XVI LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di mercoledì 19 gennaio 2011

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 19 gennaio 2011.

Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Berlusconi, Bindi, Bocchino, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brugger, Brunetta, Caparini, Carfagna, Casero, Casini, Cicchitto, Cirielli, Colucci, Cossiga, Craxi, Crimi, Crosetto, D'Alema, Dal Lago, Donadi, Fitto, Gregorio Fontana, Franceschini, Frassinetti, Frattini, Galati, Gelmini, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, La Russa, Leone, Lo Monte, Lupi, Mantovano, Maroni, Martini, Melchiorre, Meloni, Messina, Miccichè, Migliavacca, Mura, Nucara, Leoluca Orlando, Prestigiacomo, Ravetto, Reguzzoni, Roccella, Romani, Rotondi, Saglia, Sardelli, Stefani, Tabacci, Tremonti, Vito, Zeller.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta).

Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Berlusconi, Bindi, Bocchino, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brugger, Brunetta, Buttiglione, Caparini, Carfagna, Casero, Casini, Castagnetti, Cicchitto, Cirielli, Colucci, Cossiga, Craxi, Crimi, Crosetto, D'Alema, Dal Lago, Donadi, Fitto, Gregorio Fontana, Franceschini, Frassinetti, Frattini, Gelmini, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, Jannone, La Russa, Leone, Lo Monte, Lombardo, Lupi, Mantovano, Maroni, Martini, Melchiorre, Meloni, Messina, Miccichè, Migliavacca, Mura, Nucara, Leoluca Orlando, Prestigiacomo, Ravetto, Reguzzoni, Roccella, Romani, Rotondi, Saglia, Sardelli, Stefani, Tabacci, Tremonti, Vito, Zeller.

Annunzio di proposte di legge.

In data 18 gennaio 2011 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
REGUZZONI ed altri: «Modifiche al testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, concernenti l'elezione del presidente della provincia e la composizione del consiglio provinciale, e altre disposizioni in materia di riorganizzazione delle funzioni degli organi di governo delle province e di trasferimento delle competenze delle prefetture-uffici territoriali del Governo» (4008);
NACCARATO e ANDREA ORLANDO: «Modifiche all'articolo 6 della legge 13 dicembre 1989, n. 401, in materia di divieto di accesso ai luoghi dove si svolgono manifestazioni sportive» (4009);
SCHIRRU ed altri: «Modifica all'articolo 1, comma 41, della legge 8 agosto 1995, n. 335, concernente la misura del trattamento pensionistico di reversibilità in favore del coniuge superstite» (4010);
GNECCHI ed altri: «Modifiche alla legge 8 agosto 1995, n. 335, e altre disposizioni concernenti la misura dei trattamenti pensionistici di reversibilità in favore dei superstiti» (4011);
DEL TENNO: «Istituzione del contributo di soggiorno in favore dei comuni» (4012).

Saranno stampate e distribuite.

Adesione di deputati a proposte di legge.

La proposta di legge CONCIA ed altri: «Introduzione del titolo VII-bis del libro primo del codice civile, in materia di assunzione della responsabilità genitoriale» (1206) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Giachetti.
La proposta di legge FUCCI ed altri: «Istituzione della "Settimana nazionale dell'esame diagnostico mammografico"» (3560) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Taddei.
La proposta di legge LUPI ed altri: «Modifica dei titoli I e I-bis della legge 4 maggio 1983, n. 184, nonché modifiche agli articoli 336 e 433 e introduzione dell'articolo 336-bis del codice civile, in materia di affidamento dei minori» (3657) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Savino.

Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.

A norma del comma 1 dell'articolo 72 del regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:

VI Commissione (Finanze):
QUARTIANI e FIANO: «Modifica all'articolo 35 del testo unico di cui al decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, in materia di accertamento dell'accisa sulla produzione dei piccoli birrifici» (3974) Parere delle Commissioni I, V e XIII.

X Commissione (Attività produttive):
MONTAGNOLI ed altri: «Disciplina della professione di estetista professionale e dell'attività di onicotecnico» (3951) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento), V, VII, XI, XII, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Trasmissione dalla Corte dei conti.

La Corte dei conti - sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato - con lettera in data 17 gennaio 2011, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 3, comma 6, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, la deliberazione n. 31 del 2010, emessa dalla sezione stessa nell'adunanza del 14 dicembre 2010, e la relativa relazione concernente l'utilizzazione delle risorse destinate alla componente aerea delle Forze armate relative alla costruzione, acquisizione, ammodernamento, rinnovamento, trasformazione dei mezzi, impianti, sistemi, apparecchiature, equipaggiamenti allocate al capitolo 7120, articolo 2, del Ministero della difesa.

Questa documentazione è trasmessa alla IV Commissione (Difesa) e alla V Commissione (Bilancio).

Trasmissione dal ministro dell'economia e delle finanze.

Il ministro dell'economia e delle finanze, con lettera in data 17 gennaio 2011, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 13, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, e successive modificazioni, la relazione sulle operazioni di cessione e cartolarizzazione dei crediti contributivi dell'INPS, aggiornata al 15 aprile 2010 (doc. CXIV, n. 3).

Questo documento - che sarà stampato - è trasmesso alla V Commissione (Bilancio) e alla XI Commissione (Lavoro).

Trasmissioni dal ministro degli affari esteri.

Il ministro degli affari esteri, con lettera in data 17 gennaio 2011, ha comunicato, ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge 6 febbraio 1992, n. 180, concernente la partecipazione dell'Italia alle iniziative di pace e umanitarie in sede internazionale, che intende devolvere un contributo all'istituto Global Policy Forum per l'organizzazione di un seminario/dibattito sulla prospettiva strategica di un seggio dell'Unione europea in Consiglio di sicurezza.
Tale comunicazione è trasmessa alla III Commissione (Affari esteri).

Il ministro degli affari esteri, con lettera in data 18 gennaio 2011, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 2, comma 1, lettera d), della legge 6 novembre 1989, n. 368, e successive modificazioni, la relazione recante le valutazioni del Consiglio generale degli italiani all'estero (CGIE) riferita all'anno 2009 con proiezione triennale per il periodo dal 2010 al 2012 (doc. CXLIX, n. 2).

Questo documento - che sarà stampato - è trasmesso alla III Commissione (Affari esteri).

Il ministro degli affari esteri, con lettera in data 18 gennaio 2011, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 3, comma 1, lettera g), della legge 22 dicembre 1990, n. 401, la relazione sull'attività svolta nel 2009 per la riforma degli Istituti italiani di cultura e sugli interventi per la promozione della cultura e della lingua italiane all'estero, corredata dal rapporto della Commissione nazionale per la promozione della cultura italiana riferito alla medesima annualità (doc. LXXX, n. 3).

Questo documento - che sarà stampato - è trasmesso alla III Commissione (Affari esteri) e alla VII Commissione (Cultura).

Trasmissione dal ministro della salute.

Il ministro della salute, con lettera in data 18 gennaio 2011, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7, comma 1-ter, del decreto-legge 20 settembre 1995, n. 390, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 1995, n. 490, il rendiconto generale consolidato della Croce rossa italiana relativo all'anno 2005, cui sono allegati il rendiconto generale del Comitato centrale della medesima associazione e la relazione sulle attività svolte riferiti alla medesima annualità.

Questa documentazione sarà trasmessa alla XII Commissione (Affari sociali).

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

La Commissione europea, in data 18 gennaio 2011, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, la relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle regioni sui risultati raggiunti e sugli aspetti qualitativi e quantitativi dell'attuazione del Fondo europeo per i rifugiati per il periodo 2005-2007 (relazione presentata ai sensi dell'articolo 54, paragrafo 5, della decisione n. 573/2007/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 maggio 2007) (COM(2011)2 definitivo), che è assegnata, ai sensi dell'articolo 127 del regolamento, alla I Commissione (Affari costituzionali), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

Annunzio di sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo.

La Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettere in data 18 gennaio 2010, ha dato comunicazione, ai sensi della legge 9 gennaio 2006, n. 12, delle seguenti sentenze pronunciate dalla Corte europea dei diritti dell'uomo nei confronti dello Stato italiano, passate in giudicato nei mesi di ottobre e dicembre 2010, che sono inviate alle sottoindicate Commissioni competenti per materia nonché alla III Commissione (Affari esteri):
sentenza 27 luglio 2010: Pala Mobili snc e altri 26334/03, 26338/03, 26341/03, 26343/03 e 26344/03, in materia di ragionevole durata del processo. Constata la violazione dell'articolo 6, paragrafo 1, CEDU, relativo al diritto ad un equo processo sotto il profilo della ragionevole durata (doc. CLXXIV, n. 237) - alla II Commissione (Giustizia);
sentenza 21 settembre 2010: Conceria Madera srl (n. 2) n. 3978/03, in materia di ragionevole durata del processo. Constata la violazione dell'articolo 6 CEDU, relativo al diritto ad un equo processo sotto il profilo della ragionevole durata (doc. CLXXIV, n. 238) - alla II Commissione (Giustizia);
sentenza 29 settembre 2010: Reina e altri n. 26311/03, 26312/03, 26320/03, 26323/03 e 40766/04, in materia di ragionevole durata del processo. Constata la violazione dell'articolo 6, paragrafo 1, CEDU, relativo al diritto ad un equo processo sotto il profilo della ragionevole durata (doc. CLXXIV, n. 239) - alla II Commissione (Giustizia).

Atti di controllo e di indirizzo.

Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell'Allegato B al resoconto della seduta odierna.

COMUNICAZIONI DEL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA SULL'AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA, AI SENSI DELL'ARTICOLO 86 DEL REGIO DECRETO 30 GENNAIO 1941, N. 12, COME MODIFICATO DALL'ARTICOLO 2, COMMA 29, DELLA LEGGE 25 LUGLIO 2005, N. 150.

Risoluzioni

La Camera,
udite le comunicazioni del ministro Guardasigilli sull'amministrazione della giustizia, ai sensi dell'articolo 86 del regio decreto 30 gennaio 1941. n. 12, come modificato dall'articolo 2, comma 29, della legge 25 luglio 2005, n. 150;
rilevato con soddisfazione che, dopo diversi anni di inesorabile aumento dell'arretrato civile, il numero dei processi civili pendenti è diminuito di circa il 4 per cento al giugno 2010, rispetto al periodo di riferimento dell'anno precedente;
ritenuto che non possa essere disconosciuto come tale risultato sia dovuto all'introduzione delle modifiche normative proposte dal Governo e al lavoro del Parlamento che le ha approvate con il contributo del proprio operato;
rilevato come, per contro, la pendenza dei procedimenti penali non abbia registrato sensibili miglioramenti passando dai 3.335.039 del giugno 2009 ai 3.290.950 del giugno 2010, dato che, pur migliore rispetto al precedente, conferma l'esigenza di alcuni interventi di riforma del processo penale; rilevato, comunque, che risultano in significativo aumento i procedimenti penali iscritti presso le procure della Repubblica contro indagati noti per reati di competenza della Direzione Distrettuale Antimafia a dimostrazione dell'azione di contrasto encomiabilmente svolta dai magistrati e dalle Forze dell'ordine impegnati nell'azione di contrasto alla criminalità organizzata e della bontà delle scelte di politica legislativa adottate nel corso della legislatura, su iniziativa del Governo e con il consenso del Parlamento, idonee a fornire strumenti sempre più efficaci come quelli indicati nella relazione dal ministro della giustizia;
ricordato con soddisfazione che i posti di magistrati messi a concorso in soli due anni sono stati ben 713, cui si aggiungono i 253 magistrati già assunti nel 2010, a dimostrazione della volontà del Governo, di dare risposta alle sollecitazioni, sostenute anche in sede parlamentare, dei magistrati di procedere ad un rafforzamento degli organici di fatto;
rammentata altresì l'evoluzione del progetto «best practices», finanziato dal fondo sociale europeo, e utilizzato per impartire una formazione appropriata a ben 200 dirigenti coinvolgendo così quasi un centinaio di uffici giudiziari in un cambiamento degli indirizzi organizzativi improntato ad una maggiore efficienza ed efficacia;
considerato lo sforzo compiuto, in materia di informatizzazione e digitalizzazione del sistema giudiziario, sia per quanto concerne la gestione organizzativa dei compiti facenti capo al dicastero sia, soprattutto, per quel che concerne la documentazione degli atti processuali penali, con l'istituzione di un apposito portale, il servizio di multivideo conferenza con l'innovativo sistema «telepresence»;
considerati, in particolare, anche i progressi riferibili al processo civile telematico ricordati dal ministro Alfano, ai sistemi web di gestione dei registri informatici per la cognizione ordinaria (attivati in 18 distretti di Corte di appello e in 127 tribunali contro un distretto e 10 tribunali del 2008), alla gestione dei registri informatici per le esecuzioni (attivi su tutto il territorio nazionale) e di consultazione via internet di dati e documenti processuali, nonché i progressi in materia di comunicazioni telematiche (passate da oltre 100.000 del 2009 a quasi 500.000 euro nello scorso anno) e gli interventi normativi per consentire lo svolgimento, sempre in via telematica, delle aste giudiziarie;
considerate altresì le innovazioni nel settore penale per il calendario delle procure (Calendar), per il sistema informatico del dibattimento penale (SIDIP) e, in particolare, per le applicazioni informatiche di gestione dei flussi informativi volti all'obiettivo di creare il fascicolo elettronico attraverso le sue diverse articolazioni nonché per quanto concerne le regole tecniche per il processo telematico civile e penale, per le quali viene assicurata l'ormai prossima emanazione con la conseguente possibilità di utilizzo della posta elettronica certificata standard (PEC);
preso atto della proficua attività internazionale dispiegata dal dicastero;
ricordata la positiva sottoscrizione del contratto collettivo nazionale integrativo del Ministero della giustizia con l'introduzione del nuovo ordinamento professionale del personale non dirigenziale;
condivisa la preoccupazione per i dati relativi alla giustizia minorile con la propensione all'assimilazione da parte dei minori di comportamenti devianti particolarmente gravi e apprezzati gli interventi diretti a migliorare gli standard di alcune strutture minorili;
preso atto, inoltre, dell'imminente entrata in vigore della legge interna di mediazione, dell'annunciata predisposizione dello schema di decreto sulla semplificazione dei riti civili e del consenso espresso dal Governo in ordine alla proposta in materia di crisi da sovraindebitamento (AC. 2364);
ribadito il consenso del Parlamento alle iniziative legislative dirette a combattere tutte le mafie e i patrimoni illeciti, derivanti dalla loro attività assunte nel corso della legislatura e di prossima emanazione sulla base della delega fornita al Governo nell'ambito del piano straordinario contro le mafie;
sottolineata con forza l'esigenza di accelerare l'attivazione del «piano carceri» come risposta concreta e necessaria a ridurre il sovraffollamento degli istituti ed a dare effettività alla pena;
ribadita l'esigenza di verificare la disponibilità delle forze politiche presenti in Parlamento per la predisposizione di riforme che garantiscano la piena realizzazione del principio del giusto processo, che riducano la soglia di conflittualità tra la politica e la magistratura, che assicurino la terzietà del giudice nei giudizi disciplinari relativi ai magistrati, che semplifichino il rito processuale anche in campo penale nel rispetto dei diritti delle parti, che rivedano in maniera equilibrata, i criteri della responsabilità civile dei magistrati e per la conclusione dell'iter delle iniziative legislative avviate in tema di bilanciamento tra l'esigenza delle indagini e la tutela dei diritti della persona costituzionalmente garantiti;
ritenuto che, per le predette ragioni le comunicazioni del ministro debbano condividersi in quanto attestano in modo puntuale gli interventi in materia di funzionamento del servizio giustizia e del sistema penitenziario del nostro Paese le approva.
(6-00055) «Costa, Nicola Molteni, Belcastro».

