XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 416 di mercoledì 12 gennaio 2011

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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO FINI

La seduta comincia alle 10.05.

DONATO LAMORTE, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 23 dicembre 2010.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Bocchino, Brugger, Brunetta, Caparini, Colucci, D'Alema, Dal Lago, Donadi, Gregorio Fontana, Franceschini, Lo Monte, Martini, Leoluca Orlando, Ravetto, Reguzzoni, Sardelli, Stucchi, Tabacci e Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente sessantaquattro, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Trasferimento a Commissione in sede legislativa del disegno di legge n. 2260-bis-B.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'assegnazione di un disegno di legge a Commissione in sede legislativa.
Propongo alla Camera l'assegnazione in sede legislativa del seguente disegno di legge, della quale la sottoindicata Commissione ha chiesto il trasferimento in sede legislativa ai sensi dell'articolo 92, comma 6, del Regolamento:

alla XIII Commissione (Agricoltura):
S. 2363 - «Disposizioni in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari» (Approvato dalla Camera e modificato dalla IX Commissione permanente del Senato) (2260-bis-B).

Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito.
(Così rimane stabilito).

Discussione delle mozioni Mazzocchi ed altri n. 1-00486, Fioroni ed altri 1-00515, Casini, Bocchino, Mosella ed altri n. 1-00516, Leoluca Orlando ed altri n. 1-00518 e Reguzzoni ed altri n. 1-00520 concernenti iniziative volte a far cessare le persecuzioni nei confronti dei cristiani nel mondo.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Mazzocchi ed altri n. 1-00486 (Ulteriore nuova formulazione), Fioroni ed altri 1-00515, Casini, Bocchino, Mosella ed altri n. 1-00516, Leoluca Orlando ed altri n. 1-00518 e Reguzzoni ed altri n. 1-00520 concernenti iniziative volte a far cessare le persecuzioni nei confronti dei cristiani nel mondo (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto altresì che: alla mozione Mazzocchi ed altri n. 1-00486 (Ulteriore nuova formulazione)Pag. 2è stato presentato l'emendamento Maurizio Turco n. 1- 00486/1; alla mozione Fioroni ed altri 1-00515 è stato presentato l'emendamento Maurizio Turco n. 1-00515/1; alla mozione Casini, Bocchino, Mosella ed altri n. 1-00516 è stato presentato l'emendamento Maurizio Turco ed altri n. 1-00516/1; alla mozione Leoluca Orlando ed altri n. 1-00518 è stato presentato l'emendamento Maurizio Turco n. 1-00518/1; alla mozione Reguzzoni ed altri n. 1-00520 è stato presentato l'emendamento Maurizio Turco n. 1-00520/1.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Saluto gli studenti e gli insegnanti del Liceo francese Chateaubriand, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
È iscritto a parlare l'onorevole Mosella, che illustrerà anche la mozione Casini, Bocchino, Mosella ed altri n. 1-00516. Ne ha facoltà.

DONATO RENATO MOSELLA. Signor Presidente, onorevoli colleghi e colleghe, siamo di fronte ad una questione di enorme rilevanza, le cui implicazioni mettono in gioco il futuro stesso dell'umanità, della pace e del progresso: il diritto di ogni essere umano di praticare in assoluta libertà il proprio credo religioso. Sembrava un diritto acquisito, un frutto tra i più belli della modernità riconosciuto nella seconda metà del secolo scorso dalle principali organizzazioni internazionali e dai Paesi aderenti come diritto fondamentale della persona.
Oggi dobbiamo amaramente constatare che così non è, che la storia e la civiltà rischiano di tornare indietro. La strage dei fedeli copti ad Alessandria d'Egitto e, appena ieri, la sparatoria su un treno nei pressi di Samalout che ha provocato la morte di un uomo e il ferimento di altre persone, sono episodi di una catena di eventi diffusi sui quali, probabilmente, abbiamo avuto il torto di essere troppo distratti o troppo ottimisti.
Negli ultimi anni l'intolleranza religiosa ha fatto vittime quasi in ogni angolo del mondo: in Algeria, in Indonesia (soprattutto nell'isola di Giava), nelle Filippine, in India, in Pakistan, nella vicina ex-Jugoslavia, in Sudan, in Nigeria (l'elenco è lungo e mostra di volersi allungare ancora).
Il nostro errore è stato probabilmente quello di considerare ogni volta questi episodi frutto di una specifica situazione propria di un singolo Paese, invece di considerare il fenomeno nella sua escalation globale. Oggi nel mirino degli integralismi ci sono soprattutto le minoranze cristiane, perciò l'ingiustizia, l'orrore, l'indignazione e la preoccupazione li sentiamo più nostri. Nel cercare soluzioni, però, abbiamo l'obbligo di darci orizzonti più ampi, di fermare il crescendo di questo fenomeno che minaccia alle radici la possibilità di una convivenza pacifica tra i popoli. Nulla è più pericoloso dell'intolleranza religiosa.
L'Europa l'ha sperimentato sulla propria pelle nel corso dei secoli. L'instaurarsi di un'Italia e di un'Europa multiculturali può avvenire in modo equilibrato e sereno solo a condizione di sgomberare il campo da qualsiasi intolleranza religiosa, oltre che razziale. Anche per questo sta all'Europa farsi paladina di una sua strategia internazionale che difenda e reinstauri ovunque il diritto di ciascuno di professare la propria fede, garantendo il rispetto assoluto della libertà di religione ovunque e comunque, come chiediamo con questa nostra mozione.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fioroni, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00515. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE FIORONI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, oggi il Parlamento - la Camera dei deputati questa mattina ed il Senato della Repubblica nel pomeriggio - è chiamato a dare una risposta unita e forte all'ultima delle tragedie avvenute ad Alessandria d'Egitto. Pag. 3Dobbiamo dare una risposta che segni un'attenzione diversa alle violenze che, da anni, colpiscono i cristiani nel mondo. Dobbiamo dare al Governo un indirizzo ed un unanime sostegno. Sottolineo l'espressione «unanime sostegno» perché credo che, se hanno un senso il dibattito e l'iniziativa che abbiamo preso tutti in questo Parlamento, con tali mozioni, esso sia quello di saper poi dare un messaggio unico ed unitario sulla volontà degli obiettivi che intendiamo perseguire, obiettivi che ci consentano di passare rapidamente dalle parole ai fatti, ma, soprattutto, di rompere il muro del silenzio e dell'indifferenza.
L'indifferenza che è stata scandita, in tanti lunghi anni, da una forma di ignoranza - dove ignoranza sta per ignorare e non conoscere - o, peggio ancora, dalla banale considerazione che occuparsi della violazione delle libertà religiose e delle violenze contro i cristiani sia qualcosa di marginale, poco moderno e, quindi, come tale superfluo da porre all'attenzione di Parlamenti o di Governi.
Ma anche per un altro aspetto, che reputo ancora più importante, si è generata tanta indifferenza, ossia il fatto che per noi occidentali è difficile comprendere che i cristiani possono essere minoranza, che ci sia un Oriente, ad esempio, dove non sono la parte forte di quell'area. Ma questa nostra indifferenza ci ha portato inevitabilmente a negare le sofferenze ed a bloccare anche quelle mobilitazioni che dovevano essere indispensabili. Quante volte abbiamo detto che dovevamo evitare ingerenze perché dalle ingerenze o dall'appalesarsi troppo forte di interventi poteva derivare un rischio per le minoranze cristiane, che, ad esempio in Oriente, sbagliando, sono viste non come autoctone, ma come importate, come un'emanazione dall'Occidente? Ma questa indifferenza è progressivamente diventata una colpevole indifferenza e, quando di fronte a violenze sistematiche e quotidiane ci si gira dall'altra parte, questa è l'anticamera di un ritorno all'oscurantismo.
Dobbiamo ammettere anche, a mio avviso, che alcuni grandi mezzi di comunicazione internazionale, spesso perseguendo un aggressivo laicismo nella comunicazione stessa, hanno portato ad una svalutazione implicita dei rischi e dei gravi fatti che, a livello internazionale, si stavano realizzando.
Dobbiamo allora superare quella politica della semplice condanna che tante volte, anche in quest'Aula, abbiamo attuato nel corso degli anni e del cordoglio all'indomani di gravi atti di violenza. Dobbiamo segnare l'inizio di una sensibilità ed un'attenzione diversa, non di fronte alle grandi tragedie, ma a quelle quotidiane violenze e a quelle morti silenziose che hanno rappresentato le pietre militari che hanno scandito il trascorrere di questi ultimi anni.
Violenze diffuse, omicidi distribuiti nel mondo: America, Asia, Africa. Nel decennio tra il 1980 e il 1989 sono stati uccisi 115 missionari. Nel periodo 1990-2000 ne sono stati uccisi 604 compresi 204 del Rwanda. Nel 2001-2009 ne sono stati uccisi 230. Nel solo anno 2010, lo scorso anno, credo che nessuno di noi si rammenti che sono stati uccisi ventitré operatori pastorali, un vescovo, quindici sacerdoti, due religiosi, due seminaristi e tre laici. In Iraq sotto Saddam Hussein erano presenti un milione e mezzo di cristiani, oggi ne sono rimasti venticinquemila. Nel Sudan meridionale dove si sta combattendo per l'indipendenza sono morti negli ultimi anni tra cristiani e animisti non meno di due milioni di persone, per non parlare delle sofferenze e delle vittime dei regimi comunisti e di quanto sta accadendo ancora in Cina ai danni dei cristiani. E tanto altro ancora. Che cosa dire della donna pakistana che rischia di morire per blasfemia perché tale è ritenuta la non abiura della fede che vuole professare?
Tutto questo ci riguarda direttamente, tutta questa violenza contro i cristiani ci riguarda. In un mondo globalizzato nessuno di noi può più pensare che siamo schermabili, divisibili dalla barbarie e dagli orrori. La negazione della libertà religiosa ci coinvolge, scuote alla radice la democrazia in cui viviamo, l'umanità così Pag. 4come la conosciamo oggi. Senza il rispetto dell'altro, senza la sacralità della persona nulla sarà più uguale neanche per noi. Tutto sarà più a rischio.
Anche culturalmente riflettiamo su due parole, su due termini: tolleranza e scontri di religione. Sono un modo sbagliato di esprimere un distratto e dannoso silenzio rispetto a quello che ci accade intorno. Non sono frutto di una riflessione attenta. Pensare che nella libertà religiosa bisogna essere tolleranti - pensiamo anche nella nostra Italia - significa ammettere che dobbiamo rifare un esercizio nel nostro comportamento che ci porti a tollerare chi ci disturba o chi ci infastidisce e purtroppo ci disturba e ci infastidisce chi semplicemente magari professa una fede diversa dalla nostra.
Dunque, in questo mondo globalizzato la tolleranza, quando si parla di libertà religiosa e di diritti umani, non può altro che esigere il dialogo, l'ascolto, il rispetto delle diversità, l'accoglienza ed è un valore che non va solo predicato ma praticato e per questo anche espressioni preoccupanti di questa intolleranza nel nostro Paese per fedi diverse da quella cristiana e per i luoghi di culto non sono altro che un elemento che rischiano di aggiungere benzina ad un fuoco che può partire e tanto meno questi valori possono essere mercanteggiati. Solo così si battono gli integralismi di chi persegue società omogenee sul piano confessionale e sul piano culturale. Pensiamo ad una società omogenea sul piano confessionale e culturale in Paesi particolari come l'Egitto, la Turchia, la Palestina così importanti per il nostro Paese, per l'Europa e per il mondo occidentale.
Anche l'espressione «scontro di religione» non è corretta perché quello che è successo ad Alessandria o nel corso degli omicidi commessi dal 1980 ad oggi non è riferibile ad uno scontro di religione, perché lo scontro c'è quando vi sono due contendenti, ma quando un contendente è rappresentato soltanto da chi intende professare e testimoniare la propria fede e pregare nel proprio luogo di culto non possiamo assolutamente parlare di scontri di religione. Più che scontro di religione o scontro tra civiltà - diciamoci la verità - è uno scontro entro ciascuna civiltà tra opposte visioni di convivenza e di interazione tra confessioni religiose, tra culture e tra nazioni.
Dobbiamo contribuire a costruire nel mondo un equilibrio giusto ed aperto che riguarda tutti, credenti e non credenti, di qualsiasi confessione religiosa. Un equilibrio giusto ed aperto tra verità e libertà, la verità che ciascun credente ritiene elemento fondamentale di un proprio diritto di testimoniare ciò che si crede.
Infatti senza la verità non si è veramente liberi, ma non dobbiamo mai dimenticare che questo non può mai, in alcun modo, ledere la libertà individuale, la libertà religiosa e la libertà della persona, perché senza la libertà non vi è verità che possa rendere veramente liberi, ma senza libertà esiste solo la schiavitù.
Per tutto questo sono certo che oggi approveremo una mozione comune, un impegno unanime, che dia la possibilità al nostro Governo di operare in sede di Comunità europea e in sede ONU, affinché cessi una forma sistematica di indifferenza e si diventi più attivi, non solo nella vigilanza e nel monitoraggio, ma anche nella prevenzione e nell'intervento dove serve e si abbia anche la volontà e la forza - e questo riguarda direttamente il nostro Governo - di ribadire e di praticare che non vi sono interessi economici e finanziari, tanto meno aiuti o collaborazioni, con chi viola i diritti umani e la libertà religiosa. Non vi è più possibilità di seguire una doppia morale in questo ambito, perché non vi è più la possibilità di continuare a girarsi dall'altra parte ancora una volta (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico e di deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mazzocchi, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00486 (Ulteriore nuova formulazione). Ne ha facoltà.

ANTONIO MAZZOCCHI. Onorevole Presidente e onorevoli colleghi, il teologo Pag. 5Hans Küng in un suo libro scrive: «Non c'è pace tra le Nazioni senza pace tra le religioni» ed aggiunge: «Non c'è pace tra le regioni senza dialogo tra le religioni». Io credo che quello che si è verificato in questi ultimi tempi, soprattutto nei Paesi del Medio Oriente, sia la risultanza di una mancanza di dialogo fra le varie religioni, che ha dato adito, nel corso dei secoli, a formazioni integraliste nei singoli Paesi, con punte di un fondamentalismo che volutamente confonde la politica con la religione e che attribuisce alla religione stessa atti di violenza e di discriminazione, che provengono unicamente da scellerate scelte politiche.
Nell'Occidente inoltre si è lentamente dato vita ad un relativismo culturale attraverso il quale si tende a cancellare tutti quei principi e quei valori portati avanti nei secoli dal cristianesimo, annullando l'innegabile ruolo storico e culturale che esso stesso ha avuto. Questo relativismo, soprattutto in Italia, ha creato, anche attraverso i mass media, delle coscienze distratte e indifferenti a tutto ciò che potesse colpire l'essere cristiano. Non solo, ma un anticlericalismo portato avanti da frange radicali ha messo in discussione persino il concetto di uno Stato laico, che si basa sull'autonomia tra Stato e Chiesa, nel rispetto della libertà di ogni culto.
I nostri stessi padri costituenti, nel redigere l'atto fondante della Repubblica, in tutti gli interventi di ogni parte politica hanno sottolineato come, tra le varie libertà messe a garanzia per una Repubblica democratica, la libertà di religione debba essere considerata come un diritto essenziale, che coinvolge direttamente la coscienza di ogni persona ed un principio di civiltà e di democrazia sia per i credenti sia per i non credenti. Ma dobbiamo avere anche il coraggio e l'umiltà, colleghi, di ammettere che, nonostante nel corso di questi anni si siano susseguiti dei veri massacri nei confronti dei cristiani nel mondo, la politica è rimasta indifferente o, meglio, si è affidata ad un formalismo diplomatico che non solo non ha risolto il problema, ma ha rafforzato il fondamentalismo islamico di fronte ad un debole Occidente.
Sono più di sette anni che insieme ad alcuni sacerdoti coraggiosi andiamo denunciando la cristianofobia, sottolineando in alcuni nostri articoli il fatto che secondo le stime dell'ONU sarebbero 200 milioni i cristiani nel mondo che stanno subendo persecuzioni e violenze. Quando insieme alla collega Souad Sbai abbiamo organizzato una veglia per i cristiani in Oriente, non abbiamo avuto un grande riscontro da parte di coloro che oggi fortunatamente prendono atto della grave situazione nel mondo. Al 70 per cento della popolazione mondiale è negata la libertà di culto. Su 100 persone che muoiono per motivi religiosi 75 sono cristiani. Ebbene, di fronte a questi dati non vi è dubbio che tutte le forze politiche di questo Parlamento si debbano sentire coinvolte.
In tutte le mozioni presentate vi è una risposta positiva al messaggio che il 1o gennaio Benedetto XVI ha rivolto a tutti gli uomini di buona volontà. Abbiamo bisogno di pace, perché senza pace non vi è sviluppo né progresso, non vi è sicurezza né giustizia.
Dobbiamo dare atto al Governo di essersi fatto promotore di una politica attiva a difesa di libertà di coscienza e di religione ovunque nel mondo, e in particolare nel Medio Oriente. Il Governo Berlusconi, all'interno dell'Unione europea, ha proposto un piano di azione che rafforzerà l'impegno e il coordinamento dei Paesi europei per il rispetto della libertà religiosa nel mondo. Ma ciò non basta. Nella stessa Europa, il livello di intolleranza religiosa si sta alzando pericolosamente e se, da un lato, trova la sua origine in un fondamentalismo gretto e ottuso, dall'altro, trova la sua complicità nell'indifferenza di una cultura marchiata da un crescente relativismo.
Ecco perché è necessario promuovere in Italia, nelle scuole e in ogni ambito culturale, la sensibilità alle tematiche della libertà religiosa, insieme alla vita e alla famiglia, valori universali non disponibili e Pag. 6che non possono essere messi in discussione da un relativismo culturale che, di fatto, lentamente introduce anche in Italia un concetto latente di cristianofobia.
Diamo atto al Ministro Frattini non solo di avere interessato le ambasciate estere dei Paesi coinvolti da questi fenomeni drammatici, ma, a livello internazionale, di avere più volte denunciato il fatto che la libertà di religione ed i diritti umani costituiscono la premessa fondamentale per una civile convivenza dei popoli, fatta anche di accordi commerciali o diplomatici bilaterali o multilaterali che sono stipulati a condizione di una effettiva rispondenza degli Stati contraenti ai requisiti di tolleranza e libertà religiose.
Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, la seduta di oggi potrebbe rappresentare un'occasione storica per il nostro Paese. Le mozioni presentate da tutti i partiti ribadiscono con fermezza che il presupposto per una democrazia è il rispetto di tutti quei diritti umani nati in Europa da quelle radici cristiane, che ci indicano una forte vocazione alla pace e al rispetto per tutti gli uomini, ma anche la profonda convinzione che, senza libertà religiosa, tutte le altre libertà diventano fittizie ed ogni altro diritto può essere travolto e calpestato.
Ritengo che il gruppo del Popolo della Libertà ritirerà la mozione, per trovare, come diceva il collega Fioroni, una soluzione unitaria. Ebbene, proprio attraverso una mozione unitaria oggi, da questo Parlamento, possiamo lanciare un appello all'Europa e al mondo che l'Italia non ha nessuna voglia di restare in silenzio. Vogliamo difendere non solo una cultura millenaria, che è stata protagonista della nostra storia e rimane la guida etica dell'occidente, ma una più ampia e importante libertà.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

ANTONIO MAZZOCCHI. La libertà religiosa, e concludo, è la madre di tutte le libertà: la libertà di credere, di esprimersi e di vivere in un mondo dove la pace e la tolleranza siano dei valori fuori discussione.
Con questa mozione unitaria, che il collega Farina esporrà, solo il rispetto della libertà di religione e dei diritti umani possono essere la premessa fondamentale per l'affermazione dei valori della pace e della civile convivenza di popoli (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Leoluca Orlando, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00518. Ne ha facoltà.

LEOLUCA ORLANDO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, sono chiamato ad illustrare la mozione presentata dal gruppo dell'Italia dei Valori, da me e dal collega Fabio Evangelisti.
I contenuti della mozione vengono da me interamente confermati, ma al tempo stesso preannunzio il ritiro della stessa per consentire a quest'Aula di pervenire ad un testo unitario di risoluzione. Riteniamo, infatti, che il tema in discussione riguardi la radice stessa della nostra Costituzione, la radice stessa della nostra adesione alle dichiarazioni internazionali dei diritti dell'uomo e riguarda essenzialmente un aspetto che non può più essere relegato nell'episodica condanna di episodi di violenza. Siamo in presenza di una vera e propria sistematica e organica persecuzione nei riguardi dei cristiani, che si collega, in maniera drammatica, ad una forma dilagante di intolleranza religiosa che mette in crisi quella che per noi è una delle libertà fondamentali, la libertà religiosa, che è la libertà di credere, la libertà di non credere, la libertà di cambiare la propria fede religiosa.
Ed è per questo che abbiamo registrato con preoccupazione, in questi ultimi tempi, un fenomeno che oramai ha una dimensione, come dicevo, sistemica: questa persecuzione sistematica dei cristiani sta diffondendo nel mondo una vera e propria cristianofobia. È una spia drammatica, convinti come siamo che la libertà religiosa sia la via per la pace, come è stato autorevolmente richiamato e ricordato.
Mai come adesso, mai come in questo sistema globale, mai come in questo Pag. 7mondo contemporaneo, la libertà religiosa viene pervertita e mortificata con finalità che sono alternative rispetto ad un mondo di pace.
Per questo, siamo convinti che occorra dispiegare ogni forma di legittima pressione nei riguardi delle diverse realtà del mondo in sede diplomatica e che occorra promuovere, nelle scuole e nella società, la massima conoscenza del valore costituzionale della libertà religiosa. Un riconoscimento pieno e forte della libertà di vivere e professare la propria fede, ma anche, al tempo stesso, di cambiare religione o credo.
Siamo convinti, infatti, che questa risoluzione unitaria che cerchiamo di realizzare - e in nome della quale ho già comunicato il ritiro della mozione n. 1-00518, presentata da me e dal collega Evangelisti a nome dell'intero gruppo - sia e debba essere lo specchio forte di una laicità vera, che, ovviamente, prescinde dalle deformazioni del laicismo, così come da quelle del fondamentalismo. Il fondamentalismo è un'offesa alla fede, ancorché si presenta come una forma di esaltazione suprema della fede religiosa. Allo stesso modo, un eccesso di laicismo finisce con l'essere una mortificazione della fede per quanti credono e per quanti non credono.
In termini operativi e concreti, ritengo sia opportuno ricordare che il 31 gennaio è convocato il Consiglio dei ministri dell'Unione europea: sarà certamente una sede importante per porre il tema di una sensibilità diversa rispetto alle minoranze religiose nel mondo e, nello specifico, rispetto a questa pericolosa crescita di una cristianofobia che, sicuramente, è la spia di un malessere anche più ampio e che riguarda ogni forma di manifestazione religiosa, ancorché diversa dal cristianesimo.
Tuttavia, in questa sede, il fenomeno che vogliamo denunciare è l'autentica persecuzione sistematica nei confronti dei cristiani in alcuni Paesi del mondo, nonché la crescente diffusione di questo fenomeno anche in Paesi come l'Egitto, i quali fino ad ora hanno cercato - tra mille difficoltà, nonostante tutto - di mantenere il rispetto della comunità cristiana copta. Tutto ciò ormai è diventato una spia che non può lasciarci indifferenti, se è vero come è vero che in tantissimi Paesi a prevalente religione musulmana vi è rispetto per il cristianesimo, ma in altri, invece, si verificano fenomeni di intolleranza che rischiano di essere contagiosi e di contaminare l'assetto stesso della pace nel mondo.
È per questo motivo che torno all'affermazione iniziale: riconoscere la libertà religiosa non è soltanto un modo per rispettare la nostra Carta costituzionale, non è soltanto un modo per prestare ossequio alla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo che tutti accettiamo e condividiamo, ma è anche un modo concreto, in questo terzo millennio, per costruire un mondo di pace (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori e di deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Avverto che è stata testé presentata la mozione Iannaccone ed altri n. 1-00521 (Vedi l'allegato A - Mozioni). Il relativo testo è in distribuzione.
È iscritto a parlare l'onorevole Ruvolo, che illustrerà la mozione Iannaccone ed altri n. 1-00521, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE RUVOLO. Signor Presidente, intervengo per esporre la mozione Iannaccone ed altri n. 1-00521, del gruppo Misto-Noi Sud Libertà e Autonomia, I Popolari di Italia Domani.
La strage di fratelli cristiani ad Alessandria durante la notte di capodanno pone con forza il problema delle vittime di discriminazione religiosa. Questo episodio si aggiunge ad altri, come quello dello scorso Natale 2010, quando un musulmano aprì il fuoco su alcuni cristiani che uscivano dalla chiesa subito dopo la messa. Nel sud dell'Egitto sette persone rimasero uccise.
Sempre ad Alessandria, nell'aprile 2006, un musulmano attaccò tre diverse chiese, accoltellando tutti quelli che gli capitavano a tiro e dandosi successivamente alla fuga. Il Ministro dell'interno Pag. 8dichiarò che l'attentatore era affetto da infermità mentale.
Sono stati dichiarati innocenti dal tribunale gli assassini di più di venti cristiani che persero la vita negli incidenti nel gennaio del 2000. Non appena si scopre un qualsiasi tentativo di pregare in una casa o in un condominio, la gente comune si precipita a distruggere, bruciare e uccidere.
In nome dei cristiani e senza consultarli, alcuni musulmani rispondono che i cristiani godono di una completa libertà di culto, ma nessuno di loro vuole parlare di libertà di coscienza, né si permette ai cristiani di raccontare quanto soffrono.
Non possiamo quindi dimenticare che l'11 gennaio vi è stato un attacco anticristiano in un villaggio della Nigeria, con tredici vittime innocenti; ieri, in Egitto, una cristiano è stato ucciso su un treno. Siamo idealmente vicini a tutte le vittime delle persecuzioni religiose. I martiri di Alessandria sono quelli del terzo millennio e devono scuotere la coscienza di ognuno di noi. Non possiamo restare insensibile e inerti, non possiamo girare lo sguardo dall'altra parte: l'attacco verso i cristiani avviene attraverso il terrorismo come espressione della violenza più cieca e folle che colpisce in ogni luogo e perfino nei luoghi di culto. È una malattia che si diffonde con il fanatismo e con l'odio. È apprezzabile il desiderio di organizzare per i prossimi giorni a Beirut una conferenza dei leader religiosi arabi nel corso della quale sarà deliberato un decreto religioso che equipara gli attacchi contro i cristiani e contro la chiesa agli attentati contro i musulmani e contro le moschee. L'accordo suddetto già esiste; questa è la risposta dell'Islam agli estremisti che attaccano i cristiani perché non differenziano tra Occidente e cristianità e, ritenendosi in conflitto con l'Occidente, attaccano i cristiani quando non sono in grado di perpetrare direttamente le loro azioni contro l'Occidente. Allo stesso modo vanno attentamente valutate le sollecitazioni di quelle comunità che intervengono per dare una risposta coerente e concreta per contrastare il fanatismo religioso con misure più incisive nei confronti dei provocatori e degli agitatori che, attraverso i giornali, i media, le prediche, incoraggiano in modo diretto o indiretto azioni fanatiche.
Questo si può ottenere con una diversa disciplina per gli edifici religiosi, con una legge sullo statuto personale dei cristiani, con una legge che proibisca la discriminazione religiosa e punisca con severità i trasgressori, con l'affermazione di comune cittadinanza, con la ristrutturazione completa dei percorsi educativi per depurarli di ogni aspetto legato alla discriminazione. Vanno affrontate allora le questioni che risiedono nel contrasto dei predicatori dell'odio, nella disciplina degli edifici religiosi, nei percorsi educativi per purificarli dalle discriminazioni e nell'incoraggiamento alla vita democratica. Una riflessione dunque sulla condizione di tutte le minoranze, etniche e religiose, del mondo si impone. Il conflitto religioso viene utilizzato a fini politici: in Egitto, come in altre parti del mondo, vi è il rifiuto del dialogo e della pace per promuovere il rifiuto dei cristiani a fermare la pulizia etnica. Certo, sullo sfondo c'è il ruolo dell'Egitto, le elezioni presidenziali dopo il ventennio di Mubarak sono un caso solo egiziano oppure qualcos'altro? È di certo un attacco all'Egitto nel tentativo di minarne la stabilità, di distruggerlo dall'interno. Apprezziamo le manifestazioni di solidarietà espresse verso i connazionali vittime del terrorismo. A livello locale si è registrata una diffusa solidarietà islamo-cristiana che si è manifestata in cortei e manifestazioni, alcuni pacifici, altri accompagnati da episodi di violenza. L'attenzione deve essere posta sulle discriminazioni religiose quotidiane che i cristiani subiscono in Egitto come in altri angoli della terra. Siamo preoccupati per la crescita del fondamentalismo in un Paese che si definisce laico e tollerante. Riteniamo una inutile tensione diplomatica il richiamo dell'ambasciatore egiziano presso la Santa Sede da parte del Governo egiziano, valutata come interferenza nelle parole di Sua Santità Benedetto XVI che ha chiesto con forza e chiarezza la protezione per i cristiani. In molte parti del Pag. 9mondo milioni di persone soffrono per la loro condizione religiosa, vittima di legislazioni discriminatorie. La libertà religiosa va difesa, non si può essere distratti o peggio ancora assenti di fronte a prevaricazioni discriminatorie in vaste aree del nostro pianeta. Apprezziamo le parole del Presidente Napolitano che nel suo messaggio a Sua Santità Benedetto XVI non ha mancato di sottolineare le sue preoccupazioni per gli episodi di violenza e di persecuzione verso le comunità cristiane.
La religione può dare molto alla crescita armonica del mondo, ripeteva Giovanni Paolo II. Non vi è solo il problema dell'Egitto: vediamo, infatti, un'intolleranza crescente negli islamici; non possiamo restare insensibili a quanto accade in Cina, in Iraq, in Pakistan e in Africa.
Siamo sostenitori convinti dei diritti sanciti nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Dobbiamo essere coerenti e svolgere ogni azione in ogni consesso internazionale, in Europa come nell'ONU, affinché quei diritti religiosi, i diritti di culto, siano salvaguardati e difesi.
Auspichiamo una forte azione del Governo affinché svolga un ruolo propositivo ed efficace a sostegno della libertà religiosa, affermando la cultura della solidarietà internazionale sul terreno dei valori irrinunciabili, che appartengono all'uomo in quanto tale.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Laura Molteni, che illustrerà anche la mozione Reguzzoni ed altri n. 1-00520, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

