XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 434 di martedì 15 febbraio 2011

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI

La seduta comincia alle 11.

GREGORIO FONTANA, Segretario, legge il processo verbale della seduta di giovedì 10 febbraio 2011.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Berlusconi, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brugger, Brunetta, Carfagna, Casero, Cicchitto, Cirielli, Colucci, Cossiga, Crimi, Crosetto, D'Alema, Dal Lago, Donadi, Fava, Fitto, Franceschini, Frattini, Gelmini, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, La Russa, Lamorte, Lo Monte, Lupi, Mantovano, Maroni, Martini, Melchiorre, Meloni, Miccichè, Migliavacca, Leoluca Orlando, Palumbo, Ravetto, Reguzzoni, Roccella, Romani, Rotondi, Saglia, Sardelli, Stefani, Stucchi, Tabacci, Tremonti e Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquantacinque, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Svolgimento di una interpellanza e di interrogazioni (ore 11,05).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di una interpellanza e di interrogazioni.

(Problematiche riguardanti la realizzazione di un elettrodotto all'isola d'Elba - nn. 2-00675, 3-00926, 3-01458 e 3-01459)

PRESIDENTE. Avverto che l'interpellanza Libè n. 2-00675 e le interrogazioni Bosi n. 3-00926, Realacci n. 3-01458 e Alessandri n. 3-01459, concernenti problematiche riguardanti la realizzazione di un elettrodotto all'isola d'Elba, vertendo sullo stesso argomento, saranno svolte congiuntamente (Vedi l'allegato A - Interpellanza e interrogazioni).
L'onorevole Libè ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00675.

MAURO LIBÈ. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, intervengo rapidamente, perché come si può vedere dalla data apposta, l'interpellanza in oggetto risale al 15 aprile 2010. Essa verte sulla realizzazione di un importante elettrodotto: ebbene, se i tempi di risposta del Governo su opere che sono importantissime per il nostro Paese sono questi, immaginiamo perché il Paese va a rilento.
Si tratta di un elettrodotto rilevante che insiste in un'area importantissima del Paese, anche dal punto di vista ambientale. Abbiamo sempre ritenuto che le opere debbano essere realizzate rapidamente, tuttavia, nella fase di progettazione e, successivamente, di realizzazione, si deve Pag. 2anche tenere nel dovuto conto la situazione dei territori. E qui siamo in un'importante zona di tutela ambientale.
Pertanto, la domanda che abbiamo rivolto è semplice: dato che era stato previsto l'interramento di una parte dell'elettrodotto in oggetto, perché i Ministri e, specialmente il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, non si sono fatti, a suo tempo, promotori - lo chiediamo ancora - di un'iniziativa affinché tutto l'elettrodotto fosse interrato, visto l'impatto ambientale che ne conseguirebbe?

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'istruzione l'università e la ricerca, Giuseppe Pizza, ha facoltà di rispondere.

