XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di giovedì 20 gennaio 2011

TESTO AGGIORNATO AL 24 GENNAIO 2011

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:

La Camera,
premesso che:
le politiche pubbliche per la cultura sono fondamento indispensabile della civiltà italiana;
la qualità, la vastità, le stratificazioni del patrimonio culturale italiano - impareggiabili nel mondo - esigono un adeguato e sempre più integrato e complesso sistema di esercizio della tutela, stabilita dall'articolo 9 della Costituzione ed attribuita esclusivamente allo Stato;
le missioni della tutela del patrimonio e del paesaggio, della valorizzazione e gestione dei beni culturali pubblici e privati, della promozione delle attività culturali, dello sviluppo delle produzioni culturali, esigono la piena assunzione di responsabilità da parte di tutti i soggetti costitutivi la Repubblica, in base alle loro rispettive competenze ed attraverso l'individuazione delle risorse indispensabili per farvi fronte;
tale assunzione di responsabilità è cruciale per la definizione stessa dell'identità nazionale contemporanea dell'Italia, compito specialmente significativo in occasione del centocinquantenario dell'unità;
l'Italia trae elementi e valori fondamentali per il proprio ruolo nel mondo proprio dalla dimensione culturale, peraltro simboleggiata dal primato conseguito con i siti ed i contesti definiti patrimonio dell'umanità dall'Unesco;
il vasto settore delle industrie creative e delle professioni culturali rappresenta una parte determinante della ricchezza nazionale, in termini di occupazione, di competenze tecnico-scientifiche, di creazione di prodotto interno lordo, stimato nel Libro bianco sulla creatività del 2008 come uno dei principali macrosettori dell'economia italiana;
occorre confutare l'infondata teoria circa una presunta autonoma capacità di «autofinanziamento» della cultura, sulla base di astratte ipotesi di sfruttamenti economici di «giacimenti culturali», o dei proventi turistici; poiché i compiti primari dei poteri pubblici non potranno mai essere sostituiti da meccanismi di mercato, che non potrebbero essere remunerativi rispetto agli imprescindibili e gravosi oneri della tutela, del restauro, della manutenzione, della gestione; si tratta piuttosto di integrare i compiti del pubblico e le opportunità attivabili attraverso meccanismi concreti di incentivazione dell'intrapresa privata, che le attuali disposizioni finanziarie e di bilancio si sono invece incaricate di rendere molto più difficili, se non proibitivi (detrazioni fiscali, crediti d'imposta, sponsorizzazioni, deducibilità di acquisizioni, mostre, spettacoli ed iniziative culturali ed altro); nel contesto della caduta dei contributi privati, le sponsorizzazioni si sono ridotte dai 258 milioni di euro nel 2008 ai 181 milioni di euro del 2010, le erogazioni liberali sono diminuite di oltre il 6 per cento tra il 2008 e il 2009, mentre i contributi in conto capitale per gli investimenti effettuati da privati per la tutela e valorizzazione del patrimonio storico artistico vedono lo stanziamento per il 2011 ridursi del 40 per cento;
in particolare, il bilancio dell'attuale Governo in materia di politiche culturali è disastroso, in quanto la quota sul prodotto interno lordo del bilancio della cultura si riduce per la prima volta, nel 2011, allo 0,18 per cento, mentre le riduzioni programmate del bilancio Ministero per i beni e le attività culturali nel quinquennio 2008-2013 raggiungono l'impressionante importo di 2.851.192.154,72 euro;
nel settore della manutenzione e del restauro del patrimonio, la capacità annua consolidata di spesa è stata di circa 450 milioni di euro all'anno, ma la disponibilità

totale per il 2011 è pari ad appena 102 milioni di euro, incluso il fondo del lotto, così da ridimensionare in modo intollerabile il livello della cura ordinaria e straordinaria del patrimonio, instaurando le condizioni del suo deterioramento e degrado; in particolare, oltre a 4 milioni di euro per il fondo di riserva, i 49 milioni di euro della programmazione ordinaria risultano così ripartiti: 5 milioni di euro a disposizione del segretario generale, 7,3 milioni di euro per archivi e beni librari, 132 mila euro per architettura e arte contemporanea, 5,5 milioni di euro per i beni storico artistici (soprintendenze e musei), 10,4 milioni di euro per il patrimonio archeologico, 20,5 per i beni architettonici e la tutela del paesaggio;
il ridimensionamento del personale del Ministero per i beni e le attività culturali sta lasciando drammaticamente scoperti settori tecnici indispensabili, tra cui in particolare architetti ed archeologi; la dotazione organica passerebbe in soli tre anni dalle 23.000 unità del 2008 a poco più di 18.000 nel 2011; il personale tecnico in servizio è pari appena al 13 per cento dell'organico; restano scoperti - e spesso coperti con doppi incarichi di sicura inefficienza - decine di posti di dirigenti di prima e soprattutto di seconda fascia, inclusi numerosi soprintendenti; nella recente riorganizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali è stata ulteriormente indebolita la struttura posta a difesa del paesaggio italiano;
i recenti drammatici crolli verificatisi nell'area archeologica di Pompei sono divenuti emblematici presso l'opinione pubblica italiana ed internazionale dello stato di degrado che minaccia il nostro patrimonio culturale;
il Presidente del Consiglio superiore per i beni culturali, professor Andrea Carandini, ha reso noto, a nome dell'intero Consiglio, al Capo dello Stato che «in tali condizioni, il nostro Ministero non è più in grado di attuare quanto l'articolo 9 della Costituzione impone: curare il patrimonio culturale»;
nel comparto delle attività culturali, le risorse disponibili sono state dimezzate in due anni, e il pur inadeguato impegno assunto dal Governo di riportare il fondo unico per lo spettacolo almeno a 400 milioni di euro è stato disatteso, lasciando le risorse disponibili per il 2011 ad appena 258 milioni di euro;
il rifinanziamento per appena sei mesi dei meccanismi innovativi - e non assistenziali, ma produttivi, come dimostrato dalla stessa direzione competente del Ministero per i beni e le attività culturali - di tax credit e tax shelter si presenta come una misura beffarda: un disincentivo alla programmazione d'impresa, anziché un incentivo per il cinema italiano;
anche l'unica riforma di settore che è stata approvata, quella relativa alle fondazioni lirico-sinfoniche, è impossibile da attuare a causa della mancanza delle condizioni minime per l'espletamento delle attività già programmate e delle necessità contrattuali;
i pesanti tagli apportati ai trasferimenti verso regioni ed enti locali si stanno riflettendo in modo generalizzato sui bilanci della cultura, con conseguenze molto gravi di ulteriore impoverimento delle attività di valorizzazione e gestione del patrimonio e di quelle dello spettacolo dal vivo, e con un forte impatto negativo in termini di chiusura di enti ed imprese culturali nonché di occupazione, come documentato da un recente rapporto di Federculture;
tutti i ripetuti appelli rivolti dal Ministro Bondi al Governo di cui fa parte, nonché le sue richieste rese pubbliche per il ripristino di risorse economiche e professionali indispensabili allo svolgimento dei compiti istituzionali del Ministero per i beni e le attività culturali sono stati ignorati, ed i suoi pubblici impegni sono stati disattesi - a titolo di esempio, quelli per le assunzioni di personale tecnico

all'indomani dei crolli a Pompei, e quelli per il finanziamento dello spettacolo assunti in occasione della Festa del cinema di Roma e nel corso di cerimonie alla presenza del Presidente della Repubblica;
dunque, il Ministro - a differenza di altri suoi colleghi - ad avviso dei firmatari del presente atto, non è stato in grado di far valere la propria iniziativa presso il Presidente del Consiglio dei ministri, presso il Ministro dell'economia e delle finanze e in seno alla collegialità del Consiglio dei ministri, così non riuscendo ad arginare un irreparabile guasto delle politiche pubbliche per la cultura in Italia, che la linea prevalente nel Governo tende a definire come un costo superfluo per le finanze pubbliche;
in base all'articolo 94 della Costituzione e secondo l'articolo 115 del Regolamento della Camera dei deputati;
esprime la propria sfiducia al Ministro per i beni e le attività culturali e lo impegna a rassegnare le dimissioni.
(1-00533)
«Buttiglione, Granata, Tabacci, Melchiorre, Adornato, Binetti, Bosi, Capitanio Santolini, Enzo Carra, Casini, Cera, Cesa, Ciccanti, Compagnon, De Poli, Delfino, Dionisi, Anna Teresa Formisano, Galletti, Libè, Lusetti, Mantini, Marcazzan, Mereu, Ricardo Antonio Merlo, Mondello, Naro, Occhiuto, Pezzotta, Poli, Rao, Ria, Ruggeri, Scanderebech, Tassone, Nunzio Francesco Testa, Volontè, Zinzi, Bocchino, Della Vedova, Giorgio Conte, Moroni, Barbaro, Bellotti, Bongiorno, Briguglio, Buonfiglio, Consolo, Cosenza, Di Biagio, Divella, Lamorte, Lo Presti, Menia, Angela Napoli, Paglia, Patarino, Perina, Proietti Cosimi, Raisi, Ronchi, Rosso, Ruben, Scalia, Toto, Tremaglia, Urso, Calgaro, Lanzillotta, Mosella, Pisicchio, Vernetti, La Malfa, Tanoni».

Mozioni:

La Camera,
premesso che:
il 19 dicembre 2010 si sono svolte in Bielorussia le elezioni presidenziali, il cui esito ufficiale è stata la vittoria del Presidente in carica Alexandr Lukashenko, con una percentuale di consensi pari al 79,67 per cento dei voti;
come purtroppo è avvenuto sistematicamente fin dal 1996, la validità della recente consultazione è stata contestata dall'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce), che ha riscontrato pesanti irregolarità nelle fasi di voto e di scrutinio; il giudizio negativo sulle elezioni dell'Osce - insieme alle critiche della stessa organizzazione internazionale per l'azione di repressione messa in essere dalla polizia bielorussa nei confronti dei circa diecimila manifestanti che, denunciando i brogli, avevano protestato per le strade di Minsk - ha indotto il 31 dicembre 2010 il Governo bielorusso a sospendere unilateralmente le attività dell'ufficio Osce di Minsk;
la reazione del Governo bielorusso alla manifestazione di protesta è stata spropositata: circa 600 attivisti sono stati arrestati, tra i quali sei candidati alla presidenza; un candidato, Vladimir Neklyayev, ferito dalla polizia durante le manifestazioni di piazza, è stato arrestato in ospedale da uomini in borghese; lo stesso Neklyayev, insieme ad altri tre ex candidati presidenziali - Andrei Sannikov, Nikolai Statkevich e Alex Mikhalevich - si trova attualmente nel centro di detenzione del Kgb della Repubblica di Bielorussia;
le vicende delle scorse settimane rappresentano l'ennesimo episodio di violazione delle libertà individuali e dei diritti politici da parte del Governo guidato da Lukashenko: dal 1994 ad oggi si ripetono con frequenza arresti e detenzioni arbitrarie di esponenti dell'opposizione e della società civile, come nei casi di Alexander

Kozulin (già candidato alle elezioni presidenziali nel 2006 e privato della libertà per oltre due anni), del giovane attivista di Malady Front Arstyom Dubski e dei leader dell'associazione di liberi imprenditori Mikalay Autukhovich e Vladimir Asipenka (questi ultimi due sono ancora reclusi); la stampa e la distribuzione dei giornali è appannaggio di un'azienda monopolista governativa, che discrezionalmente redige la lista dei giornali diffusi nel Paese; dal 1o febbraio 2010 internet è sotto il controllo diretto della Presidenza; il 3 settembre 2010 è stato trovato morto Aleh Byabenin, giornalista e fondatore del più autorevole sito di contro-informazione Charter 97, in circostanze considerate poco coerenti con la versione ufficiale, che parla di suicidio; alle organizzazioni non governative indipendenti viene sistematicamente negata la registrazione (necessaria per operare legalmente nel Paese), impedendo così lo svolgimento di qualsiasi attività; sono frequenti gli episodi di interferenze arbitrarie nella sfera privata e familiare degli individui, nonché le discriminazioni perpetrate nei confronti di minoranze etniche (in special modo polacche e rom) e sessuali (gay e transessuali); la libertà di insegnamento è duramente messa a repentaglio dalle pressioni ideologiche del regime;
il 25 ottobre 2010, il Consiglio dell'Unione europea aveva esteso fino al 31 ottobre 2011 il divieto d'ingresso nel territorio dei Paesi dell'Unione europea per 41 alti rappresentanti del Governo bielorusso, vigente dal 2008, allo stesso tempo confermando la sospensione dell'applicazione del divieto per 36 alti funzionari, incluso il presidente Lukashenko, in ossequio alla decisione del Governo di accettare regole di campagna elettorale che rispondessero agli standard democratici internazionali;
secondo fonti di stampa internazionale, a seguito delle elezioni presidenziali, i Paesi membri dell'Unione europea, in un incontro tra rappresentanti diplomatici svoltosi a Bruxelles il 7 gennaio 2011, avrebbero espresso un generale consenso sulla necessità di un'azione comune nei confronti della Bielorussia atta a conseguire tre priorità:
a) il rilascio dei manifestanti arrestati;
b) il supporto della società civile, con il consolidamento dei diritti democratici nel Paese;
c) la perseguibilità dei responsabili delle violazioni;
tuttavia, la contrarietà dei rappresentanti di alcuni Paesi membri circa la riattivazione delle sanzioni vigenti nei confronti degli alti funzionari bielorussi (richiesta dai Governi tedesco, svedese, britannico, polacco, francese, olandese e ceco) avrebbe reso impossibile il raggiungimento di un accordo sui provvedimenti concreti da intraprendere;
è parsa, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, finora ambigua la posizione adottata dal Governo italiano: sulla base delle sopra indicate fonti giornalistiche, questo avrebbe espresso in sede europea la sua contrarietà alla riattivazione delle sanzioni; intervenendo alla Camera dei deputati, in risposta ad un'interrogazione parlamentare sull'argomento, il Ministro per i rapporti con il Parlamento, onorevole Elio Vito, pur affermando che l'Italia «assieme a molti altri Paesi membri, è a favore di un approccio articolato, che preveda forme anche energiche di pressione, compresa la limitazione nella concessione di visti d'ingresso a personalità a funzionari bielorussi responsabili delle violenze», ha aggiunto come, a giudizio del Governo italiano, la risposta europea sia tale che «non interrompa del tutto la collaborazione politica con le autorità di Minsk» e che «non possa limitarsi di riportare indietro le lancette dell'orologio con un semplice ritorno alla situazione pre-2008, quando di fatto l'Unione si rifiutava di parlare con Minsk»;
la questione dei rapporti tra l'Unione europea e la Bielorussia sarà

nell'agenda della riunione dei Ministri degli esteri dell'Unione europea del 31 gennaio 2011,


impegna il Governo:


a chiedere ufficialmente al Governo bielorusso l'immediata scarcerazione di quanti siano stati arrestati a seguito delle manifestazioni politiche del 19 dicembre 2010 e dei giorni successivi;
ad agire in sede di Unione europea affinché, fino a quando il Governo bielorusso non abbia intrapreso atti concreti nella direzione della democratizzazione del Paese, siano ripristinate le sanzioni nei confronti della Bielorussia al momento sospese, in particolare il divieto d'ingresso nel territorio dei Paesi dell'Unione europea per 36 alte cariche bielorusse, incluso il Presidente Lukashenko;
ad adottare tutte le iniziative possibili per sostenere le attività delle organizzazioni politiche bielorusse ed internazionali impegnate per il consolidamento della democrazia, delle libertà individuali e dei diritti umani nel Paese est-europeo.
(1-00531)
«Bocchino, Galletti, Vernetti, Lo Monte, Melchiorre, La Malfa, Guzzanti, Adornato, Barbareschi, Barbaro, Bellotti, Binetti, Bongiorno, Bosi, Briguglio, Buonfiglio, Buttiglione, Calgaro, Capitanio Santolini, Enzo Carra, Casini, Ciccanti, Cera, Cesa, Commercio, Compagnon, Consolo, Giorgio Conte, Cosenza, De Poli, Di Biagio, Della Vedova, Delfino, Dionisi, Divella, Anna Teresa Formisano, Granata, Lamorte, Lanzillotta, Latteri, Libè, Lo Presti, Lombardo, Lusetti, Mantini, Marcazzan, Menia, Mereu, Ricardo Antonio Merlo, Misiti, Mondello, Moroni, Mosella, Angela Napoli, Naro, Occhiuto, Paglia, Patarino, Perina, Pezzotta, Pisicchio, Poli, Proietti Cosimi, Raisi, Rao, Ria, Ronchi, Rosso, Ruben, Ruggeri, Scalia, Scanderebech, Tabacci, Tanoni, Tassone, Nunzio Francesco Testa, Toto, Tremaglia, Urso, Volontè, Zinzi».

La Camera,
premesso che:
l'articolo 2, comma 463, della legge finanziaria per il 2008, l'ultima del Governo Prodi, finanziava con 20 milioni di euro un piano contro la violenza sulle donne, piano che si sarebbe concretizzato, oltre che nell'erogazione di risorse al fondo contro la violenza sulle donne e di genere ed ai centri e alle associazioni specializzate, in una campagna di rieducazione al rispetto e alla dignità verso le donne, che avrebbe raggiunto le istituzioni locali, gli organi mediatici, le scuole, la pubblicità ed i programmi televisivi;
il piano ricalcava la legge organica contro la violenza sulle donne, varata con serietà ed efficacia dalla Spagna nel 2004, che riconosce la violenza - anche quando abbia luogo fra le mura domestiche - come problema sociale di cui i poteri pubblici devono farsi carico per prevenire e porre rimedio attraverso sistemi adeguati, non limitandosi ad inasprire le pene: in quest'ottica è stato predisposto un intervento integrato e multidisciplinare che deriva dal fatto di considerare, quale origine delle violenza sessista, la discriminazione della donna nella società, al fine di consentire l'adozione di trattamenti differenziati per sesso, al contempo organizzando una vera e propria campagna educativa capillare;
uno dei primi atti del Governo insediatosi con l'avvio della nuova legislatura, quella attualmente in corso, è stato quello di tagliare i fondi stanziati per il sostegno alle donne vittime di violenza e per la prevenzione;

nel nostro Paese, nell'anno appena trascorso, oltre 120 donne hanno perso la vita per mano, nella maggioranza dei casi, di mariti, fidanzati o ex partner: spesso la morte o altri atti di violenza gravi sono giunti in seguito alla decisione delle vittime di interrompere una relazione;
guardare alle statistiche può essere d'aiuto a capire la situazione: i numeri dicono che in Italia ci sono 14 milioni di donne vittime di violenza di cui ben tre milioni tra le mura domestiche, drammi vissuti nel silenzio e nell'indifferenza: in Italia una donna su tre subisce violenza fisica e sessuale, soprattutto tra le mura di casa, e si stima possano essere circa il 65 per cento della popolazione femminile; un milione e 400 mila donne hanno patito uno stupro prima dei 16 anni, ma il 96 per cento delle violenze non viene denunciato, il 14,3 per cento delle donne ha subito almeno una volta violenza fisica o sessuale dal partner, attuale o ex, mentre il 24,7 per cento le ha ricevute da un altro uomo;
secondo dati Istat, solo il 18,2 per cento delle donne considera la violenza patita in famiglia un «reato», mentre il 44 per cento la giudica semplicemente «qualcosa di sbagliato» e ben il 36 per cento solo «qualcosa che è accaduto»;
nel lontano 2002, il Consiglio d'Europa ha varato una raccomandazione (n. 5/02) in cui sottolineava che la violenza maschile contro le donne è il maggior problema strutturale della società che si basa sulla ineguale distribuzione di potere nelle relazioni tra uomo e donna;
più di recente, la Commissione europea, nella conferenza del 31 gennaio 2009, ha ribadito la necessità di individuare percorsi utili «per eliminare tempestivamente ruoli tradizionali e stereotipi legati al genere, in particolare nei settori della educazione, formazione, cultura», anche sostenendo «la partecipazione delle donne all'economia e ai processi decisionali in materia politica»;
l'Unione europea mostra un orientamento ed una volontà tesi ad affrontare il cuore del problema: la violenza sessista quale manifestazione di abuso derivante da situazioni di svantaggio sociale e politico a sfavore delle donne, definendo anche un percorso promozionale di opportunità e diritti, quale risposta complessa e coinvolgente i pubblici poteri per l'avvio alla soluzione di un problema complesso, soprattutto a causa del suo persistente radicamento nel tessuto sociale;
la Dichiarazione dell'Onu sull'eliminazione della violenza contro le donne definisce quest'ultima come ogni atto di violenza basata sul genere che risulti, o possa risultare, in un danno fisico, psicologico o sessuale sofferto dalle donne: gli atti in questione includono la violenza fisica, l'abuso o la coercizione sessuale, o la molestia sessuale;
l'aggressività maschile, sottolinea l'Onu, è la prima causa di morte e di invalidità per le donne tra i 16 ed i 44 anni di tutto il mondo;
eppure, nonostante gli appelli, i proclami, i buoni intendimenti, il mondo non si è spinto molto avanti nel mettere fine alla violenza ed all'abuso sessuale contro donne e bimbe, che comportano lesioni non solo sotto il profilo psico-fisico ma anche sul piano dei diritti umani;
ugualmente può dirsi per i luoghi politico-istituzionali, pervasi da un antico disinteresse unito a coriacea noncuranza nei confronti della questione femminile, a volte con un messaggio esplicito, altre volte con venature ammiccanti o paternalistiche;
peggio, attualmente la sessualità sta entrando prepotentemente nella sfera pubblica, politico-istituzionale, portando allo scoperto i legami tra una sessualità «di servizio», come quella femminile, e il potere che ne gode i benefici, compensandoli con protezione, denaro, doni, onorificenze;
il rapporto tra i sessi riscontrabile nello scambio di sesso con cariche di rappresentanza o benefici di varia natura non solo investe le persone, ma la democrazia stessa e la credibilità delle istituzioni che rappresentano: ciò non può che

riversarsi in modo infausto nella quotidianità del comune cittadino, acuendone il maschilismo e l'aggressività;
benché l'Italia detenga la non invidiabile definizione di «fanalino di coda» quanto a condizione femminile, pochi si indignano, la gran parte dell'opinione pubblica risulta indifferente, inerte nonostante al tema della dignità e del corpo offesi delle donne reagiscano associazioni femministe, libri e campagne, una delle quali, in particolare, ha assunto la forma di un documentario, della durata di 25 minuti, sull'uso del corpo della donna in tv, curato da Lorella Zanardo e Marco Malfi Chindemi, visionato in tutto il mondo grazie alla tecnologia internet: gli autori hanno dichiarato di essere partiti da un'urgenza, dalla constatazione che le donne, le donne vere, stiano scomparendo dalla tv e che siano state sostituite da una rappresentazione grottesca, volgare e umiliante, che cancella l'identità delle donne, che sta avvenendo sotto lo sguardo di tutti ma senza che vi sia un'adeguata reazione, nemmeno da parte delle donne medesime;
il documentario mostra esclusivamente immagini televisive che hanno in comune l'utilizzo manipolatorio del corpo delle donne, per raccontare quanto sta avvenendo non solo a chi non guarda mai la tv, ma specialmente a chi la guarda ma «non vede», al fine di interrogarsi sulle ragioni di questo «pogrom, di cui siamo tutti spettatori silenziosi»: ciò che emerge è un'anomalia tutta italiana, la banalizzazione della rappresentazione della donna, raccontata come se non avesse rispetto di sé e gli altri non la rispettassero;
il documentario ha poi dato particolare risalto alla cancellazione dei volti adulti in tv, al ricorso alla chirurgia estetica per cancellare qualsiasi segno del passaggio del tempo e alle conseguenze sociali di questa rimozione: l'apparenza fisica rischia di tradursi in ulteriore fattore di discriminazione, una selezione «estetica» che ha conseguenze drammatiche anche nell'ambito lavorativo e professionale e che recentemente ha lambito, in forma di sospetto, finanche le istituzioni e la selezione delle rappresentanti politiche;
resta, comunque, il fatto che di donne ce ne sono ben poche nei consigli di amministrazione, nel business dell'impresa, nelle funzioni di responsabilità ed i recentissimi dati Istat mostrano un panorama ancora peggiore;
dal rapporto Istat «Noi Italia», appena pubblicato, emerge che nel nostro Paese quasi una donna su due non ha un'occupazione né la cerca più, in particolare, il tasso di inattività femminile italiano è il secondo in Europa, inferiore solamente a quello di Malta; se in tutti i Paesi dell'Unione i tassi di inattività degli uomini (22,2 per cento nella media comunitaria) risultano inferiori a quelli delle donne (35,7 per cento), è anomalo e preoccupante il dato del nostro Paese circa l'accentuato differenziale di genere, pari ad oltre 22 punti percentuali: il livello di inattività maschile è pari al 26,3 per cento, più o meno in linea con la media europea, mentre quello femminile è straordinariamente elevato, essendo pari al 48,9 per cento;
la questione è all'ordine del giorno, indagata da organi d'informazione e specialisti di ricerche sociologiche: ad esempio, un articolo del New York Times dell'11 ottobre 2010 attribuisce al «machismo» dei Paesi del Sud Europa lo scarso sviluppo e la fragilità delle loro basi economiche, esaminando accuratamente la qualità e la misura dell'esclusione femminile;
è perfino superfluo affermare che l'espulsione delle donne dal mercato del lavoro e il loro confinamento nel precariato toglie loro indipendenza economica e autonomia, cosa che crea un circolo vizioso;
ci si chiede quanto debba ancora incrementarsi per diventare «significativa» la violenza maschile contro le donne e se non bastino i rapporti allarmanti di tutte le organizzazioni nazionali ed internazionali, insieme alla catena di omicidi, stupri e violenze quasi quotidiani, perché le istituzioni pubbliche arrivino a riconoscerne la gravità e la portata politica eccezionale;

