XVI LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di martedì 1 febbraio 2011

TESTO AGGIORNATO AL 2 FEBBRAIO 2011

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 1o febbraio 2011.

Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Berlusconi, Bindi, Bocchino, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brugger, Brunetta, Carfagna, Casero, Cicchitto, Cirielli, Colucci, Cossiga, Crimi, Crosetto, D'Alema, Dal Lago, De Biasi, Donadi, Fava, Fitto, Franceschini, Frattini, Gelmini, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, La Malfa, Leone, Lo Monte, Lupi, Malgeri, Maroni, Martini, Melchiorre, Meloni, Miccichè, Migliavacca, Leoluca Orlando, Prestigiacomo, Ravetto, Reguzzoni, Roccella, Romani, Rotondi, Saglia, Sardelli, Stefani, Stucchi, Tabacci, Tremonti, Vito.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta)

Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Berlusconi, Bindi, Bocchino, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brugger, Brunetta, Buttiglione, Caparini, Carfagna, Casero, Cicchitto, Cirielli, Colucci, Cossiga, Crimi, Crosetto, D'Alema, Dal Lago, De Biasi, Donadi, Fava, Fitto, Gregorio Fontana, Franceschini, Frattini, Gelmini, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, Jannone, La Malfa, Leone, Lo Monte, Lombardo, Lupi, Malgeri, Maroni, Martini, Mazzocchi, Melchiorre, Meloni, Miccichè, Migliavacca, Leoluca Orlando, Prestigiacomo, Ravetto, Reguzzoni, Roccella, Romani, Rotondi, Saglia, Sardelli, Stefani, Stucchi, Tabacci, Tremonti, Vito.

Annunzio di una proposta di legge.

In data 31 gennaio 2011 è stata presentata alla Presidenza la seguente proposte di legge d'iniziativa del deputato:
MOFFA: «Deleghe al Governo per l'adozione di norme in materia di rappresentanze sindacali nei luoghi di lavoro, di rappresentatività delle organizzazioni sindacali e di esercizio del diritto di sciopero» (4044).

Sarà stampata e distribuita.

Annunzio di una proposta di legge d'iniziativa regionale.

In data 31 gennaio 2011 è stata presentata alla Presidenza, ai sensi dell'articolo 121 della Costituzione, la seguente proposta di legge:
PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE D'INIZIATIVA DEL CONSIGLIO REGIONALE DELLA BASILICATA: «Modifica dell'articolo 12 della Costituzione. Riconoscimento dell'Inno di Mameli quale inno ufficiale della Repubblica italiana» (4045).

Sarà stampata e distribuita.

Adesione di deputati a proposte di legge.

La proposta di legge SCHIRRU ed altri: «Interpretazione autentica del comma 2 dell'articolo 1 della legge 23 novembre 1998, n.407, in materia di applicazione delle disposizioni concernenti le assunzioni obbligatorie e le quote di riserva in favore dei disabili» (3720) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Marco Carra.

La proposta di legge FEDRIGA ed altri: «Interpretazione autentica del comma 2 dell'articolo 1 della legge 23 novembre 1998, n. 407, in materia di applicazione delle disposizioni concernenti le assunzioni obbligatorie e le quote di riserva in favore dei disabili» (3908) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Laura Molteni.

La proposta di legge GHIZZONI ed altri: «Dichiarazione di monumento nazionale del Campo di concentramento di Fossoli e misure di sostegno per le attività della Fondazione ex campo di Fossoli» (3990) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Gnecchi.

Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.

A norma del comma 1 dell'articolo 72 del regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:

I Commissione (Affari costituzionali):
SIRAGUSA ed altri: «Norme per assicurare la funzionalità del sistema scolastico e per la ridefinizione di procedure concorsuali per dirigenti scolastici» (3941) Parere delle Commissioni II, V, VII (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento), XI e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

II Commissione (Giustizia):
CATANOSO GENOESE ed altri: «Introduzione dell'articolo 574-ter del codice penale, concernente la violazione delle disposizioni in materia di affidamento dei figli» (3732) Parere delle Commissioni I e XII.

VII Commissione (Cultura):
GHIZZONI ed altri: «Dichiarazione di monumento nazionale del Campo di concentramento di Fossoli e misure di sostegno per le attività della Fondazione ex campo di Fossoli» (3990) Parere delle Commissioni I e V.

Annunzio di archiviazione di atti relativi a reati previsti dall'articolo 96 della Costituzione.

Con lettera pervenuta il 1o febbraio 2011, il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ha comunicato che il collegio per i procedimenti relativi ai reati previsti dall'articolo 96 della Costituzione, costituito presso il suddetto tribunale, ha disposto, con decreto del 19 gennaio 2011, l'archiviazione di atti relativi ad un procedimento per ipotesi di responsabilità nei confronti del deputato Silvio Berlusconi, nella sua qualità di Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore.

Trasmissione dal ministro delle infrastrutture.

Il ministro delle infrastrutture e dei trasporti, con lettera in data 28 gennaio 2011, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 50, comma 1, della legge 23 luglio 2009, n. 99, la relazione concernente l'andamento del processo di liberalizzazione dei servizi a terra negli aeroporti civili, relativa al primo semestre 2010 (doc. CCXXXVII, n. 2).

Questo documento - che sarà stampato - è trasmesso alla IX Commissione (Trasporti).

Trasmissione dal ministro dello sviluppo economico.

Il ministro dello sviluppo economico, con lettera in data 31 gennaio 2011, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 1-quater, comma 8, del decreto-legge 29 agosto 2003, n. 239, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 ottobre 2003, n. 290, il rapporto sull'andamento delle autorizzazioni concernenti la realizzazione o il ripotenziamento di centrali termoelettriche di potenza superiore a 300 MW termici, relativo al periodo maggio 2010-dicembre 2010.

Questa documentazione è trasmessa alla VIII Commissione (Ambiente) e alla X Commissione (Attività produttive).

Annunzio della trasmissione di atti alla Corte costituzionale.

Nel mese di gennaio 2011 sono pervenute ordinanze emesse da una autorità giurisdizionali per la trasmissione alla Corte costituzionale di atti relativi a giudizi di legittimità costituzionale.

Questi documenti sono trasmessi alla Commissione competente.

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

La Commissione europea, in data 28 e 31 gennaio 2011, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del regolamento, alle sottoindicate Commissioni, con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Il contributo della politica regionale alla crescita sostenibile nel contesto della strategia Europa 2020 (COM(2011)17 definitivo), che è assegnata in sede primaria alle Commissioni riunite V (Bilancio) e VIII (Ambiente);
Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Verso un migliore funzionamento del mercato unico dei servizi - basarsi sui risultati del processo di valutazione reciproca previsto dalla direttiva servizi (COM(2011)20 definitivo), che è assegnata in sede primaria alle Commissioni riunite II (Giustizia) e X (Attività produttive);
Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 91/414/CEE del Consiglio al fine di rinnovare l'iscrizione del principio attivo carbendazim (COM(2011)27 definitivo), che è assegnata in sede primaria alla XIII Commissione (Agricoltura);
Libro verde sulla modernizzazione della politica dell'Unione europea in materia di appalti pubblici - Per una maggiore efficienza del mercato europeo degli appalti (COM(2011)15 definitivo), che è assegnato in sede primaria alla VIII Commissione (Ambiente);
Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - La lotta contro l'abbandono scolastico: un contributo decisivo all'agenda Europa 2020 (COM(2011)18 definitivo), che è assegnato in sede primaria alla VII Commissione (Cultura);
Proposta di raccomandazione del Consiglio sulle politiche di riduzione dell'abbandono scolastico (COM(2011)19 definitivo) e relativo documento di accompagnamento - Documento di lavoro dei servizi della Commissione - Sintesi della valutazione dell'impatto (SEC(2011)98 definitivo), che sono assegnati in sede primaria alla VII Commissione (Cultura).

Atti di controllo e di indirizzo.

Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell'Allegato B al resoconto della seduta odierna.

ERRATA CORRIGE

Nell'Allegato A al resoconto della seduta del 31 gennaio 2011, a pagina 5, seconda colonna, alla prima riga, dopo la parola: «V» si intende inserita la seguente: «, X».

INTERPELLANZA ED INTERROGAZIONI

Iniziative volte a salvaguardare i livelli occupazionali e le possibilità di sviluppo degli impianti FIAT, con particolare riferimento allo stabilimento di Pratola Serra (Avellino) - 2-00927

A) Interpellanza

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere - premesso che:
con numerosi e diversificati atti di sindacato ispettivo si è, più volte, messa in evidenza la drammatica situazione che stanno attraversando i lavoratori dello stabilimento Fma di Pratola Serra;
il gruppo Fiat ancora oggi, nonostante le numerose sollecitazioni e gli incontri con le parti sociali e il Governo, non ha chiarito quale piano industriale abbia in mente per lo stabilimento citato;
attualmente la situazione produttiva della Fma continua ad essere molto critica, con produzioni a singhiozzo e nessuna sicurezza per il futuro, con il risultato che i lavoratori hanno perso, dall'inizio della crisi, una media di 13 mila euro a testa;
nel mese di ottobre 2010 sono stati previsti solo 8 giorni di lavoro, a fronte dei 10 del mese di settembre 2010;
tale situazione sta, come è prevedibile, creando una situazione di forte tensione, in virtù del fatto che, oltretutto, alla fine del mese di gennaio 2011 dovrebbe scadere la cassa integrazione straordinaria senza che l'azienda abbia comunicato i propri intendimenti;
il risultato è che tutto il comparto produttivo dell'Irpinia sta subendo profondi contraccolpi che rischiano di seppellire ogni ipotesi di sviluppo nell'intera area, stante l'enorme influenza che il comparto Fiat ricopre in quel territorio;
nella provincia di Avellino vi sono 80 mila disoccupati, che corrispondono ad una percentuale del 30-35 per cento della popolazione; se a questi si dovessero aggiungere le attuali maestranze della Fma e i lavoratori dell'indotto Fiat, si registrerebbe, sul fronte occupazionale, una crisi profonda che colpirebbe l'intera economia dell'Irpinia, andando ad aggravare ulteriormente la già difficile situazione delle popolazioni locali;
è indispensabile che i vertici Fiat siano richiamati alla loro responsabilità e che si pronuncino in maniera definitiva sulle loro intenzioni in merito al destino dello stabilimento di Pratola Serra, senza dimenticare gli impegni che, almeno verbalmente, avevano preso di inserire l'impianto di Pratola Serra in un ampio contesto di ristrutturazione di tutto il comparto motori;
in questo senso era stata prevista la possibilità che nell'impianto di Pratola Serra fosse avviata la produzione di motori per auto di piccola cilindrata (le Panda) o dei futuri ed innovativi motori ibridi;
in questa situazione di totale precarietà si ritrovano in un vicolo cieco i lavoratori di aziende, collegate alle attività dello stabilimento di Pratola Serra, come la Leoni cablauto o la Logi service, che rischiano di perdere definitivamente il posto di lavoro;
il Governo, rispondendo ad un precedente atto di sindacato ispettivo (l'interrogazione a risposta orale n. 3-00323), si era impegnato a verificare il collegamento tra gli incentivi per i siti ubicati nel Sud d'Italia e la garanzia assoluta al mantenimento dei posti di lavoro da parte dell'azienda;
pur registrando, con soddisfazione, l'impegno assunto dalla attuale compagine governativa al fine di salvaguardare i posti di lavoro dei lavoratori Fiat, è innegabile che l'azienda sta mantenendo un clima di attesa e di incertezza del tutto, a questo punto, ingiustificabile -:
se e quali iniziative il Governo intenda ulteriormente intraprendere al fine di salvaguardare i livelli occupazionali e le possibilità di sviluppo che gli impianti Fiat e quelli collegati a tale circuito, soprattutto nel Mezzogiorno, rappresentano, individuando le reali intenzioni del gruppo;
se non si ritenga indispensabile accertare quale sia il piano industriale del gruppo e se risulti l'intenzione di rilanciare la produzione, ad esempio, allo stabilimento Fma di Pratola Serra o se, al contrario, emerga l'intenzione di spostare la produzione di motori in altri Paesi;
se vi sia la volontà di spostare la produzione dei motori per le auto di piccola cilindrata o la produzione dei motori ibridi allo stabilimento Fma o se, al contrario, si sia già deciso di spostare simili produzioni rispettivamente in Polonia e negli Usa;
come si intenda agire per salvaguardare il futuro e la sicurezza del reddito per tutti i lavoratori coinvolti, loro malgrado, in questo processo di dismissioni, compresi quelli legati all'indotto dello stabilimento Fma di Pratola Serra;
se non si ritenga urgente, stante il pericolo imminente di perdita del posto di lavoro, ove richiesto, convocare un tavolo di concertazione con le parti sociali e le imprese per discutere dei casi specifici riguardanti i lavoratori della Leoni cablauto e della Logi service.
(2-00927)
«Iannaccone, Belcastro, Gaglione, Mannino, Milo, Pisacane, Porfidia, Romano, Ruvolo, Sardelli, Brugger».

Elementi ed iniziative in relazione al progetto di rimodulazione di giorni e orari di apertura al pubblico degli sportelli postali nella provincia di Udine - 3-01093

B) Interrogazione

COMPAGNON. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
l'11 maggio 2010, nell'ambito dello svolgimento di interrogazioni alla Camera dei deputati, il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico, Stefano Saglia, rispondeva ad un atto di sindacato ispettivo dell'interrogante (l'interrogazione a risposta orale n. 3-00864) in materia di iniziative nei confronti di Poste italiane s.p.a. in relazione al progetto di rimodulazione dei giorni e degli orari di apertura al pubblico degli sportelli postali in provincia di Udine;
in tale occasione, il Sottosegretario Saglia affermava testualmente: «Il Ministero dello sviluppo economico, al fine di verificare la legittimità di tale rimodulazione, ha effettuato attraverso l'ispettorato territoriale Friuli Venezia Giulia opportuni accertamenti in merito. Le ispezioni effettuate hanno evidenziato che gli uffici postali di San Pietro al Natisone, Pulfero, Savogna, Clodig, Drenchia, Fusine in Valromana, Cave del Predil, Malborghetto, Forni di Sopra, Ampezzo, Lignano Pineta, Lignano Sabbiadoro, Pertegada, Precenicco, Pavia di Udine, Risano, Santa Maria La Longa e Trivignano Udinese non risultano aver subito riduzioni di orario di apertura nella stagione estiva in esame, mentre gli uffici di Camporosso in Valcanale e Percoto, sottoposti a rimodulazione oraria estiva, sono risultati regolarmente inseriti nel «piano di rimodulazione delle aperture estive degli uffici postali» di Poste italiane s.p.a., per l'anno 2009. Il Ministero dello sviluppo economico, continuerà, comunque, a monitorare il territorio interessato, al fine di garantire il rispetto degli obblighi relativi allo svolgimento del servizio universale previsti dal vigente contratto di programma»;
la situazione reale denunciata in questi giorni da numerosi sindaci dei comuni della provincia di Udine e dall'Anci regionale (della quale hanno dato notizia alcuni organi di stampa) è in stridente contrasto con quanto affermato dal rappresentante del Governo, dal momento che il «Piano di rimodulazione delle aperture estive giornaliere e orarie degli uffici postali della concessionaria del servizio postale universale», che è stato consegnato dal Ministero dello sviluppo economico - dipartimento per l'impresa e l'internazionalizzazione all'Anci nazionale e regionale contiene, tra l'altro, tagli per 35 comuni della regione Friuli Venezia Giulia, dai più grandi, come Trieste e Udine che subiranno la chiusura di alcuni uffici di quartiere, ai più piccoli;
la chiusura degli sportelli, nonostante le rassicurazioni verbali del Sottosegretario Saglia, preoccupa le amministrazioni locali e la cittadinanza, in particolare anziana, soprattutto con riguardo al pagamento delle pensioni, anche perché si teme che tali chiusure, da limitate al periodo estivo, di fatto diventino definitive -:
se possa smentire le notizie riportate dalla stampa e come intenda dar corso ai formali impegni assunti alla Camera dei deputati l'11 maggio 2010, al fine di scongiurare il rischio che ai cittadini residenti nella provincia di Udine venga negato il diritto di usufruire del servizio universale postale previsto dal vigente contratto di programma.(3-01093)

Iniziative nei confronti di Poste italiane volte a garantire un adeguato servizio postale, con particolare riferimento alla regione Sardegna - 3-01229

C) Interrogazione

MELIS e FARINA COSCIONI. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
nell'intera regione Sardegna, nel corso dell'estate 2010, si sono lamentati seri disservizi nella distribuzione della posta, come testimoniato dai numerosi articoli apparsi sulla stampa locale;
in particolare, è accaduto a Sassari (persino di persona al primo firmatario del presente atto di sindacato ispettivo) che telegrammi spediti il giorno 6 luglio 2010 siano stati recapitati in blocco, dopo reiterate proteste dei destinatari interessati, solo nei primi giorni di agosto 2010;
nella stessa città, indifferentemente in zone del centro e della periferia, la distribuzione della posta normale è stata inspiegabilmente interrotta dal 2 al 10 agosto 2010, pare per ferie dei portalettere titolari, non sostituiti da alcun supplente oppure sostituiti da personale non pratico della toponomastica cittadina;
nella città di Iglesias, come pubblicato dalla stampa, importanti comunicazioni dell'Agenzia delle entrate relative alle dichiarazioni dei redditi spedite nel mese di maggio 2010 sono arrivate ai cittadini nel mese di agosto 2010 (e ciò quando l'Agenzia delle entrate chiedeva di ricevere la relativa documentazione entro 30 giorni dalla data di spedizione);
risulta, peraltro, che tutti i bollettini di conto corrente postale in arrivo e in partenza dalla Sardegna conferiscono al Cuas di Bari, con gli intuibili cronici ritardi che ne conseguono;
la stessa corrispondenza diretta da Sassari a Sassari viene altrettanto paradossalmente spedita a Cagliari (220 chilometri di distanza) per poi tornare, molti giorni dopo, a Sassari munita del timbro postale di quella città -:
se il Ministro interrogato non ritenga di intervenire nei confronti della società Poste italiane per verificare la regolare distribuzione della posta nelle varie regioni italiane e, in particolare, in Sardegna e per rimuovere le cause del disservizio, eliminando quelle che appaiono disfunzioni evidenti, assicurando in definitiva quello che costituisce un elementare diritto dei cittadini al recapito della corrispondenza. (3-01229)

Iniziative del Governo a tutela del sito archeologico di Pompei - 3-01352; 3-01426; 3-01427

D) Interrogazioni

MOSELLA. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
l'Italia è il Paese che detiene il maggior numero di aree riconosciute dall'Unesco come patrimonio dell'umanità;
gli ispettori dell'Unesco saranno a Pompei nei prossimi giorni per valutare i provvedimenti presi dall'Italia per garantire la conservazione dell'area;
un eventuale parere negativo degli ispettori dell'Unesco, con il conseguente inserimento di Pompei nella «lista rossa» dei siti considerati «pericolo» a causa dell'incuria, avrebbe fortissime ripercussioni sul turismo, sull'economia e sull'immagine del nostro Paese -:
se vi siano delle strategie che il Ministro interrogato, per quanto di sua competenza, intenda attuare per scongiurare il pericolo di vedere una parte del nostro immenso patrimonio nazionale inserito, per la prima volta nella storia, fra i siti considerati a rischio, e quali esse siano. (3-01352)

VACCARO. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
nel 1997, l'Unesco ha dichiarato gli scavi di Pompei patrimonio mondiale dell'umanità;
l'iscrizione di tale area tra i patrimoni dell'Unesco è avvenuta in considerazione degli straordinari e unici reperti presenti nella città di Pompei, sepolta a causa della famosa eruzione del Vesuvio del 79 dopo Cristo;
gli scavi di Pompei continuano annualmente ad essere un polo di attrazione turistica di grande importanza nel contesto del panorama storico-artistico italiano e riescono a convogliare l'interesse di milioni di turisti da tutto il mondo (nel 2008 il sito di Pompei è stato visitato da 2.253.633 persone). È necessario aggiungere, al fine di valutare al meglio l'estensione del sito archeologico, che gli scavi di Pompei vantano un'estensione di ben sessantacinque ettari;
nel 2009, in considerazione della situazione emergenziale del sito - precedentemente dichiarata con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 4 luglio 2008 - è stato necessario mettere in sicurezza e rivalorizzare l'area degli scavi; così il professor Marcello Fiori è stato nominato commissario delegato dall'articolo 5 dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri del 18 febbraio 2009, n. 3742. Gli obiettivi, le competenze ed i poteri del commissario delegato sono stati poi ulteriormente definiti dall'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 30 luglio 2009, n. 3795;
in seguito, nel 2010, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 10 giugno 2010, è stato revocato il medesimo stato di emergenza, in quanto, in considerazione del complesso delle attività svolte del commissario delegato, sono venute meno le ragioni che ne avevano giustificato la dichiarazione;
con l'ordinanza del 18 giugno 2010, n. 3884, il commissario delegato ha continuato a svolgere le proprie funzioni, fino al 31 luglio 2010, per assicurare il rientro nel regime ordinario, provvedendo ai necessari adempimenti ed atti riguardanti il subentro della soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei;
tuttavia, ad oggi, lo stato dell'arte del sito archeologico di Pompei, come denunciato, fra gli altri, da alcuni articoli apparsi sulle colonne de Il Corriere della Sera e da social network, come Facebook, con pagine dal titolo «Stop killing Pompei ruins», è drammatico e desolante;
i problemi che attanagliano il sito sono, infatti, diversi: l'incuria con la quale sono portati innanzi i lavori di restauro per ciò che riguarda le rovine del foro - il fulcro e cuore pulsante della città antica; la presenza di guide turistiche più o meno autorizzate; le straordinarie bellezze delle Terme, chiuse ormai da tempo; l'Antiquarium, mai aperto per ospitare le migliaia di reperti archeologici prigionieri e impolverati dentro i granai del foro, con conseguente e inevitabile - come scrive Il Corriere della Sera - «calca dei turisti, neanche fossero mosche attorno al miele, pur di rubare foto di statue o di capitelli o di chissà che ben di dio è custodito dentro le cassette di plastica, lì all'interno di quei granai chiusi con sbarre arrugginite»;
si accompagna, poi, a questa situazione emergenziale, la presenza di strade sbarrate senza alcun cartello che ne spieghi la motivazione, palizzate divelte, cumuli di calcinacci dentro ambienti archeologici mai restaurati, il tutto in strade limitrofe al foro, aree, è bene precisarlo, non periferiche della città antica, ma normalmente frequentate da oltre 5.000 visitatori al giorno. Appare necessario, poi, sottolineare come sia allarmante lo stato di conservazione del Tempio di Apollo, uno dei luoghi più visitati degli scavi, ubicato appena dopo l'ingresso di Porta Marina: architravi in stato di disfacimento con rischio per l'incolumità dei visitatori e colonne del tempio che si sgretolano, pezzo dopo pezzo, tra le mani;
il Teatro grande di Pompei appare, in ultimo, il manifesto del decadimento del sito, in quanto è stata cancellata l'immagine archeologica del teatro romano, a causa di lavori che all'interrogante appaiono impropriamente definiti di restauro - dal costo lievitato da euro 460.000 a circa sei milioni di euro - con i quali sono state costruite nuove e inesistenti gradinate, usando materiali del tutto inadatti al contesto archeologico. Per l'esecuzione di tali lavori, come documentato da immagini pubblicate da diversi giornali, sono state realizzate invasive colate di cemento ed usati impropriamente, a ridosso di fragili strutture murarie archeologiche, martelli pneumatici, ruspe, scavatrici, betoniere, cavi elettrici;
c'è da sottolineare come dalla soprintendenza archeologica di Napoli e Pompei dipende, infatti, l'intera area archeologica pompeiana. Nell'ultimo anno la guida tecnica e scientifica della soprintendenza archeologica di Napoli e Pompei è stata assolutamente precaria (surrogata non da un archeologo, ma dal commissario Marcello Fiori, ex collaboratore di Guido Bertolaso alla Protezione civile), per il fatto che si sono succeduti due soprintendenti ad interim, entrambi decaduti perché posti in pensione, dopo soli pochi mesi dalle rispettive nomine; recentemente, poi, nei primi giorni di ottobre 2010 è stata nominato, sempre ad interim, un soprintendente, Jeanette Papadopoulus. Tutto ciò ha determinato, di fatto, quello che a giudizio dell'interrogante è un grave ed allarmante vuoto gestionale -:
se il Governo sia a conoscenza della gravità della situazione di conservazione dell'area archeologica di Pompei e quali iniziative abbia in programma di adottare e in quali tempi;
se il Governo, al fine di salvaguardare il sito archeologico di Pompei, dichiarato dall'Unesco «patrimonio dell'umanità» e, inoltre, sito di rilevantissimo interesse turistico, intenda potenziare la soprintendenza archeologica di Napoli e Pompei, al fine di dotare, come richiesto in un appello da diversi archeologi della comunità scientifica internazionale, la suddetta area archeologica di una conduzione stabile e duratura, nominando un soprintendente stabile, che metta in atto un piano di conservazione, restauro e valorizzazione dell'area archeologica di Pompei;
se risponda al vero, come apparso sulle colonne di alcuni quotidiani, il fatto che sono in atto iniziative destinate a «privatizzare» la gestione del sito archeologico di Pompei, depotenziando e riducendo così le competenze scientifiche e gestionali dei funzionari archeologi della soprintendenza. (3-01426)

VACCARO. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
in data martedì 19 ottobre 2010, l'interrogante ha depositato un'interrogazione a risposta scritta, la n. 4-09080, sul tema della preoccupante situazione di disattenzione e di drammatica incuria in cui versa attualmente il sito archeologico di Pompei; in tale circostanza si interrogava il Ministro principalmente in ordine a quali iniziative il Governo abbia in programma di adottare e in quali tempi al fine della conservazione e della valorizzazione dell'intera area dichiarata dall'Unesco nel 1997 patrimonio mondiale dell'umanità. Ad oggi l'interrogazione è ancora pendente in attesa di risposta da parte del Ministro interrogato;
successivamente al deposito di tale interrogazione, in data 6 novembre 2010, è avvenuto - all'interno del medesimo sito archeologico - il crollo dell'intera Schola Armaturarum (la Domus dei gladiatori), così chiamata perché al suo interno si allenavano gli atleti nell'antica Pompei;
in considerazione della gravità dell'accaduto - lo stesso Presidente della Repubblica non ha esitato a definire l'intera vicenda «una vergogna per l'Italia» - l'interrogante ha ritenuto opportuno promuovere lo sviluppo di un momento di riflessione aggregativa su Facebook, mediante la creazione ad hoc di un gruppo aperto dal titolo «SALVA POMPEI», soprattutto al fine di sensibilizzare la cittadinanza sulla tematica;
in data 30 novembre 2010, poi, anche in seguito alle precipitazioni temporalesche che hanno interessato l'area campana, si è sciaguratamente verificato uno smottamento di terreno nella medesima area archeologica di Pompei e, nella fattispecie, nella zona non scavata posta a nord della Casa del moralista. Tale smottamento ha interessato, piegandola in più punti e scalzandola, la viminata a gradini posta a protezione della scarpata e ha determinato il crollo del muro perimetrale nord del giardino della Casa del moralista. Il crollo, stando a quando dichiarato dalla soprintendenza e dallo stesso Ministro interrogato, ha riguardato un muro ricostruito nel dopoguerra;
è notizia poi del 1o dicembre 2010 che, presumibilmente a causa dell'incuria in cui versa l'intero sito, sono crollati altri due muretti negli scavi archeologici di Pompei: il primo muretto crollato (lungo cinque metri) è quello di una bottega in via Stabiana, nella zona dei teatri. L'altro crollo si è verificato in un'area alle spalle della Casa del centenario, in una piccola abitazione denominata «piccolo lupanare», e si tratterebbe di un muretto lungo 4 metri -:
se, in ottemperanza a quanto previsto dall'articolo 9, comma 6, della legge 8 ottobre 1997, n. 352, recante «Disposizioni sui beni culturali», articolo rubricato «Provvedimenti a favore delle aree archeologiche di Pompei», il Ministero per i beni e le attività culturali abbia assegnato alla soprintendenza archeologica di Napoli e Pompei una dotazione di personale tecnico quantitativamente e qualitativamente adeguata alle necessità individuate dalla legge stessa, con particolare riferimento alle figure professionali specializzate nelle attività di restauro e manutenzione del sito archeologico. (3-01427)

Orientamenti del Governo al fine di tutelare la Villa Reale di Monza ed evitare il rischio di una sostanziale privatizzazione del bene - 3-01365