GIUSEPPE PIZZA, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Signor Presidente, rispondo con riferimento agli atti di sindacato ispettivo degli onorevoli Libè, Bosi, Alessandri e Realacci, con i quali vengono chiesti, tra l'altro, chiarimenti in merito all'azione del Ministero per i beni e le attività culturali sui procedimenti autorizzatori e sulla realizzazione dell'elettrodotto in una zona di grande interesse paesaggistico come l'isola d'Elba.
Va premesso che il Ministero per i beni e le attività culturali ha costantemente seguito, sin dal 2002, la compatibilità ambientale (allora era questa la definizione di quell'ambito residuo di esercizio della tutela ora definita paesaggistica) degli interventi di completamento attinenti alle linee elettriche dell'isola d'Elba. Dai documenti presenti agli atti sono evidenti, sin da allora, le richieste formulate dalla competente soprintendenza territoriale, di variazioni ai progetti ENEL, nel senso di seguire i tracciati stradali, evitare svettamenti dei tralicci e, soprattutto, prevedere l'interramento del tracciato nei tratti paesaggisticamente delicati.
Le successive prescrizioni della soprintendenza per i beni architettonici e del paesaggio di Livorno (30 giugno 2003 e 1o luglio 2004), nel far salva la competenza della soprintendenza archeologica nell'eventualità che gli scavi per l'interramento delle linee ricadessero in aree archeologiche o fossero rinvenute antiche pavimentazioni, consistevano comunque in richieste di «massima attenzione nel cercare di limitare il più possibile l'opera di modificazione dei contesti ambientali».
In data 15 dicembre 2006 la società Terna presentava un nuovo progetto della linea elettrica San Giuseppe-Portoferraio che prevedeva la completa demolizione dell'elettrodotto con la totale sostituzione di uno nuovo. I tratti iniziale e finale ricadevano in prossimità di centri abitati, mentre il secondo correva all'interno dell'isola d'Elba in una area boschiva. Anche in questo caso la competente Soprintendenza, con nota del 21 marzo 2007, manteneva le prescrizioni già formulate illo tempore al primo progetto.
Nel corso della conferenza dei servizi convocata dal Ministero dello sviluppo economico il 10 luglio 2007 la società Terna acconsentiva ad alcune varianti richieste dalla regione Toscana, dal comune di Portoferraio e dalla Comunità montana dell'Elba. Le richieste consistevano nella modifica dei tracciati con l'ampliamento di quelli interrati e la diminuzione di quelli aerei in corrispondenza della zona del «Volterraio».
La Terna presentava quindi in data 28 gennaio 2008 il progetto contenente le varianti migliorative.
La competente Soprintendenza nel ritenere condivisibili dal punto di vista paesaggistico le varianti in corrispondenza del «Volterraio» e l'allontanamento dei conduttori aerei dalle abitazioni del tratto in arrivo a Portoferraio, riteneva preferibile gli interramenti dei tratti sia a mare che a terra, sentito il parere della competente Soprintendenza archeologica che, dal canto suo, offriva ogni disponibilità alla collaborazione.
Con la conferenza di servizi del 4 giugno 2008, venivano quindi apportate ulteriori modifiche alla ricostruzione del tracciato del tratto di linea elettrica che attraversa l'isola d'Elba da Portoferraio a San Giuseppe con una previsione di un Pag. 3primo tratto interrato di chilometri 5,8 (in luogo dei circa 2,5 chilometri del progetto 2006), un secondo tratto aereo di chilometri 6,9 (in luogo dei 9 chilometri del progetto 2006) ed un tratto finale interrato di chilometri 2,6 (in luogo dei 2 chilometri del progetto 2006); in questa variante erano inoltre previsti 19 sostegni invece di 27, per una altezza variabile da 15 ai 37 metri fuori terra.
Nell'ambito di tale conferenza di servizi, svoltasi presso il Ministero dello sviluppo economico, la competente Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Toscana, pur esprimendo parere favorevole all'intervento, aveva posto alcune condizioni e prescrizioni accettate dalla società Terna già nel corso della conferenza dei servizi.
Le prescrizioni della Direzione regionale riguardavano in primo luogo un'adeguata sorveglianza archeologica per gli interramenti fuori sede stradale; in secondo luogo la tinteggiatura dei tralicci con tonalità opache adeguate al contesto; in terzo luogo l'interramento completo delle fondazioni e la manutenzione delle soprastanti zone interessate ed infine l'esclusione dell'apertura di piste di cantiere o fasce di rispetto nell'attraversamento di aree boscate.
La Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Toscana e la Soprintendenza per i beni architettonici, paesaggistici, storici, artistici ed etnoantropologici di Pisa e Livorno hanno effettuato, nei mesi successivi, un sopralluogo congiunto ed hanno potuto verificare lo stato dell'intervento e il rispetto delle prescrizioni rese in sede di conferenza di servizi.
In data 29 settembre 2010 è stato presentato alla Soprintendenza il nuovo progetto «Terna» di collegamento elettrico con il continente e il rinnovo dell'elettrodotto già esistente a 132 kilowatt San Giuseppe-Portoferraio.
La lunghezza complessiva del collegamento è di circa 35,8 chilometri, di cui 32,2 chilometri in cavo sottomarino e i restanti 3,6 chilometri in cavo interrato. La parte in cavo interrato sull'isola d'Elba è lunga circa 0,6 chilometri e quella nel comune di Piombino, è di circa 3 chilometri.
Questo nuovo tracciato ha consentito di evitare la realizzazione di un ulteriore elettrodotto (aereo) sul territorio dell'isola d'Elba con una notevole diminuzione di impatto paesaggistico-ambientale e pertanto la Soprintendenza per i beni architettonici, paesaggistici, storici, artistici ed etnoantropologici di Pisa e Livorno si è espressa favorevolmente alla realizzazione dello stesso il 3 dicembre 2010.
Vorrei precisare, comunque, che gli uffici periferici del Ministero hanno costantemente richiesto alla società Terna l'interramento delle linee di alta tensione, sia di progetto che di quelle esistenti. Tale modalità di intervento è stata richiesta per tutti quei tratti paesaggisticamente delicati quale modalità d'elezione da attuarsi con maggiore frequenza, tenuto conto dell'alleggerimento del carico visivo sul paesaggio e della riduzione del carico elettromagnetico.
Concludo precisando che, nella fase di pianificazione e di progettazione delle linee elettriche, la società Terna si è altresì impegnata a prendere in esame, come possibile variante, anche il progetto di linee interrate, perseguendo sia l'obiettivo di ridurre le numerose linee aeree ad alta tensione oggi presenti nel territorio, attraverso il loro raggruppamento e interramento, sia quello di prediligere la ricerca di corridoi ottimali.