la nostra società fatica ancora a riconoscere pienamente il profondo disvalore della condotta maschile violenta - sessuale, fisica, psicologica - realizzata contro le donne, anche a causa della confusione creata da alcuni modelli che vengono sistematicamente proposti: «si tratta di una forma di violenza sottile nuova per i parametri di riferimento estetici e di presunta affermazione sociale, ma vecchia per il modo di considerare la donna» (Fabio Roia, ex componente del Consiglio superiore della magistratura, 2009);
due anni or sono, la recrudescenza degli stupri e delle violenze ha comportato, quale riflesso condizionato da parte del Governo, la messa in campo di misure emergenziali attraverso la militarizzazione del territorio anche finalizzata al respingimento dei migranti: con ciò si è nascosta una verità assodata, che il luogo privilegiato delle violenze sono le mura domestiche, contesto in cui prevalentemente si origina e si coltiva la violenza sessista contro le donne;
rispetto alla violenza contro le donne l'approccio è rimasto nell'ambito del diritto criminale - comportamenti previsti e puniti, una volta messi in atto, a posteriori, secondo le tipologie di reato, atti di violenza sessuale, percosse, lesioni personali, violenza privata, minacce, maltrattamenti, violazione degli obblighi di assistenza famigliare e così via - compresa, in parte, anche la recente normativa che ha introdotto, pur lodevolmente, il reato di stalking, nata come decreto-legge dal titolo-simbolo «Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori»;
nulla è pensato in ordine alle cause e alla situazione predisponente, in quanto gli interventi istituzionali sono rigidamente costretti nel quadro della sicurezza pubblica e del contrasto a comportamenti delittuosi;
l'uguaglianza fra i sessi incontra un ostacolo insormontabile nella violenza quotidianamente perpetrata contro molte donne da parte di molti uomini; non può esistere pari opportunità per una democrazia paritaria se il fenomeno non viene considerato dalle istituzioni quale problema sociale grave, assumendosene la responsabilità attraverso un messaggio culturale e politico di contrasto e facendosi carico di azioni mirate in particolare alla prevenzione, oltre che alla doverosa repressione;
nel documento «Sessismo: la violenza che tutti evitano di nominare» (gennaio 2009), elaborato da alcune associazioni di donne, si legge che «la violenza contro le donne, anche domestica, non può mai essere un fatto privato, ma è un'indecenza pubblica che le istituzioni non possono ignorare o mistificare attraverso la scorciatoia dell'utilizzo del diritto criminale come risposta esclusiva o preponderante. Ben altri livelli occorre agire per contrastare questo grumo di violenza ancestrale, sedimentato nell'immaginario maschile, che va contrastato a partire dai primissimi messaggi che i bambini ricevono dalla famiglia, dalla scuola e dalla società»;
nel nostro Paese, ove più marcata risulta la disuguaglianza fra i sessi, ove anche i media indulgono in un'immagine poco dignitosa se non degradata della donna, non è più il tempo di escogitare tecnologie di protezione per le donne, di gridare a pene severe e punizioni esemplari: ciò è stato fatto, ma non è bastato e non può bastare;
i pregiudizi e gli stereotipi dei quali sono vittime le donne non possono essere regolati solo sulla base del diritto criminale e delle norme giuridiche;
impressionante è l'attuale regressione quasi collettiva rispetto al riconoscimento della dignità delle donne, che colpisce anche inconsapevoli, al momento, bambini e ragazzi maschi; il modello «velina» e tutte le immagini pubblicitarie che rappresentano la donna solo come corpo erotico, hanno sicuramente contribuito a incrementare quella «violenza sottile» che reca discredito preconcetto verso le donne: chi lavora nella scuola e nei servizi sociali

denuncia una situazione spesso molto critica nei comportamenti degli adolescenti maschi, inclini verso le loro coetanee e non solo, a comportamenti violenti, individuali e di gruppo;
non è ancora chiaro se si è di fronte ad una recrudescenza quantitativa delle violenze contro le donne o ad un aumento delle denunce da parte delle donne, resta il fatto che non possono essere tollerabili le manifestazioni estreme del «machismo» e della prevaricazione maschile e, banalmente, resta il fatto che violenze, abusi e stupri finiranno quando gli uomini smetteranno di perpetrarli;
è giunto il momento, per le istituzioni pubbliche, di una chiara presa di posizione e di un'assunzione di responsabilità che, in parte, può essere soddisfatta da un piano organico e multidisciplinare di intervento, destinato a conoscere e ad affrontare la complessa problematica nei suoi vari aspetti, una sorta di piano nazionale onnicomprensivo che mira ad un cambiamento della cultura e delle relazioni reciproche fra i generi in vari campi sociali;
doveroso risulta, in particolare, l'impegno da parte di tutte le donne che ricoprono ruoli istituzionali a proporre, seguire e curare ad ogni livello le misure necessarie ad una svolta di civiltà e di pensiero e ad una nuova pedagogia del rispetto e della dignità delle donne;
va ricordato che contro il fumo è stata scatenata una campagna di sensibilizzazione imponente, che ha coinvolto anche le istituzioni europee, che è giunta ad impostare una nuova cultura e che ha condotto all'abolizione delle sigarette dai film e dalle pubblicità al fine di non istigare a comportamenti nocivi per la salute, segno ed esempio evidente che pensiero e cultura possono essere modificati, anche radicalmente,


impegna il Governo:


a promuovere, al fine di spezzare la catena della continuità generazionale, una riflessione pubblica sulla questione eminentemente sociale e culturale della violenza contro le donne, che coinvolga uomini e donne, famiglie, scuole ed università, luoghi della politica e dell'informazione, mondo del lavoro;
ad assumere iniziative per dotare il fondo contro la violenza sessuale e di genere di risorse adeguate agli obiettivi di competenza e per reintegrare le risorse sottratte ai centri antiviolenza e alle case delle donne maltrattate, al fine di cancellare la sensazione di indifferenza istituzionale;
a promuovere e curare - attraverso il coinvolgimento di tutti i poteri pubblici competenti, centrali e territoriali - campagne di informazione, formazione e sensibilizzazione finalizzate alla prevenzione della violenza di genere, utilizzando l'esperienza e la competenza delle organizzazioni di settore;
ad adottare, a fronte del ruolo fondamentale nella crescita delle nuove e dei nuovi cittadini ricoperto dalle istituzioni scolastiche, iniziative ordinamentali - quali settimane dedicate, dalla scuola materna all'università - al fine di dare fondamento ai principi costituzionali che dichiarano l'uguaglianza e la pari dignità tra i sessi e di combattere gli stereotipi di genere, che si formano sin dai primi anni di età, in particolare prevedendo un programma di rieducazione e formazione sull'esercizio di diritti e obblighi uguali fra maschi e femmine nell'ambito sia privato che pubblico;
a valutare le opportune ed appropriate modalità per adottare iniziative contro l'uso del corpo delle donne nella pubblicità, nella televisione e sui media, a causa del quale anche indagini internazionali segnalano lo scadimento della rappresentazione delle donne in Italia;
a farsi promotore e portatore nelle competenti sedi istituzionali europee della necessità di un programma incisivo e comune, rivolto in particolare ai giovani per mettere fine alle discriminazioni e alle violenze intrecciate al genere.
(1-00532)
«Mura, Di Giuseppe, Donadi, Evangelisti, Borghesi».

Risoluzione in Commissione:

La IV Commissione,
premesso che:
il decreto 4 aprile 2000, n. 114, «Regolamento recante norme in materia di accertamento dell'idoneità al servizio militare» all'articolo 3, comma 2, prevede che «lo stato di gravidanza costituisce temporaneo impedimento all'accertamento» dell'idoneità al servizio militare;
fonti di stampa hanno recentemente reso noto il caso del caporal maggiore dell'Esercito italiano Valentina Fabri che, dopo aver servito le Forze armate per 5 anni come volontaria in ferma breve, sarebbe stata esclusa dal concorso per volontari in ferma permanente in ragione del suo stato di gravidanza, condizione che avrebbe configurato causa di inidoneità;
la commissione medica concorsuale avrebbe, tra l'altro, reiteratamente rinviato le visite previste, scialando come lo stato di gravidanza sarebbe stato causa di inidoneità se si fosse protratto oltre il termine finale del concorso, ignorando apparentemente come il tempo fisiologico della gestazione sia ampiamente noto e prevedibile nella sua durata, e ovviamente non comprimibile;
contro il provvedimento di esclusione, il caporal maggiore Fabri ha proposto ricorso al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, richiamando il già citato secondo comma dell'articolo 3 del decreto ministeriale 4 aprile 2000, n. 114, che dispone come lo stato di gravidanza costituisca impedimento all'accertamento dell'idoneità di natura solo temporanea, non permanente;
tale episodio ha posto all'attenzione dell'opinione pubblica un problema di disparità di trattamento evidente, per il quale alcune donne, pur avendo già servito le Forze armate ed essendo in pieno diritto di partecipare a concorsi pubblici in condizioni di parità rispetto agli altri concorrenti, si vedono escluse dalle procedure concorsuali per lo stato di gravidanza in cui possono trovarsi,


impegna il Governo


ad assumere una iniziativa tempestiva per modificare il regolamento ministeriale di cui in premessa che disciplina le procedure di accertamento dell'idoneità al servizio militare, affinché la condizione temporanea di gravidanza non sia causa di esclusione delle candidate dalle procedure concorsuali, prevedendo meccanismi di accertamento successivi della stessa idoneità o ogni altra disciplina utile a scongiurare forme di discriminazione di genere, garantendo il pieno rispetto del diritto costituzionale all'eguaglianza e tutelando il diritto delle donne alla maternità, che deve poter essere conciliata con l'attività lavorativa attuale o futura, anche nell'ambito delle Forze armate.
(7-00471)
«Mogherini Rebesani, Rugghia, Villecco Calipari, Garofani, Gianni Farina, Laganà Fortugno, La Forgia, Recchia».

...

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA
DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:

JANNONE. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. - Per sapere - premesso che:
il rapporto Svimez 2010 sulle condizioni del Mezzogiorno evidenzia un'area in recessione, colpita duramente dalla crisi nel settore industriale, che da otto anni consecutivi cresce meno del Centro-Nord,

il prodotto interno lordo del 2009 è tornato ai livelli di dieci anni fa. Un'area periferica in cui il tasso di disoccupazione paradossalmente cresce di più al Nord che al Sud, dove 6 milioni 830 mila persone sono a rischio povertà; da ciò si evidenzia la necessità di un nuovo progetto «Paese» per il Sud, che parta dal rilancio delle infrastrutture, con un piano di 38 miliardi di euro, per coinvolgere, quale nuova «frontiera», i settori più innovativi. Nel 2009 il prodotto interno lordo del Sud è diminuito del 4,5 per cento un valore molto più negativo del -1,5 per cento del 2008, leggermente inferiore al dato del Centro-Nord (-5,2 per cento). Il prodotto interno lordo per abitante è pari a 17.317 euro, il 58,8 per cento del Centro-Nord (29.449 euro). A livello regionale l'Abruzzo mostra nel 2009 una diminuzione del prodotto interno lordo particolarmente elevata (-5,9 per cento) seguito dalla Campania (-5,4 per cento), Puglia e Basilicata a pari merito (-5 per cento). Tutte negative le altre regioni meridionali, come le settentrionali, a eccezione della Valle d'Aosta. La perdita più contenuta è in Sicilia (-3,1 per cento). A livello settoriale nel 2009 anche l'agricoltura meridionale è stata investita dalla crisi, con un crollo del valore aggiunto del 5 per cento contro l'1,9 per cento del Centro-Nord. A livello regionale il valore aggiunto di Abruzzo, Basilicata, Molise e Puglia, che nel 2008 avevano registrato buone performance, è sceso fortemente, con valori compresi tra -8 per cento e -11 per cento. A fare le spese maggiori della crisi, l'industria, con un crollo del valore a unto industriale nel 2009 del 15 per cento, mentre le produzioni manifatturiere hanno segnato una diminuzione del 16,6 per cento. A tirare giù l'industria meridionale sono soprattutto minerali non metallurgici (-26,9 per cento), metalli (23,9 per cento) e macchine e mezzi di trasporto (-20,5 per cento);
per effetto della crisi, per la prima volta dalla fine della guerra, il valore aggiunto del settore dei servizi è diminuito per due anni consecutivi, segnando nel 2009 -2,7 per cento (Centro-Nord -2,6 per cento), con effetti molto più pesanti nel commercio (-11 per cento contro -9 per cento). Lo stesso accade anche per i settori di turismo e trasporti (-3 per cento), intermediazione creditizia e immobiliare (-1,7 per cento). Circa 88 mila i posti di lavoro persi nel settore al Sud (-1,9 per cento rispetto al 2008), con punte del -3,9 per cento nel commercio, il doppio che al Centro-Nord (-1,7 per cento) concentrate soprattutto nel lavoro autonomo. Due le cause principali dell'andamento recessivo: investimenti che rallentano, famiglie che non consumano. Queste ultime infatti hanno ridotto al Sud la spesa del 2,6 per cento contro l'1,6 per cento del Centro-Nord. Mentre gli investimenti industriali sono crollati del 9,6 per cento nel 2009, dopo la flessione (-3,7 per cento) del 2008. Dal 2008 al 2009 l'industria manifatturiera del Sud ha perso oltre 100 mila posti di lavoro, di cui 61 mila soltanto lo scorso anno. In questo modo il gap dell'industria meridionale con il Centro-Nord e il resto dell'Europa si è ulteriormente aggravato. Dal 2004 al 2008 il valore aggiunto industriale al Sud ha perso il 2,4 per cento contro il +9,7 per cento dei Paesi dell'area euro. Secondo la Svimez per uscire dall'impasse occorre promuovere una nuova politica industriale specifica per il Sud con risorse adeguate. Uno degli elementi fondamentali dovrebbe essere costituito dalla fiscalità di vantaggio. Il tasso di occupazione nella media del 2009 è sceso di quasi un punto percentuale rispetto al 2008, da 58,7 per cento a 57,5 per cento. Su 380 mila posti di lavoro in meno in tutto il Paese, 186 mila sono stati al Centro-Nord (-1,1 per cento). Situazione più pesante nel Mezzogiorno, con 194 mila unità in meno (-3 per cento). Se si analizzano gli andamenti trimestrali dell'occupazione, emerge che la crisi è iniziata prima al Sud e lì sembra durare più a lungo. Gli occupati al Sud sono quindi tornati ai livelli di dieci anni fa. Dei circa 530 mila posti di lavoro persi nell'ultimo anno e mezzo, 335 mila sono al Sud;
la quota del Mezzogiorno sulla spesa in conto capitale è stimata nel 2009 al 34,8 per cento, una percentuale ben più bassa

del 41,1 per cento del 2001 e lontanissima dall'obiettivo del 45 per cento. Le spese correnti dei comuni tra il 2007 e il 2009 sono cresciute a livello nazionale, del 5,3 per cento, ma l'incremento maggiore si è avuto al Sud, +9,1 per cento, a fronte del 3,4 per cento al Nord e del 5,3 per cento al Centro. Non solo, mentre crescevano le spese, le entrate aumentavano dell'1,8 per cento a livello nazionale, aumento che deriva da una riduzione dell'1,9 per cento al Nord e da incrementi del 2,3 per cento al Centro e dell'1,1 per cento al Sud. Infine, i trasferimenti erariali, anche in seguito alla progressiva abolizione dell'ici sulla prima casa, sono cresciuti nel triennio del 28,5 per cento a livello nazionale, con un andamento molto diversificato tra le diverse ripartizioni territoriali: +13,9 per cento nel Mezzogiorno, +39,8 per cento al Nord, +31,2 per cento al Centro. Circa due terzi dei rifiuti urbani nel Sud sono finiti in discarica, contro il 28,5 per cento del Centro-Nord. La raccolta differenziata arriva nel Centro-Nord al 45,5 per cento in linea con l'obiettivo del 45 per cento fissato dalla normativa, mentre il Mezzogiorno è fermo al 14,7 per cento. Per quanto riguarda i servizi, il rapporto segnala che negli uffici delle asl al Sud 57 persone su 100 rimangono in fila più di 20 minuti contro le 44 del Centro-Nord, situazione ancora più grave alle Poste, dove addirittura un meridionale su due resta in fila più di 20 minuti, a fronte del 29 su cento nell'altra ripartizione. Lo stesso servizio elettrico risulta ancora intermittente, con frequenza di interruzioni due volte superiore a quella del Centro-Nord -:
quali iniziative il Governo intenda adottare per monitorare il livello dei servizi nelle regioni centro-meridionali italiane.
(4-10486)

DI STANISLAO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
il presidente dell'Assemblea Generale ONU Joseph Deiss, in una recente conferenza stampa a New York, ha detto di sperare che «negoziati reali» possano essere almeno avviati quest'anno sul processo, ormai in corso da due anni, di ampliamento dei Consiglio di Sicurezza, adattandolo così all'attuale numero di membri dell'Organizzazione;
il Consiglio fu allargato per l'ultima volta nel 1965, quando i suoi membri furono aumentati da undici, compresi i cinque membri permanenti - Cina, Francia, Russia, Regno Unito e Stati Uniti - a quindici, su un totale, all'epoca, di 118 Stati membri. Oggi l'ONU ha 192 membri, ma i tentativi compiuti negli ultimi diciotto anni di allargare il Consiglio si sono arenati sulla discussione di quanti seggi addizionali avrebbero dovuto essere creati, se ce ne dovessero essere di permanenti, e quali Paesi dovessero godere del potere di veto. Al momento, i dieci membri non permanenti sono eletti per un mandato di due anni e non detengono potere di veto;
«la situazione al momento è abbastanza complessa e spero che durante quest'anno saremo almeno in grado di iniziare dei veri negoziati», ha dichiarato Deiss in una conferenza al quartiere generale ONU a New York. Egli ha anche ricordato che l'Ambasciatore afgano Zahir Tanin, coordinatore dei negoziati sulla riforma del Consiglio, ha presentato il mese scorso un rapporto che riassumeva tutte le posizioni dei vari Stati Membri, e presenterà un nuovo resoconto il prossimo marzo, in cui includerà i nuovi input ricevuti;
il cosiddetto gruppo dei quattro - Germania, Brasile, India e Giappone - sono stati considerati come potenziali nuovi membri permanenti, mentre l'Africa chiede anche che due dei suoi Paesi possano esserlo;
le decisioni degli attuali quindici membri del Consiglio sono vincolanti, quelle dei 192 membri dell'Assemblea Generale non lo sono, e pertanto molti membri hanno anche richiesto che i poteri dell'Assemblea vengano rafforzati;

le priorità dell'Assemblea elencate dal Presidente per i prossimi mesi, tra le altre, sono: riforma del Consiglio di Sicurezza, rivitalizzazione dell'Assemblea Generale, la revisione del Consiglio dei Diritti Umani, il riesame dell'attuazione della Risoluzione 61/16 sul rafforzamento del Consiglio Economico e Sociale, le riunioni ad alto livello su malattie non trasmissibili, desertificazione e decennale della Conferenza Mondiale contro il razzismo del 2001; la riduzione dei rischi di catastrofe, la «green economy»;
riferendo sulla sua recente visita in Cina, Deiss ha detto di aver discusso con il Vicepresidente Xi Jinping e il Ministro degli Esteri Yang Jiechi su una vasta gamma di questioni connesse all'Assemblea, come gli obiettivi di sviluppo del millennio, la prossima Conferenza di Istanbul, lo sviluppo sostenibile, la governance globale, la riforma del Consiglio di Sicurezza e la più ampia revisione delle Nazioni Unite, del Consiglio dei Diritti Umani e dei diritti umani in generale, così come la situazione in Sudan, in Costa d'Avorio e nella penisola coreana -:
quale sia la posizione dell'Italia all'interno del processo di riforma del consiglio di sicurezza dell'ONU che potrebbe avere inizio a partire da questo anno;
quale sia il contributo che l'Italia intende apportare nei prossimi mesi a sostegno delle complesse e non trascurabili tematiche annunciate dal presidente dell'assemblea generale ONU.
(4-10493)

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
sulla Gazzetta Ufficiale - Serie Generale n. 298 del 22 dicembre 2010, supplemento ordinario n. 282 è pubblicato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 10 dicembre 2010, «Ripartizione della quota dell'otto per mille dell'IRPEF devoluta alla diretta gestione statale, per l'anno 2010 (10A15355)»;
detto decreto fa riferimento alla legge 20 maggio 1985, n. 222 il cui articolo 47 dispone tra l'altro che «A decorrere dall'anno finanziario 1990 una quota pari all'otto per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, liquidata dagli uffici sulla base delle dichiarazioni annuali, è destinata, in parte, a scopi di interesse sociale o di carattere umanitario a diretta gestione statale e, in parte, a scopi di carattere religioso a diretta gestione della Chiesa cattolica»;
l'articolo 48 di detta legge specifica che le somme «sono utilizzate: dallo Stato per interventi straordinari per fame nel mondo, calamità naturali, assistenza ai rifugiati, conservazione di beni culturali; dalla Chiesa cattolica per esigenze di culto della popolazione, sostentamento del clero, interventi caritativi a favore della collettività nazionale o di paesi del terzo mondo»;
il 28 maggio 2010, al termine della sessantunesima assemblea generale della Conferenza episcopale italiana la stessa - «considerate le proposte di ripartizione e assegnazione presentate dalla Presidenza della CEI e preso atto che, sulla base delle informazioni ricevute in data 9 dicembre 2009 dal Ministero dell'economia e delle finanze, la somma relativa all'8 per mille IRPEF che lo Stato è tenuto a versare alla CEI nel corso dell'anno 2010 risulta pari a euro 1.067.032.535,28 (euro 90.021.557,25 a titolo di conguaglio per l'anno 2007 e euro 977.010.978,03 a titolo di anticipo dell'anno 2010)» - ha assegnato per l'edilizia di culto 190 milioni (di cui 118 milioni destinati alla nuova edilizia di culto, 7 milioni destinati alla costruzione di case canoniche nel Sud d'Italia e 65 milioni destinati alla tutela e al restauro dei beni culturali ecclesiastici); e, tra l'altro 30 milioni «per accantonamento a futura destinazione per le esigenze di

culto e pastorale e per gli interventi caritativi»;
il totale della quota dell'otto per mille dell'IRPEF devoluta alla diretta gestione statale, per l'anno 2010 ammonta a 144.431.387,64 euro e che di questi 63.424.212,61 euro, pari al 44 per cento dell'ammontare totale è stata destinata alla tutela e al restauro di beni ecclesiastici o è stata gestita da enti ecclesiastici e in particolare, nella diocesi di Piazza Armerina è stato finanziato il seguente progetto:
Intervento: Restauro, recupero, consolidamento conservativo e valorizzazione della chiesa di San Benedetto in Barrafranca (Enna) - Ente: Comune di Barrafranca - Euro: 1.032.658,01 -:
se la stessa opera sia stata già finanziata con i fondi previsti dalla legge n. 222 del 20 maggio 1985 dalla Conferenza episcopale italiana attraverso la diocesi di competenza o direttamente dallo Stato;
se la Conferenza episcopale italiana, nel presentare il «rendiconto relativo alla effettiva utilizzazione delle somme» ricevute in base a tale legge, dettagli e documenti tali spese;
se risulti che il progetto non sia stato già finanziato con fondi di altre istituzioni pubbliche;
se, quanti e quali controlli siano stati fatti e da chi rispetto all'unico obbligo per i soggetti destinatari dei contributi che è quello di presentare, ai sensi dell'articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica n. 76 del 1998, «tempestivamente, ai Ministeri competenti, una relazione analitica sugli interventi realizzati, che ne indichi il costo totale, suddiviso nelle principali voci di spesa, accompagnata da una dichiarazione sostitutiva di notorietà resa dal legale rappresentante e dal responsabile tecnico secondo le disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, ovvero, per le pubbliche amministrazioni, sottoscritta dal responsabile del procedimento».
(4-10509)

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
sulla Gazzetta Ufficiale - Serie Generale n. 298 del 22 dicembre 2010, supplemento ordinario n. 282 è pubblicato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 10 dicembre 2010, «Ripartizione della quota dell'otto per mille dell'IRPEF devoluta alla diretta gestione statale, per l'anno 2010 (10A15355)»;
detto decreto fa riferimento alla legge 20 maggio 1985, n. 222 il cui articolo 47 dispone tra l'altro che «A decorrere dall'anno finanziario 1990 una quota pari all'otto per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, liquidata dagli uffici sulla base delle dichiarazioni annuali, è destinata, in parte, a scopi di interesse sociale o di carattere umanitario a diretta gestione statale e, in parte, a scopi di carattere religioso a diretta gestione della Chiesa cattolica»;
l'articolo 48 di detta legge specifica che le somme «sono utilizzate: dallo Stato per interventi straordinari per fame nel mondo, calamità naturali, assistenza ai rifugiati, conservazione di beni culturali; dalla Chiesa cattolica per esigenze di culto della popolazione, sostentamento del clero, interventi caritativi a favore della collettività nazionale o di paesi del terzo mondo»;
il 28 maggio 2010, al termine della sessantunesima assemblea generale della Conferenza episcopale italiana la stessa - «considerate le proposte di ripartizione e assegnazione presentate dalla Presidenza della CEI e preso atto che, sulla base delle informazioni ricevute in data 9 dicembre 2009 dal Ministero dell'economia e delle finanze, la somma relativa all'8 per mille IRPEF che lo Stato è tenuto a versare alla CEI nel corso dell'anno 2010 risulta pari a euro 1.067.032.535,28 (euro 90.021.557,25 a titolo di conguaglio per l'anno 2007 e euro 977.010.978,03 a titolo di anticipo dell'anno 2010)» - ha assegnato per l'edilizia

di culto 190 milioni (di cui 118 milioni destinati alla nuova edilizia di culto, 7 milioni destinati alla costruzione di case canoniche nel Sud d'Italia e 65 milioni destinati alla tutela e al restauro dei beni culturali ecclesiastici); e, tra l'altro 30 milioni «per accantonamento a futura destinazione per le esigenze di culto e pastorale e per gli interventi caritativi»;
il totale della quota dell'otto per mille dell'IRPEF devoluta alla diretta gestione statale, per l'anno 2010 ammonta a 144.431.387,64 euro e che di questi 63.424.212,61 euro, pari al 44 per cento dell'ammontare totale è stata destinata alla tutela e al restauro di beni ecclesiastici o è stata gestita da enti ecclesiastici e in particolare, nella diocesi di Pozzuoli è stato finanziato il seguente progetto:
Intervento: Lavori di consolidamento, restauro, recupero architettonico ed artistico del complesso chiesa San Raffaele Arcangelo di Pozzuoli (Napoli) - Ente: Chiesa di San Raffaele Arcangelo - Euro: 1.159.016,26 -:
se la stessa opera sia stata già finanziata con i fondi previsti dalla legge n. 222 del 20 maggio 1985 dalla Conferenza episcopale italiana attraverso la diocesi di competenza o direttamente dallo Stato;
se la Conferenza episcopale italiana, nel presentare il «rendiconto relativo alla effettiva utilizzazione delle somme» ricevute in base a tale legge, dettagli e documenti tali spese;
se risulti che il progetto non sia stato già finanziato con fondi di altre istituzioni pubbliche;
se, quanti e quali controlli siano stati fatti e da chi rispetto all'unico obbligo per i soggetti destinatari dei contributi che è quello di presentare, ai sensi dell'articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica n. 76 del 1998, «tempestivamente, ai Ministeri competenti, una relazione analitica sugli interventi realizzati, che ne indichi il costo totale, suddiviso nelle principali voci di spesa, accompagnata da una dichiarazione sostitutiva di notorietà resa dal legale rappresentante e dal responsabile tecnico secondo le disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, ovvero, per le pubbliche amministrazioni, sottoscritta dal responsabile del procedimento».
(4-10510)