E) Interrogazione

FARINONE, MOSCA e VELTRONI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
la Villa reale di Monza è uno dei monumenti più insigni presenti sul territorio lombardo, testimonianza dell'architettura neoclassica. Nacque come simbolo della magnificenza della corte asburgica. L'imperatrice Maria Teresa ne decise l'edificazione proprio nel momento in cui stabilì di assegnare al suo terzogenito, Ferdinando, l'incarico di governatore generale della Lombardia austriaca. Il 17 aprile del 1777 fu avviata la costruzione sotto le direttive dell'imperiale regio architetto Giuseppe Piermarini, che, nel giro di soli tre anni, portò a compimento la costruzione del grandioso ed imponente complesso. La villa ha ospitato i reali d'Austria e Napoleone, fino ad essere utilizzata dai Savoia dopo l'unificazione nazionale, culminata con il regicidio di Umberto I; dopo un lungo periodo di progressivo degrado ha subito interventi di restauro, sotto l'egida della soprintendenza per i beni storici ed artistici di Milano;
la Villa reale di Monza rientra nel novero delle prestigiose «Ville di delizia», ovvero quelle dimore appartenute (o ancora di proprietà) alle nobili e illustri famiglie locali, datate tra il Medioevo e l'Ottocento. Fin dal Rinascimento erano questi i luoghi di elezione e di riposo scelti dai nobili per evadere dai quotidiani impegni e, talvolta, affanni. Luoghi dove l'arte e la natura reciprocamente si esaltavano. Oggi queste ville sono per i visitatori una grande ricchezza culturale, poiché ognuna rappresenta un museo che custodisce arredi, marmi, dipinti preziosi e reperti archeologici, grazie all'antica consuetudine dei signori di collezionare opere d'arte che venivano ospitate ed esposte nelle proprie dimore. Le meraviglie continuano negli esterni con gli splendidi parchi e giardini che circondano le ville;
la Villa reale di Monza, con le pertinenze, appartiene oggi al comune di Monza ed alla regione Lombardia, mentre l'annesso parco appartiene ai comuni di Monza e Milano; il Ministero per i beni e le attività culturali è proprietario di alcuni beni ubicati nel compendio, oltre a svolgere le funzioni di vigilanza stabilite dal decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali);
l'intero complesso, costituito dalla Villa reale e dal Parco di Monza, costituisce bene culturale di proprietà pubblica, ai sensi degli articoli 10 e successivi del suddetto decreto legislativo;
per coordinare le rispettive attività, in data 30 luglio 2008 il Ministero per i beni e le attività culturali, la regione Lombardia, il comune di Monza ed il comune di Milano hanno stipulato un accordo di programma per la valorizzazione del complesso monumentale della Villa reale di Monza, del parco e delle relative pertinenze, ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, recante il codice dei beni culturali e del paesaggio, e, in particolare, dell'articolo 112 del citato codice;
il medesimo accordo era finalizzato a promuovere la conoscenza, a sostenere la conservazione e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e funzione pubblica del complesso sopra indicato, attraverso un'azione programmatica comune improntata alla collaborazione operativa tra i soggetti sottoscrittori nell'individuazione degli obiettivi comuni e nell'attuazione dei relativi interventi;
in detto accordo il Ministero per i beni e le attività culturali, la regione Lombardia, il comune di Monza ed il comune di Milano hanno concordato che la finalità e gli obiettivi indicati nell'accordo sarebbero stati conseguiti attraverso la costituzione, secondo quanto previsto dall'articolo 112 del codice, di un apposito ente, di natura consortile non imprenditoriale di diritto pubblico denominato «Consorzio villa reale e parco di Monza», al quale affidare il compito di elaborare e sviluppare il piano strategico di sviluppo culturale e di valorizzazione delle aree, ai sensi dei commi 4 e 5 dell'articolo 112 del codice già citato, nonché di provvedere, ai sensi degli articoli 112 e 115 del codice medesimo, a regolare e gestire le attività di valorizzazione, anche in forma integrata, ed anche mediante la costituzione, ove necessario, di appositi uffici e servizi deputati pure all'affidamento a terzi delle dette attività ed al controllo sul loro svolgimento. Il tutto nel rispetto delle prescrizioni di tutela storico-artistica e paesaggistica dettate con i relativi atti di accertamento e di disciplina d'uso;
in data 20 luglio 2009 è stato costituito il menzionato «Consorzio villa reale e parco di Monza», con sede in Monza all'interno del complesso di Villa Reale e Parco;
sono consorziati promotori il Ministero per i beni e le attività culturali, la regione Lombardia, il comune di Milano, il comune di Monza. Inoltre, è prevista la possibilità di partecipare al consorzio per altri enti, pubblici e privati, senza scopo di lucro, che, aderendo alle finalità del consorzio medesimo, affidano in gestione o conferiscono patrimoni mobiliari ed immobiliari;
al consorzio è stata affidata la gestione unitaria del Parco e della Villa reale di Monza, nel rispetto delle esigenze di tutela del patrimonio ad esso affidato;
nel rispetto delle finalità indicate, il consorzio, anche ricorrendo allo strumento della concessione ove applicabile, è tenuto a:
a) garantire la conservazione, il recupero e la valorizzazione del complesso monumentale ed ambientale della Villa reale di Monza, del Parco reale e relative pertinenze, e di tutti i beni mobili ed immobili in esso insistenti, inclusi i giardini annessi e l'impianto arboreo, garantendone la fruizione pubblica e sviluppandone i valori culturali, ambientali, architettonici e paesaggistici;
b) valorizzare il potenziale di relazioni del complesso monumentale con il contesto territoriale, secondo obiettivi di sviluppo sostenibile e promozione dell'attrattività, a partire dal parco e in particolare dal suo patrimonio monumentale, naturalistico e paesaggistico, sviluppando sinergie con gli enti consorziati per la valorizzazione del patrimonio culturale di cui essi hanno disponibilità;
c) svolgere attività di alta rappresentanza istituzionale degli enti consorziati, con particolare riferimento anche agli eventi legati a Expo 2015;
d) realizzare strumenti innovativi di conoscenza e di documentazione e di educazione al patrimonio culturale, naturalistico ed ambientale, storico-monumentale, idonei a consentire ai visitatori di seguire, anche contestualmente al loro svolgimento, le attività di restauro sia del patrimonio architettonico e paesaggistico che storico-artistico;
il consorzio può gestire, direttamente o indirettamente, tutte le attività di valorizzazione del patrimonio ritenute necessarie, ai sensi dell'articolo 115, comma 1, del codice dei beni culturali;
ai sensi dell'articolo 115, comma 3, del codice dei beni culturali, in caso di gestione indiretta tramite concessione a terzi delle attività di valorizzazione, anche in forma congiunta e integrata, si ricorre a procedure di evidenza pubblica, sulla base della valutazione comparativa di specifici progetti;
all'articolo 7 dell'atto costitutivo del consorzio è previsto che: «Il Consorzio provvede agli affidamenti di cui al precedente periodo tramite regione Lombardia, che si avvale di Infrastrutture lombarde s.p.a., ente strumentale della regione stessa». «A tale scopo il Consorzio stipulerà apposita convenzione con la regione, anche al fine di definire le modalità di programmazione e vigilanza dell'attività della società strumentale sopra menzionata»;
sulla base di tale ultima previsione, regione Lombardia, per il tramite di Infrastrutture lombarde s.p.a., con bando del 17 marzo 2010, ha indetto una procedura ristretta per l'affidamento del contratto di concessione di lavori pubblici;
è stato lamentato che la procedura di gara si sarebbe svolta in modo poco trasparente. In particolare, si sarebbero registrate difficoltà nell'accesso al capitolato d'oneri, allo schema del contratto di concessione ed alla lettera di invito;
inoltre, l'attribuzione a Infrastrutture lombarde s.p.a. delle funzioni di amministrazione aggiudicatrice ed il suo esercizio tramite il bando di gara del 17 marzo 2010, benché prevista dall'accordo di programma, non risulta, ad avviso degli interroganti, in linea con le disposizioni vigenti, in base alle quali la gestione indiretta è attuata per mezzo di concessione a terzi delle attività di valorizzazione, da parte delle amministrazioni cui i beni appartengono, ovvero da parte dei soggetti appositamente costituiti, ex articolo 112, comma 5, del codice dei beni culturali, cui affidare l'elaborazione e lo sviluppo dei piani strategici di sviluppo culturale e i programmi, relativamente ai beni culturali di pertinenza pubblica;
non risulta ammissibile, invece, demandare tale indispensabile funzione ad un soggetto terzo, come Infrastrutture lombarde s.p.a., che non rientra né nella prima categoria, né nella seconda;
nel bando di gara pubblicato indetto da Infrastrutture lombarde s.p.a. emergerebbero alcune evidenti e gravi anomalie. Non si comprende quale sia l'oggetto dell'appalto dal tenore del bando che, imprecisamente, prima cita lavori di ristrutturazione e poi, nella descrizione dell'appalto, individua l'oggetto dello stesso in maniera, ad avviso degli interroganti, irragionevolmente estensiva, comprendendo interventi di recupero, valorizzazione, restauro e addirittura gestione per l'intera durata della concessione (30 anni) non solo del corpo centrale della Villa reale di Monza, della parte di ala nord oggetto di intervento, ma anche degli spazi esterni, ivi comprese le aree di destinazione commerciale, laboratori artigianali, bar, caffetteria, ristorante e spazi flessibili e polifunzionali, dai quali è indubbio un ulteriore arricchimento;
non è chiaro, pertanto, quali siano (e se vi siano) gli obblighi del concessionario per garantire la fruizione pubblica del bene culturale, secondo quanto previsto dalla legge e dagli stessi atti (accordo di programma, statuto del consorzio) sopra menzionati;
la durata della concessione, prevista dal bando, è pari a 30 anni, decorrenti dalla data di sottoscrizione del contratto, a fronte di un canone di concessione di 30 mila euro l'anno;
l'importo complessivo stimato per l'intervento è pari 23.385.154,26 euro, dei quali 18.969.628,94 euro a carico dell'amministrazione aggiudicatrice, mentre il finanziamento residuo delle opere, di appena 4.415.525,32 euro, è a carico del concessionario, il quale avrà come controprestazione il diritto, per tutta la durata della concessione, di gestire il corpo centrale della Villa reale di Monza, la parte di ala nord oggetto di intervento e degli spazi esterni, ivi comprese le aree di destinazione commerciale, laboratori artigianali, bar, caffetteria, ristorante e spazi flessibili e polifunzionali;
il bando di gara non appare conforme, a giudizio degli interroganti, all'articolo 112, comma 5, del decreto legislativo n. 42 del 2004, sotto il profilo della legittimazione attiva di Infrastrutture lombarde s.p.a., incaricata, con il citato accordo, di elaborare e sviluppare piani strategici di sviluppo culturale e programmi, relativi a beni culturali di pertinenza pubblica, e non di concedere totalmente un bene pubblico ad un privato, come invece risulta dal bando;
a giudizio degli interroganti, il bando di gara sembra presentare, altresì, un vizio sostanziale per indeterminatezza dell'oggetto dell'appalto;
inoltre, suscita dubbi sul piano della legittimità la previsione, a fronte di un esiguo canone e di un residuo e irrisorio finanziamento, di una concessione trentennale di un bene pubblico ad un privato, quale controprestazione di un intervento finanziato principalmente dall'amministrazione aggiudicatrice, con il rischio di rendere la Villa un luogo per iniziative preminentemente remunerative, assicurando un arricchimento del privato a discapito dell'interesse di tutti i cittadini;
andrebbe chiarito se, nell'ambito delle procedure di evidenza pubblica, che dovrebbero svolgersi, ai sensi dell'articolo 115, comma 3, del codice dei beni culturali, ci sia stata la dovuta valutazione comparativa di specifici progetti e quali siano stati i progetti presentati dai concorrenti;
risulta, poi, necessario, secondo gli interroganti, che sia pienamente rispettata la normativa in materia di attività contrattuale della pubblica amministrazione;
non si comprende, tra l'altro, come si giustifichi la discrepanza tra la durata del consorzio, stabilita in 20 anni nel suo statuto, e la durata della concessione al privato, stabilita in 30 anni, e, inoltre, non appare chiaro se il programma sia finanziato con fondi europei -:
di quali elementi disponga il Governo in relazione ai fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere, anche in seno al «Consorzio villa reale e parco di Monza», al fine di tutelare la Villa reale di Monza ed evitare il rischio di una sostanziale privatizzazione del bene, con conseguente compromissione della sua funzione pubblica;
se risulti che l'appalto di cui in premessa sia finanziato con fondi europei. (3-01365)

Iniziative di competenza in relazione all'archiviazione del procedimento penale sull'assassinio di Lando Conti - 3-00983

F) Interrogazione

BOSI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
in data 10 febbraio 1986 veniva assassinato dalle Brigate rosse in Firenze Lando Conti, già sindaco della città;
dopo circa due giorni l'assassinio di Lando Conti venne rivendicato, pubblicamente, da Barbara Balzerani durante un processo in corso a Napoli, ove risultava come imputata;
il procuratore aggiunto della Repubblica Francesco Fleury nell'anno 2006 ebbe a dichiarare che «per l'assassinio di Lando Conti mancano all'appello 5-6 forse 7 terroristi, due dei quali sono gli esecutori materiali dell'assassinio»;
lo stesso procuratore aggiunto Francesco Fleury, nel corso dell'anno 2009, dichiarò: «La procura di Firenze ha deciso di archiviare il caso di Lando Conti»;
sulla lapide che ricorda il fatto di sangue è scritto: «La sera del 10 febbraio 1986 mano terrorista qui barbaramente ha spento la vita di Lando Conti», omettendo qualsiasi riferimento alla matrice politica dell'assassinio;
colpisce negativamente l'opinione pubblica il fatto che dopo anni di indagini e svariati proclami annuncianti l'ormai prossima soluzione del caso si sia, improvvisamente, scelta la via dell'archiviazione;
ancor più negativamente l'opinione pubblica viene colpita dal fatto che mentre viene archiviato l'omicidio Conti si riaprono, invece, a distanza di decenni, casi di cronaca nera, come quello di Simonetta Cesaroni o di Emanuela Orlandi -:
se non intenda adottare, con riferimento alla vicenda descritta in premessa, ogni iniziativa di sua competenza, anche di carattere ispettivo, ed altresì iniziative volte a rettificare la lapide che ricorda, in Firenze, il fatto di sangue, esplicitando come le Brigate rosse siano state l'esecutore materiale dell'omicidio. (3-00983)

Richiesta di restituzione, da parte del Ministero, dei compensi percepiti dai giudici onorari del tribunale di Roma per la loro attività all'interno dei collegi - 3-01034

G) Interrogazione

RAO, CIOCCHETTI, DIONISI e ANNA TERESA FORMISANO. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato da Il Messaggero del 21 aprile 2010, i giudici onorari di tribunale (got), che lavorano negli uffici giudiziari romani, avrebbero deciso di incrociare le braccia;
la decisione scaturirebbe dalla richiesta di restituzione, da parte del Ministero della giustizia, dei compensi percepiti per la loro attività all'interno dei collegi;
il dirigente delle spese di giustizia ha ritenuto che il lavoro dei giudici onorari di tribunale non vada pagato, in quanto una circolare del 2009 del Consiglio superiore della magistratura non ha previsto l'integrazione dei giudici onorari nei collegi;
occorre, però, sottolineare che l'incarico è stato svolto sulla base di una disposizione emessa dal presidente del tribunale che ha assegnato ai giudici centinaia di fascicoli da esaminare;
in questa nuova situazione, il presidente della sezione dovrà nominare un togato in sostituzione, ma passerà del tempo e parecchi processi subiranno ritardi ulteriori, fino al rischio della prescrizione -:
quali urgenti iniziative di competenza intenda adottare al riguardo.(3-01034)

MOZIONI REGUZZONI ED ALTRI N. 1-00540, BORGHESI ED ALTRI N. 1-00544, LULLI ED ALTRI N. 1-00546, ANNA TERESA FORMISANO ED ALTRI N. 1-00549, VIGNALI ED ALTRI N. 1-00550, POLIDORI ED ALTRI N. 1-00552, MOSELLA ED ALTRI N. 1-00555 E LO MONTE ED ALTRI N. 1-00556 CONCERNENTI INIZIATIVE PER IL RILANCIO DELL'ECONOMIA ED IL SOSTEGNO ALLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE

Mozioni

La Camera,
premesso che:
il sistema della piccola e media impresa rappresenta il vero motore dell'economia del nostro Paese, costituendo la quasi totalità del tessuto imprenditoriale italiano (il 94,8 per cento, dati Istat 2009) e occupando circa il 50 per cento degli addetti (dati Istat 2009);
nonostante la crisi economica globale, le piccole e medie imprese italiane si confermano un tassello importante del patrimonio economico europeo, così come dimostrano i recenti dati sul valore aggiunto: nel 2008 il manifatturiero italiano ha generato un valore aggiunto di 86,4 miliardi di euro, il 40 per cento in più di quello delle omologhe imprese tedesche e oltre il 60 per cento in più di quello delle francesi. Sempre nel 2008 le microimprese italiane dei settori tessile-abbigliamento, cuoio-pelletteria-calzature e mobile hanno generato un valore aggiunto di quasi 9 miliardi di euro, superiore a quello dell'industria aerospaziale francese (8,7 miliardi di euro). Nel complesso, le piccole e medie imprese italiane hanno dato un contributo al prodotto interno lordo europeo di quasi 10 miliardi di euro superiore a quello delle grandi imprese dell'auto in Germania, Francia e Spagna;
la politica di rigore avviata dal Governo ha consentito al sistema Paese di resistere alla crisi finanziaria e nello stesso tempo ha attivato una serie di misure volte a liberare le potenzialità inespresse delle imprese; tra gli interventi di maggior rilievo si segnalano: la detassazione delle prestazioni di lavoro straordinario e l'introduzione della detrazione del 10 per cento dell'irap dall'ire; il differimento del pagamento dell'iva al momento dell'effettivo incasso delle fatture, al fine di favorire, soprattutto, le piccole imprese; le agevolazioni per alcuni tra i settori industriali più importanti, quali quello automobilistico, tessile e degli elettrodomestici, che sono stati oggetto di forti incentivi; la possibilità di rivalutazione degli immobili iscritti a bilancio a fronte del pagamento di un'imposta sostitutiva; l'introduzione della cosiddetta Tremonti-ter, che ha consentito di riavviare gli investimenti in macchinari da parte delle imprese e, proprio nel senso di incentivare gli investimenti, dovrebbe continuare ad indirizzarsi, tra l'altro, l'azione di Governo. Una riproposizione, magari in forma diversa, delle agevolazioni fiscali per le aziende che investono in macchinari e attrezzature costituirebbe una «boccata di ossigeno», soprattutto per le imprese medio-piccole. Altre misure varate a sostegno di una nuova politica produttiva vanno dalle agevolazioni per l'accesso al credito con il rifinanziamento del fondo di garanzia, alla moratoria sui debiti, dalla semplificazione del rapporto con la pubblica amministrazione attraverso strumenti quali la comunicazione unica, lo sportello unico per le attività produttive e la segnalazione certificata di inizio attività, al contratto di rete per accrescere la competitività e la capacità innovativa ed infine al taglio degli oneri amministrativi gravanti sulle imprese al fondo nazionale di investimento a sostegno dei processi di patrimonializzazione;
la difficile congiuntura economica continua ad incidere pesantemente sul nostro sistema produttivo, come testimoniano le molte crisi aziendali aperte e il massiccio ricorso alla cassa integrazione;
i segnali di ripresa degli ordinativi che si registrano negli ultimi mesi sono da attribuirsi prevalentemente alla domanda che proviene dall'estero, mentre non si evidenziano segnali positivi sul fronte della domanda interna, sicché si rende necessario assumere iniziative che diano stimolo ai consumi privati e agli investimenti pubblici;
nonostante gli ultimi dati sulla produzione industriale risultino incoraggianti ancora oggi, tuttavia, molte imprese si trovano in una situazione di oggettiva difficoltà, dovuta al perpetuarsi di molteplici problematiche che la crisi ha contributo ad accentuare;
un primo ostacolo alla crescita di queste importanti realtà produttive è rappresentato dalla minore liquidità, dovuta alla concreta difficoltà che le imprese di minori dimensioni hanno di veder soddisfatti in tempi ragionevoli i propri crediti, anche a causa della lentezza della giustizia civile: in media occorrono 1765 giorni per la conclusione di un procedimento, con un conseguente onere a carico delle aziende stimato in 2.331 milioni di euro (dati Confartigianato 2006);
le piccole e medie imprese, già fortemente provate dalle difficoltà di accesso al credito bancario, circostanza che richiede un attento monitoraggio degli accordi di Basilea 3, accusano più delle grandi i ritardi nei pagamenti, rischiando la propria stessa sopravvivenza, con conseguenze dannose per l'intera filiera produttiva;
al fine di contenere la pratica dei ritardi di pagamento, che interessa la maggior parte dei Paesi dell'Unione europea, è stata approvata una direttiva relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, finalizzata a migliorare l'efficienza e l'efficacia degli strumenti di ricorso, con particolare riferimento a quelli delle pubbliche amministrazioni;
sul fronte degli investimenti pubblici, occorre rilevare che il patto di stabilità interno impone vincoli stringenti agli enti locali, penalizzando, soprattutto, quelli più virtuosi, che si vedono costretti a dover sospendere i progetti di investimento e i pagamenti alle aziende;
un ulteriore freno agli investimenti e al rilancio delle attività produttive è rappresentato dai pesanti costi burocratici che gravano sulle nostre piccole e medie imprese; su questo versante, nonostante le importanti iniziative già assunte dal Governo e sopra richiamate, si stima che l'onere a carico delle piccole e medie imprese si aggira intorno ad una media che va dai 1900 ai 2300 euro ad impresa;
un particolare sostegno alle piccole e medie imprese è arrivato dal rafforzamento delle misure di contrasto all'ingresso sul territorio nazionale di prodotti industriali contraffatti e dall'obbligo di etichettatura dei prodotti con l'approvazione della legge 8 aprile 2010, n. 55, («legge Reguzzoni-Versace»), che rappresenta un valido strumento di tutela del made in Italy. Attualmente sono state presentate alla Camera dei deputati numerose altre proposte di legge, che hanno l'obiettivo di estendere l'obbligo di etichettatura ai più importanti settori merceologici. In sede europea, la Commissione commercio internazionale ha adottato a larga maggioranza la relazione sulla proposta di regolamento sull'indicazione del Paese di origine di alcuni prodotti importati da Paesi terzi; ciò è l'espressione di una volontà di cambiamento che il Governo italiano dovrebbe cogliere, per dare concreta attuazione alle istanze espresse dalle imprese manifatturiere per una maggiore tutela del made in Italy,

impegna il Governo:

a prevedere, nell'ambito delle disponibilità finanziarie, ulteriori meccanismi di incentivazione degli investimenti effettuati dalle imprese, soprattutto le medio-piccole, mediante l'adozione di misure di impulso al rinnovamento dei macchinari e delle attrezzature, sul modello della «Tremonti-ter», avviando la riforma del sistema degli incentivi alle imprese al fine di semplificarne le procedure di accesso e di destinare una maggior quota di risorse disponibili per l'attivazione, in particolare, di progetti di imprenditoria giovanile e femminile e adottando nel contempo misure a sostegno dei distretti produttivi italiani;
ad assumere, quanto prima, iniziative normative di modifica dell'attuale disciplina sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, con particolare riguardo alle pubbliche amministrazioni, che puntino al miglioramento dell'efficienza e dell'efficacia degli strumenti di ricorso contro tali ritardi, dando piena attuazione alle recenti misure adottate in materia dall'Unione europea e allineando il nostro Paese alle normative delle economie più avanzate;
ad assumere iniziative di competenza dirette a rivedere ulteriormente il patto di stabilità interno, consentendo alle amministrazioni locali l'utilizzo delle risorse disponibili per portare a termine gli investimenti già programmati, in particolare per gli interventi necessari sulle infrastrutture, l'edilizia scolastica, le manutenzioni ordinarie e straordinarie, ritenute essenziali per l'erogazione dei servizi ai cittadini;
a proseguire nel processo di informatizzazione e semplificazione dei procedimenti amministrativi, anche introducendo il principio di proporzionalità, al fine di correlare l'onerosità degli adempimenti amministrativi alla dimensione dell'impresa, con l'obiettivo di snellire i tempi e le modalità di esecuzione degli obblighi a carico delle imprese;
a rafforzare gli strumenti di tutela del made in Italy, favorendo, per quanto di sua competenza, il rapido iter delle proposte di legge presentate alla Camera dei deputati sulla commercializzazione di prodotti strategici per l'industria italiana e adoperandosi in sede europea affinché venga quanto prima adottato il regolamento sull'indicazione del Paese di origine dei prodotti importati da Paesi extracomunitari;
a proseguire nella revisione degli studi di settore, nella loro architettura generale, ma soprattutto nella concreta applicazione sul territorio, tenendo presente che l'utilizzo delle stime operate dagli studi non può avvenire in maniera automatica, ma deve tenere in massima considerazione gli elementi forniti dal contribuente e che gli studi devono tornare ad essere un mero strumento statistico, applicato in maniera flessibile, con un diverso rapporto tra fisco e contribuente, in base alle specificità delle diverse realtà territoriali, dei singoli settori merceologici e tenendo in debito conto gli effetti e le conseguenze della crisi economico-finanziaria, che ancora sta colpendo il nostro sistema produttivo;
a monitorare le condizioni di accesso al credito per le piccole e medie imprese, alla luce del progressivo recepimento degli accordi di Basilea 3, aventi ad oggetto la capitalizzazione del sistema bancario, affinché il raggiungimento dei nuovi parametri patrimoniali richiesti alle banche non comporti una stretta sul credito alle imprese e ad un aumento dei tassi di interesse.
(1-00540)
«Reguzzoni, Montagnoli, Lussana, Luciano Dussin, Fogliato, Alessandri, Allasia, Bitonci, Bonino, Bragantini, Buonanno, Callegari, Caparini, Cavallotto, Chiappori, Comaroli, Consiglio, Crosio, Dal Lago, D'Amico, Desiderati, Di Vizia, Dozzo, Guido Dussin, Fava, Fedriga, Follegot, Forcolin, Fugatti, Gidoni, Goisis, Grimoldi, Giancarlo Giorgetti, Isidori, Lanzarin, Maggioni, Molgora, Laura Molteni, Nicola Molteni, Munerato, Negro, Paolini, Pastore, Pini, Pirovano, Polledri, Rainieri, Rivolta, Rondini, Simonetti, Stefani, Stucchi, Togni, Torazzi, Vanalli, Volpi».