LAURA MOLTENI. Signor Presidente, bisogna soprattutto premettere che in Egitto, negli ultimi anni, hanno avuto luogo parecchi atti di violenza ricorrenti contro i cristiani copti, che in Egitto sono circa il 10 per cento degli 80 milioni di cittadini. In merito esiste infatti una risoluzione del Parlamento europeo del 15 novembre del 2007.
L'attentato del 31 dicembre scorso contro la chiesa dei santi ad Alessandria d'Egitto ha mostrato l'acuirsi del fenomeno diffuso della violenza e persecuzione dei cristiani nel mondo. Precedendo gli eventi drammatici dell'attentato terroristico contro la comunità cristiano copta, Sua Santità Benedetto XVI, nel tradizionale discorso prenatalizio alla Curia romana, aveva rivolto un appello a tutte le persone con responsabilità politica e religiosa perché si fermi la cristianofobia.
Durante l'Angelus del 1o gennaio 2011, il Papa Benedetto XVI, tornando sull'argomento, ha espresso un messaggio volto a promuovere la libertà religiosa quale via per la pace, e mostrando anche una sensibile preoccupazione per la crescita esponenziale dei fenomeni di persecuzione dei cristiani nel mondo, ribadendo come oggi assistiamo a due tendenze opposte, due estremi, entrambi negativi: da una parte, il laicismo, che in modo spesso subdolo emargina la religione per confinarla nella sfera privata; dall'altro, il fondamentalismo, che invece vorrebbe imporla a tutti con la forza.
In merito al laicismo, voglio aggiungere che questo non è solo collegato ad una visione relativistica della società, ma è spesso purtroppo espressione di una sinistra radicale che attacca i valori fondanti della nostra società e civiltà. Valori che, introdotti dal cristianesimo, sono propri della nostra civiltà, quali, ad esempio, quello della famiglia e della tutela della vita. Il laicismo, purtroppo, è anche a volte il pretesto per ignorare le persecuzioni di cui oggi sono vittima soprattutto i cristiani nel mondo intero.
Il Ministro degli affari esteri, Franco Frattini, il giorno dopo la strage di Alessandria d'Egitto, è intervenuto prontamente con una richiesta ufficiale all'Unione europea affinché porti avanti iniziative in difesa della libertà religiosa e prenda posizione contro l'escalation di violenza che colpisce i cristiani.
Il Ministro, inoltre, ha sottolineato come il tema della protezione dei cristiani, che sono vittime di una vera e propria persecuzione in tanti Paesi, richiede un'azione concreta dell'Europa, auspicando che già dal mese di gennaio il Pag. 10Consiglio dei Ministri degli esteri esamini l'argomento, discuta, tragga delle conclusioni e delle decisioni.
Ebbene, nella giornata di ieri, il Governo egiziano, così come riportato da una agenzia di stampa, ha richiamato per consultazioni l'ambasciatrice presso la Santa Sede, definendo le nuove dichiarazioni del Papa un'ingerenza inaccettabile negli affari interni dell'Egitto. Inoltre, leggendo a stralcio sempre la stessa notizia di agenzia, è intervenuto nuovamente anche l'Imam di Al Azhar, Ahmed El Tayeb, che già il 2 gennaio aveva accusato il Papa di indebito intervento nelle questioni egiziane e di non aver difeso i musulmani che morivano in Iraq.
Secondo quanto ha riferito il portavoce del più grande centro teologico sunnita, Mohammed Refaa al-Tahtawi, riferendosi al discorso di ieri di Benedetto XVI agli ambasciatori presso la Santa Sede, l'Imam ha ribadito il suo «no» ad ingerenze estere negli affari interni dei Paesi arabi musulmani, sotto qualsiasi pretesto.
Ogni Paese ha il diritto di approvare leggi a protezione della sicurezza nazionale (proseguo nella lettura sempre della stessa agenzia di stampa) e sociale, ha affermato El-Tayeb. Con il dovuto rispetto per le dichiarazioni di Benedetto XVI - ha proseguito - affermiamo che la protezione dei cristiani è un affare interno garantito dallo Stato, perché sono cittadini che hanno diritto come tutti gli altri concittadini.
Ebbene, se nella reazione dell'imam El-Tayeb la richiesta di una tutela dei cristiani è ritenuta come una ingerenza nella politica egiziana, definendo l'attentato come un attentato all'Egitto intero, e cioè alla pacifica convivenza ormai praticata da più di un millennio tra cristiani e musulmani, è altrettanto evidente che l'invito del Papa ad una piena libertà religiosa dia fastidio ad un Egitto dove i cristiani copti sono di gran lunga numericamente inferiori sul piano politico e sono sporadicamente, ma con continuità, vittime di attentati da parte dei musulmani. Probabilmente, intervenendo a difendere la libertà dei cristiani, la fisionomia istituzionale dell'Egitto dovrebbe tenere maggiormente conto dei copti presenti in quel Paese. Resta però il problema di quanto l'Islam sia disponibile a un dialogo laico e non voglia, piuttosto, cedere alle tentazioni del terrorismo.
Nell'omelia Ratzinger ha infine invitato a portare una solidarietà fattiva alle comunità cristiane perseguitate in Iraq e in tutto il Medio Oriente. Inoltre, contrariamente a quanto comunemente si pensa, è stato di gran lunga il Novecento il secolo del più grande massacro dei cristiani. Nel periodo che va dalla rivoluzione francese ad oggi, ma in particolare nel XX secolo, sono state scatenate persecuzioni mai viste in duemila anni per ferocia, vastità, durata e quantità di vittime. Ben 45.500.000 sono stati i martiri cristiani di questo secolo. Il fenomeno è stato ben illustrato in un articolo del professor Ernesto Galli della Loggia in un editoriale apparso su Il Corriere della Sera del 14 maggio 2000.
Secondo il rapporto annuale sulla libertà religiosa nel mondo dell'associazione «Aiuto alla Chiesa che soffre», risulta che sono più di sessanta le nazioni nel mondo dove si verificano gravi violazioni del diritto alla libertà religiosa dei propri cittadini. I Paesi più evidenti sono sotto gli occhi di tutti: l'Iraq e qui voglio ricordare una sorta di pulizia etnica che riguarda le varie denominazioni cristiane, i sequestri di persona, gli omicidi di preti e fedeli, l'emarginazione dalla vita pubblica; le Filippine; l'India, con Orissa e le persecuzioni di cristiani; il Pakistan, con la legge sulla blasfemia che ha condotto al carcere e alla morte parecchi cristiani; alcune zone della Nigeria e del Sudan, dove si è creato uno stato di tensione per la volontà di imporre la sharia e vi sono stati gli eccidi; la Corea del Nord, con la persecuzione dei cristiani; il Vietnam, dove ancora oggi c'è l'oppressione dei cattolici; la Cina, dove si perpetua il contrasto alla religione cattolica con anche l'internamento nei laogai dei seguaci della religione cattolica (ricordo che i laogai sono i campi di rieducazione).
Ebbene, a fronte di quanto appena detto, bisogna prendere atto che le comunità Pag. 11cristiane locali possono essere considerate spesso come fattori eversivi da parte di alcuni sistemi politici con basi democratiche deboli, proprio perché, per la loro stessa esistenza, diffondono una religione, una cultura e un sistema di vita fondati sul valore assoluto della persona umana, quindi sulla libertà, l'eguaglianza di tutti di fronte allo Stato, la donna con gli stessi diritti dell'uomo, la democrazia e la giustizia sociale.
Il diritto alla libertà religiosa è un elemento che bisogna garantire ad ogni persona, così come la libertà di parola e di espressione. Se la libertà religiosa, di credenza e di coscienza è un diritto inviolabile consolidato nella cultura del nostro popolo, riconosciuto in modo inequivocabile dal combinato disposto degli articoli 3, 8, 19 e 20 della nostra Carta costituzionale, è innegabile che il patrimonio storico culturale del nostro Paese affonda le proprie radici nella civiltà e nella tradizione cristiana.
La Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, sancisce all'articolo 18 che «ogni individuo ha il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e di religione».
Tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo e la libertà di manifestare isolatamente o in comune, sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti.
A questo proposito, voglio ricordare cosa scriveva Olga Matera su Limes: «Il cristianesimo è la religione oggi più perseguitata del mondo. Conta migliaia di vittime; i suoi fedeli subiscono torture e umiliazioni di ogni tipo. Ma l'opinione pubblica occidentale, proprio quella di cultura cristiana, non concede a questo dramma alcuna attenzione».
Oggi purtroppo si constata purtroppo tristemente come la cronaca più recente continui a testimoniare la tragica condizione di paura e di pericolo in cui vive in molte parti del mondo chi professa e testimonia la fede cristiana, in particolar modo in quei Paesi dove vige la sharia (complesso di norme religiose, giuridiche e sociali direttamente fondate sulla legge coranica). Basti pensare al recente caso del Pakistan, dove Asia Bibi, donna cristiana era stata condannata a morte per blasfemia.
Ricordo come negli ultimi trent'anni molti Paesi islamici sono stati investiti dai movimenti fondamentalisti che hanno fatto sì che quegli stessi Paesi reintroducessero i precetti della legge islamica precedentemente esclusi dalla propria giurisdizione. Così è avvenuto in Kuwait, Libia, Emirati Arabi Uniti ed Egitto. Non possiamo dimenticare che nel 1990 il Pakistan ha reintrodotto la dottrina penale islamica che era stata abolita duecento anni prima. Altri regimi più integralisti, come Iran, Arabia Saudita e Sudan sono giunti ai risultati più estremi, approvando vere e proprie Costituzioni islamiche.
Nei Paesi islamici il ruolo del Parlamento è, quindi, marginale, mentre quello degli ulema e delle scuole coraniche a cui appartengono, uniche depositarie dell'interpretazione e della corretta applicazione della legge, è immutabile. Riteniamo che tutti i rapporti, sia politici che economico-commerciali, intrattenuti dal nostro Paese e dagli altri Paesi dell'Unione europea con partner internazionali, non debbano mai prescindere dalla valutazione del rispetto dei diritti umani in quei Paesi e dalle condizioni di vita delle loro popolazioni.
Un'Europa che rinuncia alle sue stesse radici non può essere altro che un progetto fallimentare, proprio per la fragilità valoriale su cui si fonda. L'integrazione europea, per essere non solo formale, ma anche sostanziale e valoriale, deve fondarsi sul rispetto delle identità che contraddistinguono i popoli europei. La persecuzione dei cristiani nel mondo rappresenta oggi una minaccia diretta anche alla sopravvivenza della nostra stessa democrazia. Non vorrei che questo tipo di terrorismo verso i cristiani nel mondo, oggi si manifestasse un domani anche nel nostro Paese.
L'Europa non può ignorare da dove deriva la sua stessa democrazia. È, infatti, Pag. 12innegabile che sia proprio la tradizione cristiana ad aver consegnato alla storia il moderno concetto di persona (cioè dell'individuo che in quanto tale, prima ancora di essere cittadino, è portatore di dignità e di diritti). Si tratta di un principio che è stato recepito come fondante da tutte le Costituzioni laiche degli Stati membri dell'Unione europea.
A questo proposito voglio ricordare che la Lega Nord con i suoi parlamentari europei si è battuta molto affinché le radici cristiane fossero introdotte ed evidenziate nella Carta costituzionale europea. Infatti, un'Europa che rinuncia alla propria anima è destinata a morire. Relegare la religione alla sfera privata, escludendo la tradizione religiosa dell'Europa dal dialogo pubblico, è un grave errore che rischia di far precipitare le nuove generazioni in un vuoto valoriale.
Quella di oggi qui in quest'Aula del Parlamento è la risposta della politica all'ennesima violenza contro i cristiani seguaci del Vangelo, contro la «cristianofobia».
Per questo, con la nostra mozione che abbiamo presentato, intendiamo impegnare il Governo ad adoperarsi, direttamente e attraverso l'Unione europea, per verificare e monitorare la condizione dei cristiani nei Paesi in cui essi costituiscono una minoranza e a valutare l'opportunità di subordinare ogni ulteriore rapporto di carattere politico o economico con tali Paesi all'effettiva tutela da parte loro delle minoranze cristiane presenti sul loro territorio.
Intendiamo impegnare il Governo ad istituire presso la Presidenza del Consiglio dei ministri un Osservatorio sulla condizione dei cristiani nel mondo, che avrà, tra le altre, funzioni di consulenza al Governo, come quella di valutare il prosieguo delle relazioni diplomatiche e, in particolare, quelle relative alla cooperazione allo sviluppo che implicano l'erogazione di fondi da parte del nostro bilancio statale ai Paesi che non garantiscono il rispetto dei diritti delle minoranze cristiane e o non hanno sottoscritto la Convenzione dei diritti dell'uomo.
Con la nostra mozione intendiamo impegnare il Governo a richiedere in ambito internazionale, sempre di concerto con i partner dell'Unione europea, la rimozione delle limitazioni dei diritti umani e della libertà religiosa per le minoranze religiose in quegli Stati dove vige la sharia.
Intendiamo, inoltre, impegnare il Governo a promuovere, con i partner dell'Unione europea, un'iniziativa per rafforzare il dialogo già esistente tra Unione europea e Stati islamici, al fine di riprendere un confronto sul rispetto dei diritti umani fondamentali in quei Paesi (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vi prego di prestare un attimo di attenzione. Prima di procedere con gli interventi desidero, non solo a titolo personale ma certamente a nome di voi tutti, rivolgere un caloroso e sincero benvenuto all'ex Presidente della Repubblica libanese, Amin Gemayel (Applausi), la cui presenza, come testimoniato anche dal vostro applauso, ci onora particolarmente anche perché concomitante con l'esame delle mozioni sulla libertà religiosa e sui dolorosi episodi di violenza che hanno recentemente colpito tanti cristiani nel mondo.
È a tutti noto, ma se mi è permesso è doveroso ricordarlo, l'alto tributo di sangue versato dalla famiglia cristiano-maronita dell'onorevole Gemayel. Il fratello Bashir morì nel 1982 in un attentato terroristico (Applausi) e stessa tragica sorte subì, nel 2006, il figlio Pierre (Applausi).
La presenza del Presidente Gemayel consente di ricordare che l'esplosione di violenza, avvenuta in Libano fin dagli anni Settanta, compromise quella pacifica convivenza tra etnie e confessioni religiose che avevano fatto del Paese dei cedri un esempio di società rispettoso dei diritti delle persone e di tutte le fedi. È anche in questo spirito, Presidente Gemayel, che le rinnovo il benvenuto mio personale e dell'intera Camera dei deputati (Applausi).
È iscritta a parlare l'onorevole Pedoto. Ne ha facoltà.

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LUCIANA PEDOTO. Signor Presidente, oggi come Parlamento e sin dai primi giorni del nuovo anno vogliamo impegnarci ancora di più per la tutela della libertà religiosa che, insieme alla vita, è un valore inviolabile, universale, non disponibile e che non permette cedimenti. Anche il Santo Padre, non a caso all'inizio dell'anno, ci ha donato un messaggio di riflessione e di preghiera. Come uomini ci ha invitato a riflettere, a pregare e a ricordare che la libertà religiosa è il fondamento di tutte le libertà. Siamo convinti che senza libertà religiosa, infatti, si colpiscono anche tutte le altre libertà e così ogni diritto potrebbe essere stravolto.
La laicità dello Stato, da più parti segnalata, è anche la tutela del dialogo tra le culture, tra le civiltà, tra religioni e con popoli diversi. Se uno Stato la tacesse si renderebbe immediatamente complice della violazione di un diritto inviolabile. Quello Stato perderebbe immediatamente credibilità e autorevolezza e l'indifferenza aprirebbe la strada all'oscurantismo, come ci ricorda René Guitton, scrittore e infaticabile viaggiatore, premio per i diritti umani.
Azioni anticristiane in Nigeria, in Algeria, in Medio Oriente, in Turchia, in Pakistan, in India e in Iraq e i cristiani del Maghreb, dell'Africa subsahariana, del Medio Oriente, dell'Estremo Oriente scompaiono in una lenta emorragia, sono vittime di un crescente anticristianesimo. Gli attentati di questi giorni in Egitto contro la comunità cristiana copta sono attacchi in cui i cristiani di tutte le confessioni diventano bersagli nei Paesi a maggioranza religiosa diversa.
Qual è l'obiettivo? Si tratta forse una società omogenea sia sul piano confessionale che su quello culturale? L'obiettivo è l'attacco alla convivenza delle diversità religiose, etniche, linguistiche e culturali. Se è così, esistono vittime di cui si deve parlare e vittime riguardo alle quali si deve tacere? No, è necessario combattere la gravissima disinformazione che affligge l'opinione pubblica occidentale; soprattutto nelle regioni in cui i cristiani sono minoritari l'indifferenza aprirebbe la via all'oscurantismo, come ricordava poco fa anche lo stesso Fioroni.
Non dobbiamo annebbiare la comprensione della situazione. Il Parlamento deve e vuole reagire ed oggi auspichiamo che possiamo impegnarci tutti insieme ad assumere iniziative affinché, alla base delle relazioni internazionali e delle collaborazioni economiche, sia posto il rispetto dei principi di cui agli articoli 8 e 19 della Costituzione, così come costantemente applicati nel nostro Paese e affinché la violazione di tali principi sia considerata sanzionabile da parte degli organismi internazionali. Questo non è solo un grido di dolore e di ribellione, ma un appello alla mobilitazione di tutti, vuole essere per noi tutti una lezione di fratellanza, altrimenti il nostro silenzio ricorderà ad ognuno di noi altri silenzi, imbarazzanti pentimenti e rimpianti per non aver voluto far affiorare una verità, che doveva essere resa nota a tutti. La storia ci ha già dimostrato che la libertà religiosa è uno dei pilastri di tutte le libertà per garantire il rispetto di tutti i diritti umani degli individui e delle collettività, sotto l'insegna delle diversità, dell'ascolto e del dialogo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico e di deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gasbarra. Ne ha facoltà.

ENRICO GASBARRA. Signor Presidente, sottosegretario, la pagina parlamentare di oggi è una pagina importante perché cerca di andare oltre la condanna, l'emozione e il dolore degli ultimi fatti di sangue accaduti nella festività più importante per la comunità cristiana, la festività del Natale. Questa cerca di aprire uno sguardo nuovo e di richiamare un'azione nuova nel nostro Governo, cercando un nuovo percorso di pace nella costruzione di quella civiltà dell'amore più volte richiamata da sua santità Giovanni Paolo II.
Gli accadimenti degli ultimi giorni delineano con drammatica evidenza una nuova stagione di persecuzione, al punto Pag. 14tale che il Presidente francese ha definito questo momento come un periodo drammatico per la comunità cristiana mondiale e i cristiani «vittime di una epurazione». Ne ha ricordato le dolorose cifre e i fatti l'onorevole Fioroni nell'illustrazione della nostra mozione, che evidenziano un percorso di sangue di tanti cristiani, che non chiedevano altro che professare la loro religione e il loro percorso di fede. È un richiamo importante che tuttavia va oltre la comunità cristiana, è un richiamo alle coscienze e forse è un richiamo complessivo a una nuova stagione della globalizzazione.
Nel campo internazionale negli ultimi anni si sono registrate situazioni precarie e pericolose in una scenario che vede l'ampliarsi dei conflitti di guerra nel mondo. Gli interventi della comunità internazionale hanno percorso la strada delle missioni di pace in un intervento concertato nelle politiche ONU o, a volte, fuori dalle politiche ONU, in un confronto di ricerca di democrazia e di pacificazione che credo debba essere oggi letto in una forma diversa.
Ciò anche perché l'attacco alla libertà religiosa è un vero e proprio attacco alla dignità dell'uomo e ai sui diritti soggettivi.
La globalizzazione deve dunque percorrere strade più coraggiose, verso la globalizzazione dell'amore, dove non solo deve cadere il muro del silenzio e dell'oscurantismo che si alza lievemente soltanto di fronte ad alcuni fatti, al racconto delle morti, per poi rispegnersi drammaticamente. Deve portare a una reazione, a una nuova visione del mondo, a una nuova azione da parte dei nostri governi.
Ci auguriamo che la mozione venga trasfusa in una mozione comune, perché c'è bisogno di dare una spinta nuova, una spinta più forte, una spinta più larga, una spinta più corale, affinché il Governo abbia un sostegno unanime per il suo cambio di passo. Si abbisogna di un percorso nuovo che non rompa soltanto il muro del silenzio, ma rompa anche quel concetto di ragion di stato dentro la quale più volte, per interessi economici e per esigenze di rapporti internazionali, si sacrificano i diritti umani e la libertà religiosa.
In questo quadro, la mozione che abbiamo presentato chiede, nel passaggio di impegno del Governo, di rimodulare le collaborazioni economiche ed i rapporti internazionali in relazione agli articoli 8 e 19 della Costituzione.
È un passaggio importante che mi auguro possa trovare spazio nella mozione unanime, perché è ora che il Parlamento chieda al Governo di passare dalle parole ai fatti. Il percorso non può esaurirsi nella testimonianza, per garantire la testimonianza e la libertà religiosa c'è bisogno di una nuova azione che veda in questo aspetto una risposta nuova ad un percorso necessario per una nuova via di pace, per una costruzione dei diritti dell'uomo, per una costruzione della libertà ed un passaggio diverso che rimuova il conflitto della società relativistica attraverso un nuovo percorso di dialogo e di confronto, di libertà e di rispetto della persona umana, della libertà, della libertà religiosa, dei diritti e del diritto alla vita (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pagano. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO PAGANO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, è sempre la solita storia da duemila anni a questa parte. Il Cristianesimo si conferma una religione scomoda e quindi da eliminare a tutti i costi. Già Tacito la dichiarava perniciosa, un decreto senatoriale del 35 d.C. strana e illecita, Svetonio malefica, Tacito detestabile.
Per tutti questi motivi, da sempre è stata posta fuori legge e perseguitata. Oggi i maggiori persecutori dei cristiani sono gli islamici, i quali dichiarano senza timore che nel lungo periodo vogliono conquistare il mondo e nel breve periodo distruggere il Cristianesimo in Terra Santa e in Medio Oriente. È un fatto diventato talmente evidente, con migliaia di morti in tutto il mondo e con centinaia di migliaia di esuli, Pag. 15che chi continua a negare questi fatti dimostra solo di essere in malafede.
La religione cristiana e, attenzione, la cultura cristiana, sono un'autentica diga alle mire espansionistiche dell'Islam fondamentalista. Una volta eliminate le minoranze cristiane, le porte del mondo occidentale per l'Islam a questo punto si spalancherebbero. Orbene, si nota sempre più che l'Islam è rispettoso delle altre religioni quando esse sono nettamente maggioritarie numericamente e forti culturalmente. Viceversa, quando le altre sono minoritarie, esso diventa arrogante.
In questo momento, l'Islam ha capito di avere di fronte un Occidente debole e diviso e, coerentemente con la propria storia, rilancia sempre di più. Solo in Iraq - è stato già citato - in sei anni, dal 2004 ad oggi, si è passati da un milione di cristiani a 400 mila, e 600 mila persone sono state costrette ad una vera e propria fuga, ad un esodo verso altre nazioni. Da qui la necessità di sostenere i cristiani in alcuni particolari Paesi. Deve essere un sostegno concreto, però, non fatto di sterili chiacchiere. Anche le reazioni dopo la strage di fine anno in Egitto sono un termometro di quello che sto dicendo. Il Papa nell'Angelus del 2 gennaio ha dichiarato: strategia di violenza che prende di mira i cristiani. Risponde il gran sceicco dell'università di Al-Azhar, Ahmed El Tyeb: sono ingerenze negli affari interni dell'Egitto. Eppure El Tyeb è conosciuto come un leader moderato, ma in verità non è così, perché chi conosce il mondo islamico sa che non può essere così. Magari in privato sono disponibili ad ammettere qualche colpa, ma in pubblico ogni intervento è solo apologetico. Giorni fa, nel maggiore giornale egiziano, ci sono stati sessanta interventi, tutti, nessuno escluso, sostenevano che l'attentato non aveva niente a che fare con l'Islam e che semmai si trattava di un atto esterno addebitabile ad Israele e agli Stati Uniti d'America. Nessuno si era posto la domanda su come mai nel mondo islamico si fosse arrivati a questo. Chiunque può vedere, quindi, come il Papa abbia ragione quando afferma che vi è una strategia di violenza contro i cristiani. In effetti, fra l'altro, vi è stato un salto di qualità. Gli attacchi terroristici hanno assunto una connotazione religiosa sempre più marcata, che è arrivata ad un livello di violenza sempre più efferato, tanto da uccidere gente inerme dentro le chiese mentre prega e sempre durante le feste religiose più importanti, al fine non soltanto di colpire le vite umane, ma anche di scoraggiare psicologicamente queste genti. Nigeria, Pakistan, Iraq, Filippine, Egitto, Libano: la lista è impressionante. Il totale di tutto questo è di 200 milioni di perseguitati. Certo non tutto è riconducibile al fondamentalismo islamico, ma nella stragrande maggioranza dei casi sì.
Fra l'altro, questa strategia della violenza, esplosa contemporaneamente in varie parti del mondo, dimostra che vi è un'unica regia. Infatti, da alcuni decenni emerge nell'Islam una tendenza estremistica che si radicalizza ogni giorno di più in tutto il mondo islamico, ma che è più penetrante nei Paesi con Governi deboli. La tendenza dei fondamentalisti islamici è di voler instaurare uno Stato islamico, il che vuol dire un Stato fondato sull'applicazione della Sharia in modo rigoroso.
Ultimamente, per citare un altro caso, anche in Malesia, ai cristiani è stato vietato di usare la parola Allah, che è l'unica parola che indica Dio in lingua malese. Ma per gli islamici questa parola è, a quanto pare, loro monopolio. Nulla importa che i cristiani in quelle terre la usassero centinaia di anni prima e che gli ebrei la usassero già prima degli arabi. Da un punto di vista culturale la storia è ancora peggio, perché c'è un progetto di islamizzazione della cultura, dell'economia, della politica, della scienza. Naturalmente, questo non vuol dire che si arrivi alla violenza, ma in alcuni Paesi esso facilmente può trasformarsi in violenza. A parte questo, i cristiani sono scomodi, perché in tutto il Medio Oriente essi sono gli artefici dello sviluppo culturale di quei Paesi. Sono lo strumento vitale di modernità e la parte più numerosa dell'Islam è contraria perché è contraria a qualsiasi processo di modernizzazione. Infine, ci sono anche i Pag. 16fanatici i quali affermano che i cristiani al limite possono esistere, purché sottomessi. Ecco perché Benedetto XVI, nel messaggio dell'Angelus ci ha detto con grande lucidità che alla libertà religiosa si oppongono, da una parte, il laicismo e, dall'altra, il fondamentalismo. Vorrei un attimo sottolineare questo aspetto, perché entrambi sono forme di totalitarismo. Infatti, il fondamentalismo è una dittatura palese e aperta, perché vuole imporre la religione con la forza e con la violenza. Ma attenzione, anche il laicismo è una dittatura, perché è subdolo, perché relega la religione ad una sfera privatistica. Al limite, concede che si possa credere, purché non si esterni e non si testimoni la religione, purché non la si possa condividere con altri.
Le tragedie del fondamentalismo, a loro volta, sono sfruttate anche dal laicismo, il quale ne trae argomento per sostenere che le religioni in genere producono solo scontri e violenze. Al contrario, il Papa sottolinea come le grandi religioni possono costituire un importante fattore di unità e di pace, a patto che riescano a riannodare le fila di un dialogo fondato su un equilibrio tra fede e ragione. Solo così potranno essere contrastati insieme il fondamentalismo, che trasforma la religione in violenza, e il laicismo, che da questa violenza trae pretesto per emarginare la religione ad una vita che è soltanto personale.
In questa logica, il rilancio dell'incontro religioso di preghiera per la pace, quello che tutti comunemente chiamano «'incontro di Assisi» potrebbe diventare uno strumento di dialogo per colmare le distanze tra le grandi religioni monoteiste. Già nel 1986 però l'allora cardinale Ratzinger dichiarava che la convergenza delle diverse religioni non deve dare l'impressione di un cedimento a quel relativismo che nega il senso stesso della vita. Ciò vuol dire riconoscimento della libertà religiosa come libertà per la verità: dunque, non il relativismo e cioè ognuno che la pensa come vuole all'interno di una logica personale, ma esattamente il suo contrario. Per tutti questi motivi, il Popolo della Libertà sostiene oggi la mozione Mazzocchi ed altri n. 1-00486 ma auspica che venga unificata a tutte le altre mozioni al fine di renderla più forte perché è giusto che l'impegno del nostro Paese e in particolare del nostro Governo vada in questa direzione, perché in tutti i modi, non solo in una maniera diplomatica ma anche attraverso pressioni economiche, si faccia in modo che i Paesi dove vengono perseguitati i cristiani e le minoranze non vengono tutelate vengano a ritrovare il giusto equilibrio. Il diritto alla libertà religiosa deve essere garantito perché la libertà religiosa è la madre di tutte le libertà. Ma, come chiede giustamente la mozione, queste azioni devono essere fatte valere anche nelle scuole, attraverso un'attività di sensibilizzazione nei confronti delle tematiche relative alla libertà religiosa e alla cristianofobia (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Buttiglione. Ne ha facoltà.

ROCCO BUTTIGLIONE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il tema del quale ci occupiamo oggi è di drammatica attualità, ciò non solo perché ieri per l'esattezza è accaduto qualcosa che ne imponga la discussione, ma perché tutti i giorni sui nostri giornali siamo testimoni di un processo, che si allarga, di persecuzione contro la presenza dei cristiani in tutto il mondo. È accaduto ieri in Nigeria ma contemporaneamente anche in Egitto, qualche giorno prima c'è stato il massacro di Alessandria e qualche mese prima si erano verificati altri scontri in Nigeria. Visto che ne parliamo, solo in Nigeria si sono verificati, negli ultimi quattro o cinque anni, più di quindicimila morti per persecuzioni dovute a cause religiose. E la Nigeria è solo un Paese. In questi giorni - e questa è una cosa positiva - in sud Sudan si sta tenendo un referendum che porterà con ogni probabilità al distacco del medesimo dal Sudan, al termine di una guerra civile per motivi religiosi che è durata decine di anni e in cui sono state Pag. 17uccise almeno due milioni di persone. Vogliamo parlare della situazione in Pakistan dove una legge contro la blasfemia porta con motivi pretestuosi a condanne a morte di cristiani che si sono ripetute nel tempo e contro le quali, per la verità, con efficacia si sta battendo un movimento internazionale? Vorrei ricordare al riguardo l'onorevole Capitanio Santolini, del nostro Parlamento, che in questo movimento è partecipe ed attiva. Vogliamo estendere la nostra attenzione a quello che accade nel Maghreb: qualche anno fa ci sono state anche lì delle esperienze drammatiche di persecuzione religiosa e se ne possono verificare anche altrove. Il fenomeno riguarda tutto il mondo: tre quarti degli assassinati per motivi di religione nel mondo sono cristiani. C'è una persecuzione del cristianesimo a livello mondiale che probabilmente non ha precedenti nella storia, salvo forse gli inizi del cristianesimo, proprio qui, a Roma, città di martiri. È un fenomeno che riguarda in modo particolare il mondo islamico, certo, ma non solo. Riguarda il mondo islamico perché in esso esiste una corrente di integralismo religioso la quale mira a far coincidere identità nazionale e identità religiosa, mira ad affermare che chi non è musulmano non ne può essere cittadino e al massimo è disposto a concedere ai cristiani - secondo quello che peraltro prescrive anche il Corano - soltanto il ruolo di dimmi.
I dimmi sono i cittadini di seconda categoria che devono pagare per ottenere di essere tollerati e che ovviamente non hanno nessun diritto ad un'eguaglianza di diritti. So naturalmente che l'Islam è una realtà molto differenziata, all'interno della quale esistono tradizioni le quali hanno molto ridotto (addirittura ridotto al nulla) il peso di queste prescrizioni. Voglio ricordare, per esempio, l'Islam albanese, dove si è sviluppata una variante particolarmente aperta e disposta alla tolleranza religiosa. Tuttavia questi fenomeni sono oggi rafforzati da un'ondata d'integralismo che su di essi si basa per imporre la persecuzione, davanti alla quale i Governi islamici sono spesso deboli. I Governi, anche quelli che noi appoggiamo, anche quelli dei quali siamo amici, non riescono a coinvolgere in un processo di crescita e di modernizzazione la cultura del loro Paese, e rimangono come delle élite spesso prive di appoggi consistenti nella realtà del Paese, non disponibili a fare una vera battaglia per la democrazia, anche perché devono puntellare il proprio potere che spesso è un potere autoritario. Allora qual è il risultato? Che dovendo offrire qualcosa alle masse, che sono prive di lavoro, prive di prospettive, prive di indicazioni di futuro e che sono facilmente suscettibili di adesione alla propaganda islamica, si offrono loro in pasto i cristiani, come peraltro faceva anche il mondo romano ai suoi tempi (quindi non è una pregiudiziale antislamica, lo abbiamo fatto noi agli inizi del cristianesimo). Piove? I cristiani ai leoni. I barbari stanno invadendo la Gallia? I cristiani ai leoni. Qualunque cosa trova come sfogo della rabbia popolare il richiamo ai cristiani ai leoni. Nel mondo islamico sta succedendo qualcosa di simile. Questo avviene anche in Paesi nei quali noi siamo presenti. Ma non è purtroppo solo il mondo islamico. Esistono fenomeni che destano grandissima preoccupazione nel mondo indù, esiste una forma di induismo radicale che, disprezzando la grande lezione di Gandhi e Vivekananda, anzi additando Gandhi e Vivekananda come traditori dello spirito autentico dell'induismo, si sfoga in persecuzioni contro i musulmani (in quei Paesi molto più numerosi dei cristiani), ma anche contro i cristiani. Visto che stiamo parlando di questo, cosa diremo della situazione del popolo ebraico? Noi forse oggi scontiamo anche il fatto che quando gli ebrei furono cacciati dai Paesi islamici (molti di loro anche messi a morte, ma tutti gli altri costretti ad emigrare nello stato di Israele) l'Occidente tacque, considerò questo come un fenomeno di scarso rilievo, e adesso questo stesso fenomeno tocca invece le comunità cristiane. Non aver alzato la voce allora torna oggi a danno dei cristiani di quei Paesi.
È una questione che non riguarda soltanto i diritti umani intesi in senso Pag. 18astratto e particolare, è una questione profondamente politica. I cristiani vengono colpiti perché si vede nei cristiani il segno di una modernizzazione. Vengono colpiti in quanto si crea un'identificazione tra cristiano ed occidentale. Vengono colpiti perché sono considerati come nostri fratelli, e noi non sentiamo affatto il diritto-dovere di difenderli in quanto nostri fratelli. Non sentiamo neanche il diritto-dovere di difenderli in quanto esseri umani, che anche se non fratelli (se no un po' alla lontana, in Adamo) hanno comunque un diritto alla vita e un diritto alla libertà di religione. In tutto il mondo, tranne poche enclavi, la libertà di religione è drammaticamente compressa. È una questione politica generale. Voglio fare un esempio. Un'area particolare nella quale questo fenomeno ha grandi proporzioni - come abbiamo visto - è l'area dell'Africa e del vicino Oriente. In questa area l'Europa è un Paese di grande rilievo, di grandissima importanza, con delle responsabilità straordinarie.
Dividiamo questo mondo in due parti. Esiste il Mediterraneo orientale, e nel Mediterraneo orientale purtroppo noi poco possiamo, anche se questo non ci esenta dalle nostre responsabilità.
Colgo l'occasione per salutare il Presidente Kamael che oggi è qui con noi e assiste al nostro dibattito e la cui famiglia ha pagato un drammatico tributo di sangue alla difesa della libertà di religione e della libertà tout court del Libano. Lo ringrazio per la sua presenza e dell'attenzione con cui ci segue.
Abbiamo un Mediterraneo orientale, come dicevo, in cui abbiamo dei doveri, delle responsabilità, ma in cui la nostra voce conta relativamente poco perché dove è in corso una situazione di guerra, conta la voce di chi ha grossi cannoni e la voce di chi non ha un potere militare da giocare all'interno di quelle aree conta evidentemente molto di meno.
Ma abbiamo anche un Mediterraneo occidentale, dall'Egitto fino al Marocco, un'area nella quale, dopo la conclusione della drammatica guerra civile algerina, si è aperto uno spiraglio di opportunità. In queste aree, il commercio estero con l'Europa conta tre-quattro volte più di quello con gli Stati Uniti d'America. Sono aree culturalmente, economicamente e finanziariamente in larga misura dipendenti da noi e la stessa cosa si può dire per gran parte dell'Africa.
In queste aree abbiamo bisogno di una politica dell'Europa, una politica globale che non si rivolga soltanto al problema della tutela dei cristiani o della tutela della libertà religiosa, ma in cui la libertà religiosa è parte di un processo globale di avanzamento e di crescita di una società. Sono aree le quali hanno bisogno di un sostegno per lo sviluppo, un sostegno intelligente, un sostegno che aiuti a creare un mercato comune del Maghreb e non solo, ma anche del Mashrek e del nord-Africa.
Abbiamo bisogno di una politica che induca ad investire per creare le infrastrutture materiali ed immateriali dello sviluppo, in dialogo con l'Europa. Se quelle aree cominciassero a svilupparsi, anche economicamente, sarebbero assolutamente complementari con lo sviluppo della nostra economia e potrebbero essere un elemento trainante anche per la ripresa economica dell'Europa in generale, ma, in modo particolare, dell'Italia e di quelle parti dell'Italia che più sono avanzate dentro il Mediterraneo.
Abbiamo bisogno per questo di dialogo culturale e religioso, ma anche di visione politica e della capacità di mobilitare le risorse a ciò necessarie. Oggi noi, in Europa, non abbiamo una vera politica che riguardi queste aree. Sì, si parla del vicinato, dell'Europa più grande, si parla - oggi meno per fortuna - del cosiddetto processo di Barcellona che è stato un drammatico fallimento.

PRESIDENTE. Concluda, onorevole Buttiglione.

ROCCO BUTTIGLIONE. Mi conceda un minuto ancora, signor Presidente, per ricordare ancora un'altra cosa: esiste anche un odio degli occidentali per se stessi, una vergogna delle nostre Nazioni rispetto alla Pag. 19nostra identità, che è stimolata dalla visione di gente che muore per una fede della quale molte volte non sappiamo che fare e in qualche modo ci vergogniamo. Questo dibattito sia anche un'occasione perché l'Europa torni ad avere coscienza di se stessa e orgoglio e consapevolezza della propria storia (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Touadi. Ne ha facoltà.

JEAN LEONARD TOUADI. Signor Presidente, non tornerò sui pilastri della nostra mozione che è stata illustrata dall'onorevole Fioroni. Inizio questo intervento con una citazione di Barbara Spinelli in un approfondito articolo su La Repubblica di oggi, dove dichiara che le stragi dei cristiani in una cattedrale di Baghdad e nella chiesa copta Al-Qaddissin ad Alessandria d'Egitto sono segni non equivocabili che qualcosa di grave sta succedendo in terre musulmane, ossia la lenta e brutale estromissione dei cristiani, anche i più refrattari al proselitismo, i più inseriti nel luogo che abitano, non molto diversa dalla cacciata degli ebrei dai Paesi arabi dopo il 1948.
Fanno bene le istituzioni europee ed i parlamenti delle grandi democrazie occidentali a preoccuparsi per questa vera e propria ferita alle identità, sempre plurale, da secoli, delle società mediorientali, di quelle indo-pakistane, ma anche dei Paesi africani, che conosco meglio, dove, da sempre, l'Islam ha convissuto armonicamente, nel rispetto reciproco, con le religioni tradizionali o con il cristianesimo, in Nigeria, in Senegal, in Etiopia ed in Sudan.
Potrebbe allargarsi la geografia delle violazioni fino ad inserire la sorte e il destino dei montagnard del Vietnam a proposito dei quali si battono i nostri amici radicali parlando proprio di libertà religiosa.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROCCO BUTTIGLIONE (ore 11,30)

JEAN LEONARD TOUADI. A scanso di equivoci tuttavia, signor Presidente, bisognerebbe evitare di opporre a questa violenza una reazione all'insegna di nuove crociate. Vogliamo dire con chiarezza che vogliamo evitare una nuova sindrome di Lepanto che riapra crociate che nessuno rimpiange.
Per questo la cornice più naturale dentro la quale inquadrare questa riflessione e la nostra azione è quella della libertà religiosa come tema prioritario e dirimente delle società contemporanee, sempre più aperte perché sempre più plurali etnicamente e dal punto di vista religioso. Le società contemporanee devono vivere come un elemento qualificante la garanzia della libertà religiosa come modalità per assicurare una concreta libertà di coscienza, di pensiero e di religione senza privilegi per nessuno (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Per questo motivo ritengo che bisogna utilizzare tutte le sedi bilaterali e multilaterali per affermare con forza la necessità e la cogenza della libertà religiosa come parametro e misura dell'agibilità internazionale di un Paese. Ma mentre lo dico ricordo a me stesso e a questo Parlamento, come ammoniva l'onorevole Fioroni e come ricordano anche qui ancora una volta i radicali, che non sempre la bussola dei diritti umani e della garanzia della libertà religiosa è stata la stella polare dei nostri rapporti economici nel mondo. Lo dobbiamo fare senza tentennamenti pena la perdita di identità delle nostre società democratiche.
Tornando all'Italia vorrei ricordare, come fa la Federazione delle chiese evangeliche, che i diritti di chi crede e di chi crede diversamente dalla maggioranza e di chi non crede sono diritti inderogabili e incoercibili e in quanto tali sono tutelati anche dai più importanti strumenti di diritto internazionale a cominciare dalla Dichiarazione universale dei diritti umani (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Tuttavia - dicono le federazioni delle chiese evangeliche come espressione di alcune minoranze cristiane di questo Paese che da sempre sono impegnate nella promozione del diritto fondamentale alla libertà religiosa -, riteniamo Pag. 20necessario ricordare che in Italia, nel nostro Paese non esiste una legge quadro che disciplini in modo organico la materia della libertà religiosa. Infatti, sono convinto che se vi fosse questa cornice normativa, essa potrebbe permettere al nostro Paese di essere a sua volta una palestra di convivenza tra culture e religioni diverse e dare l'opportunità proprio a quella diaspora immigrata che vive nel nostro Paese, qui da noi, e alle loro comunità, che sono plurali - sono musulmane, cristiane, sono anche di chi non crede -, di sperimentare quelle forme di riconoscimento, di valorizzazione delle differenze, una palestra di democrazia. Forse in questo modo gli immigrati, anche di fede musulmana, che vivono tra noi potranno riscoprire nel Corano quell'Islam dell'amicizia di cui parla oggi Barbara Spinelli.
Parlando di libertà religiosa stiamo parlando di un diritto fondamentale e di un punto qualificante della democrazia e spero che il nostro Governo si adoperi non solo oggi ma anche nel futuro perché questo diritto diventi elemento cogente e di agibilità internazionale dei nostri rapporti bilaterali e multilaterali (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Boniver. Ne ha facoltà.