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
sulla Gazzetta Ufficiale - Serie Generale n. 298 del 22 dicembre 2010, supplemento ordinario n. 282 è pubblicato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 10 dicembre 2010, «Ripartizione della quota dell'otto per mille dell'IRPEF devoluta alla diretta gestione statale, per l'anno 2010 (10A15355)»;
detto decreto fa riferimento alla legge 20 maggio 1985, n. 222 il cui articolo 47 dispone tra l'altro che «A decorrere dall'anno finanziario 1990 una quota pari all'otto per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, liquidata dagli uffici sulla base delle dichiarazioni annuali, è destinata, in parte, a scopi di interesse sociale o di carattere umanitario a diretta gestione statale e, in parte, a scopi di carattere religioso a diretta gestione della Chiesa cattolica»;
l'articolo 48 di detta legge specifica che le somme «sono utilizzate: dallo Stato per interventi straordinari per fame nel mondo, calamità naturali, assistenza ai rifugiati, conservazione di beni culturali; dalla Chiesa cattolica per esigenze di culto della popolazione, sostentamento del clero, interventi caritativi a favore della collettività nazionale o di paesi del terzo mondo»;
il 28 maggio 2010, al termine della sessantunesima assemblea generale della Conferenza episcopale italiana la stessa - «considerate le proposte di ripartizione e assegnazione presentate dalla Presidenza della CEI e preso atto che, sulla base delle informazioni ricevute in data 9 dicembre

2009 dal Ministero dell'economia e delle finanze, la somma relativa all'8 per mille IRPEF che lo Stato è tenuto a versare alla CEI nel corso dell'anno 2010 risulta pari a euro 1.067.032.535,28 (euro 90.021.557,25 a titolo di conguaglio per l'anno 2007 e euro 977.010.978,03 a titolo di anticipo dell'anno 2010)» - ha assegnato per l'edilizia di culto 190 milioni (di cui 118 milioni destinati alla nuova edilizia di culto, 7 milioni destinati alla costruzione di case canoniche nel Sud d'Italia e 65 milioni destinati alla tutela e al restauro dei beni culturali ecclesiastici); e, tra l'altro 30 milioni «per accantonamento a futura destinazione per le esigenze di culto e pastorale e per gli interventi caritativi»;
il totale della quota dell'otto per mille dell'IRPEF devoluta alla diretta gestione statale, per l'anno 2010 ammonta a 144.431.387,64 euro e che di questi 63.424.212,61 euro, pari al 44 per cento dell'ammontare totale è stata destinata alla tutela e al restauro di beni ecclesiastici o è stata gestita da enti ecclesiastici e in particolare, nella diocesi di Pistoia è stato finanziato il seguente progetto:
Intervento: Completamento della ristrutturazione, consolidamento statico e restauro del complesso conventuale e della chiesa dei Santi Domenico e Francesco in Popiglio-Piteglio (Pistoia) - Ente: Congregazione suore domenicane ancelle del Signore in Popiglio - Euro: 24.370,35 -:
se risulti che la stessa opera non sia stata già finanziata con i fondi previsti dalla legge n. 222 del 20 maggio 1985 dalla Conferenza episcopale italiana attraverso la diocesi di competenza o direttamente dallo Stato;
se la Conferenza episcopale italiana, nel presentare il «rendiconto relativo alla effettiva utilizzazione delle somme» ricevute in base a tale legge, dettagli e documenti tali spese;
se risulti che il progetto non sia stato già finanziato con fondi di altre istituzioni pubbliche;
se, quanti e quali controlli siano stati fatti e da chi rispetto all'unico obbligo per i soggetti destinatari dei contributi che è quello di presentare, ai sensi dell'articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica n. 76 del 1998, «tempestivamente, ai Ministeri competenti, una relazione analitica sugli interventi realizzati, che ne indichi il costo totale, suddiviso nelle principali voci di spesa, accompagnata da una dichiarazione sostitutiva di notorietà resa dal legale rappresentante e dal responsabile tecnico secondo le disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, ovvero, per le pubbliche amministrazioni, sottoscritta dal responsabile del procedimento».
(4-10511)

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
sulla Gazzetta Ufficiale - Serie Generale n. 298 del 22 dicembre 2010, supplemento ordinario n. 282 è pubblicato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 10 dicembre 2010, «Ripartizione della quota dell'otto per mille dell'IRPEF devoluta alla diretta gestione statale, per l'anno 2010 (10A15355)»;
detto decreto fa riferimento alla legge 20 maggio 1985, n. 222 il cui articolo 47 dispone tra l'altro che «A decorrere dall'anno finanziario 1990 una quota pari all'otto per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, liquidata dagli uffici sulla base delle dichiarazioni annuali, è destinata, in parte, a scopi di interesse sociale o di carattere umanitario a diretta gestione statale e, in parte, a scopi di carattere religioso a diretta gestione della Chiesa cattolica»;
l'articolo 48 di detta legge specifica che le somme «sono utilizzate: dallo Stato per interventi straordinari per fame nel mondo, calamità naturali, assistenza ai rifugiati, conservazione di beni culturali; dalla Chiesa cattolica per esigenze di culto

della popolazione, sostentamento del clero, interventi caritativi a favore della collettività nazionale o di paesi del terzo mondo»;
il 28 maggio 2010, al termine della sessantunesima assemblea generale della Conferenza episcopale italiana la stessa - «considerate le proposte di ripartizione e assegnazione presentate dalla Presidenza della CEI e preso atto che, sulla base delle informazioni ricevute in data 9 dicembre 2009 dal Ministero dell'economia e delle finanze, la somma relativa all'8 per mille IRPEF che lo Stato è tenuto a versare alla CEI nel corso dell'anno 2010 risulta pari a euro 1.067.032.535,28 (euro 90.021.557,25 a titolo di conguaglio per l'anno 2007 e euro 977.010.978,03 a titolo di anticipo dell'anno 2010)» - ha assegnato per l'edilizia di culto 190 milioni (di cui 118 milioni destinati alla nuova edilizia di culto, 7 milioni destinati alla costruzione di case canoniche nel Sud d'Italia e 65 milioni destinati alla tutela e al restauro dei beni culturali ecclesiastici); e, tra l'altro 30 milioni «per accantonamento a futura destinazione per le esigenze di culto e pastorale e per gli interventi caritativi»;
il totale della quota dell'otto per mille dell'IRPEF devoluta alla diretta gestione statale, per l'anno 2010 ammonta a 144.431.387,64 euro e che di questi 63.424.212,61 euro, pari al 44 per cento dell'ammontare totale è stata destinata alla tutela e al restauro di beni ecclesiastici o è stata gestita da enti ecclesiastici e in particolare, nella diocesi di Reggio Calabria-Bova è stato finanziato il seguente progetto:
Intervento: Basilica bizantina di S. Maria dei tridetti in Staiti (Reggio Calabria): Esecuzione di una campagna di analisi ed indagini diagnostiche - Ente: Comune di Staiti - Euro: 21.302,38 -:
se la stessa opera sia stata già finanziata con i fondi previsti dalla legge n. 222 del 20 maggio 1985 dalla Conferenza episcopale italiana attraverso la diocesi di competenza o direttamente dallo Stato;
se la Conferenza episcopale italiana, nel presentare il «rendiconto relativo alla effettiva utilizzazione delle somme» ricevute in base a tale legge, dettagli e documenti tali spese;
se risulti che il progetto non sia stato già finanziato con fondi di altre istituzioni pubbliche;
se, quanti e quali controlli siano stati fatti e da chi rispetto all'unico obbligo per i soggetti destinatari dei contributi che è quello di presentare, ai sensi dell'articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica n. 76 del 1998, «tempestivamente, ai Ministeri competenti, una relazione analitica sugli interventi realizzati, che ne indichi il costo totale, suddiviso nelle principali voci di spesa, accompagnata da una dichiarazione sostitutiva di notorietà resa dal legale rappresentante e dal responsabile tecnico secondo le disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, ovvero, per le pubbliche amministrazioni, sottoscritta dal responsabile del procedimento».
(4-10512)

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
sulla Gazzetta Ufficiale - Serie Generale n. 298 del 22 dicembre 2010, supplemento ordinario n. 282 è pubblicato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 10 dicembre 2010, «Ripartizione della quota dell'otto per mille dell'IRPEF devoluta alla diretta gestione statale, per l'anno 2010 (10A15355)»;
detto decreto fa riferimento alla legge 20 maggio 1985, n. 222 il cui articolo 47 dispone tra l'altro che «A decorrere dall'anno finanziario 1990 una quota pari all'otto per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, liquidata dagli uffici sulla base delle dichiarazioni annuali, è destinata, in parte, a scopi di interesse sociale o di carattere umanitario a diretta

gestione statale e, in parte, a scopi di carattere religioso a diretta gestione della Chiesa cattolica»;
l'articolo 48 di detta legge specifica che le somme «sono utilizzate: dallo Stato per interventi straordinari per fame nel mondo, calamità naturali, assistenza ai rifugiati, conservazione di beni culturali; dalla Chiesa cattolica per esigenze di culto della popolazione, sostentamento del clero, interventi caritativi a favore della collettività nazionale o di paesi del terzo mondo»;
il 28 maggio 2010, al termine della sessantunesima assemblea generale della Conferenza episcopale italiana la stessa - «considerate le proposte di ripartizione e assegnazione presentate dalla Presidenza della CEI e preso atto che, sulla base delle informazioni ricevute in data 9 dicembre 2009 dal Ministero dell'economia e delle finanze, la somma relativa all'8 per mille IRPEF che lo Stato è tenuto a versare alla CEI nel corso dell'anno 2010 risulta pari a euro 1.067.032.535,28 (euro 90.021.557,25 a titolo di conguaglio per l'anno 2007 e euro 977.010.978,03 a titolo di anticipo dell'anno 2010)» - ha assegnato per l'edilizia di culto 190 milioni (di cui 118 milioni destinati alla nuova edilizia di culto, 7 milioni destinati alla costruzione di case canoniche nel Sud d'Italia e 65 milioni destinati alla tutela e al restauro dei beni culturali ecclesiastici); e, tra l'altro 30 milioni «per accantonamento a futura destinazione per le esigenze di culto e pastorale e per gli interventi caritativi»;
il totale della quota dell'otto per mille dell'IRPEF devoluta alla diretta gestione statale, per l'anno 2010 ammonta a 144.431.387,64 euro e che di questi 63.424.212,61 euro, pari al 44 per cento dell'ammontare totale è stata destinata alla tutela e al restauro di beni ecclesiastici o è stata gestita da enti ecclesiastici e in particolare, nella diocesi di Reggio Emilia-Guastalla è stato finanziato il seguente progetto:
Intervento: Restauro dei beni lignei posti nell'area presbiteriale della collegiata dei Santi Quirino e Michele Arcangelo in Correggio (Reggio Emilia) - Ente: Parrocchia dei SS. Quirino e Michele Arcangelo in Correggio - Euro: 466.089,19 -:
se la stessa opera sia stata già finanziata con i fondi previsti dalla legge n. 222 del 20 maggio 1985 dalla Conferenza episcopale italiana attraverso la diocesi di competenza o direttamente dallo Stato;
se la Conferenza episcopale italiana, nel presentare il «rendiconto relativo alla effettiva utilizzazione delle somme» ricevute in base a tale legge, dettagli e documenti tali spese;
se risulti che il progetto non sia stato già finanziato con fondi di altre istituzioni pubbliche;
se, quanti e quali controlli siano stati fatti e da chi rispetto all'unico obbligo per i soggetti destinatari dei contributi che è quello di presentare, ai sensi dell'articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica n. 76 del 1998, «tempestivamente, ai Ministeri competenti, una relazione analitica sugli interventi realizzati, che ne indichi il costo totale, suddiviso nelle principali voci di spesa, accompagnata da una dichiarazione sostitutiva di notorietà resa dal legale rappresentante e dal responsabile tecnico secondo le disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, ovvero, per le pubbliche amministrazioni, sottoscritta dal responsabile del procedimento».
(4-10513)

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
sulla Gazzetta Ufficiale - Serie Generale n. 298 del 22 dicembre 2010, supplemento ordinario n. 282 è pubblicato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 10 dicembre 2010, «Ripartizione della quota dell'otto per mille dell'IRPEF devoluta alla diretta gestione statale, per l'anno 2010 (10A15355)»;

detto decreto fa riferimento alla legge 20 maggio 1985, n. 222 il cui articolo 47 dispone tra l'altro che «A decorrere dall'anno finanziario 1990 una quota pari all'otto per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, liquidata dagli uffici sulla base delle dichiarazioni annuali, è destinata, in parte, a scopi di interesse sociale o di carattere umanitario a diretta gestione statale e, in parte, a scopi di carattere religioso a diretta gestione della Chiesa cattolica»;
l'articolo 48 di detta legge specifica che le somme «sono utilizzate: dallo Stato per interventi straordinari per fame nel mondo, calamità naturali, assistenza ai rifugiati, conservazione di beni culturali; dalla Chiesa cattolica per esigenze di culto della popolazione, sostentamento del clero, interventi caritativi a favore della collettività nazionale o di paesi del terzo mondo»;
il 28 maggio 2010, al termine della sessantunesima assemblea generale della Conferenza episcopale italiana la stessa - «considerate le proposte di ripartizione e assegnazione presentate dalla Presidenza della CEI e preso atto che, sulla base delle informazioni ricevute in data 9 dicembre 2009 dal Ministero dell'economia e delle finanze, la somma relativa all'8 per mille IRPEF che lo Stato è tenuto a versare alla CEI nel corso dell'anno 2010 risulta pari a euro 1.067.032.535,28 (euro 90.021.557,25 a titolo di conguaglio per l'anno 2007 e euro 977.010.978,03 a titolo di anticipo dell'anno 2010)» - ha assegnato per l'edilizia di culto 190 milioni (di cui 118 milioni destinati alla nuova edilizia di culto, 7 milioni destinati alla costruzione di case canoniche nel Sud d'Italia e 65 milioni destinati alla tutela e al restauro dei beni culturali ecclesiastici); e, tra l'altro 30 milioni «per accantonamento a futura destinazione per le esigenze di culto e pastorale e per gli interventi caritativi»;
il totale della quota dell'otto per mille dell'IRPEF devoluta alla diretta gestione statale, per l'anno 2010 ammonta a 144.431.387,64 euro e che di questi 63.424.212,61 euro, pari al 44 per cento dell'ammontare totale è stata destinata alla tutela e al restauro di beni ecclesiastici o è stata gestita da enti ecclesiastici e in particolare, nella diocesi di Rieti è stato finanziato il seguente progetto:
Intervento: Completamento del restauro del materiale cartaceo e pergamenaceo dell'Archivio storico vescovile di Rieti - Ente: Diocesi di Rieti - Euro: 8.054,53 -:
se la stessa opera sia stata già finanziata con i fondi previsti dalla legge n. 222 del 20 maggio 1985 dalla Conferenza episcopale italiana attraverso la diocesi di competenza o direttamente dallo Stato;
se la Conferenza episcopale italiana, nel presentare il «rendiconto relativo alla effettiva utilizzazione delle somme» ricevute in base a tale legge, dettagli e documenti tali spese;
se risulti che il progetto non sia stato già finanziato con fondi di altre istituzioni pubbliche;
se, quanti e quali controlli siano stati fatti e da chi rispetto all'unico obbligo per i soggetti destinatari dei contributi che è quello di presentare, ai sensi dell'articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica n. 76 del 1998, «tempestivamente, ai Ministeri competenti, una relazione analitica sugli interventi realizzati, che ne indichi il costo totale, suddiviso nelle principali voci di spesa, accompagnata da una dichiarazione sostitutiva di notorietà resa dal legale rappresentante e dal responsabile tecnico secondo le disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, ovvero, per le pubbliche amministrazioni, sottoscritta dal responsabile del procedimento».
(4-10514)

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
sulla Gazzetta Ufficiale - Serie Generale n. 298 del 22 dicembre 2010, supplemento

ordinario n. 282 è pubblicato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 10 dicembre 2010, «Ripartizione della quota dell'otto per mille dell'IRPEF devoluta alla diretta gestione statale, per l'anno 2010 (10A15355)»;
detto decreto fa riferimento alla legge 20 maggio 1985, n. 222 il cui articolo 47 dispone tra l'altro che «A decorrere dall'anno finanziario 1990 una quota pari all'otto per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, liquidata dagli uffici sulla base delle dichiarazioni annuali, è destinata, in parte, a scopi di interesse sociale o di carattere umanitario a diretta gestione statale e, in parte, a scopi di carattere religioso a diretta gestione della Chiesa cattolica»;
l'articolo 48 di detta legge specifica che le somme «sono utilizzate: dallo Stato per interventi straordinari per fame nel mondo, calamità naturali, assistenza ai rifugiati, conservazione di beni culturali; dalla Chiesa cattolica per esigenze di culto della popolazione, sostentamento del clero, interventi caritativi a favore della collettività nazionale o di paesi del terzo mondo»;
il 28 maggio 2010, al termine della sessantunesima assemblea generale della Conferenza episcopale italiana la stessa - «considerate le proposte di ripartizione e assegnazione presentate dalla Presidenza della CEI e preso atto che, sulla base delle informazioni ricevute in data 9 dicembre 2009 dal Ministero dell'economia e delle finanze, la somma relativa all'8 per mille IRPEF che lo Stato è tenuto a versare alla CEI nel corso dell'anno 2010 risulta pari a euro 1.067.032.535,28 (euro 90.021.557,25 a titolo di conguaglio per l'anno 2007 e euro 977.010.978,03 a titolo di anticipo dell'anno 2010)» - ha assegnato per l'edilizia di culto 190 milioni (di cui 118 milioni destinati alla nuova edilizia di culto, 7 milioni destinati alla costruzione di case canoniche nel Sud d'Italia e 65 milioni destinati alla tutela e al restauro dei beni culturali ecclesiastici); e, tra l'altro 30 milioni «per accantonamento a futura destinazione per le esigenze di culto e pastorale e per gli interventi caritativi»;
il totale della quota dell'otto per mille dell'IRPEF devoluta alla diretta gestione statale, per l'anno 2010 ammonta a 144.431.387,64 euro e che di questi 63.424.212,61 euro, pari al 44 per cento dell'ammontare totale è stata destinata alla tutela e al restauro di beni ecclesiastici o è stata gestita da enti ecclesiastici e in particolare, nella diocesi di Roma sono stati finanziati i seguenti progetti:
Intervento: Completamento del consolidamento delle strutture del chiostro duecentesco ed edifici adiacenti del convento di Santa Sabina all'aventino in Roma - Ente: Curia generalizia frati predicatori convento domenicano di Santa Sabina in Roma - Euro: 754.966,08;
Intervento: Restauro conservativo, consolidamento statico e valorizzazione della chiesa di Santa Prisca in Roma - Ente: Parrocchia di Santa Prisca in Roma - Euro: 299.937,54;
Intervento: Completamento del restauro e valorizzazione della basilica di Santo Stefano rotondo in Roma - Ente: Pontificio collegio germanico ungarico - Euro: 367.061,34;
Intervento: Restauro e riqualificazione del convento sito in Roma, allestimento del museo dei frati cappuccini e restauro delle opere d'arte - Ente: Provincia romana dei frati minori cappuccini - Euro: 388.555,44 -:
se le stesse opere siano state già finanziate con i fondi previsti dalla legge n. 222 del 20 maggio 1985 dalla Conferenza episcopale italiana attraverso la diocesi di competenza o direttamente dallo Stato;
se la Conferenza episcopale italiana, nel presentare il «rendiconto relativo alla effettiva utilizzazione delle somme» ricevute in base a tale legge, dettagli e documenti tali spese;

se risulti che i progetti non siano stati già finanziati con fondi di altre istituzioni pubbliche;
se, quanti e quali controlli siano stati fatti e da chi rispetto all'unico obbligo per i soggetti destinatari dei contributi che è quello di presentare, ai sensi dell'articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica n. 76 del 1998, «tempestivamente, ai Ministeri competenti, una relazione analitica sugli interventi realizzati, che ne indichi il costo totale, suddiviso nelle principali voci di spesa, accompagnata da una dichiarazione sostitutiva di notorietà resa dal legale rappresentante e dal responsabile tecnico secondo le disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, ovvero, per le pubbliche amministrazioni, sottoscritta dal responsabile del procedimento».
(4-10515)

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
sulla Gazzetta Ufficiale - Serie Generale n. 298 del 22 dicembre 2010, supplemento ordinario n. 282 è pubblicato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 10 dicembre 2010, «Ripartizione della quota dell'otto per mille dell'IRPEF devoluta alla diretta gestione statale, per l'anno 2010 (10A15355)»;
detto decreto fa riferimento alla legge 20 maggio 1985, n. 222 il cui articolo 47 dispone tra l'altro che «A decorrere dall'anno finanziario 1990 una quota pari all'otto per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, liquidata dagli uffici sulla base delle dichiarazioni annuali, è destinata, in parte, a scopi di interesse sociale o di carattere umanitario a diretta gestione statale e, in parte, a scopi di carattere religioso a diretta gestione della Chiesa cattolica»;
l'articolo 48 di detta legge specifica che le somme «sono utilizzate: dallo Stato per interventi straordinari per fame nel mondo, calamità naturali, assistenza ai rifugiati, conservazione di beni culturali; dalla Chiesa cattolica per esigenze di culto della popolazione, sostentamento del clero, interventi caritativi a favore della collettività nazionale o di paesi del terzo mondo»;
il 28 maggio 2010, al termine della sessantunesima assemblea generale della Conferenza episcopale italiana la stessa - «considerate le proposte di ripartizione e assegnazione presentate dalla Presidenza della CEI e preso atto che, sulla base delle informazioni ricevute in data 9 dicembre 2009 dal Ministero dell'economia e delle finanze, la somma relativa all'8 per mille IRPEF che lo Stato è tenuto a versare alla CEI nel corso dell'anno 2010 risulta pari a euro 1.067.032.535,28 (euro 90.021.557,25 a titolo di conguaglio per l'anno 2007 e euro 977.010.978,03 a titolo di anticipo dell'anno 2010)» - ha assegnato per l'edilizia di culto 190 milioni (di cui 118 milioni destinati alla nuova edilizia di culto, 7 milioni destinati alla costruzione di case canoniche nel Sud d'Italia e 65 milioni destinati alla tutela e al restauro dei beni culturali ecclesiastici); e, tra l'altro 30 milioni «per accantonamento a futura destinazione per le esigenze di culto e pastorale e per gli interventi caritativi»;
il totale della quota dell'otto per mille dell'IRPEF devoluta alla diretta gestione statale, per l'anno 2010 ammonta a 144.431.387,64 euro e che di questi 63.424.212,61 euro, pari al 44 per cento dell'ammontare totale è stata destinata alla tutela e al restauro di beni ecclesiastici o è stata gestita da enti ecclesiastici e in particolare, nella diocesi di Salerno-Campagna-Acerno è stato finanziato il seguente progetto:
Intervento: Restauro, valorizzazione e musealizzazione dell'abbazia della SS. Trinità di Cava de' Tirreni (Salerno) - Ente: Ministero per i beni e le attività culturali - soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di Salerno e Avellino - Euro: 368.797,48 -:
se la stessa opera sia stata già finanziata con i fondi previsti dalla legge n. 222

del 20 maggio 1985 dalla Conferenza episcopale italiana attraverso la diocesi di competenza o direttamente dallo Stato;
se la Conferenza episcopale italiana, nel presentare il «rendiconto relativo alla effettiva utilizzazione delle somme» ricevute in base a tale legge, dettagli e documenti tali spese;
se risulti che il progetto non sia stato già finanziato con fondi di altre istituzioni pubbliche;
se, quanti e quali controlli siano stati fatti e da chi rispetto all'unico obbligo per i soggetti destinatari dei contributi che è quello di presentare, ai sensi dell'articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica n. 76 del 1998, «tempestivamente, ai Ministeri competenti, una relazione analitica sugli interventi realizzati, che ne indichi il costo totale, suddiviso nelle principali voci di spesa, accompagnata da una dichiarazione sostitutiva di notorietà resa dal legale rappresentante e dal responsabile tecnico secondo le disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, ovvero, per le pubbliche amministrazioni, sottoscritta dal responsabile del procedimento».
(4-10516)

TESTO AGGIORNATO AL 1° MARZO 2011

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AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta scritta:

GRIMOLDI e STUCCHI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
in data 28 agosto 2009 il giovane connazionale Carlo Anselmi morì tragicamente a Cuba, durante una vacanza;
la vicenda, tuttora poco chiara, nel suo approccio da parte dell'ambasciata e del Corpo consolare risulta essere sconcertante per i modi ed i tempi;
il padre del ragazzo, signor Agostino Anselmi, ha intrattenuto, anche per mezzo del sindaco di Seregno (Monza Brianza), una fitta corrispondenza con l'ambasciata e con il consolato italiano di Cuba, dai quali non vengono date risposte soddisfacenti ma solo evasive e ripetitive;
numerose missive sono state inviate anche al Ministero degli affari esteri, anche all'attenzione dell'unità di crisi, alla Presidenza del Consiglio dei ministri, alla Presidenza della Repubblica; anche in questi casi, le risposte non sono esaustive;
in particolare, il sindaco di Seregno ha inviato ben 21 lettere alle più alte cariche dello Stato per ricevere adeguate informazioni sulla vicenda; lo stesso Agostino Anselmi ha inviato più di 50 mail e lettere al Ministero degli affari esteri;
con i suoi scritti, l'ambasciatore Marco Baccin conferma di fatto, quella che all'interrogante appare la totale negligenza dell'ambasciata e del consolato;
infatti, vi sono, in questa vicenda, alcuni risvolti resi noti dal padre della vittima incredibili ed incresciosi quali ad esempio: la circostanza che il padre di Carlo Anselmi sia stato malmenato per essersi opposto al fatto che il figlio venisse posto in una bara già utilizzata, prelevando un'altra persona deceduta che già la occupava; la mancata consegna dei documenti ospedalieri dopo aver preteso sotto ricatto il pagamento di 22.000 USD per i «servizi» a favore del figlio, poi deceduto; la detenzione in prigione di un amico del figlio per aver effettuato una foto dell'ingresso dell'ospedale; l'asportazione di organi del deceduto senza autorizzazione, fatto che per il CTU della procura di Monza è vietato (come evidenziato nella relazione di consulenza tecnica collegiale medico-legale del 29 maggio 2010 che riporta: «la scelta da porte degli stessi di prelevare la totalità degli organi e delle strutture... risulta in prima istanza priva di giustificazione e non comune alla comune pratica settoria ed ai protocolli previsti in casi consimili, non solo nel nostro paese»); l'autopsia ad insaputa del padre e senza che l'ambasciata avesse trasmesso la sua richiesta di partecipazione

di un medico anche locale ma di sua nomina; l'avvio di un indagine di polizia i cui risultati sono tuttora ignoti;
l'ospedale di Santa Clara, nel quale era stato ricoverato Carlo Anselmi, non presentava nessuna garanzia di igiene ed efficienza; il nosocomio, oltre a mancare di attrezzature, era infetto e vi era presenza di topi e di sporcizia (come dimostrano le foto scattate e consegnate in procura);
sul sito del Ministero degli affari esteri, alla voce unità di crisi, si legge l'elenco delle prestazioni che il Ministero dovrebbe effettuare a favore degli italiani all'estero in condizioni di difficoltà: «Quando è possibile, l'unità di Crisi agisce direttamente con i mezzi a disposizione. Effettua diagnosi attraverso la telemedicina mobile, si occupa del rimpatrio di un malato in pericolo di vita, del coordinamento delle rappresentanze diplomatico-consolari nelle prime fasi dell'emergenza» (non il giorno 27 agosto 2009 dopo 9 giorni dal ricovero);
si legge inoltre che: «le Rappresentanze diplomatico-consolari si assicurano che i cittadini ricevano adeguati trattamenti medici in loco, che vengano debitamente informati i familiari e che venga fornita ogni possibile assistenza in caso di necessità di trasferimento in Italia»;
tutto ciò non è stato effettuato in alcun modo;
ad avviso dell'interrogante la negligenza e l'approssimazione del consolato italiano a Cuba ha concorso pesantemente quale elemento di causa della morte di Carlo Anselmi -:
se il Ministro sia a conoscenza di questi fatti e se non intenda intervenire per far luce su questa gravissima vicenda e per prestare tutte le informazioni necessarie ai famigliari della vittima;
se non ravvisi disfunzioni e negligenze del consolato italiano a Cuba.
(4-10517)

...