La Camera,
premesso che:
secondo i recentissimi dati diffusi il 18 gennaio 2011 dalla Banca d'Italia, la crescita dell'economia italiana resterà «moderata» nel corso del 2011, con un prodotto interno lordo che manterrà, sia nel 2011 sia nel 2012, il basso ritmo di crescita dell'anno 2010, intorno all'1 per cento. In particolare, la Banca d'Italia sottolinea che nel biennio 2011-2012 la ripresa economica sarà ancora trainata dalle esportazioni ma risentirà della debolezza della domanda interna e degli effetti delle misure di riequilibrio dei conti pubblici varate nell'estate 2010. La crescita, dunque, frenata dalla debole domanda interna resterebbe inferiore a quella dell'area euro stimata all'1,5 per cento. Alla fine del 2012, infatti, il prodotto interno lordo dovrebbe recuperare solo circa la metà della perdita subita nel corso di questi ultimi anni di recessione, pari a quasi 7 punti percentuali. Ne consegue, inevitabilmente, che ritmi produttivi così modesti non consentirebbero una ripresa significativa dell'occupazione, che, nel settore privato, si espanderebbe di circa 0,5 punti percentuali sia nel 2011, sia nel 2012. Per tali ragioni, la Banca d'Italia ha evidenziato la necessità di rimuovere gli ostacoli strutturali che hanno finora impedito all'economia italiana di inserirsi pienamente nella ripresa dell'economia mondiale;
su questa stessa linea appaiono anche i dati resi noti solo qualche giorno fa (il 26 gennaio 2011) dal centro studi di Confindustria che confermano come il nostro Paese fatichi ad andare oltre l'1 per cento nella velocità del prodotto interno lordo e, nonostante i dati positivi sulla ripresa globale, l'Italia, rileva Confindustria, non terrebbe il passo con Paesi appartenenti all'eurozona quali la Germania e altri come l'Asia e gli Stati Uniti d'America. La produzione industriale si attesterebbe al 17,8 per cento al di sotto del livelli pre-crisi. Sempre secondo Confindustria, la dinamica dei consumi in Italia continuerà a essere frenata dalle difficoltà nel mercato del lavoro e nei primi tre mesi del 2011 resteranno negative, di conseguenza, anche le aspettative delle imprese riguardo alle assunzioni;
intanto il debito pubblico continua a crescere. Secondo l'ultimo supplemento al bollettino di «finanza pubblica, fabbisogno e debito» della Banca d'Italia, il debito pubblico italiano è salito a 1.869.924 milioni di euro, rispetto ai 1.867.398 milioni nel mese precedente e 1.786.744 milioni di novembre 2009. In un anno, dunque, da novembre 2009 al novembre 2010 il debito pubblico è aumentato di 83,2 miliardi di euro, oltre il costo di tre manovre economico-finanziarie, al ritmo di 6,933 miliardi di euro al mese, ovverosia 1.155 euro l'anno per ognuno dei 60 milioni di abitanti italiani, senza che il Governo si sia posto il problema di attuare una seria politica economica per una sua progressiva riduzione;
il tasso di disoccupazione registrato dall'Istat a ottobre 2010 risulta pari all'8,7 per cento, il più alto da quando, nel gennaio 2004, sono iniziate le serie storiche mensili. In particolare, i disoccupati in Italia a ottobre 2010 risultano pari a 2.167.000, più del doppio rispetto ad aprile 2007 e, secondo il già citato centro studi di Confindustria, il biennio di crisi economica è costato all'Italia 540 mila posti di lavoro e la contrazione proseguirà per tutto il 2011. Circa 2.000.000 risultano i giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni che per l'Istat rientrano nella categoria «Neet» (No education, employment, training), ovvero che non lavorano e non studiano. Un dato confermato dagli esperti dell'Ocse, che vedono l'Italia al terzo posto tra i Paesi industrializzati, dopo Messico e Turchia. Il valore del tasso di disoccupazione per i giovani tra i 15 e i 24 anni si attesta al 24,7 per cento, una cifra che sale al 36 per cento per le donne nel Mezzogiorno. Tale aumento, dall'inizio della crisi, è di otto punti percentuali e peggio dell'Italia risulta solo l'Ungheria, in Europa;
nel corso del 2010, le ore di cassa integrazione chieste dalle imprese italiane, secondo l'Istituto nazionale per la previdenza sociale, sono state pari a 1.200.000.000, il 31,7 per cento in più rispetto al 2009, quando erano state 914 milioni. Secondo la Cgil, nel corso del 2010, le aziende che hanno fatto ricorso alla cassa integrazione straordinaria sono state 6.185, mentre l'utilizzo dello strumento della cassa integrazione in deroga è aumentato del 250 per cento. I due istituti insieme hanno riguardato complessivamente 400.000 lavoratori;
il tasso d'inflazione medio registrato in Italia, secondo l'Istat, nel 2010, si è attestato all'1,5 per cento. Rispetto al 2009, il dato è quasi raddoppiato (nei dodici mesi precedenti si era attestato allo 0,8 per cento). A dicembre 2010 l'indice dei prezzi ha raggiunto l'1,9 per cento, in crescita di due decimali rispetto al mese precedente. È il dato più elevato dal dicembre 2008;
la pressione fiscale in Italia nel 2009 rispetto al prodotto interno lordo, secondo le stime preliminari Ocse di dicembre 2010, è pari al 43,5 per cento in lieve aumento (+0,2 per cento) rispetto all'anno precedente. L'Italia è riuscita a scalzare così il Belgio dal poco ambito podio, diventando il terzo Paese dal fisco più esoso, dopo la Danimarca (48,2 per cento) e la Svezia (46,4 per cento);
la spesa media dei mutui per gli italiani rispetto alla media europea è superiore di circa 9000 euro. In sostanza, secondo un rapporto dell'Associazione nazionale costruttori edili (Ance) pubblicato il 3 gennaio 2011, «è come se le famiglie italiane pagassero per dodici mesi in più rispetto a quelle europee il credito nel settore delle costruzioni». L'Italia, secondo l'Ance, è il Paese più caro d'Europa per contrarre un mutuo, con un differenziale dei tassi medi di interesse dello 0,36 per cento (il 4,1 per cento in Italia contro il 3,74 per cento a livello europeo);
secondo Federconsumatori e Adusbef, le famiglie italiane dovranno pagare 1.016 euro in più, nel corso del 2011, per acquistare gli stessi prodotti e servizi acquistati nel 2010. In particolare, 267 euro in più dovranno essere spesi per i generi alimentari, 131 euro in più per i carburanti, 120 euro in più per il trasporto ferroviario. I rincari saranno del 7-8 per cento per il gas, del 4-5 per cento per la luce, del 7 per cento per i rifiuti. Stando poi ai dati comunicati dall'Istat, il 29 dicembre 2010 il 33,3 per cento delle famiglie italiane, nel corso del 2009, non è stato in grado di far fronte a una spesa imprevista di 750 euro. Nel 2008 il dato corrispondeva al il 32 per cento. Infine, il 15,2 per cento delle famiglie, poi, ha presentato tre o più sintomi di disagio economico tra quelli dell'indicatore sintetico previsto dall'Eurostat;
alla luce di quanto precede emerge con tutta evidenza come l'attuale Governo non sia ancora riuscito a proporre una politica economica idonea a stimolare concretamente la domanda interna, sostenendo i redditi delle famiglie e promuovendo lo sviluppo dell'impresa ed in particolare delle micro, piccole e medie imprese;
gli ultimi dati Istat disponibili, relativi all'anno 2007, confermano la prevalenza di micro imprese nel sistema produttivo del nostro Paese con oltre 4 milioni di imprese con meno di 10 addetti, che rappresentano il 95 per cento del totale ed occupano il 46 per cento degli addetti. Il 21 per cento degli addetti, pari a quasi 3,7 milioni, lavora infatti nelle piccole imprese (da 10 a 49 addetti), mentre la quota rilevata nelle medie imprese (da 50 a 249 addetti) è il 12,6 per cento (pari a oltre 2,2 milioni di addetti). Soltanto 3.630 imprese (0,08 per cento) impiegano 250 addetti;
avendo riguardo alle problematiche specifiche delle micro, piccole e medie imprese, non risultano ancora attuati nell'ambito del nostro ordinamento gran parte degli obiettivi sanciti a livello europeo dallo Small Business Act «Una corsia preferenziale per la piccola impresa» Alla ricerca di un nuovo quadro fondamentale per la Piccola Impresa (un «Small Business Act» per l'Europa) (COM(2008) 394);
seguendo le indicazioni espresse dal sopra citato documento comunitario, il cambiamento radicale del nostro modello di sviluppo dovrebbe basarsi su di un più decisivo programma di investimenti in materia di educazione, di formazione e di ricerca e le micro, piccole e medie imprese dovranno essere sostenute attraverso l'adozione di specifiche misure nei settori della fiscalità e dell'assistenza agli imprenditori; l'emanazione di provvedimenti volti a favorirne la crescita dimensionale e la capitalizzazione; la creazione di condizioni più favorevoli agli investimenti, anche a livello transfrontaliero; il ricorso all'implementazione di procedure semplificate per la creazione e l'avvio dell'esercizio dell'attività di impresa; il miglioramento della loro governance e visibilità; il rafforzamento del loro potenziale d'innovazione, di ricerca e di sviluppo; l'adozione di misure che incentivino tali imprese a sviluppare nuovi prodotti e servizi rispettosi dell'ambiente e ad adottare sistemi di gestione eco-efficienti; il sostegno al superamento delle barriere commerciali nei mercati esterni all'Unione europea e in particolare nei mercati emergenti, quali la Cina e l'India; la riduzione dei tempi di ritardo di pagamento da parte della pubblica amministrazione; infine, il sostegno e la facilitazione dell'accesso al credito;
secondo una stima del Ministero dello sviluppo economico pubblicata il 24 gennaio 2011 sulla testata del Sole 24 Ore, attuando a regime le indicazioni dello Small Business Act, si potrebbe ottenere un impatto aggiuntivo sulla crescita del prodotto interno lordo del Paese in un triennio, di circa l'1 per cento grazie al maggior valore prodotto dalle piccole e medie imprese. In particolare, adeguando le normative attuali ai principi dello Small Business Act (contesto favorevole per le imprese, maggior facilità di credito, pubbliche amministrazioni permeabili alle esigenze delle piccole e medie imprese) si potrebbe ridurre il gap di crescita con gli altri Paesi europei, contribuendo anche alla creazione di circa 50 mila nuovi posti di lavoro;
sul tema dell'accesso al credito da parte delle imprese si rileva che l'indagine trimestrale Banca d'Italia - Il Sole 24 Ore sulle aspettative di inflazione e crescita pubblicata il 17 gennaio 2011 - evidenzia come le condizioni di accesso al credito per le imprese presentino sempre profili di particolare criticità e, di fatto, siano rimaste del tutto invariate da settembre 2010 ad oggi, «La quota di imprese che segnala invarianza di condizioni di accesso al credito - si legge nel rapporto - rimane superiore all'80 per cento. Risulta lievemente aumentata sia l'incidenza delle imprese che segnalano un peggioramento di tali condizioni (13,9 per cento, dal 12,4 per cento del trimestre precedente), sia quella di coloro che indicano un miglioramento (5,1 per cento da 3,4 per cento). Si rileva, peraltro, che il tasso di crescita dei prestiti in Italia si è ridotto, nel giro di un anno, di dieci punti, colpendo in primo luogo le piccole e medie imprese che già risultavano fortemente penalizzate dall'applicazione degli accordi internazionali di Basilea, sia in termini di possibilità di accesso al credito, sia in termini di aumento di tassi di interesse legati all'erogazione del credito stesso;
sul tema dello snellimento delle procedure amministrative si evidenzia che, nonostante l'obiettivo corrisponda a quello di ridurre gli oneri amministrativi sulle imprese, l'Italia rappresenta il Paese europeo a più alto tasso burocratico, dove è stabile una vera e propria diseconomia dell'adempimento, che si ripercuote negativamente soprattutto nei confronti delle piccole e medie imprese. L'avvio di una nuova attività imprenditoriale, nonostante le modifiche normative intervenute recentemente sul punto, resta la fase burocraticamente più critica soprattutto per quanto concerne i costi, superiori del 67,2 per cento rispetto alla media europea. Nel nostro Paese, infatti, il principio di «proporzionalità negli adempimenti amministrativi» non risulta di fatto applicato. Attualmente, quindi, per le piccole e medie imprese italiane non esiste giuridicamente una proporzione fra l'onerosità degli adempimenti amministrativi cui vengono chiamate ad ottemperare e la dimensione dell'impresa, con la conseguente effettiva esigenza di tutela degli adempimenti pubblici;
nel nostro ordinamento, peraltro, non appaiono ancora recepiti i principi sanciti a livello comunitario dalla proposta di direttiva relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali (di cui alla comunicazione COM(2009)126), che dovrebbe contribuire all'attuazione dello Small Business Act (di cui alla comunicazione COM(2008)394), al fine di creare eque condizioni di concorrenza per le piccole e medie imprese. Tale direttiva si inserisce, altresì, nell'ambito delle misure prospettate dal piano europeo di ripresa economica (COM(2008)800) che, tra l'altro, invita gli Stati membri e l'Unione europea a garantire che le amministrazioni pubbliche paghino le fatture relative alle forniture di beni e alle prestazioni di servizi entro un mese;
inoltre, appare quanto mai necessario che il Governo avvii una politica commerciale più attenta alle esigenze del nostro sistema e capace di accompagnare le imprese nella sfida dell'internazionalizzazione, promuovendo e tutelando il made in Italy, ma anche sviluppando maggiormente la concorrenza con regole e strumenti adeguati al fine di contrastare gli abusi di mercato e la contraffazione a garanzia delle imprese e a tutela dei consumatori;
occorre promuovere l'immagine dell'Italia all'estero, rafforzando la ripresa dell'export e la presenza internazionale delle imprese italiane, sviluppando politiche di internazionalizzazione anche attraverso il riassetto e la razionalizzazione degli enti operanti nel settore dell'internazionalizzazione, con la conseguente riorganizzazione della rete estera di supporto alle imprese;
occorre investire sulla modernizzazione ecologica dell'economia tramite la riconversione dell'insieme delle attività produttive e dei servizi: riconversione che realmente può rappresentare l'occasione per creare nuovi posti di lavoro qualificati nel settore delle energie rinnovabili, dell'edilizia, dei trasporti, dell'agricoltura e molti altri ancora;
allo stesso modo bisogna investire sul capitale umano salvaguardando i livelli occupazionali, prevedendo la graduale deduzione del costo del lavoro dall'imponibile Irap, in particolare per le piccole e medie imprese. Nei confronti di queste ultime sarebbe auspicabile adottare iniziative volte a prevedere il pagamento dell'imposta sul valore aggiunto nel momento in cui si incassano le fatture e a consentire il finanziamento di opere pubbliche di piccole e medie dimensioni, più adatte all'intervento di piccole e medie imprese, anche attraverso l'esclusione dal computo dei saldi validi ai fini del rispetto del patto di stabilità interno delle spese per investimenti per i comuni virtuosi;
occorre adottare iniziative volte a rifinanziare le disposizioni varate durante la XV legislatura in materia di credito d'imposta per gli investimenti in ricerca e sviluppo per importi non inferiori a quelli previsti nell'anno 2008 (ovvero 700 milioni di euro), aumentando la brevettabilità delle innovazioni italiane;
appare quanto mai urgente completare gli interventi di liberalizzazione dei mercati, allo scopo di ridurre le rendite di posizione e favorire la libera concorrenza fra imprese;
occorre adottare adeguate iniziative volte a rendere efficace un meccanismo di finanziamento pluriennale degli interventi per la realizzazione delle infrastrutture per la banda larga, sbloccando lo stanziamento di 800 milioni di euro previsti dal decreto legge n. 78 del 2009 per il finanziamento delle nuove reti tecnologiche, offrendo nuovi servizi ai cittadini e alle imprese e fornendo così al Paese fattori strutturali di competitività nel campo delle comunicazioni, puntando alla copertura a banda larga a tutta la popolazione entro il 2013 in linea con l'Agenda digitale europea;
occorre adottare specifici interventi per l'imprenditoria femminile attraverso l'attuazione del piano straordinario per la conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro e l'attivazione di iniziative di sostegno alle lavoratrici e imprenditrici madri, garantendo l'effettiva tutela previdenziale e assistenziale per le madri libere professioniste o assunte con contratti atipici;
occorre prevedere adeguati strumenti per incentivare l'imprenditoria giovanile, riconoscendo alle persone fisiche di età inferiore ai 35 anni che intendano avviare l'esercizio di attività di impresa, per i primi tre anni dalla data dell'inizio dell'attività, di potersi avvalere del regime di fiscalità agevolato di cui all'articolo 1, commi 96-117, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, (ovvero il cosiddetto forfettone). Attualmente, infatti, i requisiti richiesti per accedere al cosiddetto forfettone prescindono dal dato dell'età, tanto è vero che possono accedere a questo tipo di agevolazione tutte le persone fisiche esercenti attività di impresa, arti o professioni che nell'anno solare precedente hanno conseguito ricavi ovvero hanno percepito compensi, ragguagliati ad anno, non superiori a 30.000 euro; non hanno effettuato cessioni all'esportazione; non hanno sostenuto spese per lavoratori dipendenti o collaboratori di cui all'articolo 50, comma 1, lettere c) e c-bis), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, anche assunti secondo la modalità riconducibile a un progetto, programma di lavoro o fase di esso, ai sensi degli articoli 61 e seguenti del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, né erogato somme sotto forma di utili da partecipazione agli associati di cui all'articolo 53, comma 2, lettera c), dello stesso testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986. Infine, possono accedere a questo tipo di agevolazione le persone fisiche esercenti attività di impresa, arti o professioni che nel triennio solare precedente non hanno effettuato acquisti di beni strumentali, anche mediante contratti di appalto e di locazione, pure finanziaria, per un ammontare complessivo superiore a 15.000 euro;
nonostante le massime autorità istituzionali abbiano dichiarato come rappresenti un imperativo forzare la crescita della nostra economia perché le previsioni indicate dalla Banca d'Italia e dal Fondo monetario internazionale risultano troppo inferiori alle aspettative del nostro Paese, suscita forti perplessità, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, che parte della copertura finanziaria del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie (atto Senato n. 2518), attualmente in esame presso il Senato della Repubblica, venga fatta valere, quanto a 73 milioni di euro per l'anno 2011, mediante versamento all'entrata del bilancio dello Stato di quota parte delle disponibilità dei conti di tesoreria accesi per gli interventi del fondo per la finanza d'impresa che, come noto, dovrebbe invece perseguire l'obiettivo di facilitare l'accesso al credito e al capitale di rischio da parte delle imprese, soprattutto di quelle medie e piccole. Per altro, il fondo nazionale di investimento, nato il 18 marzo 2010, come misura di sostegno dei processi di patrimonializzazione delle piccole e medie imprese, con una dotazione di 1,2 miliardi di euro, non risulta ad oggi ancora operativo, mentre il fondo di garanzia per le piccole e medie imprese dispone attualmente di risorse che non consentono di fornire un sostegno adeguato alle le piccole e medie imprese soprattutto in questa fase economica;
nonostante il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, insista ripetutamente sulla necessità di investire su ricerca e sviluppo e che, per la ricerca e l'innovazione, la Commissione europea nell'ambito del cosiddetto PNR (Programma nazionale di riforma), nel contesto della strategia Europa 2020 ha indicato nel 3 per cento del prodotto interno lordo il livello minimo di spesa da raggiungere nel prossimo decennio anche attraverso l'adozione di misure fiscali, secondo gli ultimi dati disponibili contenuti nella «Relazione sugli interventi di sostegno alle attività economiche e produttive» del Ministero dello Sviluppo economico, negli ultimi anni le agevolazioni sono in costante diminuzione, mentre tutti gli altri Paesi industrializzati stanno sostenendo con misure rilevanti sia la ricerca e l'innovazione tecnologica sia la green economy quali fondamentali veicoli di crescita e di opportunità per lo sviluppo di nuove imprese e la conseguente creazione di nuova occupazione;
presso la Commissione attività produttive della Camera dei deputati è in corso di esame un testo unificato delle proposte di legge (atto Camera n. 2754) ed abbinate, volto a definire lo statuto giuridico delle imprese prevedendo misure in grado di favorirne l'avvio, lo sviluppo e la competitività, con particolare riferimento alle micro, piccole e medie imprese, relativamente alle quali si intendono recepire le indicazioni contenute nello Small Business Act adottato a livello comunitario (COM (2008) 394). La medesima Commissione ha svolto un'indagine conoscitiva sulla situazione e sulle prospettive del sistema industriale e manifatturiero italiano in relazione alla crisi dell'economia internazionale, nell'ambito della quale, il 1o dicembre 2009, ha avuto luogo l'audizione del Ministro dello sviluppo economico,

impegna il Governo:

ad adottare le opportune iniziative finalizzate a rilanciare la domanda interna, il potere di acquisto delle famiglie, sostenendo i redditi da lavoro e da pensione, così da accelerare la dinamica dei consumi in Italia;
a sostenere le micro, piccole e medie imprese assumendo le necessarie iniziative, anche normative, volte ad entrare nella fase operativa dell'attuazione dello Small Business Act, dando attuazione alle principali proposte volte a rilanciare alla competitività delle piccole e medie imprese, mettendo in campo nuovi strumenti finanziari per il sostegno della patrimonializzazione e capitalizzazione delle piccole e medie imprese, avviando l'operatività del fondo italiano di investimento istituito il 18 marzo 2010 presso il Ministero dell'economia delle finanze;
ad adottare le opportune iniziative volte a favorire l'effettivo accesso al credito alle piccole e medie imprese, valutando l'opportunità di incrementare in maniera consisteste le risorse a disposizione del fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, di aumentare il tetto dell'importo del credito garantito e le percentuali sulle quali si applica la garanzia;
a monitorare le condizioni di accesso al credito per le piccole e medie imprese, alla luce del recepimento degli accordi internazionali di Basilea, da ultimo Basilea 3;
a proseguire nel processo di semplificazione degli oneri burocratici e amministrativi, dando concreta attuazione, nell'ambito del nostro ordinamento giuridico, del principio della proporzionalità fra l'onerosità degli adempimenti amministrativi e la dimensione delle imprese;
a dare definitiva attuazione nel nostro ordinamento ai principi sanciti a livello comunitario in materia di lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, con particolare riguardo alle pubbliche amministrazioni, valutando altresì la possibilità di istituire presso la Cassa depositi e prestiti un fondo rotativo che anticipi i pagamenti ai fornitori delle pubbliche amministrazioni stesse;
ad individuare specifici indirizzi e risorse finanziarie per sostenere il made in Italy e per promuovere l'immagine dell'Italia all'estero, anche attraverso l'implementazione di strumenti efficaci a contrastare gli abusi di mercato e la contraffazione a garanzia delle imprese e a tutela dei consumatori;
a valutare l'opportunità di adottare ogni iniziativa, anche normativa, volta a rifinanziare le disposizioni varate durante la XV legislatura in materia di credito d'imposta per gli investimenti in ricerca e sviluppo per importi non inferiori a quelli previsti nell'anno 2008 (700 milioni di euro), adottando, al contempo, politiche pubbliche realmente efficaci che favoriscano lo sviluppo delle imprese che investono nello sviluppo della ricerca e dell'innovazione tecnologica nei settori dell'ambiente, delle energie rinnovabili, del risparmio energetico, dei servizi collettivi ad alto contenuto tecnologico, ovvero nell'ideazione di nuovi prodotti che realizzino un significativo miglioramento della protezione dell'ambiente;
a valutare l'opportunità di adottare ogni iniziativa, anche normativa, volta a proseguire nell'adozione di interventi volti alla liberalizzazione dei mercati, allo scopo di ridurre le rendite di posizione e favorire la libera concorrenza fra imprese e diminuire i costi posti a carico del cittadino-consumatore;
a valutare l'opportunità di adottare ogni iniziativa, anche normativa, volta a sostenere la cooperazione strategica tra le università e le piccole e medie imprese in conformità alle indicazioni espresse dalla Commissione europea nelle comunicazioni sulla modernizzazione delle università COM(2006)208 del 1o maggio 2006 e COM(2009)158 del 2 aprile 2009, individuando azioni tese a realizzare una concreta sinergia e forme di partenariato tra le università e le piccole e medie imprese nella partecipazione a programmi di ricerca comunitari e internazionali;
a valutare l'opportunità di adottare ogni iniziativa, anche normativa, volta ad aumentare la brevettabilità delle innovazioni italiane, considerato che molte delle innovazioni italiane non sono brevettate e ciò rappresenta un doppio handicap nella competizione globale, in quanto rende più facili le imitazioni e impedisce al contempo di incassare le royalties e moltiplicare il valore dello sforzo innovativo;
ad adottare iniziative volte a promuovere l'immagine dell'Italia all'estero, attraverso il riassetto e la razionalizzazione degli enti operanti nel settore dell'internazionalizzazione;
a valutare la possibilità di adottare ogni atto di competenza, volto a salvaguardare i livelli occupazionali, prevedendo la graduale deduzione del costo del lavoro dall'imponibile Irap, in particolare per le piccole e medie imprese, nonché ad adottare iniziative volte a prevedere il pagamento dell'imposta sul valore aggiunto nel momento in cui si incassano le fatture;
a sostenere il finanziamento di opere pubbliche di piccole e medie dimensioni, anche attraverso l'esclusione dal computo dei saldi validi ai fini del rispetto del patto di stabilità interno delle spese per investimenti per i comuni virtuosi;
a valutare l'opportunità di adottare adeguate iniziative, anche normative, volte a rendere efficace un meccanismo di finanziamento pluriennale degli interventi per la realizzazione della infrastrutture per la banda larga, sbloccando lo stanziamento di 800 milioni di euro previsti dal decreto-legge n. 78 del 2009 per il finanziamento delle nuove reti tecnologiche;
a valutare l'opportunità di adottare adeguate iniziative di carattere finanziario volte a sostenere l'imprenditoria femminile e giovanile, anche attraverso il riconoscimento per le persone di età inferiore ai 35 anni che intendano avviare l'esercizio di attività di impresa, per i primi tre anni dalla data dell'inizio dell'attività, di potersi avvalere del regime di fiscalità agevolato di cui all'articolo 1, commi 96-117, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, (ovvero il cosiddetto forfettone).
(1-00544)
«Borghesi, Cimadoro, Porcino, Cambursano, Donadi, Evangelisti, Di Pietro, Barbato, Di Giuseppe, Di Stanislao, Favia, Aniello Formisano, Messina, Monai, Mura, Leoluca Orlando, Paladini, Palagiano, Palomba, Piffari, Rota, Zazzera».

La Camera,
premesso che:
secondo i recentissimi dati diffusi il 18 gennaio 2011 dalla Banca d'Italia, la crescita dell'economia italiana resterà «moderata» nel corso del 2011, con un prodotto interno lordo che manterrà, sia nel 2011 sia nel 2012, il basso ritmo di crescita dell'anno 2010, intorno all'1 per cento. In particolare, la Banca d'Italia sottolinea che nel biennio 2011-2012 la ripresa economica sarà ancora trainata dalle esportazioni ma risentirà della debolezza della domanda interna e degli effetti delle misure di riequilibrio dei conti pubblici varate nell'estate 2010. La crescita, dunque, frenata dalla debole domanda interna resterebbe inferiore a quella dell'area euro stimata all'1,5 per cento. Alla fine del 2012, infatti, il prodotto interno lordo dovrebbe recuperare solo circa la metà della perdita subita nel corso di questi ultimi anni di recessione, pari a quasi 7 punti percentuali. Ne consegue, inevitabilmente, che ritmi produttivi così modesti non consentirebbero una ripresa significativa dell'occupazione, che, nel settore privato, si espanderebbe di circa 0,5 punti percentuali sia nel 2011, sia nel 2012. Per tali ragioni, la Banca d'Italia ha evidenziato la necessità di rimuovere gli ostacoli strutturali che hanno finora impedito all'economia italiana di inserirsi pienamente nella ripresa dell'economia mondiale;
su questa stessa linea appaiono anche i dati resi noti solo qualche giorno fa (il 26 gennaio 2011) dal centro studi di Confindustria che confermano come il nostro Paese fatichi ad andare oltre l'1 per cento nella velocità del prodotto interno lordo e, nonostante i dati positivi sulla ripresa globale, l'Italia, rileva Confindustria, non terrebbe il passo con Paesi appartenenti all'eurozona quali la Germania e altri come l'Asia e gli Stati Uniti d'America. La produzione industriale si attesterebbe al 17,8 per cento al di sotto del livelli pre-crisi. Sempre secondo Confindustria, la dinamica dei consumi in Italia continuerà a essere frenata dalle difficoltà nel mercato del lavoro e nei primi tre mesi del 2011 resteranno negative, di conseguenza, anche le aspettative delle imprese riguardo alle assunzioni;
intanto il debito pubblico continua a crescere. Secondo l'ultimo supplemento al bollettino di «finanza pubblica, fabbisogno e debito» della Banca d'Italia, il debito pubblico italiano è salito a 1.869.924 milioni di euro, rispetto ai 1.867.398 milioni nel mese precedente e 1.786.744 milioni di novembre 2009. In un anno, dunque, da novembre 2009 al novembre 2010 il debito pubblico è aumentato di 83,2 miliardi di euro, oltre il costo di tre manovre economico-finanziarie, al ritmo di 6,933 miliardi di euro al mese, ovverosia 1.155 euro l'anno per ognuno dei 60 milioni di abitanti italiani, senza che il Governo si sia posto il problema di attuare una seria politica economica per una sua progressiva riduzione;
il tasso di disoccupazione registrato dall'Istat a ottobre 2010 risulta pari all'8,7 per cento, il più alto da quando, nel gennaio 2004, sono iniziate le serie storiche mensili. In particolare, i disoccupati in Italia a ottobre 2010 risultano pari a 2.167.000, più del doppio rispetto ad aprile 2007 e, secondo il già citato centro studi di Confindustria, il biennio di crisi economica è costato all'Italia 540 mila posti di lavoro e la contrazione proseguirà per tutto il 2011. Circa 2.000.000 risultano i giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni che per l'Istat rientrano nella categoria «Neet» (No education, employment, training), ovvero che non lavorano e non studiano. Un dato confermato dagli esperti dell'Ocse, che vedono l'Italia al terzo posto tra i Paesi industrializzati, dopo Messico e Turchia. Il valore del tasso di disoccupazione per i giovani tra i 15 e i 24 anni si attesta al 24,7 per cento, una cifra che sale al 36 per cento per le donne nel Mezzogiorno. Tale aumento, dall'inizio della crisi, è di otto punti percentuali e peggio dell'Italia risulta solo l'Ungheria, in Europa;
nel corso del 2010, le ore di cassa integrazione chieste dalle imprese italiane, secondo l'Istituto nazionale per la previdenza sociale, sono state pari a 1.200.000.000, il 31,7 per cento in più rispetto al 2009, quando erano state 914 milioni. Secondo la Cgil, nel corso del 2010, le aziende che hanno fatto ricorso alla cassa integrazione straordinaria sono state 6.185, mentre l'utilizzo dello strumento della cassa integrazione in deroga è aumentato del 250 per cento. I due istituti insieme hanno riguardato complessivamente 400.000 lavoratori;
il tasso d'inflazione medio registrato in Italia, secondo l'Istat, nel 2010, si è attestato all'1,5 per cento. Rispetto al 2009, il dato è quasi raddoppiato (nei dodici mesi precedenti si era attestato allo 0,8 per cento). A dicembre 2010 l'indice dei prezzi ha raggiunto l'1,9 per cento, in crescita di due decimali rispetto al mese precedente. È il dato più elevato dal dicembre 2008;
la pressione fiscale in Italia nel 2009 rispetto al prodotto interno lordo, secondo le stime preliminari Ocse di dicembre 2010, è pari al 43,5 per cento in lieve aumento (+0,2 per cento) rispetto all'anno precedente. L'Italia è riuscita a scalzare così il Belgio dal poco ambito podio, diventando il terzo Paese dal fisco più esoso, dopo la Danimarca (48,2 per cento) e la Svezia (46,4 per cento);
la spesa media dei mutui per gli italiani rispetto alla media europea è superiore di circa 9000 euro. In sostanza, secondo un rapporto dell'Associazione nazionale costruttori edili (Ance) pubblicato il 3 gennaio 2011, «è come se le famiglie italiane pagassero per dodici mesi in più rispetto a quelle europee il credito nel settore delle costruzioni». L'Italia, secondo l'Ance, è il Paese più caro d'Europa per contrarre un mutuo, con un differenziale dei tassi medi di interesse dello 0,36 per cento (il 4,1 per cento in Italia contro il 3,74 per cento a livello europeo);
secondo Federconsumatori e Adusbef, le famiglie italiane dovranno pagare 1.016 euro in più, nel corso del 2011, per acquistare gli stessi prodotti e servizi acquistati nel 2010. In particolare, 267 euro in più dovranno essere spesi per i generi alimentari, 131 euro in più per i carburanti, 120 euro in più per il trasporto ferroviario. I rincari saranno del 7-8 per cento per il gas, del 4-5 per cento per la luce, del 7 per cento per i rifiuti. Stando poi ai dati comunicati dall'Istat, il 29 dicembre 2010 il 33,3 per cento delle famiglie italiane, nel corso del 2009, non è stato in grado di far fronte a una spesa imprevista di 750 euro. Nel 2008 il dato corrispondeva al il 32 per cento. Infine, il 15,2 per cento delle famiglie, poi, ha presentato tre o più sintomi di disagio economico tra quelli dell'indicatore sintetico previsto dall'Eurostat;
alla luce di quanto precede emerge con tutta evidenza come l'attuale Governo non sia ancora riuscito a proporre una politica economica idonea a stimolare concretamente la domanda interna, sostenendo i redditi delle famiglie e promuovendo lo sviluppo dell'impresa ed in particolare delle micro, piccole e medie imprese;
gli ultimi dati Istat disponibili, relativi all'anno 2007, confermano la prevalenza di micro imprese nel sistema produttivo del nostro Paese con oltre 4 milioni di imprese con meno di 10 addetti, che rappresentano il 95 per cento del totale ed occupano il 46 per cento degli addetti. Il 21 per cento degli addetti, pari a quasi 3,7 milioni, lavora infatti nelle piccole imprese (da 10 a 49 addetti), mentre la quota rilevata nelle medie imprese (da 50 a 249 addetti) è il 12,6 per cento (pari a oltre 2,2 milioni di addetti). Soltanto 3.630 imprese (0,08 per cento) impiegano 250 addetti;
avendo riguardo alle problematiche specifiche delle micro, piccole e medie imprese, non risultano ancora attuati nell'ambito del nostro ordinamento gran parte degli obiettivi sanciti a livello europeo dallo Small Business Act «Una corsia preferenziale per la piccola impresa» Alla ricerca di un nuovo quadro fondamentale per la Piccola Impresa (un «Small Business Act» per l'Europa) (COM(2008) 394);
seguendo le indicazioni espresse dal sopra citato documento comunitario, il cambiamento radicale del nostro modello di sviluppo dovrebbe basarsi su di un più decisivo programma di investimenti in materia di educazione, di formazione e di ricerca e le micro, piccole e medie imprese dovranno essere sostenute attraverso l'adozione di specifiche misure nei settori della fiscalità e dell'assistenza agli imprenditori; l'emanazione di provvedimenti volti a favorirne la crescita dimensionale e la capitalizzazione; la creazione di condizioni più favorevoli agli investimenti, anche a livello transfrontaliero; il ricorso all'implementazione di procedure semplificate per la creazione e l'avvio dell'esercizio dell'attività di impresa; il miglioramento della loro governance e visibilità; il rafforzamento del loro potenziale d'innovazione, di ricerca e di sviluppo; l'adozione di misure che incentivino tali imprese a sviluppare nuovi prodotti e servizi rispettosi dell'ambiente e ad adottare sistemi di gestione eco-efficienti; il sostegno al superamento delle barriere commerciali nei mercati esterni all'Unione europea e in particolare nei mercati emergenti, quali la Cina e l'India; la riduzione dei tempi di ritardo di pagamento da parte della pubblica amministrazione; infine, il sostegno e la facilitazione dell'accesso al credito;
secondo una stima del Ministero dello sviluppo economico pubblicata il 24 gennaio 2011 sulla testata del Sole 24 Ore, attuando a regime le indicazioni dello Small Business Act, si potrebbe ottenere un impatto aggiuntivo sulla crescita del prodotto interno lordo del Paese in un triennio, di circa l'1 per cento grazie al maggior valore prodotto dalle piccole e medie imprese. In particolare, adeguando le normative attuali ai principi dello Small Business Act (contesto favorevole per le imprese, maggior facilità di credito, pubbliche amministrazioni permeabili alle esigenze delle piccole e medie imprese) si potrebbe ridurre il gap di crescita con gli altri Paesi europei, contribuendo anche alla creazione di circa 50 mila nuovi posti di lavoro;
sul tema dell'accesso al credito da parte delle imprese si rileva che l'indagine trimestrale Banca d'Italia - Il Sole 24 Ore sulle aspettative di inflazione e crescita pubblicata il 17 gennaio 2011 - evidenzia come le condizioni di accesso al credito per le imprese presentino sempre profili di particolare criticità e, di fatto, siano rimaste del tutto invariate da settembre 2010 ad oggi, «La quota di imprese che segnala invarianza di condizioni di accesso al credito - si legge nel rapporto - rimane superiore all'80 per cento. Risulta lievemente aumentata sia l'incidenza delle imprese che segnalano un peggioramento di tali condizioni (13,9 per cento, dal 12,4 per cento del trimestre precedente), sia quella di coloro che indicano un miglioramento (5,1 per cento da 3,4 per cento). Si rileva, peraltro, che il tasso di crescita dei prestiti in Italia si è ridotto, nel giro di un anno, di dieci punti, colpendo in primo luogo le piccole e medie imprese che già risultavano fortemente penalizzate dall'applicazione degli accordi internazionali di Basilea, sia in termini di possibilità di accesso al credito, sia in termini di aumento di tassi di interesse legati all'erogazione del credito stesso;
sul tema dello snellimento delle procedure amministrative si evidenzia che, nonostante l'obiettivo corrisponda a quello di ridurre gli oneri amministrativi sulle imprese, l'Italia rappresenta il Paese europeo a più alto tasso burocratico, dove è stabile una vera e propria diseconomia dell'adempimento, che si ripercuote negativamente soprattutto nei confronti delle piccole e medie imprese. L'avvio di una nuova attività imprenditoriale, nonostante le modifiche normative intervenute recentemente sul punto, resta la fase burocraticamente più critica soprattutto per quanto concerne i costi, superiori del 67,2 per cento rispetto alla media europea. Nel nostro Paese, infatti, il principio di «proporzionalità negli adempimenti amministrativi» non risulta di fatto applicato. Attualmente, quindi, per le piccole e medie imprese italiane non esiste giuridicamente una proporzione fra l'onerosità degli adempimenti amministrativi cui vengono chiamate ad ottemperare e la dimensione dell'impresa, con la conseguente effettiva esigenza di tutela degli adempimenti pubblici;
nel nostro ordinamento, peraltro, non appaiono ancora recepiti i principi sanciti a livello comunitario dalla proposta di direttiva relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali (di cui alla comunicazione COM(2009)126), che dovrebbe contribuire all'attuazione dello Small Business Act (di cui alla comunicazione COM(2008)394), al fine di creare eque condizioni di concorrenza per le piccole e medie imprese. Tale direttiva si inserisce, altresì, nell'ambito delle misure prospettate dal piano europeo di ripresa economica (COM(2008)800) che, tra l'altro, invita gli Stati membri e l'Unione europea a garantire che le amministrazioni pubbliche paghino le fatture relative alle forniture di beni e alle prestazioni di servizi entro un mese;
inoltre, appare quanto mai necessario che il Governo avvii una politica commerciale più attenta alle esigenze del nostro sistema e capace di accompagnare le imprese nella sfida dell'internazionalizzazione, promuovendo e tutelando il made in Italy, ma anche sviluppando maggiormente la concorrenza con regole e strumenti adeguati al fine di contrastare gli abusi di mercato e la contraffazione a garanzia delle imprese e a tutela dei consumatori;
occorre promuovere l'immagine dell'Italia all'estero, rafforzando la ripresa dell'export e la presenza internazionale delle imprese italiane, sviluppando politiche di internazionalizzazione anche attraverso il riassetto e la razionalizzazione degli enti operanti nel settore dell'internazionalizzazione, con la conseguente riorganizzazione della rete estera di supporto alle imprese;
occorre investire sulla modernizzazione ecologica dell'economia tramite la riconversione dell'insieme delle attività produttive e dei servizi: riconversione che realmente può rappresentare l'occasione per creare nuovi posti di lavoro qualificati nel settore delle energie rinnovabili, dell'edilizia, dei trasporti, dell'agricoltura e molti altri ancora;
allo stesso modo bisogna investire sul capitale umano salvaguardando i livelli occupazionali, prevedendo la graduale deduzione del costo del lavoro dall'imponibile Irap, in particolare per le piccole e medie imprese. Nei confronti di queste ultime sarebbe auspicabile adottare iniziative volte a prevedere il pagamento dell'imposta sul valore aggiunto nel momento in cui si incassano le fatture e a consentire il finanziamento di opere pubbliche di piccole e medie dimensioni, più adatte all'intervento di piccole e medie imprese, anche attraverso l'esclusione dal computo dei saldi validi ai fini del rispetto del patto di stabilità interno delle spese per investimenti per i comuni virtuosi;
occorre adottare iniziative volte a rifinanziare le disposizioni varate durante la XV legislatura in materia di credito d'imposta per gli investimenti in ricerca e sviluppo per importi non inferiori a quelli previsti nell'anno 2008 (ovvero 700 milioni di euro), aumentando la brevettabilità delle innovazioni italiane;
appare quanto mai urgente completare gli interventi di liberalizzazione dei mercati, allo scopo di ridurre le rendite di posizione e favorire la libera concorrenza fra imprese;
occorre adottare adeguate iniziative volte a rendere efficace un meccanismo di finanziamento pluriennale degli interventi per la realizzazione delle infrastrutture per la banda larga, sbloccando lo stanziamento di 800 milioni di euro previsti dal decreto legge n. 78 del 2009 per il finanziamento delle nuove reti tecnologiche, offrendo nuovi servizi ai cittadini e alle imprese e fornendo così al Paese fattori strutturali di competitività nel campo delle comunicazioni, puntando alla copertura a banda larga a tutta la popolazione entro il 2013 in linea con l'Agenda digitale europea;
occorre adottare specifici interventi per l'imprenditoria femminile attraverso l'attuazione del piano straordinario per la conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro e l'attivazione di iniziative di sostegno alle lavoratrici e imprenditrici madri, garantendo l'effettiva tutela previdenziale e assistenziale per le madri libere professioniste o assunte con contratti atipici;
occorre prevedere adeguati strumenti per incentivare l'imprenditoria giovanile, riconoscendo alle persone fisiche di età inferiore ai 35 anni che intendano avviare l'esercizio di attività di impresa, per i primi tre anni dalla data dell'inizio dell'attività, di potersi avvalere del regime di fiscalità agevolato di cui all'articolo 1, commi 96-117, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, (ovvero il cosiddetto forfettone). Attualmente, infatti, i requisiti richiesti per accedere al cosiddetto forfettone prescindono dal dato dell'età, tanto è vero che possono accedere a questo tipo di agevolazione tutte le persone fisiche esercenti attività di impresa, arti o professioni che nell'anno solare precedente hanno conseguito ricavi ovvero hanno percepito compensi, ragguagliati ad anno, non superiori a 30.000 euro; non hanno effettuato cessioni all'esportazione; non hanno sostenuto spese per lavoratori dipendenti o collaboratori di cui all'articolo 50, comma 1, lettere c) e c-bis), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, anche assunti secondo la modalità riconducibile a un progetto, programma di lavoro o fase di esso, ai sensi degli articoli 61 e seguenti del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, né erogato somme sotto forma di utili da partecipazione agli associati di cui all'articolo 53, comma 2, lettera c), dello stesso testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986. Infine, possono accedere a questo tipo di agevolazione le persone fisiche esercenti attività di impresa, arti o professioni che nel triennio solare precedente non hanno effettuato acquisti di beni strumentali, anche mediante contratti di appalto e di locazione, pure finanziaria, per un ammontare complessivo superiore a 15.000 euro;
nonostante le massime autorità istituzionali abbiano dichiarato come rappresenti un imperativo forzare la crescita della nostra economia perché le previsioni indicate dalla Banca d'Italia e dal Fondo monetario internazionale risultano troppo inferiori alle aspettative del nostro Paese, suscita forti perplessità, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, che parte della copertura finanziaria del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie (atto Senato n. 2518), attualmente in esame presso il Senato della Repubblica, venga fatta valere, quanto a 73 milioni di euro per l'anno 2011, mediante versamento all'entrata del bilancio dello Stato di quota parte delle disponibilità dei conti di tesoreria accesi per gli interventi del fondo per la finanza d'impresa che, come noto, dovrebbe invece perseguire l'obiettivo di facilitare l'accesso al credito e al capitale di rischio da parte delle imprese, soprattutto di quelle medie e piccole. Per altro, il fondo nazionale di investimento, nato il 18 marzo 2010, come misura di sostegno dei processi di patrimonializzazione delle piccole e medie imprese, con una dotazione di 1,2 miliardi di euro, non risulta ad oggi ancora operativo, mentre il fondo di garanzia per le piccole e medie imprese dispone attualmente di risorse che non consentono di fornire un sostegno adeguato alle le piccole e medie imprese soprattutto in questa fase economica;
nonostante il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, insista ripetutamente sulla necessità di investire su ricerca e sviluppo e che, per la ricerca e l'innovazione, la Commissione europea nell'ambito del cosiddetto PNR (Programma nazionale di riforma), nel contesto della strategia Europa 2020 ha indicato nel 3 per cento del prodotto interno lordo il livello minimo di spesa da raggiungere nel prossimo decennio anche attraverso l'adozione di misure fiscali, secondo gli ultimi dati disponibili contenuti nella «Relazione sugli interventi di sostegno alle attività economiche e produttive» del Ministero dello Sviluppo economico, negli ultimi anni le agevolazioni sono in costante diminuzione, mentre tutti gli altri Paesi industrializzati stanno sostenendo con misure rilevanti sia la ricerca e l'innovazione tecnologica sia la green economy quali fondamentali veicoli di crescita e di opportunità per lo sviluppo di nuove imprese e la conseguente creazione di nuova occupazione;
presso la Commissione attività produttive della Camera dei deputati è in corso di esame un testo unificato delle proposte di legge (atto Camera n. 2754) ed abbinate, volto a definire lo statuto giuridico delle imprese prevedendo misure in grado di favorirne l'avvio, lo sviluppo e la competitività, con particolare riferimento alle micro, piccole e medie imprese, relativamente alle quali si intendono recepire le indicazioni contenute nello Small Business Act adottato a livello comunitario (COM (2008) 394). La medesima Commissione ha svolto un'indagine conoscitiva sulla situazione e sulle prospettive del sistema industriale e manifatturiero italiano in relazione alla crisi dell'economia internazionale, nell'ambito della quale, il 1o dicembre 2009, ha avuto luogo l'audizione del Ministro dello sviluppo economico,