PRESIDENTE. L'onorevole Libè ha facoltà di replicare per la sua interpellanza n. 2-00675 e per l'interrogazione Bosi n. 3-00926, che ha testé sottoscritto.

MAURO LIBÈ. Signor Presidente, ringrazio l'onorevole sottosegretario, ma non posso dichiararmi soddisfatto, anche se prendo atto della risposta che ci ha fornito. Infatti, buona parte di questa risposta la conoscevamo già: la nostra interpellanza è stata presentata anche partendo da tutta una serie di iniziative - basta vedere le date, che sono precedenti -, poi ci sono stati mesi di vuoto e il problema resta. Pag. 4
Prendiamo atto della buona volontà di cercare un miglioramento, ma il problema è che sia il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che il Ministero del turismo - che cito non a caso - oggi potevano essere qui rappresentati perché si dovrebbero occupare di un'area importante del nostro territorio. Una soluzione come quella da lei prospettata soddisfa alcuni piccoli parametri, ma non soddisfa l'esigenza ambientale e, ancor più, l'esigenza turistica di popolazioni che vivono sulla bellezza di un territorio che è di valore inestimabile.
Crediamo, dunque, si debba porre un impegno ancora maggiore su questo versante, anche perché la società Terna, che fa utili di notevole entità su tutto il territorio, potrebbe impegnarsi un pochino di più.

PRESIDENTE. L'onorevole Realacci ha facoltà di replicare per la sua interrogazione n. 3-01458.

ERMETE REALACCI. Signor Presidente, come ha già ricordato il collega Libè, abbiamo presentato buona parte di questi atti ispettivi un anno fa, nel febbraio del 2010. Tali atti sono stati utili ai fini del raggiungimento di una soluzione più positiva per l'ambiente e per i cittadini dell'isola d'Elba. Erano atti che facevano seguito ad un'attivazione di comitati cittadini, di Legambiente e di altre associazioni. Riteniamo che il metodo seguito sia quello che si dovrebbe sempre seguire. Vi era un'esigenza reale - quella di dare stabilità all'alimentazione elettrica dell'isola d'Elba in alcuni periodi delicati dell'anno, perché sappiamo che l'Elba è un'isola che ha un fortissimo flusso turistico - ma la risposta era sbagliata, perché per dare questa certezza si comprometteva la materia prima di base.
L'isola d'Elba è in larga parte tutelata da un Parco nazionale, si tratta di un posto bellissimo, in cui, ovviamente, gli aspetti ambientali e paesaggistici contano molto. Fortunatamente, alla fine, grazie anche alla presentazione dei nostri atti ispettivi, si è trovato un accordo più avanzato fra la società Terna - che ha dimostrato ragionevolezza - l'ente Parco, gli enti locali e i comuni coinvolti - a cominciare dal comune di Portoferraio - e la regione Toscana. Tale soluzione, rispetto a alla prima molto impattante, comporterà un aggiustamento della rete esistente e un dimezzamento della sua parte aerea: una parte significativa verrà infatti interrata e, quindi, si tratta di una soluzione più avanzata.
Ovviamente, sarebbe stato più utile interrare una parte più larga della rete; ad oggi possiamo segnalare il fatto che si è arrivati ad un punto più avanzato rispetto al rischio che l'isola d'Elba correva. Non vorremmo si ripetessero questi errori in futuro.
Quando si tratta di operare in aree - ce ne sono tante nel nostro Paese - di questa delicatezza ci vuole un forte incontro tra la società Terna e le istituzioni locali. Ci vuole anche un dibattito trasparente con i cittadini e il Parlamento, se possibile, può svolgere una funzione, se le risposte non arrivano dopo un anno, ossia se non arrivano, come si suol dire, «a babbo morto».
Problemi di questo tipo ce ne saranno molti in Italia. La Terna è una società importante, come ricordava di nuovo il collega Libè, che è chiamata a fare investimenti importantissimi a cominciare dall'interconnessione tra Sicilia e Calabria, causa di un fortissimo aumento delle bollette di tutti gli italiani, perché non permette di utilizzare centrali più avanzate rispetto alle vecchie centrali più inquinanti e più costose che ci sono in Sicilia.
Ci sono forti collegamenti internazionali (penso a quelli con la sponda sud del Mediterraneo) e la necessità di adeguare le linee anche allo sviluppo delle fonti rinnovabili. In tutti questi casi una metodologia rispettosa della bellezza del nostro Paese e di un rapporto al tempo stesso efficace e positivo con l'amministrazione e i cittadini sono indispensabili. A l'Elba si era partiti con il piede sbagliato e si è arrivati ad una soluzione migliore. Anche il Parlamento e il Governo Pag. 5devono fare la loro parte, rispondendo tempestivamente a queste questioni.

PRESIDENTE. L'onorevole Alessandri ha facoltà di replicare per la sua interrogazione n. 3-01459.