MARGHERITA BONIVER. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole sottosegretario, l'odierna persecuzione delle minoranze e gli eccidi dei cristiani che fanno venire alla mente gli eccidi delle persecuzioni e il bando dei gruppi di ebrei - che continua peraltro ad avvenire anche in molto Paesi del Medio Oriente -, stanno aumentando in molte aree geografiche.
Questo suscita non soltanto la condanna, ma anche il massimo allarme. I motivi potrebbero essere i più diversi: si può in determinati casi parlare di una vera e propria offensiva terroristica, come verosimilmente sembrerebbe - le indagini sono in corso evidentemente - per l'ultimo eccidio che è avvenuto in ordine di tempo ad Alessandria e che è stato peraltro condannato immediatamente sia da Mubarak sia dalla massima carica religiosa islamica.
Si può parlare, in altri casi, di una vera e propria criminale negligenza da parte di regimi settari, per lo più molto fragili, come potrebbe essere il caso iracheno, dove la gravità della persecuzione è sotto gli occhi di tutti e sta provocando una vera e propria diaspora di massa dei cristiani, che stanno lasciando quel territorio.
Si può parlare, in altri casi, di sottovalutazione e credo che questo sia il caso principale, il caso più evidente per quello che è avvenuto con l'assassinio di Salman Taseer, il governatore della popolosa provincia del Punjab, in Pakistan, il quale non soltanto è morto, ma il suo assassino è diventato una sorta di eroe nazionale. Va ricordato che Taseer è stato assassinato perché difendeva la causa di Asia Bibi, una cristiana pakistana che rischia addirittura la morte, e perché tentava di far cambiare quelle leggi sulla blasfemia che sono state poi appunto esaltate da questo crimine, avvenuto qualche giorno fa. Per difendere l'assassino di Salman Taseer si sono presentati spontaneamente circa mille giovani avvocati di uno dei più prestigiosi centri dell'avvocatura di Lahore, in Pakistan, fieri di poter difendere un siffatto criminale. Questo fa pensare che quello che sta avvenendo in Pakistan sia di una gravità assoluta: un Governo molto fragile, un regime molto fragile, ma un regime comunque laico e anche con una democrazia ormai consolidata, visto il regime parlamentare che vige in Pakistan da molti anni, ormai sta cedendo o comunque subendo i ricatti dei gruppi islamici più estremisti.
Si può, in altri casi, riportare queste persecuzioni e questi eccidi alle esplosioni di un islamismo militante, che ormai viene da lontano e prosegue imperterrito nella sua marcia trionfante in molti Paesi, soprattutto africani e mediorientali. Il caso per esempio del Sudan è emblematico: lì al-Bashir ha già proclamato che verrà imposta anche con la forza la legge della sharia. Pag. 21
In altri casi invece queste persecuzioni e questa efferatezza possono essere riportate alla moltiplicazione di quelle vere e proprie istituzioni dove si insegna l'odio che sono le madrasse.
Per continuare in questa opera di contrasto verso questa inaccettabile persecuzione, noi invitiamo il Governo a continuare e a rafforzare la difesa dei fondamentali diritti umani, come quello della libertà di religione. Abbiamo apprezzato evidentemente le solenni esortazioni del Santo Padre per la libertà di religione e per le libertà fondamentali, ma pensiamo che l'Europa in questa fase storica stia passando un periodo francamente di assoluta negligenza, come è stato evidente con la questione del crocifisso, sul quale il Governo italiano ha assunto un'efficace azione contraria e ha vinto anche di fronte alla Corte di Strasburgo.
Ciò sta avvenendo in questi giorni, quando l'Unione europea ha deciso di cancellare dalle proprie agende le festività religiose che da secoli vengono onorate sul territorio europeo.
È, quindi, assolutamente urgente che il Governo, in concorso con altri - basta ricordare quello che anche ha detto il Presidente francese Sarkozy -, possa rappresentare alle istituzioni europee l'urgenza e, soprattutto, un coordinamento molto più forte affinché si faccia sentire la voce delle istituzioni europee su questo argomento, ma, soprattutto, si possano trovare quegli strumenti necessari per contenere ed eliminare un crimine contro l'umanità (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Volontè. Ne ha facoltà.

LUCA VOLONTÈ. Signor Presidente, ho voluto anch'io prendere la parola oggi per sottolineare alcuni aspetti. In primo luogo, per quanto riguarda questa prima parte del dibattito cui abbiamo assistito, ho apprezzato molti degli interventi: dal collega Touadi alla collega Boniver, al collega Leoluca Orlando alla collega Laura Molteni al collega Mosella. Vorrei solo invitare ciascuno di noi a non parlare di quello che è accaduto solo nel passato, perché ormai appartiene, purtroppo, alle preghiere di molti fedeli, da un lato, e alle cronache dei giornali. L'occasione che ci viene data oggi è appunto quella di stimolare il più possibile un'azione del Governo e, attraverso l'azione del Governo, anche un'azione degli organismi internazionali, per evitare che quanto accaduto possa riaccadere. Su questo aspetto generale mi sembra che non si sia andati fino in fondo nella riflessione.
Obiettivamente, questa è un'opportunità per far sì che ciò che è previsto, comunemente approvato e dichiarato da tutti i Paesi dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite circa la libertà di religione - che vuol dire anche la libertà di poter cambiare la propria religione, che vuol dire anche la libertà di manifestare non solo in privato, ma anche pubblicamente la propria religione -, sia finalmente attuato. Questa è l'opportunità che ci viene data nella memoria di ciò che è accaduto. E questo penso - anzi ne sono certo - sia il ragionamento vero che da un lato ha mosso la diplomazia italiana a protestare e ad agire, ha mosso la diplomazia francese a lavorare nella stessa direzione, ha mosso, qualche giorno fa, la stessa Cancelliera Merkel a denunciare ciò che è accaduto e a mettersi in gioco perché la libertà religiosa, per tutte le religioni, per tutti gli uomini di fede, sia assolutamente rispettata in tutti i Paesi del mondo.
Eviterei e voglio evitare - ma voglio anche dirlo, però - di fare un processo all'Islam. È evidente (e questo è stato l'oggetto dello scontro e della discrepanza di opinioni, di grande sofferenza, tra Giovanni Paolo II e George Walker Bush) che l'intervento armato abbia provocato la banalizzazione per cui i crociati vogliono invadere i Paesi islamici. Le conseguenze drammatiche che allora intravedeva Giovanni Paolo II non sono state condivise, ma oggi sono ancora sul tavolo, anche perché, oggettivamente - dobbiamo dirlo -, Al Qaeda da qualche mese ha implementato la propria strategia. Ha messo nel mirino, nel target, le comunità cristiane. Al Pag. 22Qaeda è un movimento terroristico, tra l'altro condannato dalla stragrande maggioranza, dalla quasi totalità dei governanti delle democrazie o dei regimi dei Paesi islamici.
Questi sono dati di fatto di cui non possiamo non tener di conto. La libertà religiosa vale per i cristiani e vale per gli islamici. Tuttavia, questa risoluzione e l'impegno che si sta profondendo nella comunità e negli organismi internazionali (da quello del collega Mario Mauro e dei colleghi del Partito Democratico a quello del Partito Socialista europeo e del Parlamento europeo), quello che abbiamo cercato e stiamo continuando a fare nel Consiglio d'Europa, il rapporto approvato dall'OSCE (la nomina di Massimo Introvigne come nuovo delegato del Presidente OSCE) per valutare e prevenire fenomeni contrari alla libertà religiosa è volto proprio a fare dei passi in avanti.
Non possiamo, tuttavia, dimenticare alcuni di questi elementi, altrimenti entriamo in un meccanismo irrealistico, che forse può essere popolare per la campagna elettorale, ma è sostanzialmente irrealistico.
In Egitto, ad esempio, vi è una sostanziale identità di diritti e doveri per tutti i cittadini, cosa che non avviene in Iraq, in Pakistan o, di fatto, in alcune regioni dell'India, laddove vi sono fenomeni diversi da quelli accaduti negli attentati ad Alessandria d'Egitto.
Sono state ricordate le dichiarazioni dell'Imam responsabile dell'università di Al-Azhar. Si trattava delle prime reazioni, ma pensiamo, qualche giorno dopo, alla coincidenza e alla grande sintonia tra il Papa copto e il responsabile dell'università di Al-Azhar, i quali hanno chiesto - entrambi - la stessa cosa: ossia, che venga rispettato il diritto di libertà religiosa in tutto l'Egitto, per chiunque. Essi hanno condannato insieme la stessa violenza. E guardiamo cosa è accaduto nel Natale copto, con un Governo che è intervenuto per tutelare e far rispettare questi diritti.
Vi è, quindi, una differenza tra i Paesi in cui accadono queste tragedie e, nello stesso tempo, vi è un dato di fatto: nei fatti, 200 milioni di cristiani sono perseguitati; nei fatti, il movimento terroristico di Al Qaeda ha messo nel mirino i cristiani. Questi sono i fatti reali, che sono venuti alla luce.
Nello stesso tempo, signor Presidente, è bene ricordare che questi fatti, in qualche modo, hanno sostanzialmente e ontologicamente un - seppur diverso - corrispettivo nella cultura europea recente. Questa idea della cristianofobia è un dato, una constatazione di una uguale - pur se diversa nelle sue forme - intolleranza nei confronti della religione cristiana, anche attraverso altri strumenti, nel mondo occidentale: un certo laicismo, un certo relativismo, che contrappone l'assoluta supremazia totale dello Stato nei confronti di qualsiasi aspetto della vita umana e, soprattutto, degli aspetti religiosi. Ciò è altrettanto importante per la violenza che vogliamo denunciare.
Si tratta di una cristianofobia che è stata, in qualche modo, considerata in questa sua ragione, sia dall'ONU nel 1993, sia dal Parlamento europeo nel 1997. Un rapporto in questa materia è stato stilato dall'OSCE annualmente. Da questo punto di vista, non possiamo evitare di parlare della violenza contro i cristiani, senza considerare le ragioni del perché l'Occidente è stato, è e continua ad essere così debole nei confronti della libertà religiosa e del rispetto della libertà religiosa nei Paesi del mondo.
Vado più in là. Questa pavidità, questa paura dell'Occidente corrisponde ad un silenzio sostanziale delle istituzioni. L'ONU non ha proferito parola. Dopo la tragedia in Iraq nel settembre scorso, ha invitato i Paesi ad accogliere i rifugiati cristiani. La risposta di un Paese occidentale - la Svezia - è stata che quindici di quei rifugiati sono stati rispediti in Iraq, non considerando quali fossero i pericoli in cui essi incorrevano nella loro comunità. Si tratta di un esempio che la dice lunga sul fenomeno della pavidità e del silenzio a livello internazionale.
Diciamocelo con grande chiarezza, signor Presidente, e ciò vale anche per gli impegni del Governo: l'Europa ha avuto Pag. 23un'assoluta incapacità di reazione, di contenuto, ma anche di reale azione politica.
Ci siamo concentrati in questi mesi, in questi anni, su come dotarci di strutture che potessero consentire all'Europa di reagire efficacemente e il nostro responsabile della politica estera, la baronessa Ashton, dopo una settimana di vacanze e di silenzio, dopo una visita alla basilica di Betlemme ha saputo solo dire che, ovviamente, l'Europa è contraria a questi atti. Mi sembra, francamente, che anche questa presa d'atto dell'incapacità, della pavidità degli organismi internazionali di alzare la voce in difesa dei cristiani e della libertà religiosa, sia un elemento di riflessione molto seria per il futuro prossimo venturo dell'Europa e delle Nazioni Unite.
Infine, caro Presidente, vorrei aggiungere come a nessuno di noi sfugga quale siano le necessità cui il nostro Governo è posto di fronte (lo invitiamo a fare ciò); non si tratta solo della necessità teorica di continuare a riaffermare il valore della libertà religiosa come fondamentale diritto e valore per tutti gli esseri umani ma anche di far sì che a questo parametro, a questa affermazione, faccia assolutamente seguito una reale attuazione dell'articolo 8 della nostra Costituzione. Articolo che ci dice che anche negli altri scambi, non solo culturali ma anche economici, il nostro Paese deve avere come riferimento i diritti umani e quindi anche il diritto alla libertà religiosa. Con grande sincerità, troppo spesso, direi sempre, senza voler offendere nessuno, il nostro Paese, la comunità internazionale e soprattutto i Paesi occidentali, questo riferimento al rispetto dei diritti umani e della libertà religiosa come punto di partenza per implementare i propri scambi economici e geopolitici non lo considerano. Facciamo delle buone affermazioni quando accadono disastri e tragedie nei confronti delle comunità religiose a cui, di fatto, poi non diamo seguito. Penso che questa affermazione, insieme agli impegni a cui invitiamo il Governo, sia il parametro fondamentale affinché la libertà religiosa di tutti cittadini, da un lato, e la presa d'atto della necessità di un urgente intervento nei confronti della comunità cristiana e dei 200 milioni di perseguitati, sia efficace non soltanto per il passato ma anche guardando al futuro prossimo della universalità dei diritti umani (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro, Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marinello. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, siamo qui oggi per illustrare le mozioni concernenti iniziative volte a far cessare la persecuzione nei confronti dei cristiani nel mondo. A dire la verità la questione era stata già sollevata con delle mozioni presentate sin dal marzo dello scorso anno ma evidentemente le notizie di cronaca, che si sono susseguite sul finire del 2010 e sin dai primi giorni del 2011, hanno reso assolutamente cogente la questione. Sappiamo che nel mondo vi sono più di due miliardi di fedeli cristiani e 200 milioni di questi fedeli sono sicuramente vittime di persecuzioni, persecuzioni che oggi interessano ben 60 nazioni del mondo. Un primo dato deve farci riflettere: per quanto riguarda le violazioni del diritto alla libertà religiosa dei cittadini, ben l'80, 85 per cento di tali persecuzioni è rivolto contro i cristiani. Tra l'altro, sono anche indicativi i dati dell'agenzia Fides che vengono pubblicati ogni anno e riguardano gli operatori pastorali uccisi. Per quanto riguarda l'anno 2010 vi sono dei dati assolutamente gravi: ventitré operatori pastorali e tra questi un vescovo, quindici sacerdoti, un religioso, una religiosa, due seminaristi, tre laici e ciò non tenendo conto dei fedeli; in questo caso si tratta di migliaia e migliaia di vittime. La situazione nel mondo la conosciamo tutti.
In Iraq i cristiani oggi vivono una situazione assolutamente drammatica: estorsioni, intimidazioni fisiche, danneggiamento dei propri beni, rapimento, diniego di accesso ai luoghi di culto e l'imposizione di un'ignobile tassa di protezione rivolta solo ai cristiani, non ai musulmani. Pag. 24
Ciò che accade in Pakistan è altrettanto grave, così come ciò che accade in India e in altri Paesi dell'Asia e dell'Africa. Tutti, comunque, con una medesima costante: questa violenta aggressione e questa violenta intimidazione continua, giornaliera, nei confronti dei fedeli e dei cristiani. Tale intimidazione riguarda non soltanto la fede religiosa, ma anche una maniera di vivere, una maniera di essere.
Arrivando al massacro natalizio dei copti in Egitto, a dir la verità, questo massacro natalizio sta diventando una sorta di rito, perché voglio ricordare che, anche l'anno scorso, nella città di Nag Hammadi, tre uomini a bordo di un'auto uccisero sette persone, all'uscita di una messa. Mi sento assolutamente di condividere le parole del vescovo della città, Kyrillos, il quale dice che si tratta di «una guerra di religione: vogliono mettere fine alla presenza cristiana in Egitto».
Per arrivare alle notizie di ieri, 11 gennaio: l'ulteriore assassinio di un copto e il ferimento di altri quattro ad opera di un poliziotto. Cosa dire, poi, di cosa accade in Afghanistan, nonostante gli sforzi della missione internazionale, dove, ad esempio, dei medici sono stati uccisi dai talebani soltanto perché sorpresi in possesso di una Bibbia? Tra l'altro, ricordo che la Bibbia è considerata libro profetico anche tra i musulmani stessi.
Tutto questo sicuramente introduce un'altra riflessione: a mio avviso, occorre sottolineare l'enorme somiglianza tra questa escalation di violenza e sopruso contro le minoranze cristiane, e quella che portò alla legge della protezione del sangue e dell'onore tedesco nel 1935 e alla notte dei cristalli nel 1938 e, infine, alla Shoah. Simile, quindi, la progressiva demonizzazione e spersonalizzazione dell'avversario al fine di facilitarne la persecuzione e l'assassinio.
Simile, pure, l'inerzia, se non la connivenza, delle autorità locali, che in taluni casi forniscono addirittura copertura e appoggio logistico agli assalitori. A questa inerzia si contrappongono spesso promesse di intervento delle autorità nazionali con risarcimenti o condanne che quasi mai giungono a buon fine. Simile, infine, la progressiva ghettizzazione della popolazione aggredita, che finisce per raccogliersi ed essere costretta in aree di concentramento nella speranza di potersi meglio difendere, cioè in veri e propri ghetti.
Tutto ciò si accompagna a che cosa? Si accompagna, cari colleghi, all'indifferenza dell'Occidente. Molto spesso, i giornali dell'Occidente, cosiddetto cristiano, che non lesinano mai retorica solidaristica nei confronti di chiunque e di chicchessia, si limitano a registrare esclusivamente i fatti, al punto che monsignor Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi ha correttamente osservato che taluni animali in via di estinzione sono talvolta più difesi dei cristiani.
Vorrei citare anche l'editorialista Panebianco, il quale scrive che «in un'epoca di risveglio religioso generalizzato, sono ricominciate in molti luoghi le guerre di religione, dove i cristiani sono solo vittime, mai i carnefici. Da dove deriva tanto disinteresse per la loro sorte? Sono all'opera diverse cause: la prima è data da un atteggiamento farisaico secondo il quale non conviene parlare troppo delle persecuzioni dei cristiani se non si vuole alimentare lo scontro di civiltà».
Cari colleghi, credo siano proprio queste le ragioni per le quali anche il Presidente Obama, in merito alla recente strage in Egitto, ha deprecato, sì, l'episodio, ma non ha fatto il minimo accenno alla sua connotazione religiosa.
Di fronte a questo assordante silenzio che cosa dobbiamo dire? Dobbiamo dire semplicemente che questo è il frutto di un indecente relativismo culturale spesso dettato da opportunismo e da insipienza, spesso dettato da squallido interesse di noi occidentali e di una sorta di intellighenzia che probabilmente (consapevolmente talvolta, ma spesso inconsapevolmente) fa parte di quella strategia complessiva contro la religione e, in particolare, contro la religione cristiana.
Non possiamo assolutamente sottacere il fatto che in Europa oggi insistono lobby che vogliono far passare sotto silenzio le Pag. 25radici cristiane dell'Europa stessa. Ma l'Europa non può e non deve rinnegare le proprie origini (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).
Questo lo abbiamo visto negli anni passati, allorquando la Costituzione stessa dell'Unione europea sottaceva tali origini, fino ad arrivare ai nostri giorni, quando, proprio il mese scorso, venivano distribuiti tre milioni di diari scolastici con le festività religiose cristiane soppresse, mentre invece i medesimi eurodiari indicavano le festività delle altre religioni. Non siamo assolutamente disponibili ad accettare le scuse di questa (chiamiamola così, eufemisticamente) «dimenticanza» da parte del Commissario europeo, il maltese John Dill.
Tutto questo fa parte sicuramente di una strategia che, in talune parti del mondo, è una strategia violenta, portata avanti da Al Qaeda e da altre organizzazioni terroristiche. Sicuramente il piano globale contro la cristianità e contro i cristiani è assolutamente molto più raffinato e trova anche nell'Occidente, anche nell'Europa e anche nella nostra nazione una serie di importanti sostenitori.
Allora, cosa dire a proposito di questi concetti? Dobbiamo dire che sicuramente quanto contenuto all'articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo deve trovare maggiore sostanza e maggiore applicazione.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO. Mi avvio rapidamente a conclusione formulando alcuni suggerimenti. Ritengo che la mozione finale unitaria, cui sicuramente questa Aula parlamentare perverrà nella giornata di oggi, debba contenere enunciazioni di principio, ma anche impegni importanti. Tali impegni possono riguardare i principi di reciprocità tra le nazioni e anche tra le religioni, principi che devono chiaramente avere anche delle refluenze negli interessi economici e strategici dei vari Paesi.
La nostra mozione deve anche contenere indicazioni precise per dare una corsia preferenziale a quegli ingressi umanitari in favore di immigrati cristiani che provengono da Paesi dove siano in corso delle persecuzioni. Deve contenere delle indicazioni affinché l'aiuto pubblico per il sostegno e la tutela delle nazioni in via di sviluppo debba vedere privilegiate le missioni cristiane e prevedere, quindi, una serie di agevolazioni in termini lavorativi, fiscali e di benefici economici in favore delle missioni cristiane e dei perseguitati.

PRESIDENTE. Deve concludere.

GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO. Solo così, solo facendo questo, possiamo dare un segno concreto e tangibile, al di là delle enunciazioni di principio che pure sono importanti, ma devono essere sostanziate da fatti concreti (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vico. Ne ha facoltà.

LUDOVICO VICO. Signor Presidente, il 1o gennaio scorso il nostro segretario del Partito Democratico, Pierluigi Bersani, ha dichiarato quanto segue: è doveroso rispondere al forte richiamo di Benedetto XVI sull'estendersi dell'intolleranza religiosa. Questa intolleranza ha colpito e sta colpendo in particolare i cristiani dell'Iraq, della Nigeria, delle Filippine, dell'Indonesia e dell'Egitto. C'è il rischio che sulla libera espressione religiosa si scarichino sanguinosamente tensioni politiche ed etniche.
Ha aggiunto, in quella dichiarazione, che c'è bisogno urgentemente di una mobilitazione delle istituzioni internazionali, dei Governi, delle diplomazie, delle pubbliche opinioni, perché la libertà religiosa sia pienamente garantita.
In questo senso il nostro Paese deve assumere un ruolo particolare e deve avere tale ruolo. Perciò siamo pronti ad appoggiare ogni iniziativa del Governo italiano che incoraggi una reazione internazionale a ciò che sta avvenendo. Aggiungo Pag. 26che serve una iniziativa internazionale in sede ONU con un ruolo preciso e certo dell'Unione europea.
Onorevoli colleghi, è giusto sapere che in circa cinquanta Stati del nostro pianeta monitorati dal World Watch List 2011 sono in corso persecuzioni, vessazioni e discriminazioni nei confronti dei cristiani. In questi cinquanta Paesi, uno dei problemi - se non il problema più importante, ai fini di leggere la persecuzione, le vessazioni e le discriminazioni - è l'assenza di leggi sulla libertà religiosa. In alcuni di questi Paesi - cito solo l'India - anche in presenza di leggi sulla libertà religiosa non c'è alcuna applicazione.
In quei Paesi, la libertà di religione è considerata sinonimo di conversione. Voglio dire che, quando si tocca il problema di poter fare una scelta libera e informata per quelle popolazioni e quelle singole persone in campo religioso, si incontra o l'assenza della legge o la violazione di una legge esistente. Penso che questo sia un punto da considerare nel carattere internazionale da far assumere al senso della questione che oggi chiamiamo giustamente, in senso laico e religioso, le persecuzioni, le vessazioni e le discriminazioni verso i cristiani di questo pianeta.
Quindi, a tal proposito, forse è giusto richiamare in questa discussione l'articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (e, quindi, l'ONU) che stabilisce che ciascuno ha il diritto di libertà di pensiero, coscienza e religione e tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo. È tutelata la libertà, sia da soli che in comunione con altri, in pubblico o in privato, di manifestare la propria religione o credo nell'insegnamento, nella pratica, nella preghiera e nell'osservanza dei suoi precetti.
Mi permetto di riproporre nella discussione importante che stiamo svolgendo questo aspetto e perciò l'ONU. Naturalmente mi piace richiamare - avviandomi a concludere - una recentissima riflessione del cardinale Oswald Gracias arcivescovo di Mumbay e presidente della Conferenza episcopale indiana che ci ricorda quanto segue: «È naturalmente lo Stato» (compreso quello dove egli è arcivescovo) «che non deve avere pregiudizio a favore di una religione in particolare. In quei Paesi» - continua sempre l'arcivescovo - «lo Stato deve essere laico non anti-religioso e non deve fare discriminazioni sulla base del credo religioso. Tristemente» - conclude l'arcivescovo - «in molti Stati esistono persecuzioni e discriminazioni a causa della religione».

PRESIDENTE. Onorevole Vico, la prego di concludere.

LUDOVICO VICO. La separazione tra Chiesa e Stato è necessaria e presuppone una eguaglianza di trattamento per tutte le religioni per creare una cultura di pace fra le religioni e tra gli uomini (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Buonfiglio. Ne ha facoltà.

ANTONIO BUONFIGLIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, la discussione delle mozioni di cui oggi è investita la Camera dei deputati riveste una straordinaria importanza perché riguarda un diritto fondamentale che, tuttavia, raggiunge con un po' di ritardo, forse per lo più in base all'emozione del momento, il nostro Parlamento. Infatti, al di là dei tragici avvenimenti dell'ultimo giorno dell'anno, in molti Paesi del nostro mondo viene violato un diritto fondamentale di ogni uomo, che è quello di professare liberamente la propria fede religiosa. Si tratta di un diritto riconosciuto nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948 e inserito, dunque, tra i diritti inalienabili. Si tratta di un diritto che è premessa fondamentale per la costruzione di un'umanità che vuole camminare nella pace. Non a caso il suo riconoscimento nasce alla fine del secondo conflitto mondiale e viene in quella sede e in quella Dichiarazione tutelato.
Eppure, ripeto, al di là dei tragici avvenimenti di questi ultimi giorni già da Pag. 27qualche anno il diritto di e alla libertà religiosa, intendendo con esso anche la libertà di cambiare religione o credo, la libertà di manifestarla individualmente o in comune, in pubblico o in privato, sembra essere rimesso in discussione da atti e comportamenti che generano, in alcuni casi, crescenti livelli di intolleranza.
In questi ultimi tempi in vaste aree del pianeta, infatti, le intolleranze e gli abusi hanno una dimensione crescente. Vi è la Cina, che non accompagna la sua vertiginosa crescita economica con un'adeguata tutela dei diritti umani e dove la stessa Chiesa cattolica viene conculcata perfino nel suo potere interno di autoorganizzazione. Vi sono il Pakistan e l'Iraq, fino a giungere all'ultimo tragico episodio dell'Egitto. Gli ultimi due episodi, quelli dell'Iran nella cattedrale e quello dell'ultimo dell'anno ad Alessandria, sono accomunati dal fatto di avere le vittime un'unica colpa: quella di essere riunite a pregare nella loro chiesa.
Molto spesso, peraltro, tali attentati avvengono sulla base di motivazioni religiose o pseudo-religiose e subiscono anche la beffa di essere rubricati dalla stampa internazionale come scontri religiosi quando non sono avvolti da una coltre di silenzio. Tutto questo deve riportarci a una riflessione comune, al di là della fede religiosa e indipendentemente dal fatto stesso di essere credenti o meno. Già da qualche anno la Chiesa cattolica, con il suo rapporto fatto dall'associazione «Aiuto alla Chiesa che soffre», aveva messo in guardia di fronte a tali e diffuse violazioni, affermando che nel mondo più del 50 per cento della popolazione vede tale diritto fondamentale messo in discussione, viste anche le dimensioni delle popolazioni dei luoghi ove vengono perpetrati tali abusi.
Si è detto acutamente che quando si rompono le dighe della convivenza il problema della libertà religiosa si presenta in tutta la sua valenza, al di là delle frontiere confessionali. Oggi, infatti, gli Stati dove queste violenze avvengono sono Stati importanti per l'equilibrio mondiale. Difendere la libertà religiosa è, dunque, difendere la pacifica convivenza e l'equilibrio del pianeta. Tuttavia, la denuncia non viene solo dalla Chiesa cattolica e dal suo associazionismo. Ad analoghe conclusioni giunse lo stesso Dipartimento di Stato americano, che nel suo rapporto annuale sulla libertà religiosa, anch'esso del tutto ignorato, aveva già denunciato violazioni significative mettendo peraltro in risalto, nelle sue premesse, tra le motivazioni che rendono importante la tutela di tale libertà, la sua capacità di creare le premesse per un impegno positivo dei cittadini nella sfera pubblica.
Per questo rappresenta una grande intuizione e contemporaneamente una grande occasione la volontà dell'attuale Pontefice di rompere il muro del silenzio intorno a questi abusi e di iniziare l'anno con il messaggio della ricerca della pace e della condanna delle discriminazioni religiose. Si tratta di un messaggio rivolto a tutti e, in particolare, agli uomini delle istituzioni civili e religiose, della politica e dell'associazionismo, perché lo trasformino in riconoscimento dei diritti concreti. Per questo, al di là del dato comprensibilmente emozionale di oggi, riveste una grande importanza e rappresentano grandi occasioni da cogliere anche le iniziative di questo Parlamento.
Innanzitutto mi riferisco a quella dei 183 parlamentari, a cominciare dai colleghi Binetti, Carra, Calgaro, che conoscendo il messaggio del Papa avevano invitato, prima dei tragici fatti di Alessandria, sia pure con un semplice comunicato stampa, l'attuale Governo a fare della libertà religiosa la garanzia di un preciso impegno per una politica di pace e sviluppo.
E poi quella di oggi, con l'auspicio tuttavia, signor Presidente, che questioni di tale portata possano sempre venire affrontate con quel senso di unità che dovrebbe accompagnare le discussioni in ordine ai diritti fondamentali delle persone e che la loro tutela abbia un'ordinarietà che esuli da fatti di tale gravità perché tali valori e diritti esistono sempre, in ogni realtà e sono riconosciuti per unire Pag. 28e non per creare un odioso bipolarismo etico (Applausi dei deputati del gruppo Futuro e Libertà per l'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tempestini. Ne ha facoltà.

FRANCESCO TEMPESTINI. Signor Presidente, colleghi, i fondamentalisti che nel gennaio di quest'anno incendiarono alcune chiese in Malesia contestavano la decisione dell'alta Corte di quel Paese di consentire l'uso della parola «Allah» anche ai non musulmani. Quando i copti celebrano la messa di Natale, il celebrante inizia il suo sermone con la parola «Bismillah». Quella parola si rifà al concetto di un Dio universale, unico, ma il fondamentalismo ne vuole impedire persino la comune disponibilità semantica, rinchiude quella parola nei confini del proprio recinto confessionale, la trasforma cioè da parola dello scambio e della comunicazione a parola della divisione.
Questa vicenda dà il senso della profondità delle questioni in cui dobbiamo scavare, dei problemi con cui dobbiamo confrontarci. Viviamo in una nuova fase dei rapporti umani, in cui torna minacciosa la questione della libertà religiosa, ne riconosciamo la centralità nella storia, per tanti versi drammatica e sappiamo che l'intolleranza religiosa ha aperto e può aprire la porta alla violazione dei diritti umani e al conflitto e può condurre - come dice Marco Pannella - alla traccia di tante altre shoah.
Oggi sono i conflitti che ha aperto la modernità a riportare questo tema al centro, innanzitutto in quei Paesi nei quali questo conflitto si è aperto in modo più drammatico e - aggiungerei - nei quali esso maggiormente appare senza sbocco e nei quali si cerca di trovare la risposta nell'idea di chiudere la società alla modernità, di chiudere la umma agli altri, ai dhimmi ai quali l'essere comunità viene sostanzialmente preclusa. Questa è una costante che va al di là del dato religioso e della caratterizzazione religiosa. È ciò che accade in Pakistan e in India e chiama in causa, più in generale, le minoranze religiose.
Questa problematica è naturalmente senza sbocco e per questo si fa così totalitaria e violenta. Essa però rischia di diventare - anzi ormai molto probabilmente lo è già diventata - una questione di carattere strutturale perché il fondamentalismo si candida ad essere la diga, l'antemurale contro una modernità di cui si colgono e si fanno intendere solo gli aspetti negativi e di cui certamente i cristiani sono senza ragione e senza colpa l'espressione. Ad essi l'Occidente ha fornito per tanti versi, nel corso di questi decenni - potremmo dire qualcosa di più in termini di tempo - ragioni e motivazioni con politiche su cui non debbo richiamare la vostra attenzione: pensiamo soltanto alle guerre, di cui possiamo misurare ancora oggi - ci riferiamo soprattutto all'Iraq - tutte le conseguenze più drammatiche e nefaste.
Non è un caso che quel Paese, l'Iraq, sia uno dei paesi che più soffre per la questione dell'intolleranza religiosa. Oggi possiamo dire con equanimità che tali politiche hanno portato l'Occidente al fallimento.
Su quelle politiche naturalmente classi dirigenti locali, con la loro inadeguatezza, con la loro corruzione, con l'idea riduttiva del senso dello Stato, hanno fornito ossigeno e hanno quindi determinato l'espansione di quei fenomeni, salvo poi oggi tentare di cavalcarli per frenarli e per gestirli con esiti ancor più disastrosi, come ci dice la vicenda dell'Arabia Saudita, con il wahabismo portato a ragione di Stato ed anzi come politica di Stato religiosa da portare nel contesto più generale.
Signor Presidente, mi avvio alla conclusione, ci troviamo di fronte quindi a un fenomeno molto complesso. Le mozioni ci parlano dell'esigenza di un Governo che sia attento e partecipe, di una politica che vada nella direzione giusta, e si fa riferimento anche al ruolo delle organizzazioni multilaterali.
Voglio soltanto, me lo consenta signor Presidente, fare una riflessione molto breve. La difficoltà e la complessità delle questioni che abbiamo davanti riguarda e si rispecchia anche nelle difficoltà del Pag. 29multilateralismo. Anche l'ONU, alla quale dobbiamo guardare con grande fiducia, anche questa organizzazione che per qualche verso appare proprio su queste tematiche più chiusa in sé stessa, più paralizzata per i conflitti che la attraversano, come ci dice Durban 2, non riesce nei confronti di Israele a comporre al suo interno soluzioni che vadano nella direzione giusta, che vadano avanti con chiarezza, corrispondendo alle necessità del momento, quindi lasciando aperti degli interrogativi di carattere generale su come la comunità internazionale può rispondere. È tema di riflessione sul quale credo dobbiamo interrogarci tutti (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Di Virgilio. Ne ha facoltà.