impegna il Governo:

compatibilmente con gli equilibri di bilancio ad adottare le opportune iniziative finalizzate a rilanciare la domanda interna, il potere di acquisto delle famiglie, sostenendo i redditi da lavoro e da pensione, così da accelerare la dinamica dei consumi in Italia;
a sostenere le micro, piccole e medie imprese assumendo le necessarie iniziative, anche normative, volte ad entrare nella fase operativa dell'attuazione dello Small Business Act, dando attuazione alle principali proposte volte a rilanciare alla competitività delle piccole e medie imprese, mettendo in campo nuovi strumenti finanziari per il sostegno della patrimonializzazione e capitalizzazione delle piccole e medie imprese, avviando l'operatività del fondo italiano di investimento istituito il 18 marzo 2010 presso il Ministero dell'economia delle finanze;
ad adottare le opportune iniziative volte a favorire l'effettivo accesso al credito alle piccole e medie imprese, valutando l'opportunità di incrementare in maniera consisteste le risorse a disposizione del fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, di aumentare il tetto dell'importo del credito garantito e le percentuali sulle quali si applica la garanzia;
a monitorare le condizioni di accesso al credito per le piccole e medie imprese, alla luce del recepimento degli accordi internazionali di Basilea, da ultimo Basilea 3;
a proseguire nel processo di semplificazione degli oneri burocratici e amministrativi, dando concreta attuazione, nell'ambito del nostro ordinamento giuridico, del principio della proporzionalità fra l'onerosità degli adempimenti amministrativi e la dimensione delle imprese;
a dare definitiva attuazione nel nostro ordinamento ai principi sanciti a livello comunitario in materia di lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, con particolare riguardo alle pubbliche amministrazioni, valutando altresì la possibilità di istituire presso la Cassa depositi e prestiti un fondo rotativo che anticipi i pagamenti ai fornitori delle pubbliche amministrazioni stesse;
ad individuare specifici indirizzi e risorse finanziarie per sostenere il made in Italy e per promuovere l'immagine dell'Italia all'estero, anche attraverso l'implementazione di strumenti efficaci a contrastare gli abusi di mercato e la contraffazione a garanzia delle imprese e a tutela dei consumatori;
a valutare l'opportunità di adottare ogni iniziativa, anche normativa, volta a rifinanziare le disposizioni varate durante la XV legislatura in materia di credito d'imposta per gli investimenti in ricerca e sviluppo per importi non inferiori a quelli previsti nell'anno 2008 (700 milioni di euro), adottando, al contempo, politiche pubbliche realmente efficaci che favoriscano lo sviluppo delle imprese che investono nello sviluppo della ricerca e dell'innovazione tecnologica nei settori dell'ambiente, delle energie rinnovabili, del risparmio energetico, dei servizi collettivi ad alto contenuto tecnologico, ovvero nell'ideazione di nuovi prodotti che realizzino un significativo miglioramento della protezione dell'ambiente;
a valutare l'opportunità di adottare ogni iniziativa, anche normativa, volta a proseguire nell'adozione di interventi volti alla liberalizzazione dei mercati, allo scopo di ridurre le rendite di posizione e favorire la libera concorrenza fra imprese e diminuire i costi posti a carico del cittadino-consumatore;
a valutare l'opportunità di adottare ogni iniziativa, anche normativa, volta a sostenere la cooperazione strategica tra le università e le piccole e medie imprese in conformità alle indicazioni espresse dalla Commissione europea nelle comunicazioni sulla modernizzazione delle università COM(2006)208 del 1o maggio 2006 e COM(2009)158 del 2 aprile 2009, individuando azioni tese a realizzare una concreta sinergia e forme di partenariato tra le università e le piccole e medie imprese nella partecipazione a programmi di ricerca comunitari e internazionali;
a valutare l'opportunità di adottare ogni iniziativa, anche normativa, volta ad aumentare la brevettabilità delle innovazioni italiane, considerato che molte delle innovazioni italiane non sono brevettate e ciò rappresenta un doppio handicap nella competizione globale, in quanto rende più facili le imitazioni e impedisce al contempo di incassare le royalties e moltiplicare il valore dello sforzo innovativo;
ad adottare iniziative volte a promuovere l'immagine dell'Italia all'estero, attraverso il riassetto e la razionalizzazione degli enti operanti nel settore dell'internazionalizzazione;
a valutare la possibilità di adottare ogni atto di competenza, volto a salvaguardare i livelli occupazionali, prevedendo la graduale deduzione del costo del lavoro dall'imponibile Irap, in particolare per le piccole e medie imprese, nonché ad adottare iniziative volte a prevedere il pagamento dell'imposta sul valore aggiunto nel momento in cui si incassano le fatture;
a sostenere il finanziamento di opere pubbliche di piccole e medie dimensioni, anche attraverso l'esclusione dal computo dei saldi validi ai fini del rispetto del patto di stabilità interno delle spese per investimenti per i comuni virtuosi;
a valutare l'opportunità di adottare adeguate iniziative, anche normative, volte a rendere efficace un meccanismo di finanziamento pluriennale degli interventi per la realizzazione della infrastrutture per la banda larga, sbloccando lo stanziamento di 800 milioni di euro previsti dal decreto-legge n. 78 del 2009 per il finanziamento delle nuove reti tecnologiche;
a valutare l'opportunità di adottare adeguate iniziative di carattere finanziario volte a sostenere l'imprenditoria femminile e giovanile, anche attraverso il riconoscimento per le persone di età inferiore ai 35 anni che intendano avviare l'esercizio di attività di impresa, per i primi tre anni dalla data dell'inizio dell'attività, di potersi avvalere del regime di fiscalità agevolato di cui all'articolo 1, commi 96-117, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, (ovvero il cosiddetto forfettone).
(1-00544)
(Testo modificato nel corso della seduta)«Borghesi, Cimadoro, Porcino, Cambursano, Donadi, Evangelisti, Di Pietro, Barbato, Di Giuseppe, Di Stanislao, Favia, Aniello Formisano, Messina, Monai, Mura, Leoluca Orlando, Paladini, Palagiano, Palomba, Piffari, Rota, Zazzera».

La Camera,
premesso che:
secondo i dati forniti di recente dalla Banca d'Italia, nella media del 2010, il prodotto interno lordo dell'Italia è aumentato dell'1 per cento, contro l'1,7 dell'area dell'euro, mentre il volume del commercio mondiale nel 2010 è sostanzialmente tornato ai livelli pre-crisi (+ 7,4);
in tale quadro di sostanziale immobilità che potrebbe perdurare anche negli anni 2011 e 2012, l'Italia, per tornare a crescere, deve promuovere un ventaglio di politiche e di riforme tale da innalzare il potenziale di crescita dell'economia italiana, attraverso riforme specifiche rivolte alle micro, piccole e medie imprese, all'interno di una più generale strategia di sviluppo del Paese;
con l'attuale crisi, tutti i Paesi avanzati si stanno confrontando con la ricerca di un nuovo paradigma di sviluppo in grado di sostenere le contestuali sfide dell'allargamento dei diritti, della globalizzazione, della rivoluzione tecnologica;
è necessario che si affermi, anche nel nostro Paese, un nuovo atteggiamento culturale, sollecitato dall'Unione europea con la comunicazione sullo Small Business Act, per provare a «pensare sempre a misura di piccolo»;
è un dovere, per le future generazioni, che il rigore nei conti pubblici sia sempre accompagnato da politiche di sviluppo;
è necessario costruire il Paese delle opportunità e la libera iniziativa economica dei cittadini è uno strumento fondamentale di mobilità sociale e di sviluppo della capacità creativa degli italiani;
per tali motivi, alle micro, piccole e medie imprese, quasi il 95 per cento del totale, deve essere riconosciuto il ruolo di «spina dorsale» del Paese, elemento, questo, di solida tenuta del sistema economico e sociale, motore di innovazione e di sviluppo, ma soprattutto veicolo di trasmissione di valori e di promozione della parità e della realizzazione umana, fondata sul merito, sulla fatica e sulla capacità di far fruttare i propri talenti;
le piccole e medie imprese italiane sono caratterizzate da una benefica prevalenza del fattore famiglia-lavoro sul capitale, una peculiarità positiva che deve essere sostenuta promuovendone l'organizzazione in rete e sostenendone la patrimonializzazione;
è, dunque, necessario sostenere, sul piano sia giuridico sia fiscale, le reti d'impresa, l'evoluzione dei distretti e delle filiere e dei consorzi, come formazioni in grado di coniugare i vantaggi in termini di flessibilità produttiva e le necessità di una scala adeguata per affrontare la competizione globale;
a tal fine, deve essere riformato l'attuale sistema di incentivi, eliminando quelli «a pioggia» a favore di un sostegno mirato alle aggregazioni tra imprese e tra imprese e università, per rafforzare e favorire lo sviluppo tecnologico e il radicamento della ricerca e della capacità competitiva di territori;
la diversità dell'Italia nella sua struttura produttiva deve essere riconosciuta e, per questo, è necessario un impegno in sede di Unione europea, affinché, in tutti gli ambiti, le politiche tengano conto della specifica ricchezza italiana, non rintracciabile in alcun altro Paese europeo;
la prima modalità di sano finanziamento dell'impresa è una corretta relazione tra debitore e creditore nell'ambito dei pagamenti, sia della pubblica amministrazione che tra privati, mentre troppo spesso il fabbisogno di credito delle piccole e medie imprese è artificiosamente accresciuto da modalità di pagamento capestro, che generano un cortocircuito anche nei sistemi di autofinanziamento più sani ed evoluti;
è innegabile che la difficoltà di accesso al credito sia esponenzialmente cresciuta con la crisi economica;
il sistema bancario è determinante per rendere la crisi meno profonda e duratura; i punti più critici sono innanzitutto la quantità di credito che attualmente viene allocata sull'economia reale, soprattutto sulle medie e piccole imprese e il costo di tale credito;
in attesa del completamento delle modifiche strutturali di Basilea 2, è indispensabile una moratoria sul rimborso della quota capitale dei prestiti, strada maestra per una trasparente collaborazione tra imprese e sistema bancario, nell'interesse del Paese;
le reti d'impresa, come i distretti e i consorzi, sono un'opportunità da sostenere con una seria normativa che può consentire lo sviluppo di sinergie sui territori; occorre in tal senso considerare le positive esperienze dei distretti;
la vigente tassazione delle imprese presenta una serie di ostacoli alla crescita, perché disincentiva l'utilizzo del capitale proprio rispetto al capitale di debito e tassa differentemente il reddito del capitale investito a seconda della forma giuridica dell'impresa;
per favorire l'occupazione dei molti giovani che, finiti gli studi, non trovano lavoro, vanno sostenuti i progetti di incubazione di nuova impresa collegati a strumenti fiscali innovativi e di basso impatto nella fase di start up, sia per i giovani in cerca di prima occupazione che per le donne e i disoccupati over cinquanta, anche utilizzando le opportunità offerte dal settore cooperativo;
nel Mezzogiorno, in particolare, la promozione e lo sviluppo delle imprese giovanili e femminili devono essere sostenuti poiché in grado di valorizzare le risorse endogene e accrescere il capitale sociale del territorio, permettendo la partecipazione diretta dei cittadini ai processi economici e di cambiamento nelle comunità locali;
deve essere, inoltre, tenuto in grande considerazione il fenomeno nuovo, e quanto mai significativo per l'integrazione e la crescita del Paese, delle 340.000 aziende costituite da immigrati; la promozione dell'autoimpresa per chi viene in Italia, affermandosi nella legalità e nel rispetto delle regole e rispondendo a esigenze reali di mercato, rimane un punto a favore di ogni processo di integrazione,

impegna il Governo:

ad operare per estendere, per tutto il 2011, la moratoria dei debiti bancari delle imprese, ampliandola al lavoro autonomo e alle professioni;
ad adottare ogni opportuna iniziativa affinché la progressiva applicazione dell'accordo Basilea 3 non si traduca in un inasprimento delle condizioni del credito bancario verso le piccole e medie imprese, altresì prevedendo adeguate misure a sostegno delle operazioni di capitalizzazione e di crescita dimensionale e favorendo opportuni meccanismi di garanzia pubblica sui finanziamenti a medio e lungo termine concessi dalle banche alle piccole e medie imprese;
a intervenire in modo definitivo nella lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali sia tra imprese che tra imprese e pubblica amministrazione, con iniziative che obblighino a saldare le fatture in tempi ragionevoli, anche sulla base della direttiva europea attualmente in discussione, attuando nel breve termine la compensazione dei crediti delle imprese verso la pubblica amministrazione superiori ai 60 giorni con crediti fiscali e previdenziali;
ad assumere iniziative per eliminare gradualmente l'Irap sul costo del lavoro, per esentare dal pagamento delle imposte la parte di reddito reinvestita nell'azienda, nell'attività professionale, nelle società, per ad applicare l'aliquota del 20 per cento al reddito ordinario percepito dai lavoratori autonomi, dagli imprenditori individuali, dal socio in società di persone e per prevedere l'assoggettamento all'Irpef della parte eccedente;
a promuovere la riforma degli studi di settore per semplificarli, evitando che diano luogo ad una sorta di minimum tax, iniqua nei confronti dei contribuenti di dimensioni minori e, al tempo stesso, inefficace contro l'evasione, prevedendo la riduzione del loro numero, la revisione delle modalità di calcolo e un piano straordinario di formazione degli operatori dell'Agenzia delle entrate sul corretto funzionamento degli studi e la modifica dei criteri di attribuzione della retribuzione di risultato;
a promuovere la riforma dell'attuale sistema di incentivi, attraverso un drastico ridimensionamento degli incentivi individuali, per spostare le risorse pubbliche sulla costruzione di grandi reti di collaborazione con radicamento locale, e favorire l'aggregazione tra imprese al fine di intervenire sull'assetto dimensionale del tessuto produttivo;
a sostenere il made in Italy mediante iniziative, anche normative, volte ad agevolare le filiere produttive, in particolare per alcuni comparti, quali ad esempio il settore tessile, abbigliamento e calzaturiero ed altri comparti che risentono di situazioni di crisi «settoriali» precedenti a quella internazionale iniziata nella seconda metà del 2008;
ad assumere iniziative per ripristinare il credito d'imposta automatico in ricerca e sviluppo;
a sostenere l'avvio di nuove imprese di giovani e donne tramite la riduzione dei costi ordinari di costituzione e start up, delle tariffazioni per la tenuta della contabilità, dei costi dei servizi bancari;
a eliminare il gap consistente dovuto all'elevato costo dell'energia rispetto ad altri competitori europei, che vede più svantaggiate le micro e piccole imprese nei confronti delle imprese di più grandi dimensioni;
a promuovere una revisione del patto di stabilità interno al fine di liberare risorse per gli investimenti degli enti locali, con lo scopo di riavviare un ciclo virtuoso collegato all'attuazione di interventi infrastrutturali e al miglioramento dei servizi, indispensabili alla ripresa delle attività produttive in ambito territoriale e al miglioramento della qualità della vita dei cittadini;
a prevedere una drastica riduzione degli oneri burocratici sulle piccole e medie imprese, evitando continue sovrapposizioni normative che hanno dato luogo a ulteriori appesantimenti degli iter e prevedendo obblighi proporzionati alle dimensioni e al settore aziendale;
ad adottare iniziative di competenza affinché nelle gare per appalti di forniture alle pubbliche amministrazioni vi sia una riserva di beni e servizi per le piccole imprese e per i fornitori locali nei piccoli comuni.
(1-00546)
«Lulli, Boccia, Colaninno, Fadda, Froner, Marchioni, Martella, Mastromauro, Peluffo, Portas, Quartiani, Sanga, Scarpetti, Federico Testa, Vico, Zumino, Marco Carra».

La Camera,
premesso che:
secondo i dati forniti di recente dalla Banca d'Italia, nella media del 2010, il prodotto interno lordo dell'Italia è aumentato dell'1 per cento, contro l'1,7 dell'area dell'euro, mentre il volume del commercio mondiale nel 2010 è sostanzialmente tornato ai livelli pre-crisi (+ 7,4);
in tale quadro di sostanziale immobilità che potrebbe perdurare anche negli anni 2011 e 2012, l'Italia, per tornare a crescere, deve promuovere un ventaglio di politiche e di riforme tale da innalzare il potenziale di crescita dell'economia italiana, attraverso riforme specifiche rivolte alle micro, piccole e medie imprese, all'interno di una più generale strategia di sviluppo del Paese;
con l'attuale crisi, tutti i Paesi avanzati si stanno confrontando con la ricerca di un nuovo paradigma di sviluppo in grado di sostenere le contestuali sfide dell'allargamento dei diritti, della globalizzazione, della rivoluzione tecnologica;
è necessario che si affermi, anche nel nostro Paese, un nuovo atteggiamento culturale, sollecitato dall'Unione europea con la comunicazione sullo Small Business Act, per provare a «pensare sempre a misura di piccolo»;
è un dovere, per le future generazioni, che il rigore nei conti pubblici sia sempre accompagnato da politiche di sviluppo;
è necessario costruire il Paese delle opportunità e la libera iniziativa economica dei cittadini è uno strumento fondamentale di mobilità sociale e di sviluppo della capacità creativa degli italiani;
per tali motivi, alle micro, piccole e medie imprese, quasi il 95 per cento del totale, deve essere riconosciuto il ruolo di «spina dorsale» del Paese, elemento, questo, di solida tenuta del sistema economico e sociale, motore di innovazione e di sviluppo, ma soprattutto veicolo di trasmissione di valori e di promozione della parità e della realizzazione umana, fondata sul merito, sulla fatica e sulla capacità di far fruttare i propri talenti;
le piccole e medie imprese italiane sono caratterizzate da una benefica prevalenza del fattore famiglia-lavoro sul capitale, una peculiarità positiva che deve essere sostenuta promuovendone l'organizzazione in rete e sostenendone la patrimonializzazione;
è, dunque, necessario sostenere, sul piano sia giuridico sia fiscale, le reti d'impresa, l'evoluzione dei distretti e delle filiere e dei consorzi, come formazioni in grado di coniugare i vantaggi in termini di flessibilità produttiva e le necessità di una scala adeguata per affrontare la competizione globale;
a tal fine, deve essere riformato l'attuale sistema di incentivi, eliminando quelli «a pioggia» a favore di un sostegno mirato alle aggregazioni tra imprese e tra imprese e università, per rafforzare e favorire lo sviluppo tecnologico e il radicamento della ricerca e della capacità competitiva di territori;
la diversità dell'Italia nella sua struttura produttiva deve essere riconosciuta e, per questo, è necessario un impegno in sede di Unione europea, affinché, in tutti gli ambiti, le politiche tengano conto della specifica ricchezza italiana, non rintracciabile in alcun altro Paese europeo;
la prima modalità di sano finanziamento dell'impresa è una corretta relazione tra debitore e creditore nell'ambito dei pagamenti, sia della pubblica amministrazione che tra privati, mentre troppo spesso il fabbisogno di credito delle piccole e medie imprese è artificiosamente accresciuto da modalità di pagamento capestro, che generano un cortocircuito anche nei sistemi di autofinanziamento più sani ed evoluti;
è innegabile che la difficoltà di accesso al credito sia esponenzialmente cresciuta con la crisi economica;
il sistema bancario è determinante per rendere la crisi meno profonda e duratura; i punti più critici sono innanzitutto la quantità di credito che attualmente viene allocata sull'economia reale, soprattutto sulle medie e piccole imprese e il costo di tale credito;
in attesa del completamento delle modifiche strutturali di Basilea 2, è indispensabile una moratoria sul rimborso della quota capitale dei prestiti, strada maestra per una trasparente collaborazione tra imprese e sistema bancario, nell'interesse del Paese;
le reti d'impresa, come i distretti e i consorzi, sono un'opportunità da sostenere con una seria normativa che può consentire lo sviluppo di sinergie sui territori; occorre in tal senso considerare le positive esperienze dei distretti;
la vigente tassazione delle imprese presenta una serie di ostacoli alla crescita, perché disincentiva l'utilizzo del capitale proprio rispetto al capitale di debito e tassa differentemente il reddito del capitale investito a seconda della forma giuridica dell'impresa;
per favorire l'occupazione dei molti giovani che, finiti gli studi, non trovano lavoro, vanno sostenuti i progetti di incubazione di nuova impresa collegati a strumenti fiscali innovativi e di basso impatto nella fase di start up, sia per i giovani in cerca di prima occupazione che per le donne e i disoccupati over cinquanta, anche utilizzando le opportunità offerte dal settore cooperativo;
nel Mezzogiorno, in particolare, la promozione e lo sviluppo delle imprese giovanili e femminili devono essere sostenuti poiché in grado di valorizzare le risorse endogene e accrescere il capitale sociale del territorio, permettendo la partecipazione diretta dei cittadini ai processi economici e di cambiamento nelle comunità locali;
deve essere, inoltre, tenuto in grande considerazione il fenomeno nuovo, e quanto mai significativo per l'integrazione e la crescita del Paese, delle 340.000 aziende costituite da immigrati; la promozione dell'autoimpresa per chi viene in Italia, affermandosi nella legalità e nel rispetto delle regole e rispondendo a esigenze reali di mercato, rimane un punto a favore di ogni processo di integrazione,

impegna il Governo:

compatibilmente con gli equilibri di bilancio ad operare per estendere, per tutto il 2011, la moratoria dei debiti bancari delle imprese, ampliandola al lavoro autonomo e alle professioni;
ad adottare ogni opportuna iniziativa affinché la progressiva applicazione dell'accordo Basilea 3 non si traduca in un inasprimento delle condizioni del credito bancario verso le piccole e medie imprese, altresì prevedendo adeguate misure a sostegno delle operazioni di capitalizzazione e di crescita dimensionale e favorendo opportuni meccanismi di garanzia pubblica sui finanziamenti a medio e lungo termine concessi dalle banche alle piccole e medie imprese;
a intervenire in modo definitivo nella lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali sia tra imprese che tra imprese e pubblica amministrazione, con iniziative che obblighino a saldare le fatture in tempi ragionevoli, anche sulla base della direttiva europea attualmente in discussione, attuando nel breve termine la compensazione dei crediti delle imprese verso la pubblica amministrazione superiori ai 60 giorni con crediti fiscali e previdenziali;
ad assumere iniziative per eliminare gradualmente l'Irap sul costo del lavoro, per esentare dal pagamento delle imposte la parte di reddito reinvestita nell'azienda, nell'attività professionale, nelle società, per ad applicare l'aliquota del 20 per cento al reddito ordinario percepito dai lavoratori autonomi, dagli imprenditori individuali, dal socio in società di persone e per prevedere l'assoggettamento all'Irpef della parte eccedente;
a promuovere la riforma degli studi di settore per semplificarli, evitando che diano luogo ad una sorta di minimum tax, iniqua nei confronti dei contribuenti di dimensioni minori e, al tempo stesso, inefficace contro l'evasione, prevedendo la riduzione del loro numero, la revisione delle modalità di calcolo e un piano straordinario di formazione degli operatori dell'Agenzia delle entrate sul corretto funzionamento degli studi e la modifica dei criteri di attribuzione della retribuzione di risultato;
a promuovere la riforma dell'attuale sistema di incentivi, attraverso un drastico ridimensionamento degli incentivi individuali, per spostare le risorse pubbliche sulla costruzione di grandi reti di collaborazione con radicamento locale, e favorire l'aggregazione tra imprese al fine di intervenire sull'assetto dimensionale del tessuto produttivo;
a sostenere il made in Italy mediante iniziative, anche normative, volte ad agevolare le filiere produttive, in particolare per alcuni comparti, quali ad esempio il settore tessile, abbigliamento e calzaturiero ed altri comparti che risentono di situazioni di crisi «settoriali» precedenti a quella internazionale iniziata nella seconda metà del 2008;
ad assumere iniziative per ripristinare il credito d'imposta automatico in ricerca e sviluppo;
a sostenere l'avvio di nuove imprese di giovani e donne tramite la riduzione dei costi ordinari di costituzione e start up, delle tariffazioni per la tenuta della contabilità, dei costi dei servizi bancari;
a eliminare il gap consistente dovuto all'elevato costo dell'energia rispetto ad altri competitori europei, che vede più svantaggiate le micro e piccole imprese nei confronti delle imprese di più grandi dimensioni;
a promuovere una revisione del patto di stabilità interno al fine di liberare risorse per gli investimenti degli enti locali, con lo scopo di riavviare un ciclo virtuoso collegato all'attuazione di interventi infrastrutturali e al miglioramento dei servizi, indispensabili alla ripresa delle attività produttive in ambito territoriale e al miglioramento della qualità della vita dei cittadini;
a prevedere una drastica riduzione degli oneri burocratici sulle piccole e medie imprese, evitando continue sovrapposizioni normative che hanno dato luogo a ulteriori appesantimenti degli iter e prevedendo obblighi proporzionati alle dimensioni e al settore aziendale;
ad adottare iniziative di competenza affinché nelle gare per appalti di forniture alle pubbliche amministrazioni vi sia una riserva di beni e servizi per le piccole imprese e per i fornitori locali nei piccoli comuni.
(1-00546)
(Testo modificato nel corso della seduta)«Lulli, Boccia, Colaninno, Fadda, Froner, Marchioni, Martella, Mastromauro, Peluffo, Portas, Quartiani, Sanga, Scarpetti, Federico Testa, Vico, Zumino, Marco Carra».