La Camera,
udite le comunicazioni del ministro della giustizia sull'amministrazione della giustizia, ai sensi dell'articolo 86 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, come modificato dall'articolo 2, comma 29, della legge 25 luglio 2005, n. 150;

premesso che:
nella seduta del 28 gennaio 2009 la Camera dei deputati, previo parere favorevole del Governo, ha approvato una risoluzione presentata dai deputati radicali eletti nelle liste del Partito Democratico, nella quale si chiede che si dia finalmente corso ad una riforma organica della giustizia di carattere democratico e liberale, fondata su alcuni capisaldi, tra i quali: l'abolizione della obbligatorietà dell'azione penale, in modo da non assoggettate più la stessa all'arbitrio delle procure della Repubblica; una modifica ordinamentale basata sul princìpio della effettiva separazione delle carriere tra magistrati inquirenti e giudicanti; la responsabilizzazione del pubblico ministero per l'osservanza delle priorità fissate; la riforma del Consiglio superiore della magistratura che riconduca tale consesso all'originario ruolo attribuitogli dai costituenti, sottraendolo ai giochi di corrente e all'influenza del sindacato della magistratura; la reintroduzione di severi vagli della professionalità dei magistrati nel corso dei 40-45 anni della loro permanenza in carriera; la modifica della legge sulla responsabilità civile dei magistrati, con modalità tali da garantire ai cittadini ingiustamente danneggiati da provvedimenti del giudice o del pubblico ministero, di ottenere il risarcimento integrale dei danni direttamente dal magistrato, pur con la previsione di meccanismi volti ad eliminare il pericolo di azioni intimidatorie e strumentali; la revisione delle modalità di collocamento fuori ruolo dei magistrati e di attribuzione degli incarichi extragiudiziari, salvaguardando le contrapposte esigenze di non disperdere forza lavoro né, per contro, preziose professionalità; l'incompatibilità tra la permanenza nell'ordine giudiziario e l'assunzione di incarichi, elettivi e non, in rappresentanza di formazioni politiche; la promozione di una seria modernizzazione tecnologica degli uffici giudiziari; l'adeguamento numerico e la promozione di qualificazioni professionali degli organici del personale anche amministrativo; la notifica della natura dei termini processuali, con la previsione generalizzata di termini perentori e di sanzioni disciplinari per la loro inosservanza da parte dei magistrati; la radicale semplificazione delle modalità di notifica degli atti giudiziari; la definizione di tempi standard dei procedimenti civili e penali; la modifica delle procedure di nomina dei capi degli uffici e un potenziamento del ruolo gestionale del dirigente amministrativo dell'ufficio; una forte depenalizzazione ed una razionalizzazione delle fattispecie criminose;
nel corso della presente legislatura, i deputati radicali eletti nelle liste del PD hanno elaborato anche diverse proposte volte a tradurre in altrettanti articolati di legge i punti più rilevanti e salienti della predetta risoluzione;
di fronte a tali richieste, la maggioranza parlamentare ed il Governo, tramite esponenti di primo piano, si sono ripetutamente e pubblicamente espressi in favore delle aspettative per una riforma organica e liberale della giustizia, in particolare per quel che si riferisce agli assetti istituzionali della magistratura, sia mediante l'approvazione della risoluzione prima ricordata, sia, successivamente, nel corso di innumerevoli dichiarazioni ufficiali e interventi pubblici;
tuttavia gli impegni assunti dal Governo con il Parlamento, la pubblica opinione ed i cittadini italiani, sono stati mano a mano «differiti nel tempo», più o meno esplicitamente, fino al punto, oggi, da essere apparentemente accantonati nei fatti;
analogo atteggiamento ancorato alla conservazione dell'esistente e privo di stimoli riformatori si rinviene anche negli orientamenti di larghi settori dell'opposizione parlamentare, in parte ancora prigioniera della cultura del «partito dei giudici» ed appiattita sulle posizioni conservatrici dell'Associazione nazionale magistrati;
a catalizzare la politica giudiziaria in questi primi tre anni di legislatura non sono stati gli interventi di riforma organica e strutturale del nostro sistema giudiziario, bensì le ossessioni sulla sicurezza, il che ha portato all'emanazione del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, «Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica», convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125; del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11, «Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori», convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38; della legge 15 luglio 2009, n. 94, rubricata «Disposizioni in materia di sicurezza pubblica»; e, infine, del decreto-legge 12 novembre 2010, n. 187, «Misure urgenti in materia di sicurezza», convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2010, m. 217;
le novelle legislative introdotte con i provvedimenti sopra richiamati sono tutte segnate in profondità dalla ideologia dell'efficientismo punitivo perseguito attraverso la riduzione delle garanzie, la compressione degli spazi di difesa; l'indebolimento del controllo giurisdizionale e la mortificazione del contraddittorio. In tale contesto, l'introduzione di nuove aggravanti e di nuove fattispecie di reato; la dilatazione, anche attraverso clausole di obbligatorietà, degli spazi operativi del giudizio direttissimo e del giudizio immediato; il «procedimento speciale» di pace per il reato di «ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato»; l'estensione delle ipotesi di carcerazione preventiva obbligatoria; la costruzione di un vero e proprio diritto penale della prevenzione; la proroga fino al 30 giugno 2013 dell'efficacia dell'istituto della cosiddetta «flagranza differita»; sono tutte misure che dipingono ad avviso dei sottoscrittori della presente risoluzione un quadro a tinte fosche nel quale i canoni essenziali del giusto processo di cui all'articolo 111 della Costituzione, già pesantemente compromessi da un ventennio di erosioni inquisitorie, sembrano ormai divenuti una variabile secondaria mettendo con ciò in pericolo le garanzie individuali di derivazione liberal-democratica;
nella seduta del 12 gennaio 2010 la camera dei deputati, previo parere favorevole espresso dal Governo, ha approvato in parte la mozione n. 1-00288 presentata dai deputati radicali eletti nelle liste del Partito democratico e sottoscritta da quasi cento parlamentari aderenti a pressoché tutti i gruppi politici, con la quale l'attuale esecutivo si è impegnato ad assumere iniziative, anche di carattere normativo, volte ad attuare, con il più ampio confronto con le forze politiche presenti in Parlamento, una riforma davvero radicale in materia di custodia cautelare preventiva, di tutela dei diritti dei detenuti, di esecuzione pena e, più in generale, di trattamenti sanzionatori e rieducativi, che preveda la riduzione dei tempi di custodia cautelare, perlomeno per i reati meno gravi, nonché del potere della magistratura nell'applicazione delle misure cautelari personali a casi tassativamente previsti dal legislatore, previa modifica dell'articolo 280 del codice di procedura penale; l'introduzione di meccanismi in grado di garantire una reale ed efficace protezione del principio di umanizzazione della pena e del suo fine rieducativo, assicurando al detenuto un'adeguata tutela giurisdizionale nei confronti degli atti dell'amministrazione penitenziaria lesivi dei suoi diritti; il rafforzamento sia degli strumenti alternativi al carcere previsti dalla cosiddetta legge «Gozzini», da applicare direttamente anche nella fase di cognizione, sia delle sanzioni penali alternative alla detenzione intramuraria, a partire dalla estensione dell'istituto della messa alla prova, previsto dall'ordinamento minorile, anche nel procedimento penale ordinario; l'applicazione della detenzione domiciliare, quale strumento centrale nell'esecuzione penale relativa a condanne di minore gravità, anche attraverso l'attivazione di serie ed efficaci misure di controllo a distanza dei detenuti; l'istituzione di centri di accoglienza per le pene alternative degli extra-comunitari, quale strumento per favorirne l'integrazione ed il reinserimento sociale e quindi ridurre il rischio di recidiva; la creazione di istituti «a custodia attenuata» per tossicodipendenti, realizzabili in tempi relativamente brevi anche ricorrendo a forme di convenzioni e intese con il settore privato e del volontariato che già si occupa dei soggetti in trattamento; la piena attuazione del principio della territorialità della pena previsto dall'ordinamento penitenziario, in modo da poter esercitare al meglio tutte quelle attività di sostegno e trattamento del detenuto che richiedono relazioni stabili e assidue tra quest'ultimo, i propri familiari e i servizi territoriali della regione di residenza; l'adeguamento degli organici del personale penitenziario ed amministrativo, nonché dei medici, degli infermieri, degli assistenti sociali, degli educatori e degli psicologi, non solo per ciò che concerne la loro consistenza numerica, ma anche per ciò che riguarda la promozione di qualificazioni professionali atte a facilitare il reinserimento sociale dei detenuti; il miglioramento del servizio sanitario penitenziario, dando seguito alla riforma della medicina penitenziaria già avviata con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1o aprile 2008, in modo che la stessa possa trovare, finalmente, effettiva e concreta applicazione; l'applicazione concreta della legge 22 giugno 2000 n. 193 (cosiddetta legge «Smuraglia»); l'esclusione dal circuito carcerario delle donne con i loro bambini; una forte spinta all'attività di valutazione e finanziamento dei progetti di reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti, nonché di aiuti alle loro famiglie, prevista dalla legge istitutiva della Cassa delle ammende;
sul fronte della politica penitenziaria, nonostante gli impegni assunti, ancora non sono state varate quelle urgenti misure necessarie ad affrontare il protrarsi della grave emergenza dovuta al sovraffollamento degli istituti di pena ed in grado di assicurare il rispetto della Costituzione e dell'ordinamento penitenziario all'interno delle carceri;
il «fantomatico» Piano carceri risalente al maggio 2009 si è trasformato in un «Piano fantasma» che ha prodotto, al momento, qualche padiglione rimesso in sesto all'interno di qualche istituto; si è arrivati così all'assurdità per la quale, mentre si dà il via alla costruzione di nuove carceri - peraltro in deroga alle principali norme edilizie - gli istituti nuovi già ultimati da tempo, non possono essere aperti per la carenza di personale di ogni tipo;
inoltre, la legge 1o dicembre 2010 n. 281, relativa alla esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno, sta dimostrando tutta la sua inutilità rispetto allo scopo per cui era stata pensata: deflazionare in modo significativo la popolazione ristretta in condizioni disumane nelle carceri. La maggioranza di Governo, che pure aveva varato all'unanimità in Consiglio dei ministri un disegno di legge che avrebbe rappresentato una inversione di tendenza rispetto alle politiche repressive adottate in questi anni sul fronte delle modalità di espiazione della pena, ad avviso dei sottoscrittori del presente atto non ha né saputo né voluto difenderlo in Parlamento, lasciandolo - senza intervenire minimamente - letteralmente «saccheggiare» da una serie di emendamenti che lo hanno privato di ogni efficacia normativa;
secondo i dati ufficiali in Italia, l'arretrato pendente (compreso quello contro «ignoti») sfiora la cifra iperbolica di 5 milioni e mezzo di procedimenti penali (quasi sei milioni quelli civili), che sarebbero molti di più se solo negli ultimi dieci anni non si fossero contate ben 2 milioni di prescrizioni (nel nostro Paese secondo i dati ufficiali forniti dal Ministero della giustizia si contano circa 200 mila procedimenti penali prescritti ogni anno), sicché solo con un provvedimento di amnistia capace di eliminare più della metà di questo vero e proprio debito giudiziario che lo Stato ha nei confronti dei cittadini si riuscirebbe a dare finalmente avvio a quelle riforme strutturali e organiche di cui il nostro sistema-giustizia ha un disperato bisogno,

impegna il Governo

a dare concreta ed immediata attuazione alla risoluzione n. 6-00012 approvata dalla Camera dei deputati il 28 gennaio 2009; nonché alla mozione n. 1-00288 nelle parti approvate dalla Camera dei deputati in data 12 gennaio 2010;
a valutare l'opportunità di aprire un dibattito che contempli anche iniziative volte alla concessione di un provvedimento di amnistia in grado di ridurre gran parte dell'arretrato pendente che attualmente soffoca l'amministrazione quotidiana della giustizia e che rischia di vanificare qualsivoglia riforma organica che il Parlamento decida di approvare.
(6-00056)
«Bernardini, Beltrandi, Farina Coscioni, Mecacci, Maurizio Turco, Zamparutti».

