disponibile conseguente alla forte contrazione della domanda internazionale ed interna e alla diminuzione dei livelli di occupazione, il Governo è intervenuto fornendo i necessari mezzi finanziari per sostenere la rete degli ammortizzatori sociali; sono stati creati nuovi istituti che consentiranno di attivare nuovi programmi di formazione a favore del personale posto in cassa integrazione; è stata anticipata la corresponsione dell'indennità di disoccupazione in un'unica soluzione che potrebbe favorire la nascita di nuove iniziative imprenditoriali ad opera di chi ha perso il lavoro dipendente; il tasso di disoccupazione in Italia (8,3 per cento), nonostante sia in aumento rispetto agli anni scorsi, rimane tra i più bassi in Europa e nell'intero Occidente; Francia (10,1 per cento), Spagna (19,9 per cento), Stati Uniti (9,7 per cento) sono ben al di sopra del livello italiano;
parallelamente al rafforzamento della rete degli ammortizzatori sociali, il Governo ha agito aumentando il reddito disponibile per le famiglie: nella fase in cui i tassi di interesse stavano ancora salendo è intervenuto fissando il tetto del 4 per cento per gli interessi variabili dei contratti di mutuo; è stata poi istituita la social card per gli acquisti di prima necessità e il bonus per il pagamento dell'energia elettrica e del gas; senza tralasciare la moratoria sui mutui, essenziale strumento per garantire di superare gli effetti della perdita del lavoro, e l'esenzione totale dall'imposta comunale sugli immobili per l'unità immobiliare adibita ad abitazione principale;
sono stati numerosi anche gli interventi governativi a favore delle imprese: sono state detassate le prestazioni di lavoro straordinario ed è stata introdotta la detrazione del 10 per cento dell'irap dall'ire; per favorire, soprattutto, le piccole imprese è stato posticipato il pagamento dell'imposta sul valore aggiunto al momento dell'effettivo incasso delle fatture; è stata concessa la rivalutazione degli immobili iscritti a bilancio a fronte del pagamento di un'imposta sostitutiva; è stata introdotta la cosiddetta «Tremonti-ter», che ha consentito di riavviare gli investimenti in macchinari da parte delle imprese; alcuni tra i settori industriali più importanti, quali quello automobilistico, quello tessile e quello degli elettrodomestici, sono stati, altresì, supportati con la previsione di appositi incentivi;
si sono manifestati nella prima parte del 2010, sotto il profilo macroeconomico, alcuni segnali di ripresa, che, però, non consentono ancora di considerare definitivamente superata la crisi in cui si trovano tutte le economie dei Paesi avanzati ed è, perciò, necessario continuare a concentrare gli sforzi sui temi del sostegno allo sviluppo;
le previsioni relative ai principali saldi di finanza pubblica del bilancio confermano gli ottimi risultati conseguiti dal Governo nella sua azione di stabilizzazione della finanza pubblica, che ha ottenuto il pieno consenso degli organismi dell'Unione europea;
le previsioni relative al 2011 registrano una riduzione del saldo netto da finanziare rispetto all'assestamento per il 2010, determinata da una riduzione delle spese finali e da un incremento delle entrate finali;
nonostante il difficile quadro economico, che sta certamente incidendo in modo molto negativo sull'andamento del gettito, le entrate tributarie dovrebbero registrare, nel 2011, un incremento pari ad oltre 4 miliardi di euro; a fronte di una riduzione del gettito dell'ires, delle imposte sostitutive e delle imposte sulla produzione e sui consumi, si prevede, per il 2011, un netto incremento del gettito dell'iva, una crescita del gettito ire e delle imposte e tasse sugli affari, nonché un lieve incremento delle entrate derivanti dai comparti dei monopoli e dei giochi;
le azioni di politica fiscale dovranno necessariamente tenere conto del progressivo completamento del processo di attuazione del federalismo fiscale, obiettivo primario del Governo, tanto che, già dopo pochi mesi dal proprio insediamento, l'11 settembre 2008 il Consiglio dei ministri aveva approvato la bozza di disegno di legge delega in materia di federalismo fiscale;
il federalismo fiscale costituisce l'unico modo per razionalizzare e controllare in modo efficace una parte vasta della finanza pubblica italiana, dove per controllo si intende, oltre al nuovo meccanismo di stabilizzazione finanziaria, soprattutto il controllo democratico esercitato dai cittadini sui livelli di governo che sono a loro più prossimi; è l'unica riforma in grado di porre rimedio alla stortura politica ed economica della nostra finanza pubblica: il rapporto democratico fondamentale no taxation without representation, che è presente, seppure in varie forme, in tutti gli altri Paesi europei, in Italia è stato chiaramente distorto, provocando la crescita esponenziale del debito pubblico; a livello locale chi «rappresenta» e spende, non tassa; a livello centrale, all'opposto, si tassa, ma non si «rappresenta» per l'intero e non si spende per l'intero, essendo il Governo centrale in questo ruolo in vasta parte asimmetricamente sostituito dai Governi regionali e locali;