La Camera,
premesso che:
sebbene il 2011 si presenti come l'anno della stabilizzazione delle aspettative e della riduzione dell'incertezza, secondo l'analisi mensile del centro studi di Confindustria, i ritmi di crescita restano molto differenziati, con l'Italia che fatica ad andare oltre l'1 per cento nella velocità del prodotto interno lordo;
i tribunali tributari registrano numeri significativi relativi alle procedure fallimentari delle piccole e medie imprese. L'aumento medio dei fallimenti è arrivato al 18 per cento nel terzo trimestre 2010, a testimonianza del fatto che la crisi economica-finanziaria non è stata del tutto assorbita dal mondo produttivo ed imprenditoriale e conferma la necessità per il Governo di riformare le politiche e il contesto strutturale legati alla creazione e allo sviluppo delle imprese, tenuto conto che le piccole e medie imprese in Italia hanno da sempre fornito un contributo fondamentale alla crescita economica e alla creazione di posti di lavoro;
in tale ottica e in attuazione della comunicazione della Commissione Europea «Pensare in piccolo», l'Italia è stata tra i primi Paesi europei ad aver dato attuazione allo Small Business Act (SBA), nato con lo scopo di creare condizioni favorevoli alla crescita e alla competitività sostenibili delle piccole e medie imprese;
le nuove misure contenute nello Small Business Act interesseranno una realtà numericamente molto importante: su 4.338.766 imprese, 4.335.448 (il 99,9 per cento) sono, infatti, piccole e medie imprese. Inoltre, la quasi totalità di piccole e medie imprese (il 95 per cento) è costituita da imprese con meno di 10 addetti. Il resto è formato da imprese che impiegano da 10 a 49 addetti (196.090 unità, pari al 4,5 per cento), mentre le imprese di taglia più grande (da 50 a 249 addetti) sono appena 21.867, ossia lo 0,5 per cento del totale;
oltre a costituire numericamente l'ossatura del sistema produttivo nazionale, le piccole e medie imprese impiegano oltre l'81 per cento degli occupati, in particolare nel settore dei servizi;
secondo una stima del Ministero dello sviluppo economico, attuando a regime le indicazioni dello Small Business Act, l'impatto sul prodotto interno lordo italiano, su base triennale, si aggirerebbe intorno all'1 per cento con 50 mila posti di lavoro in più grazie al maggior valore prodotto dalle piccole e medie imprese;
dal confronto tra Italia e la media europea su alcuni degli indicatori individuati dallo Small Business Act giudicati essenziali per favorire la crescita delle piccole e medie imprese, il nostro Paese esce con poche luci e molte ombre;
in particolare l'Italia, oltre a registrare forti ritardi sull'innovazione, l'accesso al credito e nei ritardi di pagamento, evidenzia ancora un forte gap di produttività: i 43.200 euro di valore aggiunto per addetto colloca l'Italia sotto la soglia di Germania, Francia e Gran Bretagna e solo nelle aziende con almeno 50 addetti tale differenza viene meno;
si registra una minor diffusione di competenza per l'innovazione e l'Italia appare indietro nella percentuale di imprese che hanno redditi da nuovi prodotti e nella quota di personale con titoli di studio elevati;
dal punto di vista dell'internazionalizzazione si segnala la lentezza dei tempi dell'export (quasi il doppio dei giorni rispetto agli standard europei) che colloca l'Italia all'ultimo posto dopo Ungheria e Repubblica Ceca;
nonostante si stia consolidando la ripresa dei finanziamenti alle piccole e medie imprese, stando agli ultimi dati della Banca d'Italia, dal confronto emerge che l'Italia è anche penultima nella classifica per quanto attiene alle possibilità di accesso al credito e nei ritardi nei pagamenti;
secondo il tavolo interassociativo delle imprese di servizi, lo Stato deve alle imprese del settore dei servizi tra i 60 e i 70 miliardi di euro (di cui la metà è rappresentata da credito verso enti del servizio sanitario nazionale) con un ritardo medio nei pagamenti da parte della pubblica amministrazione di 100 giorni. La situazione potrebbe migliorare con l'entrata in vigore della direttiva sui ritardi dei pagamenti, ma allo stato molte piccole e medie imprese si trovano in una posizione drammatica, costrette a «fare da banca alla pubblica amministrazione»;
questi risultati, se rapportati alla quota di aiuti di Stato destinati alle piccole e medie imprese (quasi 4 volte la media europea), evidenziano come il contributo dello Stato non abbia prodotto i risultati attesi. Secondo il Ministro dello sviluppo economico, la riforma degli incentivi, che entrerà in vigore a gennaio 2012, porterà benefici particolari proprio alle medie e piccole imprese;
tra le misure utili al rilancio dell'economia delle zone depresse ad alto disagio sociale ed economico del Paese, attraverso esenzioni fiscali automatiche per le piccole e micro imprese per un periodo di 14 anni, erano state inserite le zone franche urbane, che avevano ottenuto l'autorizzazione anche dalla Commissione europea ma che la manovra d'estate ha, di fatto, cancellato e sostituito con le zone a burocrazia zero che non prevede, tuttavia, una sistema automatico di defiscalizzazione;
le piccole e medie imprese devono poter contare su strumenti nuovi e di semplice attuazione per poter agganciare la ripresa per cui una riforma degli incentivi può rappresentare uno degli interventi utili a questo scopo, soprattutto dal lato della semplificazione delle norme e delle procedure per rendere gli incentivi realmente e facilmente fruibili dalle piccole imprese;
scaduta la moratoria dei debiti delle piccole e medie imprese, è necessario individuare strumenti coerenti con una fase economica, che conserva ancora forti elementi di incertezza, che non penalizzino le imprese nelle condizioni di accesso al credito, che valorizzino le garanzie pubbliche e quelle rilasciate dai consorzi fidi;
nonostante la crisi economica abbia ridotto fatturati e profitti, la pressione fiscale sta penalizzando e pesando comunque sulle piccole e medie imprese. Tassando voci quali il costo del personale, gli oneri finanziari, svalutazioni e perdite su crediti, l'imposta regionale sulle attività produttive è risultata indifferente ai cali di redditività e mina le possibilità di rilancio drenando risorse fresche dalla casse delle imprese;
l'attività finanziario-imprenditoriale presenta un deficit rispetto ai competitor europei a causa di una cultura finanziaria delle piccole e medie imprese che non considera forme alternative al capitale di debito: nel Sud Italia, per esempio, solo il 4 per cento degli investimenti è destinato al venture capital;
anche se il premio Nobel per l'economia, Joseph Stiglitz ha affermato che «in materia di piccole medie imprese l'America deve imparare dall'Italia», prendendo atto della capacità di reazione delle nostre piccole e medie imprese davanti a una crisi globale come quella attuale, i Governi sanno che la dimensione delle piccole e medie imprese costituisce spesso un ostacolo al loro sviluppo sul piano internazionale. I limiti della dimensione aziendale potrebbero essere superati attraverso l'organizzazione delle piccole e medie imprese in reti di imprese, in cui si condividono gli investimenti in innovazione del prodotto, formazione del personale e ricerca di nuove opportunità di mercato;
il rilancio dell'economia del Paese non può prescindere da un rafforzamento delle misure volte a contrastare il fenomeno dell'evasione e dell'elusione fiscale legata all'economia sommersa;
nonostante uno degli obiettivi fissati al vertice di Lisbona del marzo 2000 era quello di portare la percentuale delle donne occupate dal 51 per cento del 1999 (rispetto al 61 per cento degli uomini) al 60 per cento nel 2010, in base ai dati Istat di agosto 2010 il tasso di occupazione femminile era pari al 46,1 per cento, quasi 22 punti percentuali in meno rispetto al tasso di occupazione maschile,

impegna il Governo:

a procedere in tempi rapidi alla definizione del provvedimento di riforma degli incentivi;
a rafforzare, attraverso un sistema di agevolazioni, le reti di impresa quale strumento per accrescere la competitività e la capacità di innovazione delle piccole e medie imprese e quale strumento propedeutico per forme di aggregazione più profonde;
ad elaborare un sistema di tassazione più favorevole alle imprese prevedendo agevolazioni per gli utili reinvestiti e per ridurre il cuneo fiscale;
a valutare l'opportunità di introdurre nuove misure destinate alle piccole e medie imprese per agevolarne i progetti di ricerca o gli investimenti in alta tecnologia o ambiente, attraverso programmi di promozione delle esportazioni;
a prevedere maggiori tutele dalla concorrenza asimmetrica dei mercati globalizzati senza regole e controlli e favorirne lo sviluppo rimuovendone i molti vincoli che ne ostacolano l'operatività e la crescita sul piano internazionale;
in attesa dell'entrata a regime della direttiva sui ritardi dei pagamenti, a prevedere forme di compensazione di crediti con versamenti da effettuare per imposte e contributi obbligatori o l'anticipazione senza oneri dei pagamenti da parte della Cassa depositi e prestiti o da parte delle banche;
a favorire la formulazione di una nuova intesa sulla moratoria sui debiti delle piccole e medie imprese che privilegi iniziative di crescita e di sviluppo rispetto a operazioni di semplice copertura di perdite relative a finanziamenti pregressi come anche richiesto da Rete imprese Italia;
a valutare l'opportunità di favorire il rilancio del venture capital come fattore di sviluppo per le piccole e medie imprese;
a valutare l'opportunità di procedere ad una più attenta analisi del fenomeno dell'economia sommersa anche attraverso una disaggregazione della stima per settori economici e per tipologia di contribuenti con l'obiettivo di analizzare la concentrazione del sommerso e della connessa evasione, e di approfondimento degli effetti del contrasto di interessi, già ampiamente e positivamente sperimentato in edilizia, per valutarne l'efficacia come strumento in grado di ridurre l'evasione fiscale;
ad assumere iniziative dirette ad introdurre nuovi strumenti di agevolazioni fiscali, oltre a quelli già previsti dalla normativa vigente, al fine di incentivare la creazione e lo sviluppo dell'imprenditoria femminile, anche in forma cooperativa.
(1-00549)
«Anna Teresa Formisano, Ruggeri, Pezzotta, Occhiuto, Galletti, Compagnon, Ciccanti, Libè, Rao, Naro, Volontè».

La Camera,
premesso che:
sebbene il 2011 si presenti come l'anno della stabilizzazione delle aspettative e della riduzione dell'incertezza, secondo l'analisi mensile del centro studi di Confindustria, i ritmi di crescita restano molto differenziati, con l'Italia che fatica ad andare oltre l'1 per cento nella velocità del prodotto interno lordo;
i tribunali tributari registrano numeri significativi relativi alle procedure fallimentari delle piccole e medie imprese. L'aumento medio dei fallimenti è arrivato al 18 per cento nel terzo trimestre 2010, a testimonianza del fatto che la crisi economica-finanziaria non è stata del tutto assorbita dal mondo produttivo ed imprenditoriale e conferma la necessità per il Governo di riformare le politiche e il contesto strutturale legati alla creazione e allo sviluppo delle imprese, tenuto conto che le piccole e medie imprese in Italia hanno da sempre fornito un contributo fondamentale alla crescita economica e alla creazione di posti di lavoro;
in tale ottica e in attuazione della comunicazione della Commissione Europea «Pensare in piccolo», l'Italia è stata tra i primi Paesi europei ad aver dato attuazione allo Small Business Act (SBA), nato con lo scopo di creare condizioni favorevoli alla crescita e alla competitività sostenibili delle piccole e medie imprese;
le nuove misure contenute nello Small Business Act interesseranno una realtà numericamente molto importante: su 4.338.766 imprese, 4.335.448 (il 99,9 per cento) sono, infatti, piccole e medie imprese. Inoltre, la quasi totalità di piccole e medie imprese (il 95 per cento) è costituita da imprese con meno di 10 addetti. Il resto è formato da imprese che impiegano da 10 a 49 addetti (196.090 unità, pari al 4,5 per cento), mentre le imprese di taglia più grande (da 50 a 249 addetti) sono appena 21.867, ossia lo 0,5 per cento del totale;
oltre a costituire numericamente l'ossatura del sistema produttivo nazionale, le piccole e medie imprese impiegano oltre l'81 per cento degli occupati, in particolare nel settore dei servizi;
secondo una stima del Ministero dello sviluppo economico, attuando a regime le indicazioni dello Small Business Act, l'impatto sul prodotto interno lordo italiano, su base triennale, si aggirerebbe intorno all'1 per cento con 50 mila posti di lavoro in più grazie al maggior valore prodotto dalle piccole e medie imprese;
dal confronto tra Italia e la media europea su alcuni degli indicatori individuati dallo Small Business Act giudicati essenziali per favorire la crescita delle piccole e medie imprese, il nostro Paese esce con poche luci e molte ombre;
in particolare l'Italia, oltre a registrare forti ritardi sull'innovazione, l'accesso al credito e nei ritardi di pagamento, evidenzia ancora un forte gap di produttività: i 43.200 euro di valore aggiunto per addetto colloca l'Italia sotto la soglia di Germania, Francia e Gran Bretagna e solo nelle aziende con almeno 50 addetti tale differenza viene meno;
si registra una minor diffusione di competenza per l'innovazione e l'Italia appare indietro nella percentuale di imprese che hanno redditi da nuovi prodotti e nella quota di personale con titoli di studio elevati;
dal punto di vista dell'internazionalizzazione si segnala la lentezza dei tempi dell'export (quasi il doppio dei giorni rispetto agli standard europei) che colloca l'Italia all'ultimo posto dopo Ungheria e Repubblica Ceca;
nonostante si stia consolidando la ripresa dei finanziamenti alle piccole e medie imprese, stando agli ultimi dati della Banca d'Italia, dal confronto emerge che l'Italia è anche penultima nella classifica per quanto attiene alle possibilità di accesso al credito e nei ritardi nei pagamenti;
secondo il tavolo interassociativo delle imprese di servizi, lo Stato deve alle imprese del settore dei servizi tra i 60 e i 70 miliardi di euro (di cui la metà è rappresentata da credito verso enti del servizio sanitario nazionale) con un ritardo medio nei pagamenti da parte della pubblica amministrazione di 100 giorni. La situazione potrebbe migliorare con l'entrata in vigore della direttiva sui ritardi dei pagamenti, ma allo stato molte piccole e medie imprese si trovano in una posizione drammatica, costrette a «fare da banca alla pubblica amministrazione»;
questi risultati, se rapportati alla quota di aiuti di Stato destinati alle piccole e medie imprese (quasi 4 volte la media europea), evidenziano come il contributo dello Stato non abbia prodotto i risultati attesi. Secondo il Ministro dello sviluppo economico, la riforma degli incentivi, che entrerà in vigore a gennaio 2012, porterà benefici particolari proprio alle medie e piccole imprese;
tra le misure utili al rilancio dell'economia delle zone depresse ad alto disagio sociale ed economico del Paese, attraverso esenzioni fiscali automatiche per le piccole e micro imprese per un periodo di 14 anni, erano state inserite le zone franche urbane, che avevano ottenuto l'autorizzazione anche dalla Commissione europea ma che la manovra d'estate ha, di fatto, cancellato e sostituito con le zone a burocrazia zero che non prevede, tuttavia, una sistema automatico di defiscalizzazione;
le piccole e medie imprese devono poter contare su strumenti nuovi e di semplice attuazione per poter agganciare la ripresa per cui una riforma degli incentivi può rappresentare uno degli interventi utili a questo scopo, soprattutto dal lato della semplificazione delle norme e delle procedure per rendere gli incentivi realmente e facilmente fruibili dalle piccole imprese;
scaduta la moratoria dei debiti delle piccole e medie imprese, è necessario individuare strumenti coerenti con una fase economica, che conserva ancora forti elementi di incertezza, che non penalizzino le imprese nelle condizioni di accesso al credito, che valorizzino le garanzie pubbliche e quelle rilasciate dai consorzi fidi;
nonostante la crisi economica abbia ridotto fatturati e profitti, la pressione fiscale sta penalizzando e pesando comunque sulle piccole e medie imprese. Tassando voci quali il costo del personale, gli oneri finanziari, svalutazioni e perdite su crediti, l'imposta regionale sulle attività produttive è risultata indifferente ai cali di redditività e mina le possibilità di rilancio drenando risorse fresche dalla casse delle imprese;
l'attività finanziario-imprenditoriale presenta un deficit rispetto ai competitor europei a causa di una cultura finanziaria delle piccole e medie imprese che non considera forme alternative al capitale di debito: nel Sud Italia, per esempio, solo il 4 per cento degli investimenti è destinato al venture capital;
anche se il premio Nobel per l'economia, Joseph Stiglitz ha affermato che «in materia di piccole medie imprese l'America deve imparare dall'Italia», prendendo atto della capacità di reazione delle nostre piccole e medie imprese davanti a una crisi globale come quella attuale, i Governi sanno che la dimensione delle piccole e medie imprese costituisce spesso un ostacolo al loro sviluppo sul piano internazionale. I limiti della dimensione aziendale potrebbero essere superati attraverso l'organizzazione delle piccole e medie imprese in reti di imprese, in cui si condividono gli investimenti in innovazione del prodotto, formazione del personale e ricerca di nuove opportunità di mercato;
il rilancio dell'economia del Paese non può prescindere da un rafforzamento delle misure volte a contrastare il fenomeno dell'evasione e dell'elusione fiscale legata all'economia sommersa;
nonostante uno degli obiettivi fissati al vertice di Lisbona del marzo 2000 era quello di portare la percentuale delle donne occupate dal 51 per cento del 1999 (rispetto al 61 per cento degli uomini) al 60 per cento nel 2010, in base ai dati Istat di agosto 2010 il tasso di occupazione femminile era pari al 46,1 per cento, quasi 22 punti percentuali in meno rispetto al tasso di occupazione maschile,

impegna il Governo:

compatibilmente con gli equilibri di bilancio a procedere in tempi rapidi alla definizione del provvedimento di riforma degli incentivi;
a rafforzare, attraverso un sistema di agevolazioni, le reti di impresa quale strumento per accrescere la competitività e la capacità di innovazione delle piccole e medie imprese e quale strumento propedeutico per forme di aggregazione più profonde;
ad elaborare un sistema di tassazione più favorevole alle imprese prevedendo agevolazioni per gli utili reinvestiti e per ridurre il cuneo fiscale;
a valutare l'opportunità di introdurre nuove misure destinate alle piccole e medie imprese per agevolarne i progetti di ricerca o gli investimenti in alta tecnologia o ambiente, attraverso programmi di promozione delle esportazioni;
a prevedere maggiori tutele dalla concorrenza asimmetrica dei mercati globalizzati senza regole e controlli e favorirne lo sviluppo rimuovendone i molti vincoli che ne ostacolano l'operatività e la crescita sul piano internazionale;
in attesa dell'entrata a regime della direttiva sui ritardi dei pagamenti, a prevedere forme di compensazione di crediti con versamenti da effettuare per imposte e contributi obbligatori o l'anticipazione senza oneri dei pagamenti da parte della Cassa depositi e prestiti o da parte delle banche;
a favorire la formulazione di una nuova intesa sulla moratoria sui debiti delle piccole e medie imprese che privilegi iniziative di crescita e di sviluppo rispetto a operazioni di semplice copertura di perdite relative a finanziamenti pregressi come anche richiesto da Rete imprese Italia;
a valutare l'opportunità di favorire il rilancio del venture capital come fattore di sviluppo per le piccole e medie imprese;
a valutare l'opportunità di procedere ad una più attenta analisi del fenomeno dell'economia sommersa anche attraverso una disaggregazione della stima per settori economici e per tipologia di contribuenti con l'obiettivo di analizzare la concentrazione del sommerso e della connessa evasione, e di approfondimento degli effetti del contrasto di interessi, già ampiamente e positivamente sperimentato in edilizia, per valutarne l'efficacia come strumento in grado di ridurre l'evasione fiscale;
ad assumere iniziative dirette ad introdurre nuovi strumenti di agevolazioni fiscali, oltre a quelli già previsti dalla normativa vigente, al fine di incentivare la creazione e lo sviluppo dell'imprenditoria femminile, anche in forma cooperativa.
(1-00549)
(Testo modificato nel corso della seduta)«Anna Teresa Formisano, Ruggeri, Pezzotta, Occhiuto, Galletti, Compagnon, Ciccanti, Libè, Rao, Naro, Volontè».

La Camera,
premesso che:
nonostante la gravità della crisi economica in atto, il Governo ha affrontato con efficacia la grave crisi economico-finanziaria che ha colpito il Paese, varando una serie di provvedimenti che hanno evitato all'economia italiana pesanti conseguenze che, invece, hanno colpito altri Paesi dell'Unione europea;
tale crisi economico-finanziaria ha investito tutti i settori dell'economia italiana tra cui le piccole e medie imprese;
in Italia queste ultime costituiscono una realtà numericamente molto significativa: su 4.338.766 imprese, 4.335.448 (il 99,9 per cento) sono, infatti, piccole e medie imprese. Inoltre, la quasi totalità delle piccole e medie imprese (il 95 per cento) è costituita da imprese con meno di 10 addetti; il resto è formato da imprese che impiegano da 10 a 49 addetti (196.090 unità, pari al 4,5 per cento), mentre le imprese di taglia più grande (da 50 a 249 addetti) sono appena 21.867, ossia lo 0,5 per cento del totale;
dal punto di vista dei settori economici, le piccole e medie imprese, soprattutto quelle con meno di 10 addetti, si concentrano nel terziario (circa il 76 per cento del totale delle piccole e medie imprese), in particolare nelle attività immobiliari, di informatica, di ricerca e di altre attività professionali (25,2 per cento) e nel commercio al dettaglio (16,5 per cento);
le piccole e medie imprese non solo costituiscono numericamente l'ossatura del sistema produttivo nazionale, ma anche il loro contributo in termini di occupazione è significativo: impiegano, infatti, oltre l'81 per cento degli occupati, in particolare nel settore dei servizi (circa il 49 per cento). Analoga situazione si registra anche in termini di valore aggiunto: il 72,4 per cento (esclusa l'agricoltura) è prodotto dalle piccole e medie imprese, di cui più della metà dalle imprese del terziario;
pertanto il Governo italiano il 30 aprile 2010 ha firmato, primo Paese in Europa, la direttiva con cui si è data attuazione allo Small Business Act (SBA), che introduce importanti misure innovative per accrescere la competitività delle piccole e medie imprese italiane;
nella duplice prospettiva di affrontare l'emergenza economica, da un lato, e di individuare obiettivi di medio termine di sviluppo del sistema industriale italiano ed in particolare delle piccole e medie imprese, tenuto conto dei dieci principi guida contenuti nello Small Business Act, vengono individuate le seguenti priorità di policy:
a) effettuare una preliminare analisi d'impatto di ogni nuova normativa d'interesse per le piccole e medie imprese (come previsto dalla normativa dell'analisi di impatto della regolamentazione (air)) ed operare affinché i testi normativi siano redatti con disposizioni chiare e facilmente comprensibili;
b) dare piena attuazione e massima evidenza, ai fini della piena conoscenza ed utilizzo da parte delle imprese, agli strumenti normativi ed organizzativi già approvati ed in vigore (come la comunicazione unica per via telematica al registro delle imprese ai fini dell'iscrizione previdenziale, assicurativa e fiscale, nonché per l'ottenimento del codice fiscale e dell'imposta sul valore aggiunto necessari per l'avvio di nuove attività (articolo 9 del decreto-legge n. 7 del 2007, convertito dalla legge n. 40 del 2007), la riforma dello sportello unico per le attività produttive (con l'articolo 38 del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito dalla legge n. 133 del 2008), la segnalazione certificata di inizio attività sostitutiva della dichiarazione di inizio attività, l'istituzione delle agenzie per le imprese, strumenti tutti orientati a garantire che l'avvio dell'attività imprenditoriale sia il più veloce possibile, in particolare spostando in un secondo momento la verifica dei requisiti necessari all'esercizio della stessa;
c) operare ulteriormente al fine di ridurre il carico degli adempimenti amministrativi che ostacolano l'esercizio dell'attività imprenditoriale, limitando la competitività delle imprese ed imponendo loro un aggravio di costi e procedure;
d) incentivare ed accompagnare le imprese all'utilizzo del «contratto di rete»;
e) agevolare, anche dando attuazione alla recente riforma della legge fallimentare, il ricorso alla composizione negoziale delle crisi d'impresa, attraverso la configurazione dei nuovi istituti di risanamento che favoriscono il raggiungimento di accordi tra impresa in difficoltà e creditori;
f) incoraggiare e sostenere l'imprenditorialità giovanile e sviluppare la cultura d'impresa e l'orientamento al lavoro autonomo nelle scuole;
g) incoraggiare e sostenere l'imprenditorialità femminile anche attraverso l'adozione di misure tendenti a rimuovere gli ostacoli che ne limitano l'accesso al credito;
h) incoraggiare e sostenere l'imprenditorialità presso quegli immigrati che intendono avviare delle attività, anche promuovendone l'istruzione e la formazione;
i) favorire il trasferimento di impresa, con particolare attenzione alla fase del passaggio generazionale all'interno delle imprese familiari, anche grazie alla creazione di un istituto che favorisca l'incontro tra domanda e offerta;
l) favorire la trasformazione, in tutto o in parte, delle aziende in crisi in cooperativa;
m) fare in modo che la già più che positiva azione di sostegno all'accesso al credito a favore del sistema delle imprese svolta in questi anni dal fondo centrale di garanzia (avviato nel 2000, rifinanziato nel picco della crisi con 1,6 miliardi di euro; il fondo ha realizzato 24.600 operazioni nel 2009 ed oltre 50.000 nel 2010, attivando oltre 9 miliardi di euro di finanziamenti nel 2010, per un importo garantito di circa 5,2 miliardi di euro) trovi un ulteriore motivo di rafforzamento sia mediante l'apporto di nuove risorse finanziarie in collaborazione e sinergia con gli analoghi strumenti finanziari attivati dalle regioni, sia perfezionandone la natura di infrastruttura finanziaria, di strumento di politica industriale e produttiva, con particolare attenzione al sostegno dei progetti di innovazione ed internazionalizzazione delle piccole e medie imprese;
n) operare per la diffusione presso le imprese di strumenti complementari di finanziamento quali il ricorso al mercato obbligazionario ed azionario, il private equity ed il venture capital e, per le imprese di più piccola dimensione, il microcredito, così da limitare la loro dipendenza dal tradizionale canale bancario (capitale di debito), alla luce anche dell'evidente carenza di cultura finanziaria che ostacola lo sviluppo di larga parte delle piccole e medie imprese del Paese;
o) verificare l'operatività del nuovo fondo nazionale per l'Innovazione (istituito con decreto ministeriale il 10 marzo 2009 con una dotazione di 80 milioni di euro), che ha come obiettivo il sostegno finanziario a progetti innovativi realizzati dalle piccole e medie imprese che prevedano lo sfruttamento a fini economici ed imprenditoriali dei brevetti e dei disegni industriali, mettendo a loro disposizione, in collaborazione con il sistema creditizio e finanziario, una linea di finanziamento in capitale di rischio ed una in capitale di debito;
p) dare piena attuazione alla recente riforma del codice della proprietà industriale (in attuazione di quanto previsto dalla legge n. 99 del 2009, cosiddetta legge sviluppo), in particolare per quanto riguarda gli aspetti legati alla semplificazione delle procedure e alla riduzione degli adempimenti amministrativi necessari a privati cittadini e/o imprese per ottenere un titolo di proprietà industriale (procedure per la traduzione delle domande internazionali di brevetto; semplificazione dei procedimenti di trascrizione dei brevetti; previsione che una persona singola possa depositare un brevetto in comunione con e nell'interesse di più soggetti);
q) sostenere l'ulteriore diffusione sul territorio nazionale (in collaborazione e sinergia stretta con le regioni) degli istituti tecnici superiori (ne sono ad oggi stati creati più di 50 in 15 regioni), con l'obiettivo di formare potenziali imprenditori e/o figure tecniche con competenze (tecniche, manageriali, linguistiche) coerenti con le necessità espresse dal sistema delle imprese a livello territoriale (con particolare riferimento alle linee prioritarie di sviluppo industriale identificate nei piani di innovazione industriale di «Industria 2015»), assicurare una migliore collaborazione tra il sistema della ricerca e le imprese, anche attraverso una migliore sinergia tra la rete degli incubatori di impresa, parchi scientifici tecnologici (pst) ed i business innovation centres (bic);
r) identificare nuove direttrici di sviluppo industriale del Paese, in particolare nel campo della cosiddetta green economy, dell'ecoinnovazione e dell'efficienza energetica, dei nuovi materiali, delle bioingegneria e della nuova chimica verde, facilitando la nascita di piccole e medie imprese nel campo ed incentivando le imprese al passaggio a produzioni maggiormente sostenibili ed eco-efficienti;
s) sempre in attuazione della delega al Governo contenuta nella cosiddetta legge sviluppo (legge n. 99 del 2009), completare la riforma del sistema degli incentivi, imperniata sulla drastica riduzione delle leggi di incentivazione vigenti (ce ne sono circa 100 a livello nazionale e circa 1.400 a livello regionale e con la riforma si prevede vengano eliminate oltre 30 leggi o forme di incentivazione diverse), su una riserva almeno del 50 per cento delle risorse a vantaggio delle piccole e medie imprese, sulla semplificazione delle procedure attraverso l'utilizzo delle modalità telematiche e sul ricorso privilegiato agli incentivi automatici (ad esempio quelli fiscali e i voucher);
t) incoraggiare e sostenere le nostre imprese a divenire stabili esportatrici, con particolare attenzione a quelle imprese del Mezzogiorno (al momento sono solo 7.000 le imprese italiane stabilmente presenti sui mercati internazionali) e, nell'ambito della riforma degli enti per l'internazionalizzazione (Ice, Simest, Informest) attualmente in discussione, puntare su una razionalizzazione degli strumenti e delle risorse (ad esempio potenziando il fondo di venture capital gestito dal Ministero dello sviluppo economico in collaborazione con Simest ed il fondo rotativo per favorire i progetti di internazionalizzazione delle imprese) a sostegno delle esportazioni, su una maggior cooperazione tra le reti di sostegno alle imprese all'estero («reti delle reti») e sul collegamento tra le imprese leader già internazionalizzate con alcune di quelle loro collegate in relazioni di subfornitura, quale chiave per l'accompagnamento delle seconde sui mercati esteri;
u) favorire la continuità dell'afflusso di credito alle imprese piccole e medie con adeguate prospettive economiche e che possano provare la continuità aziendale;
v) attuare la legge n. 55 del 2010 - norme a tutela del made in Italy (cosiddetta Reguzzoni-Versace, approvata in Parlamento con ampio consenso bipartisan ed entrata in vigore il 6 maggio 2010), che disciplina i casi in cui può essere utilizzata la dizione made in Italy, prevedendo un obbligo generale di etichettatura per i prodotti finiti ed intermedi del settore tessile, della pelletteria e calzaturiero,

impegna il Governo:

a continuare ad adottare provvedimenti finalizzati al recepimento ed alla piena applicazione della direttiva sullo Small Business Act, favorendo l'adozione di «SBA regionali» da parte delle regioni e sostenendo le proposte di revisione ed integrazione dello stesso recentemente trasmesse dall'Italia alla Commissione europea;
a fare in modo che tutte le misure di agevolazione finanziaria e fiscali prevedano specifici criteri a favore di tutte le forme di aggregazione delle imprese previste dall'ordinamento, con particolare attenzione al contratto di rete;
a dare piena implementazione ai nuovi modelli di aggregazione industriale, ed in particolare allo strumento del contratto di rete (disciplinato con la legge n. 99 del 2009 e che nei giorni scorsi ha avuto il parere favorevole da parte della Commissione europea), che rappresenta lo strumento giuridico che permette alle imprese di accrescere la propria competitività e capacità innovativa sul mercato tramite accordi di collaborazione con altre aziende, strumento utile a sostenere lo sviluppo di nuove filiere produttive che possano agganciare le nuove dinamiche dei mercati;
a razionalizzare, nell'ambito della riforma degli enti per l'internazionalizzazione, le competenze e le strutture organizzative degli enti coinvolti; ad individuare un modello di nuova presenza all'estero per il sostegno delle nostre imprese; a migliorare il coordinamento con gli altri attori del comparto (Enit-Agenzia nazionale del turismo, Buonitalia, regioni, enti in Italia ed all'estero che fanno capo al sistema camerale), a semplificare e aggiornare i meccanismi di riconoscimento delle agevolazioni pubbliche gestite dal Ministero, migliorando le prospettive di accesso al credito per le imprese esportatrici;
ad avviare un processo di riforma complessiva del sistema tributario, che deve essere orientato anche alla progressiva riduzione della pressione fiscale, in particolare sulle imprese di piccole e medie dimensioni;

ad assumere iniziative volte a prevedere, nel rispetto dei vincoli di bilancio, ulteriori benefici fiscali per le piccole e medie imprese sul modello della cosiddetta «Tremonti-ter»;
a procedere rapidamente alla riforma degli incentivi alle imprese basata su criteri di semplificazione, di ampia telematizzazione e trasparenza nelle procedure di accesso, e che preveda che non meno del 50 per cento delle risorse di incentivazione vengano riservate alle micro e piccole imprese;
a favorire l'accesso agli appalti pubblici delle micro, piccole e medie imprese attraverso l'obbligo della pubblica amministrazione ed alle autorità competenti di suddividere i contratti in lotti; a rendere visibili le possibilità di subappalto nonché a riservare una quota degli stessi, non inferiore al 30 per cento, alle stesse micro, piccole e medie imprese, e a verificare che le misure di semplificazione delle procedure d'appalto di cui all'articolo 17 della legge n. 69 del 2009 siano efficaci, proponendo, se del caso, interventi migliorativi;
ad adottare ulteriori misure per incrementare l'informatizzazione e la semplificazione dei procedimenti amministrativi, al fine di snellire i tempi degli adempimenti burocratici a carico delle imprese e di ridurre l'onere economico che ne deriva;
a seguire attentamente la fase di transizione dell'entrata in vigore dell'accordo di Basilea 3, al fine di garantire adeguate condizioni di accesso al credito, in particolare a favore delle piccole e medie imprese e delle famiglie;
ad incrementare la lotta alla contraffazione al fine di tutelare i prodotti made in Italy e, in particolare, ad attivare tutti i canali diplomatici e di pressione politica a disposizione, affinché venga definitivamente approvata la proposta di regolamento sul «made in» europeo, recentemente approvata a larga maggioranza dal Parlamento europeo.
(1-00550)
«Vignali, Baldelli, Ventucci, Gava, Abrignani, Berruti, De Corato, Galati, Golfo, Jannone, Lazzari, Marinello, Mazzocchi, Milanato, Mistrello Destro, Pelino, Scajola, Verdini, Versace, Bernardo, Angelucci, Berardi, Del Tenno, Dima, Vincenzo Antonio Fontana, Germanà, Leo, Milanese, Misuraca, Pagano, Antonio Pepe, Pugliese, Savino, Soglia».