La Camera,
premesso che:
le comunicazioni che il ministro della giustizia presenta alla Camera dei deputati, ai sensi dell'articolo 2, comma 29, lettera a), della legge 25 luglio 2005, n. 150, costituiscono un documento impegnativo, di bilancio dell'amministrazione della giustizia e di definizione programmatica per il futuro, cosicché richiedono un esame particolarmente rigoroso da parte del Parlamento, consono alla vitale importanza del servizio giustizia per i cittadini e le istituzioni;
la tutela giurisdizionale costituisce uno strumento imprescindibile per assicurare ai cittadini la garanzia e la piena attuazione dei loro diritti in sede penale, civile, tributaria e amministrativa. Naturalmente la garanzia del diritto dei cittadini alla sicurezza presuppone necessariamente non solo l'efficacia dell'azione delle forze dell'ordine (che devono essere dotate dei mezzi indispensabili ed idonei) ma un sistema giudiziario efficiente, per il cui miglioramento è necessario stanziare risorse adeguate e idonee a realizzare un effettivo miglioramento della qualità dell'amministrazione della giustizia;
il settore giustizia negli ultimi dieci anni, otto dei quali governati dal centrodestra, non ha visto alcuna riforma strutturale corrispondente ad un impianto complessivo e strategico di rilancio, mentre le poche riforme avviate in passato hanno incontrato ostacoli applicativi e rilevanti problemi in sede di attuazione, non da ultimi a causa delle ripetute e sostanziali decurtazioni di risorse al bilancio dell'amministrazione;
si è assistito e si assiste, invece, alla reiterazione da parte di questo Governo di scelte che, dal punto di vista delle politiche finanziarie, delle dotazioni infrastrutturali, delle politiche del personale e del quadro normativo, non vanno in tale direzione. Esse non solo procedono in direzione diametralmente opposta a quella auspicata dagli operatori del settore ma anche a quella suggerita, più semplicemente, dal «buon senso» e dalla buona amministrazione ordinaria;
a fronte, dunque della enfatizzazione posta dal Governo sui provvedimenti urgenti in materia di sicurezza, non solo si persevera nella mancanza di un disegno riformatore efficace e coerente, ma di fatto si paralizzano le riforme introdotte con ampio e condiviso consenso;
non è certo motivo di vanto e di orgoglio per il nostro Paese che il rapporto Doing Business 2011, della Banca mondiale, che annualmente indica i paesi in cui è vantaggioso investire, che è stato pubblicato qualche tempo fa, ancora collochi l'Italia all'ottantesimo posto (su 183). È, dunque, ben vero che «un investitore di qualsiasi nazionalità, tra le spinte all'investimento in un paese europeo, soppesi anche "tempi e costi di recupero di un credito" per valutare la convenienza a investire in Italia - come evidenzia l'ultima relazione sull'amministrazione della giustizia dell'anno 2009 -, ma nella sua decisione peseranno soprattutto i tempi sicuramente lunghi delle autorizzazioni, gli appalti opachi, i ritardi nei pagamenti della pubblica amministrazione;
la macchina della giustizia sta girando a vuoto creando frustrazioni ai cittadini e a tutti gli operatori del diritto. Lentezza dei processi, drammatica penuria di risorse umane e materiali, vetusta organizzazione e mancata informatizzazione sono problemi cui la politica deve dare risposta, a fronte del continuo aumento della domanda di giustizia anche a causa di un sistema che aumenta a dismisura e senza ragioni le fattispecie penati e che non razionalizza il processo civile;
sono pendenti oltre cinque milioni di cause civili e oltre tre milioni e mezzo di processi penali, cosicché uno dei problemi più impellenti che affliggono la giustizia italiana concerne la ragionevole durata del processo, in applicazione dell'articolo 111 della Costituzione e dell'articolo 6 della Convenzione europea sui diritti dell'uomo concernente il diritto ad un processo equo;
uno dei problemi più rilevanti che affligge la giustizia italiana concerne notoriamente il mancato rilancio del comparto giustizia sia in termini di investimenti che di personale. Il perdurare e l'aggravarsi di tale situazione determina riflessi inevitabilmente negativi sulla funzionalità e sull'efficacia del servizio reso al cittadino, a cominciare dalla ragionevole durata del processo. L' assenza di proposte sulla deflazione della giustizia penale o di incisivi interventi su aspetti come la riforma del giudizio contumaciale, oltre a denunciare una preoccupante mancanza di idee che sappiano riorganizzare risorse e strumenti in un quadro di sistema, tradiscono piuttosto una strategia volta a far languire progressivamente il sistema fino all'asfissia per impossibilità di funzionamento;
l'eccessiva durata dei processi, le numerose condanne inflitte all'Italia per i ritardi nelle decisioni, il grande numero delle pronunce di prescrizione (dopo anni di dibattimento e un enorme spreco di risorse), l'impossibilità per i pubblici ministeri di trattare tutte le notizie di reato ed il consequenziale e «obbligato» accantonamento in sede di indagini di migliaia di procedimenti, la mancanza di risorse finanziarie, di personale amministrativo e di magistrati, le ricadute negative dell'indulto e delle riforme a costo zero approvate in questi anni, sono tutti aspetti negativi che richiedono interventi urgenti;
a fronte di tale straordinaria emergenza, il Governo, a dispetto di spot ed annunci strabilianti, non ha posto in essere alcun organico intervento normativo, ordinamentale e strutturale idoneo a consentire all'apparato giudiziario di risolvere enti o tempi accettabili questo così grave problema. Anzi, anche con l'ultima legge di stabilità, con costanti ed irragionevoli tagli lineari, ha drasticamente ridotto le disponibilità economiche del Ministero della giustizia, oltre che di quello degli interni, così da rendere ancora più difficile assicurare una maggiore sicurezza e un sistema giudiziario più efficiente;
la scopertura degli uffici è un'emergenza assoluta: mancano oggi più di mille magistrati su un organico di 9000, dato già di per sé allarmante, ma che preoccupa ancor di più se si pensa che l'ultima legge di stabilità ha previsto il blocco delle assunzioni fino al 2013 e che attualmente mancano le risorse economiche necessarie all'assunzione dei vincitori dell'ultimo concorso. A ciò si aggiunga che i vincitori del penultimo concorso sono stati assunti finanziando la spesa con un aumento di 3 euro del contributo unificato;
come riporta il rapporto Cepej, in Italia le sopravvenienze civili annue contenziose di primo grado per ogni giudice ammontano a 438,06, contro le 224,15 della Francia e le 54,86 della Germania. Nel campo penale i valori assoluti si assottigliano ma la sostanza non cambia. Se poi si passa ad esaminare i procedimenti penali e civili per ogni grado, definiti per ogni giudice, emerge con evidenza lo sforzo della magistratura per portare a termine i processi. Nel civile il dato è di 411,33 per l'Italia, di 215,67 per la Francia e di 78,86 per la Germania. Nel penale 181,09 per l'Italia, 87,06 per la Francia, 42,91 per la Germania;
al contrario, l'unica preoccupazione della maggioranza appare quella di evitare al Presidente del Consiglio la partecipazione alle udienze penali, di modo che il Parlamento è occupato nella definizione di questo problema con l'esame di molteplici e concorrenti provvedimenti legislativi mentre dovrebbe occuparsi della grave crisi economica del Paese e, semmai, della riforma della giustizia per farla funzionare meglio;
appare quindi sempre più chiaro, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, come il Governo appaia del tutto disinteressato agli strumenti di tutela giurisdizionale e sostanziale dei diritti dei cittadini, avendo preferito invece spendere tempo prezioso per sottrarre alla giustizia il Presidente del Consiglio dei ministri - prima attraverso la fulminea approvazione del disegno di legge recante il cosiddetto «lodo Alfano» (dichiarato incostituzionale con la sentenza della Corte Costituzionale n. 262 del 2009) poi con il cosiddetto «legittimo impedimento» (dichiarato parzialmente incostituzionale il 13 gennaio u.s., per violazione degli articoli 3 e 138 della Costituzione), oltre che con il cosiddetto «processo breve», disegno di legge ancora all'esame della Camera dei deputati. Se tale ultima «innovazione», consistente nella trovata di sommare i devastanti effetti di una prescrizione processuale a quelli già noti prodotti dal più consolidato istituto della prescrizione del reato, entrasse in vigore, i riti alternativi e le procedure deflattive del processo entrerebbero definitivamente in crisi, determinando l'inevitabile allungamento dei tempi della macchina della giustizia, a scapito sia dei diritti dell'imputato che, soprattutto, delle parti civili. Di modo che si potrebbe giungere all'obiettivo di aver conseguito non già un processo breve ma un «processo morto». Tutto ciò evidenzia ancor di più come, lungi dal voler attuare una riforma che restituisca certezza ai tempi e alla effettività della tutela giurisdizionale dei diritti, la finalità della proclamata azione riformatrice sia solo quella di ridurre progressivamente, fino ad estinguerle, le concrete possibilità di arrivare ad una decisione di merito, rinunciando in tal modo ad arrivare ad una giusta ed equa decisione di merito. Fine ultimo del combinato disposto delle proposte di legge citate e della sottrazione costante di fondi all'amministrazione della giustizia, appare dunque la rimozione del processo, non la rimozione delle cause che rendono lungo e costoso un processo. E per fare ciò si è pronti a sacrificare i diritti delle parti civili e persino l'interesse dell'imputato ad avere un accertamento non frettoloso dei propri diritti. Come ciò si concili con la proclamazione reiterata della volontà di tutelare la «sicurezza» dei cittadini, enfatizzata con l'adozione di ben quattro decreti-legge in materia - nessuno del quali sembra aver prodotto risultati di rilievo sia per pochezza contenutistica che per problemi connessi alla formulazione stessa delle norme, come lo stesso incessante succedersi dei cosiddetti «pacchetti sicurezza» di per se' dimostra - resta un mistero ancora irrisolto, a meno di non voler considerare quale obiettivo ultimo e reale dell'azione sin qui intrapresa la sostanziale rinuncia dello Stato all'esercizio della giurisdizione;
in luogo della minacciata introduzione nel codice di rito dell'istituto della fattispecie estintiva del processo per violazione del termine di durata (stabilito in maniera assolutamente arbitraria ed apodittica) sarebbe invece necessario un razionale snellimento e una coerente semplificazione delle procedure, oltre che l'apprestamento di congrue dotazioni di personale e mezzi per gli uffici giudiziari e per le forze dell'ordine. Occorrerebbe, altresì, una più analitica disciplina per governare i tempi del processo, anche sotto il profilo organizzativo, dando concretezza al principio sancito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 255 del 1992, secondo il quale: «Fine primario ed ineludibile del processo penale non può che rimanere quello della ricerca della verità». Fine primario di talune riforme sostenute dal Governo, e certamente effetto dell'azione di progressiva e costante riduzione dei fondi e degli investimenti, appare invece quello di ostacolare in tutti i modi, se non impedire, la funzione giudiziaria in generale e quella processuale in particolare, con l'esito dunque, di impedire l'accertamento della verità;
una delle questioni cruciali per il nostro Paese è rappresentata dalla risposta che il sistema giustizia è in grado di offrire al fenomeno della corruzione, che, oltre a determinare sacche di illegalità in ambiti pubblici e privati, costituisce una vera e propria «zavorra» per lo sviluppo e per il progresso economico e sociale. È evidente che una risposta a tale problema non può essere circoscritta al piano giudiziario, tuttavia occorre rilevare che il Consiglio d'Europa ha più volte sottolineato criticamente come la prescrizione dei reati incida pesantemente, nel nostro Paese, sui processi per corruzione, invocando riforme che consentano di addivenire alle sentenze. Le riforme che sono state prospettate, rendono più difficile, a giudizio della magistratura e dell'avvocatura associata, l'impegno dell'Italia nella lotta alla criminalità e alla corruzione in particolare, reato per il quale la legge 5 dicembre 2005 n. 251 sulla prescrizione breve ha purtroppo già potuto dispiegare i suoi effetti. Il gruppo di Stati contro la corruzione del Consiglio d'Europa ha, peraltro, inviato all'Italia 22 raccomandazioni amministrative, procedurali (per evitare l'interruzione dei processi) e normative. Si ricorda che nel corso del G8 de L'Aquila del 2009 è stato sottoscritto il documento dell'Ocse per un global legal standard. Il predetto rapporto del Consiglio d'Europa si conclude con una raccomandazione all'Italia, ove si auspica l'individuazione di soluzioni che consentano di addivenire ad una pronuncia di merito. L'applicabilità dell'Istituto della «prescrizione processuale» anche ai processi per il reato di corruzione oltre a non essere conforme alla tendenza espressa dalle fonti sovra-nazionali, rischia di impedire del tutto l'accertamento giudiziario in tale ambito penale;
le carceri italiane si trovano in una gravissima situazione emergenziale con circa 66 mila presenze, in surplus di 25 mila detenuti rispetto ai posti letto regolamentari a disposizione, con una deficienza organica del Corpo di polizia penitenziaria di circa 5.500 unità. Deficitaria è anche l'edilizia penitenziaria. La Corte dei conti nell'ordinanza 13 luglio 2010 sostiene che "...L'intera gestione in materia di edilizia penitenziaria risulta contrassegnata da pesanti difficoltà di attuazione per varie ragioni, tra le quali emergono particolarmente la cronica insufficienza dei finanziamenti, i tortuosi meccanismi di assegnazione delle risorse disponibili, le lungaggini procedurali, il frequente e rapido mutamento delle esigenze e degli obiettivi, la dilatazione dei tempi nella fase esecutiva di costruzione delle nuove strutture penitenziarie dovuta anche al sorgere di contenziosi (...)». Emerge un quadro assai allarmante. La terribile condizione in cui sono costretti a vivere i detenuti nelle carceri italiane alimenta gli effetti criminogeni della pena e si pone in contrasto con l'articolo 27 della nostra Costituzione che prevede che «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato» e con l'articolo II-64 della Costituzione europea che stabilisce che «nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti»;
sono solo poche migliaia i detenuti che potenzialmente potrebbero usufruire del nuovo beneficio di legge consistente nella opportunità di scontare l'ultimo anno di pena detentiva «presso altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza». Certamente ben meno delle 7 mila unità ipotizzate dal Ministero della giustizia in prossimità della approvazione della legge n. 199 del 2010 avvenuta il 17 novembre scorso. La legge aveva l'obiettivo di ridurre i tassi di sovraffollamento penitenziaria;
nel 2009 le morti in carcere sono state 113 di cui 72 suicidi, 18 da accertare, 22 per malattia e 1 per omicidio. Nei primi nove mesi del 2010 suicidi sono stati 55. È pertanto ipocrita far uscire comunicati per ogni suicidio in carcere che purtroppo quasi quotidianamente si verifica, se la situazione continua ad essere quella attuale: se mille detenuti continuano a sopravvivere in istituti che ne possono contenere cento; se il 16 per cento dei carcerati soffre di depressioni e disturbi psichici e gli psicologi e gli educatori continuano ad essere in rapporto gravemente inadeguato; se inevitabilmente nelle carceri, si realizza l'annullamento della persona e non il, previsto dalla Costituzione, percorso di rieducazione guidata e se alcuni nuovi istituti o padiglioni, non possono essere aperti e resi agibili per mancanza della polizia penitenziaria, in grave sottorganico, nonostante le promesse di nuove assunzioni mai avvenute;
considerato che il Governo è anche in grave ritardo nella definizione delle problematiche, soprattutto ordinamentali, di una categoria assolutamente benemerita quale quella della magistratura onoraria, composta da magistrati che amministrano il 60 per cento del contenzioso civile e il 30 del processo penale in tempi brevi e con la durata media di un anno per processo, pur ricevendo retribuzioni totalmente inadeguate e non dignitose in rapporto all'alta funzione pubblica del rendere giustizia che svolgono al servizio dello Stato e del cittadino;
peraltro, la soluzione ipotizzata dal Governo appare partire dal presupposto della scarsa considerazione di questa categoria di indispensabili e benemeriti operatori del diritto, introducendo arbitrarie differenziazioni, non prevedendo alcuna forma di scudo previdenziale, prevedendo, a regime, la messa in disparte di un personale qualificato ed esperto che ha svolto con dignità un prezioso lavoro in funzione dell'introduzione di personale della necessaria esperienza. Bisogna superare il periodico ricorso alle proroghe, che hanno il solo effetto di far permanere personale sostanzialmente retribuito «a cottimo» se non "in nero", per arrivare ad una definitiva e dignitosa soluzione del problema che preveda forme di continuità, di specializzazione, di giusta retribuzione e di forme compatibili di previdenza;
la giustizia minorile sta vivendo il periodo più buio della sua esistenza perché si stanno facendo mancare ad essa le risorse necessarie (persino per il trattamento dei minori) e, sotto il pretesto di una riorganizzazione, si sta consentendo il depotenziamento delle professionalità attraverso lo svuotamento delle competenze con il loro trasferimento alle strutture generali organizzative del Ministero della giustizia che si occupano di tutto, così vanificandosene la specificità. Ciò costituisce la premessa per lo svilimento di un settore e di una cultura dei diritti dei minori che vede l'Italia all'avanguardia in un panorama internazionale, in contrasto anche con l'affermata opinione del ministro della giustizia per cui la giustizia minorile rappresenta un «fiore all'occhiello» che va salvaguardato e difeso;
il Governo ha altresì annunciato altri interventi, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, non meno inquietanti volti ad incidere, anche con quelli che appaiono veri e propri stravolgimenti costituzionali, sull'ordinamento giudiziario anche sulla separazione delle carriere, cui dovrebbe far seguito la divisione del Consiglio superiore della magistratura. Premesse, queste, per l'attenuazione o l'eliminazione dell'obbligatorietà dell'esercizio dell'azione penale e la dipendenza del pubblico ministero dal Governo; il tutto funzionale a sottoporre la magistratura e la giustizia al controllo politico, a danno della indipendenza e autonomia riconosciuta dalla Costituzione e dalle originarie teorie sulla separazione dei poteri;
considerato, inoltre, che:
dal Fondo unico per la giustizia risultano pervenuti al Ministero della giustizia appena 79 milioni di euro e ciò soltanto grazie alla rinuncia del Ministero dell'economia e delle finanze alla propria quota per l'anno 2009. Va infatti ricordato che, con l'obiettivo di razionalizzazione della gestione delle somme amministrate dal sistema giustizia, con il decreto-legge n. 143 del 2008, convertito nella legge 181 del 2008, recante «Interventi urgenti in materia di funzionalità del «sistema giudiziario», era stato istituito il Fondo unico giustizia. La gestione del Fondo è stata affidata ad Equitalia Giustizia spa. Essa avrebbe dovuto consentire il recupero di quote da devolvere al Ministero dell'interno e al Ministero della giustizia, che avrebbero dovuto utilizzare, rispettivamente, per la tutela della sicurezza e del soccorso pubblico e per il potenziamento dei propri servizi istituzionali. Con una modifica introdotta all'articolo 2 dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14 il Governo ha previsto che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri siano stabilite - fino a una percentuale non superiore al 30 per cento delle sole risorse oggetto di sequestro penale o amministrativo. Le quote delle risorse rese disponibili per massa e in base a criteri statistici, intestate «Fondo unico giustizia», anche frutto di utili della loro gestione finanziaria, da destinare: in misura non inferiore ad 1/3 al Ministero dell'interno per la tutela della sicurezza pubblica e del soccorso pubblico, fatta salva l'alimentazione del Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e del Fondo di rotazione per la solidarietà delle vittime dei reati di tipo mafioso; in misura non inferiore ad 1/3, al Ministero della giustizia per assicurare il funzionamento e il potenziamento degli uffici giudiziari e degli altri servizi istituzionali; all'entrata del bilancio dello Stato. In tal modo, la dotazione delle risorse volte ad assicurare il funzionamento ed il potenziamento degli uffici giudiziari e degli altri servizi del Ministero della giustizia è stata ridotta ad appena un terzo del 30 per cento del «paniere» iniziale. Ne deriva che, in virtù di tale meccanismo, al Ministero della giustizia vengono destinate somme infinitesimali a fronte di un costo del sistema giustizia valutato dal medesimo ministro in 8 miliardi di euro l'anno;
un tale volume di riduzioni degli investimenti e delle spese correnti non solo non consentirà di accrescere l'efficienza del servizio giustizia, ma non permetterà neppure di garantire l'attuale, pur insufficiente, livello di funzionamento degli uffici giudiziari. A tale riguardo si evidenzia anche la mancanza di un serio progetto di geografia giudiziaria che, seppur in maniera non rigida, avvii una positiva revisione delle sedi. Né si registra alcun importante alleggerimento degli uffici pubblici, con particolare riferimento ai Ministeri, in cui operano attualmente magistrati posti fuori ruolo, che secondo talune stime arriverebbero a sfiorare il 3 per cento dell'organico a fronte di una scopertura che si aggira intorno all'8 per cento ed incide in maniera preoccupante soprattutto nelle regioni meridionali e nelle aree maggiormente esposte a fenomeni di criminalità diffusa e criminalità organizzata;
considerato che:
il processo di digitalizzazione e di informatizzazione appare la strada maestra per velocizzare efficientemente il sistema giudiziario del Paese. Al contrario, sotto questo profilo, il panorama nazionale è quello della dotazione di strumenti obsoleti, di assenza di programmazione di scelte di spesa oculate e a lungo termine, dell'utilizzo di programmi e sistemi che spesso non colloquiano tra di loro, mentre è carente una politica di potenziamento, formazione e valorizzazione della professionalità del personale degli uffici giudiziari. Tuttavia, se è incontestabile la necessità di ricorrere all'informatizzazione dei processi organizzativi dei palazzi della giustizia, non si può condividere il perdurante affidamento ai privati dell'organizzazione informatica dell'attività giudiziaria;
in particolare, si è seriamente rischiata l'interruzione del servizio di assistenza informatica applicativa agli uffici giudiziari per l'anno 2011, in dipendenza dalla mancata copertura dei contratti pluriennali sottoscritti negli anni 2009 e 2010, Come già dichiarato del Governo all'Assemblea della Camera dei deputati il 22 dicembre u.s. «l'esiguità delle risorse previste dal Ministero dell'economia e finanze per il 2011 ha imposto l'inserimento nei suddetti contratti (peraltro, su diretta sollecitazione della Corte dei conti, oltre che dell'Ufficio Centrale del Bilancio di questo dicastero) di una clausola determinante l'arresto delle attività di supporto agli uffici giudiziari, a decorrere dal 1o gennaio 2011, in assenza di adeguata copertura finanziaria. Peraltro, la spesa corrente destinata al mantenimento dei sistemi informatici degli uffici giudiziari, allo stato attuale, non è ulteriormente comprimibile senza rischiare di compromettere il mantenimento di tutti i sistemi, Negli ultimi anni la spesa collegata al settore si è notevolmente ridimensionata, passando da una spesa registrata di circa 79 milioni di euro nel 2008 ad una previsione di spesa di circa 56 milioni di euro per il 2011. È evidente, quindi, che la situazione descritta non soltanto è nota, ma è anche oggetto di costante e puntuale verifica». Sebbene il ministro della giustizia abbia dichiarato di aver sottoscritto le variazioni di bilancio necessarie per ottenere il ripristino del servizio, il problema risulta perdurare, almeno sotto il profilo degli investimenti settoriali oltre che in termini di sottrazione ad altri capitoli di spesa dell'amministrazione giudiziaria già ridotti allo stremo di risorse finanziarie;
considerato ancora che:
da quando il Governo in carica si è insediato si è registrato un costante e pesante crescendo nella conflittualità dell'esecutivo nei confronti dei magistrati, soprattutto del pubblico ministero, con dichiarazioni, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, offensive ed aggressive del Capo del Governo;
manca un programma che faccia intravedere ai cittadini, così come al personale del comparto giustizia, che il Governo ha un vero e concreto indirizzo politico per il miglioramento della sicurezza pubblica e per la risoluzione delle gravi inefficienze che ancora caratterizzano l'amministrazione della giustizia nel nostro Paese;
ritenuto che il giudizio globalmente negativo sulla politica della giustizia emerge anche dalle numerose manifestazioni di protesta organizzate tanto dagli avvocati quanto dai magistrati,

non approva

le comunicazioni rese dal ministro della giustizia;