il primo decreto di attuazione della legge delega in materia di federalismo fiscale ha completato il proprio iter ed è quello in materia di federalismo demaniale (decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85); per ragioni che affondano nel processo di costruzione dello Stato unitario, il demanio ha centralizzato tutto, logorando valori reali e bruciando chance potenziali; per evitare questi effetti negativi, il decreto legislativo n. 85 del 2010 mira a sviluppare il processo di valorizzazione del patrimonio pubblico, attraverso l'attribuzione dei beni ai territori dove questi hanno avuto la loro origine storica e dove hanno la loro ubicazione fisica; questo processo, secondo la Corte dei conti, da un lato può offrire un volano finanziario per specifici interventi di riqualificazione del territorio e, dall'altro, può rappresentare un'importante opportunità per rivedere e per potenziare le possibilità di utilizzo di un patrimonio spesso, specie nel passato, trascurato o messo a reddito in maniera inadeguata;
altri due decreti legislativi hanno già completato il proprio iter: quello relativo all'ordinamento transitorio di Roma capitale e quello relativo ai fabbisogni standard di comuni, città metropolitane e province;
il graduale passaggio dal criterio della spesa storica a quello del fabbisogno standard è, tra i principi fondamentali della delega, il più importante; attraverso una metodologia basata su forti elementi di accompagnamento e condivisione, debitamente strutturata e mirata riguardo all'ambito dei fabbisogni standard, si riuscirà là dove nel passato hanno ripetutamente fallito le formule calate dall'alto;
per quanto riguarda le regioni, il Governo sta individuando nuovi e puntuali strumenti di verifica che consentano di superare i deficit informativi esistenti e attivare meccanismi di certificazione; verrà assunto come parametro un pool di regioni ad alto livello di prestazioni, da utilizzare come standard ottimale di riferimento, e ci si baserà su un nuovo modello di governo responsabile, basato sulla determinazione da parte della Conferenza Stato-regioni di linee guida occorrenti per la messa a punto dei costi standard; è necessario, infatti, introdurre tutte le procedure di certificazione e di controllo dei dati che permettono una reale conoscenza e verifica dei dati di spesa, superando i limiti del sistema attuale, dove addirittura una regione non aveva dati contabili attendibili e dove i piani di rientro faticano ad essere rispettati; il decreto in materia di autonomia di entrata delle regioni traccia un quadro impositivo più chiaro e semplice, con la rimodulazione dell'addizionale regionale all'irpef che andrà a garantire al complesso delle regioni entrate corrispondenti ai trasferimenti statali e alla quota derivante dalla compartecipazione all'accisa sulla benzina e darà la possibilità alle regioni di introdurre diverse detrazioni o deduzioni, per meglio caratterizzare le singole politiche fiscali; potranno ridurre l'irap e godranno di una maggiore compartecipazione all'iva;
altro decreto legislativo, già approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri, è quello relativo all'autonomia impositiva dei comuni, nel quale si prevede la devoluzione ai comuni del gettito delle imposte sugli immobili ubicate nel loro territorio; in particolare, saranno trasferite: l'imposta di registro e di bollo, quella ipotecaria e catastale, l'irpef in relazione ai redditi fondiari (escluso il reddito agrario), l'imposta di registro e di bollo sui contratti di locazione degli immobili, i tributi speciali catastali, tasse ipotecarie e la cedolare secca sugli affitti ordinari con aliquota pari al 20 per cento; la cedolare sostituirà l'irpef sugli affitti, l'imposta di registro e di bollo e consentirà l'emersione di una grossa fetta di locazioni in nero; dal 2014 arriverà poi l'imposta municipale che toccherà il possesso degli immobili, prima casa esclusa, e il loro trasferimento in caso di vendita, donazione o eredità. La nuova «imposta municipale propria» sostituirà le imposte applicate agli immobili e l'aliquota potrà essere ritoccata dai comuni, in aumento o diminuzione;
il Governo, ha, inoltre, già avviato il progetto complessivo di riforma del sistema fiscale, necessariamente collegato alla riforma federalista in itinere; tale riforma sarà indubbiamente fondamentale per rendere concrete le prospettive di sviluppo del nostro Paese; la riforma dovrà necessariamente adeguare il fisco ai nuovi modelli economici, competitivi, sociali, ambientali e istituzionali, dovrà trasferire parte della tassazione diretta a quella indiretta, semplificare il sistema fiscale e gli adempimenti e, coerentemente con l'assetto federalista, responsabilizzare maggiormente tutti i soggetti che operano decisioni di spesa, anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali;
tale riforma dovrebbe trovare la più ampia condivisione possibile tra la società civile, gli operatori economici e, naturalmente, le forze politiche, in modo che possa costituire per gli operatori economici una certezza nel lungo periodo,

impegna il Governo:

a portare a compimento rapidamente la riforma in senso federalista del fisco italiano, prontamente avviata da questo Governo, con la definitiva approvazione dei decreti legislativi di attuazione della legge delega;