DOMENICO DI VIRGILIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la persecuzione dei cristiani si allarga a macchia d'olio, nel mondo il numero di coloro che subiscono tali inaudite violenze continua a crescere com'è a voi tutti noto, nonostante i molteplici appelli di tanti e del Santo Padre in particolare, volti all'assoluto rifiuto di ogni genere di violenza che rappresenta una grave sconfitta per tutti noi e per l'intera umanità.
Stiamo assistendo ad una sorta di «scristianizzazione» violenta, che tende a trasformare la dilagante cristianofobia in una drammatica esigenza di ingerenza umanitaria urgente, e questa è la pura verità, infatti i cristiani sono sotto attacco in varie parti del mondo, negli ultimi due decenni occorre ricordare i terroristi islamici hanno attaccato chiese cristiane e ucciso cristiani in Nigeria, Sudan, Somalia, Malesia, Indonesia, Pakistan, Iraq, Siria, Egitto, Iran e Afghanistan, quasi dimenticando quello che da secoli fanno i nostri missionari ed i volontari a favore di queste popolazioni, soprattutto di quelle più bisognose e dei malati.
Il Santo Padre, Papa Benedetto XVI, all'indomani dell'ultimo attentato che ha colpito la comunità copta ortodossa egiziana, è tornato ad esprimere allarme e grande sofferenza per le persecuzioni contro i cristiani di tutto il mondo, incoraggiando - sono sue parole - le comunità ecclesiali a perseverare nella fede e nella testimonianza della non violenza che ci viene dal Vangelo e che è diretta a tutti quanti, credenti e non credenti.
Appare urgente quindi che il nostro Governo ribadisca ancora una volta e con forza la posizione dell'Italia di assoluta difesa dei diritti della libertà religiosa che costituisce, ricordiamolo, un diritto essenziale, come da tutti è stato ricordato, in quanto coinvolge direttamente la coscienza della persona in relazione alla sua identità profonda.
Come è stato scritto, essa è la madre di tutte le libertà. È un principio di civiltà universale che deve interessare tutti noi. I delitti commessi contro di essa sono una ferita all'umanità in quanto tale e per questo essa è tutelata in maniera particolare dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Vorrei ricordare l'articolo 8 di questa Convenzione, che afferma che ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione, ed ancora che la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo non può essere oggetto di restrizioni. Ed è per questo che i parlamentari appartenenti non solo alla maggioranza ma anche all'opposizione e tutti noi oggi ci siamo mobilitati per contrastare le persecuzioni attraverso queste mozioni che spero sfocino in un documento unitario opportunamente presentato. È il caso di dire che l'Italia insieme all'Unione europea deve far sentire ancora più fortemente, adeguatamente e autorevolmente la sua voce in difesa del diritto fondamentale alla libertà di fede, contro le violenze anticristiane. È indispensabile che tale mobilitazione avvenga in modo trasversale, coinvolgendo, come sta succedendo, tutte le forze politiche. È necessario un impegno da parte di tutte le istituzioni nazionali, internazionali ed europee, ONU compresa, ad attivarsi per una maggiore prevenzione della dilagante intolleranza e contro ogni fanatismo ed odio religioso che, se non arrestato, chissà dove ci porterà. Anche attraverso la Pag. 30promozione, ad esempio, nelle scuole di ogni ordine e grado e nelle associazioni culturali di una maggiore sensibilità verso il diritto inalienabile della libertà religiosa e, in particolare, contro la cristianofobia. Ma per ottenere questi risultati autentici occorrono azioni concrete rapide ed efficaci e non una astratta affermazione di libertà, alla quale forse finora abbiamo assistito. Occorre essere uniti e noi qui oggi stiamo dando una manifestazione di come l'Italia si opponga a questa violenza (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Sereni. Ne ha facoltà.

MARINA SERENI. Signor Presidente, gli efferati episodi di violenza che in queste ultime settimane hanno colpito le comunità cristiane, in particolar modo in Iraq e in Egitto, sono la manifestazione più drammatica di un fenomeno purtroppo assai più diffuso e crescente di persecuzione nei confronti dei cristiani in molte aree del mondo. La lista pubblicata nel 2010 dall'organizzazione no profit americana Open Doors individua, come già hanno ricordato altri colleghi, ben cinquanta Paesi nei quali ai cristiani è negata la libertà religiosa, fino ad arrivare a vere e proprie persecuzioni violente che colpiscono missionari e singoli fedeli. Si tratta nella maggior parte dei casi di Paesi a maggioranza musulmana come l'Iran, l'Arabia Saudita, la Somalia, le Maldive, l'Afghanistan, lo Yemen, la Mauritania, ma anche di alcuni regimi comunisti, come il Laos o la Corea del Nord, in cui ogni manifestazione religiosa è considerata manifestazione di dissenso. La gravità di questo fenomeno non può sfuggirci. In molte parti del mondo assistiamo a sistematiche e continue violazioni dei diritti umani. Tra queste violazioni, dobbiamo considerare la negazione della libertà religiosa e la discriminazione violenta nei confronti delle minoranze cristiane un pericolo gravissimo per la pace, per la convivenza e per la sicurezza del pianeta. Dieci anni fa, il mondo scoprì l'orrore di un terrorismo che nasceva e si alimentava nell'integralismo e nel fondamentalismo islamico. Dieci anni fa, scoprimmo che il mondo globale doveva affrontare nuovi conflitti e nuove ragioni di insicurezza. Dieci anni fa, capimmo che l'affermazione di un nuovo ordine, dopo il crollo del vecchio sistema bipolare, richiedeva grande capacità da parte dell'Occidente di conoscere e di vedere ciò che si stava muovendo nell'Islam, per poter distinguere, combattere e contrastare l'estremismo e il fondamentalismo, per poter sostenere ed aiutare i moderati e i democratici.
Ecco perché è del tutto evidente che in aree come l'Iraq, come il Medio Oriente in generale, l'intolleranza e la violenza nei confronti delle minoranze cristiane, poiché stanno provocando vere e proprie espulsioni, allontanano drammaticamente la prospettiva di pace e di stabilità in zone attraversate da conflitti decennali. Di fronte al manifestarsi di fenomeni di integralismo religioso e alla persecuzione delle minoranze cristiane in tante parti del mondo dobbiamo dunque saper riconoscere il pericolo e reagire con iniziative adeguate sul piano culturale, politico e diplomatico. L'Italia può farlo con l'orgoglio di un Paese che ha inserito la libertà religiosa tra i principi fondamentali della sua Costituzione, come parte integrante della sua identità culturale.
È fondamentale che l'Unione europea, la nostra nuova patria, assuma la questione come una priorità e definisca una linea comune a tutti gli Stati membri. Occorre esercitare una pressione determinata verso quei Paesi che non riconoscono le libertà dei cristiani di professare la loro fede. Occorre chiedere ai Governi di proteggere le comunità, le minoranze cristiane. Occorre far pesare il rispetto e la tutela dei diritti umani nella costruzione delle relazioni economiche e commerciali. Occorre sostenere quelle realtà della cooperazione internazionale e del volontariato che hanno fatto del dialogo e dell'integrazione tra culture e religioni differenti uno dei loro principi fondamentali nel lavoro Pag. 31in tanti Paesi poveri e in guerra. Sosterremo ogni iniziativa del Governo italiano che si muova in questa direzione.
Cari colleghi, è proprio di fronte all'intensificarsi di violenze nei confronti dei cristiani in tanti Paesi che siamo chiamati a raccogliere la sfida del dialogo, dell'apertura, a contrastare anche qui, nel nostro Paese, ogni fenomeno d'intolleranza e d'integralismo, a combattere la paura dell'incontro tra culture e fedi diverse. Ecco perché credo sia importante avere inserito nella mozione che tra poco voteremo l'impegno a sensibilizzare i ragazzi nelle scuole sui temi della libertà religiosa. Ecco perché - credo - dobbiamo tutti salutare con grande entusiasmo e gratitudine la decisione del Santo Padre di promuovere il prossimo ottobre ad Assisi, nella terra di San Francesco e della pace, un nuovo incontro tra tutte le religioni monoteiste a distanza di 25 anni dal primo evento voluto da Papa Giovanni Paolo II.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

MARINA SERENI. Oggi in Parlamento se, come credo - concludo -, questo dibattito si concluderà con un documento unanime, avremo fatto il nostro dovere. Avremo contribuito per la nostra parte a lanciare un allarme, ad indicare ciò che la comunità internazionale può e deve fare per fermare le violenze, a creare nel Paese un'opinione e una consapevolezza diffuse a favore dei valori della pace, del dialogo, dei diritti umani di tutti, e della libertà religiosa in ogni angolo del pianeta (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Baccini. Ne ha facoltà.

MARIO BACCINI. Signor Presidente, la ringrazio per avermi dato la parola e soprattutto per le parole che lei ha voluto esprimere nel suo intervento circa gli argomenti iscritti all'ordine del giorno, sulla difesa delle libertà in generale e in particolare sulla libertà religiosa. La mozione presentata dall'onorevole Mazzocchi e da molti altri colleghi (e che io ho sottoscritto) vuole suscitare in sede politica un dibattito importante, ma soprattutto vuole ricostruire quell'immagine di Cristo imbrattata di sangue innocente, diffusa dai media di tutto il mondo con la sua potenza simbolica che ha scosso l'indifferenza di molte opinione pubbliche occidentali.
È proprio con questa affermazione, nella nostra mozione, che abbiamo voluto dare il senso del nostro sentimento, del nostro stato d'animo che è uno stato d'animo che vuole affermare alcuni diritti ed alcuni principi. Signor Presidente, signori del Governo, vi è in atto una vera e propria pulizia etnica che riguarda le varie denominazioni cristiane: sequestri di persona, omicidi di vescovi, sacerdoti e semplici fedeli, emarginazione dalla vita pubblica di molti cristiani, di molti cattolici. Ci sono focolai, in tutto il mondo, dove questi criteri di persecuzione sono attuati: in Iraq, in Egitto, in India, in Pakistan, in Nigeria, in Sudan, in Corea del Nord, in Vietnam ed in Cina. Ho voluto citare soltanto alcuni di questi Paesi. Credo che sia doveroso ricordare, come Parlamento, come Camera dei deputati del Parlamento italiano, che la libertà religiosa è un diritto essenziale in quanto coinvolge direttamente la coscienza delle persone, in relazione alla sua identità più profonda, perché la libertà religiosa, e la libertà in generale, è tutelata in maniera particolare dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Ma quello che veramente ci preoccupa, signor Presidente, è l'unicità di questa persecuzione che è in atto; l'unicità nei confronti della cristianità, della cultura cristiana, perché il cristianesimo significa promozione e tutela di valori universalmente riconosciuti, come il valore della pace, il valore delle libertà, il valore del bene comune e ne ho citati solo alcuni.
L'attacco al cristianesimo, quindi, non è un attacco confessionale, non è un attacco alla Chiesa cattolica, ma, a nostro parere, a mio parere, è qualcosa di più violento dal punto di vista culturale. Significa promuovere modelli nei quali questi valori sono negati, generando paura, promuovendo modelli che sono esattamente il Pag. 32contrario della democrazia. Il Parlamento, quindi, deve dare nuove speranze - perché di questo si tratta - e sconfiggere la paura che nel mondo si è generata, perché la paura rende prigionieri e la speranza rende liberi. Voglio concludere, signor Presidente, con una citazione sulla libertà di don Luigi Sturzo il quale ricordava che «la libertà è come l'aria e, quindi, si vive nell'aria; se l'aria è viziata si soffre, se l'aria è insufficiente si soffoca, se l'aria manca si muore» (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Maurizio Turco. Ne ha facoltà.

MAURIZIO TURCO. Signor Presidente, non abbiamo sottoscritto la risoluzione unanime che è stata presentata perché riteniamo abbia un approccio parziale. Gli emendamenti che abbiamo presentato ieri, a nostro avviso, sono delle integrazioni indispensabili. Scusate, ma questo Parlamento oggi si sveglia scoprendo che c'è un problema di libertà, pensiero, coscienza e religione nel mondo? Un mese e mezzo fa voi, tutti voi, eravate già in Aula, pronti, tutti insieme, con gli interventi preparati, a sottoscrivere l'Accordo di cooperazione con il Sudan con quel al-Bashir, opportunamente richiamato dalla collega Boniver, il quale ha una sola caratteristica - e ve l'abbiamo ricordata noi, in quest'Aula -, ossia la caratteristica di assassino seriale di cristiani. Voi stavate firmando con lui un accordo e vi abbiamo costretti a ritirare quell'impegno.
Ci sono storie che parlano. Non è un caso se il leader della popolazione vietnamita cristiana dei montagnard con alcune centinaia di suoi concittadini è iscritto al Partito Radicale; se il leader della chiesa buddhista unificata del Vietnam, Vo Van Ai, è iscritto al Partito Radicale. Non è un caso se la leader degli Uiguri, la popolazione musulmana massacrata in Cina, Rebya Kader, è iscritta al Partito Radicale; non è un caso se il Presidente del Parlamento tibetano in esilio è iscritto al Partito Radicale! Non è un caso se provengono da noi le uniche azioni nei confronti dell'Unione europea a fronte del vostro alzare la voce: abbassate la voce, fate rispettare le direttive europee, fate rispettare gli accordi di cooperazione!
In tutti gli accordi di cooperazione tra l'Unione europea e questi Paesi, che abitualmente violano la libertà di pensiero, coscienza e religione c'è una clausola: la clausola del rispetto dei diritti umani e della democrazia. Non solo l'Unione europea non l'ha mai utilizzata, ma nel momento in cui noi, i deputati radicali, abbiamo denunciato la Commissione europea perché non rispettava la propria legge, voi, i vostri gruppi parlamentari, siete stati a guardare!
Allora il problema oggi è quello che dovete abbassare la voce! Dovete abbassare la voce. Non puntate all'ONU per fare qualcosa tra vent'anni, una dichiarazione solenne, piuttosto puntate all'Unione europea, impegnate il Governo perché il Governo non può farlo da solo. Impegniamo insieme il Governo perché l'Unione europea sia costretta a rispettare la propria legge e il Governo abbia il mandato di fare anche ricorso alla Corte europea di giustizia.
Se credete alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione vanno benissimo i proclami, ma state attenti nel vostro vedere con il microscopio quello che accade in alcune parti del pianeta o ad alcuni. Ci sono milioni di persone a cui è impedito - oltre ad essere molti di loro anche uccisi - di poter esprimere le proprie opinioni di pensiero, di coscienza, di religione, di tutte e di qualsiasi religione. Questa è la differenza tra noi e voi. Noi crediamo nell'universalismo: i diritti devono essere uguali per tutti e dovunque. Voi no, voi no! Voi ve ne accorgerete oggi, ancora un mese e mezzo fa con lo sterminatore di cristiani, il cristianofobo per eccellenza, stavate firmando un accordo commerciale (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Concia. Ne ha facoltà.

ANNA PAOLA CONCIA. Signor Presidente, care colleghe e cari colleghi, ovviamente Pag. 33voterò a favore di questa risoluzione, perché convintamente sono contro la persecuzione dei cristiani e contro qualsiasi forma di persecuzione religiosa e perché credo che la libertà religiosa di tutte le religioni sia un diritto inalienabile.
Proprio per questo motivo e perché credo che tutti i diritti umani costituiscano un valore da difendere sempre e in qualsiasi parte del mondo, voglio ricordare a questo Parlamento che esistono ancora 98 Paesi nel mondo, in molti dei quali si verificano anche persecuzioni religiose, in cui vengono perseguitati gli omosessuali, in molti puniti con la pena di morte in altri con il carcere. L'anno passato l'Iran ha ucciso quattromila omosessuali.
Dobbiamo ricordarlo, perché mi auguro che, proprio a partire da questa risoluzione, questo Parlamento e questo Governo vogliano impegnarsi affinché presso l'ONU venga approvata in via definitiva la risoluzione che definitivamente elimini in quei 98 Paesi il reato di omosessualità e quindi la loro persecuzione.
Sono sicura che questa risoluzione potrà essere un terreno fertile con il quale costruire un mondo più giusto e libero dalle persecuzioni, anche per i cittadini omosessuali nel mondo (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

(Annunzio di risoluzioni)

PRESIDENTE. Avverto che è stata presentata la risoluzione Mazzocchi, Fioroni, Reguzzoni, Galletti, Moroni, Leoluca Orlando, Ruvolo, Mosella, Lo Monte, Tanoni ed altri n. 6-0052 (Vedi l'allegato A - Risoluzioni), il cui testo è distribuzione, e contestualmente sono state ritirate dai presentatori tutte le mozioni, decadendo conseguentemente gli emendamenti ad esse riferiti.
Avverto altresì che è stata presentata la risoluzione Maurizio Turco ed altri n. 6-0053 (Vedi l'allegato A - Risoluzioni). Il relativo testo è distribuzione.

(Intervento e parere del Governo)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo, che esprimerà, altresì, il parere sulle risoluzioni presentate.

ALFREDO MANTICA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il Governo ringrazia il Parlamento per questa importante discussione che è avvenuta, ma soprattutto per lo sforzo che è stato compiuto per arrivare ad una risoluzione unitaria, che meglio esprime - credo - la volontà di tutto il Parlamento per azioni decisive in materia di difesa di libertà religiosa. Oggi pomeriggio al Senato, alle ore 16, si svolgerà un identico dibattito e il Governo si augura che anche in quella sede si possa arrivare ad una mozione unitaria. Ci auguriamo che sia la stessa mozione che qui troverà la luce credo tra poco.
Su questo argomento è stato detto molto: abbiamo ascoltato con attenzione quello che è stato qui detto, ma voglio ribadire, come garanzia ai colleghi, che sull'argomento il Governo italiano e l'Italia si sono mossi da subito e con determinazione affinché questi argomenti fossero oggetto di un'attenzione particolare sul piano internazionale, ma soprattutto fossero oggetto di un'azione molto efficace da parte di tutte le istanze che possono svolgere un ruolo a questo fine, a cominciare dall'Unione europea.
Nei giorni scorsi il Ministro Frattini si è fatto promotore, con diversi partner dell'Unione europea, di un'iniziativa per iscrivere l'argomento a pieno titolo nell'agenda del Consiglio degli affari esteri dell'Unione europea, che si svolgerà il 31 gennaio. A questo fine informo il Parlamento che è stata inviata all'Alto rappresentante Catherine Ashton una lettera firmata congiuntamente dal Governo italiano (Ministro Frattini), dal Governo francese (Ministro degli esteri Alliot-Marie), dal Ministro ungherese Martonyi e dal Ministro polacco Sikorsky (e ricordo che Ungheria e Polonia rappresentano le due Pag. 34presidenze che si succederanno ai vertici dell'Unione europea nel 2011). Ciò per dimostrare che il dossier libertà religiosa ma soprattutto le persecuzioni nei confronti dei cristiani nel mondo meritano da parte del Governo la massima attenzione e vogliono e pretendono che le strutture del Servizio europeo di azione esterna, il cosiddetto Ministero degli esteri europeo, debba sempre più rappresentare questa attenzione particolare e farla diventare una delle grandi priorità dell'agenda comune europea. Se le minoranze cristiane vengono perseguitate nel mondo, l'Europa deve parlare. Tali preoccupazioni erano peraltro già alla base di diverse iniziative intraprese nel recente passato dall'Italia in sede europea, anche sulla base di specifica sollecitazione di questo Parlamento in questo senso.
La difesa della libertà religiosa e di culto e la tutela degli appartenenti a minoranze religiose costituiscono da tempo una delle principali priorità della politica estera nel campo dei diritti umani.
La discriminazione basata sulla religione, che non è limitata a una specifica confessione, né a una specifica regione del mondo, ma che negli ultimi tempi ha particolarmente colpito, e in maniera efferata, le minoranze cristiane, rappresenta una grave violazione dei diritti umani.
Già alla fine del 2009, prendendo spunto da numerosi attacchi avvenuti in diversi Paesi contro le minoranze religiose, l'Italia ha promosso l'adozione da parte del Consiglio dell'Unione europea di conclusioni ad hoc sulla libertà di religione.
Nel giugno del 2010 propose un piano d'azione che è stato elaborato dalla task force per la libertà di religione, che si riunisce periodicamente a Bruxelles per dare impulso a varie misure di tutela della libertà religiosa da parte dell'Unione europea. Essa definisce quattro ampie categorie di intervento: azioni bilaterali, iniziative multilaterali, sostegno finanziario, educazione e capacity building.
Al Consiglio degli affari esteri dell'Unione europea del 13 dicembre scorso si è inoltre deciso, su un'iniziativa presa congiuntamente da Italia e Austria e sostenuta da diversi partner europei, che l'Unione europea elaborerà periodicamente un rapporto sullo stato della libertà religiosa nel mondo.
Da ultimo, il 21 dicembre 2010 è stato elaborato dalla citata task force dell'Unione europea un documento di lavoro intitolato «Messaggi chiave: linee da assumere su libertà di religione e di credo». Tale documento riassume, ad uso delle delegazioni dell'Unione europea nei Paesi terzi, i punti essenziali caratterizzanti la posizione europea in materia di libertà di religione. Queste iniziative rappresentano - è bene sottolinearlo - solo una base di partenza, non certo il punto di arrivo di un processo che dovrà portare l'Unione europea a un maggiore e più efficace coinvolgimento su questi dossier. Ciò sia sul piano bilaterale nei rapporti con i Paesi terzi, ma soprattutto nell'ambito dei diversi organismi multilaterali competenti (ONU, G8, OSCE, Consiglio d'Europa), anche sotto il profilo della cooperazione antiterrorismo.
Tra le possibili misure da sviluppare si possono citare le seguenti iniziative: inserire in modo sistematico nell'agenda di ogni incontro di dialogo politico dell'Alto rappresentante con Paesi terzi il tema dei diritti umani e, in particolare, della libertà religiosa; tra i programmi di cooperazione con Paesi terzi prestare particolare attenzione a quelli relativi all'educazione, al rispetto dei diritti umani, al dialogo interculturale e interreligioso; promuovere la cooperazione tra l'Unione europea e Stati della sponda sud del Mediterraneo in materia di antiterrorismo, con riferimento specifico agli attacchi terroristici contro individui o gruppi di individui inermi, comprese le comunità religiose; sollecitare congiuntamente i competenti organi dell'ONU, come l'Alto commissario per i diritti umani e relatore speciale per le libertà religiose, affinché rivolgano le loro attenzioni alla questione.
Quanto agli altri fori multilaterali nei quali è possibile agire occorre ricordare, innanzitutto, che l'Italia, insieme ai partner dell'Unione europea, ha promosso anche quest'anno nell'Assemblea generale Pag. 35delle Nazioni Unite una risoluzione per la tutela della libertà e contro l'intolleranza religiosa. Questo testo, che è stato adottato definitivamente dall'Assemblea plenaria delle Nazioni Unite del 23 dicembre, contiene, grazie anche all'azione dell'Italia, elementi specifici che richiamano l'aumento degli episodi di violenza contro gli appartenenti a minoranze religiose e il dovere che ha ogni Stato di esercitare la massima vigilanza per prevenirli e punirne i responsabili.
Non va nascosto che nell'ambito delle Nazioni Unite il negoziato su questi argomenti è sempre molto complesso, sia perché diversi Paesi tendono a subordinare il loro consenso all'introduzione di elementi che noi consideriamo restrittivi e contrari (ad esempio, l'eliminazione di riferimenti espliciti al diritto di cambiare religione), sia perché questa iniziativa si collega, a sua volta, a quella sulla diffamazione delle religioni presentata dai Paesi della Conferenza islamica, che presenta, invece, numerosi aspetti problematici.
La nozione di diffamazione e vilipendio delle religioni si rifà - come è noto - all'idea, profondamente radicata nei Paesi islamici, che esista un vuoto normativo da colmare per tutelare i credenti da forme di attacco o di irrisione della religione islamica o della sua simbologia.
Al contrario, i Paesi occidentali, ma in primis l'Unione europea, sostengono che la diffamazione delle religioni non sia un concetto riconducibile al sistema di tutela internazionale dei diritti umani, ma che esso possa, invece, essere utilizzato per limitare la libertà di espressione e di religione.
Per questo motivo, in sede multilaterale, appare preferibile concentrarsi nel dare attuazione ai numerosi strumenti giuridici e politici già esistenti in ambito ONU, piuttosto che pensare ad iniziative completamente nuove, le quali, oltre ad essere difficilmente attuabili, alimenterebbero una dinamica di contrapposizione. Tra questi ultimi, voglio ricordare la dichiarazione dell'ONU sull'eliminazione di ogni forma di intolleranza e discriminazione basate sulla religione e sul credo.
Fatte queste premesse, è ovvio che il Governo accetta e condivide la risoluzione Mazzocchi, Fioroni, Reguzzoni, Galletti, Moroni, Leoluca Orlando, Iannaccone, Mosella, Lo Monte, Tanoni e altri n. 6-00052, che in questa sede è stata presentata unitariamente.
Il Governo vorrebbe solo sottoporre all'attenzione dei firmatari una correzione puramente formale, che, tuttavia, ha una sua validità, laddove al penultimo capoverso della parte relativa agli impegni che il Governo deve assumere si parla di istituire un Osservatorio sulla condizione dei cristiani nel mondo. Si tratta di un'opinione che il Governo condivide, tuttavia, nella fase in cui siamo, sarebbe più opportuno eliminare il riferimento «presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri», nel senso che il Governo ritiene che l'Osservatorio vada attuato e istituzionalizzato nel contesto che tra Parlamento e Governo verrà trovato nella maniera più opportuna.
Desidero, inoltre, ricordare a molti colleghi parlamentari che già opera un consiglio informale per la difesa della libertà religiosa, formato da Parlamento e Governo, che è stato istituito alla fine del 2008 su richiesta del Ministero degli affari esteri e di cui fanno parte molti dei parlamentari che hanno, tra l'altro, firmato questo documento.
Pertanto, proprio al fine di favorire un'attuazione efficace e tempestiva di questo Osservatorio, il Governo propone di eliminare l'inciso relativo alla collocazione dello stesso presso la Presidenza del Consiglio dei ministri e di fare riferimento, in maniera operativa, ad un'esperienza che è già in corso e che finora ha dato alcuni importanti risultati.
Per quanto riguarda la risoluzione Maurizio Turco ed altri n. 6-00053, che è stata illustrata in quest'Aula, il Governo non può che esprimere parere contrario, in quanto essa impegna praticamente il Governo italiano (sappiamo ed è anche stato illustrato come funzionino le questioni in sede europea) a fare ricorso alla Corte europea di giustizia contro la Commissione europea. Pag. 36
Mi sembra che questo non sia un impegno che, obiettivamente, il Governo possa accettare, tenendo conto che tutti noi, dell'Europa, dei procedimenti europei, della Commissione europea, ma, soprattutto, del Ministero degli affari esteri europeo, abbiamo fatto un obiettivo, sapendo e conoscendo le difficoltà e i limiti, ma ritenendo che l'azione finora svolta dall'Europa vada incrementata e non vada né sanzionata, né punita (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

Preavviso di votazioni elettroniche (ore 13,03).

PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta potranno aver luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di cinque e venti minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del Regolamento.

Si riprende la discussione.

(Dichiarazioni di voto)

PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Vernetti. Ne ha facoltà.

GIANNI VERNETTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, naturalmente apprezziamo il fatto che dopo questo dibattito si sia giunti ad una risoluzione unitaria di tutto il Parlamento. Il gruppo Misto-Alleanza per l'Italia voterà certamente a favore.
Credo che la rilevanza epocale del tema della libertà religiosa e della persecuzione dei cristiani nel mondo abbia fatto sì che fosse possibile superare le divisioni e i punti di vista differenti. Ora credo che sia tempo di agire. Bisogna fermare con ogni mezzo i tanti pogrom che stanno minacciando i cristiani in tutto il Medio Oriente.
L'obiettivo del terrorismo di matrice islamista in Iraq, come in Egitto, in Nigeria come in Pakistan, è quello di cambiare radicalmente la geografia umana di quelle terre, cacciando le comunità cristiane che da duemila anni le popolano. È già successo purtroppo negli ultimi cinquant'anni con le comunità ebraiche, numerose in Iraq e in tutto il Medio Oriente, oggi radicalmente, totalmente scomparse. Ora l'Europa in quanto tale e i governi europei facciano sentire la propria voce; servono passi formali nei confronti di quei governi che non sono in grado di garantire quel diritto umano fondamentale che è la libertà religiosa. È tempo di affermare, nelle relazioni internazionali fra l'Europa e i Paesi del Medio Oriente, un principio di piena reciprocità in materia di libertà religiosa. Ai cristiani in Medio Oriente va garantita la sicurezza, la libertà di culto, la possibilità di vivere in pace e dignità. È tempo ancora, e lo ripeto, di passare però dalle parole ad una azione concreta e incisiva. Vorremmo che l'Unione europea redigesse un libro bianco sulla libertà religiosa ed un piano di azione concreto sulla libertà religiosa in base al quale subordinare anche le scelte di cooperazione allo sviluppo, favorendo i Paesi che mostrano progressi in quel settore e penalizzando i Paesi nei quali dominano l'odio e l'intolleranza. Possiamo fare questo come Italia, oppure lo possiamo fare insieme ai nostri partners europei. In ultimo, invito il Governo a monitorare in queste ore, in questi giorni, gli esiti del referendum in corso in Sud-Sudan con particolare riferimento agli aspetti relativi alla sicurezza. Come sapete in queste ore stanno votando milioni di sudanesi del sud, sta per nascere un nuovo Paese indipendente di 4 milioni di cristiani che si separeranno dal nord, da quel regime del presidente Bashir che veniva prima ricordato. Credo sia importante per l'Italia essere presente, aprire immediatamente, riconoscere il nuovo Stato che nascerà e monitorare gli aspetti sulla sicurezza. Rischiamo, nelle prossime ore, di trovarci di fronte ad un'altra grande crisi umanitaria, politica e di sicurezza che potrebbe minare Pag. 37quella comunità cristiana che oggi trova una strada per l'indipendenza (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Alleanza per l'Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Porfidia. Ne ha facoltà.

AMERICO PORFIDIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'arcivescovo Celestino Migliore, osservatore permanente della Santa Sede all'ONU, in una recente rapporto, ha quantificato in 200 milioni i cristiani che sono vittime di persecuzioni e discriminazioni. In molti casi questi gesti di gravissima intolleranza passano del tutto inosservati agli occhi della grande stampa internazionale. Stando sempre al rapporto di Monsignor Migliore, a gennaio dello scorso anno a Laos sono stati messi agli arresti 48 cristiani nel solo distretto di Ta-Oyl affinché rinunciassero alla loro confessione e che, a quanto raccontano gli esponenti dell'«International Christian Concern», gli ufficiali del distretto hanno puntato le pistole alle teste dei cristiani che però si sono rifiutati di obbedire all'ordine di rinunciare alla propria fede. Berthold Pelster, ricercatore di «Aiuto alla Chiesa che soffre», associazione che stila annualmente un rapporto sulla situazione dei cristiani nel mondo, ha stimato che tra il 75 e l'85 per cento degli atti compiuti contro una religione riguardano i credenti in Gesù Cristo. Detta associazione ha elencato sessanta Paesi nel mondo nei quali la libertà religiosa è violata sia nell'impossibilità di professare la propria fede o di esercitare il proprio culto sia nella repressione attuata attraverso la violenza e il sopruso che si concretizzano spesso in veri e propri massacri. L'agenzia Fides della congregazione vaticana per l'evangelizzazione dei popoli ha calcolato che nel solo 2009 sono stati uccisi 37 missionari, il doppio dell'anno precedente.
Signor Presidente, è evidente che la persecuzione contro i cristiani continua a mietere vittime innocenti in molti Paesi del mondo. Una strage che non si è mai arrestata e che forse solo in questi ultimi mesi ha attirato l'attenzione dei media. La conferenza sulla persecuzione contro i cristiani, tenuta recentemente e promossa dalla Commissione degli episcopati dell'Unione europea dei gruppi dei conservatori e riformisti europei e del gruppo del Partito Popolare Europeo all'europarlamento, ha presentato una dichiarazione in cui si chiede all'Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell'Unione Europea, Catherine Ashton, di difendere la libertà di culto, includendo in tutti gli accordi con Paesi esterni alla Unione europea una clausola vincolante di rispetto di tale diritto fondamentale.
Dobbiamo tener presente che anche il nostro Presidente, Giorgio Napolitano ha inviato al Sommo Pontefice, Benedetto XVI, un lungo messaggio con il quale ha ribadito la necessità della libertà religiosa in tutte le democrazie.
Pertanto, il gruppo Noi Sud - PID, nell'esprimere il suo apprezzamento per l'azione del Ministro degli affari esteri, Franco Frattini, che ha chiesto all'Alto rappresentante Ue per la politica estera, Catherine Ashton, di discutere la questione della persecuzione nei confronti dei cristiani nell'incontro previsto per il 31 gennaio a Bruxelles, chiede al Governo di adottare misure concrete per promuovere e conseguire il rispetto della libertà di religione e di espressione in ogni parte del mondo e di chiedere all'Unione europea di subordinare i rapporti diplomatici e o commerciali o bilaterali con altri Paesi all'effettivo rispetto dei valori di tolleranza e di libertà di culto.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

AMERICO PORFIDIA. Concludo, signor Presidente. Invitiamo quindi l'Esecutivo a promuovere ad ogni livello sanzioni contro quei Paesi che tollerano i fenomeni di violenza e di discriminazione religiosa; a subordinare la stipula di accordi diplomatici, commerciali e di collaborazione tra l'Italia e altri Paesi al rispetto della libertà di culto; a promuovere nelle scuole - questo è un momento fondamentale per noi - di ogni ordine e grado, una campagna Pag. 38di sensibilizzazione contro la discriminazione dei cristiani e contro ogni forma di intolleranza religiosa (Applausi dei deputati del gruppo Misto - Noi Sud Libertà e Autonomia, I Popolari di Italia Domani).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Leoluca Orlando. Ne ha facoltà.

LEOLUCA ORLANDO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, credo che la mozione che è stata presentata, alla quale l'Italia dei Valori ha dato il proprio contributo in termini di proposta e la propria sottoscrizione, sia certamente importante e significativa, per le ragioni che l'avevano ispirata, e che avevano ispirato anche le altre mozioni.
Tuttavia, tutti insieme abbiamo fatto un passo indietro per fare, tutti insieme, due passi in avanti e, esattamente, confermare che, rispetto alla libertà religiosa - che è principio cardine della nostra Costituzione, ma anche, al tempo stesso, principio cardine nella categoria dei diritti della persona umana - questo Parlamento si esprime con il massimo di unità possibile.
È per tali motivi che, nel confermare, come avevo già annunziato, di aver ritirato, a nome del gruppo dell'Italia dei Valori, la mozione da me presentata insieme con il collega Evangelisti, abbiamo firmato, sempre con il collega Evangelisti, la risoluzione unitaria, che voteremo convintamente. (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori e dei deputati Renato Farina e Mazzocchi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Menia. Ne ha facoltà.