impegna, invece, il Governo, e in particolare il ministro della giustizia:
a provvedere urgentemente al reperimento di risorse finanziarie, organizzative e di personale adeguate per assicurare l'efficiente e celere amministrazione della giustizia;
a promuovere una riforma organica del processo sia civile che penale, in modo da consentire agli uffici giudiziari di gestire il carico degli adempimenti e di superare i ritardi nella trattazione dei processi determinati spesso da soli meri problemi procedurali e meramente formali;
ad assumere iniziative per semplificare il processo civile procedendo anche all'unificazione dei diversi riti che oggi caratterizzano il sistema processuale e ammodernare il processo del lavoro in considerazione della drammatica situazione che caratterizza questo settore a causa della precarizzazione del rapporto di lavoro e delle relative tutele, in quanto la politica di welfare del Governo erode progressivamente le garanzie previste dall'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori;
a riaffermare con forza il diritto-dovere del pubblico ministero di promozione dell'azione penale, quale strumento di garanzia dell'uguaglianza tra i cittadini ed effettività del principio di legalità, che sottende l'obbligatorietà dell'azione penale;
a promuovere una revisione del sistema penale, in coerenza con la normativa europea e con le pronunce della Corte costituzionale nel senso di: rendere più incisiva la disciplina sul voto di scambio; valorizzare la disciplina dei reati ambientali con sensibile aggravamento delle pene; ripristinare la previgente disciplina del delitto di falso in bilancio; incrementare l'entità delle pene previste per i reati economico-finanziari e soprattutto assicurare l'effettività della sanzione; potenziare le normative e le strutture di contrasto all'evasione fiscale; introdurre il reato di auto riciclaggio; assicurare l'effettività del sistema sanzionatorio relativo ai reati contro la pubblica amministrazione, garantendo l'applicazione effettiva delle sanzioni accessorie; a riformare la disciplina del reato di immigrazione clandestina al fine di porre il valore dell'integrazione quale precondizione per il rispetto dei diritti fondamentali, primo fra tutti il principio di uguaglianza;
ad assumere iniziative normative per ridurre i gradi di giudizio e rendere meno strumentale il sistema delle impugnazioni;
ad adottare iniziative che attuino una drastica depenalizzazione, accompagnata da istituti quali la più estesa oblazione nel processo penale per i reati «bagatellari» e, nei casi meno gravi, l'archiviazione per irrilevanza sociale del fatto, la messa alla prova, le sanzioni sostitutive (pecuniarie e di attività sociale), e soprattutto, nella doverosa ottica di tutela delle vittime, l'estinzione del reato in seguito a condotte riparatorie, facendo sì che a pena detentiva, ove irrogata, sia magari più lieve ma effettivamente scontata per restituire certezza alla pena, detentiva o meno, affidando al giudice che l'ha irrogata anche la decisione circa le concrete modalità di esecuzione della stessa;
ad adottare le misure atte a garantire ai detenuti e ai loro familiari il rispetto dei diritti fondamentali, anche mediante il reinserimento sociale e lavorativo e a promuovere una riforma che ponga in primo piano il recupero e la rieducazione del reo, ferma restando l'inflessibilità nell'applicazione dell'articolo 41-bis per ogni forma di criminalità organizzata di tipo mafioso;
a reperire le risorse finanziarie necessarie a salvaguardare i livelli retributivi degli operatori della giustizia ad ogni livello (anche del settore carcerario), nonché per l'edilizia penitenziaria, prevedendo nuove strutture o l'ampliamento e l'ammodernamento di quelle esistenti, assicurando anche l'attuazione dei piani e dei programmi a tal fine previsti da precedenti leggi finanziarie;
a promuovere una complessiva riforma della magistratura onoraria che, partendo dal riconoscimento della insostituibile funzione svolta dai giudici non togati, definisca un'equa normativa ordinamentale che tenga conto della professionalità, della continuità e dell'esigenza di una dignitosa retribuzione e di forme adeguate di scudo previdenziale;
a promuovere, in tempi rapidi, l'auspicata riforma dell'ordinamento forense per garantire all'Avvocatura un ruolo in linea con la normativa comunitaria e con la funzione prevista dalla Carta costituzionale, posto che i disegni di legge proposti dal Governo sono insufficienti a ricondurre a sistema un settore professionale fondamentale per il Paese come quello forense;
ad incrementare le risorse da destinare all'innovazione, al fine di realizzare il processo telematico, con conseguente snellimento delle procedure e realizzazione di un modello organizzativo che ponga al centro l'efficienza del servizio offerto ai cittadini;
ad eliminare i processi di esternalizzazione dei servizi informatici, compresi quelli relativi alle operazioni di intercettazioni, mediante la formazione del personale già nell'organico della pubblica amministrazione;
a prevedere, nel comparto giustizia, un forte incremento di personale sia giudiziario che amministrativo, aumentando gli organici dei magistrati nelle regioni a più alta incidenza criminale e potenziando i servizi di cancelleria, assicurando inoltre un intervento urgente per garantire la verbalizzazione e la trascrizione degli atti presso tutti i singoli uffici giudiziari, e maggiori e sicure risorse per le intercettazioni, quale passaggio fondamentale per lo svolgimento delle indagini e la celebrazione dei processi penali;
ad implementare ogni ipotesi di riorganizzazione della giustizia minorile che potenzi il settore e non disperda le professionalità e a garantire le risorse necessarie per la rieducazione dei minorenni in trattamento penale.
(6-00057)
«Di Pietro, Palomba, Donadi, Evangelisti, Borghesi».