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:

PALADINI. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
dal mese di luglio 2010 è fermo presso il porto di Genova, isolato nel più lontano terminal del porto di Prà Voltri, un container posto sotto sequestro dall'autorità giudiziaria perché contenente materiale radioattivo ed inquinante;
il detto container sequestrato su una nave della società mercantile Msc era proveniente da Jeddah (Emirati Arabi) ed era destinato ad un'azienda dell'alessandrino;
dopo controlli effettuati dai vigili del fuoco sembra che le radiazioni si sprigionino da cobalto 60, elemento pericoloso, utilizzato anche nelle cosiddette «bombe sporche» già utilizzate dai gruppi terroristici di Al Qaeda;
l'area è da allora inaccessibile ed il container è circondato da una serie di barriere volte ad abbattere il livello di radioattività in attesa del definitivo smaltimento;
occorre valutare con grande attenzione e rigore scientifico i rischi di diffusione nell'ambiente di particelle radioattive;
occorre altresì che le operazioni ipotizzate di isolamento e messa in sicurezza o di rispedizione negli Emirati Arabi o in eventuale sito di recupero di cobalto 60, siano celeri mentre sembra stiano andando a rilento alla luce del fatto che il container incriminato non sia stato rimosso sin dal mese di luglio -:
quali siano gli orientamenti sul caso dei Ministri interrogati e se non ritengano

di intervenire celermente e incisivamente per rilevare eventuali avvenute dispersioni nell'ambiente di particelle radioattive;
se non ritengano opportuno intervenire affinché vengano rimossi gli ostacoli che impediscono un rapido espletamento di tutte le operazioni previste per la definitiva soluzione della vicenda.
(4-10477)

JANNONE. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
i cambiamenti climatici potrebbero determinare entro il 2100 lo scioglimento di tre quarti dei ghiacciai alpini nonché, secondo le previsioni più drammatiche, la dissoluzione di buona parte dell'Antartico entro il 3000, con il conseguente innalzamento del livello del mare di ben 4 metri. Questo scenario è stato rappresentato da due ricerche pubblicate dalla rivista Nature Geoscience, che mettono in risalto due degli aspetti meno noti della mutazione climatica: i suoi effetti sui ghiacciai e il suo impatto a lungo termine. Il primo studio, ad opera delle geofisiche Valentina Radic e Regine Hock dell'università dell'Alaska, stima che i ghiacciai si apprestano a perdere tra il 15 e il 27 per cento del loro volume entro il 2100, cosa che, ammonisce la ricerca, «potrebbe avere effetti sostanziali sull'idrologia regionale e la disponibilità di risorse in acqua». Alcune aree saranno più a rischio di altre, in funzione dell'altezza dei loro ghiacciai, della natura del terreno e della loro localizzazione, più o meno sensibile al riscaldamento del pianeta. In base a queste variabili, i più a rischio sembrano essere i ghiacciai alpini: potrebbe sciogliersene in media il 75 per cento (tra il 60 e il 90 per cento), a seguire quelli della Nuova Zelanda con un rischio medio del 72 per cento (tra il 65 e il 79 per cento);
in base al primo studio, il rischio è limitato all'8 per cento dei ghiacciai in Groenlandia e al 10 per quelli asiatici. Secondo questa ricerca, lo scioglimento dei ghiacciai si tradurrebbe in un elevarsi medio del livello del mare, da qui a fine secolo, di 12 centimetri. La stima, che non prende in considerazione l'espansione degli oceani a seguito del riscaldamento dell'acqua, si sposa ampiamente con l'ultimo rapporto stilato nel 2007 dal Giec, il gruppo intergovernativo di esperti messo in piedi dall'Onu per studiare l'evoluzione del clima. Radic e Hock hanno realizzato i loro calcoli a partire da un modello informativo basato su dati raccolti su oltre 3000 ghiacciai tra il 1961 e il 2004. Inoltre, si sono poggiate sul primo degli scenari intermedi immaginati dal Giec (denominato «A1B»), che coniuga crescita demografica, economica e ricorso a fonti di energia più o meno inquinanti e che prevede un aumento della temperatura del pianeta di 2,8 gradi nel corso del XXI secolo;
lo scenario «A1B» non prende in considerazione le calotte ghiacciate dell'Antartico e della Groenlandia, che da sole raccolgono il 99 per cento dell'acqua dolce del pianeta. Se una di queste due aree dovesse sciogliersi sensibilmente, il livello degli oceani aumenterebbe di molti metri, sommergendo molte città costiere. Immaginando la fusione dell'Antartico occidentale, l'aumento del livello del mare sarebbe di 4 metri. Esattamente lo scenario catastrofico che emerge dal secondo studio pubblicato da Nature Geoscience, realizzato dall'università di Calgary, in Canada. Una ricerca focalizzata sull'inerzia dei gas a effetto serra che, una volta emessi, resistono per secoli nell'atmosfera. Con la conseguenza che, se anche si potessero fermare tutte le emissioni di gas a effetto serra da qui al 2100, il riscaldamento del pianeta proseguirebbe ancora per altre centinaia di anni. Lo studio dell'università canadese si basa sullo scenario «A2» del Giec, più pessimista dell'«A1B» in materia di emissioni e che arriva a prevedere un aumento della temperatura di 3,4 gradi centigradi da qui a fine secolo -:
quali iniziative il Ministro intenda adottare, anche in sede internazionale, al

fine di implementare azioni ecosostenibili, volte al mantenimento del volume dei ghiacciai attualmente esistente.
(4-10480)

JANNONE. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
il summit internazionale di Cancùn, relativo alle problematiche ambientali, si svolgerà a breve, e sarà incentrato sulle possibili azioni attinenti alla riduzione delle emissioni carboniche. Negli Stati Uniti l'energy bill rappresenta la legge con cui l'amministrazione Obama si proponeva di adottare limiti alle emissioni di CO2 e un sistema di permessi in parte ricalcato sulle esperienze europee. Nonostante le possibili difficoltà di attuazione di questa legge, alcune nazioni hanno deciso di intervenire con azioni ben mirate; alcune di esse hanno sfruttato le potenzialità delle sequoie. «Più è vecchia e grossa, spiega lo scienziato Sillet, più cresce. Quindi moltiplica la sua capacità di sequestrare emissioni carboniche». La scoperta è uno dei frutti del lavoro che squadre di scienziati ambientalisti stanno conducendo nelle foreste della West Coast. Un progetto congiunto di Humboldt e University of California che spazia da Big Sur alla Sierra Nevada. Le sequoie sono diventate un alleato formidabile per salvare il pianeta, prima di tutto come depositi di conoscenze: «Più sono antiche - spiega Ruskin Hartley della Save the Redwoods Leage - più sono ricche di informazioni sulla storia dell'ambiente ed i cambiamenti climatici del passato». Rispettosamente, gli scienziati hanno installato su questi tronchi migliaia di sensori elettronici, alimentati a energia solare, le cui informazioni vengono elaborate da complessi sistemi di calcolo matematico nelle due università. «Le antiche sequoie - annuncia il San Francisco Chronicle - sono diventate un capitale di grande valore per la California, in vista del mercato sui permessi di emissione. Hanno una incredibile capacità di resistenza e immagazzinano più CO2 di qualsiasi altro albero, perfino dopo essere morte»;
il rilancio della riforestazione è uno dei tanti settori in cui la West Coast continua a fare da laboratorio per l'America intera. «La California - dice lo scienziato John Bryson del Pacific Council on International Policy - è stata all'avanguardia nel cambiare il suo settore energetico, e le regole sui trasporti». A prescindere dal colore politico di chi la governa. Uno degli ultimi atti di Arnold Schwarzenegger, il governatore, è stata la firma di un accordo con il Brasile e il Messico per preservare le foreste tropicali. Sotto la sua guida la California ha adottato standard più stringenti sui gas di scarico delle automobili, ha imposto tetti severi alle emissioni carboniche per le centrali termoelettriche, le industrie inquinanti, le navi. Ha esteso il numero di componenti messi al bando dai giocattoli per bambini. Ha moltiplicato gli investimenti nell'energia eolica e solare, con l'obiettivo di arrivare al 33 per cento di fonti rinnovabili entro il 2020. Ha lanciato il piano green chemistry per catalogare tutti i prodotti chimici e i loro effetti sulla salute. Ha aggredito emissioni diverse da quelle carboniche, come i «particolari carboniosi» dei motori diesel. «Le leggi della California - riconosce lo scienziato ambientalista Veerabhadran Ramanathan - hanno dimezzato tutte le fuliggini e polveri generate dai diesel». Seguendo questa logica, Bruce Usher della Columbia Business School in un appello rivolto al vertice di Cancùn esorta i leader del mondo con lo slogan «start small», comincia dalle cose piccole, dalla dimensione locale. Usher dimostra i vantaggi di una concorrenza virtuosa tra Stati, un effetto benefico del federalismo americano: la California lungi dall'essere penalizzata perché ha leggi ambientali più severe, sta facendo scuola. «In California e Arizona - spiega Usher - l'energia solare presto fornirà corrente elettrica per tre milioni di abitazioni. Ma il Texas ha risposto diventando un leader mondiale nell'eolico. Il Nevada investe nel geotermico. Il Michigan punta sull'auto elettrica. Il Maine sulle biomasse. Questi sforzi a livello dei singoli Stati hanno un impatto nazionale. In un anno, più della

metà delle nuove centrali elettriche installate in America sono alimentate da fonti rinnovabili»;
le azioni intraprese dalla California sono state rese ufficiali anche dalla Environmental Protection Agency, che ha firmato nella sua storia tutte le normative più importanti per la protezione dell'ambiente e della salute: la messa al bando dei clorofluorocarboni, le regole sulle emissioni di anidride solforosa, contro le piogge acide. L'Epa compie proprio quest'anno 40 anni proprio questa settimana -:
quali iniziative il Ministro intenda adottare, anche promuovendo attività di studio sulle foreste italiane, rifacendosi a quanto già realizzato negli Stati Uniti grazie allo «studio delle sequoie».
(4-10482)

JANNONE. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
dal 1o gennaio 2011 è scattato il divieto di produzione, commercializzazione e utilizzo delle shopper di plastica (polietilene). Le shopper quindi non possono più essere né prodotte, né vendute. Il divieto consente all'Italia di adeguarsi alla normativa europea (UNI EN 13432) recepita con la finanziaria per il 2007, normativa entrata in vigore negli altri Paesi europei il 1o gennaio 2010, mentre nel nostro è in attesa di essere adottata definitivamente tramite decreti attuativi. A patire dal 1o gennaio, le uniche shopper autorizzate sono quelle recanti la scritta «biodegradabile» o «biodegradabile e comportabile» o «EN 13432»; le altre, con la scritta «degradabile», non corrispondono alle caratteristiche previste dalla normativa europea. Ad oggi, però, tale divieto è in realtà solo ed esclusivamente indicativo. La legge finanziaria per il 2007, infatti, pur contenendo due disposizioni che di fatto introducono un bando alle shopper in polietilene finanziando allo stesso tempo con un milione di euro progetti tesi sviluppare nuove soluzioni con biopolimeri, rimanda a futuri decreti attuativi l'operatività del sistema e la definizione di legge finanziaria per il 2007, in attesa dei regolamenti attuativi, può ritenersi agli effetti pratici una dichiarazione di principio e di indirizzo;
la norma EN 13432 «Requisiti per imballaggi recuperabili mediante compostaggio e biodegradazione», adottata anche in Italia con la denominazione UNI EN 13432 è stata introdotta dopo alcune analisi relativamente all'inquinamento delle shopper in polietilene. Si stima, infatti, che per produrne 200 mila tonnellate vengano bruciate 430 mila tonnellate di petrolio. I nuovi ecoshopper dovranno essere realizzati in bio plastica ricavata da mais e da altre materie vegetali e dovranno essere riutilizzabili. La norma europea definisce le caratteristiche che un materiale deve possedere per poter essere definito «compostabile»: biodegradabilità, ossia la conversione metabolica del materiale comportabile in anidride carbonica, disintegrabilità, cioè la frammentazione e perdita di visibilità nel compost finale (assenza di contaminazione visiva), bassi livelli di metalli pesanti e assenza di effetti negativi sulla qualità del compost, ad esempio la riduzione del valore agronomico e presenza di effetti ecotossicologici sulla cresciate delle piante;
la norma UNI EN 13432 è una norma armonizzata, ossia fornisce presunzione di conformità alla direttiva europea 2004/12/CE che modifica la direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e rifiuti da imballaggio. I dettami di tali disposizioni sono stati recepiti dalla legge finanziaria per il 2007, legge 27 dicembre 2006, n. 296. In particolare, si riportano i due commi dell'articolo 1 specificatamente dedicati a tale telematica: 1129 Ai fini della riduzione delle emissioni di anidride carbonica in atmosfera, del rafforzamento della protezione ambientale e del sostegno alle filiere agroindustriali nel campo dei biomateriali, è avviato, a partire dall'anno 2007, un

programma sperimentale a livello nazionale per la progressiva riduzione della commercializzazione di sacchi per l'asporto delle merci che, secondo i criteri fissati dalla normativa comunitaria e dalle norme tecniche approvate a livello comunitario, non risultino biodegradabili. 1130. Il programma di cui al comma 1129, definito con decreto del Ministro dello Sviluppo Economico, di concerto con il Ministro dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e con il Ministro delle Politiche Agricole e Forestali, da adottare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, è finalizzato ad individuare le misure da introdurre progressivamente nell'ordinamento interno al fine di giungere al definito divieto, a decorrere dal 1 gennaio 2010, della commercializzazione di sacchi non biodegradabili per l'asporto delle merci che non rispondano entro tale data, ai criteri fissati dalla normativa comunitaria e dalle norme tecniche approvate a livello comunitario»;
a causa dell'attuale mancanza di decreti attuativi, le imprese che producono shopper in polietilene, oppure i magazzini di stoccaggio, si ritrovano in una condizione assolutamente svantaggiosa dal punto di vista economico. Infatti, se, come già citato in precedenza, i supermercati o i singoli negozi, possono smaltire la merce senza far pagare al cliente il costo della shopper, i produttori, o i grossisti, si ritrovano con scorte di prodotti pari a quanto accumulato a fine 2010, senza sapere se questa merce possa essere venduta ai propri clienti, oppure debba andare in smaltimento seguendo un iter ben preciso. Inoltre, dato che l'unica normativa di riferimento è la UNI EN 13432, non si ha, ad oggi, una regolamentazione chiara ed esaustiva di ciò che possa essere venduto come merce biodegrabile. Per essere tale un materiale deve essere trattato con determinati additivi (ad oggi sono in uso l'ECM Masterbatch Pellets e il D2W, che rispettano la direttiva 94/62/CE e che, aggiunti alla materia prima, rendono il prodotto degradabile in quattro o cinque anni), in modo da rendere la shopper degradabile in quattro o cinque anni, ma, a causa della vaghezza della normativa italiana a riguardo, i produttori non hanno sufficienti elementi per valutare quali additivi siano ammessi per tale tipologia di lavorazione -:
quali iniziative tempestive i Ministri intendano adottare al fine di emanare i decreti attuativi relativi al recepimento della norma UNI EN 13432;
se ed entro quale termine si intendano adottare i decreti al fine di rendere chiaro l'iter di produzione di una shopper biodegrabile, nonché quale tipologia di additivi potrà essere utilizzata per trasformare la materia prima in materiale biodegradabile;
se, ed entro quale termine, i Ministri intendano rendere noto se le scorte di shopper in polietilene attualmente in possesso nei magazzini di grossisti e di imprese produttrici, potranno essere vendute ai clienti (supermarket, negozi, e altri), o se potranno essere smaltite dalle ditte interessate e secondo quali modalità.
(4-10500)

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BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazione a risposta scritta:

STRIZZOLO. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
il comune di Lignano Sabbiadoro, provincia di Udine, è una città turistica nata nel 1903 e sviluppatasi negli anni sessanta con un notevole insediamento urbanistico con particolarità e caratteristiche storico-ambientali;
fra le particolarità sopra richiamate, particolare significato assume la pavimentazione progettata e iniziata nel 1915 - all'inizio del primo conflitto mondiale -

dal genio Militare con funzione di pista di posizionamento e transito dell'artiglieria pesante, a difesa dei confini italiani, dagli eventuali attacchi della marina dell'impero Austro-Ungarico che aveva il suo fronte avanzato in località Porto Buso, posta a confine con Lignano che in quel periodo storico rappresentava l'ultimo approdo marittimo posto sotto la sovranità italiana;
l'opera che si identifica con l'area del Lungomare Trieste, dopo essere stata sospesa a seguito della ritirata di Caporetto, fu ripresa e completata dal genio Civile nel 1935 e con la sua caratteristica ornatura di centinaia di pini mediterranei rappresenta da sempre un simbolo della città turistica di Lignano Sabbiadoro;
recentemente l'amministrazione comunale ha programmato un radicale rifacimento del Lungomare Trieste che prevede l'abbattimento di gran parte dei suoi storici pini;
il progetto prevede una frammentaria sequenza di spazi che priveranno il Lungomare del suo aspetto unitario, che oggi permette di sopportare il giusto rapporto tra città ed arenile;
la fase preliminare del progetto è ormai terminata e si sta per approvare la versione definitiva, senza che sia stata data alla cittadinanza una chiara e completa esposizione sulla motivazione, sulle caratteristiche e sugli effetti dell'intervento;
il Lungomare Trieste rappresenta un insostituibile patrimonio dell'intera comunità e dei suoi ospiti per le sue caratteristiche paesaggistiche, storiche e turistiche;
sulla base del progetto presentato i finanziamenti disponibili consentiranno di intervenire solo su una parte del lungomare mentre tali finanziamenti risulterebbero invece sufficienti per un intervento di valorizzazione sull'intero asse;
fra la cittadinanza è maturata una forte opposizione al progetto, che se realizzato arrecherà un danno permanente ed irreversibile a tutta la località e, in opposizione agli intendimenti dell'amministrazione comunale si è costituito un comitato civico per difendere i valori storico-ambientali del Lungomare Trieste di Lignano Sabbiadoro e ha promosso una petizione, già inviata a tutte le istituzioni locali e nazionali con un vasta raccolta di firme;
il patrimonio turistico-ambientale rappresentato da Lignano Sabbiadoro assume un grandissimo rilievo per l'intera comunità friulana e regionale, anche per l'importanza economica e sociale che il centro ha raggiunto in questi anni nella realtà della regione Friuli Venezia Giulia e dell'intero Nord-Est italiano;
il comitato civico sopra richiamato ha anche proceduto all'inoltro al Ministero per i beni e le attività culturali, di una richiesta di vincolo sull'area -:
quali siano gli intendimenti del Ministro interrogato circa la necessità di una tutela storica, culturale e ambientale per il Lungomare Trieste di Lignano Sabbiadoro così come richiesto e sollecitato dal comitato e dalle migliaia di cittadini che hanno sottoscritto la petizione.
(4-10505)

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DIFESA

Interrogazioni a risposta scritta:

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
con l'atto di sindacato ispettivo n. 4-04376 gli interroganti avevano, tra le altre, chiesto di sapere «quanti siano i casi di militari che hanno svolto servizio nel poligono interessato che hanno riportato gravi patologie per le quali non possa essere escluso il nesso di causa con l'attività svolta, [...].»;

a tale quesito non è stata fornita alcuna risposta -:
dal 2000 ad oggi quanti siano i casi di militari che hanno svolto servizio nel poligono citato nell'atto di cui in premessa e che hanno riportato gravi patologie per le quali non possa essere escluso il nesso di causa con l'attività svolta e quanti siano gli incidenti occorsi al personale militare e civile durante esercitazioni e/o sperimentazioni di sistemi d'arma e armamenti.
(4-10478)

DI STANISLAO. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
il portavoce di Ban Ki-moon in un comunicato ha dichiarato che il Segretario Generale richiama al dialogo continuo tra tutte le parti e al rispetto della costituzione e della legge in Libano, aggiungendo che il Segretario Generale ha ribadito altresì il proprio sostegno al lavoro del Tribunale speciale per il Libano (STL);
secondo quanto riportato dalla stampa, il Governo di unità nazionale in Libano è caduto lo scorso mercoledì, dopo le dimissioni di undici ministri dell'alleanza politica guidata dal gruppo Hezbollah. Sembra che essi si siano dimessi dopo il fallimento dei negoziati, promossi da Arabia Saudita e Siria, nel tentativo di giungere a un compromesso sul Tribunale speciale, che esamina l'assassinio dell'ex Primo Ministro Rafik Hariri, nel 2005, La situazione in Libano negli ultimi mesi è stata caratterizzata da una crescente tensione, un clima nazionale che il Segretario generale ha definito «di incertezza e fragilità»;
il Tribunale speciale è un corpo indipendente, costituito sulla base dell'indagine della Commissione internazionale indipendente di inchiesta, seguito a una prima missione ONU che aveva identificato varie irregolarità nell'inchiesta condotta dal Libano, a livello nazionale, sull'attentato che uccise Rafik Hariri e altre ventidue persone. Ban Ki-moon ha sottolineato l'indipendenza del Tribunale speciale, augurandosi che il suo lavoro possa aiutare a metter fine alle impunità nel Paese;
il Libano è stato anche al centro del colloquio di Ban Ki-moon con il re dell'Arabia Saudita Abdullah Bin Abdulaziz Al Saud, svoltosi a New York e durante il quale il Segretario Generale ha ringraziato l'Arabia Saudita per gli sforzi in favore della stabilità in Libano. Intanto, il Comandante della forza di interposizione in Libano delle Nazioni Unite (UNIFIL), maggiore Alberto Asarta Cuevas, ha incontrato alti funzionari delle forze armate libanesi e rappresentanti delle forze di difesa israeliane, al quartier generale ONU di Ras Al Naquora. Tra i temi trattati: l'attuazione della risoluzione 1701, che ha messo fine alla guerra del 2006 tra Israele e Hezbollah, la questione del villaggio di Ghajar, attraversato dalla cosiddetta Linea Blu che separa Israele e Libano, e altre questioni relative alla situazione lungo la Linea Blu;
con il disegno di legge (A.C. 3996, di conversione del decreto-legge n. 228 del 29 dicembre 2010 recante proroga degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché delle missioni internazionali delle forze armate, si autorizza la proroga della missione UNIFIL (Forza temporanea delle Nazioni Unite in Libano) con 1.780 unità militari -:
se il Governo stia monitorando la situazione in Libano in seguito agli ultimi episodi avvenuti e ad una forte instabilità politica e governativa che lo sta caratterizzando;
se il Governo sia a conoscenza dell'incontro avvenuto tra il comandante della Forza di interposizione in Libano delle Nazioni Unite (UNIFIL) e gli alti funzionari delle forze armate libanesi e rappresentanti delle forze di difesa israeliane, al quartier generale ONU di Ras Al Naquora e se non ritenga di doversi ac

certare degli elementi emersi da tale incontro in relazione alla nostra partecipazione alla missione UNIFIL.
(4-10494)

DI STANISLAO. - Al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
l'AgenParl in data 13 dicembre 2010 ha pubblicato una serie take di agenzia sullo stato delle acque in provincia di Caserta, sottolineando come le basi Usa presenti nel territorio abbiano interdetto l'uso dell'acqua del rubinetto ai militari delle proprie basi. Le analisi batteriologiche, condotte tra lo US Naval Hospital di Napoli e i centri specializzati in Virginia, parlano di contaminazione delle acque nella maggior parte degli appartamenti utilizzati come alloggi dai soldati;
i casi riscontrati dallo studio americano riguardano una decina di comuni del casertano: Caserta, Casal di Principe, Casapesenna, Gricignano d'Aversa, Pozzuoli, San Maria Capua Vetere, San Cipriano D'Aversa, Villa di Briano e Villa Literno. Una zona che conta circa 300 mila abitanti, tutti a rischio secondo le analisi americane;
analisi americane hanno inoltre riscontrato la presenza di «accresciute concentrazioni di arsenico nel suolo e nell'acqua in comparazione ai livelli regionali di osservazione stabiliti dall'agenzia per la protezione dell'ambiente degli Stati Uniti» -:
se i Ministri interrogati abbiano intenzione di avviare le opportune indagini su tutto il territorio interessato a tutela della salute pubblica alla luce degli elementi emersi dalle analisi americane;
se e con quali strumenti i Ministeri intendano intervenire per garantire la salute pubblica dei cittadini casertani e dei militari delle basi italiane presenti sul territorio.
(4-10502)

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ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta orale:

GALATI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
le molteplici difficoltà che si registrano nella discussione sulla ripartizione del fondo sanitario 2011 al tavolo della Conferenza delle regioni rappresentano un segnale d'allarme che certamente non va sottovalutato. Bisogna senz'altro garantire e rispettare i doverosi vincoli del bilancio sanitario regionale rispettando i «paletti» della finanza pubblica ma non esigere sforzi e sacrifici eccessivi dalle regioni;
nell'attuale contesto, la regione Calabria, attraverso l'impegno personale del suo Presidente, Giuseppe Scopelliti, ha mostrato senso di responsabilità dando attuazione al piano di rientro, attenendosi a rigorose normative nazionali in grado di innestare il percorso più virtuoso in assoluto;
la scelta fatta dal Governo di utilizzare criteri legati all'anzianità della popolazione, avvalorerebbero ipotesi penalizzanti per la regione Calabria, soprattutto in considerazione dell'età media dei cittadini calabresi. Tale scelta infatti porterebbe, nella ripartizione del fondo sanitario, ad una deprivazione di circa 40 milioni di euro. Sarebbe paradossale, dopo aver rispettato in maniera rigorosa ed in concertazione con il Governo nazionale tutti i percorsi di un cammino programmato con opportuna dovizia e scrupolosità per ottenere nel campo della sanità i risultati sperati a medio e lungo termine, che la regione Calabria subisca una tale penalizzazione;
la pubblica amministrazione ha come vincolo etico, politico e sociale l'ascolto attento dei bisogni dei cittadini; un'eventuale riduzione del fondo sanitario, per la regione Calabria, arrecherebbe un danno

insostenibile con possibili ricadute sui livelli minimi di efficienza, qualità e garanzia, in un settore come quello della sanità che mira proprio alla garanzia di detti diritti riguardo alla salute dei cittadini -:
se alla luce dell'impegno mostrato dalla regione Calabria nel dare attuazione ad un certo tipo di piano di rientro, non si intendano garantire, in sede di ripartizione del fondo sanitario nazionale, adeguati livelli finanziari al fine di assicurare pienamente i livelli essenziali di assistenza.
(3-01414)

Interrogazioni a risposta scritta:

JANNONE. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
nel biennio 2008-2009, quando cioè la crisi economica ha toccato il proprio picco, i consumi delle famiglie italiane hanno registrato una contrazione media annua del 2,1 per cento compiendo un «pauroso salto all'indietro» e tornando ai livelli precedenti del 1999: questa è l'analisi resa pubblica da Confcommercio, secondo la quale «la vera ripresa» dei consumi arriverà solo nel 2012. L'organizzazione sottolinea comunque che, nonostante il minor reddito disponibile, le famiglie si sono dimostrate «vitali e reattive», adeguando le loro abitudini di spesa «per contenere al massimo la perdita di benessere evidenziata durante la crisi». «Con una riduzione media annua del 2,1 per cento nel biennio 2008-2009, scrive Confcommercio nel rapporto sui consumi 2010, i consumi pro capite tornano ai livelli di dieci anni fa, ma le famiglie italiane, nonostante il perdurare della crisi e la riduzione del reddito disponibile, si sono dimostrate vitali e reattive: meno sprechi, più attenzione al rapporto qualità-prezzo e ricorso anche a quote di risparmi è stato, infatti, il comportamento di spesa adottato per contenere al massimo la perdita di benessere patita durante la crisi». I consumatori non hanno cioè subito passivamente la crisi, ma hanno colto le opportunità offerte dal mercato per ridurre al minimo gli effetti della recessione;
tra le voci consumo, nel biennio in esame, è risultata quindi inevitabilmente in calo innanzitutto la spesa per le vacanze (- 3,2 per cento). Ma è diminuita anche quella per i pasti in casa e fuori casa (- 3,2), la mobilità e le comunicazioni (- 3,1 per cento) e l'abbigliamento (- 3,1 per cento). Al contrario hanno tenuto le spese per la salute (+ 2,4 per cento), per elettrodomestici e IT domestico (+ 2,4 per cento) e quelle per beni e servizi per la telefonia (+ 0,4 per cento). Secondo Confcommercio, i tempi di recupero del terreno perso si prospettano un po' più lunghi di quanto auspicato finora. Infatti, guardando alla spesa delle famiglie e agli occupati, «non soltanto appare evidente la posizione attuale del livello dei consumi, ma si capisce che la modesta ripresa non si è trasmessa ancora al mercato del lavoro. Senza una maggiore occupazione difficilmente si osserverà una curva crescente nella spesa reale per i consumi. E senza consumi difficilmente ci sarà una ripresa solida», sottolinea l'associazione;
per il 2010 Confcommercio stima infatti un «modesto» + 0,4 per cento seguito da un + 0,9 per cento quest'anno e da una «vera ripresa» dei consumi nel 2012, con un + 1,6 per cento. Nell'analisi di lungo periodo (dal 1992 alle previsioni per il 2012), le abitudini di spesa mostrano cambiamenti profondi. È aumentata di cinque volte la spesa per beni e servizi di telecomunicazioni (cellulari, abbonamenti telefonici e internet e altro) rispetto a quella per la mobilità (acquisto di auto e spese di esercizio, carburanti, e altro). Analogamente, ma con minore intensità, si è modificato il rapporto tra pasti in casa e fuori casa: in pratica, nel 2012 per ogni euro speso per l'alimentazione domestica si spenderanno altri 50 centesimi per consumazioni fuori casa. Il 2010 è stato un anno critico per le imprese del terziario. Il rapporto tra natalità e mortalità delle aziende del settore (ovvero tra il numero di iscrizioni e di cessazioni) è stato ancora

negativo, anche se di minore entità rispetto al 2009;
«anche se il ritmo è rallentato rispetto al passato, - sottolinea l'organizzazione dei commercianti - i numeri continuano a indicarci che le cessazioni di imprese nel 2010 sono state elevate: 79.948 nel commercio, 18.340 negli alberghi e pubblici esercizi, 50.339 negli altri servizi. Questa situazione, compensata solo in parte dalle nuove iniziative, ha interessato aziende di ogni dimensione e tipologia organizzativa e ha favorito una riduzione del livello di servizio per i cittadini, specie del commercio di prossimità che è quello realmente capillare». Tra le ombre Confcommercio evidenzia comunque anche qualche luce. Nel commercio al dettaglio, ad esempio, cresce l'innovazione sia nei formati e nelle formule, sia nella mentalità di fare imprenditoria, come testimonia il numero delle forme giuridiche societarie, e in particolare delle società di capitale, quasi raddoppiato nel corso degli ultimi 10 anni (dal 5,9 per cento nel 2000 al 10,1 per cento nel 2010). Intanto nel terzo trimestre del 2010 il rapporto tra deficit e prodotto interno lordo è stato pari al 3,2 per cento, in diminuzione rispetto al 3,9 per cento del corrispondente periodo del 2009. Lo comunica l'Istat diffondendo i dati grezzi sull'indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche. Nel terzo trimestre 2010, il saldo primario, l'indebitamento al netto degli interessi passivi, è risultato positivo e pari a 3.702 milioni di euro (era pari a più 964 milioni di euro nel corrispondente trimestre del 2009), con un'incidenza positiva sul prodotto interno lordo dell'1 per cento, incidenza fissata al più 0,3 per cento nel corrispondente trimestre del 2009. L'Istat aggiunge che nei primi nove mesi del 2010 il saldo primario rispetto al prodotto interno lordo risulta negativo e pari allo 0,6 per cento mentre era pari allo 0,9 per cento nello stesso periodo del 2009 -:
quali iniziative i Ministri intendano adottare al fine di sostenere il livello dei consumi di beni e servizi nel nostro Paese.
(4-10483)

ZACCHERA. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
la manovra finanziaria per il 2011 ha comportato pesanti tagli ai trasferimenti ai comuni che si trovano in evidenti difficoltà nella predisposizione dei bilanci per l'anno in corso;
da più parti vengono giornalmente annunciati progetti di federalismo fiscale per assegnare ai comuni nuove possibilità tributarie o compartecipazione su alcuni introiti dello stato;
occorre con urgenza capire come poter redigere i bilanci preventivi 2011 -:
se non si ritenga di comunicare con urgenza a tutte le amministrazioni comunali l'entità effettiva dei tagli previsti nei trasferimenti ma anche quali concrete possibilità per il ricorso a nuovi tributi ci sia per il 2011 e - in alternativa - quali iniziative intenda attuare il Governo, al più presto, per un riequilibrio dei fondi versati ai diversi comuni, fermo restando la necessità di un contenimento generale della spesa pubblica.
(4-10488)

ANDREA ORLANDO. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 15 - comma 3 - della legge n. 724 del 1994 ha previsto, per gli iscritti alle forme esclusive dell'AGO (es: Stato, Inpdap, Ipost) che la pensione spettante deve essere determinata sulla base di tutti gli elementi retributivi assoggettati a contribuzione, ivi compresa la IIS. (Indennità integrativa speciale);
con il comma 5 si è però stabilito che la predetta indennità potesse essere corrisposta come assegno accessorio solo sui trattamenti di pensione diretta liquidati fino al 31 dicembre 1994 e sulle pensioni di reversibilità ad essere riferite;

con la legge n. 335 del 1995, articolo 1, comma 41, viene estesa la disciplina vigente in materia di reversibilità per i lavoratori privati anche ai lavoratori pubblici;
per la Ragioneria generale dello Stato e per l'INPDAP, per i decessi intervenuti dopo il 17 agosto 1995, l'importo della pensione di reversibilità è costituito dall'ammontare complessivo della pensione diretta (comprensiva dell'I.I.S.) e attribuita dalle Corte dei conti regionali e centrali;
con sentenza favorevole n. 8/2002/QM delle sezioni riunite, la Corte dei conti ha stabilito che il trattamento di reversibilità deve continuare ad essere liquidato secondo le norme dettate dall'articolo 15, comma 5, della legge n. 724 del 1994;
ciò significa che si doveva fare riferimento, per determinare la misura della pensione non alla data di decorrenza della pensione di reversibilità ma alla data originaria della pensione diretta;
ovviamente tale modalità di calcolo, nella maggioranza dei casi, era favorevole per il pensionato;
a distanza di 11 anni dall'emanazione della norma, e nonostante i pronunciamenti della Corte, la legge n. 296 del 2006, commi 774, 775 e 776 (legge finanziaria per il 2007) ha fornito, invece, l'interpretazione autentica e come tale retroattiva dell'articolo 1, comma 41, della legge n. 335 del 1995 ed ha abrogato l'articolo 15, comma 5, della legge 724 del 1994;
pertanto le pensioni di reversibilità devono essere calcolate con l'indennità integrativa speciale conglobata nella retribuzione pensionabile già attribuita al coniuge deceduto e ridotta in base alla percentuale spettante;
la nuova interpretazione autentica, l'abrogazione dell'articolo 15 della legge n. 724 del 1994, stravolgono la giurisprudenza che era consolidata della Corte dei conti e, pertanto;
tutti i ricorsi pendenti presso le sezioni regionali e gli appelli pendenti presso le sezioni centrali alla data del 1o gennaio 2007 sono respinti;
tutte le sentenze di 1o grado emesse dalle sezioni regionali della Corte dei conti in favore del pensionato e non andate in giudicato sono appellate, e vinte, dall'INPDAP;
infatti la norma di legge - comma 775 - fa «salvi i trattamenti pensionistici più favorevoli in godimento alla data di entrata in vigore della presente legge, già definiti in sede di contenzioso, con riassorbimento sui futuri miglioramenti pensionistici». Con ciò lasciando però esposto al recupero quanto non passato in giudicato (2006);
a seguito di tali sentenze d'appello l'INPDAP ha rideterminato i trattamenti pensionistici, l'importo delle pensioni subisce un abbattimento notevole per effetto dell'adeguamento al minor calcolo e della ritenuta mensile che l'INPDAP opera per recuperare quanto corrisposto negli anni;
le cifre richieste in restituzione possono arrivare anche ad alcune decine di migliaia di euro;
la situazione diviene insostenibile quando l'INPDAP pretende il versamento di somme consistenti per far sì che l'intero debito sia estinto nei termini quinquennali;
tutto ciò acquista carattere di drammaticità se analizzato nel relativo contesto sociale: vedove, età avanzata, spesso associata a problemi di salute, esiguità dei trattamenti pensionistici, elevato importo del debito -:
se, pur consentendo all'INPDAP il nuovo calcolo con riduzione della pensione, non si ritenga di assumere le necessarie iniziative di competenza per annullare il debito maturato con restituzione di quanto trattenuto, o quanto meno abbattere significativamente il debito e consentire la dilazione nella restituzione an

che oltre i cinque anni ora imposti come già avvenuto per situazioni simili (INPS, INPDAP).
(4-10489)

TESTO AGGIORNATO AL 23 FEBBRAIO 2011

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GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:

MANCUSO, CICCIOLI, GIRLANDA, DE LUCA e BARANI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
la mafia e la camorra sono i peggiori flagelli sociali del nostro Paese;
in ogni sistema democratico la certezza della pena è valore imprescindibile;
Giuseppe Belcastro era stato condannato, in primo e in secondo grado, per omicidio e altri reati nel processo «Prima Luce», sulla faida di Sant'Ilario, nella Locride;
la condanna era stata enunciata dalla corte d'assise di appello di Reggio Calabria in data 3 marzo 2006;
la corte d'assise di appello aveva 90 giorni di tempo per depositare le motivazioni della propria sentenza, sì da renderla definitiva;
in quattro anni e mezzo il giudice estensore della sentenza, Enrico Trimarchi, non ha depositato le necessarie motivazioni;
grazie a tale incredibile negligenza Giuseppe Belcastro è stato scarcerato, essendo scaduti i termini per la custodia cautelare, e avviato alla pena alternativa della casa lavoro di Sulmona;
il Ministro della giustizia, Angelino Alfano, ha provveduto tempestivamente ad inviare i propri ispettori presso la corte d'assise di Reggio Calabria per accertare inefficienze e responsabilità -:
quali siano le risultanze dell'ispezione avviata dal Ministro della giustizia e quali iniziative il Governo intenda assumere affinché episodi simili non abbiano mai più a ripetersi.
(4-10492)

MARTELLA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
sulla stampa di lunedì 27 dicembre 2010 si riferisce dell'intervenuto accordo tra il commissario straordinario per l'emergenza del sovrappopolamento carcerario e la regione Veneto per la localizzazione di una nuova casa circondariale, della capienza di 450 posti, in località Campalto, ove trasferire la maggior parte dei detenuti dell'attuale struttura carceraria di Santa Maria Maggiore in Venezia;
tale area trovasi nelle dirette adiacenze del centro abitato della predetta località, in sito di particolare pregio ambientale;
l'articolo 17-ter del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 195, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 26 del 2010 prevede che il commissario straordinario per il sovrappopolamento carcerario provvede all'individuazione delle aree per la realizzazione di nuove strutture carcerarie «d'intesa con il Presidente della Regione territorialmente competente e sentiti i Sindaci dei Comuni interessati» -:
se siano stati acquisiti i pareri del comune di Venezia nell'ambito della procedura di consultazione di cui all'articolo 17-ter del decreto-legge n. 195 del 2009;
se non ritenga opportuna l'individuazione di un'area - pur ricadente all'interno del comune di Venezia - che non abbia le condizioni di criticità e potenziale incompatibilità di quella individuata in località Campalto.
(4-10496)

DI VIZIA e STUCCHI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
la legge del febbraio 2006 sull'affidamento condiviso rappresenta un'iniziativa molto avanzata nel suo contenuto di «bigenitorialità», dato che stabilisce, in ragione

dell'interesse della prole, il diritto a mantenere un rapporto equilibrato con entrambi i genitori, godendo della presenza presso ciascun genitore con determinati tempi e modalità e impegnando gli ex coniugi a mettere da parte rivalità ed essere maggiormente collaborativi, decidendo in sintonia della vita quotidiana dei figli;
nonostante i dati statistici mostrino come oramai l'affido condiviso rappresenti la regola, venendo attivato all'incirca nell'80 per cento delle separazioni e nell'oltre 60 per cento dei divorzi, tuttavia in fase di applicazione da parte dei giudici si assiste spesso ad uno svuotamento di significato dell'affidamento condiviso;
secondo l'allarme lanciato da alcune associazioni, a distanza di quasi cinque anni dall'introduzione della legge n. 54 del 20006, sarebbe desolante il quadro rilevato dall'osservatorio nazionale permanente sui provvedimenti in materia di affidamento condiviso;
secondo i dati rilevati dall'Osservatorio, nella quasi totalità dei casi di separazione, l'affido condiviso viene formalmente disposto, ma in concreto la frequentazione tra il minore e genitore non convivente viene disciplinata in modo analogo ad un affidamento esclusivo;
proprio per far fronte a queste problematiche ad aprile 2010 la commissione giustizia del Senato aveva avviato la discussione di un ddl di modifica della materia;
su un totale di 1.020 provvedimenti esaminati, la percentuale di quelli che vengono definiti «falsi condivisi», ovvero con concessione formale del condiviso ma collocazione prevalente presso la madre, sarebbe pari al 95 per cento dei casi;
è stato segnalato anche l'utilizzo, da parte di alcuni giudici, di modelli pre-compilati di sentenze che prevedevano il domicilio prevalente presso la madre, mentre va ricordato che tale istituto, che individua un genitore «domiciliatario prevalente», non sia in realtà previsto dalla norma, neanche in via interpretativa;
l'abbinamento del domicilio privilegiato ed il mantenimento della pratica dell'assegno, anche a parità di reddito, individuerebbe un vero e proprio aggiramento della legge, dove la pratica di stabilire un «domicilio prevalente» viene applicata con grande puntualità in molti tribunali italiani;
è necessario intervenire per ridurre quelle applicazioni distorte, in cui l'affido viene escluso per motivi non previsti dalla legge, dove i giudici abbiano acquisito enorme discrezionalità e causato un diffuso malcontento sociale;
non esiste alcun motivo perché l'istituto dell'affido condiviso non venga concesso a genitori che desiderano dedicarsi ai figli con pari dignità, a maggior ragione se un genitore chiede con determinazione il rispetto dei «tempi equilibrati e continuativi» previsti dall'articolo 155 del codice civile;
è necessario fornire risposte alle centinaia di segnalazioni, raccolte in tutti i tribunali italiani, da parte di genitori in gravissima difficoltà -:
quali iniziative nell'ambito delle sue competenze il Governo intenda assumere alla luce di quanto descritto dalla presente interrogazione e in particolare quali iniziative urgenti intenda adottare al fine di garantire la piena applicazione della legge n. 54 del 2006 in modo tale che i diritti dei genitori separati e dei loro figli possano essere realmente tutelati.
(4-10507)

PES, SCHIRRU, CALVISI, FADDA, MARROCU, MELIS e SORO. - Al Ministro della giustizia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
la Cooperativa sociale O.N.L.U.S. «Il Samaritano» è stata costituita ad Arborea (Oristano) nel 1997 per volere di don Giovanni Usai;

la cooperativa è nata con l'obiettivo di favorire la nascita di un luogo gestito in forma comunitaria rivolto a condannati ammessi alle misure alternative di detenzione;
attualmente la comunità gestita dalla cooperativa ospita 19 persone, di cui 5 soci ex svantaggiati che hanno concluso il percorso di pena ed ora sostengono con il loro lavoro l'azienda agricola, 14 soci svantaggiati in gran parte in misura alternativa alla detenzione;
l'organico comprende inoltre un sociologo a tempo indeterminato full time, un amministrativo a tempo indeterminato part time, una pedagogista a tempo indeterminato part time e un agro-tecnico a tempo determinato part time, una psicologa libero professionista;
un consulente del lavoro e un revisore unico supportano, dietro retribuzione, le attività amministrative;
i soci svantaggiati, tutti condannati alle misure alternative al carcere, entrano nella cooperativa in seguito ad una specifica ammissione a socio e vengono inquadrati secondo il contratto delle cooperative, richiamando quelle delle cooperative agricole;
gli ospiti ammessi diventano soci lavoratori secondo le vigenti normative in materia e sottoscrivono l'impegno a contribuire ai costi comunitari secondo quanto previsto dal regolamento depositato all'ispettorato del lavoro;
la cooperativa gestisce 40 ettari di terreno in agro di Arborea e su questi insiste la struttura destinata alla vita comunitaria;
l'azienda si occupa della produzione, coltivazione e confezionamento di ortaggi in campo aperto e serre, della raccolta e commercializzazione dei prodotti, della vendita al mercato e all'ingrosso di Cagliari e Oristano;
con la cooperativa sociale «Il Seme» gestisce il punto vendita del mercatino di «Terra Madre» di Oristano;
ha in appalto con il consorzio industriale di Oristano la manutenzione del verde pubblico dell'area industriale di Oristano;
riceve contributi dalla regione Sardegna, assessorato sanità, dalla Chiesa, da privati, nonché dal Ministero della giustizia con il quale è in corso il progetto F.A.D.IN.DE;
nello scorso mese di dicembre don Giovanni Usai è agli arresti domiciliari con l'accusa di violenza sessuale e favoreggiamento della prostituzione, reati che avrebbe commesso nell'ambito della sua attività di direttore della comunità;
in seguito all'arresto di don Giovanni Usai gli archivi cartacei e informatici sono stati sequestrati dall'autorità giudiziaria;
l'attività della cooperativa è seriamente compromessa -:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza della vicenda sopra esposta;
quali iniziative intendano assumere perché i progetti finanziati con contributi statali possano essere portati a compimento in considerazione della loro rilevanza sociale e a salvaguardia dei livelli di occupazione dei condannati a pene alternative alla detenzione.
(4-10518)

...

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta scritta:

LUCÀ, LOVELLI, NICCO, ESPOSITO, FASSINO, DAMIANO, PORTAS, BOCCUZZI e GIORGIO MERLO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
a causa dell'alto tasso di inquinamento dei locomotori diesel utilizzati sulla tratta ferroviaria Aosta-Torino, il comune

di Torino, su indicazione delle autorità competenti, ha vietato, a partire dal 12 dicembre 2010, il transito di detti locomotori nella stazione sotterranea di Porta Susa a Torino;
a causa della mancata elettrificazione della parte compresa tra Ivrea e Aosta, in quel tratto possono viaggiare esclusivamente treni a trazione diesel;
per adeguarsi al divieto di accesso dei locomotori diesel in Porta Susa, Trenitalia ha approntato misure straordinarie, che prevedono la sostituzione, da effettuarsi alla stazione di Chivasso, del locomotore diesel con uno elettrico ai convogli diretti a Torino e la sostituzione da elettrico a diesel sui treni diretti ad Aosta, con conseguenze enormi sulla puntualità, efficienza e affidabilità del servizio;
in data 21 luglio 2010 la società ITALFERR s.p.a. per nome e per conto di RFI Rete ferroviaria italiana s.p.a. ha presentato gli elaborati relativi al progetto preliminare e allo studio preliminare ambientale di «Ammodernamento della linea ferroviaria Chivasso-Aosta - Elettrificazione della tratta Ivrea-Aosta» ai fini della richiesta di verifica di assoggettabilità alla procedura di valutazione di impatto ambientale di competenza statale, ai sensi dell'articolo 20 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni ed integrazioni;
a conclusione di tale procedura, la regione Piemonte, con determinazione n. 213 dell'8 settembre 2010, ha provveduto a trasmettere al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, direzione generale per le valutazioni ambientali, le osservazioni di sua competenza, come previsto dalla legge;
altri progetti di ammodernamento della linea già finanziati, quali quello della «Lunetta di Chivasso» sono stati ripetutamente bocciati dalla procedura di valutazione di impatto ambientale e rimandati a RFI per le opportune valutazioni rendendo eventualmente disponibili le risorse economiche ad essi già destinate;
dalla stampa si è appreso che, in data 11 gennaio 2011, nell'ambito di un incontro tra i rappresentanti delle regioni, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Altero Matteoli e il Ministro agli affari regionali Raffaele Fitto, è stata inserita tra le priorità del prossimo programma CIPE l'elettrificazione della tratta ferroviaria Aosta-Ivrea;
la tratta ferroviaria in questione rappresenta un collegamento strategico che interessa due capoluoghi di regione, l'intera realtà socio-economica della Valle d'Aosta e un'importante parte del Canavese, è frequentata da un numero elevato di pendolari e rappresenta, anche in considerazione dell'aumento delle tariffe autostradali, un canale fondamentale per l'afflusso di vacanzieri in territori a prevalente economia turistica -:
se risponda al vero la notizia dell'inserimento del progetto di elettrificazione della tratta ferroviaria Aosta-Ivrea tra le priorità del programma CIPE e quali siano gli eventuali tempi previsti per la realizzazione di questo progetto, specificando inoltre l'entità e la provenienza delle risorse economiche che verranno impegnate per la realizzazione dell'opera;
a quale punto della procedura prevista sia il progetto, presentato in data 21 luglio 2010 dalla società ITALFERR s.p.a. per nome e per conto di RFI Rete ferroviaria italiana s.p.a. alla direzione regionale ambiente della regione Piemonte, per l'elettrificazione della tratta Aosta-Ivrea e quali adempimenti, spettanti all'amministrazione pubblica statale o alle altre amministrazioni pubbliche regionali, siano ancora nella fase istruttoria;
quali misure e provvedimenti straordinari ritengano necessario adottare, in collaborazione con le regioni competenti, per affrontare i crescenti disagi della popolazione ed evitare l'isolamento strutturale di una parte rilevantissima del territorio nazionale.
(4-10495)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:

MIGLIOLI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
nei primi sei mesi del 2010, come emerge dai dati fomiti dalla Direzione investigativa antimafia (DIA) su 12 mila segnalazioni di operazioni finanziarie sospette ad alto rischio di riciclaggio ben 910 (8 per cento del totale, quindi al 5o posto in Italia, dopo Lombardia, Lazio, Campania, Toscana) provengono dall'Emilia Romagna;
sempre nel primo semestre del 2010 l'Emilia Romagna risulta al 4o posto tra le regioni del centro-nord per i reati di estorsione, 106 casi documentati;
l'arresto a Modena nel marzo scorso di 25 «casalesi» con il sequestro di beni per 6 milioni di euro che testimonia come la criminalità organizzata si sia radicata nella realtà economica dell'Emilia Romagna;
le attuali condizioni dell'economia (crisi della liquidità, difficoltà di accedere al credito, aumento della disoccupazione, ridimensionamento del tessuto produttivo) possono permettere alla criminalità organizzata di compiere un ulteriore salto di qualità potendo disporre di ingenti risorse finanziarie;
negli ultimi anni la magistratura locale ha sottolineato la pericolosità estrema delle infiltrazioni criminali di natura mafiosa riconducibili principalmente al clan dei casalesi che ormai stabilmente ha proiettato la propria sfera di influenza criminale nelle province di Modena, Reggio Emilia e Parma;
da alcune indagini (si fa riferimento all'osservatorio socioeconomico sulle criminalità del CNEL del 23 febbraio 2010) è poi emersa l'attiva presenza nella provincia di Modena anche di importanti esponenti di alcune famiglie mafiose siciliane con particolari interessi nell'aggiudicazione di appalti pubblici. Va registrata la presenza nel modenese del gruppo dei «corleonesi»;
nonostante i positivi risultati operati dalle Forze dell'ordine e dalla magistratura che hanno consentito nel corso di questi anni di ottenere significativi risultati contro la criminalità organizzata, nonostante l'impegno di istituzioni pubbliche modenesi, delle organizzazioni sindacali e delle associazioni delle imprese (Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, Osservatorio provinciale contro la criminalità organizzata. Associazione antiracket) la regione Emilia Romagna costituisce terreno ideale per operazioni di riciclaggio di capitali da parte della criminalità organizzata;
per questo dalle istituzioni, dalle forze politiche modenesi è venuta la proposta di istituire a Modena un ufficio distaccato della direzione investigativa antimafia -:
se il Ministero ritenga di procedere nell'accoglimento dell'istanza proveniente dalle istituzioni modenesi e se dunque si intenda procedere all'istituzione di un ufficio distaccato della Direzione investigativa antimafia a Modena.
(5-04083)