ANGELO ALESSANDRI. Signor Presidente, mi dichiaro soddisfatto per un motivo diverso dai colleghi, perché credo che gli atti abbiano poi influito sicuramente nella presa d'atto da parte dei Ministeri, del Governo e della società Terna delle esigenze che l'isola d'Elba sottoponeva e devo dire che c'è stato un percorso che è stato politico, come la politica dovrebbe sempre cercare di fare.
Appena insediato come presidente della Commissione ambiente, all'inizio del 2008 incontrai subito i «comitati antitraliccio» e anche alcuni cittadini interessati dall'attraversamento di questi tralicci. Si parla di un intervento fatto su un'esigenza reale che però predisponeva da 21 a 40 tralicci alti 40 metri circa di media su una zona che è un IBA europea, ossia un'importante bird area, compresa in Rete natura 2000. C'erano, pertanto, tutta una serie di problemi da sottoporre al Ministero che in qualche modo è stato coinvolto.
Pertanto, dal 2008 si è arrivati al 2010 verso febbraio-marzo e sono state presentate queste interrogazioni su sollecitazione del territorio, dei comitati e dei cittadini. Ci siamo fatti carico di sollecitare la risposta. Sarebbe stato difficile rispondere subito perché era in atto una trattativa e devo ringraziare Terna perché in questa, come in altre occasioni, si è dimostrata sensibile e quelli che erano progetti spesso impattanti con il buonsenso siamo riusciti a renderli meno impattanti.
Mi viene in mente in questi giorni la realizzazione di uno spostamento necessario su un grande elettrodotto che passava dalla Toscana all'Emilia sull'area bolognese in particolare: Terna è riuscita, insieme ai sindaci e su sollecitazione della politica, a cambiare questo tracciato, rendendolo meno impattante e più lontano dalle case. Questo è stato fatto.
Inoltre, sono stati realizzati alcuni importanti interramenti e alcune importanti mitigazioni ambientali che erano stati richiesti, nonché alcuni ampliamenti, non per via aerea, per le zone più abitative. Inoltre, sono state decise anche alcune compensazioni che all'inizio chi aveva autorizzato gli impianti, amministrazioni comprese, non aveva previsto.
Per cui la politica ha sottoposto un problema ambientale in un'area turistica sottoposta anche a vincoli paesaggistici e dove sono presenti un Parco nazionale ed anche insediamenti privati che devono in qualche modo continuare la loro attività senza deturpare il territorio. Queste esigenze sono state sottoposte dalla politica e quest'ultima, insieme a Terna, hanno trovato delle soluzioni. Devo dire che, se fosse sempre così, faremmo tutti il nostro mestiere e potremmo ritenerci, come oggi mi ritengo, soddisfatti.

(Interrogazione Ciccioli n. 3-01145)

PRESIDENTE. Dovremmo ora passare all'interrogazione Ciccioli n. 3-01145 concernente iniziative in relazione ad accertamenti disposti con riferimento a situazioni di conflitto verificatesi presso il liceo Mamiani di Pesaro. Avverto che in data odierna l'interrogazione in oggetto è stata trasformata in interrogazione a risposta scritta su richiesta del presentatore.
Sospendo la seduta per qualche minuto perché, probabilmente per motivi connessi ai mezzi di trasporto, l'onorevole Burtone non ci ha ancora raggiunto. La seduta riprenderà orientativamente verso le 11,30.

La seduta, sospesa alle 11,25, è ripresa alle 11,38.

(Interrogazioni Burtone nn. 3-01311 e 3-01363)

PRESIDENTE. Dovremmo ora passare alle interrogazioni nn. 3-01311 e 3-01363, dell'onorevole Burtone. Non essendo presente Pag. 6in Aula, si intende che abbia rinunciato allo svolgimento delle medesime.
È così esaurito lo svolgimento dell'interpellanza e delle interrogazioni all'ordine del giorno. Sospendo la seduta, che riprenderà alle ore 14,30 con la discussione della mozione relativa alla definizione di un piano per il ritiro del contingente italiano in Afghanistan.

La seduta, sospesa alle 11,40, è ripresa alle 14,40.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO FINI

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Caparini, Castagnetti, Gregorio Fontana, Lucà, Mazzocchi e Mura sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente sessantuno, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Sull'ordine dei lavori (ore 14,41).