a proseguire in un'azione di politica economica che coniughi l'esigenza di garantire la sostenibilità di lungo periodo degli equilibri di bilancio con quella di sostegno alla domanda, senza tralasciare gli interventi infrastrutturali e la vigilanza sul sistema bancario, affinché venga garantito al sistema produttivo e alle famiglie l'accesso al credito, fondamentale in questa fase di crisi acuta;
a proseguire nell'azione di contrasto all'evasione ed all'elusione fiscale, privilegiando le attività di accertamento di carattere non formale, intensificando i controlli nel settore dei giochi pubblici, al fine anche di limitare il gioco illegale e le infiltrazioni criminali, incentivando una sempre maggiore partecipazione dei comuni, al fine di recuperare gettito e non incrementare la pressione fiscale sui contribuenti onesti;
a proseguire nell'azione di contrasto all'evasione contributiva, al lavoro nero e alle false pensioni di invalidità;
ad avviare un processo di riforma complessiva del sistema tributario, che deve essere prioritariamente orientato alle seguenti finalità:
a) dare piena attuazione allo statuto dei diritti del contribuente, al fine di assicurare una maggiore stabilità della normativa tributaria e di dare un maggiore equilibrio nei rapporti tra fisco e contribuenti;
b) semplificare la normativa ed alleggerire gli oneri amministrativi gravanti sui contribuenti e sugli intermediari, riducendo il numero di imposte e tasse esistenti;
c) vigilare affinché le attività di accertamento e di verifica fiscale da parte dell'amministrazione finanziaria siano sempre svolte nel pieno rispetto del contribuente, minimizzando gli oneri burocratici sulle imprese, soprattutto di piccole dimensioni, garantendo, inoltre, un'equilibrata distribuzione sul territorio nazionale delle attività di accertamento, tenendo conto a tal fine del fatto che in alcune aree del Paese il fenomeno del sommerso presenta dimensioni particolarmente rilevanti;
d) favorire una sempre più stretta collaborazione tra le amministrazioni coinvolte nell'attività di rilievo fiscale, in particolare attraverso un maggiore coinvolgimento dei comuni e degli altri enti locali, alla luce del connesso processo di attuazione della delega sul federalismo fiscale, nonché mediante l'integrazione delle banche dati pubbliche;
e) ridurre progressivamente la pressione fiscale, in particolare sulle imprese di piccole e medie dimensioni, sulle famiglie e sul lavoro dipendente, con una graduale introduzione del principio del quoziente familiare;
f) distribuire in maniera migliore il carico impositivo, alleggerendo i redditi da lavoro dipendente, i redditi d'impresa di natura non speculativa ed i redditi da lavoro autonomo, anche attraverso il progressivo passaggio dalla tassazione sui redditi alla tassazione sui consumi e sulle rendite, mantenendo comunque immutata la tassazione sui titoli del debito pubblico;
g) privilegiare alcuni obiettivi prioritari per lo sviluppo del Paese, quali il sostegno alla famiglia, il sostegno all'imprenditoria giovanile, la promozione della ricerca e dell'innovazione, la capitalizzazione delle imprese, il miglioramento del capitale umano, la razionalizzazione del sistema delle detrazioni e delle deduzioni, che risulta oggi particolarmente complesso e farraginoso;
h) rivedere la tassazione energetica, al fine di incentivare minori consumi energetici e l'impiego di combustibili a minore impatto ambientale;
i) valutare l'opportunità di apportare ulteriori correttivi alla disciplina sulla rateizzazione dei debiti tributari e contributivi, in particolare introducendo in tale ambito alcuni ulteriori elementi di flessibilità, tali da consentire agli agenti della riscossione, in presenza di condizioni oggettive ed in un quadro di garanzia degli interessi erariali, di tenere conto delle difficoltà che alcuni contribuenti ed imprese incontrano ad onorare i propri debiti tributari a causa della crisi economica in atto, al fine di evitare che il mancato pagamento di una sola rata comporti la decadenza dal beneficio della rateizzazione, con conseguenze negative sia per il contribuente interessato sia l'erario stesso;
l) assumere tutte le iniziative di natura fiscale in sede comunitaria al fine di tutelare il made in Italy e di censurare e contrastare le azioni messe in atto dai Paesi extracomunitari per alterare la leale concorrenza, in modo che le nostre aziende possano concorrere con quelle dell'Estremo Oriente ad armi pari;
m) riformare la giustizia tributaria, riducendo i tempi del contenzioso e riaffermando la capacità di tale settore di fornire un servizio adeguato alle evoluzioni del contesto economico e normativo, al fine di contribuire a migliorare il contraddittorio tra fisco e cittadini e di assicurare il giusto equilibrio tra le esigenze di tutela dei diritti dei contribuenti e gli interessi dell'erario.
(1-00501)
«Reguzzoni, Luciano Dussin, Fogliato, Lussana, Montagnoli, Alessandri, Allasia, Bitonci, Bonino, Bragantini, Buonanno, Callegari, Cavallotto, Chiappori, Comaroli, Consiglio, Crosio, Dal Lago, D'Amico, Desiderati, Di Vizia, Guido Dussin, Fava, Fedriga, Follegot, Forcolin, Fugatti, Gidoni, Goisis, Grimoldi, Isidori, Lanzarin, Maggioni, Molgora, Laura Molteni, Nicola Molteni, Munerato, Negro, Paolini, Pastore, Pini, Pirovano, Polledri, Rainieri, Rivolta, Rondini, Simonetti, Togni, Torazzi, Vanalli, Volpi, Stucchi, Caparini, Dozzo».
(22 novembre 2010)
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).