La Camera,
udite le comunicazioni del ministro della giustizia sull'amministrazione della giustizia, ai sensi dell'articolo 86 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, come modificato dall'articolo 2, comma 29, della legge 25 luglio 2005, n. 150,
premesso che:
le suddette comunicazioni rappresentano un atto importante, un'assunzione di responsabilità in termini di definizione programmatica della futura politica in tema di amministrazione della giustizia, e che vanno esaminate attentamente da parte del Parlamento;
la garanzia del diritto dei cittadini alla sicurezza presuppone necessariamente - oltre all'efficienza dell'azione delle Forze dell'ordine cui vanno assicurati i mezzi indispensabili per il loro operato - un sistema giudiziario efficace, per la cui realizzazione è necessario stanziare in via prioritaria risorse adeguate e idonee per garantire un concreto miglioramento della qualità dell'amministrazione della giustizia e l'effettività dei diritti;
a) per quanto riguarda la giustizia civile:
va affrontata quella vera e propria ipoteca sulla competitività economico-internazionale rappresentata dal cattivo funzionamento della giustizia civile, causa dell'inadeguata tutela del credito, della difficoltà ad investire nel nostro Paese, dell'incertezza dei rapporti tra privati, del protrarsi di conflitti familiari, talvolta drammatici;
a fronte della crescente domanda di giustizia civile la risposta non può essere quella data dalla legge 18 giugno 2009, n. 69 che ha introdotto un ulteriore rito processuale - quello di cognizione sommaria - in aggiunta ai venti già esistenti e che, in quanto tale, non è stato in grado di incidere significativamente sull'efficacia del sistema. Né può essere una soluzione quella di affidare a una categoria di nuovo conio, i cosiddetti «ausiliari del giudice» (appartenenti a categorie professionali in pensione o onorarie), funzioni sostanzialmente decisorie, così come si è tentato di fare con un emendamento alla manovra finanziaria del luglio scorso, poi ritirato il 9 luglio 2010, solo a seguito delle pesanti critiche delle forze di opposizione e di tutti gli operatori della giustizia. Non risolvono i problemi anche gli interventi normativi improvvisati, privi di un adeguato grado di coordinamento, basati sulla logica dell'emergenza e tesi, in buona sostanza, a scardinare i caratteri costitutivi e sistematici della giurisdizione civile;
è necessario, invece, attraverso il confronto con i gruppi di opposizione, portare avanti un effettivo percorso di razionalizzazione e semplificazione dell'attività processuale civile, capace di far fronte tanto allo smaltimento dell'arretrato quanto ai nuovi flussi di contenzioso, rifuggendo però da logiche emergenziali e di rottamazione e affrontando una riforma di sistema capace di assicurare la ragionevole durata dei processi, con la garanzia però della speditezza, concentrazione e accuratezza nella trattazione di tutte le cause;
il gruppo del Partito Democratico auspica che il Governo, in colpevole ritardo, come emerge anche dallo odierne comunicazioni del ministro, porti presto alla discussione delle Camere i decreti legislativi di attuazione della delega contenuta nella legge n. 69 del 2009 tenendo conto dei princìpi fondamentali di qualità ed efficienza del processo civile;
d'altro canto, solo un processo forte e funzionante avrebbe potuto valorizzare e garantire risultati all'istituto della mediazione e conciliazione che entrerà a breve in vigore, in attuazione della delega esercitata dal Governo conferita dall'articolo 60 della legge n. 69 del 2009 e che presenta aspetti e contenuti in parte contrastanti con lo scopo steso della delega. Infatti, così come è stato configurato, l'istituto della media conciliazione tende a puntare su figure ed organismi che impongono soluzioni anziché aiutare le parti a pervenire ad una composizione del conflitto che aiuti a ricostituire la qualità del legame sociale;
proprio a causa delle numerose criticità, che il gruppo del Partito Democratico aveva già evidenziato nel parere alternativo allo schema di decreto legislativo di cui sopra e a cui il Governo è rimasto sostanzialmente sordo, la mediazione finalizzata alla conciliazione non avrà quegli effetti deflattivi tanto propagandati dal ministro e creerà, anzi, un'ulteriore allungamento dei tempi o dei costi del contenzioso ordinario per il cittadino che chiede, invece, risposte effettive di giustizia;
sarebbe ragionevole, pertanto, un invio della entrata in vigore del decreto legislativo sulla media conciliazione, richiesto, peraltro, da tutta l'Avvocatura in considerazione del mancato reperimento delle risorse organizzative, delle aule presso i tribunali e dell'esiguo numero dei conciliatori;
b) per quanto riguarda le innovazioni tecnologiche e informatiche:
lo stato della digitalizzazione della giustizia ad un anno dalle dichiarazioni rese dal ministro al Parlamento è, senza dubbio, negativo. Esattamente un anno fa, infatti, il ministro annunciava l'entrata in vigore del processo telematico, a completamento della digitalizzazione dalla giustizia, con l'applicazione dell'informatica a tutti gli atti del processo, civile e penale. In particolare, annunciava come immediatamente applicabili - e dunque già applicate - le comunicazioni e le notificazioni telematiche tra gli uffici giudiziari e gli avvocati e, salvo che per le notifiche agli imputati, la possibilità di usare la posta elettronica certificata. Ad oggi, invece, la situazione è a dir poco preoccupante: il panorama nazionale è quello della dotazione di strumenti obsoleti, di assenza di programmazione di scelte di spesa oculate e a lungo termine dell'utilizzo di programmi e sistemi che spesso non colloquiano tra di loro, mentre è carente una politica di potenziamento, formazione e valorizzazione della professionalità del personale degli uffici giudiziari. L'anno si è quindi aperto con un'emergenza, proprio in quel settore che doveva essere l'avanguardia tecnologica per un miglioramento dell'efficienza del settore giustizia. In particolare, l'assenza di adeguate risorse finanziarie sull'esercizio 2011, frutto anche della politica del tagli lineari di questo Governo, ha causato il blocco dell'assistenza ai servizi informatici nei primi giorni del 2011. Tale blocco avrebbe potuto causare la paralisi degli uffici giudiziari e del sistema con conseguente chiusura dei tribunali e, dunque, innanzitutto, il blocco dell'attività processuale. Alla sospensione dell'assistenza informatica è stata data solo una soluzione temporanea attraverso una variazione di bilancio che ha spostato risorse per 5,1 milioni di euro da destinare al finanziamento, delle spese di gestione, funzionamento e sviluppo del sistema informativo di assistenza tecnica, stornate in misura pari ad 1.140.620 euro dal capitolo n. 1515, relativo ai consumi intermedi del Ministero della giustizia e i restanti 3.359,380 euro reperiti, invece, dal capitolo di bilancio n. 1451, avente più ampia portata rispetto al precedente capitolo in quanto comprensivo di voci distinte, tra cui i trasferimenti d'ufficio del personale, le spese per la formazione del personale, le spese per l'acquisto di cancelleria, oltre ai rimborsi a pubbliche amministrazioni per il personale comandato. Il Governo ha proceduto con una variazione di bilancio a danno di altri capitoli che avevano già subito dei tagli dalle precedenti manovre, trovando ancora una volta una soluzione provvisoria e improvvisata. È infatti noto che negli uffici giudiziari spesso le più elementari necessità di cancelleria vengono sopperite anche e soprattutto dalla buona volontà degli operatori e del personale giudiziario. Fino ad ora, il ministro della giustizia ha portato avanti solo una politica fatta di annunci e le comunicazioni odierne rivelano l'assenza di informazioni chiare e una scarsa consapevolezza della situazione esistente;
la realtà è che il Governo non ha stanziato e non stanzia risorse sufficienti per portare avanti la digitalizzazione ed il processo civile telematico in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale, anzi proprio il processo telematico pare sfumare nei più modesti obiettivi, peraltro ancora ipotetici, della posta certificata e della mera digitalizzazione degli atti;
la scarsità delle risorse rischia di rallentare l'informatizzazione dei procedimenti civili, penali, amministrativi e di prevenzione, necessaria per assicurare la qualità complessiva del «servizio giustizia», come è imposto, peraltro, dalle crescenti esigenze di cooperazione internazionale. Compatibilmente con le esigenze di finanza pubblica, il Governo avrebbe dovuto adottare iniziative normative e programmatiche volte a garantire adeguati finanziamenti al Ministero della giustizia nell'informatica giudiziaria, nella formazione e incentivazione economica e professionale del personale dell'amministrazione della giustizia;
c) per quanto riguarda il Fondo unico giustizia:
è da due anni che il Fondo unico giustizia viene continuamente richiamato in tutti gli interventi del ministro della Giustizia e del ministro dell'interno come la fonte e la riserva sostanziosa di impegno per risolvere i problemi delle risorse riguardanti sia le forze di polizia, sia l'organizzazione giudiziaria. Si è parlato, negli annunci stampa, di cifre che vanno da uno a due milioni di euro. In realtà, nella recente risposta data dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio sen. Carlo Giovanardi all'interpellanza urgente n. 2-00878 a prima firma dell'onorevole Ferranti, si legge «(...) le risorse del Fondo unico giustizia, provenienti dai sequestri, prese in considerazione per l'utilizzo ai sensi del comma 7 dell'articolo 2 del decreto-legge n. 143 del 2008, sono quelle ammontanti, a fine 2009, a 631,4 milioni di euro, così come affermato dal Ministero dell'economia e delle finanze. Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 aprile 2010 aveva stabilito le percentuali di riparto delle risorse nella misura del 50 per cento al Ministero dell'interno e del 50 per cento al Ministero della giustizia. Il predetto decreto è stato restituito alla Corte dei conti con osservazioni e, in data 28 settembre 2010, il Ministero dell'economia e delle finanze ha inviato alla Corte dei conti i necessari chiarimenti. Da notizie riferite il 1o dicembre, ieri, dal ministro dell'economia si rileva che è pervenuto al suddetto dicastero il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in questione a seguito delle osservazioni della Corte dei conti, in cui si stabiliscono le percentuali delle quote delle risorse intestate al Fondo unico giustizia al 31 dicembre 2010. Tali percentuali, rispetto a quelle previste nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 aprile, sono state modificate nei seguenti termini per accogliere le osservazioni della Corte dei conti del 28 settembre 2010: il 49 per cento al Ministero dell'interno per la tutela della sicurezza pubblica e del soccorso pubblico, il 49 per cento al Ministero della giustizia per assicurare il funzionamento degli uffici giudiziari ed altri servizi istituzionali, nonché per assicurare la copertura degli oneri connessi all'applicazione del decreto legislativo n. 28 del 4 marzo 2010 sulla mediazione civile; in particolare l'articolo 17 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, attuativo della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di risorse, regime tributario e indennità, ha previsto un onere, a valere sulla quota spettante al Ministero della giustizia, del riparto del Fondo unico giustizia di 5,9 milioni di euro per l'anno 2010 e 7,018 milioni di euro per l'anno 2011, conseguenti alle esenzioni dall'imposta di bollo e di registro dei verbali di conciliazione. Per ciò che attiene, invece, alla copertura delle agevolazioni fiscali previste, consistenti nel riconoscimento di un credito di imposta regolato dall'articolo 20 del citato decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, è stato misurato un onere massimo di 62,4 milioni di euro. Le somme valutate sono da ritenersi indicative e prudenzialmente stimate in eccesso in quanto, ai sensi del comma 2 dell'articolo 20 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, l'ammontare delle risorse del Fondo unico giustizia di spettanza del Ministero della giustizia, da destinare alle agevolazioni fiscali, verrà stabilito a decorrere dall'anno 2011 con decreto del ministro della giustizia da emanarsi entro il 30 aprile di ciascun anno (...)»;
di fatto, ad oggi, non risulta assegnato al Ministero della giustizia alcunché nonostante il ministro Alfano, già nelle Comunicazioni alle Camere del gennaio 2010, sostenesse come fossero confluiti nel FUG oltre 1.59 miliardi di euro, nell'ambito del quale evidenziava come disponibili per la riassegnazione pro quota al Ministero della giustizia 631,4 milioni di euro;
d) per quanto riguarda il sistema carcerario:
l'attuale condizione delle carceri italiane contraddice radicalmente l'intento del recupero del reo delineato nella Carta fondamentale. Le condizioni di sovraffollamento sono oramai un dato notorio e con esso la politica, la società civile, la magistratura, ma - soprattutto - i detenuti si trovano a convivere ogni giorno in modo drammatico. Tra i molti sintomi di disagio, non si può non segnalare che il tasso di suicidi riscontrabile in carcere è di gran lunga superiore a quello registrato tra tutta la popolazione residente in Italia;
nelle comunicazioni sull'amministrazione della giustizia del gennaio 2010, il ministro della giustizia aveva affermato di aver chiesto la deliberazione, da parte del Consiglio dei ministri, dello stato di emergenza per tutto l'anno 2010, al fine di «provvedere ad interventi strutturali di medio e lungo periodo, che consentano di rispettare il precetto dell'articolo 7 della Costituzione, secondo il quale le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». Tale stato di emergenza è stato ulteriormente prorogato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell'11 gennaio 2011 (comunicato n. 121 della Presidenza del Consiglio). Dal suddetto stato di emergenza derivano, secondo quanto dichiarato dal ministro lo scorso gennaio 2010 tre «pilastri» fondamentali: il primo riguarda gli interventi di edilizia penitenziaria per la costruzione di 47 nuovi padiglioni e successivamente di otto nuovi istituti, che aumenterebbero di 21.709 unità i posti, arrivando ad un totale di 80 mila, per la cui realizzazione sono stati stanziati 500 milioni di euro nella Legge finanziaria 2010 e 100 milioni del bilancio della Giustizia; il secondo riguarda gli interventi normativi che introdurrebbero misure deflattive, introducendo la possibilità della detenzione domiciliare per chi deve scontare un anno di pena residua e la messa alla prova delle persone imputabili per reati fino a tre anni; il terzo, infine, prevede l'assunzione di 2000 nuovi agenti di Polizia penitenziaria;
per quanto riguarda gli interventi di edilizia penitenziaria, allo stato attuale, nonostante le ripetute richieste formalizzate in Commissione Giustizia, né il ministro della giustizia, né il Capo dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, hanno mai fornito risposte specifiche alla richiesta di illustrazione dei dettagli delle linee portanti, programmatiche e di attuazione del Piano di interventi;
dell'assunzione dei 2000 agenti di polizia carceraria non vi è traccia;
dal punto di vista normativo, vi è stata solo l'approvazione della Legge 26 novembre 2010, n. 199 «Disposizioni relative all'esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno», che ha potuto concludere il suo iter parlamentare grazie al forte senso di responsabilità e al concreto contributo del gruppo del Partito Democratico in Commissione giustizia ma che, comunque, si pone come intervento emergenziale, addirittura temporaneo, e sicuramente non risolutore dell'angosciante problema del sovraffollamento carcerario e della certezza della pena;
diversi e sicuramente più incisivi sono gli obiettivi programmatici che si pone il gruppo del Partito Democratico. In particolare, occorre: un intervento complessivo sistematico volto ad ampliare la tipologia delle misure alternative alla pena detentiva, specificatamente supportate da progetti professionalmente strutturati volti al reinserimento sociale, con una particolare attenzione alle sorti delle vittime dei reati;
è necessario: adeguare le piante organiche riferite al personale di polizia penitenziaria e alle figure degli educatori, degli assistenti sociali e degli psicologi, avviando un nuovo piano di assunzioni (almeno 1000 unità per queste ultime figure professionali), che garantisca le risorse umane e professionali necessarie all'attivazione delle nuove strutture penitenziarie; ripensare il modello unico di istituto penitenziario attuale, posto che i detenuti per i quali si esige un elevato regime di sicurezza non raggiungono le 10 mila unità mentre per gli altri detenuti, anche quelli di media sicurezza, la permanenza in cella come situazione normale di vita quotidiana ha come unico risultato l'abbrutimento della persona umana. La fruizione di spazi comuni, magari con il supporto di braccialetti elettronici effettivamente funzionanti, l'inserimento in un'organizzazione modulare che preveda interventi mirati, condurrebbero finalmente a superare la dimensione del carcere come luogo insalubre, patogeno, dove l'ozio e la promiscuità prevalgono sui trattamenti di concreto recupero e rieducativi; un intervento complessivo volto a organizzare e prevedere una diversa strategia di ingresso per gli autori di reati di medio-bassa gravità; rivedere le preclusioni imposte dalla Legge cosiddetta «ex Cirielli» e dai recenti «Pacchetti sicurezza»; prevedere l'accesso alla detenzione domiciliare negli ultimi due anni di pena per i recidivi reiterati, ripristinando la competenza a valutare la effettiva pericolosità sociale dei condannati in capo alla magistratura di sorveglianza, le cui piante organiche dovranno, ovviamente, essere rafforzate dal punto di vista numerico al fine di consentire, anche attraverso la messa a punto di nuovi strumenti normativi, di svolgere a pieno il proprio ruolo e di gestire attraverso adeguati percorsi di conoscenza il flusso di ingressi in carcere;
e) per quanto riguarda le misure organizzative essenziali:
l'introduzione del giudice unico di primo grado, prevedendo la fusione di tribunali e preture, ha comportato un modesto ma comunque primo recupero di efficienza, giacché i tribunali sotto-dimensionati sono divenuti circa il 72 per cento del totale. Attualmente, le principali funzioni giudiziarie sono svolte da sette tipologie di uffici giudiziari e cioè da 848 uffici del giudice di pace, da 165 tribunali e relative procure, da 220 sezioni distaccate di tribunale, da 29 tribunali per i minorenni, da 29 corti d'appello (di cui 3 sezioni distaccate) e relative procure generali, dalla Corte di Cassazione e relativa Procura Generale e dal Tribunale superiore delle acque pubbliche. Attraverso degli studi si è accertato che quando le dimensioni degli uffici giudiziari divengono troppe elevate (impiegando un numero di magistrati superiore a 80), si riscontra una perdita di efficienza legata al sovradimensionamento. Tale perdita, tuttavia, appare di gran lunga inferiore a quella che si registra nel caso inverso di eccessivo sottodimensionamento (la prima riforma decisiva per recuperare efficienza e razionalità al sistema giustizia è la riorganizzazione della geografia giudiziaria intesa non come occasione di risparmio in termini economici e di un più razionale impiego delle risorse umane, professionali e finanziarie disponibili, ma anche quale occasione per una valorizzazione degli uffici giudiziari di dimensioni ottimali sotto il profilo delle effettive possibilità di scambio e di confronto continuo, abbreviazione dei tempi, maggiore tempestività nella risposte ai cittadini). Attraverso una nuova e più funzionale distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari saranno incisivi anche tutti quegli interventi inerenti l'organizzazione e il supporto all'attività giudiziaria, affinché nelle aule di giustizia i processi si possano svolgere in modo ordinato, con l'assistenza dovuta, in forme dignitose per tutti i protagonisti, con sistemi di documentazione degli atti che non siano ripetutamente messi in forse dai tagli alle risorse economiche. Il Consiglio Superiore della Magistratura ha approvato nella seduta straordinaria dell'11 gennaio 2010 una risoluzione proposta dalla sesta Commissione concernente la revisione delle circoscrizioni giudiziarie che sottopone al ministro della giustizia le seguenti conclusioni, «il Consiglio Superiore della Magistratura, nell'ottica di una leale collaborazione istituzionale, ritiene doveroso segnalare al ministro della giustizia l'assoluta ed imprescindibile necessità di attivare una proposta legislativa diretta a rivedere le circoscrizioni giudiziarie. La riorganizzazione delle circoscrizioni giudiziarie costituisce, infatti, a parare del CSM, lo strumento indefettibile per realizzare un sistema moderno ed efficiente di amministrazione della giurisdizione, che sia in grado di fornire la dovuta risposta di merito alle istanze di giustizia, nel rispetto di tempi ragionevoli di durata del processo, nella consapevolezza che il ritardo nel giungere alla decisione si risolve in un diniego di giustizia»;
è, quindi, assolutamente urgente che il Governo: assuma un'iniziativa normativa volta a prevedere una riorganizzazione delle circoscrizioni giudiziarie al fine di predisporre una disciplina che consenta di garantire le esigenze di efficienza, qualità ed eguale trattamento dei diritti dei cittadini nelle diverse aree geografiche del Paese e una redistribuzione razionale del carico del lavoro e delle risorse umane ed economiche; realizzi il conseguente adeguamento della pianta organica del personale giudiziario, prevedendo procedure urgenti di copertura dei posti vacanti, di attuazione al cosiddetto ufficio del processo, condiviso da tutte le categorie di operatori della giustizia (avvocati, magistrati, personale della giustizia), che rappresenta una misura organizzativa essenziale per garantire lo svolgimento efficiente, efficace e qualitativamente adeguato, delle attività correlate e di supporto all'esercizio della giurisdizione; contribuisca all'approvazione della modifica legislativa in corso di discussione in Commissione giustizia, A.C. 2984 «Modifica all'articolo 13 del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, in materia di attribuzione delle funzioni ai magistrati ordinari al termine del tirocinio», in quota opposizione, tesa a eliminare il divieto per i magistrati ordinari di prima nomina ad essere destinati alle funzioni di PM e giudice monocratico, e quindi a risolvere il problema della copertura delle sedi disagiate presso gli uffici di procura;
f) per quanto riguarda la magistratura onoraria:
il ministro della giustizia, nelle comunicazioni del gennaio 2010, aveva annunciato un disegno di legge di riforma della magistratura onoraria che, ad oggi, non è mai stato presentato;
si profila, anzi, la ormai consueta prorogatio del mandato dei giudici di pace, la terza succedutasi dall'esordio del magistrato di prossimità e, così come avvenuto in precedenza (decreto-legge n. 115 del 2005), la dilazione dell'incarico sarà operata con decretazione di urgenza;
la situazione appare ancor più paradossale con riferimento alle figure del m.o.t. (g.o.t. e v.p.o.) il cui mandato (solo originariamente triennale) ha «costretto» il legislatore a reiterate proroghe, quasi tutte adottate con decreti di fine d'anno;
la riorganizzazione del sistema della giustizia onoraria deve necessariamente passare attraverso l'attribuzione di compiti e ruoli ben definiti alla magistratura onoraria, anche in considerazione della circostanza che l'incremento della domanda di giustizia si accompagna ad una progressiva differenziazione delle esigenze alle quali deve essere preordinata la risposta giudiziaria. Si tratta, quindi, di identificare compiutamente un numero congruo di controversie che possono essere adeguatamente soddisfatte attraverso procedure semplificate, nelle quali l'apprezzamento delle circostanze di fatto deve essere preminente rispetto ai problemi tecnico-giuridici ed il giudice deve svolgere un ruolo prevalentemente di mediazione e conciliazione. La scelta, sul piano costituzionale, rinviene una solida base nell'articolo 106, secondo comma, della Costituzione, il quale stabilendo che «la legge sull'ordinamento giudiziario può ammettere la nomina, anche elettiva, di magistrati onorari per tutte le funzioni attribuite a giudici singoli», esprime una chiara e precisa opzione della Costituzione in favore del ricorso alla figura del giudice onorario, che va rettamente intesa ed adeguatamente realizzata. La sua realizzazione determinerebbe inoltre la possibilità di eliminare le figure di giudici onorari presso gli uffici del giudice professionale (diverse, ovviamente, da quelle riconducibili all'articolo 102, secondo comma, della Costituzione), che hanno giustamente sollevato reiterate proteste da parte del ceto forense e non contribuiscono all'immagine dell'imparzialità. La magistratura onoraria non deve essere appiattita su quella professionale; non va considerata un minus rispetto a quest'ultima, occorrendo invece valorizzarne la specificità per modellare una peculiare figura del giudice onorario, delle procedure che egli è chiamato ad applicare, della tipologia delle decisioni che è chiamato a rendere, che occorre siano improntate dal criterio della semplificazione e da una particolare attenzione alle differenti esigenze presenti nelle diverse parti del territorio nazionale;
occorre rimodulare le figure di giudici onorati attuali; ridisegnare la competenza del giudici di pace nella materia civile; modificare i requisiti di nomina del giudice di pace, conformandoli rispetto alle esigenze poste dalla sua definizione quale, essenzialmente, giudice di equità; «staccare» più nettamente la figura dei giudici di pace rispetto alla magistratura professionale, provvedendo alla definizione della sua figura in termini di autonomia e specificità rispetto a quella del giudice professionale che consenta di superare l'attuale precarietà;
f) per quanto riguarda la corruzione e il principio di legalità:
di fronte alla rilevanza e alla diffusione del fenomeno corruttivo, più volte denunciato dal procuratore generale della Corte dei conti come una delle cause del dissesto economico del Paese ed evidenziato, nel rapporto sull'Italia, dal gruppo contro la corruzione del Consiglio d'Europa (Greco) pubblicato nell'ottobre 2009, come «fenomeno corrente e generalizzato che tocca numerosi settori di attività in particolare l'edilizia, l'immobiliare il trattamento dei rifiuti, gli appalti pubblici ed il settore della sanità «, il Governo non ha assunto alcuna iniziativa concreta, a parte quella contenuta nella Legge delega per il Codice antimafia sulla tracciabilità dei finanziamenti pubblici, per la cui approvazione il gruppo PD si è fortemente battuto. Il Parlamento è stato infatti occupato, per gran parte dei primi tre anni di legislatura, ad approvare leggi ad personam: il primo «lodo Alfano», la legge sul legittimo impedimento, il processo breve, le intercettazioni telefoniche, il «lodo Alfano» costituzionale. L'unico provvedimento che è riuscito ad approvare in questa materia è stato la ratifica delle Convenzione civile sulla corruzione fatta a Strasburgo il 4 novembre 1999, mentre ancora sono in corso di esame nelle Commissioni II e III del Senato, le proposte di ratifica della Convenzione penale sulla corruzione;
g) per quanto riguarda le professioni:
occorre valorizzare le nuove professioni e regolare in forma innovativa, adeguata ai sistemi europei, quelle ordinistiche, garantendo una competizione leale tra professionisti ed una tutela a favore dei consumatori e dei cittadini della qualità delle prestazioni professionali;
è necessario garantire ai professionisti sistemi previdenziali ed assistenziali adeguati;
va consentito ai giovani un accesso alla professione basato sul merito e alle donne va garantita la piena parità nell'esercizio dell'attività professionale;
occorre consentire ai professionisti di accedere ai benefici ed alle misure di sostegno previsti per le attività economiche commerciali, industriali e del terziario;
è necessario offrire misure concrete di sostegno all'innovazione, alla ricerca ed alla crescita dell'occupazione anche in questo settore;
bisogna incoraggiare l'approvazione di un moderno assetto della professione forense, basato sull'accesso fondato sul merito, sulla formazione permanente, sulle specializzazioni e su regole deontologiche rigorosamente garantita da un sistema disciplinare imparziale;
sempre a proposito di quella forense occorre favorire l'autodeterminazione della categoria e la sua partecipazione attiva all'amministrazione della giustizia come soggetto di rilevanza costituzionale;
infine è importante sostenere e promuovere la crescita delle associazioni professionali;
non le approva.
(6-00058)
«Franceschini, Ventura, Maran, Villecco Calipari, Ferranti, Andrea Orlando, Amici, Boccia, Lenzi, Quartiani, Giachetti, Rosato, Capano, Cavallaro, Ciriello, Concia, Cuperlo, Melis, Picierno, Rossomando, Samperi, Tenaglia, Tidei, Touadi».

La Camera,
premesso che:
l'amministrazione della giustizia in Italia viene avvertita - tanto dai cittadini quanto dal sistema imprenditoriale interno e straniero - come arretrata, distante dai bisogni sociali e incapace di contribuire al progresso civile ed economico;
il sistema di amministrazione della giustizia influisce in maniera diretta sulla crescita economica e sullo sviluppo sociale del Paese ed ogni inefficienza di tale sistema trasferisce i suoi effetti negativi sul livello di ricchezza e benessere nazionali;
la lentezza e l'obsolescenza delle procedure e l'imprevedibilità degli esiti dei processi sono le cause fondamentali che contraddicono i diritti individuali, compromettono il buon andamento dell'economia e finiscono per sfociare nell'irragionevolezza;
premesso, inoltre, che riformare la giustizia deve significare anzitutto:
rendere la struttura giudiziaria nel suo complesso moderna e tecnicamente adeguata, con investimenti programmati ed adeguati ai risultati;
ottenere giudizi più rapidi, attraverso una radicale e razionale riforma del sistema (in particolare, rivedendo completamente le procedure ed i riti, tanto quelli civili quanto quelli penali, in maniera sistematica e non per interventi approssimativi ed episodici, e coinvolgendo nell'analisi critica la magistratura, l'avvocatura, le cancellerie, l'università ed il mondo accademico);
rendere maggiormente prevedibili le conseguenze giuridiche dei comportamenti dei cittadini;
l'attuale irragionevole durata dei processi è determinata da una pluralità di fattori, su cui bisogna agire congiuntamente, ma la necessaria svolta sul piano organizzativo non può essere di per sé strumento sufficiente a risolvere le forti criticità presenti;

udite le comunicazioni del ministro sull'amministrazione della giustizia,

impegna il Governo,

ed in particolare il ministro della giustizia, ad intraprendere tutte le iniziative necessarie ad intervenire:
I) nel campo dell'organizzazione giudiziaria, ossia nella materia che principalmente dovrebbe occupare l'ambito amministrativo di gestione del Ministero della giustizia e che soffre di lacune ed amnesie gestionali ormai croniche.