DARIO FRANCESCHINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DARIO FRANCESCHINI. Signor Presidente, è di qualche ora fa la notizia del rinvio a giudizio del Presidente del Consiglio. Da settimane in questa sede e nel dibattito nel Paese abbiamo chiesto le dimissioni del Presidente del Consiglio. La situazione - è chiaro a tutti - è ormai insostenibile: un Paese stremato dalla crisi economica, dalle emergenze continue (compresa l'emergenza annunciata di questi giorni a Lampedusa) con all'orizzonte una manovra di rientro dal debito pubblico imposta dalle regole dell'Unione europea, di portata enorme. Vi è una maggioranza bloccata da mesi in Parlamento e ridotta a raccattare qualche parlamentare nel tentativo improbabile di sopravvivere, condannando la Camera alla totale paralisi dell'attività legislativa. Tutto questo è accompagnato dalle vicende processuali del Presidente del Consiglio.
Gli italiani hanno bisogno di un Governo che governi. L'Italia ha bisogno in fretta di recuperare la sua credibilità internazionale spazzata via in queste settimane.
Noi non esprimiamo un giudizio sulle vicende penali del Presidente del Consiglio. La presunzione di non colpevolezza sancita dalla nostra Costituzione vale per tutti, anche per lui. Ma diciamo: «Adesso basta!». Faccia come qualunque uomo politico di qualsiasi democrazia del mondo. Si dimetta e vada davanti ai giudici a difendersi se è convinto - come dice continuamente e immagino che lo dirà tra qualche ora - di essere un perseguitato.
Se si proclama innocente, non fugga dalla giustizia, ma vada a dimostrare la sua innocenza nel luogo naturale, cioè davanti ai giudici.
Ci rivolgiamo direttamente al Presidente del Consiglio. Lei sta facendo del male al suo Paese: non trascini l'Italia per mesi nella vergogna davanti al mondo di un Presidente del Consiglio rinviato a giudizio e che viene processato per prostituzione minorile e concussione e che pretende di restare in carica trascinando nell'aula di quel tribunale non la sua persona fisica, ma l'istituzione e il ruolo di Presidente del Consiglio che indegnamente continua a ricoprire (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Se non lo farà, è perché lei teme il giudizio di questo Parlamento e dei cittadini alle elezioni. Infatti, è così: lei ormai non ha paura soltanto del giudizio dei giudici e dei magistrati, ma ha paura anche del giudizio del popolo italiano (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

Pag. 7

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, sulla questione darò la parola, ove richiesta, ad un rappresentante per gruppo.

MASSIMO DONADI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASSIMO DONADI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il punto oggi non è solo - o comunque non è tanto - la notizia del rinvio a giudizio del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi per reati comunque gravissimi e infamanti come la concussione o la prostituzione minorile. Il punto è che questo Paese non è più in grado di reggere la situazione di un Governo e di un Presidente del Consiglio irresponsabili che stanno trascinando tutto e tutti in un clima non più sostenibile da guerra civile e da conflitto permanente tra le istituzioni dello Stato.
Quei sondaggi da sempre tanto cari al nostro Presidente del Consiglio oggi dicono che gli italiani hanno capito con chiarezza chi è l'unico responsabile di tutto questo, se è vero che due italiani su tre non hanno più alcuna fiducia nel Presidente del Consiglio, se è vero che nelle intenzioni di voto oggi il Governo e le forze che lo sostengono non godono ormai nemmeno della fiducia del 40 per cento degli elettori italiani.
Ormai siete maggioranza soltanto all'interno di quest'Aula del Parlamento e anche questa è una maggioranza virtuale; e mi verrebbe da dire che, in un momento così delicato, nulla come l'immagine dei banchi della maggioranza completamente deserti rende l'idea plastica di come la vostra sia una maggioranza puramente virtuale, virtuale perché questo è diventato un Parlamento sordo e cieco alle istanze che vengono dal Paese. Voi e il vostro Governo lo avete reso un Parlamento inutile.
Siamo alla paralisi legislativa e i numeri sono ormai inoppugnabili. La scorsa settimana la Camera dei deputati ha lavorato per poco più di tre ore. Nell'ultimo mese abbiamo approvato un solo testo di legge. È dal 30 luglio 2010 - lo ripeto, dal 30 luglio 2010 - che, nel mezzo della più grave crisi economica, dal dopoguerra a oggi, il Governo e la maggioranza non adottano un provvedimento in materia economica, volto al rilancio del sistema Paese Italia (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Partito Democratico).
In questo spaccato, che è già drammatico, pesa ora come un macigno la vicenda giudiziaria del Presidente del Consiglio, una vicenda che non si può all'evidenza ridurre alla solita favola della persecuzione giudiziaria né declassare a fatto privato, perché quando si è chiamati a rispondere di reati come la concussione e la prostituzione minorile la vita privata di un uomo pubblico è pubblica a sua volta e chiama in causa direttamente il modello di vita e di contegno al quale un uomo, chiamato a ricoprire le più alte cariche dello Stato, non può in alcun modo sottrarsi.
Ma ancora più grave è il fatto che questa situazione sta letteralmente creando il crollo della credibilità e dell'immagine internazionale del nostro Paese. L'immagine dell'Italia, in questi ultimi mesi, è umiliata e infangata e queste non sono frasi eccessive. Questo fatto oggi ci apre un problema drammatico, perché nel mezzo di una grave crisi economica e finanziaria per il Paese, che è portatore del terzo debito pubblico al mondo, non vi è niente di peggio che essere, nel consesso delle grandi nazioni, un Paese solo e isolato. Noi siamo oggi soli e isolati perché solo e isolato è l'uomo che ci rappresenta e che rappresenta il nostro Paese all'estero. Oggi l'Italia è sola e isolata, non riconoscendo e non ricevendo delle altre grandi cancellerie occidentali se non freddezza e distacco. Gli unici sorrisi e le uniche braccia aperte ci arrivano da quei dittatori o leader discutibili e certamente lontani dall'immagine democratica dei grandi uomini di Stato.
Dopo tre anni di Berlusconi l'Italia è più povera e ha più problemi. Non è stata realizzata nessuna delle riforme e delle opere pubbliche tante volte annunciate.