La Camera,
premesso che:
la decisione di finanza pubblica prevede che la pressione tributaria aumenterà di 0,3 punti percentuali, nonostante il venir meno di 0,8 punti di gettito da interventi straordinari, primo fra tutti lo scudo fiscale. Ciò sembrerebbe implicare che, secondo la decisione di finanza pubblica, il mancato recupero dell'evasione e l'auspicato dividendo della crescita si tradurranno inevitabilmente in un aumento delle imposte;
secondo fonti statistiche ufficiali, invece, il livello della pressione fiscale, complice del declino economico del Paese, è stimato al di sopra del 43 per cento, contro il livello medio rilevato nell'Unione europea, esclusa l'Italia, del 38,5 per cento;
dal 1980 al 2009 si è prodotto un incremento della pressione fiscale pari a 12,2 punti percentuali. Tale aumento, realizzatosi per la maggior parte tra gli anni '80 e i primi anni '90, ha interessato solo la pressione tributaria (variata dal 17,9 per cento del 1980 al 30,1 per cento del 2009) e non la pressione contributiva (stabile intorno al 13 per cento in tutto il periodo considerato), generando, quindi, un incremento della tassazione che ha riguardato in modo esclusivo i lavoratori dipendenti e i pensionati e che, nei trent'anni in esame, ha prodotto per questi ultimi una perdita (a prezzi costanti) pari a 3.285 euro annui, che equivalgono a circa 274 euro mensili;
la possibilità di ridurre il prelievo fiscale può essere realisticamente legata solo al recupero dell'evasione: nel complesso circa 120 miliardi di mancato gettito, pari a 8 punti di prodotto interno lordo;
la curva dell'evasione fiscale italiana negli ultimi anni ha ripreso a crescere. L'intensità dell'evasione è del 9,24 per cento nell'industria, del 23,82 nelle costruzioni, del 41,89 nei servizi alle famiglie, del 46,41 nei servizi alle imprese, del 54,58 nel commercio e del 70,57 nell'agricoltura, ove l'evasione assomma quasi ai tre quarti del reddito dichiarato;
l'evasione fiscale continua ad aumentare, grazie anche ad una normativa fiscale priva dei necessari correttivi e ad una condotta sociale, etica e morale deplorevole. Una concreta azione di contrasto, in questo senso, consentirebbe di diminuire il peso della fiscalità sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, sui pensionati e sulle imprese. In tal senso il contrasto all'evasione richiede che non siano tracciabili solo i redditi da lavoro dipendente e pensione e tutti i redditi finanziari prodotti in Italia, ma che lo siano anche gli altri redditi;
il recupero dell'evasione richiede non solo misure adeguate, ma anche quella continuità di indirizzo tecnico e politico che è venuta meno negli anni e ha visto solo nell'ultimo biennio tiepidi segnali di inversione di tendenza;
una politica fiscale rigorosa, che intenda attuare con determinazione la lotta all'evasione fiscale, azione necessaria per riportare equità nel sostegno del carico fiscale, impone un sistema di regole certe ed eque, che non possono essere continuamente cambiate, ed un'amministrazione finanziaria efficiente che garantisca coerenza, prevedibilità ed equilibrio nei rapporti con il cittadino. Contestualmente ad una semplificazione del sistema fiscale, occorre mettere in campo nuove misure che siano in grado di arginare il più possibile il fenomeno dell'evasione fiscale, radicando nelle persone e sul territorio una cultura della legalità fiscale;
occorre, inoltre, creare un modello organizzativo che risponda alle esigenze proprie del nuovo scenario delineato dal federalismo fiscale, senza sovrapposizioni, duplicazioni e confusione di ruoli, utilizzando al meglio le sinergie e le esperienze consolidatesi negli ultimi anni;
una riforma fiscale che persegua obiettivi di maggiore equità e maggiore efficienza può avvenire non solo attraverso la riduzione della pressione impositiva, ma, soprattutto, grazie alla redistribuzione del prelievo;
è in questo contesto che da più parti si evoca l'introduzione del quoziente familiare, con il quale si indicano generiche politiche di sostegno alla famiglia attuate attraverso lo strumento fiscale, ma del quale manca ancora una formulazione articolata e condivisa;
il sistema tributario italiano, oltre a non riconoscere la famiglia come soggetto economicamente unitario, si caratterizza anche per una singolare contraddizione: esso si fonda sulla tassazione a base individuale (che a parità di reddito penalizza le famiglie monoreddito) e, contemporaneamente, determina le tariffe sulla base del reddito familiare, se non addirittura sul patrimonio della famiglia;
in termini di equità, occorre ricordare che il carico fiscale deve essere commisurato alla capacità contributiva di ciascun cittadino, come afferma anche la stessa Costituzione all'articolo 53. Ma la capacità contributiva è un concetto di complessa definizione, di cui il reddito è solo uno degli indicatori. A parità di reddito familiare, il benessere di ciascun membro cambia al variare delle dimensioni della famiglia, mentre a parità di reddito individuale il benessere del singolo dipende dalla numerosità e dalle risorse della famiglia cui appartiene: se si considerano tali differenze nel benessere individuale e/o familiare come indicatori di differenti capacità contributive, allora si rende necessario quantificarle e tenerne conto nel calcolo dell'imposta dovuta;
tutti gli indicatori economici e sociali non sono migliorati con una regressione economica e sociale che pone di continuo il Mezzogiorno agli ultimi posti per reddito, occupazione e vivibilità;
con riferimento alle imprese del Mezzogiorno, il sistema produttivo è legato a fattori strutturali di debolezza che riguardano le dimensioni piccole o piccolissime delle imprese di quest'area, spesso a gestione familiare, operanti prevalentemente in settori a basso valore aggiunto e con una scarsa propensione a investire nell'innovazione, nella ricerca e nello sviluppo. Tra le condizioni di contesto capaci di favorire, nel medio periodo, la crescita del sistema economico meridionale c'è, senza dubbio, anche la crescita degli investimenti in ricerca ed innovazione, che devono essere la risposta forte alla perdita di competitività delle produzioni e dei servizi rispetto a quelli dei Paesi emergenti e a quelli dei Paesi tecnologicamente più avanzati;