La giustizia italiana patisce un'arretratezza tecnica e tecnologica ormai insopportabile: in un mondo in cui le relazioni personali e lavorative e le transazioni commerciali avvengono ormai sempre attraverso connessioni informatiche, a qualunque livello di importanza ed in ogni ambito territoriale internazionale, il «servizio giustizia» italiano non riesce a scrollarsi di dosso il retaggio antico della carta bollata e del timbro.
A fronte di richieste continue degli operatori della giustizia, a tutti i livelli, e dei cittadini utenti del servizio, abbiamo assistito negli anni soltanto a vuote affermazioni di principio e ad esercizi di retorica da parte del Governo, che si lamenta della lentezza della giustizia, propaganda futuri interventi modernizzatori e poi, in concreto, sottrae risorse al settore fino a determinarne il blocco delle attività.
Nei giorni scorsi si è consumato l'ultimo esempio concreto di tale politica «bifronte»: mentre il ministro della giustizia e quello della pubblica amministrazione convocavano conferenze stampa per presentare progetti su nuovi strumenti di comunicazione tra gli operatori di giustizia, il responsabile dei servizi informatici del Ministero di giustizia comunicava a tutti gli uffici giudiziari, con una scarna circolare burocratica, che l'assistenza informatica veniva sospesa dall'inizio del 2011 per la decurtazione dei capitoli di bilancio operata dal Ministero dell'economia. La circostanza che i fondi siano stati poi parzialmente recuperati a seguito della tempesta mediatica scatenatasi, non cambia i termini della questione, che riguarda la concezione stessa dell'organizzazione giudiziaria in Italia.
Perché la società civile possa godere di un efficiente servizio, occorre procedere ad un massiccio intervento organizzativo su diverse linee programmatiche:
investire in tecnologia ed aggiornamento professionale, sostituendo gli archivi cartacei con quelli informatici e permettendo l'accesso dei cittadini e degli operatori della giustizia alle pratiche e procedure burocratiche con l'ausilio delle reti elettroniche. Ciò non può prescindere da: 1) massicci ed oculati investimenti (a cosa serve acquistare e distribuire ai magistrati costosi e raffinati programmi di riconoscimento vocale, se mancano i computer sui quali far girare tali programmi?), con una programmazione costante ed a lungo termine; 2) distribuzione uniforme dei fondi su tutto il territorio nazionale, e non a macchia di leopardo, perché la modernizzazione del sistema sia fruibile ovunque; 3) gestione condivisa con gli operatori del servizio, perché la modernizzazione possa risolvere i problemi pratici e non crearne di nuovi;
procedere finalmente alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie, eliminando i piccoli uffici (solo formalmente efficienti in quanto destinatari di carichi di lavoro insufficienti) ed aumentando gli organici di quelli in sofferenza: tutte le migliori riforme delle procedure non serviranno a far funzionare meglio tribunali comunque sovraccarichi;
aumentare gli organici dei magistrati in maniera da riequilibrare il rapporto tra magistrati e procedimenti assegnati pro capite (uno dei più alti a livello continentale, come sempre confermato dai rapporti del Consiglio d'Europa) e sbloccare il blocco delle assunzioni di personale di cancelleria nel comparto giustizia;
allo stesso tempo, introdurre strumenti normativi di deflazione del numero delle controversie giudiziarie, dall'introduzione di cauzioni e penali percentuali in caso di soccombenza alla limitazione del numero degli avvocati: secondo le statistiche pubblicate dal Consiglio degli Ordini forensi europei (CCBE) relative all'anno 2008, risultavano 213.000 avvocati operanti in Italia, quando la Francia ne contava 47.765, la Germania 146.910, la Spagna 154.953, il Regno Unito 155.323. Lo scorso anno, nel corso dell'inaugurazione dell'anno giudiziario presso la Corte di Cassazione, sono stati forniti i dati dei rapporti numerici tra avvocati e giudici: in Italia, il rapporto è di 26,4 avvocati per ogni giudice; in Francia tale rapporto è di 7,1:1, in Germania di 6,9:1, in Inghilterra di 3,2:1. Questo quadro è completato dal numero degli avvocati abilitati a patrocinare presso le Corti superiori (in Italia, i cc.dd. cassazionisti), che nel nostro Paese sono 44.817, mentre in Francia solo 95 ed in Germania appena 44. Possiamo permetterci la litigiosità giudiziaria favorita da questo enorme numero di avvocati?
intervenire celermente nel settore delle notifiche degli atti. Nella relazione del ministro della giustizia sullo stato dell'amministrazione della giustizia in Italia comunicata al Parlamento nel gennaio del 2010, si leggeva tra l'altro: «Tra questi dipendenti, ben 5.183 (circa il 12 per cento) sono impegnati ad effettuare 28 milioni di notifiche manuali ogni anno (pari a 112.000 notifiche al giorno), di cui oltre la metà destinate agli avvocati. Circa il 12 per cento dei soli processi penali viene rinviato per omessa o irregolare notifica». Tuttavia, nonostante che la questione sia ben presente anche all'esecutivo, nulla è stato fatto per porvi rimedio, nemmeno comprendere quanto costi ogni giorno allo Stato questo enorme spreco di risorse.

Diverse sono le proposte parlamentari pendenti in materia, e tra le prime ad essere state presentate risulta l'A.S. 1287 (su proposta del senatore D'Alia), che suggerisce la soluzione della diffusione dell'utilizzo della posta elettronica certificata e della domiciliazione obbligatoria dell'imputato presso il difensore di fiducia: da qui occorre partire per recuperare efficienza per il servizio giustizia;
il 13 gennaio del 2010 il Governo ha dichiarato lo stato emergenziale in relazione allo stato delle carceri italiane e nello stesso tempo ha varato un «piano-carceri» sulla cui esecuzione, a distanza di un anno, nulla più è dato sapere. La situazione delle carceri italiane è realmente emergenziale, con un sovraffollamento accertato di oltre 24.000 detenuti rispetto ai 43.000 posti disponibili (il totale dei detenuti supera ormai i 67.000). La polizia penitenziaria soffre di paurose vacanze organiche. Ma ciò che soprattutto stupisce è che nessun progetto operativo, nessuna scadenza, nessuna programmazione risulta in ordine all'ampliamento ed all'ammodernamento dell'apparato carcerario italiano: l'unica soluzione prospettata sembra essere quella di ampliare il sistema delle sanzioni alternative alla detenzione. Nel frattempo, mentre il numero dei suicidi in carcere aumenta costantemente, il direttore del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (che, in quanto commissario per l'emergenza carceri, dovrebbe guidare l'attività di soluzione della crisi) si pone l'obiettivo di progettare la creazione di una linea aerea del D.A.P. per le traduzioni dei detenuti, come egli stesso ha affermato in audizione davanti alla Commissione parlamentare antimafia il 25 maggio 2010, ritenendo che la creazione di una linea aerea dedicata sia soluzione più economica dell'uso di aerei di linea. Occorre che il Governo utilizzi, allora, le migliori e più adatte professionalità per risolvere, con una programmazione rapida, il problema logistico degli istituti di pena, perché la giustizia sia civilmente esercitata anche nella sua fase repressiva. E questo impegno deve essere assunto come realmente prioritario;
infine, occorre una razionale ed efficiente gestione dei fondi. Nella relazione resa al Parlamento lo scorso anno, il ministro della giustizia ha affermato che «La giustizia costa 8 miliardi di euro l'anno, cioè circa 30 milioni di euro per ogni giornata lavorativa»; non ci ha detto, però, quanto la giustizia rende allo Stato, quanti miliardi di euro produce con le confische, con la prevenzione e repressione dei reati e con la risoluzione delle controversie civili. Chiediamo con decisione che sia verificato tale dato e che sia in tal maniera calibrata la destinazione percentuale di risorse al comparto. Il decreto-legge n. 143 del 2008, convertito nella legge n. 181 del 2008, recante «Interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario», ha istituito il «Fondo unico giustizia» con l'obiettivo di razionalizzazione della gestione delle somme amministrate da devolvere ai Ministeri dell'interno e della giustizia, per la tutela della sicurezza e del soccorso pubblico e per il potenziamento dei propri servizi istituzionali. Tuttavia, con una modifica introdotta dall'articolo 2 della legge 27 febbraio 2009, n. 14 si è previsto che con un D.P.C.M. stabilisca - fino al massimo del 30 per cento delle sole risorse oggetto di sequestro penale o amministrativo - le quote delle risorse intestate al «Fondo unico giustizia»; tali quote vengono poi smistate: in misura non inferiore ad 1/3 al Ministero dell'interno per la tutela della sicurezza pubblica e del soccorso pubblico; in misura non inferiore ad 1/3 al Ministero della giustizia per assicurare il funzionamento e il potenziamento degli uffici giudiziari e degli altri servizi istituzionali; all'entrata del bilancio dello Stato. In tal modo la dotazione delle risorse volte ad assicurare il funzionamento ed il potenziamento degli uffici giudiziari e degli altri servizi del Ministero della giustizia è stata drasticamente ridotta, ed una ben minima parte degli oltre 1.590.000.000 di euro confluiti lo scorso anno nel F.U.G. sarà destinata ai servizi giudiziari. Appare quantomai opportuno che gli enormi ricavi della giustizia siano destinati prioritariamente all'organizzazione ed ai servizi giudiziari, per auto-alimentarli: è un meccanismo perverso quello di un erario che sottrae le risorse ad un settore efficiente (rendendolo così meno efficiente) per destinarle a settori deficitari e ad amministrazioni in perdita.
II) nel settore civile, dove anche di recente si è proceduto attraverso una successione di mini-riforme settoriali, spesso scollegate l'una dall'altra, che hanno avuto l'inevitabile effetto di moltiplicare i fattori di disfunzione. In particolare si segnala che:
a) una riforma all'insegna della razionalizzazione dovrebbe incidere prioritariamente sulla pluralità di riti. In un sistema a grado d'appello generalizzato, che si ritiene utile conservare e auspicabilmente potenziare, la garanzia della collegialità è comunque assicurata al cittadino. Nulla dovrebbe ostare, allora, all'introduzione del giudice monocratico in tutto il primo grado del processo civile, il che consentirebbe di dare vita a un unico rito ordinario di cognizione;
b) l'assunzione della prova in contraddittorio davanti ad un giudice terzo dovrebbe rappresentare una garanzia imprescindibile per i cittadini. E tuttavia il sistema non appare oggi in grado di assicurare in concreto detta garanzia. La necessaria alternativa a questa situazione non può essere rappresentata solo da una prova assunta in forma scritta (che, peraltro, introdotta di recente, non ha dato alcun concreto e percettibile frutto in senso acceleratorio della procedura, perché sentita come estranea alle nostre tradizioni socio-giuridiche);
c) è indispensabile affrontare il problema della deflazione del contenzioso giudiziale. In quest'ottica, occorre ripensare il precetto di cui all'articolo 24 della Costituzione, immaginando forme di tutela dei diritti anche non «giudiziali». I cosiddetti strumenti alternativi di risoluzione delle controversie vanno potenziati; i giudizi che hanno finalità di mera liquidazione di diritti sostanzialmente incontroversi, per i quali resta indispensabile la funzione di un'autorità «terza» ma non di un vero e proprio processo, potrebbero essere affidati a quei «cittadini idonei estranei alla magistratura» di cui parla proprio l'articolo 102 della Costituzione; occorrerebbe, infine, puntare decisamente sulla sperimentazione di arbitrati di derivazione contrattuale del genere «obbligatorio» (ad esempio in campo previdenziale), senza per questo rinunciare all'introduzione di modelli arbitrali di derivazione legislativa. In quest'ottica, appare imprescindibile che il sistema della «mediazione civile e commerciale» introdotto dalla legge n. 69 del 2009 entri in vigore senza ritardi e senza tentennamenti e che sia poi verificata la possibilità di una sua estensione operativa;
d) è necessario rivedere l'attuale sistema delle impugnazioni. Tre gradi di giudizio generalizzati, infatti, sono difficilmente compatibili con il precetto costituzionale della ragionevole durata del processo. Appare assai opportuna la previsione della non ricorribilità per Cassazione nell'ipotesi di «doppia conforme» sul fatto. Si potrebbe anche, più radicalmente, eliminare la facoltà di ricorso per Cassazione per «insufficiente o contraddittoria motivazione»; il che, per un verso non lederebbe il principio costituzionale di cui al comma 6 dell'articolo 111 della Costituzione e, per altro verso, consentirebbe l'adozione di provvedimenti giurisdizionali in forma particolarmente sintetica;
III) nel settore penale, poiché il sistema è oggi largamente inefficace: ciò sia per il corto circuito determinato dal rapporto tra lunghezza dei processi e termini di prescrizione, sia per il carattere virtuale che la pena ha assunto in troppi casi, non essendo più in grado di svolgere alcuna funzione deterrente (tanto che in tale sistema di sanzioni virtuali, i provvedimenti cautelari, anche per la loro rilevanza mediatica, hanno ormai assunto una funzione sostanzialmente surrogatoria della pena). In tale settore occorrerebbe seguire le seguenti indicazioni:
a) è necessario un intervento efficiente e razionale sul terreno degli istituti della contumacia, delle notifiche, della durata del processo. Fatto salvo il principio che non deve celebrarsi un processo a carico di imputato che ne abbia avuto provata conoscenza, la nomina del difensore dovrebbe valere comunque come elezione di domicilio ai fini di tutte le comunicazioni, anche in via telematica. Le notifiche, che pesano enormemente sulla lunghezza del processo, devono essere completamente rivedute, con sistemi telematici ed informatici (e con le relative modifiche normative e finanziarie) ed anche, se necessario, privatizzando in tutto o in parte il sistema. L'irragionevole durata del processo - come è noto, una pena in sé - non può giustificare l'ampliamento dei termini di prescrizione. E tuttavia, nell'attuale situazione, termini di prescrizione brevi comportano un indiretto effetto-amnistia. È necessario intervenire, dunque, attraverso un bilanciamento dei diritti fondamentali delle parti processuali. Non è pensabile, però, che il diritto del cittadino a non essere sottoposto a tempo indefinito a un «processo» possa essere tutelato attraverso progetti legislativi che introducano istituti astrusi ed estranei alla tradizione giuridica, quale quello della «prescrizione processuale» che, come attualmente congegnato, determinerebbe non il miglioramento ma il collasso del sistema giudiziario penale;
b) per l'adozione dei provvedimenti cautelari personali maggiormente limitativi della persona (la custodia in carcere e gli arresti domiciliari), assunti inaudita altera parte, può ipotizzarsi l'introduzione di una regola di competenza collegiale - almeno per le ipotesi di reato più gravi - con previsione di sistemi di salvaguardia dai pericoli di incompatibilità (ad esempio utilizzando il sistema della competenza distrettuale già prevista per i reati di mafia);
c) quanto alle intercettazioni telefoniche, restano fermi gli emendamenti proposti al disegno di legge del Governo. In particolare, chiarito che le intercettazioni sono uno strumento di indagine indispensabile e che i numeri dei soggetti intercettati appaiono (se ben ponderati) congrui rispetto ai risultati programmati ed ottenuti, ciò che maggiormente rileva dal punto di vista pratico è la questione dell'economicità di gestione del servizio: sotto questo aspetto, non possono che ribadirsi le soluzioni già prospettate nel corso dei lavori parlamentari sotto forma di emendamento al testo governativo, ossia la necessità di introdurre un sistema di noleggio centralizzato delle apparecchiature tecniche e di prevedere obblighi di fornitura gratuita dei dati telefonici a carico dei gestori di telefonia, pubblici concessionari;
d) nessuna seria efficacia deterrente potrà essere assicurata dal sistema penale se la pena non torna ad essere effettiva. Si conferma la necessità di una rivisitazione della legislazione penale ispirata al principio di residualità: occorre, in sostanza, una drastica depenalizzazione, accompagnata da istituti quali l'oblazione nel processo penale per i reati bagatellari, l'archiviazione per irrilevanza del fatto, e soprattutto, nella doverosa ottica di tutela delle vittime, l'estinzione del reato in seguito a condotte riparatorie (tutte proposte già oggetto di specifiche iniziative parlamentari). È assolutamente indispensabile, poi, una profonda revisione del modello sanzionatorio, che riduca l'utilizzazione della pena detentiva (troppo spesso tanto apparentemente pesante quanto nei fatti meramente virtuale) e la sostituisca con pene alternative alla detenzione (interdittive, prescrittive o ablative), commisurate alla gravità del fatto ed effettive. Anche la pena detentiva, ove irrogata, deve essere effettivamente scontata. In proposito, è necessario ripensare tanto l'istituto della sospensione condizionale della pena, quanto l'impianto della legge Simeone-Saraceni. In ogni caso, per restituire certezza alla pena, detentiva o meno, occorre affidare al giudice che l'ha irrogata anche la decisione circa le concrete modalità di esecuzione della stessa; infine, occorre che la pena sia scontata secondo criteri di civiltà e modernità, in istituti di pena nuovi ed adeguati e con personale di vigilanza ed assistenza sufficiente ed idoneo;
e) in materia di contrasto alle organizzazioni mafiose, occorre anzitutto rendere il giusto omaggio alle Forze di polizia ed alla magistratura specializzata, che hanno ottenuto risultati mai raggiunti finora, con l'arresto di pericolosissimi latitanti, il sequestro e la confisca di beni mafiosi per miliardi di euro e indagini a tutto campo con centinaia di indagati ed arrestati. Il sistema normativo è stato arricchito, su condivisibile impulso del ministro dell'interno, da una riforma della legislazione in materia di misure di prevenzione patrimoniali, che ha accolto le proposte e le indicazioni provenienti da anni dalla magistratura di prevenzione e dai lavori delle Commissioni parlamentari antimafia; tale risultato deve essere valutato in maniera positiva. Tuttavia, con la legge n. 136 del 2010, il Governo ha ottenuto dal Parlamento una delega per il riordino della normativa antimafia in un testo unico: quella delega si segnala per alcuni profili di genericità per ciò che attiene alla normativa primaria tali che, perché non diventi una "delega in bianco", sollecitiamo con forza il Governo (ed in particolare il ministro della giustizia) ad attenersi nel suo esercizio al contenuto dell'ordine del giorno G1, approvato dal Senato della Repubblica il 3 agosto del 2010, che fissa per l'appunto i limiti dell'esercizio di tale delega.
IV) nei rapporti istituzionali, poiché affrontare il tema della giustizia significa inevitabilmente considerare l'assetto dei diversi poteri quale delineato dalla nostra Costituzione, in particolare dal titolo IV della stessa.