Pag. 8

PRESIDENTE. La prego di concludere.

MASSIMO DONADI. Concludo immediatamente, signor Presidente. Vi è un Governo che è minoritario nel Paese, una maggioranza che non esiste più e un Paese solo e isolato. L'agonia politica di Berlusconi non può e non deve diventare quella di un intero Paese.
Per questo chiediamo al Presidente del Consiglio un ultimo atto di responsabilità: dia le dimissioni, si faccia da parte, vada a spiegare le sue ragioni davanti ai magistrati, ma dia a questo Paese la possibilità di scrivere una pagina nuova perché ne ha bisogno (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ci sono altri rappresentanti dei gruppi che intendono intervenire sulla questione sollevata dall'onorevole Franceschini?

SIMONE BALDELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, la richiesta di dimissioni rivolta dall'onorevole Franceschini non è un fatto nuovo in quest'Aula, visto che è stata già sollevata non oltre qualche settimana fa e non ha avuto alcun seguito; anzi, mi sembra che non sia neanche stata seguita da una eguale richiesta da parte di tutti gli altri gruppi di opposizione. È seguita, in questo caso, dalla richiesta dell'onorevole Donadi e arriva nell'istante immediatamente successivo, signor Presidente, a un momento processuale che riguarda il Presidente del Consiglio. Alla faccia, onorevole Franceschini, della garanzia e del principio di non colpevolezza fino a sentenza definitiva!
Se il Presidente del Consiglio avesse dovuto dimettersi ogni qual volta è stato oggetto dell'attenzione, abnorme e spesso strabica, delle procure di questo Paese - con 109 procedimenti, 2.500 udienze e 530 perquisizioni -, onorevoli Franceschini e Donadi, la maggioranza di questo Paese non sarebbe stata rappresentata, e questo semplicemente per via giudiziaria.
Credo che la presunzione di non colpevolezza, la presunzione di innocenza valga per tutti gli imputati e per tutti coloro che vengono fatti oggetto della giustizia, dal Presidente del Consiglio all'ultimo dei cittadini.
Credo, onorevole Franceschini, che il giudizio del popolo italiano sia stato molto chiaro e netto, dal 2008 ad oggi, nei confronti del Presidente del Consiglio. Così facendo, presidente Franceschini, lei compie un atto dovuto che compete all'opposizione, ma non certo all'opposizione che riteniamo responsabile, non certo all'opposizione che vorremmo avere.
Certamente, anche il fatto che la segua nella sua richiesta l'onorevole Donadi dovrebbe farla riflettere sulla prospettiva di responsabilità che questa opposizione, in questo momento, in quest'Aula sostanzialmente vuota - perché è prevista una discussione sulle linee generali - sceglie di seguire.
È evidente, onorevole Franceschini, che così facendo ella rafforza la convinzione, spesso a nostro avviso radicata nella stragrande maggioranza degli italiani, che un'opposizione che non è riuscita a battere il Presidente Berlusconi per la via elettorale né nel 2008, né nel 2009, né tantomeno nel 2010, che non è riuscita a «mollare» a questo Governo e a questa maggioranza una spallata parlamentare nelle Aule del Parlamento, probabilmente, Presidente Franceschini, cerca di cavalcare l'inchiesta mediatico-giudiziaria per tentare in questo modo di dare una spallata al Presidente del Consiglio.
Questo non è il confronto democratico, questa non è la dialettica tra maggioranza e opposizione, onorevole Franceschini, questo è cercare di speculare politicamente su un'inchiesta della magistratura, che avrà il suo corso.
Dunque, credo che in quest'Aula dovremmo invece confrontarci sul merito delle questioni e dei problemi perché questo è il compito di un Parlamento che lavora e che continua a lavorare.
Pag. 9Le altre speculazioni, le richieste di dimissioni, per quel che mi riguarda, le rinviamo al mittente, convinti come siamo che abbiamo un mandato parlamentare e politico che i cittadini ci hanno dato e che continueremo a svolgere in quest'Aula finché avremo i numeri per governare e per portare avanti il nostro programma (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