Interrogazioni a risposta scritta:

MIGLIORI. - Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
si è appreso di recente, anche a mezzo stampa, che a seguito delle esigenze di razionalizzazione e maggiore efficienza dei dispositivi territoriali di competenza della compagnia dei carabinieri di Abbadia San Salvatore (Siena), in conseguenza del decreto legislativo 5 ottobre 2000, n. 297 («Norme in materia di riordino dell'Arma dei Carabinieri, a norma dell'articolo 1 della legge 31 marzo 2000, n. 78»), emanato dal Governo Prodi, vi sarà un ridimensionamento del personale;

risulterebbe inoltre che tale riorganizzazione - consistente nella riduzione di 20 unità, cosi distribuite: 3 ispettori, 8 soprintendenti, 9 appuntati - sarebbe stata comunicata dalla prefettura di Siena al comune di Abbadia, nella persona del sindaco, fin da giugno, e poi messa a conoscenza della cittadinanza molti mesi dopo;
tale riordino non coinvolge solo il comune di Abbadia San Salvatore, ma anche quelli di Piancastagnaio, Radicofani, San Casciano dei Bagni, Castiglione d'Orcia, dal momento che la Compagnia dei carabinieri in oggetto serve quale punto nodale per tutto il relativo territorio, punto di crocevia tra tre regioni (Toscana, Lazio, Umbria), e cinque province (Siena, Grosseto, Terni, Perugia, Viterbo), per un totale di 17.000 abitanti, ed altresì caratterizzato da una grande estensione geografica, con zone montane e collinari, e frazioni minori sparse in zone difficilmente raggiungibili -:
quali iniziative urgenti si intendano assumere, anche in eventuale collaborazione con gli organi locali, per riconsiderare tale ristrutturazione e far sì che venga garantita un'adeguata presenza dell'Arma dei carabinieri e dunque dello Stato sul territorio, per garantire la sufficiente assistenza e la certezza del servizio a tutela della sicurezza dei cittadini di questo territorio.
(4-10479)

SCHIRRU, PES, FADDA, CALVISI e MELIS. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
a metà novembre 2010 i 364 corsisti COA 3 - corso per l'accesso in carriera di 300 segretari comunali e provinciali - hanno completato il lungo iter previsto per l'iscrizione all'albo dei segretari comunali e provinciali;
con decisione n. 3 del 16 dicembre 2010 la Commissione esaminatrice ha approvato la graduatoria finale del concorso. Nelle more di espletamento del concorso accadeva che in sede di conversione del decreto-legge n. 78 del 31 maggio 2010 con legge n. 122 del 2010 (in Gazzetta ufficiale n. 176 del 30 luglio 2010 - supplemento Ordinario n. 174) è stata soppressa l'Agenzia autonoma per la gestione dell'albo dei segretari comunali e provinciali e con lo stesso provvedimento è stata prevista la successione alla stessa, a titolo universale, del Ministero dell'interno;
il Ministro dell'interno, nell'ottica di continuità del servizio, con propri decreti ha istituito, nell'ambito del Gabinetto, un'unità di missione presieduta dal prefetto Umberto Cimmino. Con nota del 7 settembre 2010 n. 0055329 il prefetto Umberto Cimmino ha sottoposto un quesito al capo dipartimento della funzione pubblica presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, consigliere Antonio Naddeo. Con tale quesito il prefetto, tra le altre questioni, chiedeva di sapere se in virtù del regime dei vincoli assunzionali fosse o meno necessario ottenere l'autorizzazione per essere iscritti all'albo e per poter prendere servizio presso le sedi di segretarie;
con nota del Dipartimento della funzione pubblica del 15 settembre 2010 n. 0056962, il Capo dipartimento consigliere rispondeva al quesito inerente alla necessità o meno di ottenere la preventiva autorizzazione all'iscrizione dei segretari comunali al rispettivo albo. Il Capo dipartimento, richiamando integralmente il contenuto dispositivo dell'articolo 39 comma 3-bis della legge n. 449 del 1997 (finanziaria per il 1998), riteneva che anche per i segretari comunali fossa necessario ottenere preventiva autorizzazione;
la procedura di autorizzazione, attualmente, si fonda su una deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta dei Ministri per la pubblica amministrazione e l'innovazione e dell'economia e finanze. La formalizzazione avviene con l'adozione di apposito decreto del Presidente della Repubblica contenente l'autorizzazione ad assumere. Inoltre, a monte della procedura vi è la necessità di una richiesta da parte dell'amministrazione competente -

ex Ages - a cui segue l'attività istruttoria svolta dagli uffici dei dicasteri facenti capo ai Ministri proponenti;
infine, in data 18 ottobre 2010 n. 0046078 il Dipartimento della funzione pubblica emanava una nota circolare avente ad oggetto la programmazione del fabbisogno e le autorizzazioni ad assumere per l'anno 2010. Con tale nota il DFP ribadisce che anche l'iscrizione dei segretari comunali e provinciali è subordinata alla preventiva autorizzazione. Inoltre, la richiesta di autorizzazione potrà essere presentata al momento dell'effettivo fabbisogno (pagina 4 ultimo periodo della nota circolare);
il percorso che i 364 corsisti hanno dovuto seguire è stato lungo e tortuoso, così riassumibile: a luglio 2007 sono state espletate, a Roma presso la nuova fiera, le prove preselettive; a gennaio 2008, per tre giorni consecutivi a Roma presso l'Hotel Ergife, si sono tenute le tre prove scritte su 10 materie diverse raggruppate per macroaree; da settembre del 2008 fino a luglio 2009 si sono tenute le prove orali su tutte le materie oltre la lingua straniera; da ottobre 2009 fino al luglio del 2010 per quindici giorni al mese si sono tenute le lezioni a Frascati (otto ore al giorno per cinque giorni settimanali); il 26 luglio 2010 sì è tenuta a Roma presso l'Hotel Ergife un'ulteriore prova scritta intermedia; da luglio 2010 a ottobre 2010 tutti i corsisti hanno svolto presso i comuni i tirocini formativi; a novembre 2010 è stata consegnata alla commissione esaminatrice una tesi di ricerca; da novembre 2010 a dicembre 2010 si sono tenute le ulteriori prove orali; il 16 dicembre è stata approvata la graduatoria finale di merito;
ad oggi non si sa con certezza e da fonte certa se l'ex Ages ha richiesto l'autorizzazione prescritta dall'articolo 39, comma 3-bis, della legge 449 del 1997 e se in caso affermativo, la richiesta è effettivamente oggetto di «attenzione» da parte del Dipartimento della funzione pubblica -:
quali siano i tempi dell'istruttoria e del rilascio dell'autorizzazione, considerando anche che molti corsisti nel frattempo hanno perso il lavoro o si sono dovuti licenziare perché la frequenza del corso era incompatibile con altre attività lavorative, altri ancora hanno dovuto scegliere il part-time o l'aspettativa e, tenendo conto che la maggior parte dei corsisti dovranno cambiare regione di residenza poiché la scelta della regione e dell'iscrizione al relativo albo è subordinata alla disponibilità di posti effettivamente vacanti e alla posizione del corsista nella graduatoria nazionale.
(4-10487)

BOSSA. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
a Terzigno e Boscoreale, in provincia di Napoli, è attiva da settimane una protesta da parte di centinaia di cittadini che chiedono la chiusura della discarica di cava Sari, con relativa bonifica dei luoghi, e la non apertura di una nuova megadiscarica nell'attigua cava Vitiello;
i cittadini si sono organizzati in un comitato che, pacificamente, con manifestazioni, presidi, e sit in dimostrativi, vuole tenere desta l'attenzione su un tema, come quello della tutela ambientale e della salute dei territori del Parco del Vesuvio, che sta a cuore a migliaia di persone di tutta l'area;
il comitato di Terzigno e Boscoreale aveva, alla rotonda di via Panoramica e nei pressi del Rifugio, due punti di incontro, con gazebo e tende; due luoghi simbolo della protesta, dove i dimostranti hanno trascorso le notti, acceso falò per scaldarsi nei presidi notturni, tenuto assemblee e incontri pubblici;
nella notte tra il tredici e il quattordici dicembre 2010, uomini della Polizia di Stato, in assetto antisommossa, con l'ausilio dei vigili del fuoco, hanno allontanato gli aderenti al comitato e hanno rimosso di forza i due presidi: sono stati smantellati, con un vero e proprio blitz, i gazebo e le tende mentre invano i cittadini hanno provato, pacificamente, ad opporsi senza ricevere alcuna risposta;

secondo la ricostruzione degli aderenti al comitato, alla richiesta di esibire un mandato, le forze dell'ordine hanno risposto di non essere tenute a farlo e, senza aggiungere parole o spiegazioni, hanno proceduto allo smantellamento delle tende, dei gazebo e di tutte le strutture che davano riparo durante le notti di protesta;
va precisato che i presidi erano allestiti su suoli privati, che tende e gazebo erano di proprietà privata di alcuni aderenti al comitato e sono state totalmente distrutte nella rimozione, e che all'interno di esse vi si erano tenute iniziative pacifiche e democratiche e non c'erano oggetti pericolosi ma solo un divano, una decina di sedie, una mappa delle discariche e un albero di Natale;
tali azioni di forza, ingiustificate sono errate e controproducenti in quanto finiscono con alimentare tensioni invece di favorire la distensione -:
se sia a conoscenza di quanto sopra esposto, se si a conoscenza e quali siano i motivi per i quali sono stati rimossi i presidi di Terzigno e Boscoreale, che incidevano su un terreno privato, ed erano allestiti con materiali privati andati distrutti; se sia a conoscenza e quali siano gli eventuali motivi di ordine pubblico che hanno reso necessario un blitz, in tenuta antisommossa, di notte, in un momento di totale tranquillità della protesta dei cittadini della zona; se non ritenga di intervenire presso la questura di Napoli per chiedere conto di quanto successo relativamente allo smantellamento del presidio di Terzigno e Boscoreale, in ordine a chi abbia assunto la decisione e perché.
(4-10491)

DI PIETRO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
risulta all'interrogante che a Giulio Cavalli sia stato comunicata la scelta dell'Ucis di Roma di revocargli la scorta: egli, consigliere regionale lombardo ed attore impegnato in spettacoli di teatro civile antimafia, è sotto protezione dal 2008, a causa delle innumerevoli intimidazione mafiose subite;
in segno di protesta e di coerenza, il presidente dell'associazione «Sos racket e usura» ha scritto al prefetto di Milano chiedendo che anche la sua scorta venga revocata, a fronte della sua condizione, meno rischiosa rispetto a quella di Giulio Cavalli, che ne risulta privato;
l'impegno civile di Cavalli è aumentato e si è fatto ancora più incisivo da quando siede nel consiglio regionale, ove ha avuto modo di toccare i fili delle infiltrazioni mafiose nel milanese e gli interessi della 'ndrangheta nei lavori dell'Expo;
appare del tutto immotivata, ad avviso dell'interrogante, la scelta della revoca della protezione a fronte dell'aumento del suo impegno per la legalità e contro la criminalità organizzata, che ora svolge anche al livello politico, denunciandone le nefandezze dai banchi del consiglio regionale;
la diminuzione della tutela e della protezione nei confronti di Giulio Cavalli, in questo momento, offre, ad avviso dell'interrogante, un messaggio negativo da parte dello Stato a tutta la società e, oltre a porre a rischio la vita stessa di Cavalli, rischia di apparire ambiguo nei confronti del crimine organizzato -:
quali motivi abbiano portato alla decisione di revoca della scorta indicata e se non si intenda rivederla.
(4-10503)

GARAGNANI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
nel corso degli ultimi anni gli uffici Immigrazione delle questure e gli sportelli unici per l'immigrazione attivati presso gli Uffici territoriali del Governo hanno dovuto sostenere un numero crescente compiti di estrema rilevanza dalle procedure per l'emersione del lavoro irregolare di colf e badanti, alle pratiche per il ricongiungimento familiare per gli stranieri, a

quelle per l'assunzione di lavoratori neo-comunitari, a quelle di perfezionamento dell'ingresso per attività di lavoro subordinato, a tempo indeterminato o determinato, stagionale, autonomo nell'ambito delle quote stabilite dal «decreto flussi», per le esigenze di funzionamento dei summenzionati uffici, nel 2007 il Ministero dell'interno ha bandito una procedura concorsuale, per titoli ed esami, per l'assunzione di complessive 650 unità di personale, con contratto a tempo determinato della durata di 36 mesi, con il chiaro intento di rispondere a questo sovraccarico di compiti che si era venuto a creare;
fra i requisiti per l'ammissione al concorso era richiesto quello di aver svolto, con contratto di prestazione di lavoro temporaneo, per un periodo di almeno sei mesi anche non continuativi, attività connesse all'attuazione delle norme in materia di immigrazione presso le amministrazioni dello Stato, per cui era chiaramente rivolto a quel personale che a partire dal marzo 2003, attraverso un susseguirsi di contratti di lavoro interinale e relative proroghe, era stato utilizzato per far fronte ad una più efficace gestione delle procedure connesse alla regolarizzazione degli stranieri;
il contratto a tempo determinato della durata di 36 mesi costituiva il requisito necessario per la stabilizzazione definitiva secondo la legge allora vigente (che in seguito è stata modificata, a danno di chi nutriva legittime aspettative);
nel gennaio 2008 fu sottoscritto un primo contratto individuale della durata di due anni, non sussistendo in quel momento la piena copertura finanziaria, relativamente ai previsti 36 mesi; con ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3827 del 27 novembre 2009, concernente «Ulteriori disposizioni urgenti di protezione civile per il contrasto e la gestione dell'eccezionale afflusso di cittadini non appartenenti all'Unione Europea» fu autorizzata la proroga di detti contratti fino al 31 dicembre 2010 e che, peraltro, la stessa ordinanza, proprio in considerazione dell'esplosività e della delicatezza della situazione autorizzava il Ministero dell'interno e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali a utilizzare, per un periodo non superiore a sei mesi, per il tramite di agenzie di somministrazione di lavoro interinale, rispettivamente ulteriori 650 e 300 unità da destinare alle sedi interessate dalle procedure di emersione.
nella seduta della Camera n. 361 del 29 luglio 2010 durante la discussione della manovra finanziaria la Camera ha approvato un OdG che impegnava il Governo a prorogare di ulteriori 12 mesi i contratti di lavoro a tempo determinato in scadenza il prossimo 31 dicembre 2010. Poca cosa rispetto alle premesse, comunque importante segnale in un momento di difficoltà quale quello che il nostro Paese sta attraversando e in seguito, in risposta all'interpellanza urgente presentata alla Camera a prima firma dell'onorevole Daniela Sbrollini (2-00783), il Sottosegretario di Stato per l'interno, Nitto Palma, affermava che le misure adottate per garantire la funzionalità degli uffici di prefetture e questure che si occupano di immigrazione derivano da «esigenze temporalmente definite», per «attuare in maniera temporanea ed eccezionale specifiche strategie organizzative» e che la stabilizzazione del personale non è consentita dalle esigenze di contenimento del disavanzo pubblico;
il Sottosegretario sosteneva inoltre che a partire dal 2009, per la velocizzazione delle pratiche, sarebbero state adottate specifiche misure organizzative e di sistema attraverso il ricorso all'implementazione della tecnologia degli uffici, lasciando intendere che l'attività degli uffici non subirebbe soluzioni di continuità, non facendo nessuna menzione invece di quei 650 lavoratori a tempo determinato che finora sono risultati quanto mai indispensabili per garantire la corretta e fluida attività degli uffici degli Uffici territoriali del Governo e questure, a discapito delle note di merito a loro indirizzo di questori e prefetti, nonché delle numerose comunicazioni inviate al Ministero dell'interno

con cui le medesime autorità hanno denunciato l'imprescindibilità dell'impiego dei 650 precari, avvertendo della grave situazione che si verrebbe a determinare, anche a livello sociale, in conseguenza della sospensione dei servizi che questo personale ormai da sette anni assicura;
al momento, a meno di un mese dalla scadenza del contratto, non è ancora dato sapere quale sarà la sorte dei 650 precari e dal Ministero provengono solo notizie, peraltro non ufficiali, che lasciano intendere che il contratto non verrà prorogato, benché il problema relativo alla mancanza di copertura finanziaria per ulteriori 12 mesi sembri essere stato risolto; si vocifera inoltre che gli stessi lavoratori, nel giro di qualche mese, potrebbero essere riassorbiti nuovamente nel circuito da cui a breve uscirebbero, attraverso il ricorso, ancora una volta, alle agenzie di lavoro interinale, o in alternativa della possibilità di bandire una nuova procedura concorsuale -:
se il Ministero intenda veramente disconoscere l'apporto che questo personale ha fornito per il buon funzionamento dell'amministrazione e il patrimonio di know-how e di risorse umane che non è certo sostituibile attraverso la tecnologia informatica o procedure e misure organizzative e di sistema;
che senso abbia avuto immettere altro personale nell'amministrazione, in particolare 650 lavoratori interinali per soli sei mesi, anche in considerazione del fatto che la spesa media di un lavoratore interinale è circa il doppio di quella di un lavoratore a tempo determinato e che ciò va contro i criteri di economicità e buon andamento della pubblica amministrazione;
per le medesime considerazioni come sia possibile pensare di fare nuovamente ricorso a una tipologia contrattuale di questo tipo;
se si siano valutate le ricadute che l'interruzione dell'erogazione del servizio dei 650 precari comporterebbe sul tessuto sociale del Paese, anche alla luce del fatto che, presso le questure, il personale civile dismesso verrebbe, seppur temporaneamente, sostituito con ogni probabilità da quello di polizia e questo inciderebbe sulla possibilità di garantire la sicurezza di un Paese il cui Governo è costretto a dislocare poliziotti per lo svolgimento di attività amministrativa.
(4-10508)

...

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:

LENZI, MIGLIOLI e BRANDOLINI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
in data 13 gennaio 2011 si è svolto il «click day» INAIL attraverso il portale dell'Istituto per raccogliere le richieste di finanziamento delle aziende per investimenti in prevenzione;
il bando 2010 aveva una dotazione finanziaria su base nazionale pari a 60 milioni di euro, per la regione Emilia Romagna di 4.570.257,00 euro. Oltre il 90 per cento del budget di 60 milioni è stato esaurito in pochi minuti e le richieste sono state pari a 778 milioni di euro;
durante le procedure l'incremento esponenziale degli accessi ha causato il blocco del portale e, quindi, l'indisponibilità del servizio per sette minuti;
tutte le organizzazione agricole dell'Emilia Romagna hanno vivacemente protestato definendo le procedure mal funzionanti e tali da impedire l'accesso delle aziende agricole alle risorse stanziate;
infatti la quasi totalità degli uffici delle confederazioni non è riuscita ad inoltrare le domande, realizzate con enorme dispendio di energie per contattare le aziende, predisporre i progetti e la documentazione, compilare le domande

(certamente non semplici) e in un lasso di tempo limitatissimo. «È difficile - dichiarano in una nota Cia, Confagricoltura e Copagri - non esprimere delusione per l'esito di un bando che non è riuscito a rispondere degnamente allo sforzo che le imprese agricole fanno per migliorare i propri standard di sicurezza sul lavoro». Mentre la Coldiretti chiede l'adozione di nuove procedure tali da assicurare un'equa distribuzione delle risorse ai diversi settori produttivi -:
cosa intenda fare il Governo per giungere a garantire un'equa assegnazione delle risorse non solo dipendente dalla casualità e dalla efficienza o meno del collegamento telematico.
(5-04080)

Interrogazioni a risposta scritta:

JANNONE. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
le comunità artigiane e commerciali delle province emiliane e venete sono allarmate dal continuo dilagare della manodopera a costo zero prodotta dalle organizzazioni cinesi. Secondo le ultime rilevazioni Unioncamere (terzo trimestre 2010) le manifatture di proprietà cinese sono circa 750 a Reggio Emilia, 585 a Padova, 560 a Modena. E ancora, ben 502 nella piccola Mantova e 437 nell'altrettanto piccola Rovigo. I numeri di Prato (3.493) e anche di Firenze (2.347) non sono paragonabili con quelli appena citati, ma non per questo commercianti e artigiani veneto-emiliani che suonano l'allarme non devono essere presi in considerazione. Infatti, se i dati parlano di ditte individuali che agiscono alla luce del sole e sono registrate nelle statistiche ufficiali, nessuno può formulare nemmeno una stima su quanti siano invece i laboratori clandestini. Di sicuro nelle province attorno al Po o anche in Lombardia i ritrovamenti da parte delle forze dell'ordine di «fabbriche fantasma» non fanno più notizia. Finiscono nelle brevi. E nei mesi scorsi la Confartigianato di Treviso per richiamare l'attenzione ha organizzato un incontro pubblico con la Guardia di finanza, il cui obiettivo era proprio quello di fare il punto sulla strategia di contenimento delle illegalità nella produzione di abbigliamento, scarpe e divani. In Brianza, la capitale del mobile made in Italy, a fine settembre 2010 si è verificata a Muggiò l'esplosione di un laboratorio cinese;
l'avanzata asiatica nel manifatturiero padano è lenta e silenziosa. Fanno molto di più scalpore le acquisizioni di bar e osterie (alcuni di nome) comprati con trattative lampo, tanto che il regista Marco Paolini ha iniziato a girare un film sui rapporti tra cinesi e veneti ambientato in un'osteria venduta. A Padova alcuni esercizi nelle vicinanze del centro storico sono stati acquistati in contanti per 6-700 mila euro e, dopo un periodo di gestione diretta, i cinesi hanno assunto camerieri e conduttori italiani per evitare di perdere clienti. Secondo Ferdinando Zilio, della Confcommercio di Padova, in tutto il Veneto sono circa 2 mila i bar, ristoranti e osterie acquistati con modalità poco chiare. La compravendita è molto meno frequente nell'industria. La tendenza degli operatori cinesi in questo caso è quella di articolare la loro presenza lungo l'intera filiera, dal capannone o sottoscala che produce calze e vestiti fino alla bancarella che li vende nei mercati di paese. Oppure di aprire in posizioni strategiche dei centri di ingrosso, come nel caso di Padova, dove si può comprare di tutto, dalla frutta e verdura all'orsetto di peluche. Il guaio è che molti di quei prodotti, provenienti dalle fabbriche tutte intorno, recano l'etichetta made in Italy e vengono venduti in gran quantità a sloveni e austriaci. «Lì dentro non si sa nemmeno cosa sia una fattura e le regole, tutte le regole, vengono continuamente calpestate. Purtroppo in città c'è una sottovalutazione di quanto sta avvenendo» tuona Zilio;
«devo dire che i numeri dell'Unioncamere riferiti a Mantova sono sorprendenti, questa penetrazione nel manifatturiero

ancora sfugge ai nostri occhi» ammette Massimo Salvarani, direttore della Cna locale. È vero che anche nel mantovano quasi con cadenza mensile viene scoperta qualche piccola fabbrica clandestina caratterizzata da un grande locale dove si cuce, si mangia e si dorme. Le aree a maggiore concentrazione di ditte cinesi sono segnalate attorno al distretto della calza di Castelgoffredo o nei maglifici adiacenti ai comuni di Poggio Rusco e Quistello. Non è chiaro quanto e come i cinesi lavorino per grandi aziende italiane e se abbiano sostituito o meno i vecchi contoterzisti della zona. Se queste ipotesi fossero verificate, bisognerebbe affermare che la penetrazione della manifattura cinese all'interno dell'indotto industriale italiano è avvenuta lentamente, giorno dopo giorno, radicandosi sempre di più. Anche a Rovigo, come già a Mantova, non si tratta però di un insediamento diffuso, non esistono Chinatown o grandi centri di smistamento ma un lento ingresso nella subfornitura. Nella provincia di Modena è il distretto di Carpi a catalizzare l'attenzione delle nuove ditte cinesi, quelle regolari e quelle non. Qui la Cna locale stima che a fronte di un'azienda emersa ce ne siano almeno quattro sommerse. Per avere dati precisi, suggeriscono, forse occorrerebbe analizzare i consumi notturni di energia elettrica visto che le manifatture «fantasma» lavorano anche quando gli altri dormono. Modena però offre molte altre occasioni e così ditte cinesi sono presenti nel settore della ceramica e addirittura in quello del biomedicale. Aveva fatto scalpore qualche settimana fa la presenza a una fiera specializzata di un'impresa cinese della meccanica per ceramiche con tanto di brand «Modena Machinery». A Reggio Emilia, città multietnica ormai per eccellenza, attorno alla stazione centrale esiste una piccola Chinatown con tanto di bar italiani conquistati, mentre gli insediamenti nel manifatturiero sono più nella parte a sud della provincia attorno ai comuni di Correggio, Brescello, Ca' del Bosco. I laboratori spesso sono ospitati in case coloniche e anche in questo caso è il distretto della maglieria di Carpi a esercitare attrazione;
in prima fila a denunciare i rischi dell'invasione cinese sono le organizzazioni di piccoli gruppi. A Firenze nel 2010 è stata la Cna a mobilitare i propri artigiani davanti al rischio che la pelletteria locale passasse sotto l'egida delle organizzazioni cinesi. L'ufficio studi nazionale della Confartigianato ha elaborato un'analisi sulla presenza in Italia, sulle rimesse di denaro in Cina e sulle caratteristiche socioculturali delle loro comunità. Risultato: ogni cinese in Italia ne mantiene 4 in patria e nonostante la grande crisi l'attività di money transfer nel 2009 continuava ad aumentare a tassi superiori al 20 per cento mentre quella degli immigrati di altri Paesi faceva segnare per la prima volta una contrazione. Le comunità cinesi sono anche quelle che meno utilizzano servizi pubblici e privati per l'inserimento nel mercato del lavoro, non sono minimamente interessate al riconoscimento del titolo di studio conseguito in patria e sono anche le meno portate a utilizzare l'italiano sul luogo di lavoro. Finora allarmi e denunce sono rimaste nell'ambito associativo e non si segnalano episodi di intolleranza;
Ivan Malavasi, presidente della Cna e imprenditore del reggiano, non nasconde le preoccupazioni dei suoi associati. «Ho l'impressione che il patrimonio di competenze che sta passando di mano noi non lo ricomporremo più. Per certi versi i cinesi ci sostituiscono e noi siamo portati a mollare». Per evitare che ciò accada, continua Malavasi, «dobbiamo batterci per un modello economico di assoluta trasparenza e quindi massimo sostegno a tutte le iniziative per il ripristino della legalità. Non ci possiamo permettere asimmetrie» -:
quali interventi il Governo intenda attuare al fine di contrastare efficacemente il dilagare del lavoro sommerso, in particolare, in riferimento a quanto esposto in premessa, in modo da mantenere

intatta la filiera di competenze artigianali su cui si basa il made in Italy di antica tradizione.
(4-10498)