La Camera,
premesso che:
nonostante la gravità della crisi economica in atto, il Governo ha affrontato con efficacia la grave crisi economico-finanziaria che ha colpito il Paese, varando una serie di provvedimenti che hanno evitato all'economia italiana pesanti conseguenze che, invece, hanno colpito altri Paesi dell'Unione europea;
tale crisi economico-finanziaria ha investito tutti i settori dell'economia italiana tra cui le piccole e medie imprese;
in Italia queste ultime costituiscono una realtà numericamente molto significativa: su 4.338.766 imprese, 4.335.448 (il 99,9 per cento) sono, infatti, piccole e medie imprese. Inoltre, la quasi totalità delle piccole e medie imprese (il 95 per cento) è costituita da imprese con meno di 10 addetti; il resto è formato da imprese che impiegano da 10 a 49 addetti (196.090 unità, pari al 4,5 per cento), mentre le imprese di taglia più grande (da 50 a 249 addetti) sono appena 21.867, ossia lo 0,5 per cento del totale;
dal punto di vista dei settori economici, le piccole e medie imprese, soprattutto quelle con meno di 10 addetti, si concentrano nel terziario (circa il 76 per cento del totale delle piccole e medie imprese), in particolare nelle attività immobiliari, di informatica, di ricerca e di altre attività professionali (25,2 per cento) e nel commercio al dettaglio (16,5 per cento);
le piccole e medie imprese non solo costituiscono numericamente l'ossatura del sistema produttivo nazionale, ma anche il loro contributo in termini di occupazione è significativo: impiegano, infatti, oltre l'81 per cento degli occupati, in particolare nel settore dei servizi (circa il 49 per cento). Analoga situazione si registra anche in termini di valore aggiunto: il 72,4 per cento (esclusa l'agricoltura) è prodotto dalle piccole e medie imprese, di cui più della metà dalle imprese del terziario;
pertanto il Governo italiano il 30 aprile 2010 ha firmato, primo Paese in Europa, la direttiva con cui si è data attuazione allo Small Business Act (SBA), che introduce importanti misure innovative per accrescere la competitività delle piccole e medie imprese italiane;
nella duplice prospettiva di affrontare l'emergenza economica, da un lato, e di individuare obiettivi di medio termine di sviluppo del sistema industriale italiano ed in particolare delle piccole e medie imprese, tenuto conto dei dieci principi guida contenuti nello Small Business Act, vengono individuate le seguenti priorità di policy:
a) effettuare una preliminare analisi d'impatto di ogni nuova normativa d'interesse per le piccole e medie imprese (come previsto dalla normativa dell'analisi di impatto della regolamentazione (air)) ed operare affinché i testi normativi siano redatti con disposizioni chiare e facilmente comprensibili;
b) dare piena attuazione e massima evidenza, ai fini della piena conoscenza ed utilizzo da parte delle imprese, agli strumenti normativi ed organizzativi già approvati ed in vigore (come la comunicazione unica per via telematica al registro delle imprese ai fini dell'iscrizione previdenziale, assicurativa e fiscale, nonché per l'ottenimento del codice fiscale e dell'imposta sul valore aggiunto necessari per l'avvio di nuove attività (articolo 9 del decreto-legge n. 7 del 2007, convertito dalla legge n. 40 del 2007), la riforma dello sportello unico per le attività produttive (con l'articolo 38 del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito dalla legge n. 133 del 2008), la segnalazione certificata di inizio attività sostitutiva della dichiarazione di inizio attività, l'istituzione delle agenzie per le imprese, strumenti tutti orientati a garantire che l'avvio dell'attività imprenditoriale sia il più veloce possibile, in particolare spostando in un secondo momento la verifica dei requisiti necessari all'esercizio della stessa;
c) operare ulteriormente al fine di ridurre il carico degli adempimenti amministrativi che ostacolano l'esercizio dell'attività imprenditoriale, limitando la competitività delle imprese ed imponendo loro un aggravio di costi e procedure;
d) incentivare ed accompagnare le imprese all'utilizzo del «contratto di rete»;
e) agevolare, anche dando attuazione alla recente riforma della legge fallimentare, il ricorso alla composizione negoziale delle crisi d'impresa, attraverso la configurazione dei nuovi istituti di risanamento che favoriscono il raggiungimento di accordi tra impresa in difficoltà e creditori;
f) incoraggiare e sostenere l'imprenditorialità giovanile e sviluppare la cultura d'impresa e l'orientamento al lavoro autonomo nelle scuole;
g) incoraggiare e sostenere l'imprenditorialità femminile anche attraverso l'adozione di misure tendenti a rimuovere gli ostacoli che ne limitano l'accesso al credito;
h) incoraggiare e sostenere l'imprenditorialità presso quegli immigrati che intendono avviare delle attività, anche promuovendone l'istruzione e la formazione;
i) favorire il trasferimento di impresa, con particolare attenzione alla fase del passaggio generazionale all'interno delle imprese familiari, anche grazie alla creazione di un istituto che favorisca l'incontro tra domanda e offerta;
l) favorire la trasformazione, in tutto o in parte, delle aziende in crisi in cooperativa;
m) fare in modo che la già più che positiva azione di sostegno all'accesso al credito a favore del sistema delle imprese svolta in questi anni dal fondo centrale di garanzia (avviato nel 2000, rifinanziato nel picco della crisi con 1,6 miliardi di euro; il fondo ha realizzato 24.600 operazioni nel 2009 ed oltre 50.000 nel 2010, attivando oltre 9 miliardi di euro di finanziamenti nel 2010, per un importo garantito di circa 5,2 miliardi di euro) trovi un ulteriore motivo di rafforzamento sia mediante l'apporto di nuove risorse finanziarie in collaborazione e sinergia con gli analoghi strumenti finanziari attivati dalle regioni, sia perfezionandone la natura di infrastruttura finanziaria, di strumento di politica industriale e produttiva, con particolare attenzione al sostegno dei progetti di innovazione ed internazionalizzazione delle piccole e medie imprese;
n) operare per la diffusione presso le imprese di strumenti complementari di finanziamento quali il ricorso al mercato obbligazionario ed azionario, il private equity ed il venture capital e, per le imprese di più piccola dimensione, il microcredito, così da limitare la loro dipendenza dal tradizionale canale bancario (capitale di debito), alla luce anche dell'evidente carenza di cultura finanziaria che ostacola lo sviluppo di larga parte delle piccole e medie imprese del Paese;
o) verificare l'operatività del nuovo fondo nazionale per l'Innovazione (istituito con decreto ministeriale il 10 marzo 2009 con una dotazione di 80 milioni di euro), che ha come obiettivo il sostegno finanziario a progetti innovativi realizzati dalle piccole e medie imprese che prevedano lo sfruttamento a fini economici ed imprenditoriali dei brevetti e dei disegni industriali, mettendo a loro disposizione, in collaborazione con il sistema creditizio e finanziario, una linea di finanziamento in capitale di rischio ed una in capitale di debito;
p) dare piena attuazione alla recente riforma del codice della proprietà industriale (in attuazione di quanto previsto dalla legge n. 99 del 2009, cosiddetta legge sviluppo), in particolare per quanto riguarda gli aspetti legati alla semplificazione delle procedure e alla riduzione degli adempimenti amministrativi necessari a privati cittadini e/o imprese per ottenere un titolo di proprietà industriale (procedure per la traduzione delle domande internazionali di brevetto; semplificazione dei procedimenti di trascrizione dei brevetti; previsione che una persona singola possa depositare un brevetto in comunione con e nell'interesse di più soggetti);
q) sostenere l'ulteriore diffusione sul territorio nazionale (in collaborazione e sinergia stretta con le regioni) degli istituti tecnici superiori (ne sono ad oggi stati creati più di 50 in 15 regioni), con l'obiettivo di formare potenziali imprenditori e/o figure tecniche con competenze (tecniche, manageriali, linguistiche) coerenti con le necessità espresse dal sistema delle imprese a livello territoriale (con particolare riferimento alle linee prioritarie di sviluppo industriale identificate nei piani di innovazione industriale di «Industria 2015»), assicurare una migliore collaborazione tra il sistema della ricerca e le imprese, anche attraverso una migliore sinergia tra la rete degli incubatori di impresa, parchi scientifici tecnologici (pst) ed i business innovation centres (bic);
r) identificare nuove direttrici di sviluppo industriale del Paese, in particolare nel campo della cosiddetta green economy, dell'ecoinnovazione e dell'efficienza energetica, dei nuovi materiali, delle bioingegneria e della nuova chimica verde, facilitando la nascita di piccole e medie imprese nel campo ed incentivando le imprese al passaggio a produzioni maggiormente sostenibili ed eco-efficienti;
s) sempre in attuazione della delega al Governo contenuta nella cosiddetta legge sviluppo (legge n. 99 del 2009), completare la riforma del sistema degli incentivi, imperniata sulla drastica riduzione delle leggi di incentivazione vigenti (ce ne sono circa 100 a livello nazionale e circa 1.400 a livello regionale e con la riforma si prevede vengano eliminate oltre 30 leggi o forme di incentivazione diverse), su una riserva almeno del 50 per cento delle risorse a vantaggio delle piccole e medie imprese, sulla semplificazione delle procedure attraverso l'utilizzo delle modalità telematiche e sul ricorso privilegiato agli incentivi automatici (ad esempio quelli fiscali e i voucher);
t) incoraggiare e sostenere le nostre imprese a divenire stabili esportatrici, con particolare attenzione a quelle imprese del Mezzogiorno (al momento sono solo 7.000 le imprese italiane stabilmente presenti sui mercati internazionali) e, nell'ambito della riforma degli enti per l'internazionalizzazione (Ice, Simest, Informest) attualmente in discussione, puntare su una razionalizzazione degli strumenti e delle risorse (ad esempio potenziando il fondo di venture capital gestito dal Ministero dello sviluppo economico in collaborazione con Simest ed il fondo rotativo per favorire i progetti di internazionalizzazione delle imprese) a sostegno delle esportazioni, su una maggior cooperazione tra le reti di sostegno alle imprese all'estero («reti delle reti») e sul collegamento tra le imprese leader già internazionalizzate con alcune di quelle loro collegate in relazioni di subfornitura, quale chiave per l'accompagnamento delle seconde sui mercati esteri;
u) favorire la continuità dell'afflusso di credito alle imprese piccole e medie con adeguate prospettive economiche e che possano provare la continuità aziendale;
v) attuare la legge n. 55 del 2010 - norme a tutela del made in Italy (cosiddetta Reguzzoni-Versace, approvata in Parlamento con ampio consenso bipartisan ed entrata in vigore il 6 maggio 2010), che disciplina i casi in cui può essere utilizzata la dizione made in Italy, prevedendo un obbligo generale di etichettatura per i prodotti finiti ed intermedi del settore tessile, della pelletteria e calzaturiero,

impegna il Governo:

compatibilmente con gli equilibri di bilancio a continuare ad adottare provvedimenti finalizzati al recepimento ed alla piena applicazione della direttiva sullo Small Business Act, favorendo l'adozione di «SBA regionali» da parte delle regioni e sostenendo le proposte di revisione ed integrazione dello stesso recentemente trasmesse dall'Italia alla Commissione europea;
a fare in modo che tutte le misure di agevolazione finanziaria e fiscali prevedano specifici criteri a favore di tutte le forme di aggregazione delle imprese previste dall'ordinamento, con particolare attenzione al contratto di rete;
a dare piena implementazione ai nuovi modelli di aggregazione industriale, ed in particolare allo strumento del contratto di rete (disciplinato con la legge n. 99 del 2009 e che nei giorni scorsi ha avuto il parere favorevole da parte della Commissione europea), che rappresenta lo strumento giuridico che permette alle imprese di accrescere la propria competitività e capacità innovativa sul mercato tramite accordi di collaborazione con altre aziende, strumento utile a sostenere lo sviluppo di nuove filiere produttive che possano agganciare le nuove dinamiche dei mercati;
a razionalizzare, nell'ambito della riforma degli enti per l'internazionalizzazione, le competenze e le strutture organizzative degli enti coinvolti; ad individuare un modello di nuova presenza all'estero per il sostegno delle nostre imprese; a migliorare il coordinamento con gli altri attori del comparto (Enit-Agenzia nazionale del turismo, Buonitalia, regioni, enti in Italia ed all'estero che fanno capo al sistema camerale), a semplificare e aggiornare i meccanismi di riconoscimento delle agevolazioni pubbliche gestite dal Ministero, migliorando le prospettive di accesso al credito per le imprese esportatrici;
ad avviare un processo di riforma complessiva del sistema tributario, che deve essere orientato anche alla progressiva riduzione della pressione fiscale, in particolare sulle imprese di piccole e medie dimensioni;
ad assumere iniziative volte a prevedere, nel rispetto dei vincoli di bilancio, ulteriori benefici fiscali per le piccole e medie imprese sul modello della cosiddetta «Tremonti-ter»;
a procedere rapidamente alla riforma degli incentivi alle imprese basata su criteri di semplificazione, di ampia telematizzazione e trasparenza nelle procedure di accesso, e che preveda che non meno del 50 per cento delle risorse di incentivazione vengano riservate alle micro e piccole imprese;
a favorire l'accesso agli appalti pubblici delle micro, piccole e medie imprese attraverso l'obbligo della pubblica amministrazione ed alle autorità competenti di suddividere i contratti in lotti; a rendere visibili le possibilità di subappalto nonché a riservare una quota degli stessi, non inferiore al 30 per cento, alle stesse micro, piccole e medie imprese, e a verificare che le misure di semplificazione delle procedure d'appalto di cui all'articolo 17 della legge n. 69 del 2009 siano efficaci, proponendo, se del caso, interventi migliorativi;
ad adottare ulteriori misure per incrementare l'informatizzazione e la semplificazione dei procedimenti amministrativi, al fine di snellire i tempi degli adempimenti burocratici a carico delle imprese e di ridurre l'onere economico che ne deriva;
a seguire attentamente la fase di transizione dell'entrata in vigore dell'accordo di Basilea 3, al fine di garantire adeguate condizioni di accesso al credito, in particolare a favore delle piccole e medie imprese e delle famiglie;
ad incrementare la lotta alla contraffazione al fine di tutelare i prodotti made in Italy e, in particolare, ad attivare tutti i canali diplomatici e di pressione politica a disposizione, affinché venga definitivamente approvata la proposta di regolamento sul «made in» europeo, recentemente approvata a larga maggioranza dal Parlamento europeo.
(1-00550)
(Testo modificato nel corso della seduta)«Vignali, Baldelli, Ventucci, Gava, Abrignani, Berruti, De Corato, Galati, Golfo, Jannone, Lazzari, Marinello, Mazzocchi, Milanato, Mistrello Destro, Pelino, Scajola, Verdini, Versace, Bernardo, Angelucci, Berardi, Del Tenno, Dima, Vincenzo Antonio Fontana, Germanà, Leo, Milanese, Misuraca, Pagano, Antonio Pepe, Pugliese, Savino, Soglia».

La Camera,
premesso che:
dall'annuario statistico italiano, pubblicato dall'Istat nel mese di novembre 2010, l'economia italiana si conferma essere incentrata sulle piccole e medie imprese con il 94,8 per cento di aziende con meno di dieci addetti;
le piccole e medie imprese impiegano ben il 47,4 per cento degli addetti e fanno registrare il 32,5 per cento del valore aggiunto;
lo Small Business Act, pubblicato dalla Commissione europea nel giugno 2008, è un pacchetto di proposte che mira a creare condizioni favorevoli alla crescita e alla competitività sostenibili delle piccole e medie imprese europee. A tal fine, lo Small Business Act stabilisce i 10 principi che dovrebbero essere adottati dai Governi per garantire il sostegno delle piccole e medie imprese, ovvero: dar vita a un contesto in cui imprenditori e imprese familiari possano prosperare e che sia gratificante per lo spirito imprenditoriale; far sì che imprenditori onesti, che abbiano sperimentato l'insolvenza, ottengano rapidamente una seconda possibilità; formulare regole conformi al principio «pensare anzitutto in piccolo»; rendere le pubbliche amministrazioni permeabili alle esigenze delle piccole e medie imprese; adeguare l'intervento pubblico alle esigenze delle piccole e medie imprese; facilitare la partecipazione delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici e usare meglio le possibilità degli aiuti di Stato per le piccole e medie imprese; agevolare l'accesso delle piccole e medie imprese al credito e sviluppare un contesto giuridico ed economico che favorisca la puntualità dei pagamenti nelle transazioni commerciali; aiutare le piccole e medie imprese a beneficiare delle opportunità offerte dal mercato unico; promuovere l'aggiornamento delle competenze nelle piccole e medie imprese e ogni forma di innovazione; permettere alle piccole e medie imprese di trasformare le sfide ambientali in opportunità; incoraggiare e sostenere le piccole e medie imprese perché beneficino della crescita dei mercati;
l'Italia ha dato attuazione alla comunicazione della Commissione europea del 2008 con la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 4 maggio 2010 sullo Small Business Act;
il Ministero dello sviluppo economico ha recentemente presentato il rapporto di attuazione dello Small Business Act 2010; tale rapporto deriva da un monitoraggio annuale finalizzato ad analizzare costantemente le azioni intraprese per favorire l'attività economica delle piccole e medie imprese italiane;
dal sopra citato rapporto si evince che l'Italia è il Paese dell'Unione europea con il maggior numero di imprese di piccole dimensioni. Infatti, più di una piccola e media impresa europea su cinque è italiana e rappresentano il 99,8 per cento del totale delle imprese europee. Più di nove su dieci hanno meno di dieci dipendenti e in esse trovano occupazione due terzi dei lavoratori europei. Le aziende artigiane, inoltre, sono 5 milioni, e la microimpresa italiana crea il 31,5 per cento del valore aggiunto del Paese, mentre in altri Paesi come Inghilterra e Germania il dato è circa la metà;
dallo studio emergono previsioni positive per l'Italia: una volta a pieno regime, l'attuazione dello Small Business Act potrebbe avere, nel triennio 2010-2012, un impatto sulla crescita del prodotto interno lordo di circa l'1 per cento, riducendo il gap di crescita con gli altri Paesi europei, fino alla creazione di circa 50 mila nuovi posti di lavoro;
nonostante la grave crisi economica e finanziaria che ha colpito il nostro Paese, le piccole e medie imprese costituiscono ancora il volano dell'occupazione italiana;
le difficoltà che le piccole e medie imprese sono chiamate ad affrontare in un periodo di grave crisi economica sono di carattere legislativo, creditizio e finanziario;
la crisi economica e finanziaria ha ridotto drasticamente la possibilità delle piccole e medie imprese di accedere al credito. Ciò le priva, in molti casi, di quell'ossigeno necessario alla sopravvivenza e impedisce alle stesse imprese di programmare nuovi investimenti;
le lentezze di ordine burocratico e i tempi ormai incredibilmente lunghi della giustizia civile costituiscono degli ulteriori ostacoli per le piccole e medie imprese che ne escono fortemente penalizzate per la difficoltà di veder soddisfatti i propri crediti in tempi ragionevoli;
è noto che la crisi ha colpito in maniera particolare l'economia del Mezzogiorno sulla quale grava il divario che la separa dal resto del Paese. A farne le spese le piccole e medie imprese meridionali chiamate ad affrontare una crisi aggravata dalla carenza infrastrutturale, dalle maggiori difficoltà di accesso al credito, dalla mancanza di adeguati supporti tecnologici e da un livello della domanda ancora più basso rispetto al resto del Paese;
secondo i dati diffusi dal centro studi Cerved, che valuta la solvibilità delle imprese, nell'ultimo trimestre del 2010 sono state aperte poco meno di 2.000 procedure fallimentari (+18 per cento sullo stesso periodo del 2009 e +13 per cento rispetto al trimestre precedente), mentre nei primi nove mesi hanno sfiorato quota 8 mila (+23 per cento rispetto allo stesso periodo del 2009). Nei primi tre trimestri dell'anno, nel dettaglio, i fallimenti hanno registrato ritmi più elevati tra le società di capitale (+27 per cento rispetto allo stesso trimestre del 2009) contro il +14 per cento osservato tra le società di persone e il +17 per cento tra le altre forme giuridiche;
stando al centro studi Cerved, il Nord rimane l'area in cui l'incidenza dei fallimenti è maggiore ma il terzo trimestre segna l'avvio di un'inversione di tendenza con incrementi delle procedure maggiori nel Mezzogiorno (+23 per cento);
l'associazione Studi e ricerche per il Mezzogiorno (Srm), nel lavoro «Il Sud in competizione», presentato alcuni mesi fa, ha studiato le ragioni del lento sviluppo del Mezzogiorno ed ha evidenziato tra le imprese piccole o piccolissime una scarsa propensione alla cooperazione, all'apertura ai giovani, al management qualificato e all'innovazione. Nel contempo l'associazione Studi e ricerche per il Mezzogiorno ha posto in evidenza le deficienze del sistema amministrativo, spesso incapace di spendere i fondi europei e di rendere più agevole la vita alle aziende, aggravandole con normative poco chiare, con una burocrazia farraginosa e con servizi carenti e infrastrutture deficitarie,

impegna il Governo:

a dare piena attuazione allo Small Business Act secondo quanto disposto dalle Commissione europea, sforzandosi di migliorare ulteriormente il rapporto tra pubblica amministrazione e aziende, potenziando il fondo di garanzia al fine di rendere meno difficoltoso l'accesso al credito dei piccoli e medi imprenditori;
a promuovere un quadro organico di interventi a favore delle piccole e medie imprese sulla scia delle indicazioni dello Small Business Act;
a promuovere le necessarie iniziative normative per ovviare ai ritardi nei pagamenti delle transazioni, in particolar modo quelle che interessano le pubbliche amministrazioni;
ad assumere le necessarie iniziative normative dirette a rivisitare il patto di stabilità interno, in modo da consentire alle amministrazioni locali di disporre delle somme disponibili per completare le opere già avviate, in particolare quelle infrastrutturali delle quali le piccole e medie imprese potrebbero certamente beneficiare;
a portare avanti una politica economica capace di coniugare l'esigenza di garantire gli equilibri di bilancio con la necessità di liberare il più possibile risorse da destinare al sostegno della domanda e ad interventi infrastrutturali, in particolar modo, nell'area dell'obiettivo 1 (Campania, Basilicata, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna);
a proseguire nell'azione di sostegno al regime di fiscalità di vantaggio nelle aree deboli del Paese, in particolare nelle regioni meridionali;
a perseguire l'obiettivo della riduzione della pressione fiscale, in particolare sulle imprese di piccole e medie dimensioni, sulle famiglie e sul lavoro dipendente.
(1-00552)
«Polidori, Iannaccone, Sardelli, Belcastro, Calearo Ciman, Cesario, D'Anna, Gianni, Grassano, Milo, Moffa, Mario Pepe (IR), Pionati, Pisacane, Porfidia, Razzi, Romano, Ruvolo, Scilipoti, Siliquini».

La Camera,
premesso che:
dall'annuario statistico italiano, pubblicato dall'Istat nel mese di novembre 2010, l'economia italiana si conferma essere incentrata sulle piccole e medie imprese con il 94,8 per cento di aziende con meno di dieci addetti;
le piccole e medie imprese impiegano ben il 47,4 per cento degli addetti e fanno registrare il 32,5 per cento del valore aggiunto;
lo Small Business Act, pubblicato dalla Commissione europea nel giugno 2008, è un pacchetto di proposte che mira a creare condizioni favorevoli alla crescita e alla competitività sostenibili delle piccole e medie imprese europee. A tal fine, lo Small Business Act stabilisce i 10 principi che dovrebbero essere adottati dai Governi per garantire il sostegno delle piccole e medie imprese, ovvero: dar vita a un contesto in cui imprenditori e imprese familiari possano prosperare e che sia gratificante per lo spirito imprenditoriale; far sì che imprenditori onesti, che abbiano sperimentato l'insolvenza, ottengano rapidamente una seconda possibilità; formulare regole conformi al principio «pensare anzitutto in piccolo»; rendere le pubbliche amministrazioni permeabili alle esigenze delle piccole e medie imprese; adeguare l'intervento pubblico alle esigenze delle piccole e medie imprese; facilitare la partecipazione delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici e usare meglio le possibilità degli aiuti di Stato per le piccole e medie imprese; agevolare l'accesso delle piccole e medie imprese al credito e sviluppare un contesto giuridico ed economico che favorisca la puntualità dei pagamenti nelle transazioni commerciali; aiutare le piccole e medie imprese a beneficiare delle opportunità offerte dal mercato unico; promuovere l'aggiornamento delle competenze nelle piccole e medie imprese e ogni forma di innovazione; permettere alle piccole e medie imprese di trasformare le sfide ambientali in opportunità; incoraggiare e sostenere le piccole e medie imprese perché beneficino della crescita dei mercati;
l'Italia ha dato attuazione alla comunicazione della Commissione europea del 2008 con la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 4 maggio 2010 sullo Small Business Act;
il Ministero dello sviluppo economico ha recentemente presentato il rapporto di attuazione dello Small Business Act 2010; tale rapporto deriva da un monitoraggio annuale finalizzato ad analizzare costantemente le azioni intraprese per favorire l'attività economica delle piccole e medie imprese italiane;
dal sopra citato rapporto si evince che l'Italia è il Paese dell'Unione europea con il maggior numero di imprese di piccole dimensioni. Infatti, più di una piccola e media impresa europea su cinque è italiana e rappresentano il 99,8 per cento del totale delle imprese europee. Più di nove su dieci hanno meno di dieci dipendenti e in esse trovano occupazione due terzi dei lavoratori europei. Le aziende artigiane, inoltre, sono 5 milioni, e la microimpresa italiana crea il 31,5 per cento del valore aggiunto del Paese, mentre in altri Paesi come Inghilterra e Germania il dato è circa la metà;
dallo studio emergono previsioni positive per l'Italia: una volta a pieno regime, l'attuazione dello Small Business Act potrebbe avere, nel triennio 2010-2012, un impatto sulla crescita del prodotto interno lordo di circa l'1 per cento, riducendo il gap di crescita con gli altri Paesi europei, fino alla creazione di circa 50 mila nuovi posti di lavoro;
nonostante la grave crisi economica e finanziaria che ha colpito il nostro Paese, le piccole e medie imprese costituiscono ancora il volano dell'occupazione italiana;
le difficoltà che le piccole e medie imprese sono chiamate ad affrontare in un periodo di grave crisi economica sono di carattere legislativo, creditizio e finanziario;
la crisi economica e finanziaria ha ridotto drasticamente la possibilità delle piccole e medie imprese di accedere al credito. Ciò le priva, in molti casi, di quell'ossigeno necessario alla sopravvivenza e impedisce alle stesse imprese di programmare nuovi investimenti;
le lentezze di ordine burocratico e i tempi ormai incredibilmente lunghi della giustizia civile costituiscono degli ulteriori ostacoli per le piccole e medie imprese che ne escono fortemente penalizzate per la difficoltà di veder soddisfatti i propri crediti in tempi ragionevoli;
è noto che la crisi ha colpito in maniera particolare l'economia del Mezzogiorno sulla quale grava il divario che la separa dal resto del Paese. A farne le spese le piccole e medie imprese meridionali chiamate ad affrontare una crisi aggravata dalla carenza infrastrutturale, dalle maggiori difficoltà di accesso al credito, dalla mancanza di adeguati supporti tecnologici e da un livello della domanda ancora più basso rispetto al resto del Paese;
secondo i dati diffusi dal centro studi Cerved, che valuta la solvibilità delle imprese, nell'ultimo trimestre del 2010 sono state aperte poco meno di 2.000 procedure fallimentari (+18 per cento sullo stesso periodo del 2009 e +13 per cento rispetto al trimestre precedente), mentre nei primi nove mesi hanno sfiorato quota 8 mila (+23 per cento rispetto allo stesso periodo del 2009). Nei primi tre trimestri dell'anno, nel dettaglio, i fallimenti hanno registrato ritmi più elevati tra le società di capitale (+27 per cento rispetto allo stesso trimestre del 2009) contro il +14 per cento osservato tra le società di persone e il +17 per cento tra le altre forme giuridiche;
stando al centro studi Cerved, il Nord rimane l'area in cui l'incidenza dei fallimenti è maggiore ma il terzo trimestre segna l'avvio di un'inversione di tendenza con incrementi delle procedure maggiori nel Mezzogiorno (+23 per cento);
l'associazione Studi e ricerche per il Mezzogiorno (Srm), nel lavoro «Il Sud in competizione», presentato alcuni mesi fa, ha studiato le ragioni del lento sviluppo del Mezzogiorno ed ha evidenziato tra le imprese piccole o piccolissime una scarsa propensione alla cooperazione, all'apertura ai giovani, al management qualificato e all'innovazione. Nel contempo l'associazione Studi e ricerche per il Mezzogiorno ha posto in evidenza le deficienze del sistema amministrativo, spesso incapace di spendere i fondi europei e di rendere più agevole la vita alle aziende, aggravandole con normative poco chiare, con una burocrazia farraginosa e con servizi carenti e infrastrutture deficitarie,

impegna il Governo:

compatibilmente con gli equilibri di bilancio a dare piena attuazione allo Small Business Act secondo quanto disposto dalle Commissione europea, sforzandosi di migliorare ulteriormente il rapporto tra pubblica amministrazione e aziende, potenziando il fondo di garanzia al fine di rendere meno difficoltoso l'accesso al credito dei piccoli e medi imprenditori;
a promuovere un quadro organico di interventi a favore delle piccole e medie imprese sulla scia delle indicazioni dello Small Business Act;
a promuovere le necessarie iniziative normative per ovviare ai ritardi nei pagamenti delle transazioni, in particolar modo quelle che interessano le pubbliche amministrazioni;
ad assumere le necessarie iniziative normative dirette a rivisitare il patto di stabilità interno, in modo da consentire alle amministrazioni locali di disporre delle somme disponibili per completare le opere già avviate, in particolare quelle infrastrutturali delle quali le piccole e medie imprese potrebbero certamente beneficiare;
a portare avanti una politica economica capace di coniugare l'esigenza di garantire gli equilibri di bilancio con la necessità di liberare il più possibile risorse da destinare al sostegno della domanda e ad interventi infrastrutturali, in particolar modo, nell'area dell'obiettivo 1 (Campania, Basilicata, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna);
a proseguire nell'azione di sostegno al regime di fiscalità di vantaggio nelle aree deboli del Paese, in particolare nelle regioni meridionali;
a perseguire l'obiettivo della riduzione della pressione fiscale, in particolare sulle imprese di piccole e medie dimensioni, sulle famiglie e sul lavoro dipendente.
(1-00552)
(Testo modificato nel corso della seduta)«Polidori, Iannaccone, Sardelli, Belcastro, Calearo Ciman, Cesario, D'Anna, Gianni, Grassano, Milo, Moffa, Mario Pepe (IR), Pionati, Pisacane, Porfidia, Razzi, Romano, Ruvolo, Scilipoti, Siliquini».