BENEDETTO DELLA VEDOVA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BENEDETTO DELLA VEDOVA. Signor Presidente, vorrei semplicemente aggiungere una considerazione. Noi il 14 dicembre, come gruppo di Futuro e Libertà per l'Italia, abbiamo votato una mozione di sfiducia a questo Governo. Credo che il Presidente del Consiglio abbia naturalmente, come tutti, una difesa alla quale non mancheranno i mezzi e non è in discussione l'innocenza - fino a prova del contrario - di lui come di tutti noi, tuttavia va fatta una riflessione, contenuta anche nelle parole dell'onorevole Baldelli, ossia che la giustizia deve fare il suo corso.
Evitiamo - come a volte sembra - di far precipitare il Parlamento, la politica e la discussione politica in una guerra senza quartiere alla magistratura. Quello in corso non è un attentato della magistratura, non è un golpe: la giustizia faccia il suo corso, tuttavia ci si assuma la responsabilità dei fatti e degli accadimenti, di quello che succede in Italia e fuori dall'Italia a prescindere dalle vicende giudiziarie.
Non si può fare finta che non succede nulla e non si possono trasformare in un rodeo pro o contro la magistratura i prossimi mesi di vita politica e, tanto meno, di vita parlamentare (Applausi dei deputati del gruppo Futuro e Libertà per l'Italia).

ANNA TERESA FORMISANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANNA TERESA FORMISANO. Signor Presidente, vorrei informare l'Aula e - consentitemi il termine forte - denunciare un fatto che, a mio avviso, è gravissimo e che concerne lo schema di decreto legislativo sul riordino degli incentivi del sistema produttivo. Questo è stato consegnato alla Commissione attività produttive mezz'ora fa, presentato e assegnato l'11 febbraio ed il termine per l'esercizio della delega scade il 15 febbraio. Ciò significa che noi domani mattina dobbiamo esprimere il voto. Pertanto, signor Presidente, voglio fare un atto formale di denuncia.
Non è possibile che la Commissione attività produttive debba stabilire un record e deliberare un parere - udite, udite - sul riordino degli incentivi per il sistema produttivo. Questa è scorrettezza - e mi fermo qui - istituzionale. Assegnato lo schema di decreto il giorno 11, la Commissione ne è venuta a conoscenza nel pomeriggio di oggi, la presidente ci informa che scade domani. Auguri, c'è il milleproroghe. Ma perché il Governo non inserisce una proroga nel milleproroghe?
Poi non ci lamentiamo se le opposizioni non collaborano. Questo significa dire alle opposizioni: «o bere, o affogare». Ovviamente faremo tutto ciò che è nelle nostre competenze, come forza di opposizione, per andare avanti su un tema che per noi è fondamentale (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro, Partito Democratico e Italia dei Valori).

ANDREA LULLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANDREA LULLI. Signor Presidente, la delega in questione sul riordino degli incentivi industriali - che è fatto di grande rilevanza - scade proprio nella giornata di oggi ed è evidente che il Parlamento non è messo in condizione di svolgere un approfondito esame.
Ricordo che la delega è stata conferita dalla legge 23 luglio 2009, n. 99, ed il fatto che si arrivi alla data di scadenza del Pag. 10l'esercizio della delega per presentare formalmente alle Commissioni parlamentari lo schema di decreto legislativo è sinceramente - non so neanche come definirlo - deprimente.
Mi appello pertanto a lei, come Presidente della Camera. Naturalmente, come opposizioni, credo che faremo sentire la nostra voce in tutte le sedi dovute. Siamo certamente disponibili a un confronto di merito, ma non nell'esercizio della delega perché non ne sussistono le condizioni. Per cui ci rifiuteremo di partecipare alla votazione eventuale.
Se poi - come sembra esserci stato comunicato in Commissione bilancio - l'intenzione del Governo è di procedere a un nuovo decreto-legge per inserirvi la manovra di riordino degli incentivi industriali, staremo a vedere. Tuttavia, è chiaro che, per quanto riguarda l'opinione sul decreto legislativo, non può che esserci la nostra assoluta contrarietà a entrare nel merito della questione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