l'Italia sembra smarcarsi dalla nuova tendenza degli altri Paesi europei, che, per recuperare risorse e per dare il senso dell'equità alle manovre di bilancio, non esitano a ritoccare le aliquote per i redditi alti e ad elevare il prelievo sulle rendite finanziarie, che oggi, nella media, si aggira intorno al 20 per cento;
in Europa il livello di tassazione sulle rendite finanziarie non è inferiore al 20 per cento. Nel contesto europeo l'Italia presenta un'aliquota bassa, 12,5 per cento, dell'imposta sui capital gain e sui redditi delle attività finanziarie percepiti dalle persone fisiche al di fuori dell'esercizio di attività di impresa, soprattutto se paragonata a quelle gravanti sul reddito da lavoro o pensione e sugli utili d'impresa. Al contrario, l'imposta sostitutiva gravante sugli interessi da depositi bancari, tradizionalmente fonte di risparmio per i contribuenti più «poveri», è piuttosto elevata, il 27 per cento. Uniformare queste due aliquote al 20 per cento, dunque, risulta del tutto auspicabile, anche per conseguire una maggiore equità orizzontale rispetto ai redditi da lavoro, riducendo la distanza tra prelievo finanziario e prelievo sul lavoro dipendente. L'incremento della tassazione non dovrebbe, però, riguardare i titoli del debito pubblico, che rimarrebbero dunque tassati al 12,5 per cento,

impegna il Governo:

a destinare in via prioritaria le maggiori entrate derivanti dalla lotta all'evasione fiscale, permanenti ed eccedenti gli obiettivi di risanamento, ad iniziative per la riduzione della pressione fiscale finalizzate al conseguimento degli obiettivi di sviluppo ed equità sociale;
ad assumere iniziative volte a prevedere forme di credito di imposta automatico sugli investimenti in ricerca, innovazione e formazione, nell'ambito di un più vasto sistema di fisco premiale per le imprese che tenga conto anche della loro responsabilità sociale;
ad adottare iniziative per introdurre nel sistema tributario, dopo averne valutato i profili di compatibilità con la disciplina dell'Unione europea, anche sulla scia delle ultime scelte operate da Governo e Parlamento in tema di zone franche urbane, meccanismi virtuosi come la fiscalità di vantaggio, al fine di favorire lo sviluppo del tessuto produttivo dei territori meridionali, puntando, soprattutto, sul rafforzamento dei legami di rete e di cooperazione;
ad assumere iniziative, anche di carattere normativo, volte ad introdurre in tempi rapidi un sistema di agevolazioni fiscali per i nuclei familiari con figli, considerando l'opportunità di procedere all'avvio progressivo del quoziente familiare;
ad avviare un percorso di armonizzazione alla media europea dell'aliquota sui redditi derivanti da operazioni finanziarie di natura speculativa.
(1-00502)
«Commercio, Lo Monte, Latteri, Lombardo, Misiti, Brugger».
(22 novembre 2010)
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).

La Camera,
premesso che:
il Governo ha affrontato con efficacia la grave crisi economico-finanziaria che ha colpito il Paese, varando una serie di provvedimenti che hanno evitato all'economia italiana conseguenze gravi che, invece, hanno colpito altri Paesi dell'Unione europea;
il Governo ha attuato una politica tributaria indirizzata al mantenimento della solidità dei conti pubblici, nella piena consapevolezza delle difficoltà derivanti dall'instabilità finanziaria e dall'ammontare particolarmente alto del debito pubblico ereditato dal passato;
nonostante un quadro certamente non favorevole, il Governo ha accentuato l'azione di contrasto all'evasione fiscale, varando una serie di provvedimenti che avranno certamente un effetto positivo che si dovrebbe sostanziare in una maggiore entrata, stimata dalla decisione di finanza pubblica in circa lo 0,5 per cento del prodotto interno lordo;
detti provvedimenti dovrebbero consentire di ottenere nel 2011 un incremento del gettito fiscale pari a 4 miliardi di euro;
appare opportuno che la riforma fiscale redistribuisca il carico tributario, spostando una parte della tassazione diretta a quella indiretta, e punti ad una semplificazione del sistema fiscale e dei relativi adempimenti;
è necessario che la riforma fiscale riduca gli effetti dannosi sulla crescita determinati dalla tassazione e responsabilizzi i soggetti che operano decisioni di spesa, anche mediante il coinvolgimento delle amministrazioni locali;
la politica fiscale del Governo non potrà non tenere conto dell'evoluzione in senso federale del sistema di imposizione fiscale, che determinerà una maggiore responsabilizzazione delle regioni e degli enti locali che dovranno spendere le proprie risorse con maggiore oculatezza, evitando sperperi e un utilizzo inappropriato delle stesse;
il Governo ha stabilito di dar corso ad un progetto di riforma complessiva del sistema fiscale, inserito negli obiettivi programmatici per il prossimo futuro e nel programma nazionale di riforma presentato alla Commissione europea nel quadro del semestre europeo;
sull'economia del Mezzogiorno grava ormai da decenni un'arretratezza che lo separa dal resto del Paese;
il Governo si è impegnato a varare in tempi rapidi il piano per il Sud;
è auspicabile che la riforma del sistema tributario sia realizzata in una prospettiva di ampio respiro, tenendo in debita considerazione la particolare situazione nella quale versa l'economia delle regioni meridionali,

impegna il Governo:

a portare avanti una politica economica capace di coniugare l'esigenza di garantire gli equilibri di bilancio con la necessità di liberare il più possibile risorse da destinare al sostegno della domanda e ad interventi infrastrutturali, in particolar modo nell'area dell'obiettivo 1 (Campania, Basilicata, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna);
a proseguire nell'azione di sostegno al regime di fiscalità di vantaggio nelle aree deboli del Paese, in particolare nelle regioni meridionali;
a perseverare nell'azione di contrasto all'evasione ed all'elusione fiscale;
ad avviare un processo di riforma complessiva del sistema tributario;
a perseguire l'obiettivo della riduzione della pressione fiscale, in particolare sulle imprese di piccole e medie dimensioni, sulle famiglie e sul lavoro dipendente;
ad elaborare degli strumenti di natura tributaria che tutelino la famiglia;
a perseguire l'obiettivo della razionalizzazione del sistema delle detrazioni e delle deduzioni, oggi significativamente complesso.