La Camera,
premesso che:
gli effetti della crisi economica mondiale iniziata nel 2007 con la bolla dei mutui subprime americani, in assenza di robusti interventi correttivi, dispiega ancora i suoi effetti negativi sulla realtà produttiva e sociale del Paese;
le statistiche ufficiali rilevano con avvilente puntualità che l'economia italiana sta arretrando nel contesto internazionale e che il nostro è un Paese fermo, che non cresce;
secondo le stime dell'Ocse, infatti, la crescita dell'Italia per quest'anno è prevista per l'1,3 per cento, inferiore, quindi a quella media prevista per l'area euro (+1,7 per cento) e ancor di più rispetto a quella prevista per i paesi dell'Ocse (+2,3 per cento);
l'Ocse, inoltre, ritiene che la crisi attuale non sia ciclica ma strutturale e richieda, quindi, delle soluzioni strutturali a partire dalla riforma della finanza per passare a un piano generale di liberalizzazioni per ridurre gli ostacoli alla concorrenza;
sempre secondo l'Organizzazione dei paesi più sviluppati il problema della disoccupazione sarà centrale nei prossimi anni, causando tra l'altro un danno economico pari all'0,8 per cento del Pil per ogni punto percentuale, colpendo in particolare l'Italia;
le richieste all'Inps di cassa integrazione dall'inizio del 2010 hanno fatto registrare un aumento del 44 per cento rispetto ai primi mesi del 2009. Secondo fonti sindacali ad aumentare di più di tutte è la cassa integrazione in deroga. Questo perché molti lavoratori, soprattutto nei settori direttamente produttivi prima coperti dalla cassa ordinaria e straordinaria, stanno progressivamente ricorrendo alla cassa in deroga;
in particolare, la grave realtà della disoccupazione giovanile, arrivata alla percentuale record del 30 per cento, impone un intervento che immagini per le nuove imprese create da giovani sotto i 30 anni - in formule societarie di ambito cooperativo - un periodo di fiscalità agevolata tale da facilitare l'inizio dell'attività di impresa;
in un anno di grande difficoltà come il 2010 quello che è mancata al nostro Paese è la politica industriale volta alla crescita, come Alleanza per l'Italia ha evidenziato nel question time del 26 gennaio u.s. S'è pensato alle ricadute sociali delle crisi aziendali. Ma non ad un vero stimolo per ripresa della crescita economica. Senza crescita una società consuma più ricchezza di quanta ne produce e finisce su un piano inclinato al termine del quale ci può essere solo un impoverimento complessivo con gravi effetti sociali e gravi contraccolpi politici;
per stimolare la crescita sarebbe importante investire in ricerca e sviluppo. Ma attualmente l'Italia investe in questo settore solo lo 0,65 per cento del Pil contro una media dell'Unione europea dell'1,21 per cento. Inoltre, i dati Istat evidenziano che gli investimenti in ricerca e sviluppo da parte delle aziende si concentrano per la maggior parte al Centro-Nord;
il rapporto dell'Istat «Noi Italia», inoltre, conferma il divario economico e produttivo tra aziende del Centro-Nord e quelle del Sud, dove si concentrano le imprese più insolventi, e quindi rischiose, con la diretta conseguenza di un aumento dei tassi d'interesse per i finanziamenti bancari al Sud, che sono in media di un punto percentuale superiori a quelli del resto del Paese, indipendentemente dalla durata del prestito. La solvibilità di queste imprese ricorse al credito bancario è dunque sistematicamente inferiore;
di fronte a questo scenario di difficoltà economica il Governo non ha presentato nessun piano per la crescita. Non solo sono mancati seri progetti per rimettere in moto la macchina produttiva dell'Italia, ma emblematicamente il ministro dello sviluppo economico è stato affidato ad interim!;
se qualcosa s'è mosso nell'economia italiana non è stato per meriti politici bensì per il lavoro in solitaria di tante piccole e medie imprese che, soprattutto nell'export, sono riuscite a sopravvivere e a cogliere l'opportunità offerta dai mercati dei paesi emergenti. Anche se per i piccoli insediarsi stabilmente su quei mercati è estremamente difficile perché manca ancora un sistema funzionante che possa veicolare vendite sicure in Cina, in India o in Brasile. Ossia in quei paesi che crescono a tassi altissimi e che rappresentano i mercati strategici del futuro dove insediarsi e vendere i nostri prodotti;
della grave situazione economica dell'Italia s'è parlato - in assenza di esponenti del Governo italiano - anche nell'ultimo summit internazionale di Davos, in Svizzera dove ministri dell'economia, operatori economici ed esperti finanziari hanno, tra l'altro discusso dello «Special case Italy». Un Paese che - a detta degli esperti presenti - nell'area euro rappresenta il vero problema. «Qui - ha sostenuto l'economista tedesco Daniel Gros - il tasso di risparmio cala e il deficit con l'estero sta emergendo. Se il Paese non cambia rotta, tra dieci anni può essere dov'è il Portogallo oggi». Sia chiaro che Alleanza per l'Italia non trascura di valutare che certi giudizi possono nascondere l'insidia di ingiuste analisi di «penalizzazione» della competitività italiana sui mercati internazionali, ma intende contrapporre analisi ad analisi, registrando nel frattempo l'assenza di questo Governo;
oltre ai lavoratori dipendenti ad essere in grave difficoltà sono anche quelli autonomi, piegati duramente dalla crisi. La loro situazione è ancora più grave rispetto agli altri perché non possono contare neanche sul quel minimo di paracadute sociale rappresentato dalla cassa integrazione;
già da tempo l'area del lavoro autonomo, i cosiddetti «piccoli» del sistema economico italiano, cerca di farsi sentire. Anche l'iniziativa di unire le loro associazioni di categoria sotto le insegne del «Manifesto del Quinto Stato» è un segnale che il Governo deve valutare;
i lavoratori autonomi si sentono riconosciuti come cittadini ma non ancora come cittadini-lavoratori. Nel loro manifesto denunciano di sentirsi degli «invisibili» a cui vengono riconosciuti i diritti che appartengono alla sfera delle libertà borghesi ottocentesche ma non quelli che appartengono ai sistemi di sicurezza sociale propri del Novecento. «Siamo esclusi dalle tutele e ci aumentano le tasse» - lamentano nel loro documento puntando proprio sull'imponente incidenza del carico fiscale sui redditi;
in questo malessere che lamentano i «piccoli» c'è anche il fallimento di quella ricetta che è stata presentata come il nuovo modello di welfare del secondo millennio; la flexcurity. Per ora si assiste solo a tagli delle prestazioni previdenziali, senza nessun tipo di rimodulazione della loro ripartizione tra gruppi di popolazione attiva;
la questione dell'eccessiva pressione fiscale reale, che ha raggiunto il 55 per cento, pone una serie di problemi a cui è necessario rispondere. È impossibile immaginare un rilancio delle nostre imprese con un carico fiscale di questa portata ed è necessario immaginare qualche soluzione fiscale operativa che permetta di incentivare la ripartenza delle nostre imprese, soprattutto quelle piccole e piccolissime;
il problema dell'accesso al credito resta una delle principali preoccupazioni degli agenti economici. Seppur in un quadro di libero mercato, diventa difficile immaginare che i costi aggiuntivi dell'entrata in vigore delle nuove garanzie sul credito bancario previste dall'accordo di Basilea 3 possano ricadere sui fragili attori, piccoli e piccolissimi, del nostro tessuto produttivo;
per questo dal mondo delle associazioni del commercio e dell'artigianato provengono richieste al sistema creditizio per una reale evoluzione della cultura del credito capace di capire i problemi del territorio;
resta, inoltre grave il problema dei ritardi nei pagamenti della pubblica amministrazione. È inaccettabile che le aziende in questo grave momento di difficoltà economica si debbano trasformare «nelle banche della pubblica amministrazione». Secondo i dati del TaiiS (Tavolo interassociativo delle imprese dei servizi), lo Stato ha contratto debiti con le imprese per una cifra che si aggira tra i 60 e i 70 miliardi di euro. Ad oggi il ritardo medio nei pagamenti è di 100 giorni. Sommare questi ritardi alle strette sul credito attuate dalle banche per molte piccole e piccolissime aziende può voler dire chiudere e dichiarare fallimento;
merita attenzione particolare il dato che riguarda l'occupazione dei «nuovi italiani», che stanno diventando un fattore fondamentale di sviluppo per il nostro Paese. Basti solo un dato a mo' di esempio: l'Osservatorio sull'imprenditoria femminile di Unioncamere, informa che sono ben 32 mila, soprattutto nel settore del commercio, le aziende guidate da donne immigrate,

impegna il Governo:

a promuovere un tavolo di confronto tra le piccole e medie imprese e l'Abi per trovare una soluzione alla scadenza in questi giorni della moratoria dei debiti che nell'estate del 2009 consentì a 180 mila aziende di tirare il fiato, e in molti casi di non chiudere i battenti, in modo da dare una risposta ai 4 milioni di «piccoli» che compongono la spina dorsale del nostro sistema produttivo;
ad assumere iniziative volte all'istituzione di uno strumento di intermediazione tra le imprese in difficoltà e le agenzie di credito a cui richiedere una maggiore flessibilità, indispensabile in un momento di criticità come questo;
a prevedere un migliore utilizzo del sistema delle Camere di commercio considerate da molti operatori economici maggiormente in grado di aiutare le imprese italiane a inserirsi nei mercati esteri;
a riprendere la discussione su come immaginare una riforma fiscale che riconosca alle imprese, soprattutto a quelle piccole e piccolissime, una fiscalità di favore che sia finalizzata alla crescita economica;
a dare certezza a tutti gli operatori economici di lavorare nel quadro unitario del sistema Paese, con la garanzia di non divenire superflui a causa di qualche spregiudicata logica economica che non appartiene alla nostra cultura ed è in radicale contrasto con i principi di democrazia economica;
a riconoscere misure finalizzate a garantire ai «nuovi italiani» un ruolo di elemento dinamico nella crescita dell'economia del Paese anche attraverso agevolazioni delle loro attività;
a favorire, con interventi concreti, l'occupazione giovanile, delle donne, e degli over 50, anche con l'utilizzo di opportunità offerte dal settore delle cooperative;
a prevedere strumenti alternativi al capitale di debito per le piccole e piccolissime imprese attraverso iniziative di microcredito e tese alla diffusione del venture capital;
ad attivare, anche in attesa dell'entrata a regime della direttiva europea al riguardo, misure adeguate di contrasto al grave fenomeno del ritardo dei pagamenti delle transazioni, in particolare da parte della pubblica amministrazione;
a mettere in atto tutte quelle misure necessarie per contrastare fenomeni di usura contro le piccole e medie imprese, fenomeni spesso dovuti all'enorme difficoltà che le PMI, soprattutto nel Sud, incontrano da parte del sistema bancario;
a prevedere la riduzione concreta, in un'ottica davvero federalista, di quella burocrazia che affligge ad oggi l'attività delle PMI, e che costringe le stesse a sottoporsi a pesanti costi economici e di tempo, dovuti alla sovrapposizione di troppe norme spesso tra loro contrastanti.
(1-00555)
«Mosella, Tabacci, Calgaro, Lanzillotta, Pisicchio, Vernetti, Brugger».

La Camera,
premesso che:
gli effetti della crisi economica mondiale iniziata nel 2007 con la bolla dei mutui subprime americani, in assenza di robusti interventi correttivi, dispiega ancora i suoi effetti negativi sulla realtà produttiva e sociale del Paese;
le statistiche ufficiali rilevano con avvilente puntualità che l'economia italiana sta arretrando nel contesto internazionale e che il nostro è un Paese fermo, che non cresce;
secondo le stime dell'Ocse, infatti, la crescita dell'Italia per quest'anno è prevista per l'1,3 per cento, inferiore, quindi a quella media prevista per l'area euro (+1,7 per cento) e ancor di più rispetto a quella prevista per i paesi dell'Ocse (+2,3 per cento);
l'Ocse, inoltre, ritiene che la crisi attuale non sia ciclica ma strutturale e richieda, quindi, delle soluzioni strutturali a partire dalla riforma della finanza per passare a un piano generale di liberalizzazioni per ridurre gli ostacoli alla concorrenza;
sempre secondo l'Organizzazione dei paesi più sviluppati il problema della disoccupazione sarà centrale nei prossimi anni, causando tra l'altro un danno economico pari all'0,8 per cento del Pil per ogni punto percentuale, colpendo in particolare l'Italia;
le richieste all'Inps di cassa integrazione dall'inizio del 2010 hanno fatto registrare un aumento del 44 per cento rispetto ai primi mesi del 2009. Secondo fonti sindacali ad aumentare di più di tutte è la cassa integrazione in deroga. Questo perché molti lavoratori, soprattutto nei settori direttamente produttivi prima coperti dalla cassa ordinaria e straordinaria, stanno progressivamente ricorrendo alla cassa in deroga;
in particolare, la grave realtà della disoccupazione giovanile, arrivata alla percentuale record del 30 per cento, impone un intervento che immagini per le nuove imprese create da giovani sotto i 30 anni - in formule societarie di ambito cooperativo - un periodo di fiscalità agevolata tale da facilitare l'inizio dell'attività di impresa;
in un anno di grande difficoltà come il 2010 quello che è mancata al nostro Paese è la politica industriale volta alla crescita, come Alleanza per l'Italia ha evidenziato nel question time del 26 gennaio u.s. S'è pensato alle ricadute sociali delle crisi aziendali. Ma non ad un vero stimolo per ripresa della crescita economica. Senza crescita una società consuma più ricchezza di quanta ne produce e finisce su un piano inclinato al termine del quale ci può essere solo un impoverimento complessivo con gravi effetti sociali e gravi contraccolpi politici;
per stimolare la crescita sarebbe importante investire in ricerca e sviluppo. Ma attualmente l'Italia investe in questo settore solo lo 0,65 per cento del Pil contro una media dell'Unione europea dell'1,21 per cento. Inoltre, i dati Istat evidenziano che gli investimenti in ricerca e sviluppo da parte delle aziende si concentrano per la maggior parte al Centro-Nord;
il rapporto dell'Istat «Noi Italia», inoltre, conferma il divario economico e produttivo tra aziende del Centro-Nord e quelle del Sud, dove si concentrano le imprese più insolventi, e quindi rischiose, con la diretta conseguenza di un aumento dei tassi d'interesse per i finanziamenti bancari al Sud, che sono in media di un punto percentuale superiori a quelli del resto del Paese, indipendentemente dalla durata del prestito. La solvibilità di queste imprese ricorse al credito bancario è dunque sistematicamente inferiore;
di fronte a questo scenario di difficoltà economica il Governo non ha presentato nessun piano per la crescita. Non solo sono mancati seri progetti per rimettere in moto la macchina produttiva dell'Italia, ma emblematicamente il ministro dello sviluppo economico è stato affidato ad interim!;
se qualcosa s'è mosso nell'economia italiana non è stato per meriti politici bensì per il lavoro in solitaria di tante piccole e medie imprese che, soprattutto nell'export, sono riuscite a sopravvivere e a cogliere l'opportunità offerta dai mercati dei paesi emergenti. Anche se per i piccoli insediarsi stabilmente su quei mercati è estremamente difficile perché manca ancora un sistema funzionante che possa veicolare vendite sicure in Cina, in India o in Brasile. Ossia in quei paesi che crescono a tassi altissimi e che rappresentano i mercati strategici del futuro dove insediarsi e vendere i nostri prodotti;
della grave situazione economica dell'Italia s'è parlato - in assenza di esponenti del Governo italiano - anche nell'ultimo summit internazionale di Davos, in Svizzera dove ministri dell'economia, operatori economici ed esperti finanziari hanno, tra l'altro discusso dello «Special case Italy». Un Paese che - a detta degli esperti presenti - nell'area euro rappresenta il vero problema. «Qui - ha sostenuto l'economista tedesco Daniel Gros - il tasso di risparmio cala e il deficit con l'estero sta emergendo. Se il Paese non cambia rotta, tra dieci anni può essere dov'è il Portogallo oggi». Sia chiaro che Alleanza per l'Italia non trascura di valutare che certi giudizi possono nascondere l'insidia di ingiuste analisi di «penalizzazione» della competitività italiana sui mercati internazionali, ma intende contrapporre analisi ad analisi, registrando nel frattempo l'assenza di questo Governo;
oltre ai lavoratori dipendenti ad essere in grave difficoltà sono anche quelli autonomi, piegati duramente dalla crisi. La loro situazione è ancora più grave rispetto agli altri perché non possono contare neanche sul quel minimo di paracadute sociale rappresentato dalla cassa integrazione;
già da tempo l'area del lavoro autonomo, i cosiddetti «piccoli» del sistema economico italiano, cerca di farsi sentire. Anche l'iniziativa di unire le loro associazioni di categoria sotto le insegne del «Manifesto del Quinto Stato» è un segnale che il Governo deve valutare;
i lavoratori autonomi si sentono riconosciuti come cittadini ma non ancora come cittadini-lavoratori. Nel loro manifesto denunciano di sentirsi degli «invisibili» a cui vengono riconosciuti i diritti che appartengono alla sfera delle libertà borghesi ottocentesche ma non quelli che appartengono ai sistemi di sicurezza sociale propri del Novecento. «Siamo esclusi dalle tutele e ci aumentano le tasse» - lamentano nel loro documento puntando proprio sull'imponente incidenza del carico fiscale sui redditi;
in questo malessere che lamentano i «piccoli» c'è anche il fallimento di quella ricetta che è stata presentata come il nuovo modello di welfare del secondo millennio; la flexcurity. Per ora si assiste solo a tagli delle prestazioni previdenziali, senza nessun tipo di rimodulazione della loro ripartizione tra gruppi di popolazione attiva;
la questione dell'eccessiva pressione fiscale reale, che ha raggiunto il 55 per cento, pone una serie di problemi a cui è necessario rispondere. È impossibile immaginare un rilancio delle nostre imprese con un carico fiscale di questa portata ed è necessario immaginare qualche soluzione fiscale operativa che permetta di incentivare la ripartenza delle nostre imprese, soprattutto quelle piccole e piccolissime;
il problema dell'accesso al credito resta una delle principali preoccupazioni degli agenti economici. Seppur in un quadro di libero mercato, diventa difficile immaginare che i costi aggiuntivi dell'entrata in vigore delle nuove garanzie sul credito bancario previste dall'accordo di Basilea 3 possano ricadere sui fragili attori, piccoli e piccolissimi, del nostro tessuto produttivo;
per questo dal mondo delle associazioni del commercio e dell'artigianato provengono richieste al sistema creditizio per una reale evoluzione della cultura del credito capace di capire i problemi del territorio;
resta, inoltre grave il problema dei ritardi nei pagamenti della pubblica amministrazione. È inaccettabile che le aziende in questo grave momento di difficoltà economica si debbano trasformare «nelle banche della pubblica amministrazione». Secondo i dati del TaiiS (Tavolo interassociativo delle imprese dei servizi), lo Stato ha contratto debiti con le imprese per una cifra che si aggira tra i 60 e i 70 miliardi di euro. Ad oggi il ritardo medio nei pagamenti è di 100 giorni. Sommare questi ritardi alle strette sul credito attuate dalle banche per molte piccole e piccolissime aziende può voler dire chiudere e dichiarare fallimento;
merita attenzione particolare il dato che riguarda l'occupazione dei «nuovi italiani», che stanno diventando un fattore fondamentale di sviluppo per il nostro Paese. Basti solo un dato a mo' di esempio: l'Osservatorio sull'imprenditoria femminile di Unioncamere, informa che sono ben 32 mila, soprattutto nel settore del commercio, le aziende guidate da donne immigrate,

impegna il Governo:

compatibilmente con gli equilibri di bilancio a promuovere un tavolo di confronto tra le piccole e medie imprese e l'Abi per trovare una soluzione alla scadenza in questi giorni della moratoria dei debiti che nell'estate del 2009 consentì a 180 mila aziende di tirare il fiato, e in molti casi di non chiudere i battenti, in modo da dare una risposta ai 4 milioni di «piccoli» che compongono la spina dorsale del nostro sistema produttivo;
ad assumere iniziative volte all'istituzione di uno strumento di intermediazione tra le imprese in difficoltà e le agenzie di credito a cui richiedere una maggiore flessibilità, indispensabile in un momento di criticità come questo;
a prevedere un migliore utilizzo del sistema delle Camere di commercio considerate da molti operatori economici maggiormente in grado di aiutare le imprese italiane a inserirsi nei mercati esteri;
a riprendere la discussione su come immaginare una riforma fiscale che riconosca alle imprese, soprattutto a quelle piccole e piccolissime, una fiscalità di favore che sia finalizzata alla crescita economica;
a dare certezza a tutti gli operatori economici di lavorare nel quadro unitario del sistema Paese, con la garanzia di non divenire superflui a causa di qualche spregiudicata logica economica che non appartiene alla nostra cultura ed è in radicale contrasto con i principi di democrazia economica;

a riconoscere misure finalizzate a garantire ai «nuovi italiani» un ruolo di elemento dinamico nella crescita dell'economia del Paese anche attraverso agevolazioni delle loro attività;
a favorire, con interventi concreti, l'occupazione giovanile, delle donne, e degli over 50, anche con l'utilizzo di opportunità offerte dal settore delle cooperative;
a prevedere strumenti alternativi al capitale di debito per le piccole e piccolissime imprese attraverso iniziative di microcredito e tese alla diffusione del venture capital;
ad attivare, anche in attesa dell'entrata a regime della direttiva europea al riguardo, misure adeguate di contrasto al grave fenomeno del ritardo dei pagamenti delle transazioni, in particolare da parte della pubblica amministrazione;
a mettere in atto tutte quelle misure necessarie per contrastare fenomeni di usura contro le piccole e medie imprese, fenomeni spesso dovuti all'enorme difficoltà che le PMI, soprattutto nel Sud, incontrano da parte del sistema bancario;
a prevedere la riduzione concreta, in un'ottica davvero federalista, di quella burocrazia che affligge ad oggi l'attività delle PMI, e che costringe le stesse a sottoporsi a pesanti costi economici e di tempo, dovuti alla sovrapposizione di troppe norme spesso tra loro contrastanti.
(1-00555)
(Testo modificato nel corso della seduta)«Mosella, Tabacci, Calgaro, Lanzillotta, Pisicchio, Vernetti, Brugger».

La Camera,
considerato che:
le PMI ormai occupano un ruolo rilevante nel tessuto economico e sociale nell'ambito dell'Unione europea e la loro importanza viene posta in rilievo per il peso che esse hanno sull'occupazione, l'innovazione, la concorrenza;
da un'indagine svolta in piena crisi economica l'81,2 per cento delle piccole e medie imprese del Sud, che costituiscono la parte prevalente del tessuto economico meridionale, ha dichiarato di ritenersi coinvolto dalla stessa. Le difficoltà hanno riguardato, in particolare: la diminuzione delle vendite - l'aumento dei prezzi praticati dai fornitori - l'accesso al credito. Di riflesso, l'andamento degli investimenti delle stesse imprese ha fatto registrare una flessione del 90 per cento: in controtendenza solo l'8,5 per cento delle imprese si è dichiarata propensa ad investire. Da ciò l'abbassamento del livello di competitività delle PMI meridionali nei confronti della concorrenza nazionale ed internazionale;
la mancanza di risposte da parte dei vari governi che si sono succeduti negli ultimi anni ed il ristagno degli effetti della crisi economica hanno inibito, fino ad oggi, gli investimenti delle PMI del Sud in innovazione e ricerca: solo l'8,6 per cento di queste ha introdotto delle innovazioni di processo, di prodotto ed organizzative, con prevalenza delle imprese dei servizi, rispetto a quelle operanti nel commercio, le più «prudenti» ad investire in quei settori;
sul versante degli interventi strutturali, quelli ritenuti più importanti ed urgenti da parte delle PMI meridionali sono: le agevolazioni finanziarie (per l'85 per cento delle imprese); la realizzazione o il miglioramento di infrastrutture di trasporto, quali strade e autostrade (per il 75,8 per cento), ferrovie (per il 69,0 per cento) ed aeroporti (per il 59,9) il miglioramento della sicurezza del territorio (per il 69,1 per cento);
i mutamenti verificatisi nei principali mercati nazionali ed internazionali, anche in conseguenza dell'introduzione di nuove tecnologie, hanno reso inevitabile l'adozione da parte delle imprese, anche quelle di piccola dimensione, più attente alle sfide della crescente competizione internazionale, di strategie di diversificazione, che si traducono in strutture organizzative differenziate;
di contro, le piccole imprese del Mezzogiorno non hanno ancora attivato se non in un limitato numero di casi - quei sistemi di rete o di distretto che consentono alle imprese di dimensioni similari del Centro-Nord di ottenere significativi vantaggi di produttività ed «economie di agglomerazione»;
per quanto riguarda i vantaggi connessi all'agglomerazione territoriale, è noto che operare in un territorio ben definito agevola il radicarsi, in quello stesso territorio, di un sistema di valori e regole condivise dalla comunità che agevola la cooperazione ed incrementa la competitività delle imprese;
in tale contesto occorre considerare la peculiarità del Mezzogiorno costituito da una miriade di piccole imprese produttive, artigiane e commerciali, che rappresentano il tessuto vitale e fragile di un territorio ove gli stessi fattori della produzione, come i costi energetici, i trasporti ed il sistema creditizio, costituiscono cause di diseconomia;
i fattori di contesto del Sud rendono difficoltoso l'accesso al credito anche delle imprese meritevoli, soprattutto quelle di piccola e media dimensione, che continuano a preferire come forma di finanziamento quello bancario, tralasciando quelle alternative costituite dalle risorse proprie, dal ricorso al mercato, dall'ampliamento del capitale di rischio sottoscritto da un partner finanziario, o, ancora, da una merchant bank. Infatti per quanto attiene le risorse proprie, occorre dire che al Sud le imprese, in grado di generare utili tali da riequilibrare la struttura finanziaria dell'azienda o da poter contare sull'apporto dei soci, rappresentano una quota modesta ed il ricorso ad un terzo nel capitale di rischio viene vissuto con molta riluttanza. La difficoltà di reperire risorse finanziarie poi è particolarmente sentita dalle PMI meridionali relativamente più giovani, legata anche alla scarsa cultura imprenditoriale degli intermediari finanziari che continuano a valutare l'affidabilità di un'azienda in funzione delle sue disponibilità patrimoniali, piuttosto che sulla base delle reali opportunità e capacità di fare impresa;
malgrado il quadro sopra delineato, i piccoli istituti di credito possono essere considerati gli attori della crescita economica locale;
quanto fino ad ora esposto risulta ancora più grave se si considera il livello della stretta creditizia che il sistema bancario sta attuando anche dopo l'accordo Basilea 3, nonostante il forte sostegno assicurato dal Governo a favore delle banche, a discapito del sistema imprenditoriale italiano ed in particolare di quello del Centro-Sud, circostanza che determina un aggravio della già precaria e sofferente condizione dell'imprenditoria meridionale, rese più inique da un'ulteriore riduzione (se non addirittura in una richiesta di rientro) del credito elargito ed in un aggravio del già marcato differenziale del costo del denaro tra Sud e Nord del Paese;
appare proiettata in un futuro incerto e poco definito la stessa previsione della Banca del Mezzogiorno che, ai sensi dell'articolo 2, comma 169, della Legge finanziaria 2010, ha tra i suoi fini istituzionali la promozione, in particolare, del credito alla piccole e medie imprese;
il rafforzamento della specializzazione produttiva ed il miglioramento della capacità di penetrazione sono indispensabili in mercati che non hanno più ambiti spaziali nazionali o europei, ma mondiali. Si preferisce creare alleanza e joint-venture, si delocalizza sia per contenere i costi di produzione, che per essere presenti sui mercati esteri, alla ricerca di un rafforzamento della competitività che può derivare da un processo di rigenerazione di quel capitale sociale locale, che nel tempo si è logorato. Si rende pertanto necessario porre in essere un processo di crescita che, a differenza di quanto avvenuto nel passato, non si realizzi attraverso un aumento della dimensione in senso verticale, ma orizzontale dell'impresa;
è ormai consolidato che la globalizzazione della competizione internazionale impone strutture snelle ed un più facile approccio a mercati diversamente posizionati da un punto di vista geografico e tecnologico. Molteplici studi evidenziano, inoltre, che le imprese operanti in «cluster» sono più competitive ed hanno maggiori possibilità di crescita rispetto ad imprese che operano in contesti isolati;
senza incidere sul bilancio pubblico, è possibile promuovere l'accesso al credito attraverso un'ottimizzazione dei processi, degli strumenti e delle risorse europee disponibili. Essa opererà come istituzione finanziaria di secondo livello, attraverso una rete di banche sul territorio che diverranno socie nonché utilizzando la rete degli sportelli di Poste Italiane. Con questa iniziativa si intende promuovere la responsabilità imprenditoriale e la cultura di mercato nelle PMI beneficiarie, abbandonando la logica dei contributi a fondo perduto. L'accesso ai finanziamenti si baserà infatti sulla valutazione del merito di credito da parte di istituzioni finanziarie, permettendo la selezione di imprese sane, efficienti e con prospettive di crescita;
di particolare rilevanza è anche la funzione antiusura svolta dai Confidi, nel gestire degli appositi fondi che permettono alle piccole imprese di rientrare nel canali legali del credito;
una recente ricerca dell'istituto «SRM-Studi e ricerche per il Mezzogiorno» evidenzia come i confidi meridionali siano molto meno efficienti rispetto a quelli centro settentrionali e che solo un numero limitatissimo di essi riuscirà a divertire intermediario finanziario a tutti gli effetti,

impegna il Governo:

a favorire l'internazionalizzazione delle piccole e medie imprese meridionali allocando le scarse risorse disponibili nei settori a più alto potenziale di domanda;
a favorire la crescita dimensionale media delle imprese meridionali, attraverso la creazione di reti e distretti d'impresa, la diffusione di consorzi per la ricerca e l'export, l'innovazione di prodotto, di processo e organizzativa, ed il rafforzamento della sinergia tra imprese;
a favorire l'accesso al credito alle imprese del Mezzogiorno, dando piena ed immediata attuazione al Piano per il Sud e rafforzando il sistema delle forme di garanzia collettiva dei fidi, quest'ultima anche come azione di contrasto al ricorso a forme alternative ed illegali di finanziamento, come l'usura, con conseguente riduzione del peso della criminalità sul sistema imprenditoriale, anche studiando la possibilità, a tal fine, di uno specifico fondo rivolto agli enti territoriali, regioni ed enti locali, ricadenti nelle aree dell'Obiettivo convergenza del regolamento (CE) n. 1083/2006, finalizzato all'attivazione, anche attraverso il coinvolgimento delle associazioni di categoria, come i consorzi di garanzia collettiva dei fidi, atti ad assistere le imprese , con funzioni di accompagnamento al mercato, e di intermediazione informativa e formativa finalizzata;
ad assumere ogni iniziativa di competenza al fine di evitare che l'applicazione dell'accordo Basilea 3 penalizzi l'accesso al credito per piccole e medie imprese, nonché per le famiglie;
ad assumere iniziative volte a potenziare il Fondo Centrale di Garanzia per le PMI, dando piena attuazione all'articolo 11 del decreto-legge n. 185 del 2008, consentendo al Fondo di garantire non solo i singoli crediti ma portafogli di crediti, estendendo l'applicazione delle procedure automatiche di ammissione alla garanzia per le aziende che rispettino determinati parametri economico-finanziari, e rendendo più efficiente il rapporto con i Confidi;
a migliorare i tempi relativi al pagamento dei debiti della pubblica amministrazione, tempi particolarmente elevati soprattutto nei confronti delle piccole e medie imprese del Sud;
ad introdurre a regime, nell'ambito della riforma fiscale, forme di fiscalità di vantaggio per le piccole e medie imprese del Mezzogiorno, al fine di costituire reali condizioni di attrattività fondate sulla totale automaticità e su procedure che minimizzino i rischi connessi a scelte discrezionali;
ad assumere iniziative finalizzate ad azioni di miglioramento delle condizioni di sicurezza dei territori in cui si svolgono la vita civile e l'attività economica delle imprese meridionali, anche attraverso la lotta al racket e all'usura, piaghe assai diffuse nel tessuto della piccola e media impresa ove frequente è il ricorso al finanziamento esterno.
(1-00556)
«Lo Monte, Commercio, Latteri, Lombardo, Misiti, Brugger».