ROBERTO MENIA. Signor Presidente, credo sia significativo e di alto valore, non solo politico, simbolico, ma spirituale la convergenza che si realizza in Parlamento sulle mozioni unificate in ordine alla libertà religiosa, con particolare riferimento alla difesa dei cristiani nel mondo.
Se, come diceva Benedetto Croce, tutti noi italiani non possiamo non dirci cristiani, essendo questo un elemento culturale di fondo che ci pervade, credenti o non credenti, noi ci sentiamo tutti colpiti, offesi e umiliati di fronte a quell'immagine di Cristo imbrattato di sangue nella cattedrale di Alessandria d'Egitto.
Lo sentiamo tanto più perché nella nostra essenza, il valore di quel crocefisso non è solo simbolo religioso, ma anche segno culturale. Ciò, non a caso, viene ribadito anche nel Concordato firmato nel 1984, in cui si riconoscono i principi del cattolicesimo come parte del patrimonio storico del popolo italiano. Perché siamo figli, da italiani, dell'antica pietas latina.
Perché è in noi il valore universale del Cantico di San Francesco, patrono d'Italia.
Fatta questa osservazione, che potrebbe sembrare sotto un certo profilo particolare, desidero aprire il campo alla universalità dei concetti che stiamo esponendo. L'attacco ai cristiani, a prescindere dall'obiettivo o dal luogo in cui esso avviene, è l'attacco ad un diritto universale, quello alla libertà di religione, sancito dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo delle Nazioni Unite del 1948 e che è - voglio ribadirlo - il diritto di professare un culto religioso, ma anche la libertà di cambiare religione o credo, la libertà di manifestare isolatamente o in comune, in pubblico o in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto, nell'osservanza dei riti.
Nel valore universale del suo insegnamento un grande Papa, Karol Wojtyla, denunciava in particolare l'opposizione dei Governi alla libertà religiosa come un attacco alla dignità propria dell'uomo. Nella Redemptor Hominis Woityla diceva: «la limitazione della libertà religiosa delle persone e delle comunità non è soltanto una loro dolorosa esperienza, ma colpisce innanzitutto la dignità stessa dell'uomo, indipendentemente dalla religione professata o dalla concezione che essi hanno del mondo. La limitazione della libertà religiosa e la sua violazione contrastano con la dignità dell'uomo e con i suoi diritti oggettivi». Pag. 39
La violazione del diritto di libertà religiosa è in realtà oggi troppo spesso messa in discussione anche con la complicità o con il disinteresse del Governo e, sempre più di frequente, assistiamo ad aberranti atti di violenza collettiva, di intolleranza religiosa, a vere e proprie stragi. Nel corso del dibattito, non a caso, il pensiero è andato ai diversi angoli del mondo in cui cresce il fronte dell'intolleranza religiosa.
Ho parlato di Cina, per esempio: in questo gigante della crescita economica (crescita smisurata) è pratica giornaliera l'utilizzo della pena di morte e spesso i diritti umani sono sacrificati sull'altare di una presunta ragion di Stato e il potere politico ferisce il sentimento religioso dei cristiani, intervenendo nella vita e nell'organizzazione della Chiesa cattolica stessa.
Sempre in Asia pensiamo al Pakistan, dove donne e bambini sono oggetto di violenze e di stupri perché cristiani, o all'Indonesia, all'Iraq e all'attentato di Baghdad di poche settimane fa o, in Africa, alla Nigeria, dove vi è una condizione spaventosa e sembra essere esplosa una guerra di religione che miete vittime soprattutto tra i cristiani che sono, tra l'altro, la fascia più povera del Paese.
Ecco, a fronte di tali pericolose dinamiche di violazione di quello che pure è un fondamentale e riconosciuto diritto umano, almeno in teoria, non è ammissibile il silenzio delle istituzioni, siano esse nazionali, europee o internazionali, soprattutto se avviene nel civilissimo mondo occidentale, ci tengo a dirlo.
Non sono accettabili l'indifferenza e l'accondiscendenza che finiscono con l'essere complicità morale. Questo vale per l'Unione europea, che dimentica che la cultura dei diritti umani è nata nel suo seno e dalle sue radici cristiane e dovrebbe trovare invece una voce forte ed autorevole con cui schierarsi dalla parte della libertà religiosa con energia e con determinazione.
Vale per l'ONU, finora inerte, e per gli stessi organismi internazionali, pronti spesso a mobilitarsi in campagne di denuncia su gravi violazioni dei diritti umani, ma in questo caso rimasti in silenzio. Homo mundus minor dicevano i latini: l'uomo è in sostanza un mondo in miniatura. Facciamolo più bello questo mondo, più libero, più giusto ed armonioso; nulla vale di più dell'uomo, della sua umanità e della sua spiritualità. Questo è il segnale che viene oggi dal voto unanime di questo Parlamento nel nome dell'uomo e della sua libertà (Applausi dei deputati del gruppo Futuro e Libertà per l'Italia e del deputato Renato Farina).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Binetti. Ne ha facoltà.

PAOLA BINETTI. Signor Presidente, colleghi, mi ha colpito molto anche questa volta come siano stati necessari molti episodi di violenza, ripetuti soprattutto in diversi Paesi del vicino Oriente, per scuotere le nostre coscienze e obbligarci ad uscire da uno stato di torpore che ci permetteva di giustificarci senza sentire l'urgenza e la necessità di dover reagire con coraggio, con fermezza, ma anche con profonda e concreta solidarietà, nei confronti di persone innocenti, la cui unica colpa è la loro fede e la loro coerente testimonianza.
Forse queste persecuzioni ci stanno risvegliando da un lungo sonno e in questo senso possono avere un ruolo di straordinaria efficacia se sapremo coglierne il senso richiamando la nostra attenzione sulla difesa del primo dei diritti umani.
Colpevoli di innocenza, da secoli il sangue dei martiri cristiani rappresenta il segno tangibile di come la croce, con tutto il dolore e la sofferenza che comporta, contribuisce a generare la Chiesa ed è drammaticamente vero che l'antica profezia continua a compiersi nella vita delle Chiesa e in un certo senso le conferisce quell'energia morale che spinge tutti noi a chiederci che senso abbia la vita e che senso possa avere una vita quando viene privata del suo diritto a testimoniare la propria fede nella vita quotidiana con quella semplicità e con quella libertà che conferisce alla fedeltà una dimensione eroica anche quando sembra fatta di cose Pag. 40piccole e apparentemente irrilevanti. Ma il sangue di questi moderni martiri, vittime di una cristianofobia aggressiva e imprevedibile, non può risolversi nel gesto di orrore che pure coglie tutti noi davanti all'ennesimo attacco, sia che colpisca una sola persona o che costituisca una vera e propria strage.
Non possiamo rassegnarci ai nostri gesti di sdegno, alle nostre critiche impulsive rivolte ad ignoti, magari trascinando nella nostra rabbia intere popolazioni, loro stesse innocenti, o gruppi di persone che hanno convinzioni e fedi diverse dalle nostre. Non possiamo rispondere alla violenza dei gesti con la violenza delle parole che rivendicano una giustizia che ha in bocca il sapore amaro della vendetta, delle ritorsioni, che inevitabilmente potrebbero cadere anche su persone innocenti. Ci si chiede qualcosa di più come persone, che vedono calpestati i più umani tra i diritti dell'uomo, come credenti, che vedono offesi i valori più profondi della nostra fede, a cominciare da quel senso di fraternità che costituisce l'essenza stessa del cristianesimo e come parlamentari, che sanno di dover dare una testimonianza forte di valori come la giustizia, la pace, la solidarietà e la libertà.
Proprio ieri Benedetto XVI, parlando al corpo diplomatico nel consueto saluto di inizio d'anno, ha voluto sottolineare una volta di più come la libertà religiosa appartenga ai diritti fondamentali dell'uomo, di tutti gli uomini, in tutti i tempi senza distinzioni di alcun tipo. Questo diritto dell'uomo - diceva Benedetto XVI - in realtà è il primo dei diritti perché storicamente è stato affermato per primo e d'altra parte ha come oggetto la dimensione costitutiva dell'uomo cioè la sua relazione con il creatore.
I governanti hanno l'obbligo grave di tutelare e di far tutelare la fede di ognuno permettendo ad ognuno di poterla vivere con semplicità. La pace si costruisce e si conserva solamente quando l'uomo può cercare liberamente Dio nel suo cuore, nella sua vita e nelle sue relazioni con gli altri. Occorre riscoprire la dimensione trascendente dell'uomo, ricordare che l'uomo ha un bisogno straordinario di coltivare il proprio rapporto con Dio perché è da questo che trae forza per capire da dove viene e dove sta andando. Se non sa rispondere a queste domande ogni uomo soffre di uno spaesamento esistenziale che lo rende facilmente manipolabile e lo proietta verso false soluzioni alla ricerca di falsi paradisi terrestri che non potranno certo dargli la felicità cui aspira.
In un secolo che sembra malato di consumismo, in un tempo nel quale le categorie economiche hanno creato degli standard di efficienza e di produttività in base ai quali l'unico criterio per valutare se una vita meriti o meno di essere vissuta è quello puramente pragmatico e funzionale a che serve o a chi serve una persona, riscoprire la dimensione trascendente della vita umana può aiutarci tutti ad affrontare in modo diverso mille questioni diverse. La libertà religiosa, così vilmente calpestata e mortificata in questi giorni, ci ricorda il bisogno dell'uomo di porsi in contatto con Dio, la speranza di potergli parlare sapendo e credendo di essere ascoltato. È come se dicesse: «Signore mio, Dio mio, credo fermamente che tu sia qui e che mi ascolti» e desse voce ai suoi desideri, alle sue paure per chiedere aiuto nel modo più umano con una preghiera di petizione a cui più tardi fa seguire una preghiera di ringraziamento o un semplice dialogo di affetti.
Questo è il diritto dell'uomo che vogliamo tutelare con la nostra mozione. Si tratta del diritto a stare a tu per tu con Dio, con colui che lui chiama Dio e con colui che ama come Dio, perché è in lui che trova risposta agli aneliti più profondi del suo cuore.
Negare questo diritto all'uomo significa calpestarne la dignità, significa sradicarlo dalle dimensioni più profonde del suo essere per farlo sentire inevitabilmente più solo e forse, in alcune circostanze della sua vita, anche disperato. Difendendo il diritto dell'uomo alla sua libertà religiosa stiamo difendendo l'uomo, l'uomo intero, l'uomo in se stesso e quanto ha di più alto nella sua natura, una natura comune a Pag. 41tutti gli uomini di tutti tempi, di tutte le latitudini, di tutte le etnie e di tutte le fedi.
Per questo appare tanto più incredibile questa violenza religiosa che si sta scatenando contro i cristiani che da sempre sono impegnati, in prima persona, nella costruzione del bene comune nei diversi Paesi in cui vivono, costruttori di una civiltà dell'amore, del dialogo e della fraternità ma anche appassionati ricercatori della verità attraverso lo studio e la ricerca, attraverso i saperi scientifici e i saperi umanistici. Ovunque la civiltà cristiana si è fatta cammino per la scoperta di ciò che è giusto e di ciò che non lo è, fino a porre le basi più avanzate del diritto universale e, nello stesso tempo, fino a creare le condizioni per uno sviluppo tecnologico ad alta valenza umana e umanistica.
Oggi vi è una forma di violenza, però, ancora più sottile, che caratterizza Paesi di antica tradizione cristiana attraversati da un'ondata di laicismo che pretende di sostituire Dio con una sorta di dea ragione e con il falso mito di uno scientismo che pretende di spiegare tutto e di giustificare tutto in nome di una scienza che si serve dell'uomo invece di mettersi al servizio dell'uomo. Mettere i cristiani in condizione di non poter vivere e testimoniare serenamente le loro convinzione sotto una falsa esigenza di laicità è una delle più potenti forme di violenza che si fanno all'uomo e alla sua coscienza perché lo si obbliga a chiudere Dio in un cassetto, insieme alla sua fede e alla sua stessa coscienza.
Senza libertà religiosa la via della pace si fa particolarmente difficile proprio in un'epoca di globalizzazione come la nostra, in un tempo in cui i flussi migratori portano gruppi numerosi a spostarsi da un continente all'altro in cerca di migliori opportunità per vivere, sia che fuggano dalla povertà estrema sia che fuggano da una serie di aggressioni alla loro libertà. L'uomo si sposta con la sua famiglia nella speranza di assicurarle una migliore condizione di vita e la libertà religiosa è parte integrante di questa ricerca affannosa di un bene migliore.
Religione e pace hanno un legame inscindibile tra di loro perché Dio non può desiderare altro che la felicità degli uomini e questa felicità passa per un'esperienza costantemente rinnovata di libertà. Se per secoli gli uomini hanno combattuto per la loro libertà religiosa, forse oggi è arrivato il momento di coinvolgere tutte le grandi istituzioni, a livello nazionale ed internazionale, per ricercare nella pace la via della libertà.
Per questo esprimiamo un «sì» convinto, ovviamente facendo nostri tutti i punti che sono previsti nel dispositivo con cui impegniamo il Governo, e vogliamo anche richiamare l'attenzione per chiedere con grande energia al Governo di impegnarsi a chiedere con forza che la cristianofobia sia messa al centro dell'osservatorio di Vienna contro le discriminazioni. Ad oggi questo osservatorio funge quasi come uno strumento di tutela e di difesa contro la islamofobia. Noi pretendiamo che, data la consistenza e il crescendo di vittime che si sono registrate proprio tra i cristiani e data questa ondata di cristianofobia, questo osservatorio lavori, anche e profondamente, al servizio dei cristiani (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro e Popolo della Libertà - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Polledri. Ne ha facoltà.

MASSIMO POLLEDRI. Signor Presidente, onorevole sottosegretario, onorevoli colleghe e colleghi, chi di noi vorrebbe essere dimenticato? Essere dimenticati dopo la morte significa, in qualche modo, morire due volte. Quello che non vogliamo come persone, non lo vogliamo neanche come società né come politica. Se questo Stato dimenticasse i propri morti, nati sulle ceneri del fascismo, o dimenticasse gli eccidi del fascismo in qualche modo dimenticherebbe se stesso. Tutti gli anni ricordiamo dei martiri, ma non riusciamo a capire questi nuovi martiri dell'Europa come, per esempio, i morti di Londra e quelli di Madrid. Pag. 42
Non riusciamo a capire quale sia questo nazismo, questo nuovo nazismo. Esiste un nuovo nazismo, un nazismo di fondamentalisti vogliamo dire, ma forse le radici sono più profonde e non riusciamo ancora a comprenderle.
Oggi ci sono delle croci che mancano, ci sono delle persone seppellite nel mondo che non hanno una croce, non hanno nessuno che li pianga o li riconosca e sono morti due volte. Sono in tanti, sono - come dice Renè Guitton - circa 50 milioni di cristiani, conoscono persecuzioni, disprezzo e discriminazione. Il 70 per cento della popolazione è oggetto di restrizioni o persecuzioni per motivi religiosi. Per questi si alza ogni tanto una voce flebile, la voce per esempio di Bernard-Henri Lévy, un grande intellettuale che chiede se esista un permesso di uccidere, opprimere, umiliare o martirizzare i cristiani. Ebbene no, oggi bisogna difendere i cristiani. Bernard-Henri Lévy chiede giustamente che altri diritti vengano riconosciuti: si tratta, ad esempio, della battaglia per Sakineh, condotta da premi Nobel ed altri.
Tuttavia quando pubblicamente Lévy lancia il proprio grido di dolore per i cristiani, va a finire sulla ventesima pagina del Corriere della Sera, non sulla prima pagina. La medesima cosa è avvenuta per Asia Bibi, una cristiana incatenata e condannata a morte per una legge - come tutti abbiamo ricordato - ingiusta, la legge contro la blasfemia.
Oggi, signor Presidente, vogliamo capire il perché di questo silenzio. Per qualcuno il silenzio dell'Occidente deriva da un'onestà intellettuale, perché - per carità - non si vuole creare danni alle popolazioni cristiane presenti in altre parti. Per altri, deriva dalla realpolitik: si dice che abbiamo degli affari con l'Iran e con l'Arabia Saudita e non possiamo esercitare la forza, come se ai tempi del nazismo avessimo pensato a dialogare o a fare affari. Non si possono fare affari con il nazismo né con chi pratica la discriminazione religiosa e antirazziale.
Poi per qualcun altro vige la disonestà e il politicamente corretto; questa disonestà deriva dal fatto che si è perso il filo della propria identità e della propria storia. Molti colleghi oggi hanno riscoperto e parlato dell'Europa, un'Europa malata, che non fa figli, che invecchia, che ha scambiato i diritti per privilegi, che è chiusa nel privato, al caldo del suo giustificazionismo, presa dalle rivendicazioni contro lo Stato, contro le autorità, che come i genitori debbono sistemare i propri calzini o attuare i propri desideri. Si tratta di un'Europa di viziati che pensa che tutto sia dovuto, che ha smesso di combattere o di credere nella propria libertà, che pensa che tutto in qualche modo sia relativo. Una parte di intellettuali della sinistra radicale vuole cancellare i simboli cristiani dell'Europa, pensando che in qualche modo ci possa essere un nuovo futuro.
Ebbene, non c'è futuro se non c'è riconoscimento del proprio passato. Noi non ci vergogniamo dell'Europa, del nostro passato o delle radici cristiane della nostra Europa (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Popolo della Libertà) perché da queste radici si sono prodotti dei frutti, insieme ovviamente ad altre radici: le radici ebraiche, greche, una parte di illuminismo che riconosceva la ragione, magari non opposta alla religione. Sono arrivati i frutti della democrazia, della tolleranza, i frutti che sono marciti sull'albero della sharia in altri posti, nei quali la nostra ignavia non ha saputo cogliere i sintomi del cancro che sta attanagliando il nostro mondo, pensando di rinchiudersi sempre nelle ridotte di una democrazia che riteniamo inviolabile.
Non è inviolabile! Esistono i matti, ma non sono solo matti. Pensiamo che sia solamente un matto il turco che ha sgozzato Luigi Padovese, che ha gridato «ho ammazzato il grande satana», ma non era una voce isolata, è una voce che ha risuonato ultimamente a Il Cairo, è una voce che ha risuonato a Timor Est, è una voce che ha risuonato in India, è una voce che abbiamo chiamato cristianofobia. Dobbiamo dare voce a questi martiri.
Oggi sono orgoglioso che in qualche modo questo Parlamento abbia tessuto un filo che tiene uniti, un filo difficile, che magari è arrivato con compromessi, ma un Pag. 43filo coraggioso, in cui questo Parlamento afferma che anche noi vogliamo dare una voce a questi martiri, anche noi possiamo pensare che la libertà della persona più lontana, la libertà di Asia Bibi in Pakistan, abbia a che fare con noi.
Lo chiedo anche da un punto di vista egoistico, perché non vogliamo esportare la democrazia con le armi, ma non dobbiamo vergognarci, ripeto, delle nostre origini. Non possiamo pensare che nel momento in cui diciamo che non tutto è relativo, che esistono dei valori, che esistono delle varie verità, per cui vale la pena di vivere, per cui vale la pena di riconoscere la nostra esigenza, il nostro tessuto democratico, ci sia qualcuno che ci dica: «attenzione non dobbiamo fare le crociate», come se sempre il cristianesimo dovesse essere equiparato all'Occidente. Intanto bisognerebbe andare ad analizzare le crociate, perché in qualche modo i crociati servirono per difendere i pellegrinaggi e su questo pellegrinaggio si è fatta l'Europa, ricordiamo sempre un libro di Monsignor Fisichella. Quindi noi rifiutiamo la vergogna, ma vogliamo propagandare l'orgoglio, l'orgoglio di questo filo - ripeto - che ha unito anche il Parlamento.
Allora, ritornando a questi frutti del cancro, noi abbiamo assistito come Europa imbelli al propagarsi della sharia in decine e decine di Paesi, tanto che poi ci meravigliamo se all'ONU si arriva al testo di Durban che sostiene delle cose incredibili. Certo, abbiamo assistito ignavi alla propagazione della sharia che non conosciamo, perché stiamo comodi nei nostri diritti, dove le nostre donne possono circolare, divorziare, esprimersi pubblicamente, ma non là, dove le donne non possono lavorare se non con il consenso del marito, dove non possono avere i propri figli, dove non possono divorziare, dove possono essere ripudiate, dove possono essere lapidate! Dove possono essere lapidate (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania e di deputati del gruppo Popolo della Libertà)! Ma non nel nostro nome e non più nel nostro silenzio, non nel silenzio di questo Governo.
Signor Presidente, oggi abbiamo «lanciato» un filo e pensiamo che non sia più l'epoca dei don Abbondio. Abbiamo ascoltato il Papa, un Papa che è riuscito ad arrivare alle prime pagine. Come siamo severi, quando giustamente si vanno a ripescare i peccati della Chiesa sulla pedofilia, quante prime pagine! E quante poche pagine sulle migliaia di cristiani, sui milioni di cristiani che sono morti in questo secolo (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania)! Quante poche pagine!
Dunque, non è più l'epoca dei don Abbondio, non è più l'epoca del sentirsi buoni a tutti i costi, oggi è l'epoca di una nuova resistenza, una resistenza che prevede anche l'uso della forza, l'uso della forza della ragione, l'uso della forza delle istituzioni, dell'ONU - come ricordava la collega Binetti - anche della commissione e dell'osservatorio di Vienna, anche della nostra Europa, anche il peso e la forza dell'economia, perché noi non possiamo fare affari e dimenticare i diritti. Vogliamo unire e questo è stato ciò che ha portato la democrazia in Russia. Ora la nuova frontiera è questa: diritti in cambio di sviluppo e di collaborazione.
Chiudo signor Presidente, pensando a quest'Europa del relativismo, a quest'Europa malata dove in qualche modo la religione viene richiusa. Non c'è più libertà se si rinchiude la religione.
Ragione e fede possono andare d'accordo: credo per capire e capisco per credere. Oggi, signor Presidente, noi tendiamo un filo, ma è un filo di cui vogliamo essere orgogliosi (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Castagnetti. Ne ha facoltà.

PIERLUIGI CASTAGNETTI. Signor Presidente, cari colleghi, quella che stiamo scrivendo oggi è senz'altro una bella pagina della vita parlamentare. La risposta unitaria all'ondata di persecuzione dei cristiani che investe vari Paesi del mondo Pag. 44è un buon segno, quantomeno di consapevolezza - e speriamo di assunzione di responsabilità - di fronte ad un problema che, sino a ieri, si è finto di non vedere. La stessa risposta del Governo italiano a due mie iniziative parlamentari sull'argomento del 4 maggio e dell'8 novembre scorsi conferma questa mia valutazione. Salutiamo dunque positivamente le intenzioni di oggi, che speriamo segnalino un cambio di passo non momentaneo.
Siamo infatti di fronte ad un fenomeno di portata politica sempre più forte e consolidata. Il 75 per cento delle vittime della violenza religiosa nel mondo oggi è cristiano, vittime non in conflitto, perché i cristiani non combattono, non aggrediscono, non sono armati, ma semplicemente professano la loro fede, nel vicino e nel Medio Oriente, ma anche nel più distante Oriente, in Palestina, in Iraq, in Pakistan, in India, nelle Filippine, in Cina, e poi in Africa, in Nigeria, in Somalia, in Sudan, nel Maghreb e in Egitto. Lo abbiamo visto in questi giorni e ancora ieri vi è stato un altro attentato. Lo strazio dell'eccidio di Alessandria era stato preceduto da un altro eccidio con non meno di ottanta morti nella regione di Jos in Nigeria, anche lì cristiani, e da quello del 31 ottobre scorso a Baghdad, dove furono trucidati quarantaquattro fedeli cristiani, due sacerdoti e sette guardie.
Secondo l'Alto commissario dell'ONU, solo nella città di Mosul, la vecchia Ninive, lo scorso anno sono dovuti fuggire ancora quasi altri diecimila cristiani. Perché - si è chiesto recentemente uno dei più acuti commentatori di questi temi - di fronte a questo fenomeno, da noi, qui in Occidente, si leggono le notizie delle violenze, si raccoglie qualche commento, ma non nasce un movimento di opinione, non si fanno manifestazioni e tutto finisce lì in attesa del prossimo attentato? Perché se una contadina cristiana pakistana viene condannata all'impiccagione per blasfemia e un governatore musulmano che la difende viene assassinato, da noi non nasce un movimento di indignazione popolare, come è invece giustamente accaduto per altre donne condannate per altri ugualmente inaccettabili motivi? Perché? Probabilmente per tante ragioni. Paradossalmente persino per una ragione - mi sia consentito - evangelica, perché si sa che i cristiani hanno nel loro destino la condanna e la persecuzione.
In Luca 21.12 - mi si perdoni una citazione in questa sede - si legge l'ammonimento di Gesù: «metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno». Se il mondo infatti dice mors tua vita mea, il cristianesimo capovolge la logica e dice mors mea vita tua. Questa può essere una spiegazione della nostra indifferenza o scarsa attenzione. Poi vi è un senso di colpa dell'Occidente cosiddetto cristiano nei confronti di tanti Paesi del sud del mondo un tempo oggetto di una spesso dura e violenta dominazione coloniale. È una memoria dolorosa aggravata dalla nefasta dottrina Bush della guerra preventiva.
Quei cristiani, soprattutto in Medio Oriente, loro malgrado essendo quasi sempre anche essi stessi arabi, sono identificati con l'Occidente a causa della loro fede. Tutte cose note, e tutte conseguenze previste. Abbiamo ancora nelle orecchie i durissimi ammonimenti di valore non solo pastorale ma squisitamente politico di Papa Giovanni Paolo II al momento dell'ingiustificato - sotto tutti i profili - ultimo intervento in Iraq. Ma proprio l'identificazione odierna da parte dell'estremismo islamico dei cristiani con l'Occidente, al di là dell'ineludibile condanna per le mostruose forme di violenza che si manifestano ogni giorno, proprio questa identificazione dovrebbe indurre tutta la comunità internazionale ad una vera e propria controffensiva politica, non episodica, dell'Europa in primo luogo, oltre che delle Nazioni Unite. Proprio chi fa giustamente della difesa della laicità delle istituzioni comunitarie un valore deve oggi reagire e intervenire per difendere la libertà dei cristiani in ogni angolo del mondo, la libertà religiosa come la prima delle libertà, e per questo considerata fondamento delle libertà tout court.
Come giustamente è stato detto, guai se la difesa dei cristiani fosse considerata Pag. 45affare dei cristiani. Sarebbe la resa alle più miopi profezie dello scontro di civiltà e di religione. La polveriera del Maghreb, che per ora si alimenta di carburante politico e sociale, potrebbe ben presto degenerare proprio sul piano religioso (una polveriera praticamente nel cortile di casa nostra, anzi per molti aspetti già in casa nostra). Ascoltate questa citazione: «munitevi di chiodi sufficientemente grossi e rugginosi, di un martello, e crocifiggete tutto ciò che non si adegua. All'attacco dei seguaci del falegname con la barba. In Algeria il cristianesimo non passerà». Sono parole farneticanti lette sul più importante quotidiano algerino, Le Soir d'Algerie, non molto tempo fa. Allora, che fare? Certo, vi sono le iniziative annunciate dal Ministro Frattini in sede comunitaria e in sede delle Nazioni Unite, e ci auguriamo che l'Italia possa offrirsi per ospitare una conferenza ONU per la libertà religiosa in Medio Oriente, la libertà di tutte le religioni. Ma non basta.
Ma è la diplomazia degli affari, cari colleghi e signor rappresentante del Governo, è la diplomazia degli affari che può fare ancora di più: degli affari e degli aiuti spesso - troppo spesso - finalizzati agli affari. In molti dei Paesi che abbiamo citato questo è il linguaggio che viene ascoltato. Nei G8, nei G20, nel Fondo monetario internazionale, nella Banca mondiale: questi sono i luoghi in cui l'intero Occidente può darsi una nuova strategia, questa nuova strategia, quella degli affari e degli aiuti. Certo, occorre essere disponibili a correre qualche rischio. Anche per l'ENI e per Finmeccanica, signori rappresentanti del Governo, se crediamo veramente alla possibilità e al dovere di intervenire per bloccare una tendenza a rendere progressivamente strutturale la persecuzione religiosa, la quale può diventare non più solo la metafora, la cifra di questo tempo, ma il terreno di quello scontro di civiltà che si deve bloccare finché si è in tempo. Il dio degli affari - cari colleghi - è cinico e tirannico, e la religione degli affari è oggettivamente pericolosa perché relativizza tutto: tutto viene dopo, a partire dalla libertà e dai diritti delle persone.

PRESIDENTE. La invito a concludere, onorevole Castagnetti.

PIERLUIGI CASTAGNETTI. Chiediamo dunque - concludo - al Governo del nostro Paese di convertire se stesso a questa idea, e di operare in tutte le sedi internazionali per convincere gli altri Paesi, soprattutto i Paesi amici, che non è troppo presto per imprimere questa svolta e per capire che il mondo, che sta cambiando sotto i nostri occhi i propri paradigmi e i baricentri (da quelli geografici a quelli politici, a quelli culturali e religiosi), il mondo va - per così dire - «ripreso in mano», cioè va aiutato a non crescere in modo storto e ingiusto. Finché si è in tempo, appunto (Applausi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Renato Farina. Ne ha facoltà.

RENATO FARINA. Signor Presidente, signori del Governo, colleghi, questo giorno, anche se le prime pagine dei giornali e i primi titoli dei notiziari televisivi non lo ricorderanno per questo, è un giorno molto importante per la storia della Camera dei deputati. È come se oggi avessimo ritrovato insieme il centro di gravità, l'asse intorno a cui ruota un mondo dove è possibile una vita buona, difficile e dolorosa, ma umana. Non è questo solo un elogio del Parlamento, ma della sostanza esistenziale che costituisce il senso della nostra convivenza e che ci raduna qui, attraverso i meccanismi della democrazia, che non avrebbe senso alcuno se fosse un gioco che si esaurisce nelle sue regole. Essa pesca, se vuole durare, in qualcosa di essenziale di cui essa è strumento. La libertà religiosa è il centro di questa mozione unitaria alla quale hanno lavorato con volontà di concordia in particolare i colleghi Mazzocchi, Polledri, Binetti, Maran e Leoluca Orlando. La libertà religiosa, come afferma la mozione, non è qualcosa di astratto, una petizione presente Pag. 46in testi ufficiali dove si parla una lingua di legno, lontana dalla realtà, una cosa scontata che non ci riguarda, una marginalità concessa da un potere benevolo o negata da uno cattivo - e vedremo poi come va -, per cui, in fondo, ciò che conta sono altre libertà e in primis la libertà di fare affari. La libertà religiosa è, invece, l'essenza semplice, incomprimibile, della vita di ogni uomo e di ogni popolo; non è un fatto privato, ma personale e comunitario e per tale motivo ha una dimensione sociale e pubblica. Come scrisse già Platone, è più facile costruire una città sopra le nuvole che uno Stato senza Dio.
Il sangue innocente, versato in odio alla testimonianza inerme di gente che va a messa, il sangue che ha imbrattato, sulla parete della cattedrale dei santi ad Alessandria d'Egitto, l'immagine di Cristo, un uomo che non ha mai fatto del male a nessuno, ha come risvegliato, per un attimo, la coscienza di tutti noi. Ci sono attimi che dicono la verità ed a tutti è parso chiaro che non è stata violata, e non si sta violando ovunque, una generica libertà religiosa, ma vi è proprio un atto di odio diretto e feroce contro i cristiani. Questo attimo di soprassalto della coscienza dice la verità e, cioè, che quel sangue è sangue di cristiani. Non è una storia nuova. La mozione unitaria ricorda che il Novecento è stato il secolo del maggiore eccidio di cristiani nella storia; ma, proprio nel 2010 e agli inizi di questo nuovo anno, vi è stata un'accelerazione. Il questore Mazzocchi ha ricordato che su cento vittime della violenza per ragioni di odio religioso, settantacinque sono vittime cristiane. Le ultime stragi del terrorismo di ispirazione islamica in Iraq ed Egitto sono la storia che ci passa accanto e ci costringe a guardarla. Questa mozione unitaria è l'espressione sincera di questo sguardo e della responsabilità che la realtà ci impone di assumere.
D'ora in poi abbiamo la responsabilità politica di giudicare le relazioni internazionali a partire da questa libertà definita madre di tutte libertà e di cogliere la peculiarità storica del nostro tempo dove ad essere perseguitati sono soprattutto i cristiani. Essi sono, loro malgrado, come i canarini del grisù, se muoiono loro significa che presto può morire, insieme alla loro libertà, quella di tutti. Sia chiaro: la libertà religiosa non è una prerogativa di alcuni uomini particolarmente sensibili al fumo delle candele, ma è ciò che ci costituisce come uomini, è implicata in qualsiasi gesto essendo essa la condizione perché si costituisca la nostra stessa identità, fosse pure quella di atei.
Credo sia importante che questa mozione rappresenti il risultato di un accordo tra tutti i gruppi parlamentari. Questo vale come metodo. Ci si può dividere sul modo di risolvere i problemi, sulla gerarchia dei valori da privilegiare per risolvere la crisi, persino sui modi di affrontare le violazioni della libertà religiosa nel difficile accordo che sempre esiste tra etica della responsabilità ed etica della convinzione ma non ci si può dividere su quanto dà sostanza e luce alla nostra democrazia. I colleghi hanno raccontato l'attualità di questa persecuzione dei cristiani, vorrei sottolineare che c'è una parola nuova nel lessico delle mozioni parlamentari e degli impegni che si assume il Governo là dove si definisce la cristianofobia e si chiede al Governo di impegnarsi nella lotta contro di essa. Non è una cosa bella la cristianofobia. È importante però averla individuata come ideologia strisciante o cruenta del nostro tempo. L'odio alla presenza cristiana ha una sua odiosa specificità che la imparenta con l'antisemitismo. La cristianofobia si esprime in un vero e proprio piano di espulsione dei cristiani dai Paesi a dominanza islamica come già accaduto e sta accadendo nei confronti degli ebrei. La cristianofobia è un caso specifico tanto più grave perché finora è stata invisibile e quasi innominabile agli occhi dell'istituzione e dell'opinione pubblica europea. L'Europa - lo sappiamo - è portata ad odiarsi ma il suo modo di odiarsi è ancora una volta colonialista perché vuole trasferire in altri popoli o nei popoli che appena adesso fanno ingresso in Europa l'ideologia che la sostanzia, quella oggi purtroppo prevalente e contro cui ci si sta ribellando Pag. 47da molte parti d'Europa, quella dell'indifferentismo religioso, della dittatura e del relativismo. La mozione qualifica invece come cristianofobica anche la tendenza a negare la pertinenza pubblica della fede cristiana e questo accade in Europa. A questo riguardo giudichiamo incredibilmente deficitaria e sottilmente cristianofobica l'azione politica dettata dalla totale assenza, dalla totale dimenticanza di miss PESC, lady Ashton, che di fatto dà sponda a questa cristanofobia.
Ecco però che questa mozione secondo noi dà speranza all'Europa e per ciò stesso oltre l'Europa. Già arrivano segni di condivisione e di rallegramento da parte di cristiani iracheni, ad esempio. Charles Péguy scrisse profeticamente che saremmo giunti ad un'età dopo Cristo, senza Cristo. Questa mozione sulla persecuzione dei cristiani e la libertà religiosa è un'occasione per riaccorgersi di questa realtà, per accettarla oppure no. Con Solgenitsin crediamo che senza riscoprire la sua identità effettiva ed affettiva, senza ritrovare il coraggio e raddrizzare la schiena, senza purificarsi dalle sue viltà l'Occidente è morto. Oggi abbiamo dato un segnale importante di rinascita, lo daremo con il voto e se mi permettete è un bel modo non retorico, non convenzionale di contribuire alle celebrazioni dell'unità d'Italia. Fratelli d'Italia tesi alla libertà di tutti (Applausi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Zacchera. Ne ha facoltà.

MARCO ZACCHERA. Signor Presidente, una sola battuta anche perché sono state dette troppe cose. Condividendo anche l'iniziativa di essersi messi tutti insieme tuttavia credo che oltre le parole servano dei fatti e quindi mi permetto anche di proporre a ciascuno di noi nell'intimo della propria coscienza alcune iniziative concrete. Ad esempio nessuno ci obbliga ad andare in vacanza in Egitto, a Sharm El Sheik o ad Hurgada. Cominciamo a far capire a certi governanti che se si comporteranno in determinate maniere avranno anche da parte degli italiani determinate risposte. Inoltre chi di noi è credente e cristiano cominci ad aiutare concretamente quelle comunità cristiane che tra mille difficoltà portano avanti la loro testimonianza in Paesi difficili a cominciare dall'Iraq (Applausi di deputati del gruppo Lega Nord Padania).
Questi saranno anche dei gesti concreti che secondo me saranno utili per integrare le ottime parole che tutti noi oggi abbiamo pensato e detto (Applausi di deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sull'ordine dei lavori l'onorevole Veltroni. Ne ha facoltà.