PORCINO. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
Accenture HR Services è una società del gruppo Accenture che offre servizi di amministrazione, gestione e sviluppo del personale, presente in otto città italiane (Bologna, Firenze, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Venezia);
Accenture HR Services, che prima dell'acquisizione da parte di Accenture era denominata TESS Spa e la cui proprietà era interamente del gruppo Telecom Italia, nasceva nel 2000 per fornire servizi di amministrazione del personale a tutte le società del gruppo Telecom e con l'obiettivo di estendere progressivamente tali servizi ad altri clienti esterni al gruppo per posizionarsi come leader nel mercato di riferimento;
verso Accenture HR Services venivano esternalizzati, tra il 2000 e il 2002, i dipendenti dell'amministrazione del personale di Telecom Italia e di Seat, attraverso una cessione di ramo d'azienda;
con l'acquisizione dell'azienda da parte del gruppo Accenture, nel dicembre 2002, veniva sostanzialmente confermato quanto appena esposto e notevolmente enfatizzata l'accresciuta capacità della società di rispondere alle sfide del mercato attraverso l'utilizzo degli strumenti, dell'esperienza e delle capacità di Accenture, sullo scenario nazionale e internazionale;
il primo contratto di servizio tra Telecom Italia e Accenture HR Services prevedeva che quest'ultima svolgesse in esclusiva il servizio di amministrazione del personale fino al mese di dicembre 2009 - contratto che è stato rinnovato sino a dicembre 2014;
in data 12 febbraio 2010 Accenture HR Services ha avviato le procedure per riduzione di personale e collocamento in mobilità per un esubero complessivo di 85 lavoratori. Le misure di licenziamento interessavano le sedi di: Milano, Firenze, Venezia, Roma, Palermo, mentre per quelle di Torino, Bologna, Napoli è prevista la chiusura totale degli uffici;
è apparentemente incomprensibile come Accenture HR Services, controllata di Accenture, multinazionale che si definisce leader mondiale nel proprio settore, possa trovarsi in crisi dopo aver acquisito importanti commesse come Telecom Italia e Seat;
le motivazioni per ridurre e licenziare i lavoratori adottate da Accenture HR Services sono state essenzialmente: la riduzione dei volumi di lavoro, l'evoluzione del mercato con tempi lunghi per la partecipazione a gare, la concorrenza del mercato;
sembrerebbe, però, che le difficoltà siano di altro tipo: ad esempio manageriale, con una gestione inefficiente, l'assenza di investimenti seri sui sistemi informativi e di sviluppo risorse; la mancanza di un piano industriale, per acquisire nuovi clienti;
i costi aziendali sono lievitati negli anni, anche a causa dell'immissioni in Accenture HR Services di figure professionali a costo elevato, soprattutto manager provenienti da Accenture Spa che hanno portato a problemi di bilancio;
i clienti, faticosamente acquisiti negli anni, per motivi svariati sono stati persi, non ultimo proprio per l'incapacità del management preposto al processo di acquisizione commerciale di svolgere al meglio le proprie funzioni;
proprio il management di Accenture non ha voluto rinnovare i contratti di servizio faticosamente acquisiti al di fuori del gruppo Telecom Italia e, per alcuni di questi contratti, ha addirittura bloccato le trattative commerciali, pagando peraltro sostanziose penali;
si è appreso che alcuni lavoratori hanno anche denunciato azioni antisindacali che sarebbero state messe in atto dal

management aziendale per ostacolare il normale svolgersi del dialogo fra le parti sociali;
in questo contesto, la diminuzione negli anni del numero dei dipendenti Telecom ha determinato un impatto negativo sui ricavi dell'azienda Accenture HR Services, riportando perdite a bilancio considerevoli, che oggi portano a mettere a rischio i dipendenti dell'azienda;
la grave situazione sopra descritta emerge in particolare nei casi dei dipendenti Accenture HR Services delle sedi di Torino, Napoli e Bologna, ove gli stessi sono in attesa dell'annunciato licenziamento con conseguente chiusura delle sedi territoriali;
infatti, la prima procedura di licenziamento collettivo del personale appartenente alle tre sedi, come già detto formalizzata nel febbraio 2010, è stata sospesa a seguito di una commessa aggiuntiva da parte di Telecom, che ha affidato ad Accenture HR Services una serie di altre attività che prima gestiva in house ma solo temporaneamente, con proroghe mensili dell'affidamento, senza alcuna garanzia che esso diverrà definitivo;
in questo contesto la situazione delle lavoratrici e dei lavoratori rimane precaria e di essa Accenture, Accenture HR Services e Telecom Italia dovrebbero ritenersi solidalmente responsabili;
la situazione di crisi della Accenture HR Services rivela che le esternalizzazioni effettuate da Telecom e da Seat da parte dei rispettivi ex uffici del personale stanno producendo, a distanza di anni, problemi occupazionali, con rilevanti riflessi sociali, ma anche risultati diseconomici;
dall'analisi dei bilanci relativi agli anni dal 2004 al 2008, si evidenzia un grave paradosso: Telecom Italia ha pagato per il servizio più di quanto avrebbe speso, in termini di costo del lavoro, nel caso avesse mantenuto all'interno il servizio esternalizzato. In termini assoluti i costi maggiori sono stati di ben 35 milioni di euro;
la politica generale delle esternalizzazioni dei dipendenti da parte di Telecom ha portato, inoltre, i fogli paga gestiti da Accenture HR Services da un numero di 75.195 nel 2003 a 61.902 nel 2008, ovvero un trend negativo del 21,47 per cento -:
quali notizie abbia il Ministro sulla vicenda e se intenda promuovere l'apertura di un tavolo tra le parti volto ad individuare soluzioni che permettano di salvare le lavoratrici e i lavoratori, mantenendo i livelli occupazionali.
(4-10506)

TESTO AGGIORNATO AL 25 GENNAIO 2011

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PARI OPPORTUNITÀ

Interrogazione a risposta scritta:

FEDRIGA, REGUZZONI, FOLLEGOT e STUCCHI. - Al Ministro per le pari opportunità. - Per sapere - premesso che:
l'amministrazione comunale della città di Trieste ha introdotto con propria delibera un incentivo economico alla promozione della famiglia e sostegno a tutela della vita nascente al fine di contribuire ad una programmazione politica la cui ratio è quella di invertire il trend demografico negativo che vede il nostro Paese agli ultimi posti nel mondo;
l'amministrazione cittadina ha infatti stanziato appositamente in una variazione di bilancio di 135.000 euro per introdurre un beneficio economico di 110 euro in buoni acquisto per prodotti destinati alla prima infanzia da acquistare presso le farmacie comunali per tutti i figli nati nell'anno in corso. Tale beneficio è destinato a tutte le famiglie, senza alcun limite reddituale, nel cui nucleo almeno uno dei due genitori sia residente da almeno dieci anni in Italia;
l'ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (UNAR), istituito presso il Dipartimento per le pari opportunità, con missiva protocollata dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, ha invitato l'amministrazione

del comune di Trieste a ritirare e ripensare il provvedimento con il quale è stata introdotto il beneficio economico a sostegno della natalità, intravvedendovi una possibile violazione del principio di parità di trattamento previsto dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea;
in passato anche il Governo centrale aveva introdotto misure simili di sostegno alla natalità prevedendo tra le limitazioni per il godimento del beneficio il requisito della cittadinanza italiana;
la ratio che ha ispirato il Governo centrale prima e le amministrazioni degli enti locali dopo a prevedere misure di sostegno alla natalità deve essere inquadrata in una programmazione politica volta a contrastare il trend demografico negativo che vede il nostro Paese diventare inesorabilmente sempre più vecchio;
tali misure, infatti, non possono essere considerate quali strumenti di assistenza al reddito, che in quanto tali debbono essere garantiti a tutti secondo i princìpi costituzionali e nel rispetto della parità di trattamento sancita dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, ma come misure di promozione della natalità nella consapevolezza che una crescita demografica possa rappresentare una risorsa per il Paese. Investire nelle politiche familiari significa pertanto investire sulla qualità della struttura sociale e, di conseguenza, sul futuro stesso della nostra società;
siamo chiamati a prendere esempio dalle politiche messe in atto in questi anni in altri Paesi europei; tra tutti la Francia che in pochi anni è riuscita ad invertire il trend demografico negativo, grazie ad interventi mirati a considerare la famiglia parte integrante dello Stato al centro di una politica di sicurezza sociale;
la famiglia, nonostante, in questi ultimi anni abbia subito gli attacchi di una politica tesa alla sua disgregazione, rappresenta sostanzialmente ancora il pilastro su cui si fondano le comunità locali, il sistema educativo, le strutture di produzione di reddito, il contenimento delle forme di disagio sociale;
il gruppo parlamentare della Lega Nord in questa legislatura ha presentato una proposta di legge in materia (legge quadro sulla famiglia e per la tutela della vita nascente) che intende affrontare in maniera sistematica la prima e più importante esigenza della famiglia: quella di esistere conferendo piena attuazione all'articolo 31 della Costituzione, il quale sancisce che «la Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze economiche la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi». È triste ammetterlo ma tale principio fondamentale sancito dalla carta costituzionale non ha mai trovato un'appropriata attuazione;
l'obiettivo principale che si intende perseguire con l'approvazione della proposta di legge presentata dal gruppo parlamentare della Lega Nord è, infatti, quello di incentivare la natalità attraverso una serie di strumenti che intervengano nella fascia d'età più delicata del bambino (fino al compimento del terzo anno di età): sostenere la famiglia quale nucleo fondamentale della società; incentivare la natalità attraverso strumenti di sostegno economici;
è doveroso garantire il diritto d'ogni persona a formare una famiglia o ad essere inserita in una comunità familiare, sostenere il diritto delle famiglie al libero svolgimento delle loro funzioni sociali, riconoscere l'altissima rilevanza sociale e personale della maternità e della paternità, sostenere in modo più adeguato la corresponsabilità dei genitori negli impegni di cura e di educazione dei figli, promuovere e valorizzare la famiglia come struttura sociale primaria di fondamentale interesse pubblico -:
se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga opportuno intervenire affinché l'ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, istituito presso il Dipartimento per le pari

opportunità della Presidenze del Consiglio dei ministri riconsideri il proprio parere in un'ottica responsabile di valutazione della ratio che ispira tali politiche, considerando il riferimento al requisito della cittadinanza per il godimento del beneficio non escludente ma contestualizzato in una più ampia politica mirata ad invertire il deficit di nascite che investe il nostro Paese.
(4-10501)

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POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:

NASTRI. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto risulta dai dati diffusi dall'ISTAT, nell'arco di dieci anni in Italia hanno cessato l'attività circa 470.000 aziende agricole;
il suesposto dato conferma di fatto le gravi difficoltà che affliggono il settore, in considerazione che si tratta di una perdita complessiva di quasi 50 mila imprese l'anno: un numero impressionante con conseguenze pesanti sull'occupazione, che deve far riflettere sullo stato del comparto e sulla necessità di un nuovo progetto per rilanciare lo sviluppo e la competitività per l'intero settore primario quale quello agricolo;
nonostante gli importanti provvedimenti introdotti sin dall'inizio della legislatura da parte del Governo a sostegno dell'intero comparto agricolo e agro-alimentare nazionale, che vive fra l'altro una situazione molto complessa, acuita dalla crisi economica internazionale che aumenta l'incertezza sulle prospettive a breve e medio termine, dallo scenario complessivo configurato dalla relazione dell'ISTAT, emergono, inoltre, un incremento dei costi produttivi e burocratici che continuano a pesare sugli agricoltori e sull'intera filiera agricola nazionale;
nell'anno appena trascorso, infatti, sono cresciuti ancora gli oneri complessivi (+4-5 per cento), mentre sono calate sia la produzione (-1,8 per cento) che il valore aggiunto (-3 per cento);
risulta, inoltre, irrisolta la problematica relativa ai prezzi non remunerativi sui campi agricoli: ad esempio la «voce energia» è triplicata in dodici mesi, incidendo in modo grave sulla gestione aziendale;
appare evidente, a giudizio dell'interrogante, che tutte queste spese rischiano di penalizzare oltre misura l'intera filiera agricola nazionale escludendo di fatto le imprese dai fattori di sviluppo rurale e di competitività dei mercati internazionali, in considerazione che i dati negativi sono più netti che nel resto d'Europa -:
quali orientamenti intenda esprimere nell'ambito delle sue competenze, con riferimento ai dati pubblicati dall'ISTAT ed esposti in premessa;
se non ritenga opportuno valutare la possibilità di promuovere, compatibilmente con le risorse finanziarie a disposizione, un intervento normativo ad hoc, congiuntamente agli importanti interventi già approvati recentemente a sostegno della rintracciabilità e dell'etichettatura dei prodotti alimentari, volto a sostenere un settore quale quello agricolo che rappresenta un comparto essenziale per l'intera economia internazionale, in considerazione che esso conta in totale 1,7 milioni di aziende e oltre milioni di occupati fra titolari, dipendenti, familiari e lavoratori stagionali.
(5-04081)

Interrogazione a risposta scritta:

JANNONE. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
dopo le uova, lo scandalo dell'inquinamento alla diossina in Germania si è

esteso alla carne di maiale, con diverse centinaia di capi di cui sarà necessario l'abbattimento: lo ha annunciato il portavoce del Ministero dell'agricoltura di Hannover, Gert Hahne. La scoperta è stata fatta in un allevamento della Bassa Sassonia. La presenza di diossina è risultata essere di 2 picogrammi per grammo di grasso, misura pari al doppio di quanto consentito dai limiti europei. In un altro allevamento di suini dello stesso Land sarebbero stati riscontrati valori di diossina vicini a quelli limite. Il Ministero ha aggiunto che attualmente sono 330 gli allevamenti chiusi su 4.400 inizialmente serrati. «Un test sulla carne di maiale ha lasciato trasparire un alto tasso di diossina» in una delle fattorie chiuse dalla fine della scorsa settimana come misura preventiva in seguito alla scoperta di integratori alimentari per animali infetti, ha dichiarato un portavoce del Ministero del consumo della Bassa Sassonia. «Questa carne non è commerciabile, tutti gli animali dovranno essere abbattuti e le carcasse saranno bruciate», ha aggiunto il portavoce del Ministero. Durissime polemiche sono scoppiate sull'operato del Ministro per la tutela dei consumatori, Ilse Aigner (Csu), attaccata pesantemente dal presidente del partito socialdemocratico Sigmar Gabriel, che l'ha accusata di aver mal gestito l'emergenza causata dalla scoperta di diossina prima nelle uova e poi anche nella carne di pollo. Gabriel ha chiesto al Governo di rendere pubblico «ciò che sa e quello che intende fare» per garantire la sicurezza dei consumatori, poiché al momento in Germania «nessuno sa come vengono prodotti i generi alimentari»;
sono complessivamente diciannove gli allevamenti tedeschi i cui animali sono risultati contaminati con livelli di diossina superiori ai limiti ammessi. Di questi impianti, diciotto sono allevamenti di galline ovaiole, uno di suini. Secondo i dati sulle analisi effettuate, finora nessuna «positività» è stata riscontrata in allevamenti di bovini da carne o da latte, né in quelli di pollame da carne. Per il pollame da produzione ovicola i diciotto risultati positivi sono emersi su 57 impianti analizzati, mentre il risultato per l'unico allevamento di maiale risultato finora positivo è scaturito su quindici impianti sottoposti a test. Non è previsto alcun indennizzo da parte dell'Unione europea per i proprietari degli allevamenti tedeschi che sono risultati contaminati dalla diossina. «Non è la Ue a dover pagare i danni» ha precisato Frederic Vincent, portavoce del Commissario alla salute John Dalli. Un esperto della Commissione europea ha poi spiegato che i singoli produttori sono responsabili della conformità di quanto mettono sul mercato. A pagare i danni in caso di ordine di abbattimento potrebbero essere anche le autorità nazionali, ma in questo caso il provvedimento dovrebbe essere autorizzato dalla Commissione europea;
le autorità tedesche hanno scoperto che nel marzo 2010 il grasso utilizzato per produrre mangime in Germania presentava un tasso di diossina doppio di quanto ammesso (1,5 nanochilogrammi per chilo, quando il massimo è di 0,75 nanogrammi). A fare il test a suo tempo fu una ditta produttrice di mangimi che non informò tempestivamente le autorità «e questo - secondo quanto specificato da un esperto della Commissione europea - è una violazione delle regole». Il caso, però, per quanto allarmante, secondo la fonte «non poteva essere pericoloso per la salute» perché «nel mangime finale la percentuale di grasso varia dal 2 al 10 per cento, quindi la percentuale di diossina nel prodotto finito rientrava nei limiti». L'irregolarità ha comunque spinto le autorità tedesche, secondo quanto emerso oggi nel corso della riunione del Comitato permanente per la catena alimentare e la salute degli animali di sottoporre a nuova analisi per la presenza di diossina in tutti i campioni di grassi per uso alimentare e di mangimi già analizzati nel corso del 2010 «a partire da marzo e forse anche prima». Nella sede della Commissione europea le principali associazioni di produttori hanno tenuto una riunione e Patrick Vanden Avenne, presidente della Fefac (Federazione europea dei produttori di

mangimi compositi), ha scritto in un comunicato che essi sono pronti a presentare «entro la fine del mese» una proposta di autoregolamentazione per il monitoraggio della presenza di diossina, per evitare che si ripetano casi come quello della Germania. L'ipotesi consiste in una norma di garanzia per la produzione dei mangimi animali che troppo spesso si sono dimostrati l'anello debole della catena alimentare. In sostanza, secondo quanto si è appreso da fonti comunitarie, si sta verificando la possibilità di scrivere una disposizione che «separa la produzione dei mangimi da quella di altre attività industriali»;
la Cia - Confederazione italiana agricoltori, ha affermato la stretta esigenza di rafforzare i controlli alle frontiere e bloccare tutti i prodotti di maiale (carni fresche, congelate e lavorate, e suini vivi) a rischio diossina provenienti dalla Germania; inoltre, aggiunge che occorre ritirare dal mercato la merce sospetta a tutela dei consumatori. Nessun problema, invece, per le produzioni made in Italy che sono sicure e garantite. Da qui l'impellente necessità di una chiara etichetta di origine che permetta di individuare subito la provenienza che nel nostro Paese dovrebbe essere tra breve una positiva realtà. «L'Italia è un forte importatore di carne di maiale dalla Germania, soprattutto destinata alla produzione di prosciutti (circa 13 milioni di pezzi all'anno) per un totale di 220 milioni di chili nei primi nove mesi del 2010 con un aumento del 12 per cento rispetto allo scorso anno». Lo segnala la Coldiretti. Per assicurarsi l'acquisto di prosciutti ottenuti da maiali italiani il consiglio della Coldiretti ai consumatori è quello di rivolgersi direttamente agli allevatori o di scegliere prodotti a denominazione di origine protetta individuabili dal marchio comunitario «Dop» o da quello del Consorzio di tutela dei marchi italiani -:
quali iniziative, anche normative, i Ministri intendano adottare al fine di certificare la filiera della produzione dei mangimi utilizzati in Italia, nonché di pervenire all'etichettatura delle carni che vengono vendute e consumate nel nostro Paese, sia quelle nostrane che di importazione.
(4-10499)

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SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:

ZACCARIA, MIOTTO, LENZI, LIVIA TURCO, CAPANO, FONTANELLI, LO MORO, LOVELLI, VIOLA e ZUCCHI. - Al Ministro della salute, al Ministro per la semplificazione normativa. - Per sapere - premesso che:
la legge 28 novembre 2005, n. 246 recante «Semplificazione e riassetto normativo per l'anno 2005» (come modificata dalla legge 18 giugno 2009, n. 69, recante Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile) dispone all'articolo 14, comma 14-ter, l'abrogazione di tutte le disposizioni legislative statali non comprese nei decreti legislativi di cui al comma 14, anche se modificate con provvedimenti successivi, fatto salvo quanto stabilito dal comma 17;
l'articolo 14, comma 17, della legge n. 246 del 2005 dispone che rimangono in vigore, tra l'altro, le disposizioni contenute nel codice civile, nel codice penale, nel codice di procedura civile, nel codice di procedura penale, nel codice della navigazione, comprese le disposizioni preliminari e di attuazione, e in ogni altro testo normativo che rechi nell'epigrafe la denominazione codice ovvero testo unico (cosiddetti settori esclusi);
l'effetto abrogativo di cui all'articolo 14, comma 14-ter (cosiddetta ghigliottina) si è prodotto alla data del 16 dicembre 2010;
secondo quanto affermato da Raffaele Guariniello, magistrato della procura

della Repubblica di Torino, per effetto del meccanismo cosi configurato nella legge n. 246 del 2005 (cosiddetta taglia-leggi), alla data del 16 dicembre 2010 sarebbero state quindi abrogate (in quanto non espressamente «salvate» dai decreti legislativi di cui all'articolo 14, comma 14, ed in quanto non riconducibili ai cosiddetti settori esclusi di cui all'articolo 14, comma 17) le disposizioni disciplinanti la condotta di adulterazione alimentare (articolo 5, legge 30 aprile 1962, n. 283, recante «Modifica degli articoli 242, 243, 247, 250 e 262 del T.U. delle leggi sanitarie approvato con R.D. 27 luglio 1934, n. 1265: Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande») nonché le rispettive sanzioni penali (articolo 6 della medesima legge come sostituita dalla legge 26 febbraio 1963, n. 441, recante "Modifiche ed integrazioni alla legge 30 aprile 1962, n. 283 sulla disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande ed al decreto del Presidente della Repubblica 11 agosto 1959, n. 570) -:
se quanto sopra riportato corrisponda al vero;
qualora ritengano che la normativa sopra menzionata sia comunque riconducibile ai cosiddetti settori esclusi, se non reputino che il cosiddetto taglia-leggi, nella parte in cui fonda la propria operatività su un meccanismo che rimette la risoluzione delle antinomie all'interprete (quale è quello di cui 14, comma 17, fondato sui cosiddetti settori esclusi), non sia in contrasto con gli stessi obiettivi di semplificazione normativa e certezza del diritto cui tende la legge n. 246 del 2005 (come peraltro sottolineato invano al legislatore a più riprese dalla dottrina nel corso dell'approvazione delle modifiche a quest'ultima legge);
se non ritengano dunque a tal fine opportuno promuovere l'adozione, con riferimento al caso concreto, di un provvedimento di interpretazione autentica al fine di fugare ogni dubbio circa la persistente vigenza nell'ordinamento della normativa in questione, specie in considerazione del fatto che essa reca fattispecie penali.
(5-04082)

Interrogazioni a risposta scritta:

JANNONE. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
in Italia le «case maternità» sono ancora in fase di sperimentazione, ma sia nel resto d'Europa che in America, le case maternità sono la nuova frontiera per le donne che cercano un luogo più intimo e familiare dell'ospedale per dare alla luce i propri bambini. Mentre negli Stati Uniti, queste strutture esistono da decenni (il primo «birth center» fu aperto a New York nel 1975) in Europa sono diffuse solo da qualche anno. Il Paese pioniere è stato la Germania, ma altri centri esistono già in Svizzera, Belgio, Gran Bretagna. Ora la nazione a più alta natalità del continente è la Francia, che si sta lanciando nella sperimentazione di un parto meno medicalizzato e più naturale. Il Governo francese ha infatti autorizzato l'apertura di queste nuove strutture, gestite da ostetriche collegate a un ospedale in caso di emergenza. I numeri sono ancora minimi. Meno dello 0,5 per cento delle mamme partorisce fuori da un ospedale, ma la tendenza è in aumento. «C'è una nuova sensibilità femminile al riguardo ed è giusto cercare di soddisfarla con ogni garanzia sanitaria», conferma l'ex Ministro della salute Roselyne Bachelot, portavoce del progetto. Oltre ad offrire un servizio alle neomamme, il Governo di Parigi ha stimato che favorire il parto extraospedaliero comporterà un risparmio per il pubblico di circa 7 milioni di euro l'anno;
in Italia, una esperienza simile è fornita dall'associazione «Il Nido», che è una delle cinque case maternità italiane. Le mamme qui vengono seguite da due ostetriche, dalla prima ecografia fino al travaglio, creando così un rapporto di fiducia e conoscenza. I padri sono resi

partecipi di tutte le fasi della gravidanza e, alla nascita, il neonato è lasciato vicino ai genitori. La struttura bolognese ha due camere da letto, bagno, cucina: come una normale casa. «Non abbiamo nessuna apparecchiatura medica. In caso di complicanze - spiega una delle ostetriche - l'ospedale maggiore è a meno di tre minuti di macchina». L'Emilia-Romagna, come le regioni Piemonte, Marche e le province di Trento e Bolzano, è tra i pochi enti locali che versano un contributo a chi si rivolge a questi centri;
«Ben vengano le case maternità, ma solo se inserite in un sistema di garanzia a tutela di madre e bambino - commenta Giorgio Vittori, presidente della Società Italia di ginecologia e ostetricia - Sono favorevole all'umanizzazione del parto fisiologico. Per fortuna molte delle proposte del ministro Fazio per la riforma dei punti nascita vanno in questo senso e dovrebbero permettere di incoraggiare esperienze come quelle di alcune case maternità che già esistono in Italia». «Purtroppo siamo ancora molto lontani dall'esempio francese, o da realtà consolidate come la Germania, dove le case maternità sono più di 60» commenta Lidia Magistrati, tra le responsabili di «Via Lattea» di Milano, inaugurata nel 1990. In questo appartamento, in zona San Siro, nascono ogni anno una trentina di bambini. L'atmosfera è proprio quella di una famiglia allargata, con le ostetriche, le educatrici, i padri che seguono i corsi di puerperio. Nella casa si rimane solo poche ore dopo il parto, ma molti genitori tornano per i controlli pediatrici e per partecipare ad altre attività, come le tecniche di massaggio per neonati;
dalle stime, viene confermato che le donne che partoriscono nelle «case maternità» raramente soffrono di depressione post-partum, proprio perché non vengono mai lasciate sole. In alcune di queste strutture, non vengono ammessi i casi di gravidanza gemellare, oppure quelli in cui la donna ha già avuto un cesareo o il feto è in posizione podalica, proprio per evitare complicazioni che possono verificarsi al momento del parto. Nel nostro Paese, tuttavia, il parto in «case maternità» rimane ancora ad appannaggio di pochi, a causa del costo elevato, tra i 2 e i 3 mila euro. «Una forma di rimborso pubblico servirebbe anche a far cambiare le mentalità», racconta Elisabetta Malvagia, autrice di «Partorire senza paura»; l'autrice auspica, inoltre, che gli ostacoli burocratici relativi a queste strutture vengano definitivamente abbattuti -:
quali iniziative il Ministro intenda adottare al fine di promuovere in Italia la nascita di strutture, quali le «case maternità», alle quali le donne in stato interessante si possano affidare sia per i controlli prenatali, che per dare alla luce i propri bimbi, prestando particolare attenzione anche ad un possibile rimborso spese da parte del Servizio sanitario nazionale.
(4-10484)