(1-00505)
«Sardelli, Ruvolo, Belcastro, Gaglione, Gianni, Iannaccone, Mannino, Milo, Pisacane, Porfidia, Romano».
(22 novembre 2010)
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).

MOZIONE DI PIETRO ED ALTRI N. 1-00475 CONCERNENTE REVOCA DI DELEGHE AL MINISTRO PER LA SEMPLIFICAZIONE NORMATIVA, SENATORE ROBERTO CALDEROLI

Mozione

La Camera,
premesso che:
mercoledì 13 ottobre 2010 il gruppo parlamentare dell'Italia dei Valori, durante il question time alla Camera dei deputati, ha interrogato il Ministro per la semplificazione normativa, onorevole Calderoli, per sapere se il Governo fosse consapevole delle conseguenze dell'aver determinato con propri atti l'abrogazione di un decreto legislativo, per il quale diversi esponenti leghisti sono sottoposti a giudizio con l'accusa di aver organizzato un'associazione di carattere militare con scopi politici (interrogazione n. 3-01271);
il decreto legislativo abrogato di cui si parla nell'interrogazione è il n. 43 del 1948, che punisce chiunque «promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni di carattere militare, le quali perseguono, anche indirettamente, scopi politici, costituite mediante l'inquadramento degli associati in corpi, reparti o nuclei, con disciplina ed ordinamento gerarchico interno analoghi a quelli militari, con l'eventuale adozione di gradi o di uniformi, e con organizzazione atta anche all'impiego collettivo in azioni di violenza o di minaccia»;
la punizione del reato di cui al decreto legislativo n. 43 del 1948 deriva direttamente dall'articolo 18, secondo comma, della Costituzione, che vieta espressamente «le associazioni che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare» e protegge valori fondamentali come la democrazia, l'integrità dello Stato e l'unità nazionale, la sicurezza dello Stato e dei cittadini, l'ordine pubblico;
l'abrogazione del decreto legislativo n. 43 del 1948 è contenuta nel decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, all'articolo 2268, numero 297 dell'elenco, recante il Codice dell'ordinamento militare. Le disposizioni che riguardano l'ordinamento militare sono state rivisitate alla luce della delega contenuta nella legge 28 novembre 2005, n. 246, sulla semplificazione e riassetto della legislazione, cosiddetta taglia leggi;
il riferimento alla legge delega sulla semplificazione normativa è contenuto nel preambolo del decreto legislativo n. 66 del 2010, dove è richiamato, in particolare, l'articolo 14;
il citato articolo 14, da un lato, esclude esplicitamente dalla delega data al Governo quelle «disposizioni la cui abrogazione comporterebbe lesione dei diritti costituzionali» (comma 14, lettera c)), dall'altro stabilisce che con decreti legislativi il Governo deve individuare le disposizioni legislative statali, pubblicate anteriormente al 1o gennaio 1970, delle quali si ritiene «indispensabile» (espressione testualmente contenuta tra i principi e criteri direttivi della delega) la permanenza in vigore, secondo i principi e criteri direttivi fissati nel comma 14 dell'articolo 14;
sulla base della delega citata in precedenza, il 1o dicembre 2009, il Governo ha approvato il decreto legislativo n. 179 del 2009, il cui schema è stato approvato dal Consiglio dei ministri il 12 giugno 2009, recante l'elenco delle leggi anteriori al 1970, la cui permanenza in vigore è ritenuta «indispensabile». Tra queste leggi indispensabili vi è il decreto legislativo n. 43 del 1948, di cui si sta parlando;
il decreto legislativo n. 43 del 1948, come sopra riportato, si ritrova successivamente nell'elenco delle leggi abrogate dal Codice dell'ordinamento militare, il cui schema è stato approvato dal Consiglio dei ministri il 15 dicembre 2009;
pertanto, in solo sei mesi, il decreto legislativo n. 43 del 1948 è passato dall'essere una legge «indispensabile» per l'ordinamento italiano, ad essere invece abrogato, nonostante non sia stata data nessuna delega al Governo per la sua abrogazione, e per di più in un atto, il Codice dell'ordinamento militare, con il quale non ha nulla da condividere dal punto di vista sistematico e logico-giuridico;
la lettura della «Relazione generale al Codice dell'ordinamento militare», che accompagna lo schema di decreto legislativo inviato alle Camere per il prescritto parere, mette in evidenza, se mai ci fossero dubbi, l'incongruità della presenza del decreto legislativo n. 43 del 1948 rispetto alla materia che veniva riordinata e, al contempo, la lettura dell'indice sistematico del Codice ne appalesa la sua estraneità;
si ribadisce che il Parlamento non aveva delegato il Governo ad abrogare il decreto legislativo n. 43 del 1948 per espressi riferimenti legislativi: la sua abrogazione viola diritti costituzionali (legge 28 novembre 2005, n. 246, articolo 14, comma 14, lettera c)); il decreto legislativo n. 179 del 2009, lo ha inserito nell'elenco delle leggi la cui permanenza in vigore è ritenuta «indispensabile»;
la notizia dell'inserimento del decreto legislativo n. 43 del 1948 nell'elenco delle leggi abrogate dal Codice dell'ordinamento militare era stata data in un articolo del 2 ottobre 2010 de Il Fatto Quotidiano, ma anche in un articolo de la Padania dello stesso giorno;
a seguito della pubblicazione dei predetti articoli di stampa, l'Italia dei Valori ha chiesto al Governo di far pubblicare in Gazzetta ufficiale un avviso di rettifica, tecnicamente un «comunicato» - per il quale bastava un solo rigo - per eliminare il predetto decreto legislativo dall'elenco di quelli da abrogare. Al Governo, quale organo costituzionale, è infatti sempre riservato uno spazio in Gazzetta Ufficiale per pubblicazioni urgenti e dell'ultim'ora;