WALTER VELTRONI. Signor Presidente, chiedo scusa ai colleghi se in maniera per me inusuale rubo qualche minuto prima del voto, ma lo farò in maniera molto breve e per dire qualcosa che credo possa unire questa nostra Camera. Oggi il giornale la Repubblica ha reso nota l'attività di un sito fondato e realizzato dal capo del Ku Klux Klan negli Stati Uniti, che ha pubblicato una serie di nomi di personalità americane, dell'amministrazione Obama e di personalità del mondo economico, culturale, imprenditoriale e sociale degli Stati Uniti. Inoltre, con una serie di link, ha pubblicato anche una lista di persone del nostro Paese alle quali viene rimproverato di essere ebrei. Questo sito, per capirci, è un sito che dice: «Il dovere di ogni nazionalsocialista è quello di scovare l'ebreo camuffato partendo dal vicinato, verificarne la reale fattura giudaica incrociando dati con reali osservazioni e diffondere la notizia in maniera capillare, in modo che il giudeo possa risultare in qualche modo evidenziato a vita».
Questo elenco comprende molti italiani: giornalisti, personalità del mondo della cultura e anche alcuni nostri colleghi, ai quali io vorrei rivolgere tutta la solidarietà nostra. Mi riferisco ai colleghi del Popolo della Libertà Lehner e Nirenstein, al collega Barbareschi di Futuro e Libertà per l'Italia, ai colleghi Furio Colombo e Ricardo Levi del gruppo del Partito Democratico (Applausi). Pag. 48
È un'antica storia quella delle liste, una storia che comincia con il Protocollo dei Savi di Sion e che prosegue con le liste che sono state pubblicate durante la tragedia della Shoah, quelle liste che poi portarono ai Protocolli di Wannsee, all'eliminazione e allo sterminio del popolo ebraico. Sono liste che in Italia conosciamo bene: basta andare a rivedere quell'incredibile e straordinario lavoro fatto da Liliana Picciotto per ricostruire tutti gli italiani che furono deportati e perseguitati durante la tragedia delle leggi razziali e della persecuzione dei nazisti.
Bisogna credo segnalare per tempo questi rischi, perché questi sono veleni che marciano molto rapidamente. Lo stesso attentato che vi è stato nei confronti di quella deputata degli Stati Uniti è un attentato che muove probabilmente da ragioni che legano quel gesto all'antisemitismo. Per questo, insieme alla solidarietà, io penso che sarebbe giusto verificare se esistano per gli italiani che hanno collaborato alla realizzazione di questo sito gli estremi per essere, come credo sia giusto, perseguiti nei termini di legge (Applausi).

PRESIDENTE. Onorevole Veltroni, la solidarietà di quest'Aula è indiscussa ed indiscutibile con tutte le persone oggetto di questa odiosa intimidazione.

LEOLUCA ORLANDO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEOLUCA ORLANDO. Signor Presidente, intervengo soltanto per associarmi al contenuto e alla solidarietà dell'intervento svolto dal collega Veltroni.

PRESIDENTE. Onorevole Orlando, credo che tutti siamo associati a questa iniziativa dell'onorevole Veltroni e quindi mi permetterò di non dare ulteriormente la parola su questo punto, per passare direttamente alla votazione.

(Votazioni)

PRESIDENTE. Per rendere più chiaro il contenuto del voto, se ho ben compreso, la riformulazione proposta dal Governo alla risoluzione Mazzocchi ed altri n. 6-00052 consiste nella soppressione, al nono capoverso della parte dispositiva, dell'inciso: «presso la Presidenza del Consiglio dei ministri».
Avverto che è stata chiesta la votazione nominale mediante procedimento elettronico.
Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla risoluzione Mazzocchi, Fioroni, Reguzzoni, Galletti, Moroni, Leoluca Orlando, Ruvolo, Mosella, Lo Monte, Tanoni ed altri n. 6-00052, nel testo riformulato, accettata dal Governo.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevole Vignali... onorevole Versace...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia -Applausi).

(Presenti 513
Votanti 504
Astenuti 9
Maggioranza 253
Hanno votato
504).

Prendo atto che i deputati Argentin, Monai e Razzi hanno segnalato che non sono riusciti ad esprimere voto favorevole.
Passiamo alla votazione della risoluzione Maurizio Turco ed altri n. 6-00053.
Avverto che ne è stata chiesta la votazione per parti separate, nel senso di votare distintamente la premessa dal dispositivo.
Avverto, altresì, che, qualora il dispositivo non fosse accolto dall'Assemblea, l'eventuale accoglimento della parte della risoluzione contenente la premessa, come è ovvio, non avrebbe esito in quanto tale Pag. 49parte è priva di contenuto impegnativo nei confronti del Governo.
Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla risoluzione Maurizio Turco ed altri n. 6-00053, limitatamente alla premessa, non accettata dal Governo.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevole Sardelli... onorevole Iannuzzi... onorevole Granata... onorevole De Luca...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazionia ).

(Presenti 513
Votanti 269
Astenuti 244
Maggioranza 135
Hanno votato
13
Hanno votato
no 256).

Prendo atto che la deputata Argentin ha segnalato che non è riuscita a votare e che avrebbe voluto astenersi, che il deputato Razzi ha segnalato che avrebbe voluto esprimere voto contrario e che la deputata Rubinato ha segnalato di aver espresso voto favorevole mentre avrebbe voluto astenersi.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla risoluzione Maurizio Turco ed altri n. 6-00053, limitatamente al dispositivo, non accettata dal Governo.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevole Foti... onorevole Sardelli... onorevole Cesario... onorevole Calderisi... onorevole De Girolamo... onorevole Ventucci...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazionia ).

(Presenti 514
Votanti 270
Astenuti 244
Maggioranza 136
Hanno votato
14
Hanno votato
no 256).

Prendo atto che il deputato Razzi ha segnalato che non è riuscito ad esprimere voto contrario, che la deputata Argentin ha segnalato che avrebbe voluto astenersi e che la deputata Rubinato ha segnalato di aver espresso voto favorevole mentre avrebbe voluto astenersi.
La seduta è sospesa, riprenderà alle ore 15 con lo svolgimento di interrogazioni a risposta immediata.

La seduta, sospesa alle 14,05, è ripresa alle 15,10.

Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interrogazioni a risposta immediata, alle quali risponderanno il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro della salute ed il Ministro per i rapporti con il Parlamento.

(Problematiche relative all'attività di verifica dell'invalidità civile nei confronti delle persone affette da gravi patologie - n. 3-01386)

PRESIDENTE. L'onorevole Binetti ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-01386, concernente problematiche relative all'attività di verifica dell'invalidità civile nei confronti delle persone affette da gravi patologie (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata).

PAOLA BINETTI. Signor Presidente, signor Ministro, questa interrogazione pone all'attenzione di tutti noi la situazione, già profondamente disagiata, delle persone portatrici di handicap, molto spesso anche molto gravi, le quali godono Pag. 50di - chiamiamole così - risorse di qualche tipo, da parte proprio del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, a vario genere.
Per una serie di motivi, quest'anno, si è ritenuto opportuno creare sistemi di controllo e di verifica molto più severi, molto più rigorosi e molto più rigidi, in qualche modo centralizzando anche nell'INPS questa funzione.
Devo dire che questo lavoro - chiamiamolo così - di «moralizzazione» in qualche modo, con il quale si vuole evitare che vi possano essere persone che si inseriscono falsamente all'interno di tali procedure, trova tutto quanto il nostro consenso, nella misura in cui rappresenta davvero un «no» a quella specie di sottocultura dell'opportunismo e della furbizia che sottrae risorse alle persone che ne hanno realmente bisogno.
Tuttavia, lei sa meglio di me che, tra queste persone, molte versano in oggettive e gravi difficoltà, che sono destinate nel tempo ad accentuarsi.

PRESIDENTE. Onorevole Binetti, la invito a concludere.

PAOLA BINETTI. Chiedere che queste persone si sottopongano a verifica, recandosi direttamente presso le sedi INPS, significa accentuare pesantemente il loro disagio.
Allora noi ci chiediamo in che modo, tutto sommato, si possa fare. Infatti, vi è una parte predittiva, che può essere svolta serenamente e con sicurezza in anticipo, proprio per evitare le furbizie. Ma vi è una parte altrettanto certa, che si può prevedere, la quale non comporta miglioramento e che, quindi, può richiedere un aiuto reale e un rispetto maggiore per l'handicap di queste persone e delle loro famiglie.

PRESIDENTE. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Maurizio Sacconi, ha facoltà di rispondere.

MAURIZIO SACCONI, Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Signor Presidente, il Governo condivide le preoccupazioni dell'interrogante. Infatti, tanto è apparsa evidente la necessità di mettere ordine in un processo di accertamento delle condizioni oggettive per la fruizione dei benefici collegati ad una situazione di invalidità e di non autosufficienza della persona, quanto, allo stesso tempo, è doveroso avere quelle cautele che consentono il pieno rispetto di una effettiva situazione di invalidità.
Già in quest'Aula, proprio in occasione del question time, abbiamo avuto modo di considerare le anomalie che si riscontrano soprattutto in alcune regioni del nostro Paese, ove, in particolare, la competenza delle regioni nell'accertamento aveva determinato probabilmente comportamenti non adeguatamente responsabili, quanto quelli che si possono più ragionevolmente produrre in capo allo stesso soggetto erogatore, cioè l'INPS.
L'INPS è erogatore, ma è anche accertatore, a differenza della condizione precedente in cui accertava chi poi non pagava e passava il conto ad un altro soggetto.
Ciò premesso, l'INPS verifica ed effettua gli accertamenti utilizzando innanzitutto la documentazione medica, che è trasmessa all'istituto dalle aziende sanitarie locali. È questo il punto fondamentale. Infatti, in ogni caso, preliminarmente all'avvio delle attività di verifica, è previsto l'invio ai soggetti potenzialmente interessati di una comunicazione recante l'invito a far pervenire al centro medico legale dell'INPS, che è indicato nella comunicazione, ogni utile documentazione posseduta dalla stessa persona, ai fini di una preventiva valutazione dello stato invalidante, anche quindi per escludere l'accertamento medico diretto: ciò, proprio per agevolare operazioni di verifica preventiva, laddove le ASL non provvedessero tempestivamente a quella trasmissione dei fascicoli medici all'INPS, di cui dicevamo.
Peraltro, è stato prodotto un documento contenente linee guida secondo le quali sono escluse per definizione, a priori, dagli accertamenti alcune condizioni come quelle dei minori con patologie validamente documentate, soprattutto concernenti la sfera psichica o con patologie di tipo genetico-malformativo, soggetti affetti Pag. 51da sindrome di Down, persone inserite in strutture di lungodegenza o in residenze protette, persone sottoposte a interdizione legale, anziani con perdita dell'autonomia personale adeguatamente documentata, patologie neoplastiche di comprovata gravità. Si tratta poi di tradurre in atto, in comportamento queste linee in modo da non disturbare i veri invalidi ma, nello stesso tempo, accertare, scovare i falsi invalidi.

PRESIDENTE. L'onorevole Binetti ha facoltà di replicare.

PAOLA BINETTI. Signor Presidente, mi sembra che passata questa prima fase, evidentemente di cambiamento, in cui l'INPS ha assunto il doppio ruolo, non più solo di erogatore ma anche di ente certificatore, se si supera, in questo momento, quelle che possono essere le ambiguità iniziali di un cambio di modello organizzativo probabilmente si riuscirà a non ferire la sensibilità di queste persone e a non appesantire quella che è la loro situazione. Tuttavia, nella nostra interrogazione a risposta immediata c'era anche un passaggio in più. In questo passaggio si diceva che, proprio perché l'INPS si impegna a verificare le condizioni di questi pazienti e a verificarle per contrastare l'azione di fraudolenza che potrebbe verificarsi, l'INPS, nello stesso modo in cui verifica che non c'è stato inganno ma piuttosto c'è stato un aggravamento, si dovrebbe impegnare anche a migliorare le condizioni di salute e di assistenza attraverso opportune risorse che potrebbero essere implementate stante lo stato di aggravamento della condizione del paziente. Questo è un passaggio in più, non si tratta solo di evitare erogazioni improprie, ma si tratta invece di migliorare quelle erogazioni proprie per andare incontro a chi realmente ha bisogno.

(Interventi del Governo in merito alla trattativa riguardante lo stabilimento FIAT di Mirafiori - n. 3-01387)

PRESIDENTE. L'onorevole Scandroglio ha facoltà di illustrare l'interrogazione Baldelli n. 3-01387 concernente interventi del Governo in merito alla trattativa riguardante lo stabilimento FIAT di Mirafiori (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata), di cui è cofirmatario.

MICHELE SCANDROGLIO. Signor Presidente, signor Ministro, con l'adozione, nel 2009, della nuova piattaforma contrattuale che valorizza la contrattazione decentrata, sia essa territoriale o aziendale, sindacati e parti datoriali si sono assunti maggiore responsabilità nel definire insieme il futuro delle aziende.
Il caso dell'azienda FIAT di Pomigliano d'Arco è stato emblematico di questa nuova impostazione, dimostrando come sia possibile mantenere siti industriali in Italia, premiando adeguatamente gli incrementi di produttività. L'Italia registra, infatti, tassi di produttività inferiore nel settore auto, alla media delle altre aziende ed è stata chiamata ad allinearsi agli standard europei per rimanere appetibile agli occhi degli investitori. Oggi la storia si ripete per il sito di Mirafiori che vede FIAT impegnata nell'attuazione di un ambizioso progetto industriale nel nostro Paese. Da domani i lavoratori sono chiamati ad esprimersi tramite referendum sulla proposta del nuovo contratto. Marchionne ha dichiarato come condizione necessaria alla conferma degli investimenti l'approvazione del referendum a maggioranza assoluta.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

MICHELE SCANDROGLIO. Chiediamo al Ministro quale sia lo stato dell'arte della trattativa sullo stabilimento FIAT di Mirafiori e quali siano gli investimenti messi in atto per favorire una conclusione positiva della vicenda.

PRESIDENTE. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Maurizio Sacconi, ha facoltà di rispondere.

MAURIZIO SACCONI, Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Signor Presidente, certamente è opportuna l'iniziativa Pag. 52degli interroganti nel momento in cui richiamano anche quest'Aula a prestare attenzione ad una decisione così rilevante per il futuro del nostro Paese e del suo sviluppo industriale e in particolare di quella cultura industriale legata alla filiera dell'auto. Mi riferisco al referendum che nelle prossime ore si svolgerà e alle preoccupazioni espresse dall'interrogante e rispetto alle quali ricordo che il Governo ha svolto una funzione rilevante innanzitutto nel momento in cui si trattò di salvare il gruppo FIAT nel 2004.
Il Governo Berlusconi allora, in presenza di una divisione tra le organizzazioni sindacali, realizzò un accordo di programma con la FIAT direttamente e senza, in un primo momento, la partecipazione del sindacato che poi fortunatamente - e non a caso - si produsse. Da quel momento il gruppo FIAT ripartì, con il nuovo amministratore delegato e nuovi assetti anche in relazione alla collaborazione con il gruppo Chrysler.
Pertanto, abbiamo cercato di favorire, in modo particolare, il dialogo tra le parti nella dimensione della fabbrica. Questa era, appunto, la nostra impostazione e abbiamo voluto favorire questo dialogo detassando tutta la parte del salario che è frutto di questo dialogo e di questa collaborazione nella dimensione aziendale; quindi, non soltanto il premio ma anche lo straordinario, l'indennità di turno e ogni componente del salario che è espressione di un accordo per la maggiore produttività.
Dunque, l'accordo consiste in questo, ossia nella possibilità di realizzare investimenti perché ne è garantita la piena efficienza attraverso la piena utilizzazione degli impianti, l'agevole modificazione dei moduli produttivi e l'organizzazione del lavoro in relazione agli andamenti di mercato. Quel salario, che le organizzazioni firmatarie stimano in più per circa 360 o 370 euro medie annue, è completamente oggetto di tassazione secca e, dunque, al 10 per cento anziché al 23 per cento, come sarebbe ragionevolmente per gli operai e per gli impiegati che sono i soggetti interessati a questa detassazione.
Ora siamo giunti al referendum. È evidente che il referendum ha una posta in gioco straordinariamente importante. Nel caso di un rifiuto di questo accordo Torino ragionevolmente perderebbe non solo una grande realtà produttiva per sé ma verrebbe meno, in quella città, quel cuore pulsante della filiera dell'automobile che il Governo persegue. Molto fece a questo proposito il collega Scajola e molto oggi sta facendo il collega Romani anche in termini di sviluppo dell'innovazione e della ricerca nella cosiddetta mobilità sostenibile (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. L'onorevole Scandroglio ha facoltà di replicare.

MICHELE SCANDROGLIO. Signor Presidente, mi dichiaro molto soddisfatto della risposta e sono molto contento che il Governo abbia determinato il salario di produttività, perché è uno degli strumenti per far crescere il salario in un contesto di difficoltà. Mi preoccupo particolarmente dell'esito del referendum perché la dimensione di FIAT è una dimensione straordinaria che non è solo relativa alla produttività ma anche alla cultura di un grande settore come quello automobilistico, che in Italia ha dato grandi soddisfazioni al Paese.
Evidentemente si deve lavorare in un ambiente diverso. Questo è quanto mi sembra che il Ministro Sacconi abbia delineato nel suo libro bianco dove noto con piacere che - avendo anche la Commissione lavoro contribuito a ragionare intorno a questi problemi - si era già definita, in tempi non sospetti, una strategia dove si vedeva il contratto unico nazionale non più come un elemento unico e pressante, legato ad un'indistinta personalità della collettività degli operai, bensì ad un concetto di prossimità legato più alla persona, all'operaio e alla fabbrica, nei luoghi dove si produce. Ebbene, questo è un esempio di innovazione e di riforme nei fatti che il Governo sta producendo e per il quale mi dichiaro soddisfatto.

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(Iniziative per ridurre la disoccupazione giovanile, con particolare riferimento ai neo-laureati e ai giovani titolari di qualifiche professionali - n. 3-01388)

PRESIDENTE. L'onorevole Borghesi ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-01388, concernente iniziative per ridurre la disoccupazione giovanile, con particolare riferimento ai neo-laureati e ai giovani titolari di qualifiche professionali (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata).

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, signor Ministro, gli ultimi dati ISTAT e anche quelli europei rivelano una situazione di disoccupazione drammatica nel nostro Paese in linea con la media europea ma, come è noto, nascosta da ammortizzatori sociali che non rivelano il dato vero. All'interno di questo dato vi è poi una situazione davvero drammatica che riguarda la disoccupazione giovanile che veleggia da noi ormai intorno al 30 per cento, il 10 per cento in più di quanto non avvenga in media in Europa e con un aumento, nell'ultimo anno, del 2,5 per cento.
Di fronte a questa situazione non abbiamo visto alcun progetto da parte del Governo, né un'azione reale, ma solo proclami che, per la verità, non hanno dato luogo ad effetti diretti su questo fenomeno.
Per questo, le chiediamo di sapere che cosa intenda fare il Governo per combattere questa disoccupazione giovanile, che è arrivata a un livello davvero drammatico (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Maurizio Sacconi, ha facoltà di rispondere.

MAURIZIO SACCONI, Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Signor Presidente, all'interrogante vorrei dire che si può non condividere quanto fa il Governo, ma certamente non si può affermare che non abbia fatto o non abbia presentato una proposta proprio per l'occupabilità dei giovani, consistente anche in un documento redatto con le colleghe Gelmini e Meloni.
Ricordo alcuni atti, alcune azioni e ragioni di spesa che sono in corso. In primo luogo, il raddoppio del programma Excelsior per monitorare, su base trimestrale e per ogni provincia, le competenze che sono richieste effettivamente dal mercato del lavoro, in modo da orientare le scelte educative dei giovani e da indirizzare le attività di formazione.
In secondo luogo, la diffusione delle modalità di incontro tra la domanda e l'offerta di lavoro a partire dai servizi di cosiddetto placement, cioè di orientamento e accompagnamento al lavoro, nelle università e anche nelle scuole superiori; quest'ultima possibilità è stata agevolata dalla recente norma contenuta nel provvedimento cosiddetto «collegato lavoro».
Le università devono fare uno sforzo in più, noi le aiutiamo con un finanziamento gestito dalla società Italia lavoro e vorremmo che non si limitassero - come spesso fanno - ad abbellire il tradizionale ufficio per tirocini perché si tratta invece, attraverso questi servizi, di creare un collegamento tra l'università e il mercato del lavoro del territorio per tante attività condivise di apprendimento e di lavoro.
In terzo luogo, abbiamo attivato un motore di ricerca istituzionale, che si chiama Cliclavoro, che entra nei 300 siti autorizzati ed è in collegamento con tutte le regioni italiane e con i loro servizi pubblici e che verrà ulteriormente implementato, in base a quel collegato lavoro recentemente approvato, dalla consegna dei curricula dei neo-laureati, alla quale sono tenute le università italiane, proprio perché il motore di ricerca possa agire su questo volume di informazioni agevolando l'incontro tra la domanda e l'offerta relativa in particolare ai giovani con il titolo di studio della laurea.
Abbiano fatto un accordo nei mesi scorsi con tutte le regioni e tutte le parti sociali - nessuna esclusa - per la promozione dell'apprendistato professionalizzante, cioè di quell'apprendistato fondamentale che costituisce il miglior contratto Pag. 54di lavoro per un giovane per entrare nel mercato del lavoro. Esso è conveniente per l'impresa, anche se il Governo Prodi malauguratamente ha alzato la pressione contributiva, diversamente da prima, al 10 per cento per questi contratti. Sarebbe bene che le parti sociali trovassero anche il modo di abbassare il salario in una fase in cui è molto rilevante l'apprendimento, purché questo apprendimento sia effettivo. Abbiamo peraltro consentito che questo apprendistato sia realizzato dalle parti sociali stesse e non solo dalle regioni, che talora arrivano ad una percentuale bassa di giovani interessati.
Infine, abbiamo deciso alla fine dell'anno interventi per 250 milioni di euro, dedicati a promuovere in particolar modo l'apprendistato nei lavori tradizionali e manuali, l'apprendistato dei minori, l'apprendistato nell'artigianato e, dall'altra parte, il sostegno ai lavoratori svantaggiati, tra i quali i disoccupati giovani di lungo periodo tramite le agenzie del lavoro. Si tratta ancora di una misura della collega Meloni che credo sia stata già illustrata in questa sede.

PRESIDENTE. L'onorevole Borghesi ha facoltà di replicare.

ANTONIO BORGHESI. Signor Ministro, trovo la sua risposta francamente imbarazzante perché se dopo tre anni di attività di Governo lei mi viene a dire che solo a dicembre avete investito 250 milioni, che quindi saranno ancora da destinare e chissà quando lo saranno...

MAURIZIO SACCONI, Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Si tratta dell'ultimo investimento!

ANTONIO BORGHESI. In realtà, per iniziare a lavorare prima credo che si debba investire in formazione, in professionalizzazione, in modo che le competenze crescano, perché questa è l'unica strada che i Paesi che ci credono realmente hanno percorso.
Voglio ricordare che il tasso di disoccupazione giovanile della Germania è al 9 per cento, quello dell'Olanda è all'8 per cento, quello di altri Paesi è un po' più alto, 15-16 per cento, ma non arriva al nostro.
Sarebbero state sufficienti azioni mirate molto semplici e immediate. Non servono le cabine di regia, di cui lei ha parlato in passato, non servono accordi quadro, servono misure dall'effetto immediato. Cercandole in Europa si trovano, e vanno dalle azioni di orientamento con borse di studio incentivanti - non colpevolizzando i genitori per le scelte che compiono i figli - ai voucher per i master universitari che sono un'altra strada per portare la gente al lavoro, alla riduzione dei contributi alle imprese che assumono, agli incentivi all'imprenditorialità giovanile che sono immediati, agli accordi con le associazioni per stage industriali retribuiti (la Francia dà 3 mila euro ad ogni impresa per ogni stage), ai percorsi personalizzati, come stanno facendo Olanda, Danimarca e Inghilterra con il «New deal for young people» (NDYP), che li stanno utilizzando con questo scopo, a misure che abbiano effetto immediato e non per le quali si deve ancora studiare.
Allora, in altri termini signor Ministro, io penso che, più che di cabine di regia, a questo punto abbiamo bisogno che si preparino cabine elettorali, perché forse dopo tre anni di inazione di questo Governo è ora che il popolo abbia di nuovo la parola per dire come la pensa (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

(Iniziative in merito al recente fenomeno della contaminazione da diossina di uova e carni provenienti da allevamenti tedeschi - n. 3-01389)

PRESIDENTE. L'onorevole Melchiorre ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-01389, concernente iniziative in merito al recente fenomeno della contaminazione da diossina di uova e carni provenienti da allevamenti tedeschi (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata).

DANIELA MELCHIORRE. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, Pag. 55il 27 dicembre scorso il Ministero dell'agricoltura tedesco dello Schleswig-Holstein veniva a conoscenza che una società aveva utilizzato oli industriali, idonei alla produzione di biodiesel, nella linea produttiva di mangimi per animali, producendo la contaminazione da diossina di uova e carni agricole e causando la chiusura di oltre 4.700 allevamenti di polli e suini.
Il Ministero della salute tedesco rendeva noto che il livello di contaminazione delle uova era di tre o quattro volte superiore alla soglia consentita, salvo poi essere corretto dal citato Ministro che avrebbe parlato di valori di contaminazione pari a 78 volte quelli consentiti.
L'associazione di consumatori tedesca Foodwatch denunciava invece il superamento dei limiti di legge fino a 164 volte. Le autorità sanitarie tedesche segnalavano comunque l'assenza di un rischio sanitario acuto come conseguenza del consumo per un breve periodo di uova e carni agricole contaminate ai livelli riscontrati.
Le chiediamo pertanto, signor Ministro, in considerazione delle ulteriori gravi notizie riguardanti la diossina rinvenuta nelle carni suine in Germania, se possiamo avere una risposta chiara in merito ai reali rischi, anche immediati, per la salute dei consumatori in caso di ingestione di cibi contaminati da diossina.

PRESIDENTE. Il Ministro della salute, Ferruccio Fazio, ha facoltà di rispondere.

FERRUCCIO FAZIO, Ministro della salute. Signor Presidente, onorevole Melchiorre, i valori massimi di diossina stabiliti dalla normativa comunitaria sono di un picogrammo per grammo di grasso per le carni suine, tre picogrammi per grammo di grasso per le carni bovine e tre picogrammi per le uova.
I criteri con cui vengono posti i valori massimi sono molto conservativi e, di fatto, il parametro di sicurezza è inteso cento volte inferiore al limite che può indurre in realtà tossicità nell'uomo.
Quanto al riscontro di derrate alimentari in Germania, innanzitutto la diossina è stata trovata in 18 campioni di uova e un unico campione di carne suina, con un valore di 1,51 picogrammi. Cos'è un picogrammo? È un miliardesimo di milligrammo.
Poiché in condizioni normali c'è diossina nell'ambiente e negli alimenti, un uomo che pesa 60 chilogrammi ha un carico corporeo di diossina dovuto alle normali esposizioni ambientali di circa 350 mila picogrammi complessivi. Quindi, è chiaro e intuitivo che per modificare in maniera significativa questo carico corporeo l'uomo dovrebbe ingerire centinaia di chilogrammi di carne suina contaminata al livello trovato nell'unico allevamento suino risultato positivo nella bassa Sassonia.
Infatti, l'EFSA, che è l'Agenzia per la sicurezza alimentare, ha stabilito come dose settimanale accettabile di assunzione di diossine per la dieta un valore di 14 picogrammi per ogni chilo di peso corporeo dell'uomo. Quindi, un uomo di sessanta chili tollera 840 picogrammi alla settimana di diossina, che equivarrebbe all'assunzione di 140 chili alla settimana di carni suine ai livelli trovati nella bassa Sassonia.
Ricordo che nel 2008 in Irlanda c'era stato un fenomeno analogo di diossine nelle carni suine e che l'EFSA, nonostante il livello fosse di cento volte superiore, cioè si parlava di 200 picogrammi per grammo all'epoca, aveva dichiarato che anche con consumo giornaliero a base solo di carne suina altamente contaminata non vi sarebbero stati accertamenti negativi per la salute.
Quindi, escludiamo che allo stato attuale, sulla base di queste informazioni, ci sia alcun rischio per la salute del consumatore italiano.
Quanto, invece, al piano dei controlli, in via precauzionale, domani avremo una riunione con l'Istituto superiore della sanità e gli istituti zooprofilattici delle regioni e al termine daremo comunicazione alla stampa della situazione del piano dei controlli.

PRESIDENTE. L'onorevole Melchiorre ha facoltà di replicare.

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DANIELA MELCHIORRE. Signor Presidente, la ringrazio signor Ministro per essere stato così puntuale nel rispondere al nostro quesito. Vorrei però far presente che, come lei sa, la diossina funziona per accumulo, cioè danneggia l'organismo nel corso del tempo a causa dell'accumulo che si forma. È chiaro che bisogna comunque fornire dati precisi, dato che la Germania non ha fornito questi dati e mi risulta che si stiano facendo ancora dei controlli per capire esattamente quale fosse l'ammontare concreto di diossina presente in questi prodotti.
Dico, però, che qui c'è anche un altro problema, cioè quello di tutelare, da un lato, la salute dei consumatori italiani e, dall'altro, anche quello di tutelare gli stessi prodotti dell'agroalimentare italiano.
Quindi, per il primo punto, noi ci permettiamo di suggerire anche una proposta italiana da fare in Europa, cioè quella di imporre la separazione degli impianti che producono grassi per alimentazione animale da quelli che ne producono per uso industriale. Ad esempio, questo è un primo passaggio.
Mi permetto di dire anche che forse sarebbe opportuno, almeno per questo periodo, fino a quando anche la Germania non abbia fatto delle rilevazioni precise, bloccare l'ingresso dei prodotti di questo tipo che provengono dalla Germania.
Inoltre, suggerirei anche che forse sarebbe importante il discorso sulla tracciabilità dei prodotti, così come pare che si stia iniziando a fare anche a livello di Ministero dell'agricoltura, sia di quelli che sono consumati direttamente, sia per tutto ciò che comporta la lavorazione di questi prodotti. Si pensi al fatto che le uova sono comunque contenute in molti prodotti lavorati.
Quindi, occorre lavorare sulla tracciabilità dei prodotti italiani, che comunque sono abbastanza controllati già da adesso, e direi anche di far sentire la nostra voce in Europa a tutela dei nostri prodotti (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Liberal Democratici-MAIE).

(Iniziative per introdurre benefici fiscali con riferimento alle donazioni ricevute da famiglie e imprese colpite dall'alluvione in Veneto - n. 3-01390)

PRESIDENTE. L'onorevole Forcolin ha facoltà di illustrare l'interrogazione Reguzzoni n. 3-01390, concernente iniziative per introdurre benefici fiscali con riferimento alle donazioni ricevute da famiglie e imprese colpite dall'alluvione in Veneto (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata), di cui è cofirmatario.

GIANLUCA FORCOLIN. Signor Presidente, signor Ministro, come ben saprà le piogge eccezionali che hanno colpito il Veneto dal 31 ottobre al 2 novembre scorso hanno provocato un vero e proprio disastro idrogeologico, mettendo in ginocchio il tessuto socio-economico della regione Veneto e rendendo inutilizzabili migliaia di abitazioni civili, industrie manifatturiere, aziende agricole e di allevamento.
Il Consiglio dei Ministri con ordinanza, dichiarando lo stato di emergenza, ha messo a disposizione del commissario delegato, il presidente Zaia, la somma di 300 milioni di euro per finanziare i primi interventi. Queste risorse sono destinate quali contributi non concorrenti alla formazione del reddito imponibile, pertanto sono esenti da imposte.
Nelle stesse settimane e fino ad oggi molte risorse sono state recuperate attraverso il versamento volontario o iniziative di solidarietà. Queste somme raccolte, invece, concorrono a formare reddito imponibile, costringendo i già sfortunati cittadini veneti a doverci pagare anche le imposte.
La questione quindi, signor Ministro, sta nel trovare una soluzione normativa che consenta alle famiglie venete colpite dall'alluvione di non considerare imponibile fiscale - e quindi tassabile - quelle somme introitate o da introitare a titolo di donazione o contributo volontario.

PRESIDENTE. Il Ministro per i rapporti con il Parlamento, Elio Vito, ha facoltà di rispondere.

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ELIO VITO, Ministro per i rapporti con il Parlamento. Onorevole Forcolin, le rispondo sulla base degli elementi forniti dal Ministero dell'economia e delle finanze, al quale è stata rivolta l'interrogazione. In essa si ricorda che, dopo i gravi danni arrecati al tessuto socio-economico del Veneto in conseguenza delle eccezionali piogge cadute dal 31 ottobre al 2 novembre dello scorso anno, con ordinanza n. 3906 della Presidenza del Consiglio dei ministri è stato stabilito che i contributi previsti dall'articolo 5 della stessa ordinanza non concorrono a formare il reddito ai sensi del Testo unico delle imposte sui redditi e non rilevano ai fini della formazione del valore della produzione netta di cui al decreto legislativo n. 446 del 1997.
I contributi di cui all'articolo 5 dell'ordinanza sono quelli erogati dal commissario delegato nell'ambito delle risorse assegnate con lo stesso provvedimento. In particolare, il commissario è autorizzato ad erogare ai soggetti interessati un contributo rapportato al danno subìto da impianti, strutture, macchinari e attrezzature, un contributo fino al 30 per cento del prezzo di acquisto di scorte di materie prime, semilavorati e prodotti finiti danneggiati o distrutti a causa degli eventi alluvionali e non più utilizzabili, un contributo correlato alla durata della sospensione delle attività, quantificato in trecentosessantacinquesimi sulla base dei redditi prodotti risultanti dall'ultima dichiarazione annuale dei redditi e un contributo fino al 75 per cento del danno medesimo per beni mobili e registrati distrutti o danneggiati.
Nella sua interrogazione, quella del gruppo della Lega Nord, si evidenzia che le donazioni volontarie, non essendo comprese nell'esclusione dalla base imponibile delle imposte sui redditi e dell'IRAP prevista all'articolo 5 della predetta ordinanza, sarebbero tassate in via ordinaria e si richiede un intervento del Governo.
Al riguardo, il Ministero dell'economia e delle finanze rileva che, secondo l'articolo 88, comma 3, lettera b), del Testo unico delle imposte sui redditi, sono considerati sopravvenienze attive i proventi in denaro o in natura conseguiti a titolo di contributo o di liberalità. Sono esclusi i contributi spettanti, sotto qualsiasi denominazione, in base a contratto e i contributi spettanti esclusivamente in conto esercizio a norma di legge considerati ricavi.
In particolare, l'ordinanza n. 3906 citata, nell'individuare gli interventi conseguenti alla dichiarazione dello stato di emergenza, ha derogato la sola inclusione nella base imponibile per i contributi erogati dal commissario delegato. Con riferimento, quindi, all'opportunità di estendere siffatta deroga anche a tutte le altre donazioni non erogate dal commissario, il Ministero dell'economia e delle finanze rileva che occorre approfondire le implicazioni che la misura auspicata avrebbe a livello comunitario, nonché gli oneri conseguenti, in quanto la valutazione dei medesimi non può prescindere dall'analisi che interventi di questo tipo hanno in un ambito sistematico generale.

PRESIDENTE. L'onorevole Forcolin ha facoltà di replicare.

GIANLUCA FORCOLIN. Signor Presidente, ringrazio il Ministro, però credo che l'elemento importante sia che, ancora una volta, il popolo veneto, di fronte ad un'emergenza così importante, ha risposto rimboccandosi le mani e non chiedendo aiuto a nessuno; dopo pochi giorni era comunque già in grado di riprendere le attività.
È chiaro che il disastro è stato di portata talmente elevata che è importante che, oltre all'ordinanza del 13 novembre scorso che lei citava, a seguito della quale sono intervenuti i 300 milioni dati al commissario delegato, il presidente Zaia, vi siano state e vi siano tutt'oggi migliaia di iniziative di solidarietà, che sono state messe in campo, con la devoluzione alla regione Veneto di importanti risorse.
Credo che su queste economie, che rappresentano economie di famiglie italiane che si sono strette al popolo veneto, vi sia stata già un'imposizione fiscale importante, Pag. 58che è stata versata per produrle. Chiedere oggi un'imposizione a chi ottiene e introita questi versamenti significa prevedere una doppia imposizione.
Credo che il Governo, di fronte a questo, debba dare un segnale importante, che è quello di dire che, da una parte, si erogano 300 milioni e, dall'altra parte, fare in modo che queste risorse, questi importanti contributi che arrivano alle famiglie e alle imprese venete, per farle ripartire, rilanciare l'economia e per tornare alla normalità, siano effettivamente risorse utili e pulite, e non debbano poi rientrare nell'Unico, nelle dichiarazioni fiscali dei contribuenti veneti, per pagarci ulteriori imposte.
Credo che questo sia un segnale dovuto e importante che il Governo doveva lanciare per dare maggiore concretezza, ma anche per liberare ulteriori risorse dalle casse governative stesse.
Infatti, come ben sappiamo, il governatore Zaia ha proposto e ha posto delle perizie di stima che sono ben maggiori dei 300 milioni di euro.
Credo, quindi, che maggiori risorse lasciamo agli imprenditori e alle famiglie, minore sarà la richiesta che questi faranno poi al Governo per ripartire con un'economia normale e rilanciare l'economia veneta così disastrata, appunto, da questo evento.
Per cui, credo che la sua risposta sia una risposta, comunque, che va interpretata a livello comunitario...