La Costituzione è una cornice all'interno della quale è disegnato un delicato equilibrio tra i diversi poteri dello Stato. Sarebbe errato, dunque, pensare a interventi di modifica costituzionale «parcellizzati» e limitati solo ad uno o alcuni di questi. Occorre considerare, invece, l'evoluzione che l'assetto dei poteri ha subito dal 1948 ad oggi, determinando un innegabile squilibrio rispetto all'originario disegno costituzionale. È necessario, insomma, riflettere sulla complessiva dinamica evolutiva dei poteri, con lo scopo di assicurare un nuovo equilibrio che rifletta l'aggiornata organizzazione politico-sociale. In particolare:
a) l'azione penale deve restare obbligatoria, a garanzia del principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Si impone, tuttavia, una riflessione sui criteri di priorità nell'esercizio dell'azione penale, oggi sostanzialmente discrezionali. Appare necessario porre mano ad una riforma che realizzi un sistema di individuazione periodica delle priorità nella trattazione degli affari penali, selezionandoli in ragione della loro rilevanza e gravità.

Occorre, dunque, un intervento che si articoli in un rapporto di cooperazione istituzionale in duplice direzione: periodicamente dovrebbe funzionare un raccordo in senso sia discendente che ascendente tra il Consiglio superiore della magistratura e le articolazioni territoriali dell'autogoverno rappresentate dai Consigli giudiziari; dall'altro lato, dovrebbe operare il medesimo raccordo tra il Consiglio superiore della magistratura, il Parlamento ed il ministro della giustizia, al fine di fissare i criteri di priorità nell'esercizio dell'azione penale sulla base delle proposte provenienti dai diversi ambiti territoriali;
b) se l'azione penale deve restare obbligatoria, il pubblico ministero, che la esercita, deve restare un magistrato indipendente. Occorre porsi, tuttavia, il problema di un bilanciamento del potere che oggettivamente - anche per ragioni legate alle dinamiche del sistema mediatico - il pubblico ministero esercita oggi in tutte le democrazie contemporanee. In proposito, l'ipotizzata separazione delle carriere tra pubblico ministero e giudici non sembra risolutiva, di per sé, dei problemi indicati. Infatti, con la separazione e la conseguente nascita della figura del «P.M. a vita» verrebbero inevitabilmente accentuati gli elementi negativi che si vorrebbero eliminare (a cominciare dall'affievolimento della cultura della giurisdizione);
c) il legame inscindibile tra potere e responsabilità del magistrato implica la soluzione del problema del controllo sul lavoro del magistrato. In proposito, occorre introdurre un sistema informatico di rilevazione statistica uniforme e generalizzato, al fine di consentire una misurazione della quantità e qualità del lavoro dei magistrati; ciò anche al fine di prevedere sistemi adeguati di premialità (economica e di carriera) per il conseguimento di risultati oggettivamente apprezzabili. Da sostenere e da rendere normativamente cogente appare poi la diffusione delle cosiddette best practices, introdotte già da anni in molti uffici giudiziari per iniziativa autonoma. Invece appare da respingere il tentativo di ampliare il campo di azionabilità della responsabilità civile dei magistrati, con la modifica della legge n. 117 del 1988 proposta da alcune forze parlamentari: modifiche del sistema che permettano l'azione diretta del cittadino, senza limiti, nei confronti del magistrato renderebbero quest'ultimo ostaggio della propria attività e avrebbero come risultato facilmente pronosticabile una paralisi delle decisioni giudiziarie;
d) il rilevante ruolo ormai assunto dalla cosiddetta magistratura onoraria nel nostro ordinamento, e quello ancor più rilevante che potrebbe assumere, impongono di affrontare senza equivoci il problema della sua collocazione ordinamentale. In primo luogo, occorre superare l'equivoco in cui continua a dibattersi la figura del giudice di pace, e scegliere definitivamente tra «modello di prossimità», che privilegia il giudizio secondo equità, e «modello semiprofessionale».

Questa presa d'atto rende ineludibile garantire la professionalità iniziale e permanente del giudice di pace, nonché il rispetto delle regole deontologiche. Si devono individuare, insomma, criteri più stringenti degli attuali sia per selezionare i giudici di pace, sia per controllarne l'operato, sia sotto il profilo delle incompatibilità; il che potrà essere assicurato solo inserendo a pieno titolo il giudice di pace nel sistema di governo autonomo della magistratura. Distinto e diverso è il problema dei magistrati onorari propriamente detti quali giudici onorari di tribunale e vice procuratori onorari, le cui funzioni - considerata l'attuale insostituibilità - devono essere adeguatamente normate;
e) in tutto il mondo, l'affermazione dello stato sociale ha comportato nelle democrazie la progressiva espansione del «potere dei giudici»; e poiché ad ogni potere deve corrispondere pari responsabilità, una maggiore responsabilizzazione del magistrato è corollario indispensabile dei nuovi poteri acquisiti. A sua volta, corollario della responsabilità è l'esistenza di un affidabile sistema che consenta di limitare e, ove necessario, reprimere i comportamenti «irresponsabili». Il che non deve affatto comportare una riduzione delle garanzie di autonomia e di indipendenza di coloro che esercitano funzioni giurisdizionali, quali delineate dalla nostra Costituzione, ma deve tendere, al contrario, a rafforzarle e generalizzarle attraverso una riforma del sistema di governo autonomo che quelle garanzie assicura. Occorre ribadire la validità del modello pluralistico dell'assetto dei poteri delineato dalla Costituzione, sottolineando che non può esservi alcuna gerarchia tra potere politico legittimato dalla volontà popolare e poteri neutri di controllo che fondano differentemente la propria legittimazione. Invece, occorre sottoporre a costante verifica ed adeguamento normativo il sistema disciplinare rimesso alle competenze del C.S.M., che pure in anni recenti è stato profondamente innovato;
f) è assolutamente necessario dare vita ad un'unica figura di magistrato, con identità di percorsi di accesso, di diritti e di doveri, di garanzie e di indipendenza, di regole di carriera e regole disciplinari. È giunto il momento di realizzare l'unità della giurisdizione, rendendo comune il percorso professionale dei magistrati ordinari e di quelli speciali (amministrativi, contabili, militari). Il che non significa necessariamente unificazione materiale delle giurisdizioni, ma deve significare almeno unificazione del sistema di governo autonomo delle magistrature, dei percorsi di accesso e progressione delle carriere. Una simile soluzione, per un verso, comporterebbe il rafforzamento delle garanzie di indipendenza di tutti i magistrati a prescindere dalle funzioni svolte, attraverso la «costituzionalizzazione» del governo della magistratura amministrativa, di quella contabile, e di quella militare; per altro verso, consentirebbe se non di eliminare, certamente di diluire il tasso di corporativismo inscindibilmente connesso all'autogoverno di un corpo burocratico. Si passerebbe così da un «Consiglio superiore della magistratura» (insieme a tanti organi più o meno a questo assimilabili, quante sono le magistrature speciali) al «Consiglio superiore delle magistrature», all'interno del quale la disarticolazione delle logiche corporative e correntizie si realizzerebbe anche attraverso il necessitato confronto tra le diverse culture delle varie magistrature. L'unificazione del governo autonomo delle magistrature consentirebbe di affrontare in un'ottica unitaria anche il tema della responsabilità disciplinare dei magistrati nonché quello dei limiti alle attività extragiudiziarie che soffrono oggi di rilevanti differenze di regolamentazione (e che incidono grandemente sull'efficienza del servizio, sottraendo preziose risorse alla giurisdizione);
g) il rilievo costituzionale dell'avvocatura, quale tramite necessario per l'affermazione del diritto alla giustizia del cittadino, rende la riforma dell'ordinamento professionale un tassello indispensabile di una più complessiva riforma della giustizia. La professionalità dell'avvocato rappresenta corollario indispensabile del rilievo costituzionale della professione forense, e deve dunque essere garantita al cittadino-cliente attraverso più stringenti controlli tanto nella fase di accesso quanto nel corso della vita professionale. Il fatto di non avere proceduto contestualmente alla riforma dell'ordinamento giudiziario e di quello forense ha determinato una profonda crisi di fiducia da parte dell'avvocatura nei confronti delle forze politiche che occorre cercare di recuperare. Il progetto di riforma dell'ordinamento forense è un'occasione imperdibile per migliorare e modernizzare una professione tanto rilevante in campo sociale.

Occorre che, nel dibattito parlamentare, il Governo solleciti l'inserimento nel progetto in discussione di misure che incentivino la competitività, che favoriscano la formazione continua dei professionisti e che permettano ai più meritevoli, soprattutto ai giovani, di fare strada nella professione, non lasciando questa prospettiva appannaggio soltanto di chi parta da situazioni di vantaggio economico e sociale. Si ragioni, ad esempio, sulla possibilità di affidare la competenza disciplinare a un soggetto terzo rispetto all'ordine professionale di appartenenza, di concedere borse di studio a favore dei tirocinanti e di anticipare la pratica forense già agli ultimi anni del percorso universitario.
(6-00059)
«Casini, Rao, Ria, Bocchino, Moroni, Angela Napoli, Tabacci, Lanzillotta, Lo Monte, Pisicchio, Melchiorre, Tanoni».

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

Misure a favore dei pastori e degli allevatori sardi - 3-01406

PALOMBA, DI PIETRO, DI GIUSEPPE, ROTA, EVANGELISTI e BORGHESI. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
la pastorizia sarda produce l'80 per cento del latte ovicaprino italiano, rappresentando così un'industria di straordinaria importanza per l'economia italiana e sarda, in quanto basata sulla produzione e non sulla virtualità o sul terziario;
questo comparto sardo, che si regge sugli enormi sacrifici degli allevatori-produttori, incontra gravissime difficoltà perché il prezzo del latte non è remunerativo dei costi e dei sacrifici incontrati per produrlo, mentre la trasformazione, concentratasi prevalentemente sulla fabbricazione del pecorino romano, trova difficoltà di collocazione e dà luogo ad un rilevante stoccaggio del prodotto;
gli allevatori sardi hanno più volte lanciato grida accorate con richieste di soccorso anche alla regione Sardegna;
il Movimento pastori sardi, dopo le manifestazioni di cui si è reso protagonista a Cagliari ed in altre parti dell'isola, afferma di non avere ricevuto risposte dalla regione Sardegna attraverso la recente legge regionale in materia, che esso definisce una «truffa», in quanto non dà risposte strutturali al comparto, ma si risolve in una parziale elargizione a pioggia, che presenta aspetti, ad avviso degli interroganti, clientelari e non di sistema, che viene lasciato morire senza risposte;
gli allevatori sardi protestano e manifestano per evitare che muoiano essi stessi e l'intero comparto, che è essenziale per l'economia sarda e nazionale, chiedendo l'intervento delle autorità regionali, nazionali ed europee;
per questa ragione una numerosa delegazione di allevatori aderente al Movimento pastori sardi il 28 dicembre 2010 si è recata a Roma in nave, per protestare contro la mancanza di interventi strutturali in favore del comparto e per chiedere la comprensione e l'intervento del Governo nazionale in Italia ed in Europa;
per tutta risposta, invece che trovare ascolto in nome di diritti costituzionalmente garantiti, hanno trovato la polizia che li ha fermati a Civitavecchia, compiendo - ad avviso degli interroganti - un grave abuso, che ha leso il diritto alla libertà di manifestazione, abuso di cui è responsabile anche il Ministro interrogato, che non è intervenuto al fine di consentire che i pastori potessero rappresentare le loro ragioni presso le sedi istituzionali nazionali;
una discriminazione sarebbe stata, dunque, operata tra pastori sardi ed allevatori nordisti e leghisti. Questi ultimi sono stati visti occupare indisturbati la sede stradale con i trattori ed abbandonarsi ad atti violenti (mentre il Movimento dei pastori sardi non ne ha posto in essere), malgrado ciò venendo accontentati con l'accollo allo Stato delle multe per la violazione del regime europeo delle quote latte da loro operata;
di fronte a due identiche vertenze e a due industrie del latte sembrano, perciò, essere stati applicati due pesi e due misure -:
quali iniziative urgenti intenda assumere il Ministro interrogato per dare risposte concrete alle legittime richieste dei pastori e degli allevatori sardi, al fine di valorizzare la produzione lattiero-casearia propria del territorio sardo. (3-01406)
(18 gennaio 2011)

Iniziative per il contrasto della pesca illegale - 3-01407

BALDELLI e CATANOSO. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
è ormai consolidato il dato che attesta il progressivo svuotamento dei mari delle risorse ittiche;
le più recenti stime a riguardo confermano che le attuali raccolte di pesce superano, sette volte su dieci, il livello considerato sostenibile, imponendo una più rigorosa attenzione da parte degli operatori internazionali;
uno dei principali ostacoli alla conservazione di dette risorse risiede certamente nel comportamento di quegli Stati o quelle navi da pesca che operano al di fuori o in totale noncuranza delle regole poste a tutela dell'ambiente;
l'Italia è finita nella lista nera del Noaa (National oceanic and atmospheric administration) per la pesca illegale, non dichiarata e non documentata;
contrastare la pesca illegale con la politica della «tolleranza zero» rappresenterebbe un elemento molto positivo in un settore, come quello ittico, che nel giro di due anni ha perso il 12 per cento della produzione e l'11 per cento dei ricavi sulla base degli ultimi dati resi noti dall'Irepa, l'Istituto di ricerche economiche per la pesca e l'acquacoltura -:
quali siano le iniziative del Ministro interrogato per combattere la pesca illegale nei mari italiani. (3-01407)
(18 gennaio 2011)

Orientamenti del Governo in merito alla gara per l'assegnazione delle frequenze digitali terrestri, con particolare riferimento alla partecipazione della società Sky Italia - 3-01408