la richiesta è stata avanzata dall'Italia dei Valori a più riprese, a partire dal 3 ottobre 2010 ed il Governo poteva apportare tale modifica fino al 9 ottobre 2010, data di entrata in vigore del Codice dell'ordinamento militare. Dopo tale data, infatti, al Governo non sarebbe più stato possibile intervenire con un avviso di rettifica, ma sarebbe stato necessario approvare una nuova legge o atto avente forza di legge, per reintrodurre il reato che dal 9 ottobre 2010 è abrogato a tutti gli effetti;
si sottolinea che dall'8 maggio 2010, data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto legislativo, il Governo ha apportato ben 196 correzioni tra Codice e regolamento dell'ordinamento militare. Comunicati del Governo che correggono il Codice sono stati pubblicati, ad esempio, nelle Gazzette ufficiali del 7 settembre 2010, n. 209, e del 30 settembre 2010, n. 229. Numerose di queste correzioni riguardano proprio l'eliminazione di leggi e atti aventi forza di legge dall'elenco di quelle abrogate;
nel comunicato del 7 settembre 2010, ad esempio, sono salvati dall'abrogazione articoli di svariate leggi e atti aventi valore di legge, come il decreto del Presidente della Repubblica del 3 maggio 1957, n. 686; il decreto-legge 24 aprile 1997, n. 108; il decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 165; la legge 29 ottobre 1997, n. 374; il regio decreto 25 ottobre 1938, n. 2005;
nel comunicato del 30 settembre 2010, ad esempio, sono salvati dall'abrogazione articoli di svariate leggi e atti aventi valore di legge, come il decreto legislativo 28 novembre 1997, n. 459; il decreto-legge 29 dicembre 2000, n. 393; il decreto legislativo 8 maggio 2001, n. 215; la legge 11 agosto 2003, n. 231; la legge 3 agosto 2007, n. 124;
durante la risposta al question time in Assemblea alla Camera dei deputati, il Ministro Calderoli ha usato toni sarcastici per riferire che:
a) l'abrogazione del decreto legislativo n. 43 del 1948 non aveva nulla a che fare con la delega contenuta nel cosiddetto taglia leggi «ma fa parte della realizzazione del Codice dell'ordinamento militare»;
b) il suo inserimento nell'elenco delle leggi da abrogare era stato deciso da un comitato scientifico;
c) il Governo non poteva cancellarlo dall'elenco delle leggi abrogate, facendo pubblicare in Gazzetta Ufficiale un proprio avviso di rettifica prima che il Codice dell'ordinamento militare entrasse in vigore;
le risposte del Ministro Calderoli sono del tutte destituite di fondamento, come risulta da quanto precede e sono smentite sia dal Ministero della difesa, che dal presidente della commissione scientifica che ha redatto gli schemi dei provvedimenti normativi recanti il Codice dell'ordinamento militare;
il Ministero della difesa, intervenuto con proprio comunicato stampa il 2 ottobre 2010, ha fatto sapere di aver chiesto «alla presidenza del Consiglio dei Ministri la possibilità di fare una rettifica al Codice dell'ordinamento militare», per eliminare il decreto legislativo n. 43 del 1948 dall'elenco delle leggi abrogate;
con lettera del 15 ottobre 2010, indirizzata al Ministro Calderoli e all'onorevole Donadi, il consigliere di Stato Vito Poli, presidente del comitato scientifico che ha provveduto all'elaborazione degli schemi dei provvedimenti normativi recanti il Codice dell'ordinamento militare, ha comunicato che:
a) «nessun componente del comitato scientifico ha proposto (o inserito nel relativo elenco) l'abrogazione del decreto legislativo n. 43 del 1948»;
b) «l'inserimento del decreto legislativo n. 43 del 1948 costituisce evidente errore materiale (occorso nella redazione del documento), risultando assolutamente incoerente, dal punto di vista logico-giuridico, con quanto dallo stesso legislatore delegato disposto nella stesura del decreto legislativo n. 179 del 2009 (cosiddetto salva leggi) che ha espressamente salvato il decreto legislativo n. 43 del 1948 dal cosiddetto effetto ghigliottina previsto per il 15 dicembre 2010»;
c) «in ogni caso, quanto alla praticabilità dell'avviso di rettifica, tempestivamente attivato dal capo dell'ufficio legislativo del Ministero della difesa e condiviso dalla Presidenza del Consiglio, poi interrotto per esplicito diniego opposto dall'ufficio legislativo del Ministro per la semplificazione normativa (come già riferito dallo scrivente al Segretario generale della presidenza del Consiglio dei ministri in data 7 ottobre 2010), si segnala la pacifica giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte di cassazione» in base alla quale il Governo può intervenire a eliminare errori materiali nonché per correggere «originari fraintendimenti del legislatore»;
il giorno 9 ottobre 2010, con l'entrata in vigore del Codice dell'ordinamento militare, il reato previsto e punito dal decreto legislativo n. 43 del 1948, è sparito dal nostro ordinamento. Pertanto, tutti i procedimenti penali attualmente in corso per i reati di cui al predetto decreto verranno terminati con un'archiviazione o una sentenza di assoluzione perché il reato non esiste più, anche se il Parlamento in futuro dovesse reintrodurre quel reato;
alla luce di tutto quanto precede, in particolare dalla lettera del consigliere di Stato, appare sussistere la responsabilità di chi ha inserito o fatto inserire il decreto legislativo n. 43 del 1948 nell'elenco delle leggi da abrogare, oppure si è attivamente opposto alla sua eliminazione da quell'elenco e ha voluto mantenere l'eliminazione del reato di «associazione di carattere militare, con scopi anche indirettamente politici» dal nostro ordinamento, in assenza di qualsiasi delega e in violazione del precetto costituzionale;