PRESIDENTE. Onorevole Forcolin, la prego di concludere.

GIANLUCA FORCOLIN. ...ma dobbiamo dare un segnale importante, tangibile, al Veneto, che si è rimboccato le maniche da subito e chiede risposta in questo senso. Mi sembra che, oltre alla beffa, avrebbero anche il danno di dover pagare le tasse. Non credo sia questo l'auspicio che i veneti si aspettano. Grazie Ministro (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

(Orientamenti del Governo in merito ad iniziative per il rispetto dei diritti politici in Bielorussia - n. 3-01391)

PRESIDENTE. L'onorevole Mecacci ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-01391, concernente gli orientamenti del Governo in merito ad iniziative per il rispetto dei diritti politici in Bielorussia (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata).

MATTEO MECACCI. Signor Presidente, con questa interrogazione cerchiamo di fare luce e un po' di chiarezza nei rapporti tra il nostro Governo ed il Governo bielorusso. Questo si rende necessario perché questo Paese, la Bielorussia - che, ricordo, è un Paese che sta a pieno all'interno del continente europeo -, sta vivendo una situazione molto drammatica. Le ultime elezioni presidenziali dello scorso 19 dicembre sono state dichiarate da numerose organizzazioni internazionali come non democratiche e lontane dal rispetto dei principi minimi della democrazia elettorale, ma, soprattutto, quella sera, il 19 dicembre, sono stati arrestati centinaia di attivisti nella piazza del Governo di Minsk; decine di loro sono attualmente sotto processo e ben sei candidati delle opposizioni alla Presidenza sono sotto arresto.
Allora, perché fare chiarezza nei rapporti con il nostro Governo? Perché il Governo italiano, con il Presidente del Consiglio Berlusconi, si è assunto una responsabilità molto grave: lo scorso anno è stato il primo Paese europeo a recarsi a Minsk dopo che per anni il Presidente Lukashenko è stato sotto sanzioni...

PRESIDENTE. Onorevole Mecacci, la prego di concludere.

MATTEO MECACCI. ... dell'Unione europea, e in quell'occasione ha dichiarato che la sua gente lo ama e questo è dimostrato dai risultati delle elezioni, che sono sotto gli occhi di tutti e che noi apprezziamo e conosciamo.
Ecco, credo che queste dichiarazioni meritino un chiarimento oggi e anche per le iniziative dei prossimi giorni.

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PRESIDENTE. Il Ministro per i rapporti con il Parlamento, Elio Vito, ha facoltà di rispondere.

ELIO VITO, Ministro per i rapporti con il Parlamento. Signor Presidente, rispondo all'onorevole Mecacci sulla base degli elementi forniti dal nostro Ministero degli affari esteri.
Il Governo italiano ha registrato con viva preoccupazione le preliminari indicazioni degli osservatori OSCE sulla possibilità di diffusi brogli nello spoglio dei voti delle presidenziali bielorusse del 19 dicembre 2010 e sui successivi episodi di violenza a danno di manifestanti ed esponenti dell'opposizione.
Riguardo al processo elettorale il Ministero degli affari esteri nutre il massimo rispetto per la serietà e l'imparzialità che, tradizionalmente, caratterizzano il lavoro degli osservatori OSCE e si attende, quindi, di conoscere il rapporto finale, previsto entro febbraio. Tale rapporto fornirà una valutazione approfondita sul grado di conformità delle elezioni di dicembre con gli standard europei ed internazionali.
Il nostro Ministero degli affari esteri ha subito condannato pubblicamente la repressione seguita al voto e ha definito inaccettabili gli arresti, inaccettabili in quanto hanno coinvolto candidati dell'opposizione che si sarebbero limitati a forme pacifiche di protesta. L'Italia si attende, quindi, che vengano al più presto rilasciati quanti siano stati arrestati unicamente per motivazioni ideologiche e che i presunti responsabili delle violenze vengano giudicati nelle sedi competenti.
Il Ministro Frattini già il 21 dicembre 2010 ha avuto per primo l'occasione di esprimere direttamente al suo omologo bielorusso Martynov la forte preoccupazione italiana. La Bielorussia - questo è il messaggio trasmesso al Governo di Minsk - deve prendere sul serio le preoccupazioni dell'Unione europea e capire che l'Unione europea è innanzitutto una comunità di valori, valori che ci aspettiamo vengano rispettati dai Paesi con cui vogliamo intensificare il dialogo. La questione bielorussa è prevista nell'agenda della riunione dei Ministri degli esteri dell'Unione europea del prossimo 31 gennaio.
Nel dibattito in corso a Bruxelles l'Italia è, assieme a diversi altri Paesi membri, a favore di un approccio articolato, un approccio che preveda forme anche energiche di pressione, compresa la limitazione nella concessione di visti di ingresso a personalità o funzionari bielorussi responsabili delle violenze, ma che non interrompa del tutto la comunicazione politica con le autorità di Minsk.
A Bruxelles si stanno valutando - e l'Italia sostiene attivamente tale prospettiva - misure a favore della società civile e a tutela degli oppositori e dei loro familiari, vittime di arbitri e violenze. Allo stesso modo appare opportuno che non vengano interrotti quei meccanismi di cooperazione tra l'Unione europea e la Bielorussia, che di fatto contribuiscono al benessere della popolazione, alla crescita sociale e democratica del Paese.
In conclusione, onorevole Mecacci, signor Presidente, il Governo italiano ritiene che la risposta europea non possa limitarsi a riportare indietro le lancette dell'orologio, con un semplice ritorno alla situazione pre-2008, quando di fatto l'Unione si rifiutava di parlare con Minsk.

PRESIDENTE. La prego di concludere, ministro Vito.

ELIO VITO, Ministro per i rapporti con il Parlamento. Andrebbe invece mantenuto, secondo modalità da concordare, il dialogo critico avviato dai ventisette. È questo l'approccio più opportuno per convincere la Bielorussia ad imboccare, con rafforzata decisione, il cammino verso standard europei in materia di rispetto della democrazia e tutela dei diritti umani. E in questa prospettiva va registrato positivamente il previsto incontro tra l'Alto rappresentante europeo, signora Ashton, e il Ministro degli affari esteri bielorusso Martynov.

PRESIDENTE. L'onorevole Mecacci ha facoltà di replicare.

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MATTEO MECACCI. Signor Presidente, purtroppo devo prendere atto che, ancora una volta, quando si parla di politica estera, c'è una grande differenza tra le parole che si pronunciano in queste occasioni e le parole che poi il nostro Presidente del Consiglio pronuncia quando incontra questi leader europei.
Vede, signor Presidente, chi oggi sta nelle carceri a Minsk, ovvero questi rappresentanti delle opposizioni, questi rappresentanti delle organizzazioni non governative, tutti ben ricordano le dichiarazioni del Presidente del Consiglio Berlusconi, che appunto un anno fa ebbe a dire a quello che è definito l'ultimo dittatore d'Europa (ma potremmo anche definirlo l'ultimo comunista d'Europa, visto che il Presidente del Consiglio così spesso ci ricorda l'esistenza dei comunisti in Italia, ma, chissà come mai, se ne dimentica all'estero). Ecco, questo personaggio è al potere dal 1994, ogni volta ha falsificato i risultati elettorali e noi abbiamo deciso di allacciare questo dialogo costruttivo, come abbiamo fatto con Gheddafi, con Putin o con il presidente kazako, in cui andiamo a tessere le lodi del dittatore di turno, sperando di avere dei benefici economici che poi purtroppo - come le recenti vicende anche riguardo all'ENI dimostrano - così non si rilevano.
Allora, siccome all'interno dell'Unione europea si sta esattamente discutendo di questo, cioè della possibilità di avere una reazione politica dura nei confronti di Lukashenko, che - lo ripeto - ha arrestato tutta l'opposizione, cosicché tutti i maggiori rappresentanti sono adesso in galera e rischiano decine di anni di condanna di galera, io credo opportuno che si dica anche che questa persona è una persona non grata in Europa, una persona che deve subire pure delle limitazioni nell'esercizio delle sue libertà personali ed economiche. Se ciò non si fa, in realtà, si continua a legittimare, come purtroppo sta facendo questo Governo nella sua politica estera, la persona forte di turno, sia egli Gheddafi, sia egli - basti pensare a quello che sta accadendo in queste ore in Tunisia - il dittatore tunisino Ben Alì, illudendoci che attraverso rapporti personali e privilegiati si possa fare l'interesse del Paese.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Mecacci.

MATTEO MECACCI. Non è l'interesse del Paese, forse è l'interesse di qualcuno che sta a palazzo Chigi, ma non certo dei cittadini italiani (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

(Iniziative di competenza relative all'ambito di applicazione della disciplina in materia di obblighi a carico degli operatori dei servizi audiovisivi - n. 3-01392)

PRESIDENTE. L'onorevole Perina ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-01392, concernente iniziative di competenza relative all'ambito di applicazione della disciplina in materia di obblighi a carico degli operatori dei servizi audiovisivi (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata).

FLAVIA PERINA. Signor Presidente, la domanda che pone quest'interrogazione è molto semplice. È possibile equiparare piattaforme come YouTube o Vimeo a una televisione commerciale? Ed è possibile sostenere che l'algoritmo automatico, che presiede alla messa in onda dei filmati su queste piattaforme, equivalga ad un direttore di palinsesti, che decide che cosa mandare in onda e quando mandarlo in onda?
Ecco, noi crediamo di no e tutta Europa crede di no, mentre invece ci sono due recenti delibere dell'Agcom, che in qualche modo introducono questa equiparazione. Quindi, la richiesta rivolta al Governo è di individuare una forma di intervento, al fine di evitare che l'interpretazione restrittiva di queste delibere si traduca in tre gravissimi rischi: il primo è quello che YouTube sia obbligato ad un controllo preventivo della messa in onda, che è oggettivamente impossibile, e addirittura sottoposto a vincoli, come le fasce orarie protette per i minori o l'obbligo di Pag. 61rettifica; il secondo rischio è quello di colpire la libertà degli utenti; il terzo rischio è addirittura che queste piattaforme decidano di andarsene dall'Italia, perché è ingovernabile un sistema regolato in questa maniera.
Io immagino che un'Italia senza YouTube, o con una YouTube fortemente limitata nella sua libertà, sia un po' meno simile alla Germania e all'Inghilterra e un po' più simile alla Cina o al Pakistan.

PRESIDENTE. Il Ministro per i rapporti con il Parlamento, Elio Vito, ha facoltà di rispondere.

ELIO VITO, Ministro per i rapporti con il Parlamento. Signor Presidente, rispondo all'onorevole Perina sulla base di quanto comunicato dal Ministero dello sviluppo economico, che ha acquisito elementi informativi da parte dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, alla quale il decreto legislativo n. 44 del 2010 ha demandato l'esercizio di poteri regolamentari nella materia. L'Autorità, in esito ad una consultazione pubblica che ha visto un'ampia partecipazione di operatori e associazioni di settore, ha approvato - lo scorso 25 novembre - i regolamenti concernenti i servizi di media audiovisivi lineari su altri mezzi trasmissivi e i servizi di media audiovisivi a richiesta. Come rilevato dall'Autorità, i citati regolamenti, sulla base dei principi stabiliti dalla normativa comunitaria e dalla normativa italiana di recepimento, prevedono che un soggetto per potersi qualificare come fornitore di un servizio di media audiovisivi deve operare in forma imprenditoriale, in diretta concorrenza con la radiodiffusione televisiva, ed esercitare la responsabilità editoriale sui contenuti diffusi. Sono stati espressamente esclusi dal campo d'applicazione della normativa in materia i siti Internet privati e i motori di ricerca, nonché i servizi basati su contenuti generati da utenti privati citati nell'interrogazione, tranne nel caso in cui per questi ultimi sussistano congiuntamente in capo ai soggetti aggregatori sia la responsabilità editoriale in qualsiasi modo esercitata, sia uno sfruttamento economico. Mentre lo sfruttamento economico è facilmente individuabile, affinché si determini la responsabilità editoriale, è richiesto l'esercizio di un controllo effettivo sulla selezione dei programmi, ivi inclusi i programmi dati, e la loro organizzazione in un palinsesto cronologico nel caso della radiodiffusione televisiva o radiofonica, o in un catalogo nel caso dei servizi a richiesta.
Pertanto il Ministero dello sviluppo economico fa presente che i siti che non selezionano ex ante i contenuti generati dagli utenti, ma effettuano una mera classificazione dei contenuti stessi, non rientrano nel campo di applicazione della norma. In ogni caso, onorevole Perina, il Governo ribadisce il proprio impegno a favorire lo sviluppo del mercato dei servizi di media audiovisivi a richiesta tenendo in stretta considerazione le tematiche rappresentate nella sua interrogazione, anche in sede di recepimento delle nuove direttive di comunicazione elettronica.

PRESIDENTE. L'onorevole Perina ha facoltà di replicare.

FLAVIA PERINA. Signor Presidente, mi sembra di capire che la risposta è positiva, nel senso che i tipi di piattaforme cui faceva riferimento l'interrogazione sono oggettivamente esclusi da questo tipo di regolamentazione e di controllo, e questo credo sia un dato importante, che va nella direzione indicata da altri provvedimenti presi di recente dal Governo in favore della libertà della rete, come ad esempio la parziale liberalizzazione che abbiamo visto della rete wi-fi attraverso la mancata reiterazione di parti del decreto Pisanu. Questa è una notizia sicuramente positiva, alla quale spero venga dato il massimo della circolazione, perché sappiamo tutti che su questo tema delle delibere dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni in rete è in corso un dibattito molto intenso che non sta mettendo al momento in buona luce le scelte dell'Autorità stessa. Spero che tutto questo sia oggetto di circolazione sulla rete.

Pag. 62

PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata. Sospendo la seduta, che riprenderà alle ore 16 con lo svolgimento dell'informativa urgente del Governo sull'uccisione in Afghanistan del caporalmaggiore Matteo Miotto.

La seduta, sospesa alle 15,55, è ripresa alle 16,05.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Brugger, Cirielli, Colucci, Cossiga, D'Alema, Dal Lago, Donadi, Alberto Giorgetti, Lo Monte, Melchiorre, Leoluca Orlando, Ravetto, Reguzzoni, Roccella, Saglia, Sardelli, Stucchi, Tabacci e Vito sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente sessantatrè, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Informativa urgente del Governo sull'uccisione in Afghanistan del Caporal Maggiore Matteo Miotto (ore 16,07).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di un'informativa urgente del Governo sull'uccisione in Afghanistan del Caporal Maggiore Matteo Miotto.
Dopo l'intervento del rappresentante del Governo, interverranno i rappresentanti dei gruppi in ordine decrescente, secondo la rispettiva consistenza numerica, per cinque minuti ciascuno. Un tempo aggiuntivo è attribuito al gruppo Misto.

(Intervento del Ministro della difesa)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Ministro della difesa, Ignazio La Russa.

IGNAZIO LA RUSSA, Ministro della difesa. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sono qui a riferire su un nuovo tragico episodio, di cui già siete ovviamente a conoscenza, che il 31 dicembre scorso ha causato la morte di un giovane alpino del nostro contingente militare impegnato in Afghanistan. In primo luogo, chiedo all'Aula di unirsi a me per rinnovare il più profondo cordoglio e la più sentita vicinanza ai familiari del giovane Matteo Miotto dei quali ho ammirato la grande dignità e la compostezza in un momento di immenso ed indescrivibile dolore. Un grande insegnamento di umanità e forza d'animo, un grazie per quello che ci hanno dato (Applausi) i parenti, gli amici, la comunità di Thiene in quella tragica occasione. Ancora una volta ci stringiamo alle nostre Forze armate, ed in particolare all'Esercito, che hanno pagato un ulteriore tributo per l'assolvimento del compito a loro affidato di contribuire a garantire la pace e la sicurezza per il nostro Paese ed i nostri cittadini, anche attraverso il contrasto al terrorismo internazionale.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'evento in cui ha perso tragicamente la vita il primo caporal maggiore Matteo Miotto ha interessato l'avamposto della task force sud-est, denominato Snow, presidiato da un reparto a livello plotone rinforzato di fanteria (circa 50 militari) del 7o reggimento alpini che dal 1o settembre del 2010 ha assunto la responsabilità operativa dei distretti di Bakua, del Gulistan e di Porciaman. L'avamposto Snow è piccolo, si tratta di pochi metri quadrati, e si trova all'imbocco della valle del Gulistan, in prossimità di Seh Goshan-Yanubi, un piccolo centro della provincia di Farah e consente di garantire la sorveglianza e la sicurezza dell'ingresso della valle del passo di Buji. La valle rappresenta una delle aree più complesse, ed operativamente più importanti, nelle quali si sviluppa l'azione di controllo del territorio da parte del nostro contingente. In quest'area sono presenti ed operano molti insurgent, oltre ad elementi di criminalità varia, come droga e quant'altro, comunque da diverso tempo attivi in zona. L'obiettivo Pag. 63di costoro è quello di contrastare la creazione di condizioni di sicurezza sufficienti che possano consentire il ritorno alle normali attività di governance da parte delle legittime autorità afgane, supportate dal contingente ISAF.
Questa era una doverosa premessa dopo la quale posso passare a descrivere gli eventi, naturalmente secondo la ricostruzione effettuata ad oggi dai competenti comandi militari. Il giorno 31 dicembre 2010, l'ultimo giorno dell'anno, poco prima delle ore 14,50 locali, un numero imprecisato di insorti ha avviato un'azione di fuoco dalle alture ad est della base italiana, ad una distanza di circa mille metri, con armi presumibilmente leggere, contro il lato est dell'avamposto Snow. Al fuoco ostile, cadenzato e preciso, i militari italiani, nel rispetto delle regole di ingaggio e delle procedure in vigore, hanno prontamente risposto con l'armamento in dotazione dirigendo il tiro verso le sorgenti di fuoco. Immediatamente veniva, inoltre, richiesto il supporto aereo ravvicinato. In particolare, veniva a trovarsi sotto attacco anche l'altana presidiata dal primo caporalmaggiore Ghiani in servizio di vigilanza.
In applicazione delle procedure previste in caso di attacco, il caporale maggiore Matteo Miotto, che era in servizio di pronto impiego, andava a rinforzare la postazione al fine di potenziarne le capacità di difesa e di reazione. I due militari si alternavano nel rispondere al fuoco dandosi copertura reciproca e riparandosi dietro la struttura dell'altana fino a quando il caporalmaggiore Miotto veniva colpito. Ho appreso direttamente in Gulistan, dove mi sono recato immediatamente due giorni dopo, che il tempo presumibile in cui è durato lo scontro a fuoco, prima che Miotto cadesse vittima di un colpo, è stato di circa dieci minuti. Il Miotto veniva immediatamente soccorso dal personale sanitario presente nella base che nelle prime concitate fasi stimava la ferita all'altezza della spalla posteriore sinistra. Mi ha riferito il generale Bellacicco, sempre in Gulistan e di persona, che il caporal maggiore Ghiani, l'altro nostro ragazzo che era di guardia, di sentinella nell'altana, gli ha riferito che non appena si è accorto che il suo commilitone era stato colpito, lo stesso ha esclamato: «Mi hanno colpito», dopodiché gli occhi gli sono diventati bianchi come la morte. La gravità delle condizioni sanitarie rendeva necessaria l'immediata evacuazione del militare e veniva pertanto immediatamente richiesto l'intervento di un elicottero della base di Dalaram, la più vicina all'avamposto Snow. Alle 15,20 italiane il militare, però, decisamente non presentava più segni di vita. All'arrivo dell'elicottero di soccorso il militare veniva comunque trasportato presso l'ospedale da campo statunitense di Dalaram dove alle 16,45 ne veniva constatato il decesso. In sede di riscontro autoptico, effettuato dopo il rientro della salma in patria presso l'istituto di medicina legale di Roma, è stato accertato che il militare è stato colpito da un unico proiettile penetrato nella regione destra del collo, dove il giubbetto antiproiettile non può assicurare la protezione, e fuoriuscito dal fianco sinistro dopo aver perforato entrambi i polmoni e l'aorta. Il proiettile che è stato recuperato tra i vestiti, nella tuta mimetica, dopo essere fuoriuscito è stato posto a disposizione dell'autorità giudiziaria competente di Roma ed è attualmente custodito dal raggruppamento carabinieri investigazione scientifica. Da un primo esame visivo dovrebbe trattarsi di un proiettile calibro 7,62. Tenuto conto dello svolgimento dell'azione, della distanza delle sorgenti di fuoco degli insorti e del modo con cui il caporal maggiore Miotto è stato colpito, è verosimile che il colpo mortale sia stato esploso da un tiratore esperto, cosiddetto cecchino, operante nell'ambito di un gruppo di fuoco degli insurgent. Ancora per notizie attinte direttamente in Afghanistan dal generale Bellacicco il fucile, l'arma che presumibilmente ha esploso quel colpo, potrebbe essere un dragunov che è un fucile di precisione degli anni Cinquanta in uso inizialmente soltanto in Unione sovietica e successivamente anche tra altre Forze armate e che, sempre secondo il generale Bellacicco, sulla scorta di informazioni provenienti dalla nostra Pag. 64intelligence, sarebbe possibile acquistare anche presso il mercato nero di Farah.
Per completare il quadro generale degli avvenimenti che nel pomeriggio del 31 dicembre hanno interessato l'avamposto Snow preciso che, durante lo scontro a fuoco ora descritto, nel quale è rimasto coinvolto il caporal maggiore Miotto, in seguito alla richiesta di un supporto aereo, cui ho già accennato, un velivolo statunitense B1 è intervenuto alle ore 15,16 locali circa. Nella sua azione procedeva, una volta identificata positivamente la minaccia rappresentata da alcuni insurgent ancora presenti nell'area, allo sgancio di una bomba di precisione.
Successivamente, alle ore 15,50 il B1 era rilevato da due F16, sempre statunitensi, che tuttavia non svolgevano azioni di fuoco. L'azione in questi casi è uno show e cioè il rumore dell'aereo di solito provvede a disperdere e a far diminuire la minaccia.
Più tardi lo stesso avamposto veniva nuovamente fatto oggetto di colpi di arma da fuoco da parte degli insorgenti in due diverse occasioni: una prima volta verso le ore 18,40 e una seconda volta verso le 20,25.
Notizie che meritano comunque conferma e che derivano anche dal supporto dell'esercito afgano hanno consentito di rilevare - leggo testualmente - «la neutralizzazione di quattro insorti, con esclusione di danni collaterali».
Signor Presidente e onorevoli colleghi, l'atto ostile va inquadrato in una recrudescenza di azioni di attacco e disturbo registratesi nell'area proprio a cavallo dell'inizio dell'anno. Tali azioni, poste in essere in contemporanea contro le forze della NATO nella regione ovest e condotte con sistematicità da gruppi di insorti sono, come avevo già avuto modo di prospettare in precedenti informative, da mettere sicuramente in relazione ad un maggiore impegno ed anche al costante progresso nel controllo e nella stabilizzazione dell'area attuato dalle forze della missione internazionale. Di fronte alla prospettiva di una progressiva perdita di controllo del territorio, un po' con le spalle al muro, gli insurgent hanno proceduto ad aumentare i loro attacchi e le loro azioni terroristiche.
Nel resoconto dei fatti che ho appena illustrato emerge chiaramente - ed è questo l'avvio del discorso sulla comunicazione degli eventi - come il 31 dicembre scorso sia stata una giornata particolarmente convulsa. Oltre ai tre attacchi contro la base Snow, il primo dei quali causava la morte del giovane Matteo e che ha visto il succedersi di interventi di mezzi aerei in supporto (elicotteri per evacuazione sanitaria) e azioni di contrasto a fuoco, si sono anche verificati nella stessa giornata altri tre eventi in rapida successione, per fortuna senza conseguenze, rispettivamente contro le nostre postazioni di Shindand, di Gulistan e di Bala Morgab. A fronte della complessa situazione che si è venuta a creare sul terreno e del ripetersi degli attacchi che vi ho appena descritto, le comunicazioni dei comandi operativi si sono prioritariamente concentrate - mi viene riferito - sul rilancio delle informazioni più importanti ed essenziali, rimandando all'esito dei necessari approfondimenti i rilievi e la descrizione più dettagliata dei fatti.
Aggiungo che, come in tutti i casi analoghi, è stata poi disposta dal Capo di stato maggiore della difesa un'inchiesta, prevista dalle norme in vigore, che dovrà accertare nel dettaglio tutti gli elementi dell'accaduto. Alcuni dettagli sono riportati da alcuni organi di informazione e meritano un approfondimento. Altri accertamenti saranno peraltro condotti anche dall'autorità giudiziaria competente.
Devo dire che il primo messaggio che io ricevetti fu immediato, fu pochi minuti dopo che l'evento si era consumato. Sia io sia il mio sottosegretario, che ricevette contemporaneamente lo stesso messaggio, lo abbiamo conservato. Proveniva dal generale Camporini e diceva: «Signor Ministro, purtroppo l'anno finisce male: abbiamo avuto un altro caduto nel 7o, colpito da un cecchino mentre era di guardia su un'altana a Buji». Questa fu la prima Pag. 65notizia, pochi minuti dopo l'evento. Poi le notizie, anche per quanto vi ho detto, arrivarono progressivamente.
Vorrei però avere l'opportunità di ribadire in proposito, come ho già avuto modo di precisare appena rientrato dall'Afghanistan, in un'apposita conferenza stampa del giorno 7, in merito ad alcune notizie apparse sugli organi di stampa, che non vi sono in alcun modo incomprensioni con i vertici militari, ai quali desidero rinnovare la mia piena stima e fiducia, unitamente al più profondo riconoscimento alle Forze armate per l'assolvimento dei loro compiti istituzionali, anche e soprattutto in momenti di particolare difficoltà. Questo lo dico con assoluta sincerità e chi conosce i miei rapporti con le gerarchie militari sa che è una costante. Il che non fa venir meno il primo dovere del Ministro nei confronti prima di tutto del Parlamento, dell'opinione pubblica, ma soprattutto dei soldati, di ciascun soldato e delle loro famiglie.
Si è scritto forse troppo sul ritardo, sulla gradualità. Io, nella conferenza stampa a cui ho fatto riferimento, appena rientrato dall'Afghanistan dico (vi leggo solo il titolo): «La mia fiducia e la mia stima non hanno bisogno di altri testimoni: non ho mai pronunziato... ».
Ma anche le dichiarazioni rese ai giornalisti che mi accompagnavano in Afghanistan - ho qui l'ANSA del giorno 6 gennaio giunta mentre rientravamo - possono essere rilette in assoluta tranquillità: «Ho ricevuto subito la fotografia della fase finale - spiega La Russa - e cioè che un cecchino ha ucciso Miotto, che si trovava sulla garitta. È tutto vero» - dico io - «ma non era stata subito fornita neanche a me quella parte della notizia secondo cui questo evento si inseriva nell'ambito di uno scambio di colpi durato diversi minuti».
Ho voluto poi aspettare il 5 gennaio, dopo aver ricevuto queste notizie abbastanza complete il 4 o il 3 sera, per parlare personalmente con il generale Bellacicco, il comandante del contingente, e potervi fornire una versione confrontata anche sul posto. Dopo aver descritto la situazione, dico: «Non bisogna naturalmente dimenticare che questa cosa è successa l'ultimo dell'anno, in una base lontana, che le notizie erano frammentarie: tutto ciò è una grandissima attenuante ma io» - e non lo rinnego - «ho trovato un briciolo di quella vecchia impostazione» - un briciolo, ripeto un briciolo, dico - «per cui, tra le due cose, è meglio dire sì la verità» - e la verità me l'hanno sempre detta! - «ma senza allarmare. Io dico: la verità non allarma mai e, in questo caso, va detta fino in fondo, prima di tutto per rispetto di Matteo Miotto, che non è morto per caso, ma è morto andando ad aiutare un suo compagno in quel momento e venendo colpito mentre partecipava ad un conflitto a fuoco. A me è stato spiegato» - concludevo - «che mi sono state date notizie certe e non quelle che non erano confermate al cento per cento. Lo prendo per buono, tant'è che non ci sarà nessuna conseguenza. Io non voglio accusare nessuno ma voglio ribadire che la dottrina del Governo Berlusconi, chiamiamola così, è quella della massima trasparenza».
Non posso che riconfermare quello che ho detto in quella occasione e infatti ho voluto rileggerlo perché non ci fosse la mediazione dei giornali: piena fiducia alle Forze armate e assoluta comprensione delle ragioni che hanno portato alla gradualità. Ma se per caso, come io ho avuto l'impressione, solo un'impressione, ci fosse stato anche solo un briciolo di una impostazione secondo cui si pensa sia allarmante far sapere che i nostri soldati usano la forza giusta, io rinnovo amichevolmente e affettuosamente a tutti la direttiva che la cosa migliore è l'assoluta trasparenza, la completa verità che fa solo onore ai nostri soldati e ai nostri ragazzi.

GIORGIO LA MALFA. Lei sta insinuando che i militari hanno mentito!

IGNAZIO LA RUSSA, Ministro della difesa. No, no, zitto, per favore! Non sto insinuando niente.

PRESIDENTE. Onorevole La Malfa, la prego.

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IGNAZIO LA RUSSA, Ministro della difesa. Onorevole La Malfa, voglio bene a lei, alla sua storia, alla sua famiglia, però forse ha bisogno di qualcuno che l'aiuti per l'udito, perché altrimenti non capisco la sua interruzione.

GIORGIO LA MALFA. Stia attento, Ministro!

IGNAZIO LA RUSSA, Ministro della difesa. La prego di stare zitto!

GIORGIO LA MALFA. Lei ha detto: «Lo prendo per buono».

IGNAZIO LA RUSSA, Ministro della difesa. Io sto dicendo esattamente il contrario, non sto insinuando niente. Ho avuto l'impressione che, non i militari, ma coloro che, tre giorni dopo, mi hanno fornito la notizia completa - senza avere mai mentito - abbiano ritenuto più opportuno fornire gradualmente le notizie senza allarmare. Ecco, non si allarma nessuno quando si dice la verità e chi mi ha confermato che ho piena ragione - vede che se avesse aspettato avrebbe fatto bene - sono stati i militari, le cui alte gerarchie mi dicono essere assolutamente solidali con questa impostazione, essendo chiarito ogni fraintendimento; anzi sono loro i primi a volere che sia l'opinione pubblica ad essere informata. Infatti, è capitato in passato - ma me lo dicono loro - che fosse quasi obbligatorio dipingere le nostre missioni solo come umanitarie. No, c'è anche l'uso della forza giusta (Commenti dei deputati del gruppo Partito Democratico). I primi a essere contenti di questo sono stati - e me lo ripetono - le alte gerarchie militari con cui la sintonia - mi spiace per voi - è totale e completa. È totale e completa.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, anche in questa dolorosa circostanza ribadisco, ancora una volta, il fermo intendimento del Governo di mantenere fede al suo impegno, nella consapevolezza dell'importanza dell'azione multinazionale per contribuire alla stabilizzazione dell'Afghanistan. In Afghanistan non resteremo in eterno, ma comunque almeno fino a quando sarà portato a termine il processo di transizione che presuppone la riconsegna dell'intero territorio alle legittime autorità.
Al fine di rendere materialmente possibile tale passaggio di responsabilità in tema di sicurezza, è stata condivisa in ambito NATO l'esigenza di aumentare ulteriormente lo sforzo nel settore della formazione e dell'addestramento a favore delle Forze afgane.
Pertanto è stato previsto, nel decreto di proroga delle missioni internazionali - attualmente all'esame della Commissione difesa - un ulteriore, limitato aumento del contingente nazionale, in virtù dell'invio di ulteriori 200 istruttori (parte di forze di polizia e parte delle Forze armate afgane).
Il nostro apporto alla missione ISAF della NATO rimane, quindi, coerente con gli impegni assunti e con gli obiettivi che stiamo perseguendo in piena condivisione con gli alleati.
Sono contento, sinceramente contento, e ringrazio tutto il Parlamento: ovviamente le forze di maggioranza, ma in particolare modo, perché maggiore è lo sforzo, le forze di opposizione, perché rilevo una larga condivisione sulla reale natura della missione.
La natura della missione, peraltro, è stata descritta meglio di quanto possa fare io dalle parole del Presidente della Repubblica, che è il capo delle Forze armate, il Presidente Napolitano, al cui messaggio mi richiamo integralmente.
Da parte del Parlamento c'è condivisione larga - larga, quasi totalitaria, quasi - sulla necessità di non vanificare i risultati che stiamo progressivamente conseguendo. Ad una eventuale - ma c'è - ristretta minoranza, che auspica un disimpegno unilaterale, possiamo solo dire che l'Italia non soltanto verrebbe meno agli impegni assunti in ambito internazionale, ma lascerebbe agli insorti campo libero per riassumere il controllo del territorio.
Il Parlamento italiano a larghissima maggioranza è cosciente che la percezione di una mancanza di consenso e di coesione all'interno delle opinioni pubbliche e delle Pag. 67istituzioni politiche in merito al nostro impegno in Afghanistan, rappresenta uno degli obiettivi strategici degli insorti. È ciò che vogliono. Cedere alla loro strategia sarebbe sicuramente un segnale di debolezza capace, da un lato, di rinvigorire l'azione dei terroristi e, dall'altro, di far venire meno il dovuto sostegno ai nostri ragazzi.
Il modo migliore per onorare la memoria di Matteo Miotto e di tutti coloro che hanno dato la vita per la patria è, pertanto, quello di mantenere salda la rotta e perseguire con determinazione lo sforzo di restituire agli afgani un Paese stabile, nei modi e nei tempi che la comunità internazionale ha previsto.
La politica, con spirito di unità e di coerenza, ha, dunque, il dovere di rendere possibile il raggiungimento di questo complesso obiettivo, rafforzando il senso del difficile impegno che i nostri ragazzi e le nostre ragazze stanno sostenendo con encomiabile dedizione e professionalità in Afghanistan.
Posso richiamare le parole dell'ordinario militare monsignor Pelvi, il quale ha detto: non possiamo aspettarci che la società mondiale emerga da sola dal tumulto delle tensioni, delle minacce, delle discriminazioni, delle violenze, delle intolleranze religiose che affliggono tante parti del mondo, ma dobbiamo lavorare, fare sacrifici e cooperare con determinazione per costruire una comunità internazionale stabile e pacifica.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, vi è un grande e sincero dolore per la perdita del caporalmaggiore Matteo Miotto, di cui rimarrà indelebile il ricordo per il sacrificio della vita donata per la pace.
In tutti noi rimarrà impressa la lettera da lui spedita al sindaco di Thiene, nella quale Matteo ha voluto raccontare - con parole che vi prego di voler rileggere - la sua esperienza in Afghanistan. Fa più onore quella lettera alla vera natura e al vero stato d'animo dei nostri militari, di mille discorsi e di mille retorici commenti.
Le sue parole sono la testimonianza più viva dell'entusiasmo e della convinzione con cui Matteo credeva nei valori della giustizia e della pace, nella consapevolezza che il lavoro svolto insieme ai suoi colleghi, pur comportando rischi e pericoli, era di concreto aiuto per il popolo afgano e contribuiva a rendere più sicure le nostre città tenendo lontana la minaccia del terrorismo internazionale.
Non voglio concludere con mie parole questo intervento che vi prego di voler considerare profondamente sincero, profondamente vero e sicuramente teso a eliminare ogni strumentale polemica ma, al contrario, teso a recuperare fino in fondo quella solidarietà che ha contrassegnato l'intero Parlamento e le altre istituzioni a fianco di tutte le Forze armate, la cui capacità, dagli alti vertici all'ultimo soldato, ci è riconosciuta in ogni parte del mondo e a cui dobbiamo, a tutti, completa, totale gratitudine.
Voglio concludere con le parole, non a caso, di un militare, non di un soldato ma di un colonnello, Federico Lunardi, un colonnello medico che, mentre Matteo perdeva la vita, era a pochi chilometri di distanza, in un altro avamposto della stessa valle e che scrive al comandante di Matteo l'indomani mattina. Nella lettera dice: «Nel dramma tutto umano di questo nostro giovane scorgo un sapore di pulito e di antico. Pulito e antico perché è morto da soldato, con il fucile in braccio, mentre stava di guardia su un'altana in un avamposto tra le montagne e il nulla. Quando chiudo gli occhi penso a quanti, prima di lui, in trincea o sulle vette delle nostre Dolomiti hanno trovato così la morte. Sentinella che non ha visto il tramonto di ieri, né la fine del 2010 e che ora rimane a guardia delle nostre coscienze e delle nostre menti nel dirci che la tecnologia, l'innovazione, la modernità non bastano a farci sentire sicuri. Sentinella che ora non aspetterà più il cambio e continuerà a vigilare con la stessa generosità con la quale aveva fatto conoscere a tutti, con parole semplici ma chiare, il significato di una scelta di vita in uniforme e con il cappello alpino in testa. Sentinella che nel proprio dialogo, ancor più intimo con il nonno, avrà l'orgoglio di dire che ha compiuto il proprio dovere di soldato e di Pag. 68uomo.» Il colonnello Federico Lunardi conclude con una frase che vorrei mutuare, fare nostra, mi auguro di tutto il Parlamento, e anch'io, come il colonnello Lunardi dico: «Vorrei poter portare sulle mie spalle anche soltanto una scheggia del dolore che sovrasta il plotone, gli alpini del VII, la sua famiglia» e, aggiungo io, tutte le Forze armate, tutta la nostra comunità nazionale. Grazie, Matteo (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà, Lega Nord Padania, Futuro e Libertà per l'Italia e Misto-Noi Sud Libertà e Autonomia, I Popolari di Italia Domani).