JANNONE. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
2.250.000 italiani vivono con una diagnosi di tumore, quasi il 4 per cento dell'intera popolazione. La maggior parte di essi sono donne e persone anziane. Tra le donne con tumore, la diagnosi più frequente è rappresentata dal tumore della mammella. Tra gli uomini, il 22 per cento dei casi prevalenti è costituito da pazienti con tumore della prostata. Ci sono differenze geografiche rilevanti nella percentuale di persone viventi con tumore: si passa da oltre il 5 per cento in alcune aree del Nord fino a valori tra il 2 e il 3 per cento al Sud. Quasi 1.300.000 italiani sono «lungosopravviventi», hanno cioè avuto una diagnosi di tumore da più di cinque anni. Costoro sono spesso liberi da malattia e da trattamenti antitumorali. Quasi 800.000 persone sono vive dopo oltre 10 anni dalla diagnosi di tumore. Rispetto al 1992, il numero di persone viventi con tumore è quasi raddoppiato. Ciò è dovuto in parte all'aumento di nuovi casi ascrivibile all'invecchiamento della popolazione e all'aumento di incidenza per qualche tumore, e in parte alla migliorata sopravvivenza dopo il tumore;

il «rapporto airtum», sulla situazione delle malattie neoplastiche in Italia fotografa al 1o gennaio 2006 la prevalenza della patologia tumorale in Italia basandosi sui dati raccolti da 24 registri tumori italiani attivi da almeno 5 anni in una popolazione pari al 29 per cento della popolazione nazionale. È il frutto del lavoro di un gruppo di ricercatori dell'Associazione italiana dei registri tumori coordinato da Stefano Guzzinati, dell'Istituto oncologico, veneto, Luigino Dal Maso del Centro di riferimento oncologico di Aviano e Roberta De Angelis dell'Istituto superiore di sanità. Il rapporto è stato realizzato nell'ambito del programma integrato oncologico di Aviano, dell'Istituto superiore di sanità, dell'Airtum e del centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie che ha finanziato la pubblicazione del rapporto. Un aspetto originale di questa indagine è la possibilità di distinguere i pazienti con diagnosi recente, ancora soggetti a trattamento e sorveglianza più intensiva, da quelli in cui il tumore è stato diagnosticato da oltre cinque anni. Questi ultimi sono quasi 1.300.000, cioè il 22 per cento della popolazione italiana, sono spesso liberi da malattia e da trattamenti antitumorali e vengono definiti «lungosopravviventi». È stato stimato che circa 700.000 italiani, quasi un terzo di tutte le persone in vita dopo una diagnosi di tumore, possono ritenersi guarite. Questa stima approssimativa si basa sull'assunzione che i pazienti siano guariti se raggiungono un'attesa di vita simile a quella delle persone non affette da tumore; questo, per la maggior parte dei tumori, avviene dopo 10 o 15 anni dalla diagnosi;
il tumore è una malattia grave, però, si può convivere con esso per molti anni e in molti casi guarire. Proprio per questo, secondo il rapporto, è necessario affrontare l'impatto a lungo termine delle malattie neoplastiche e dei relativi trattamenti sulla salute delle persone. Gli effetti tardivi includono danni organici e disabilità funzionali dovute alla malattia tumorale, alla terapia o a entrambe. Non bisogna dimenticare che vivere con una malattia neoplastica ha implicazioni di carattere psicologico, quali la paura per una ripresa della malattia, l'esperienza di isolamento, l'ansia e la depressione, la modificata percezione del proprio corpo e delle proprie funzioni sociali. Queste considerazioni devono essere al centro dell'attenzione di tutti gli operatori di sanità pubblica che si occupano delle malattie tumorali. L'invecchiamento demografico, particolarmente accentuato in Italia, è responsabile in buona misura dell'aumento di prevalenza, perché i tumori si manifestano soprattutto nelle fasce di età anziane. Inoltre, nell'ultimo ventennio, la sopravvivenza per tumore è progressivamente aumentata per tutti i tumori, e particolarmente nelle neoplasie che beneficiano di trattamenti di nuova generazione e di diagnosi precoce. Esiste poi sicuramente una componente legata all'aumento di incidenza, in parte per effetto di una aumentata esposizione a fattori cancerogeni, e in parte per l'estensione delle campagne di screening e di diagnosi precoce. In questi casi l'aumento dell'incidenza rappresenta in realtà un'anticipazione della diagnosi di forme tumorali che si sarebbero sviluppate più avanti negli anni e che invece vengono scoperte in una fase più precoce. Queste anticipazioni consentono una maggiore efficacia della terapia e, di conseguenza, una riduzione della mortalità. È quanto si osserva, per esempio, per i tumori della cervice uterina, del colon-retto e della mammella;
è indubbio che la proporzione di persone con tumore sia più alta al Centro-Nord rispetto al Sud. Questo dato non stupisce perché è il naturale risultato delle tendenze storiche dell'incidenza dei tumori in Italia, che in passato vedeva il Sud su livelli di rischio notevolmente più bassi del Centro-Nord. Eterogeneità geografiche particolarmente marcate (percentuali doppie al Nord rispetto al Sud) sono emerse per alcuni specifici tumori spesso legati agli stili di vita, come per esempio i tumori della mammella e quelli colorettali, per i quali gioca un ruolo importante la diversa presenza dei programmi di screening Differenze ancora più marcate sono emerse

per il recupero di uomini con tumori della prostata che rappresentano tutta la popolazione maschile al Nord e lo 0,4 per cento al Sud. Queste differenze devono far riflettere sull'effetto degli screening opportunistici tramite PSA, il cui rapporto costi/benefici è tutt'altro che definito. Al contrario, le differenze tra macro-aree sono risultate minime o nulle per la proporzione di persone con tumori della tiroide, leucemie, tumori cerebrali e mieloma multiplo, suggerendo uno scarso impatto di fattori ambientali per questi tumori -:
quali iniziative il Ministro intenda adottare al fine di ridurre l'incidenza di malattie neoplastiche nella popolazione italiana, promuovendo anche nuovi programmi di screening e di ricerca.
(4-10485)

VIOLA e MANCUSO. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il ruolo svolto dai medici veterinari del Servizio sanitario nazionale è unanimemente riconosciuto quale presidio essenziale a tutela della salute pubblica attraverso il lavoro di prevenzione e controllo che si applica su tutta la filiera alimentare dei prodotti di origine animale, nel controllo delle malattie trasmissibili all'uomo e nella tutela dell'ambiente;
tale ruolo viene svolto con competenza e professionalità dai professionisti inseriti in tutte le aree funzionali nelle quali sono suddivise le mansioni dei servizi veterinari, dall'igiene e controllo degli alimenti di origine animale, al servizio di sanità animale a quello di igiene e controllo degli allevamenti, ruolo che comporta ampie e approfondite conoscenze interdisciplinari;
il lavoro dei medici veterinari del Servizio sanitario nazionale si esplica attraverso il controllo costante e puntuale su animali vivi, sui prodotti della loro macellazione e delle lavorazioni conseguenti;
tale lavoro comporta la verifica delle condizioni di igiene e salubrità dei prodotti di origine animale destinati al consumo dell'uomo, la verifica delle condizioni di salute e di benessere degli animali allevati per la produzione di alimenti destinati al consumo sia per gli aspetti relativi ai prodotti derivati che per quelli relativi alla possibilità di trasmettere malattie all'uomo, la verifica delle condizioni di salute e di benessere degli animali di affezione, la verifica delle condizioni di produzione e di smaltimento dei residui di tali lavorazioni quale tutela sanitaria ed ambientale;
per quanto sopra esposto, queste attività vengono svolte in un virtuoso ed efficace lavoro di controllo di attività economiche, da quelle a carattere familiare alle industrie di grandi dimensioni, attività economiche alle quali il lavoro dei veterinari deve sapersi adattare con il primario obiettivo di garantire e tutelare la salute pubblica, garantendo nel contempo condizioni di uguaglianza ed imparzialità, ma anche efficace supporto sanitario e scientifico per le attività economiche interessate;
tuttavia recentemente è emersa da parte di alcuni operatori ed in alcune aree del Paese, nei confronti delle attività prescrittive operate dai servizi veterinari un'evidente ed accresciuta resistenza, se non addirittura un'opposizione esercitata anche mediante atti di intimidazione, talora caratterizzati solo da disdicevoli comportamenti ostruzionistici, talaltra da vere e proprie minacce seguite in alcuni casi da concreti atti intimidatori con danno sia a cose sia alla persona del veterinario ufficiale responsabile delle attività di vigilanza, fatti testimoniati dalle cronache quotidiane;
tali fenomeni hanno assunto aspetti e dimensioni talmente preoccupanti che allo scopo, su proposta del Sindacato dei Medici Veterinari dipendenti pubblici (SIVEMP), il Ministero della salute, di concerto con la FNOVI (Federazione nazionale degli ordini dei veterinari) e lo stesso SIVEMP ha istituito un osservatorio nazionale sulla sicurezza degli operatori e sull'attività dei medici veterinari pubblici

con l'obbiettivo di garantire continuità ed efficacia all'azione promossa a tutela della loro sicurezza;
tale attività di ostruzionismo e di intimidazione, fatti salvi i casi per i quali la presenza di fatti illeciti debba determinare l'interessamento dell'attività giudiziaria, può comportare l'isolamento dei professionisti e il rischio concreto di rendere meno efficace il loro lavoro di prevenzione e controllo e quindi diventa necessario garantire agli stessi condizioni di tranquillità e sicurezza nello svolgimento del loro lavoro e il perseguimento della tutela della salute pubblica e più in generale quelli della collettività;
paiono agli interroganti non adeguate allo scopo risposte organizzative quali la rotazione del personale nei luoghi di maggior difficoltà, con il rischio di non dare risposta al problema lasciando i professionisti a turno in balia delle intimidazioni;
è possibile immaginare invece modelli organizzativi che, riscoprendo modalità operative note al mondo della veterinaria quali le visite collegiali, permettano al singolo professionista, in casi di situazioni di intimidazione reiterate e in qualche modo segnalate, di svolgere il proprio lavoro affiancato o da altri colleghi o da tecnici della prevenzione, offrendo quindi, all'interesse delle collettività, professionisti più tutelati nello svolgimento del proprio lavoro e una valutazione tecnico-scientifica più approfondita delle situazioni poste sotto controllo;
tali modelli di organizzazione dovrebbero essere necessariamente e preventivamente coordinati con gli altri organi di controllo (NAS, CFS ecc.) -:
se non ritenga necessario dare disposizioni operative urgenti, quali quelle indicate in premessa, al fine di garantire la tutela della sicurezza dei medici veterinari pubblici nell'espletamento del loro lavoro, presidio della salute pubblica e degli interessi delle collettività.
(4-10490)

JANNONE. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
l'assessorato alla sanità della regione Puglia ha dato mandato di aprire un'indagine in tema per capire cosa sta accadendo nel reparto di neurochirurgia del policlinico di Bari, in cui, nell'ultimo anno, si sono susseguite numerose morti sospetti, nonché esiti operatori alquanto discutibili. La decisione arriva dopo una serie di informazioni pervenute in via informale ai vertici dell'azienda e dell'assessorato, e sulla base di un esposto presentato ai sindacati da due anestesisti e un medico che lavorano nel reparto: un dossier molto analitico che mette insieme una serie di casi sospetti, sui quali ora la Regione vuole fare chiarezza. Il reparto era diretto da un professore poi sospeso per accusa di corruzione. Secondo quanto raccontato dai medici, nelle ultime settimane dopo la sospensione del direttore, nel reparto si sarebbero verificati una serie di casi di malasanità. Interventi sbagliati o ripetuti, in alcuni casi mortali. Viene citato il caso di una donna di 28 anni alla quale non è stata rimossa per due volte una malformazione, e che, quindi, è stata costretta ad andare a Firenze;
si parla anche di un paziente terminale con metastasi che, nonostante le cattive condizioni, è stato sottoposto a un intervento e dopo una settimana è morto. Una donna, ricoverata per una dorsalgia, è stata operata e subito dopo l'intervento sarebbe diventata paraplegica. Portata nel reparto, ha avuto disturbi respiratori e dopo pochi giorni è morta. Un paziente con un meningioma sarebbe stato invece operato quando non doveva ed è morto. Si citano, inoltre, casi di pazienti operati più volte e dimessi senza ottenere una rimozione evidente del tumore vanificando, quindi, un'eventuale chemioterapia e radioterapia. Sarebbe addirittura accaduto di operare sei volte un singolo paziente con un tumore senza asportarlo completamente. Un errore, o forse, si sospetta anche un modo illecito per aumentare il numero di ricoveri. Recentemente sarebbero poi morti due pazienti che non

presentavano quadri clinici disastrosi (uno è stato sottoposto a un'operazione definita anomala) e un altro, operato due volte per una lesione, sarebbe diventato paraplegico. Infine ci sarebbero problemi nel decorso post operatorio di un bambino di 4 anni;
a causa di quanto esposto, l'assessorato e la direzione generale del policlinico hanno deciso fare chiarezza: la prima segnalazione che hanno ricevuto è del 24 dicembre 2010, e già da questi giorni potrebbero partire le prime verifiche sulle cartelle cliniche. Un primo controllo, tuttavia, è stato già effettuato: infatti, da quando il precedente direttore è stato sostituito da uno nuovo, decisione assunta sulla base di una sentenza del Tribunale amministrativo regionale, i numeri dimostrerebbero un sensibile calo numerico per le patologie neurochirurgiche più importanti (come i tumori cerebrali, le malattie vascolari e midollari), un aumento invece di patologie di lieve entità come le ernie del disco o le artrosi cervicali e lombari. Inoltre, i tempi di degenza, dicono nella denuncia, si sarebbero allungati e quindi automaticamente è diminuito il turnover;
il policlinico assicura ferrei controlli contro chi ha oggi la responsabilità del reparto anche qualora dovessero essere riscontrate una parte di quelle accuse. Si sta procedendo molto cautamente, soprattutto per il timore che ad alimentare la situazione possano sorgere questioni interne e strettamente personali, ma il direttore generale Vitangelo Dattoli ha già palesato un approccio critico quando necessario: è ancora in corso la battaglia amministrativa con il professor Edoardo Triggiani che era stato allontanato dalla unità operativa di chirurgia che dirigeva. L'ospedale contestava al dottore una serie di negligenze, con tanto di interventi inutili o macroscopicamente sbagliati. Il medico ha però sempre respinto tutte le accuse. Sulla vicenda è anche in corso un'inchiesta penale: partendo dal caso di un uomo di 64 anni deceduto in ospedale, si è arrivati a indagare su 44 casi in seguito a un esposto anonimo fatto recapitare sulla scrivania del pubblico ministero. Ad oggi, però, il magistrato ha incaricato alcuni consulenti di fare accertamenti soltanto su sei di quelle vicende -:
quali iniziative di competenza il Ministro intenda adottare, tempestivamente, al fine di evitare che casi simili di malasanità si possano ripetere all'interno delle strutture ospedaliere dell'intero territorio italiano.
(4-10497)

JANNONE. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il 14 dicembre 2010 è iniziato il processo attinente alla truffa farmaceutica nei confronti di malati di psoriasi. Le indagini hanno confermato che gli imputati avevano messo in opera un protocollo di cura per coloro che soffrono di psoriasi, utilizzando farmaci che, con il tempo, non solo non hanno prodotto alcun miglioramento per i pazienti, ma hanno anche provocato, in alcuni di essi, neoplasie. I pazienti venivano fatti curare in cliniche private, ed assistiti principalmente dal dottor Torello Lotti, 57 anni, luminare della dermatologia. È lui ad illustrare ad un collega il metodo della falsa terapia per la cura di questa malattia della pelle, nell'aprile 2009. Lotti è ordinario all'Università di Firenze, primario all'asl di Firenze, nonché presidente della Società italiana e internazionale della dermatologia;
i farmaci biologici utilizzati nel protocollo della cura della malattia, rappresentano gli ultimi ritrovati nella ricerca delle case farmaceutiche. Immunosoppressori sperimentali e, come si legge nella nota illustrativa dell'Agenzia italiana del farmaco, con un «profilo di sicurezza non precisamente definito». Hanno costi elevatissimi, fino a 1.800 euro a dose, interamente a carico del servizio sanitario. Il 1o ottobre 2009 a Lotti vengono concessi gli arresti domiciliari con una specializzanda, la segretaria amministrativa del Centro universitario di dermatologia biologica, e tre imprenditori di una società che organizzava congressi, «i colonnelli»,

come li definisce Lotti stesso. Tredici dirigenti di case farmaceutiche produttrici dei farmaci per la psoriasi vengono interdetti dalla professione per due mesi. Secondo le intercettazioni dei Nas, Lotti spiega la tecnica dei pazienti in attesa di essere «venduti» al miglior offerente. È la legge del mercato: «chi si impegna di più deve essere premiato. Chi più dà più deve ricevere». Sono le industrie a dover dare soldi per finanziare borse di studio per specializzandi e ricercatori, per congressi ed apparecchiature. In cambio ricevono pazienti. Tutti iscritti nel programma nazionale Psocare, avviato nel 2005 con 154 centri in Italia per curare malati di psoriasi che non migliorano con terapie tradizionali come ciclosporina e puva. I problemi spuntano a febbraio 2009, quando un farmaco biologico il Rapiva, che viene sospeso dall'Agenzia europea dei medicinali (Emea) per alcuni morti sospette;
per ottenere maggiori finanziamenti, i centri avevano bisogno di un elevato numero di malati. Il sospetto degli inquirenti è che l'ossessiva e continua ricerca di malati abbia portato nei centri Psocare anche persone che non avevano bisogno di una terapia così forte. Pazienti poco informati e molto speranzosi come, ad esempio. Marco Lombardi, 32 anni, che da un anno ha scoperto di essere affetto da un linfoma. «Fino ad oggi», ha scritto nel suo esposto, «pensavo solo di essere stato molto sfortunato, adesso ho paura di essere stato usato per aumentare i proventi delle case farmaceutiche». Undici anni fa per una lieve forma di psoriasi, piccole macchie solo nelle mani, bussa alla porta del Lotti che prescrive pasticche di Sandimmun, farmaco costoso a base di ciclosporina. Il professore spiega che con il programma Psocare è tutto a carico del servizio sanitario. Nel gennaio 2006 Marco inizia la terapia con il farmaco biologico Rapiva. Le controindicazioni che legge fanno paura ma la malattia di più. Lotti lo rassicura che in realtà non ci sono pericoli. La psoriasi non scompare e Marco si ammala di meningite. Dopo la sospensione del Rapiva, passa all'Humira. Tra gli effetti indesiderati si parla di tumori. Nell'agosto dello scorso anno la scoperta del linfoma. «Ora», dice Marco «voglio sapere se c'è un nesso tra malattia e farmaci biologici. Se mi avessero spiegato che quelle medicine provocano tumori, mi sarei tenuto la psoriasi a vita» -:
quali iniziative il Ministro intenda adottare per rendere più rigidi i protocolli di sicurezza relativi alla cura di malattie invalidanti, come la psoriasi, nonché per evitare truffe a danni di ignari pazienti, come avvenuto nel «caso Psocare».
(4-10504)

...

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:

RAO e DELLA VEDOVA. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
la concorrenza è un bene perché i telespettatori possono contare su un'offerta più varia e su standard qualitativi più alti, e perché si creano nuovi posti di lavoro;
in Italia lo sviluppo della concorrenza del mercato televisivo è limitato dalla presenza di due gruppi di grandi dimensioni Rai e Mediaset, il cosiddetto «duopolio» che da soli raccolgono oltre l'80 per cento di share e di raccolta pubblicitaria (con uno sbilanciamento, relativamente a quest'ultimo dato, a favore di Mediaset, anche in virtù del tetto alla raccolta imposto all'azienda pubblica);
il debutto di Dahlia TV, pay-tv sul digitale terrestre, era stato un importante segnale positivo, rappresentando lo sbarco di un nuovo investitore, e per di più straniero, nel nostro panorama televisivo, con positive ricadute in termini occupazionali, di innovazione tecnologica, di pluralità dell'offerta informativa;

secondo alcune ricostruzioni giornalistiche, la crisi di Dahlia TV, con la conseguente decisione di abbandonare il mercato italiano, sarebbe il frutto di una modifica inaspettata del bando di gara per l'assegnazione dei diritti calcistici televisivi da parte della Lega Calcio, modifica che avrebbe favorito la concorrente Mediaset; e ciò nonostante un gentlemen's agreement tra le due società che aveva consentito a Mediaset - proprio in virtù della presenza di Dahlia - di poter mostrare la «competitività» del mercato calcistico sul digitale terrestre;
il 19 gennaio 2011, il Ministero dello sviluppo economico si è rivolto al Consiglio di Stato - riformulando un precedente parere ritenuto dal Consiglio stesso come espresso in termini troppo «generali e sintetici» - per un chiarimento sulla possibilità per Sky Italia (società di diritto italiano detenuta da un soggetto extra Unione europea) di partecipare alla gara per l'assegnazione delle frequenze digitali terrestri;
per attrarre investitori stranieri e per scongiurare la fuga all'estero di quelli italiani, è necessario garantire l'esistenza di una libera concorrenza, che prevalga sempre sulle rendite di posizione, e la certezza delle regole e dei rapporti giuridici;
secondo alcuni organi di stampa ed esperti del settore, a Mediaset sarebbero garantite una rendita di posizione e un particolare trattamento di favore da parte del Governo italiano;
sarebbe più vantaggioso per l'Italia tentare di stabilire rapporti di reciprocità con un Paese amico e nel quale la concorrenza conosce un grande sviluppo come gli Stati Uniti anziché tentare di impedire l'ingresso a società estere nel nostro mercato televisivo;
per lo sviluppo della libera concorrenza, e dunque per il futuro del mercato televisivo italiano, non sembra positivo che ad aggiudicarsi una o più frequenze delle tre che saranno messe in palio sia un soggetto in qualche modo riconducibile alla Rai, Mediaset o a Telecom (che non possono concorrere direttamente) -:
se ritenga la concorrenza del mercato televisivo italiano sufficientemente sviluppata e, in caso contrario quali iniziative intenda mettere in atto per favorirla; in particolare se ritenga che nel mercato televisivo italiano determinate aziende godano di rendite di posizione, ad avviso degli interroganti, ingiustificabili;
se non ritenga di dover intervenire, attraverso apposite iniziative normative, per creare condizioni che tutelino gli investitori stranieri che intendono entrare nel mercato televisivo italiano, in particolare incidendo sul sistema di attribuzione dei diritti delle squadre di serie A per incentivare la libera concorrenza;
se corrispondano a verità le ricostruzioni giornalistiche che vedono nell'atteggiamento del Governo l'intento di favorire Mediaset;
quando sarà bandita la gara per l'assegnazione di queste tre frequenze;
quali misure intenda mettere in atto per difendere e favorire io sviluppo della concorrenza nell'assegnazione di queste tre frequenze
(5-04084)

Interrogazione a risposta scritta:

JANNONE. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
secondo i dati Istat, la produzione industriale a novembre del 2010 è tornata a salire, con un aumento dell'1,1 per cento (dato destagionalizzato) rispetto ad ottobre e del 4,l per cento (dato corretto per gli effetti di calendario) rispetto a novembre del 2009. L'Istat sottolinea che su base mensile segno è di nuovo positivi dopo due cali consecutivi, mentre su base annua si registra un'accelerazione (dal +2.9 per cento di ottobre al +4,1 per cento di novembre). Nei primi undici mesi del 2010

la produzione industriale ha registrato un aumento del 5,4 per cento (dato corretto per gli effetti di calendario) su base annua (+5,2 per cento dato grezzo);
si tratta di un dato leggermente inferiore alla media europea. Eurostat, l'ufficio europeo di statistica, ha reso noto infatti che la produzione industriale nei sedici Paesi dell'area dell'euro, in novembre rispetto ad ottobre, è cresciuta dell'1,2 per cento. Più marcato invece il divario con il dato riferito all'intera Unione europea dove l'aumento è stato dell'1,4 per cento. Su base annua, la produzione industriale è invece aumentata del 7,4 per cento nella zona dell'euro e del 7,8 per cento nell'Unione europea. In Italia i principali aggruppamenti di industrie registrano tutti variazioni congiunturali positive: + 1,5 per cento per i beni strumentali, +1,1 per cento per i beni intermedi e per i beni di consumo (+ 5,4 per cento per i beni durevoli, + 0,1 per cento per i beni non durevoli), + 0,4 per cento per l'energia. L'indice della produzione industriale corretto per gli effetti di calendario ha segnato, nel confronto con novembre 2009, aumenti del + 8,7 per cento per i beni strumentali, del +6,2 per cento per i beni intermedi e del +2.6 per cento per l'energia. L'unica variazione negativa riguarda i beni di consumo ( -1,2 per cento il totale, -3,2 per cento i beni durevoli, -0,7 per cento i beni non durevoli);
più in particolare, sempre a novembre fa sapere l'Istat, l'indice della produzione industriale corretto per gli effetti di calendario ha registrato gli incrementi tendenziali più marcati nei settori di macchinari e attrezzature n.c.a. (+14,1) per cento, dei computer e prodotti di elettronica e ottica (+13,5 per cento) della metallurgia e prodotti in metallo (+ 12,9 per cento) e della fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati (+9,3 per cento). Le diminuzioni più ampie hanno riguardato i settori delle industrie tessili e abbigliamento (-3,9 per cento), dell'attività estrattiva (- 2,7 per cento) e dei prodotti farmaceutici (-1,9 per cento). Entrando invece nel dettaglio delle merci, spicca il dato in controtendenza relativo alla produzione di autoveicoli che a novembre. La variazione tendenziale nei primi undici mesi del 2010 è stata invece pari al +3,4 per cento -:
quali interventi strutturali i Ministri intendano promuovere al fine di sostenere il livello di produttività italiano, sulla scia di quanto accaduto a fine 2010.
(4-10481)

...

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

L'interpellanza urgente Mosca e altri n. 2-00926, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 gennaio 2011, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Rubinato.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

L'interrogazione a risposta in Commissione Siragusa n. 5-03700, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 novembre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato De Pasquale.

Ritiro di firme da una mozione (ex articolo 115, comma 3, del Regolamento).

Mozione di sfiducia Ghizzoni e altri n. 1-00491, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 novembre 2010: sono state ritirate le firme dei deputati: Razzi, Scilipoti.