La Camera,
considerato che:
le PMI ormai occupano un ruolo rilevante nel tessuto economico e sociale nell'ambito dell'Unione europea e la loro importanza viene posta in rilievo per il peso che esse hanno sull'occupazione, l'innovazione, la concorrenza;
da un'indagine svolta in piena crisi economica l'81,2 per cento delle piccole e medie imprese del Sud, che costituiscono la parte prevalente del tessuto economico meridionale, ha dichiarato di ritenersi coinvolto dalla stessa. Le difficoltà hanno riguardato, in particolare: la diminuzione delle vendite - l'aumento dei prezzi praticati dai fornitori - l'accesso al credito. Di riflesso, l'andamento degli investimenti delle stesse imprese ha fatto registrare una flessione del 90 per cento: in controtendenza solo l'8,5 per cento delle imprese si è dichiarata propensa ad investire. Da ciò l'abbassamento del livello di competitività delle PMI meridionali nei confronti della concorrenza nazionale ed internazionale;
la mancanza di risposte da parte dei vari governi che si sono succeduti negli ultimi anni ed il ristagno degli effetti della crisi economica hanno inibito, fino ad oggi, gli investimenti delle PMI del Sud in innovazione e ricerca: solo l'8,6 per cento di queste ha introdotto delle innovazioni di processo, di prodotto ed organizzative, con prevalenza delle imprese dei servizi, rispetto a quelle operanti nel commercio, le più «prudenti» ad investire in quei settori;
sul versante degli interventi strutturali, quelli ritenuti più importanti ed urgenti da parte delle PMI meridionali sono: le agevolazioni finanziarie (per l'85 per cento delle imprese); la realizzazione o il miglioramento di infrastrutture di trasporto, quali strade e autostrade (per il 75,8 per cento), ferrovie (per il 69,0 per cento) ed aeroporti (per il 59,9) il miglioramento della sicurezza del territorio (per il 69,1 per cento);
i mutamenti verificatisi nei principali mercati nazionali ed internazionali, anche in conseguenza dell'introduzione di nuove tecnologie, hanno reso inevitabile l'adozione da parte delle imprese, anche quelle di piccola dimensione, più attente alle sfide della crescente competizione internazionale, di strategie di diversificazione, che si traducono in strutture organizzative differenziate;
di contro, le piccole imprese del Mezzogiorno non hanno ancora attivato se non in un limitato numero di casi - quei sistemi di rete o di distretto che consentono alle imprese di dimensioni similari del Centro-Nord di ottenere significativi vantaggi di produttività ed «economie di agglomerazione»;
per quanto riguarda i vantaggi connessi all'agglomerazione territoriale, è noto che operare in un territorio ben definito agevola il radicarsi, in quello stesso territorio, di un sistema di valori e regole condivise dalla comunità che agevola la cooperazione ed incrementa la competitività delle imprese;
in tale contesto occorre considerare la peculiarità del Mezzogiorno costituito da una miriade di piccole imprese produttive, artigiane e commerciali, che rappresentano il tessuto vitale e fragile di un territorio ove gli stessi fattori della produzione, come i costi energetici, i trasporti ed il sistema creditizio, costituiscono cause di diseconomia;
i fattori di contesto del Sud rendono difficoltoso l'accesso al credito anche delle imprese meritevoli, soprattutto quelle di piccola e media dimensione, che continuano a preferire come forma di finanziamento quello bancario, tralasciando quelle alternative costituite dalle risorse proprie, dal ricorso al mercato, dall'ampliamento del capitale di rischio sottoscritto da un partner finanziario, o, ancora, da una merchant bank. Infatti per quanto attiene le risorse proprie, occorre dire che al Sud le imprese, in grado di generare utili tali da riequilibrare la struttura finanziaria dell'azienda o da poter contare sull'apporto dei soci, rappresentano una quota modesta ed il ricorso ad un terzo nel capitale di rischio viene vissuto con molta riluttanza. La difficoltà di reperire risorse finanziarie poi è particolarmente sentita dalle PMI meridionali relativamente più giovani, legata anche alla scarsa cultura imprenditoriale degli intermediari finanziari che continuano a valutare l'affidabilità di un'azienda in funzione delle sue disponibilità patrimoniali, piuttosto che sulla base delle reali opportunità e capacità di fare impresa;
malgrado il quadro sopra delineato, i piccoli istituti di credito possono essere considerati gli attori della crescita economica locale;
quanto fino ad ora esposto risulta ancora più grave se si considera il livello della stretta creditizia che il sistema bancario sta attuando anche dopo l'accordo Basilea 3, nonostante il forte sostegno assicurato dal Governo a favore delle banche, a discapito del sistema imprenditoriale italiano ed in particolare di quello del Centro-Sud, circostanza che determina un aggravio della già precaria e sofferente condizione dell'imprenditoria meridionale, rese più inique da un'ulteriore riduzione (se non addirittura in una richiesta di rientro) del credito elargito ed in un aggravio del già marcato differenziale del costo del denaro tra Sud e Nord del Paese;
appare proiettata in un futuro incerto e poco definito la stessa previsione della Banca del Mezzogiorno che, ai sensi dell'articolo 2, comma 169, della Legge finanziaria 2010, ha tra i suoi fini istituzionali la promozione, in particolare, del credito alla piccole e medie imprese;
il rafforzamento della specializzazione produttiva ed il miglioramento della capacità di penetrazione sono indispensabili in mercati che non hanno più ambiti spaziali nazionali o europei, ma mondiali. Si preferisce creare alleanza e joint-venture, si delocalizza sia per contenere i costi di produzione, che per essere presenti sui mercati esteri, alla ricerca di un rafforzamento della competitività che può derivare da un processo di rigenerazione di quel capitale sociale locale, che nel tempo si è logorato. Si rende pertanto necessario porre in essere un processo di crescita che, a differenza di quanto avvenuto nel passato, non si realizzi attraverso un aumento della dimensione in senso verticale, ma orizzontale dell'impresa;
è ormai consolidato che la globalizzazione della competizione internazionale impone strutture snelle ed un più facile approccio a mercati diversamente posizionati da un punto di vista geografico e tecnologico. Molteplici studi evidenziano, inoltre, che le imprese operanti in «cluster» sono più competitive ed hanno maggiori possibilità di crescita rispetto ad imprese che operano in contesti isolati;
senza incidere sul bilancio pubblico, è possibile promuovere l'accesso al credito attraverso un'ottimizzazione dei processi, degli strumenti e delle risorse europee disponibili. Essa opererà come istituzione finanziaria di secondo livello, attraverso una rete di banche sul territorio che diverranno socie nonché utilizzando la rete degli sportelli di Poste Italiane. Con questa iniziativa si intende promuovere la responsabilità imprenditoriale e la cultura di mercato nelle PMI beneficiarie, abbandonando la logica dei contributi a fondo perduto. L'accesso ai finanziamenti si baserà infatti sulla valutazione del merito di credito da parte di istituzioni finanziarie, permettendo la selezione di imprese sane, efficienti e con prospettive di crescita;
di particolare rilevanza è anche la funzione antiusura svolta dai Confidi, nel gestire degli appositi fondi che permettono alle piccole imprese di rientrare nel canali legali del credito;
una recente ricerca dell'istituto «SRM-Studi e ricerche per il Mezzogiorno» evidenzia come i confidi meridionali siano molto meno efficienti rispetto a quelli centro settentrionali e che solo un numero limitatissimo di essi riuscirà a divertire intermediario finanziario a tutti gli effetti,

impegna il Governo:

compatibilmente con gli equilibri di bilancio a favorire l'internazionalizzazione delle piccole e medie imprese meridionali allocando le scarse risorse disponibili nei settori a più alto potenziale di domanda;
a favorire la crescita dimensionale media delle imprese meridionali, attraverso la creazione di reti e distretti d'impresa, la diffusione di consorzi per la ricerca e l'export, l'innovazione di prodotto, di processo e organizzativa, ed il rafforzamento della sinergia tra imprese;
a favorire l'accesso al credito alle imprese del Mezzogiorno, dando piena ed immediata attuazione al Piano per il Sud e rafforzando il sistema delle forme di garanzia collettiva dei fidi, quest'ultima anche come azione di contrasto al ricorso a forme alternative ed illegali di finanziamento, come l'usura, con conseguente riduzione del peso della criminalità sul sistema imprenditoriale, anche studiando la possibilità, a tal fine, di uno specifico fondo rivolto agli enti territoriali, regioni ed enti locali, ricadenti nelle aree dell'Obiettivo convergenza del regolamento (CE) n. 1083/2006, finalizzato all'attivazione, anche attraverso il coinvolgimento delle associazioni di categoria, come i consorzi di garanzia collettiva dei fidi, atti ad assistere le imprese , con funzioni di accompagnamento al mercato, e di intermediazione informativa e formativa finalizzata;
ad assumere ogni iniziativa di competenza al fine di evitare che l'applicazione dell'accordo Basilea 3 penalizzi l'accesso al credito per piccole e medie imprese, nonché per le famiglie;
ad assumere iniziative volte a potenziare il Fondo Centrale di Garanzia per le PMI, dando piena attuazione all'articolo 11 del decreto-legge n. 185 del 2008, consentendo al Fondo di garantire non solo i singoli crediti ma portafogli di crediti, estendendo l'applicazione delle procedure automatiche di ammissione alla garanzia per le aziende che rispettino determinati parametri economico-finanziari, e rendendo più efficiente il rapporto con i Confidi;
a migliorare i tempi relativi al pagamento dei debiti della pubblica amministrazione, tempi particolarmente elevati soprattutto nei confronti delle piccole e medie imprese del Sud;
ad introdurre a regime, nell'ambito della riforma fiscale, forme di fiscalità di vantaggio per le piccole e medie imprese del Mezzogiorno, al fine di costituire reali condizioni di attrattività fondate sulla totale automaticità e su procedure che minimizzino i rischi connessi a scelte discrezionali;
ad assumere iniziative finalizzate ad azioni di miglioramento delle condizioni di sicurezza dei territori in cui si svolgono la vita civile e l'attività economica delle imprese meridionali, anche attraverso la lotta al racket e all'usura, piaghe assai diffuse nel tessuto della piccola e media impresa ove frequente è il ricorso al finanziamento esterno.
(1-00556)
(Testo modificato nel corso della seduta)«Lo Monte, Commercio, Latteri, Lombardo, Misiti, Brugger».

TESTO UNIFICATO DELLE PROPOSTE DI LEGGE: SCHIRRU ED ALTRI; FEDRIGA ED ALTRI: INTERPRETAZIONE AUTENTICA DEL COMMA 2 DELL'ARTICOLO 1 DELLA LEGGE 23 NOVEMBRE 1998, N. 407, IN MATERIA DI APPLICAZIONE DELLE DISPOSIZIONI CONCERNENTI LE ASSUNZIONI OBBLIGATORIE E LE QUOTE DI RISERVA IN FAVORE DEI DISABILI (A.C. 3720-3908-A)

A.C. 3720-A - Parere della I Commissione

PARERE DELLA I COMMISSIONE SULLE PROPOSTE EMENDATIVE PRESENTATE

NULLA OSTA

sugli emendamenti contenuti nel fascicolo n. 1.

A.C. 3720-A - Parere della V Commissione

PARERE DELLA V COMMISSIONE SUL TESTO DEL PROVVEDIMENTO E SULLE PROPOSTE EMENDATIVE PRESENTATE

Sul testo del provvedimento elaborato dalla Commissione di merito:

PARERE FAVOREVOLE

Sugli emendamenti trasmessi dall'Assemblea:

NULLA OSTA

A.C. 3720-A - Articolo unico

ARTICOLO UNICO DEL TESTO UNIFICATO DELLA COMMISSIONE

1. Il quarto periodo del comma 2 dell'articolo 1 della legge 23 novembre 1998, n. 407, introdotto dall'articolo 5, comma 7, del decreto-legge 6 luglio 2010, n. 102, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2010, n. 126, si interpreta nel senso che il superamento della quota di riserva di cui all'articolo 18, comma 2, della legge 12 marzo 1999, n. 68, ivi richiamata, deve in ogni caso avvenire, per le amministrazioni pubbliche, nel rispetto dei limiti delle assunzioni consentite dalla normativa vigente per l'anno di riferimento e che resta comunque ferma l'applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 3 della legge 12 marzo 1999, n. 68, in materia di assunzioni obbligatorie e quote di riserva in quanto ad esclusivo beneficio dei lavoratori disabili.

PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE ALL'ARTICOLO UNICO DEL TESTO UNIFICATO

Al comma 1, aggiungere, in fine, il seguente periodo: In favore dei soggetti non disabili di cui all'articolo 1, comma 2, primo periodo, della legge 23 novembre 1998, n. 407, e successive modificazioni, la quota di riserva di cui all'articolo 18, comma 2, della legge 12 marzo 1999, n. 68, e successive modificazioni, si applica anche per l'assunzione al lavoro da parte dei datori di lavoro pubblici e privati che, ai sensi dell'articolo 5, commi 1 e 2, e dell'articolo 3, comma 4, della citata legge n. 68 del 1999, sono esonerati dall'obbligo di assunzione di lavoratori disabili.
1. 1. Fedriga, Munerato, Caparini, Bonino.

Aggiungere, in fine, il seguente comma:
2. In considerazione di quanto previsto al comma 1, l'obbligo all'assunzione al lavoro dei soggetti non disabili di cui all'articolo 1, comma 2, primo periodo, della legge 23 novembre 1998, n. 407, e successive modificazioni, è conseguentemente rivolto soltanto ai datori di lavoro pubblici e privati che ricadono nei motivi di esenzione dall'obbligo di assunzione di lavoratori con disabilità, ai sensi dell'articolo 5, commi 1 e 2, e dell'articolo 3, comma 4, della legge 12 marzo 1999, n. 68, e successive modificazioni.
1. 2. Farina Coscioni, Maurizio Turco, Beltrandi, Bernardini, Mecacci, Zamparutti.

A.C. 3720-A - Ordini del giorno

ORDINI DEL GIORNO

La Camera,
premesso che:
le vittime del terrorismo e della criminalità organizzata hanno diritto al collocamento obbligatorio indipendentemente dallo stato di disoccupazione, con precedenza e preferenza a parità di titoli rispetto ad ogni altra categoria, in virtù di quanto disposto dall'articolo 1, 2o comma, della legge n. 407 del 1998, come sostituito dall'articolo 2 della legge n. 288 del 1999. Possono inoltre essere assunte con chiamata diretta nominativa nei ruoli delle pubbliche amministrazioni fino al quinto livello retributivo e fino all'ottavo livello nei ruoli dei Ministeri, fino al 10 per cento dei posti vacanti per i livelli dal sesto all'ottavo, con le modalità illustrate dalla circolare del dipartimento della funzione pubblica n. 2 del 2003;
la norma è preesistente alla legge n. 68 del 1999, però, non ha trovato facile collocazione il diritto di precedenza accordato ai familiari (normodotati) delle vittime della criminalità e del dovere, in sostituzione del congiunto deceduto o invalido. La legge n. 68 del 1999, infatti, prevede due sole macro-categorie di aventi diritto al collocamento obbligatorio:
da una parte i disabili, che in precedenza erano suddivisi in diverse categorie a seconda della patologia, mentre oggi sono avviati unitariamente nell'ambito della quota di riserva prevista dall'articolo 3 (pari al 7 per cento delle assunzioni effettuate dai datori di lavoro con oltre 50 dipendenti);
dall'altra i familiari dei grandi invalidi del lavoro, del servizio o di guerra ed i profughi rimpatriati, che in precedenza potevano essere avviati «a scorrimento» anche in sostituzione di altre categorie di cui si riscontrava la carenza (come nel caso degli invalidi di guerra) o l'inidoneità (come nel caso di mansioni faticose, pericolose o molto specializzate), mentre oggi sono avviati separatamente, nell'ambito della specifica quota di riserva aggiuntiva prevista per loro dall'articolo 18 (pari all'1 per cento delle assunzioni effettuate dai datori di lavoro con oltre 50 dipendenti);
a distanza di dieci anni, il Ministero del lavoro è intervenuto con la circolare n. 2 del 2010, per affermare che «tutti i soggetti normodotati» indicati dall'articolo 18 della legge n. 68 del 1999 (vittime del lavoro, del servizio e di guerra) e dalla legge n. 407 del 1990 (vittime della criminalità e del dovere) hanno diritto al collocamento obbligatorio esclusivamente nell'ambito della specifica quota aggiuntiva dell'1 per cento prevista dal citato articolo 18 e non sono computabili ai finì dell'assolvimento della quota di riserva prevista a favore dei disabili dall'articolo 3. Il diritto di precedenza riconosciuto dalla legge n. 407 del 1998, quindi, secondo il Ministero si gioca all'interno di ciascuna quota di riserva separatamente e non può attribuire ai «normodotati» la precedenza sui disabili, nell'ambito della quota loro riservata dall'articolo 3.
A decorrere dal 7 luglio 2010, tuttavia, l'articolo 5, comma 7, del decreto-legge n. 102 del 2010, convertito in legge n. 126 del 2010 (senza modificazioni su questo punto) ha aggiunto un ultimo periodo al secondo comma dell'articolo 1 della legge n. 407 del 1998, a norma del quale «alle assunzioni di cui al presente comma non si applica la quota di riserva di cui all'articolo 18, comma 2, della legge 12 marzo 1999, n. 68».
Una così esplicita «interpretazione autentica» impedisce di restringere il beneficio riconosciuto ai familiari delle vittime della criminalità e del dovere negli stretti limiti della quota dell'1 per cento prevista dall'articolo 18 della legge n. 68 del 1999. Ne risulta giocoforza confermata la prassi di avviarli nell'ambito della quota riservata ai disabili dall'articolo 3 della legge n. 68 del 1999 (l'unica altra quota di riserva prevista dalla attuale normativa sul collocamento obbligatorio), per quanto appaia stridente il diritto di precedenza riconosciuto a questi «normodotati» rispetto ai veri disabili, specialmente se si considera che l'attuale disciplina del collocamento obbligatorio offre già ampi margini alla possibilità di richiesta nominativa da parte dei datori di lavoro, che prevedibilmente privilegeranno i lavoratori meno svantaggiati.
Posto che con l'approvazione alla Camera, della proposta di legge C. 3720, si intende precisare che la quota dell'1 per cento non va ad intaccare il 7 per cento di posti che la legge riserva ai disabili, il diritto al collocamento obbligatorio delle vittime del terrorismo e del dovere, nonché dei familiari superstiti, motivato dal rispettabile intento di tutelare persone fortemente colpite da eventi drammatici, va comunque difeso.
Al fine di tutelare gli orfani e le vedove di vittime di atti di terrorismo e dunque di morte sul lavoro,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di aumentare le quote di riserva per le assunzioni obbligatone attualmente all'1 per cento, almeno al 3 per cento, affinché le diverse categorie possano trovare risposta ai bisogni imminenti che si pongono con l'assenza improvvisa e drammatica della perdita del familiare lavoratore o lavoratrice, a volte l'unico percettore di reddito.
9/3720-A/1.Schirru, Damiano, Bellanova, Berretta, Bobba, Boccuzzi, Codurelli, Gatti, Gnecchi, Madia, Mattesini, Miglioli, Mosca, Rampi, Santagata.

La Camera,
premesso che:
le vittime del terrorismo e della criminalità organizzata hanno diritto al collocamento obbligatorio indipendentemente dallo stato di disoccupazione, con precedenza e preferenza a parità di titoli rispetto ad ogni altra categoria, in virtù di quanto disposto dall'articolo 1, 2o comma, della legge n. 407 del 1998, come sostituito dall'articolo 2 della legge n. 288 del 1999). Possono inoltre essere assunte con chiamata diretta nominativa nei ruoli delle pubbliche amministrazioni fino al quinto livello retributivo e fino all'ottavo livello nei ruoli dei Ministeri, fino al 10 per cento dei posti vacanti per i livelli dal sesto all'ottavo, con le modalità illustrate dalla circolare del dipartimento della funzione pubblica n. 2 del 2003;
la norma è preesistente alla legge n. 68 del 1999, però, non ha trovato facile collocazione il diritto di precedenza accordato ai familiari (normodotati) delle vittime della criminalità e del dovere, in sostituzione del congiunto deceduto o invalido. La legge n. 68 del 1999, infatti, prevede due sole macro-categorie di aventi diritto al collocamento obbligatorio:
da una parte i disabili, che in precedenza erano suddivisi in diverse categorie a seconda della patologia, mentre oggi sono avviati unitariamente nell'ambito della quota di riserva prevista dall'articolo 3 (pari al 7 per cento delle assunzioni effettuate dai datori di lavoro con oltre 50 dipendenti);
dall'altra i familiari dei grandi invalidi del lavoro, del servizio o di guerra ed i profughi rimpatriati, che in precedenza potevano essere avviati «a scorrimento» anche in sostituzione di altre categorie di cui si riscontrava la carenza (come nel caso degli invalidi di guerra) o l'inidoneità (come nel caso di mansioni faticose, pericolose o molto specializzate), mentre oggi sono avviati separatamente, nell'ambito della specifica quota di riserva aggiuntiva prevista per loro dall'articolo 18 (pari all'1 per cento delle assunzioni effettuate dai datori di lavoro con oltre 50 dipendenti);
a distanza di dieci anni, il Ministero del lavoro è intervenuto con la circolare n. 2 del 2010, per affermare che «tutti i soggetti normodotati» indicati dall'articolo 18 della legge n. 68 del 1999 (vittime del lavoro, del servizio e di guerra) e dalla legge n. 407 del 1990 (vittime della criminalità e del dovere) hanno diritto al collocamento obbligatorio esclusivamente nell'ambito della specifica quota aggiuntiva dell'1 per cento prevista dal citato articolo 18 e non sono computabili ai finì dell'assolvimento della quota di riserva prevista a favore dei disabili dall'articolo 3. Il diritto di precedenza riconosciuto dalla legge n. 407 del 1998, quindi, secondo il Ministero si gioca all'interno di ciascuna quota di riserva separatamente e non può attribuire ai «normodotati» la precedenza sui disabili, nell'ambito della quota loro riservata dall'articolo 3.
A decorrere dal 7 luglio 2010, tuttavia, l'articolo 5, comma 7, del decreto-legge n. 102 del 2010, convertito in legge n. 126 del 2010 (senza modificazioni su questo punto) ha aggiunto un ultimo periodo al secondo comma dell'articolo 1 della legge n. 407 del 1998, a norma del quale «alle assunzioni di cui al presente comma non si applica la quota di riserva di cui all'articolo 18, comma 2, della legge 12 marzo 1999, n. 68».
Una così esplicita «interpretazione autentica» impedisce di restringere il beneficio riconosciuto ai familiari delle vittime della criminalità e del dovere negli stretti limiti della quota dell'1 per cento prevista dall'articolo 18 della legge n. 68 del 1999. Ne risulta giocoforza confermata la prassi di avviarli nell'ambito della quota riservata ai disabili dall'articolo 3 della legge n. 68 del 1999 (l'unica altra quota di riserva prevista dalla attuale normativa sul collocamento obbligatorio), per quanto appaia stridente il diritto di precedenza riconosciuto a questi «normodotati» rispetto ai veri disabili, specialmente se si considera che l'attuale disciplina del collocamento obbligatorio offre già ampi margini alla possibilità di richiesta nominativa da parte dei datori di lavoro, che prevedibilmente privilegeranno i lavoratori meno svantaggiati.
Posto che con l'approvazione alla Camera, della proposta di legge C. 3720, si intende precisare che la quota dell'1 per cento non va ad intaccare il 7 per cento di posti che la legge riserva ai disabili, il diritto al collocamento obbligatorio delle vittime del terrorismo e del dovere, nonché dei familiari superstiti, motivato dal rispettabile intento di tutelare persone fortemente colpite da eventi drammatici, va comunque difeso.
Al fine di tutelare gli orfani e le vedove di vittime di atti di terrorismo e dunque di morte sul lavoro,

impegna il Governo

a valutare, compatibilmente con gli attuali vincoli di bilancio, l'opportunità di aumentare le quote di riserva per le assunzioni obbligatone attualmente all'1 per cento, almeno al 3 per cento, affinché le diverse categorie possano trovare risposta ai bisogni imminenti che si pongono con l'assenza improvvisa e drammatica della perdita del familiare lavoratore o lavoratrice, a volte l'unico percettore di reddito.
9/3720-A/1.(Testo modificato nel corso della seduta)Schirru, Damiano, Bellanova, Berretta, Bobba, Boccuzzi, Codurelli, Gatti, Gnecchi, Madia, Mattesini, Miglioli, Mosca, Rampi, Santagata.

La Camera,
premesso che:
con il provvedimento in esame si intende evitare che un eventuale ampliamento della quota di riserva delle assunzioni in favore dei familiari delle vittime del dovere e della criminalità possa comportare la riduzione della quota obbligatoria spettante ai sensi della legge n. 68 del 1999 ai lavoratori disabili,
rilevata tuttavia la necessità di assicurare una risposta alle altre categorie protette, anche mediante un eventuale ampliamento della quota di riserva dell'1 per cento ad esse attualmente riconosciuta,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, compatibilmente con gli attuali vincoli di bilancio, di rivedere il sistema delle quote di riserva destinata alle assunzioni obbligatorie in favore dei soggetti non disabili contemplati dall'articolo 1, comma 2, della legge n. 407 del 1998 e dall'articolo 18, comma 2, della legge n. 68 del 1999, in modo che tali categorie possano trovare un'adeguata risposta alle loro legittime aspettative.
9/3720-A/2.Fedriga, Antonino Foti, Polidori, Sardelli.

La Camera,
considerati i problemi interpretativi sorti all'indomani dell'approvazione dell'articolo 7, comma 5, del decreto-legge 6 luglio 2010, n. 102, il quale ha previsto che alle assunzioni obbligatorie di orfani e coniugi superstiti di coloro che sono deceduti per causa di lavoro, di guerra o di servizio «non si applica la quota di riserva di cui all'articolo 18, comma 2, della legge 12 marzo 1999, n. 68» (pari all'1 per cento);
rilevato che a seguito dell'entrata in vigore di tale disposizione nella prassi applicativa si sono registrate assunzioni di tali soggetti a valere sulla quota di riserva a favore dei disabili di cui all'articolo 3 della legge n. 68 del 1999 (pari al 7 per cento);
preso atto che il provvedimento in esame fornisce una chiara soluzione a tale problema, chiarendo che la quota di riserva di cui all'articolo 3 della legge n.68 del 1999 (pari al 7 per cento) deve intendersi «ad esclusivo beneficio dei disabili»;
rilevato peraltro che per quanto riguarda l'assunzione obbligatoria di orfani e coniugi superstiti di coloro che sono deceduti per causa di lavoro, di guerra o di servizio, la proposta di legge in esame, nel testo approvato dalla Camera, rischia di generare nuovi problemi interpretativi, in quanto prevede la possibilità del «superamento» della quota di riserva di cui all'articolo 18, comma 2, della legge 12 marzo 1999, n. 68 (pari all'1 per cento), senza fissare un nuovo limite chiaro e certo,

impegna il Governo

ad adottare le opportune iniziative normative volte a modificare il testo al fine di prevedere, che l'obbligo di assunzione obbligatoria di orfani e coniugi superstiti di coloro che sono deceduti per causa di lavoro, di guerra o di servizio, sia diretto esclusivamente a quelle aziende che per motivi oggettivi legati alla tipologia di attività (articolo 5 comma 1 e 2 e articolo 3, comma 4 legge n. 68 del 1999) sono esentate dall'obbligo di assumere i disabili.
9/3720-A/3.Farina Coscioni, Beltrandi, Bernardini, Mecacci, Maurizio Turco, Zamparutti.