(Interventi)

PRESIDENTE. Passiamo agli interventi dei rappresentanti dei gruppi. Ha chiesto di parlare l'onorevole Cirielli. Ne ha facoltà.

EDMONDO CIRIELLI. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, innanzitutto voglio ringraziare il Governo per il sostegno che sta garantendo alle Forze armate in questa difficile missione internazionale iniziata ormai da tanti anni e che ha avuto vari Governi di diverso colore che l'hanno sostenuta e che ha avuto anche un sostegno sempre molto ampio a livello parlamentare.
Credo che sarebbero tante le cose da dire sulla questione ma voglio incentrare il mio intervento su una giusta visione dell'episodio in sé. Abbiamo avuti tanti caduti in questa missione, trentasei, purtroppo, e quest'anno è stato l'anno peggiore, ma credo che vada giustamente riconosciuto il ruolo svolto da questo militare. Tutti i nostri militari sono uguali, adempiono al loro dovere e i caduti in particolare hanno il sostegno commosso della nazione e della classe politica.
Tuttavia, nella fattispecie credo che sia da sottolineare come il caporalmaggiore Miotto, benché abbia agito secondo una procedura e un protocollo, sia accorso per sostenere un collega impegnato in combattimento e che, purtroppo, sia caduto non soltanto nell'adempimento del suo dovere ma in azione, in combattimento. Credo che questo sia un dato che vada ripreso, ribadito e sottolineato anche per la giusta valutazione complessiva della missione, dell'azione e del comportamento del militare. Credo che le autorità militari, come quelle politiche, sapranno tenere in debita considerazione anche le modalità che non si accompagnano soltanto ai pensieri nobili, che abbiamo letto, ma anche ai fatti concreti. Infatti, credo sia sempre giusto ricordare che le idee valgono la pena di essere sostenute se sono poi capaci di concretizzarsi in azioni.
Un'altro aspetto che volevo sottolineare, signor Ministro, è quello di riprendere proprio le modalità del fatto luttuoso che è accaduto. Probabilmente non furono peregrine le sue parole di qualche mese fa, quando fece presente che probabilmente era necessario aumentare la potenza di fuoco del nostro intervento. Dico questo non certamente perché voglio mettere in evidenza la carica offensiva della nostra azione ma, al contrario, perché la nuova strategia che la NATO, l'Unione europea e anche l'ONU hanno adottato, grazie alla volontà del Presidente dell'amministrazione statunitense, Barack Obama, si riassume nella parola «meno bombe più soldati». Pertanto, è evidente la capacità e la necessità di conquistare il territorio sottraendolo non soltanto agli insurgent ma anche ai terroristi, per garantire una vita serena sicuramente ai cittadini afgani ma anche una rapida risoluzione dell'aspetto conflittuale della nostra missione internazionale e poter garantire, in maniera più tempestiva possibile, una graduale exit strategy e un passaggio di consegne agli afgani.
Probabilmente anche le modalità con le quali lei ha raccontato, in maniera ufficiale in quest'Aula, l'intervento e gli accadimenti meritano una riflessione da questo punto di vista. Lei parlò di un impiego dei nostri mezzi aerei anche in maniera più efficace. Oggi abbiamo ascoltato che sono intervenuti i mezzi americani dopo circa 20 minuti che rappresentano, ovviamente, il tempo di reazione. Ma forse un'autonomia e una capacità di reazione più rapida Pag. 69anche da parte del nostro dispositivo, atteso che vi è una nuova strategia della NATO e della coalizione che coinvolge anche i nostri militari, devono essere giustamente tenute in considerazione. Lei qualche mese fa ha lanciato questa idea, si è aperto un dibattito e credo che quel dibattito vada approfondito (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Recchia. Ne ha facoltà.

PIER FAUSTO RECCHIA. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, fatemi innanzitutto esprimere, personalmente e a nome del mio gruppo, il nostro cordoglio e la nostra vicinanza alla famiglia del caporalmaggiore Miotto, a lei, signor Ministro, e alle Forze armate. Tuttavia, insieme al cordoglio e alla nostra gratitudine a questo nostro soldato, che ha dimostrato con la sua morte e ancor prima con la sua vita la condivisione dei valori fondamentali del nostro popolo, anche in momenti come questi e in nome di questi sentimenti - ed entrando nel merito della sua informativa urgente - sento la necessità di dover manifestare il mio disagio per dover turbare questo clima con considerazioni critiche.
Signor Ministro, i militari hanno infatti il diritto di sentire alle loro spalle un Paese unito insieme al sostegno incondizionato delle istituzioni, un sostegno tanto più forte quanto più impegnativa è la missione che sono chiamati a svolgere per conto della Repubblica. La condivisione, rispetto al loro impegno, è un valore che tutti dobbiamo difendere e abbiamo riconosciuto questa convinzione anche nelle sue parole, Ministro, quando alcuni mesi fa, avanzando l'ipotesi di armare con missili i nostri caccia, volle subordinare tale decisione alla condivisione del Parlamento.
Infatti, in questa condivisione riconosceva il fondamento e la forza dei nostri stessi soldati. Noi, non solo in occasioni tragiche come questa, dovremmo dedicare tempo all'approfondimento delle questioni che riguardano le nostre Forze armate come la definizione degli obiettivi e la coerenza con le risorse di uomini e mezzi. Dovremmo dibattere delle missioni militari internazionali, alle quali partecipiamo e, tra esse, l'Afghanistan meriterebbe certamente una sessione specifica, vista la complessità della missione, la difficoltà nel conseguire gli obiettivi e i rischi che corre il nostro contingente.
Quasi dall'inizio della legislatura chiediamo al Governo di aprire una sessione parlamentare per affrontare con serietà questi temi, definire e condividere con il Parlamento una direzione di marcia nella politica estera e di difesa. Il decreto di finanziamento che ci apprestiamo a votare in questi giorni, anche a causa del fatto che non viene valorizzato come potrebbe dal Governo, non è sufficiente a svolgere una discussione adeguata. Le Forze armate meriterebbero di essere oggetto dei nostri lavori per motivi assai più rilevanti di un infortunio in cui è incorso il Ministro della difesa perché oggi - non nascondiamocelo - siamo qui per questo, un incidente, il suo, che rende questa informativa quanto meno anomala, ma così è.
Certamente quanto da lei affermato, signor Ministro, nelle diverse versioni che si sono susseguite per dare spiegazione a quanto accaduto, non può essere trascurato. Non ci possiamo permettere un contrasto tra il livello militare e quello politico, la cui funzione noi condividiamo con lei anche se nell'esercizio dei nostri doveri di opposizione. Purtroppo ciò è quello che si è prodotto a seguito delle sue prime dichiarazioni. Lei prima si è affrettato a dare una versione ipersintetica dell'accaduto, successivamente ha detto di essersi arrabbiato con i militari, accusandoli di fronte al Paese e anche a chi ci segue al di fuori del nostro Paese, compresi quelli che attentano alla vita dei nostri militari.
Lo scambio di colpi di arma da fuoco le sarebbe stato comunicato infatti in un secondo momento. Lei ha scaricato pubblicamente sulle Forze armate una responsabilità che è propria del Governo. Persino se non le avessero detto del conflitto a fuoco - cosa che ha escluso immediatamente il capo di Stato maggiore della difesa, ma facendo per un attimo Pag. 70finta che non le avessero detto tutto subito - lei non avrebbe dovuto addossare le responsabilità sui militari. E che si sia prodotto quel contrasto, quel malfunzionamento tra il livello politico e militare di cui ho detto è testimoniato dalle parole del generale Camporini, il quale subito ha dichiarato che le Forze armate hanno sempre raccontato al Ministro la stessa versione dei fatti, la stessa successione degli eventi. Anche a lei è apparsa subito chiara la gravità delle sue dichiarazioni, è stata immediata la convocazione di una nuova conferenza stampa con l'obiettivo di ritrattare ed indorare la pillola. Così è emersa un'ulteriore versione, che è quella che lei ci ha riportato anche oggi.
Evidentemente, signor Ministro, non posso non rivolgere un passaggio nel mio intervento per contestare un'affermazione che lei ha fatto non per la prima volta purtroppo: mi riferisco alla spiegazione che ha fornito per giustificare il ritardo con il quale avrebbe ricevuto i particolari sulla morte del caporale maggiore Miotto. Lei ha detto che è colpa di un riflesso, di un vecchio metodo in uso nei passati Governi, aggiungendo che si riferiva al primo Governo Berlusconi e, ancor più, all'ultimo Governo Prodi: dire la verità senza allarmare - l'ha detto anche oggi - indorare la pillola e così via.
Mi lasci dire, signor Ministro, con qualche cognizione di causa, che il comportamento dei comandanti durante la nostra esperienza di Governo non ha mai lasciato dubbi sulla verità, affidabilità e puntualità delle informazioni che venivano rese all'autorità politica (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Le informazioni messe a disposizione dell'allora Ministro della difesa sono state sempre trasferite, così come sono state fornite al Parlamento, anche nella consapevolezza dei rischi che correvamo. Se avessimo voluto nascondere parzialmente i fatti o indorare la pillola non avremmo avuto - le assicuro - le difficoltà che invece abbiamo incontrato e che lei ha più volte ricordato. Per noi si trattò di una scelta di trasparenza finalizzata al coinvolgimento consapevole del Parlamento.
Signor Ministro, sarebbe stato opportuno - e concludo - evitare una reprimenda nei confronti dei comandanti. Lei lo sa bene ed ha opportunamente cercato di correre ai ripari. Noi - lo dico con preoccupazione - ci auguriamo che l'incidente di cui lei si è reso protagonista non sia l'incidente che capita a un Ministro troppo occupato in altre questioni, peraltro alquanto burrascose. Lei ha immaginato di chiudere lo strappo con i comandanti militari ridefinendolo come un caso isolato. Vorremmo poter dire anche noi lo stesso del grave incidente prodotto dal suo comportamento (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico e del deputato La Malfa).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Dal Lago. Ne ha facoltà.

MANUELA DAL LAGO. Signor Presidente, signor Ministro, ci troviamo ancora una volta in questo Parlamento a parlare della morte di un nostro giovane soldato avvenuta in Afghanistan. Già troppe volte è accaduto e mi auguro che questa sia l'ultima, ma credo che oggi dobbiamo e vogliamo essere qui non per parlare dell'aspetto tecnico o politico o della strategia generale di questa spedizione all'estero. Altro, secondo noi, dovrebbe essere il momento in cui dibattiamo di questo argomento. Piuttosto, ci troviamo qui per portare avanti un discorso sul carattere umano, sulla vicenda toccante che ha coinvolto questo giovane ragazzo di 24 anni, che a questa età ha visto bruscamente interrotta la sua esistenza, lasciando nella desolazione più profonda la sua famiglia.
È un ragazzo a cui mi sento particolarmente legata in quanto è un mio concittadino, ma non è questa la ragione principale, varrebbe anche per gli altri.
Quando il 4 novembre scorso fu celebrata la festa della vittoria a Thiene, la cittadina in provincia di Vicenza dove Matteo era nato, forse per dare maggior forza a quel giorno di celebrazione qualcuno prese l'iniziativa di leggere una lettera, l'ultima che la famiglia aveva ricevuto Pag. 71dall'Afghanistan. In ordine di tempo era l'ultima anche in assoluto. Pochi giorni dopo Matteo fu ucciso.
Quelle parole suscitarono nei cittadini thienesi grande impressione e anche grande commozione. Si disse addirittura allora che sembrava una sorta di testamento spirituale pronunciato da un uomo, molto giovane, eppure già in possesso di un'esperienza così forte e profonda che, combinata con un'evidente non comune sensibilità, produceva pensieri persino inquietanti.
Oggi, signor Ministro, quelle stesse parole, proprio alla luce di quanto è successo, suonano davvero come un messaggio premonitore, se non di addio. Certo di forte comunicazione di una situazione umana e di fatti concreti che accompagnava Matteo, e non solo lui probabilmente, in tutte le sue azioni al servizio del contingente italiano; così come non può non accompagnare tutti coloro che si trovano laggiù. Pericolo imminente, la vita in gioco, un pesantissimo compito da compiere. Eppure tutto questo non fa dimenticare i sentimenti, come non impedisce uno sguardo più che umano anche in un campo di battaglia.
Ecco cosa scriveva, tra le altre cose, l'alpino di Thiene (lei prima citava la sua lettera): «Siamo il primo mezzo della colonna, ogni metro potrebbe essere l'ultimo, ma non ci pensi. La testa è troppo impegnata a scorgere nel terreno qualcosa di anomalo, finalmente siamo alle porte del villaggio. Veniamo accolti dai bambini che da dieci diventano venti, trenta, siamo circondati, si portano una mano alla bocca, ormai sappiamo cosa vogliono: hanno fame».
Credo che sia anche opportuno, onorevoli colleghi, spendere qualche parola su come questo nostro ragazzo, seppur giovanissimo, abbia voluto diffondere il suo bagaglio di esperienze e conoscenze che stava acquisendo in Afghanistan, facendosi parte attiva in alcuni progetti dell'amministrazione del suo comune, da realizzarsi nelle scuole del territorio vicentino, per spiegare, ad esempio, in che cosa consistesse il suo lavoro e per trasmettere il senso di essere e di sentirsi alpino.
Lo voglio sottolineare perché ciò esprime molto bene, più di tante altre cose, il modo - mi si consenta - dei veneti di far comunità e di servire al tempo stesso lo Stato e il territorio. Servire nel senso più alto e nobile della parola, che può arrivare anche, come purtroppo è accaduto, al sacrificio della propria vita.
Quindi, l'opera di questo ragazzo, partito dalla provincia vicentina, rende onore alla sua memoria, alla sua famiglia e al Paese intero.
Infine, debbo dire che la morte di Matteo Miotto ancora una volta ha portato allo scoperto quell'aspetto così diffuso nel carattere dei veneti, quella discrezione - lei lo ha notato, Ministro - e quella dignità che vorremmo sempre rivedere imitata.
La famiglia ovviamente è schiantata dal dolore, ma non ha neppure tentato di nascondersi o di sottrarsi a tutto quanto accompagna di solito questi tragici avvenimenti. Nel far questo, di fronte a versioni che non parevano, per la verità, molto uniformi e chiarificatrici circa la modalità di questa morte, ha chiesto sottovoce almeno di capire che cosa è successo, solo questo.
Spero, signor Ministro, che questa giornata dedicata a Miotto serva a rispondere almeno a questa domanda in modo chiaro. Lo dobbiamo a Matteo, lo dobbiamo alla sua famiglia, lo dobbiamo alla sua città (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania, Popolo della Libertà e Futuro e Libertà per l'Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole De Poli. Ne ha facoltà.

ANTONIO DE POLI. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, a nome del gruppo dell'Unione di Centro, desidero innanzitutto esprimere ancora una volta la piena solidarietà, il nostro cordoglio e la vicinanza ai familiari del caporalmaggiore Matteo Miotto e ai militari italiani impegnati nella missione di pace. Pag. 72
Dal punto di vista politico, per il nostro gruppo non è cambiato nulla: sapevamo e sappiamo che la situazione afgana è una situazione pericolosa e proprio perché siamo stati e siamo consapevoli della durezza di questa missione abbiamo chiesto in più di una occasione al Governo di provvedere ad innalzare la qualità tecnica e il supporto necessario a garantire la sicurezza dei nostri soldati, dei nostri ragazzi.
Abbiamo anche sempre detto che noi siamo per proseguire l'impegno in Afghanistan. È un impegno contro il terrorismo, per la libertà di quel popolo e per la pace. Oggi come ieri, possiamo onorare la morte di questo giovane lasciando a casa la polemica politica, le furbesche dissociazioni e i ripensamenti. Siamo lì in quel Paese per aver contratto un impegno con la comunità internazionale in sede ONU e per impegni e responsabilità precise che ci derivano dalla nostra appartenenza alla NATO.
In questo impegno comune c'è una linea di continuità con quello che il Parlamento ha fatto in tutti questi anni. Sarebbe troppo facile cavalcare l'emozione, ma non puoi farlo se sei classe dirigente vera che si assume gli oneri anche delle scelte impopolari.
Sicuramente chi non ha scelto una strada facile è stato Matteo che pur sapendo, come scrisse nella sua lettera, che ogni metro poteva essere l'ultimo, ha seguito le orme di suo nonno, nonostante lo stesso lo avesse avvisato che la guerra era: «Brutta cosa bocia, beato ti' che non te la vedaré mai».
È un destino tragico che segue quello degli altri trentacinque soldati italiani morti in Afghanistan ma che si differenzia dagli altri per le modalità e le dinamiche con cui si è consumato il tragico evento. Sono state modalità che non hanno convinto innanzitutto i familiari, che con dignità esemplare hanno chiesto né le doppiezze né le mezze verità, ma semplicemente la verità. Spero che oggi lei, Ministro, nella sua informativa abbia definitivamente chiarito questa cosa.
Miotto era un soldato vero, era un ragazzo che parlava di servizio e di tradizione, che aveva ben chiari quali fossero i rischi di una missione. Era un ragazzo consapevole della scelta che aveva fatto prima come alpino, che non dimenticava mai di portare con sé acqua e viveri da distribuire ai bambini afgani ogni volta che usciva in pattuglia.
Stabilire se Matteo è stato ucciso da un cecchino quando era all'interno della base o durante uno scontro a fuoco con un numero imprecisato di insorti non deve rappresentare l'occasione su cui dividerci. Servirà sicuramente ai suoi familiari che giustamente reclamano la verità ma ai quali credo sia anche di conforto sapere quanto fosse amato e rispettato dai suoi commilitoni e quanto sarà rimpianto da quei bambini che ormai lo conoscevano molto bene. L'uso della forza è ormai un fatto su cui si è già discusso, e si discuterà ancora di regole di ingaggio da cambiare o sull'uso dei Tornado italiani. Se ne è già parlato in altre analoghe e tristi circostanze.
Oggi come ieri abbiamo dato la nostra ampia disponibilità, se questo può servire ad innalzare i livelli di sicurezza dei nostri ragazzi. Oggi mettiamo da parte le polemiche sterili e concentriamoci sul ricordo di un eroe, di un soldato che ha voluto essere sepolto tra i caduti di guerra del suo paese, Thiene, in provincia di Vicenza, di un ragazzo che, pur rischiando la vita ogni giorno in una terra lontana, aveva sviluppato per quella terra e per i suoi bambini un'attenzione e un interesse che partiva dal cuore, come solo gli alpini sanno dare e come solo gli eroi sanno offrire.
Come ricordato da monsignor Destro nella sua omelia, arrivato in Afghanistan Matteo aveva meravigliato tutti, citando Don Gnocchi e dicendo: ora dobbiamo stare in prima linea. Con il suo ottimismo aveva contagiato i suoi compagni in quella terra ferita.
Era il suo stile di vita, dal generoso cuore di alpino che aveva ereditato dal nonno, amante della propria terra, delle proprie origini, della propria cultura, della propria patria. Dobbiamo essere orgogliosi di lui, non solo per come è morto, ma per Pag. 73come è vissuto (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro, Partito Democratico e Futuro e Libertà per l'Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Paglia. Ne ha facoltà.

GIANFRANCO PAGLIA. Signor Presidente, signor Ministro, colleghi, ritengo che il colonnello Lunardi avesse ragione: un soldato non ama certamente morire, ma, se proprio deve scegliere, preferisce farlo in azione, non per un fucile. Su quanto avvenuto il 31 dicembre, signor Ministro, penso che lei sia stato abbastanza chiaro: finalmente si è fatta chiarezza su ciò che è successo quel giorno. Probabilmente, questo apre delle analisi e delle osservazioni su come sta cambiando la strategia dei nostri avversari, i talebani.
Il fatto che si continui, da parte nostra, ad aprire le cosiddette basi avanzate, per avere maggiore controllo, e che, dell'altra parte, gli attacchi continuino ed aumentino, come è successo in questi ultimi mesi, sicuramente dimostra che la loro strategia è cambiata, ma conferma anche che il nostro lavoro continua a produrre grossi frutti.
Infatti, è ovvio che, se continuiamo a dare fastidio, vuole dire che stiamo operando bene. Però non posso, signor Ministro, non soffermarmi sul fatto che, dal momento che gli attacchi dei talebani avvengono a seicento, ottocento, mille metri dalle nostre basi, diventa inevitabile l'utilizzo del fuoco e della copertura aerea, per eliminare le sorgenti di fuoco, e quindi la minaccia. La inviterei caldamente a riflettere nuovamente sull'utilizzo o meno delle armi da parte dei nostri aerei.
Per quanto riguarda la polemica sulle informazioni, sono contento che lei, signor Ministro, abbia smorzato gli animi, perché comunque le Forze armate italiane hanno impiegato tanto tempo per trasmettere all'opinione pubblica una certa idea di come fanno il loro lavoro, di trasparenza. Si tratta di quello che, comunque, anche la classe politica ha imparato a fare. So benissimo che le informazioni in un teatro possono arrivare in maniera frammentaria, soprattutto in queste circostanze, ma, forse, un pizzico di umiltà da parte di tutti, prima di criticare, sarebbe meglio.
Approfitto dell'occasione per ricordarle ciò che le ho detto a Ciampino il 2 gennaio: facciamo in modo che i familiari dei caduti possano essere avvertiti in maniera diversa; che non vi sia la telefonata fredda da parte di un comandante di un teatro, ma si cerchi il modo più giusto per avvisarli.
Una sola nota polemica: ancora una volta i banchi di quest'Aula sono sempre più vuoti. Mi chiedo quanto sangue dovranno versare ancora i nostri soldati per vedere questi banchi finalmente pieni nell'ascoltare perché e come muore un soldato italiano, anche perché ritengo che i nostri soldati, anche da morti, siano in grado di insegnarci qualcosa.
In bocca al lupo, signor Ministro. Ne avrà davvero bisogno (Applausi dei deputati dei gruppi Futuro e Libertà per l'Italia, Popolo della Libertà, Lega Nord Padania, Unione di Centro e del deputato La Malfa).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Di Stanislao. Ne ha facoltà.

AUGUSTO DI STANISLAO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'Italia dei Valori ritiene che questa sia un'occasione per rinnovare il cordoglio alla famiglia del giovane caporalmaggiore Matteo Miotto e la piena solidarietà alle Forze armate.
Ciò detto, però, vi è una costante ed eccessiva foga di apparire che caratterizza taluni personaggi di questo Governo, nello specifico mi riferisco al Ministro La Russa, che mette a repentaglio la credibilità delle istituzioni e che, invece di esercitare il potere come dovrebbe nelle sedi internazionali, si limita ad esibirlo nelle maniere più bizzarre, come scimmiottare malamente il vate, invece di preoccuparsi di dare certezza e sicurezza ai nostri soldati impegnati nelle missioni.
Da oggi in poi, onorevole La Russa, la invitiamo ad alzare l'asticella della sua consapevolezza e della sua responsabilità dal momento che parla in nome e per conto degli italiani a cui non deve mancare mai di rispetto né nelle azioni, né nella corretta e tempestiva informazione. Pag. 74
In questi casi è doverosa una riflessione, ma è altrettanto obbligatorio un cambiamento da parte sua. Una missione così pericolosa e complessa deve essere affrontata con il massimo rispetto. Vi sono in gioco le vite dei nostri soldati che meritano maggiore impegno e sostegno da parte di uno dei Paesi più coinvolti nel conflitto, vi è bisogno di un Ministro che chiarisca la nostra posizione all'interno di uno scenario sempre più complesso e che dia finalmente dignità e forza al nostro contributo nelle scelte che vengono prese nella coalizione.
Non posso non soffermarmi su ciò che sta accadendo davvero in Afghanistan, al di là delle rassicurazioni fornite. Il 2010 è stato l'anno più sanguinoso da quando i talebani sono stati cacciati con il contributo delle forze degli Stati Uniti e delle forze afgane, tant'è che abbiamo pagato un tributo in termini di militari pari a 711 uomini e donne.
Stiamo combattendo una guerra aperta su tutti i fronti. Lei si assuma le sue responsabilità invece di scaricarle sui comandi militari e si attivi per adottare una rinnovata strategia in un contesto che muta costantemente e che vede continue prese di posizione dei Paesi alleati, di fronte ad una totale immobilità dell'Italia.
Nella relazione inviata nei giorni scorsi alle Nazioni Unite da parte di De Mistura, responsabile della missione ONU di assistenza all'Afghanistan, viene riportato che i prossimi mesi saranno duri e vi sarà un peggioramento delle condizioni di sicurezza e si insiste dicendo che i talebani sono ancora là e programmano spettacolari attentati in tutto il Paese. Si prosegue affermando che il momento che si accinge a vivere l'Afghanistan è uno dei più difficili e, soprattutto, pericolosi in assoluto da quasi dieci anni a questa parte.
Il Ministro della difesa dovrebbe preoccuparsi di recuperare all'Italia un ruolo dirigente in ordine alla strategia che, da qui al 2014, deve essere messa in campo, soprattutto per evitare di continuare ad essere subalterni agli altri Paesi. Quelle popolazioni hanno bisogno di aiuti e di impegni concreti e non di atti scenografici per attirare l'attenzione sul Ministro della difesa, perché al centro del nostro impegno vi devono essere la sicurezza dei nostri militari in primis e il recupero di quei territori e delle loro popolazioni.
I talebani rivendicano attacchi e si fanno sempre più determinati, gli esperti parlano anche di ritorsioni, contrabbando, rapimenti e pagamenti di imprenditori occidentali; la mortalità infantile è arrivata a livelli impensabili e ultimamente si attaccano scuole, insegnanti, segno tangibile che ancora oggi un popolo istruito fa tanta paura. Tutto questo non ha niente a che vedere con gli interventi di cooperazione allo sviluppo e al sostegno dei processi di pace e stabilizzazione cui noi siamo stati chiamati, glielo ricordo ancora una volta, caro Ministro!
In conclusione, vi è qualcosa di più profondo che afferisce all'etica della responsabilità e al bisogno mai sazio di trasparenza all'interno di una necessaria informazione che sia oltremodo corretta, asciutta e legata a fatti e circostanze precise, senza avere l'affanno di dover o voler conquistare sempre e comunque, costi quel che costi, le prime pagine dei giornali.

PRESIDENTE. Onorevole Di Stanislao, la prego di concludere.

AUGUSTO DI STANISLAO. Ad un Ministro, in situazioni così delicate - vedi la vicenda Miotto per le ripercussioni umane e non solo che ne scaturiscono - si chiedono assoluto buon senso e pacatezza e non la ricerca spasmodica del colpo a sensazione.
Sulla scorta di questa penosa e negativa esperienza è bene che, d'ora in poi, lasci ad altri il ricorso grottesco agli effetti speciali. Cambiare versione non è come cambiarsi d'abito, lo scaricabarile e poi le scuse tardive deprimono complessivamente l'intero comparto delle Forze armate non solo i comandi e, soprattutto, vanno ad intaccare la percezione positiva che di loro ha la comunità nazionale.
In conclusione, censurare il comportamento del Ministro è il minimo che la nostra coscienza e la forza della nostra ragione possano e debbano fare, ma una Pag. 75sequela di atteggiamenti superficiali e guasconi, di cui si è reso protagonista non solo in questa circostanza, vanno inquadrati nell'alveo della necessaria censurabilità. Da un Ministro della difesa ci aspettiamo ben altro stile e ben altri contenuti...

PRESIDENTE. Onorevole Di Stanislao, la prego di concludere.

AUGUSTO DI STANISLAO. ...ma ci rendiamo conto plasticamente che né l'uno né l'altro fanno parte del repertorio dell'onorevole La Russa.
L'Italia dei Valori - e concludo - non ha bisogno di urlare il proprio disappunto. Esso è già stato abbondantemente valutato e giudicato, tanto dalle Forze armate quanto dagli italiani. Mi auguro e ci auguriamo che sappia trarne le dovute e necessarie conclusioni, dopo questa emblematica lezione sotto il profilo etico, politico, istituzionale, ma soprattutto umano e personale. Al netto delle polemiche da lei create ed alimentate, resta il fatto nudo, crudo ed essenziale: c'è ancora un'altra vittima, che aumenta il tributo italiano alla causa afgana, ma a cui, nonostante i lutti, questo Governo, e lei in primis, non riesce a fornire risposte serie e credibili.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

AUGUSTO DI STANISLAO. Caro Ministro - e concludo veramente - di dannunziana memoria, lei oggi deve chiedere solennemente scusa alla memoria di Miotto, alla sua famiglia, alle Forze armate ed alla comunità nazionale attraverso il Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

IGNAZIO LA RUSSA, Ministro della difesa. Ho parlato con il padre che mi è molto riconoscente, a differenza del suo partito!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Sardelli. Ne ha facoltà.

LUCIANO MARIO SARDELLI. Signor Presidente, noi di Noi Sud-PID vogliamo innanzitutto esprimere la solidarietà alla famiglia del militare deceduto in Afghanistan. Vogliamo esprimere la nostra vicinanza alle Forze armate e a tutti quanti - anche organizzazioni non governative - svolgono una meritoria opera di presenza e di sostegno alle popolazioni mediorientali in questi territori di conflitto. E tuttavia, nello stigmatizzare l'assurda posizione dell'Italia dei Valori, che non perde occasione, anche in questi casi, di speculare in maniera volgare e dolorosa su fatti e su lutti che riguardano il Paese, non possiamo non osservare che siamo uno dei Paesi più fortemente impegnati in quest'opera di interposizione e di pace e che paghiamo un prezzo elevatissimo in vite umane, rispetto ad una Unione europea che è lontana e distante dai problemi mediorientali. Oggi abbiamo parlato delle difficoltà che i cristiani attraversano nel mondo e della strage dei cristiani copti in Egitto.
Ricordiamo allora che ci vuole un'iniziativa straordinaria e forte affinché si ponga fine o rimedio ad un conflitto territoriale - quale ero quello arabo-israeliano nella Palestina - che sta diventando un conflitto e uno scontro tra popoli e fra religioni.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Sardelli.

LUCIANO MARIO SARDELLI. Su questo ci pare che ci sia un'iniziativa inadeguata dell'Unione europea, una iniziativa che il nostro Governo deve complessivamente sollecitare. La questione palestinese diventa infatti una questione mediterranea ed europea e non possiamo delegare agli Stati Uniti la soluzione di questo problema, bensì dobbiamo cominciare a farcene carico.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

LUCIANO MARIO SARDELLI. Con queste considerazioni, noi di Noi Sud-PID invitiamo il Governo a lavorare affinché ci Pag. 76sia un'assunzione di responsabilità diversa da parte di tutta l'Unione europea su questo conflitto e su queste problematiche, che si vanno sempre più ingigantendo (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Noi Sud Libertà e Autonomia, I Popolari di Italia Domani).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole La Malfa. Ne ha facoltà.

GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, io mi associo alle parole che il Ministro ha pronunciato di solidarietà all'Esercito, al Corpo degli alpini e alla famiglia Miotto. Ho anche trovato molto toccanti le parole che egli ha letto, scritte dal colonnello medico Lunati, se ho compreso bene il nome, che rappresentano bene i sentimenti del Parlamento e della nazione.
Le debbo dire, però, signor Ministro, con molta franchezza che speravo che nella parte centrale del suo intervento lei correggesse in modo soddisfacente e definitivo le parole che con leggerezza - mi consenta l'espressione - lei aveva usato il giorno 5 e 6 durante la visita in Afghanistan, parlando di «reticenza dei militari», di «mezze verità» e così via. Sfortunatamente ora lei è tornato a ripetere le stesse cose. Mi scuso per averla interrotta, quando lei ha pronunciato espressioni del tipo «prendo per buono le loro dichiarazioni» o «prendo come attenuanti»...

IGNAZIO LA RUSSA, Ministro della difesa. Ho letto quello che ho detto allora.

GIORGIO LA MALFA. Allora, avrebbe dovuto dire «mi sono sbagliato completamente in quello che ho detto e chiedo scusa ai militari». Infatti, specialmente da un uomo che proviene da una forza politica quale quella da cui lei proviene, il rispetto delle Forze armate è la copertura che il Ministro delle Forze armate deve offrire ai militari.
Lei non aveva alternativa, signor Ministro, se non di chiedere la testa del generale Camporini o di dimettersi, se lei non era convinto che le avessero detto la verità (ma non voleva creare questo); ma questo mezzo modo di procedere - con espressioni come «prendo per buono», «prima si faceva così, d'ora in poi si farà così» - non rende onore a lei, al suo Governo, e soprattutto non difende le Forze armate, che sono degli elementi di prestigio che il nostro Paese ha nel mondo, e che quindi hanno il diritto alla tutela assoluta da parte del Governo. Se il Governo non è in grado di darla se ne deve andare, deve avere il coraggio di andarsene (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È così esaurita l'informativa urgente del Governo.

In morte dell'onorevole Giovanni Forner.

PRESIDENTE. Comunico, con dolore, che è deceduto l'onorevole Giovanni Forner, già membro della Camera dei deputati nella IX legislatura. La Presidenza della Camera ha già fatto pervenire ai familiari le espressioni della più sentita partecipazione al loro dolore, che desidera ora rinnovare anche a nome dell'Assemblea.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Giovedì 13 gennaio 2011, alle 9,30:

Svolgimento di interpellanze urgenti.

La seduta termina alle 17,15.

VOTAZIONI QUALIFICATE
EFFETTUATE MEDIANTE PROCEDIMENTO ELETTRONICO

INDICE ELENCO N. 1 DI 1 (VOTAZIONI DAL N. 1 AL N. 3)
Votazione O G G E T T O Risultato Esito
Num Tipo Pres Vot Ast Magg Fav Contr Miss
1 Nom. Ris. Mazzocchi e a 6-52 rif. 513 504 9 253 504 41 Appr.
2 Nom. Ris. Maurizio Turco e a 6-53 I p. 513 269 244 135 13 256 41 Resp.
3 Nom. Ris. Maurizio Turco e a 6-53 II p. 514 270 244 136 14 256 41 Resp.

F = Voto favorevole (in votazione palese). - C = Voto contrario (in votazione palese). - V = Partecipazione al voto (in votazione segreta). - A = Astensione. - M= Deputato in missione. - T = Presidente di turno. - P = Partecipazione a votazione in cui è mancato il numero legale. - X = Non in carica.
Le votazioni annullate sono riportate senza alcun simbolo. Ogni singolo elenco contiene fino a 13 votazioni. Agli elenchi è premesso un indice che riporta il numero, il tipo, l'oggetto, il risultato e l'esito di ogni singola votazione.