DELLA VEDOVA. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
il 20 luglio 2010 la Commissione europea ha autorizzato l'azienda Sky Italia a partecipare alla gara (beauty contest) per l'assegnazione delle frequenze digitali terrestri, accettando, come scritto in una nota ufficiale, «di sollevare l'azienda da un impegno sottoscritto nel 2003 che impediva - fino al 31 dicembre 2011 - di partecipare alla gara di aggiudicazione frequenze per la televisione digitale terrestre»;
per la sua decisione la Commissione europea si è basata sulle mutate condizioni del mercato tra il 2003 e il momento della richiesta: alcuni fattori, come l'ingresso nella pay-tv italiana di nuovi soggetti e la grande crescita del digitale terrestre, hanno, di fatto, eliminato i rischi per la concorrenza alla base dell'impegno del 2003;
prima dell'autorizzazione della Commissione europea, di fronte alla manifestazione di interesse di Sky Italia alla partecipazione alla gara, l'allora Vice Ministro dello sviluppo economico, Paolo Romani, ipotizzava l'esistenza nel nostro ordinamento di norme che, in presenza di determinate condizioni, vietino il controllo del capitale di un operatore di rete televisiva da parte di un soggetto extracomunitario (Sky Italia è, infatti, controllata da News corp, società di nazionalità statunitense);
in particolare, il Vice Ministro richiamava l'articolo 16 delle disposizioni sulle leggi in generale del codice civile («principio di reciprocità nel godimento da parte dello straniero degli stessi diritti goduti dagli italiani»), evidenziando come nel caso di specie fosse riscontrabile l'assenza di reciprocità tra la normativa statunitense e quella italiana;
in data 21 giugno 2010 il Ministero dello sviluppo economico ha richiesto al Ministero degli affari esteri un parere circa la sopra citata reciprocità tra Italia e Stati Uniti d'America: il degli affari esteri, con nota del 31 agosto 2010, ha rilevato come la normativa statunitense di settore (Communications act del 1934, successivamente emendato) vieti ad una società straniera di possedere una licenza radiotelevisiva, senza tuttavia pronunciarsi sull'applicazione nel caso specifico del principio di reciprocità;
la decisione della Commissione europea, nel frattempo intercorsa, ha aperto a questo punto un confronto verbale tra le autorità di Roma e Bruxelles, con il Commissario Almunia più volte intervenuto per sollecitare il Governo italiano a procedere in tempi rapidi all'indizione della gara per l'assegnazione dei multiplex della tv digitale, sulla base delle regole comunitarie;
in data 7 dicembre 2010, come ulteriore atto propedeutico e chiarificatorio, il Ministero dello sviluppo economico presentava al Consiglio di Stato un quesito al fine di «sgombrare ogni possibile equivoco - si legge in una nota di stampa diramata il giorno 9 dicembre 2010 dallo stesso Ministero - su come debba essere inteso il principio della reciprocità tra Stati, e non fra piattaforme tecnologiche, con particolare riferimento, ovviamente, a quelli extra Ue»; a tal fine, si chiedeva al Consiglio di Stato di interpretare la vigenza o meno di un principio generale stabilito nel comparto televisivo sin dalla «legge Maccanico», che per l'analogico prevedeva la reciprocità riferita al controllo societario, in aggiunta al principio di «stabilimento» per «qualsiasi impresa stabilita nella spazio economico europeo», come è indicato nella delibera 497/10/CONS dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni;
per la formulazione del parere, il Consiglio di Stato chiedeva, quindi, all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e al Ministero degli affari esteri di esprimere osservazioni a riguardo;
in data 14 dicembre 2010 l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha espresso il proprio parere, rilevando che - diversamente dalla disciplina delle concessioni radiotelevisive (articolo 3, comma 2, della legge n. 249 del 1997), in base alla quale il controllo delle società anche ubicate in Italia o in ambito comunitario da parte di soggetti extracomunitari è consentito solo a condizioni di piena reciprocità e - per quanto riguarda le attività di emittente e di operatore di rete in tecnologia digitale terrestre - è opportuno riferirsi al solo criterio dello stabilimento della società in Italia e/o nello spazio economico europeo, anche in applicazione di quanto previsto nel codice delle comunicazioni elettroniche;
il 17 dicembre 2010 il Ministero degli affari esteri inviava le proprie osservazioni al Consiglio di Stato, senza esprimersi in forma conclusiva, ma sostanzialmente senza concludere in alcun modo che un soggetto controllato da una società di diritto statunitense potesse essere escluso dalla gara in ragione della mancata reciprocità;
in data 20 dicembre 2010, il Consiglio di Stato, rispondendo alla richiesta di parere del Ministero dello sviluppo economico, evidenziava come il quesito fosse stato formulato dal Ministero stesso in termini troppo «generali e sintetici» e «privo di un'argomentata illustrazione dei punti problematici», invitando lo stesso - ove questo non trovi esaustive le risposte fornite dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e dal Ministero degli affari esteri, che, di fatto, consentono ad una società come Sky Italia di partecipare alla gara per l'assegnazione delle frequenze - a riformulare entro trenta giorni il quesito;
le recenti dichiarazioni del Ministro interrogato dell'11 gennaio 2011, pur ribadendo l'impegno ad una rapida risoluzione della questione, non chiariscono definitivamente la posizione del Governo: se l'Esecutivo, nelle parole del Ministro interrogato, pare essere in procinto di procedere all'indizione della gara, avendo accettato «in una visione europea la compatibilità» della partecipazione di Sky Italia alla gara, sembrano, tuttavia, sussistere «alcuni particolari rispetto alla disciplina di gara che vanno precisati nel rispetto del combinato disposto complessivo»;
i ritardi nell'indizione della gara hanno determinato uno stato d'incertezza per gli operatori del settore e rischiano di danneggiare il grado di competitività e innovazione del Paese, nonché la sua capacità di attrarre investimenti esteri nel settore delle nuove tecnologie digitali -:
se, sulla base di quanto espresso dal Consiglio di Stato e delle osservazioni a questo fornite dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e dal Ministero degli affari esteri, il Ministero dello sviluppo economico consideri definitivamente superati i dubbi relativi alla possibile partecipazione della società Sky Italia alla gara per l'assegnazione delle frequenze digitali terrestri o se vi siano ulteriori elementi ostativi alla pubblicazione del bando di gara entro le prossime settimane.
(3-01408)
(18 gennaio 2011)

Orientamenti del Governo in merito alla riforma del mercato della distribuzione dei carburanti - 3-01409

REGUZZONI, LUSSANA, LUCIANO DUSSIN, FOGLIATO, MONTAGNOLI, ALESSANDRI, ALLASIA, BITONCI, BONINO, BRAGANTINI, BUONANNO, CALLEGARI, CAPARINI, CAVALLOTTO, CHIAPPORI, COMAROLI, CONSIGLIO, CROSIO, DAL LAGO, D'AMICO, DESIDERATI, DI VIZIA, DOZZO, GUIDO DUSSIN, FAVA, FEDRIGA, FOLLEGOT, FORCOLIN, FUGATTI, GIDONI, GIANCARLO GIORGETTI, GOISIS, GRIMOLDI, ISIDORI, LANZARIN, MAGGIONI, MOLGORA, LAURA MOLTENI, NICOLA MOLTENI, MUNERATO, NEGRO, PAOLINI, PASTORE, PINI, PIROVANO, POLLEDRI, RAINIERI, RIVOLTA, RONDINI, SIMONETTI, STUCCHI, TOGNI, TORAZZI, VANALLI e VOLPI. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
l'aumento del prezzo del greggio è strettamente legato alle problematiche relative alla grande debolezza strutturale dell'approvvigionamento energetico del nostro Paese, che, a differenza degli altri Paesi dell'Unione europea, è privo di risorse energetiche proprie;
i continui rialzi dei prezzi della benzina e del gasolio non corrispondono tuttavia agli aumenti del costo del petrolio, che nell'ultimo mese ha fatto registrare un calo rispetto alle passate quotazioni, facendo paventare il rischio di possibili speculazioni;
l'effetto inevitabile è certamente quello di un generalizzato aumento dei prezzi che pesano sulle tasche degli automobilisti per 198 euro annui, di cui 108 euro per costi diretti e 90 euro per quelli indiretti;
da notizie di stampa, il Governo sembra abbia avviato una verifica degli andamenti dei prezzi dei carburanti anche per approfondire la questione della «doppia velocità», secondo la quale le compagnie petrolifere aumenterebbero il prezzo al dettaglio non appena si verifica un rialzo del prezzo internazionale del greggio e non farebbero altrettanto quando tale prezzo diminuisce;
sembrerebbe, poi, che il Governo sia intenzionato a convocare con urgenza un tavolo sui carburanti per definire la tanto attesa riforma di settore, la quale dovrebbe essere presto portata in Consiglio dei ministri;
occorre porre in essere strumenti maggiormente efficaci rispetto a quelli fino ad oggi adottati, che portino anche ad un rafforzamento della concorrenza e ad una maggiore trasparenza nel mercato della distribuzione dei carburanti;
di fronte ad una situazione così incerta e non più sostenibile si prospetta la necessità di un intervento immediato del Governo, con la rapida approvazione del disegno di legge di riforma del settore -:
se il Governo intenda dar seguito agli impegni annunciati in premessa e procedere quanto prima a dare attuazione alle misure di contenimento dei prezzi del petrolio, attraverso l'immediata attuazione della riforma del mercato della distribuzione dei carburanti, a tutela dei consumatori. (3-01409)
(18 gennaio 2011)

Decisione dell'Ufficio per la regolamentazione dei servizi ferroviari relativa alla soppressione delle fermate intermedie dei treni provenienti da Monaco e da Innsbruck, diretti a Bologna, Verona, Milano e Venezia - 3-01410

BRUGGER e ZELLER. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
da domenica 12 dicembre 2010, con l'entrata in vigore del nuovo orario invernale dei treni, sono state tagliate tutte le fermate dei treni eurocity delle ferrovie tedesche DB, austriache OBB e Le Nord nell'ambito del territorio regionale del Trentino-Alto Adige;
la decisione n. 659 del 6 dicembre 2010 dell'Ufficio per la regolamentazione dei servizi ferroviari, l'organo competente del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, prevede il taglio di tutte le fermate intermedie prima dei capolinea dei treni in arrivo da Monaco e da Innsbruck, diretti a Bologna, Verona, Milano, Venezia;
il danno per l'utenza è enorme: non solo vengono penalizzati i tanti pendolari che si recano per lavoro a Innsbruck e a Monaco, ma vengono fortemente danneggiati anche i turisti che specialmente in questa stagione si indirizzano verso l'Alto Adige per la stagione sciistica;
la decisione ha stabilito che il servizio ferroviario internazionale tra Germania, Austria e Italia sulla direttrice del Brennero non costituisce tratta internazionale;
la motivazione fornita a giustificazione di questa decisione si basa sul fatto che il «servizio di trasporto passeggeri svolto dalle compagnie austriache e tedesche comprometterebbe l'equilibrio economico dei contratti di servizio pubblico in termini di redditività dell'operatore Trenitalia»;
in verità l'operatore ferroviario Trenitalia non subisce alcun danno economico in virtù dell'accordo contrattuale esistente sulla base di una tariffa del tipo «gross cost», cioè un prezzo treno/chilometro sulla base del quale gli introiti tariffari non afferiscono all'impresa cui è affidato il servizio, ma sono versati alla provincia autonoma di Bolzano, che, a sua volta, provvede a compensare Trenitalia;
in sostanza l'intervento in questione non è altro che un'azione di tutela degli interessi di Trenitalia, che non offre lo stesso servizio agli utenti, ma non vuole che siano altre compagnie a svolgerli;
la decisione presa è fortemente lesiva del principio di libera concorrenza e in aperto contrasto con i principi ispiratori della politica europea relativa alla mobilità transnazionale. In particolare, la politica dei trasporti ferroviari transalpini deve orientarsi alla conservazione e al potenziamento dei servizi di trasporto regionale, che non devono essere sacrificati in seguito allo sviluppo dei servizi di lunga percorrenza;
in data 10 dicembre 2010 l'Ufficio per la regolamentazione dei servizi ferroviari ha adottato un provvedimento di sospensione della decisione n. 659 del 6 dicembre 2010 della durata di tre mesi;
la decisione in questione, come si legge dal comunicato stampa del Ministro interrogato di venerdì 10 dicembre 2010, è stata adottata per far in modo che: «in questi tre mesi di moratoria le imprese coinvolte trovino un accordo sulle fermate da effettuarsi»;
in data 16 dicembre 2010 la Commissione europea, Direzione generale mobilità e trasporti, ha inviato al Governo italiano una lettera con la quale comunica di essere stata informata della decisione n. 659 del 6 dicembre 2010 dell'Ufficio per la regolamentazione dei servizi ferroviari e delle severe restrizioni al diritto di DB, OBB e Le Nord di far salire e scendere passeggeri in stazioni situate sul territorio italiano sulla base di una richiesta presentata. La Commissione europea, nella lettera, precisa di essere stata anche informata della successiva decisione dell'Ufficio per la regolamentazione dei servizi ferroviari di sospensione per tre mesi degli effetti della decisione del 6 dicembre 2010;
nella lettera la Commissione europea manifesta di nutrire severi dubbi in merito alla conformità di queste decisioni alla direttiva 2007/58/CE, che disciplina l'apertura del mercato dei servizi e di trasporto internazionale di passeggeri, elenca i motivi e conclude facendo presente che la Commissione europea potrebbe considerare che l'Italia sia venuta meno agli obblighi che le incombono sulla base della direttiva 91/440/CEE, come modificata dalla direttiva 2007/58/CE e decidere di inviare una lettera di messa in mora in applicazione dell'articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea -:
se non ritenga il Governo, vista anche la lettera pre-infrazione inviata dalla Commissione europea, di dover intervenire immediatamente, ritirando la decisione assunta il 6 dicembre 2010 citata in premessa, che comporta gravi danni alla popolazione locale non solo per quanto riguarda la mobilità individuale, ma anche per l'economia di questi territori, garantendo, indipendentemente dal vettore ferroviario, gli esistenti collegamenti ferroviari nazionali ed internazionali. (3-01410)
(18 gennaio 2011)

Iniziative in merito alla privatizzazione della Tirrenia spa, anche con riferimento al servizio relativo alle tratte verso la Sardegna - 3-01411

MEREU, GALLETTI, COMPAGNON, CICCANTI, VOLONTÈ, NARO, LIBÈ e OCCHIUTO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
a seguito del processo di privatizzazione della Tirrenia spa, alcune tratte sarde sono state sospese da qualche mese, rendendo impossibile la prenotazione per la stagione estiva;
secondo alcune notizie di stampa, a seguito di tale situazione, le compagnie di navigazione Moby e Grandi navi veloci avrebbero, di fatto, realizzato un cartello, forti della posizione semi-monopolistica, e rincarato fortemente le tariffe per le tratte Genova-Olbia, Genova-Porto Torres e Civitavecchia-Olbia;
secondo le compagnie il rincaro sarebbe da attribuire all'andamento del costo del carburante, che rappresenta una componente significativa dei costi di gestione delle navi;
è chiaro che la mancanza di alternative non potrà che peggiorare i disagi economici per l'utenza: basti pensare che in assenza di Tirrenia i trasferimenti per Cagliari potranno essere effettuati solo per via aerea;
le ricadute economiche di questa situazione si prefigurano drammatiche, anche perché la concorrenza di altre destinazioni, sicuramente più economiche e di più agevole accesso, già si sta facendo sentire e molti turisti affezionati all'isola sono scoraggiati e tentati di abbandonare la loro meta preferita;
sulla Sardegna, oltre alle conseguenze negative di un forte calo della presenza turistica estiva, pesa anche la citata confusione legata alla fase di privatizzazione di Tirrenia, con tutto quello che ciò comporta dal punto di vista dei livelli occupazionali -:
quali iniziative di propria competenza intenda adottare per definire in tempi rapidi la vicenda della privatizzazione della Tirrenia spa e per consentire ai turisti di poter accedere ad un ventaglio di soluzioni alternative per i trasferimenti verso l'isola, soprattutto in vista della prossima stagione estiva. (3-01411)
(18 gennaio 2011)

Iniziative per il ripristino del servizio di call center con riferimento al procedimento per l'acquisizione della cittadinanza italiana - 3-01412

SARUBBI, MARAN, AMICI, QUARTIANI, GIACHETTI, BRESSA, BORDO, D'ANTONA, FERRARI, FONTANELLI, GIOVANELLI, LO MORO, MINNITI, NACCARATO, POLLASTRINI, VASSALLO e ZACCARIA. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il 20 aprile 2005 il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione presso il Ministero dell'interno ha istituito un call center informativo sull'iter delle richieste di cittadinanza italiana che, come noto, è piuttosto farraginoso;
tale servizio ha avuto un notevolissimo impatto sull'utenza, considerando che sono circa 60.000 le domande di cittadinanza presentate annualmente e che il servizio ha registrato una media di 100.000 contatti l'anno. Anche i riscontri qualitativi degli utenti sono altrettanto positivi: tanto sul versante della qualità del servizio, che per l'effettiva utilità che l'interazione diretta con gli utenti permette circa l'orientamento sui tempi di attesa, sulle problematiche relative alle pratiche e nel contributo al perfezionamento delle stesse;
il 5 luglio 2010 venne annunciata la costituzione di un database relativo alle domande di cittadinanza, che consente di ricevere informazioni on-line sull'iter delle pratiche attraverso un'articolata procedura di registrazione sul sito del Ministero. In quella data, tuttavia, non fu soppresso il call center, a dimostrazione del fatto che, evidentemente, i due servizi venivano visti come complementari, non esclusivi. Ed è in effetti così: il servizio on-line fornisce notizie generiche sullo stato della pratica, quello telefonico è, invece, un servizio analitico, che consente, o meglio, consentiva, il superamento di non pochi problemi e, quindi, l'accelerazione di un iter concordemente riconosciuto come problematico;
se l'accorciamento dei tempi necessari per l'ottenimento della cittadinanza italiana è tuttora fonte di acceso confronto politico, non lo è, invece, l'unanime considerazione sulla necessità assoluta di snellire e facilitare le procedure burocratiche ad essa legate, che causano l'eccessivo rallentamento di un iter già piuttosto lungo. Nella seduta della Camera dei deputati del 22 dicembre 2009, in sede di discussione generale del testo unificato di modifica della legge n. 92 del 1991, la relatrice, onorevole Isabella Bertolini, concordava su questa circostanza, affermando la necessità di istituire strumenti persino legislativi «al fine di risolvere il problema, che da più parti è stato segnalato, dell'eccessiva durata dei procedimenti di riconoscimento della cittadinanza». La cancellazione di uno strumento come il call center contrasta, quindi, con l'orientamento condiviso dalle diverse forze politiche presenti in Parlamento e, persino, con quanto proclamato in materia dallo stesso Governo;
le ragioni del taglio del servizio risultano, infine, difficilmente comprensibili, anche in considerazione della recente introduzione, nel cosiddetto pacchetto sicurezza, di un contributo pari a 200 euro all'atto della presentazione della domanda di cittadinanza, che sembra immotivato e non solo non comporta un miglioramento del servizio, ma addirittura porta ad un suo notevole peggioramento -:
se il Ministro interrogato non intenda spiegare i motivi effettivi alla base della soppressione del servizio citato in premessa e, comunque, ripristinare il call center, almeno sino a quando il Parlamento non porterà a termine, secondo le intenzioni da più parti manifestate, la procedura di riforma della cittadinanza e, con essa, lo snellimento dei procedimenti legati al suo iter amministrativo. (3-01412)
(18 gennaio 2011)