tale responsabilità appare assumere gravissima rilevanza, innanzitutto politica, se messa in relazione con il procedimento in corso a Verona a carico di 36 leghisti facenti parte delle brigate della «guardia nazionale padana» per il reato di associazione a carattere militare con scopi politici; procedimento nel quale erano indagati anche diversi deputati e Ministri leghisti, tra cui Bossi, Maroni e Calderoli, usciti dal processo grazie all'immunità parlamentare;
appare verosimile, infatti, che l'inserimento del decreto legislativo n. 43 del 1948 nell'elenco delle leggi da abrogare, sia stato finalizzato a favorire i leghisti facenti parte delle brigate della «guardia nazionale padana» e a far terminare il processo contro di loro con un'archiviazione o una sentenza di assoluzione perché il reato non esiste più;
rischia di apparire non casuale che sia stato proprio uno degli avvocati che difende gli imputati della «guardia nazionale padana» la prima persona ad accorgersi dell'abrogazione di questo reato, ritrovandolo nascosto in un elenco di migliaia di leggi (il solo elenco recato dall'articolo 2268 del Codice dell'ordinamento militare contiene 1085 norme primarie abrogate): prima ancora che se ne accorgessero i Ministeri coinvolti nella redazione dei decreti, la commissione scientifica che quel reato non ha inserito nell'elenco, il Parlamento chiamato a dare il proprio parere e la stampa. Durante l'udienza svoltasi presso il tribunale di Verona il 1o ottobre 2010, l'avvocato ha preso la parola per comunicare che il reato non sarebbe più esistito a partire dal 9 ottobre, come riportato da Il Fatto Quotidiano del 2 ottobre, già citato. Se quell'avvocato non l'avesse detto, forse ci si sarebbe accorti di quest'abrogazione tra molto tempo;
in tutta questa vicenda, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, ci sono chiare, gravi e incontrovertibili responsabilità del Ministro leghista Roberto Calderoli, il cui ufficio legislativo ha opposto diniego alla pubblicazione dell'avviso di rettifica, «tempestivamente attivato dal capo dell'ufficio legislativo del Ministero della difesa e condiviso dalla Presidenza del Consiglio»;
il Ministro Calderoli ha mentito al Parlamento rispondendo al question time dell'IDV e, ad avvisto dei firmatari del presente atto di indirizzo, ha abusato della sua funzione di Ministro opponendosi nei primi giorni di ottobre a far eseguire una rettifica, che solo pochi giorni prima, il 30 settembre, aveva invece autorizzato con riferimento alla rettifica relativa ad altre leggi inserite nel Codice dell'ordinamento militare;
nella lettera aperta che il Ministro Calderoli ha inviato al Presidente della Camera dei deputati ha affermato che il supposto erroneo inserimento del decreto legislativo n. 43 del 1948 nell'elenco degli atti di legislazione primaria da abrogare è da ascrivere unicamente al Ministero della difesa, che avrebbe gestito da solo, anche informaticamente, la preparazione dello schema di testo di decreto legislativo, fino alla sua diramazione da parte del Dipartimento affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei ministri (Dagl);
tale affermazione, insieme a tutte le altre fatte dal Ministro Calderoli nella lettera citata, dimostrano incontrovertibilmente che, se pur si volessero non ascrivere a malizia i suoi comportamenti, egli ha quantomeno esercitato con palese negligenza le funzioni di coordinamento, di indirizzo, di vigilanza e di verifica relative alla semplificazione normativa, delegategli dal Presidente del Consiglio dei ministri con decreto del Presidente del Consiglio del 13 giugno 2008;
infatti, queste deleghe stabiliscono, tra l'altro, che egli: coordini tutte le attività di attuazione del cosiddetto taglia leggi e competenze connesse; predisponga e co-proponga le iniziative dirette al riordino o alla semplificazione della normativa vigente, anche per mezzo di testi unici - qual è il caso del testo di cui si discute e - cosa ancora più rilevante - segnali, negli schemi di atti normativi, le eventuali complicazioni, ovvero le proposte che non appaiono giustificate in relazione agli obiettivi nazionali o comunitari di semplificazione;
il Ministro Calderoli, pertanto, non solo poteva, ma anzi doveva ed era responsabile - ancora prima che il Consiglio dei ministri approvasse lo schema di decreto legislativo, oltre che successivamente - dell'eliminazione dagli elenchi delle leggi da abrogare del decreto legislativo che puniva il reato di associazione di carattere militare con scopi anche indirettamente politici,

impegna il Governo

a revocare immediatamente dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 13 giugno 2008, contenente «Delega di funzioni del Presidente del Consiglio dei Ministri in materia di semplificazione normativa» le funzioni di coordinamento, di indirizzo, di promozione di iniziative, anche normative, di vigilanza e verifica, delegate al senatore Roberto Calderoli, indicate all'articolo 2, comma 1, lettere a), b), c), d), e), f), e g), nonché all'articolo 3, comma 1, lettere a) e c).
(1-00475)
«Di Pietro, Donadi, Evangelisti, Borghesi, Barbato, Cambursano, Cimadoro, Di Stanislao, Di Giuseppe, Favia, Aniello Formisano, Messina, Monai, Mura, Leoluca Orlando, Paladini, Palagiano, Palomba, Piffari, Porcino, Razzi, Rota, Scilipoti, Zazzera».