GABRIELE CIMADORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GABRIELE CIMADORO. Signor Presidente, intervengo sullo stesso tema. Tutta la minoranza è già intervenuta in Commissione su un evidente fatto di slealtà o, comunque, su un modo di gestire i lavori che non funziona. Il Governo ha avuto quasi due anni di tempo per deliberare un provvedimento sul quale noi dovremmo in mezz'ora esprimere un parere.
Ritengo che qualche segnale la Commissione bilancio lo abbia dato - come il collega Lulli ha già anticipato - credo però sconveniente insistere. Non abbiamo peraltro ricevuto risposta dal presidente oggi in Commissione, e tutte e tre le minoranze hanno a gran voce emesso questo grido di allarme.
Non abbiamo risposte, speriamo che almeno lei, nel rispetto che ha delle istituzioni - come ha sempre dimostrato - fornisca una risposta adeguata (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Ricordo all'onorevole Cimadoro ed ai colleghi che hanno sollevato la questione che è di tutta evidenza che la Presidenza non può in alcun modo interferire sulla tempistica adottata dal Governo per dar corso a una legge delega. È evidente che quanto denunciato dall'onorevole Formisano e ripreso dai colleghi si commenta da solo: due anni di tempo per esercitare una delega e la richiesta alla Camera dei deputati di pronunciarsi in una giornata.

GABRIELE CIMADORO. Un piano triennale!

PRESIDENTE. Non credo che occorrano commenti, è un fatto che nella sua oggettiva consistenza si commenta da solo.

Discussione della mozione Di Stanislao ed altri n. 1-00530 relativa alla definizione di un piano per il ritiro del contingente italiano in Afghanistan (ore 14,58).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Di Stanislao ed altri n. 1-00530 (Nuova formulazione) relativa alla definizione di un piano per il ritiro del contingente italiano in Afghanistan (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione della mozione è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che sono state altresì presentate le mozioni Cicu ed altri n. 1-00561, Tempestini ed altri n. 1-00562, Porfidia ed altri n. 1-00563, Vernetti, Adornato, Della Vedova ed altri n. 1-00564 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente (Vedi l'allegato A - Mozioni). I relativi testi sono in distribuzione.

Pag. 11

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Di Stanislao, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00530 (Nuova formulazione). Ne ha facoltà.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE (ore 15)

AUGUSTO DI STANISLAO. Signor Presidente, membri del Governo, onorevoli colleghi, l'Afghanistan è in una fase cruciale del conflitto e della sua lotta per uscire dalla povertà. Vi è una necessità oggettiva che le comunità internazionali facciano di più per aiutare gli afgani a creare istituzioni efficaci e per promuovere una crescita economica equa.
Malgrado siano passati dieci anni dalla presenza della NATO - attraverso la missione ISAF i cui obiettivi restano la ricostruzione, la stabilizzazione e l'addestramento all'interno di un mandato teso al mantenimento della sicurezza nell'interesse della ricostruzione e degli sforzi umanitari - la situazione in Afghanistan è peggiorata.
Gli afgani sono senza i servizi di base, la disoccupazione è diffusa. Nel 2005, l'indice di sviluppo umano per l'Afghanistan era di 173 su 178 Paesi. Oggi è di 181 su 182. La produzione di oppio è aumentata del 40 per cento. I proventi della droga rappresentano oltre il 60 per cento dell'economia. L'Afghanistan ha il peggior record delle morti infantili e ha un'aspettativa di vita che non supera i 44 anni, tutto ciò nonostante le centinaia di miliardi di dollari spesi dalla NATO: una forza che sembra impotente a difendere la popolazione dalle attività di un gruppo di signori della guerra.
Quello degli aiuti internazionali è stato il problema principale discusso nella conferenza dei donatori a Kabul del luglio 2010 che ha riunito 70 delegazioni di Paesi e rappresentanti delle istituzioni internazionali.
Tra il 2002 e il 2009 l'Afghanistan ha ricevuto circa 40 miliardi di dollari di assistenza internazionale. Di questi, solo 6 miliardi di dollari sono passati dal Governo centrale del Paese. I rimanenti 34 miliardi sono stati veicolati dalle organizzazioni internazionali. Una percentuale compresa tra il 70 e l'80 per cento di queste somme non ha mai raggiunto, e ripeto mai, la popolazione afgana. La maggior parte degli aiuti che i contribuenti e i donatori europei e americani intendono destinare a uno dei popoli più poveri del mondo si perde lungo la catena della distribuzione e ritorna sotto altre forme, lecite e illecite, ai centri da cui è partita.
Il Governo degli Stati Uniti ha anche istituito un ispettorato generale sulla ricostruzione dell'Afghanistan che inizia a misurare, finalmente, l'impatto dei fondi stanziati per lo sviluppo del Paese, ricostruirne la mappa, prevenire e identificare gli abusi. Sulla scia di quanto stanno facendo gli Stati Uniti, sono necessarie forme di controllo più rigorose - questo riguarda anche l'Italia e l'Unione europea - e un'indagine accurata sul miliardo di euro, ripeto, un miliardo di euro, di aiuti civili che l'Unione europea e i Paesi membri destinano ogni anno all'Afghanistan. Nessuna pace, onorevoli colleghi, membri del Governo e del Parlamento, è duratura ed è possibile in Afghanistan senza una sostanziale riduzione della povertà ed una lungimirante politica di sviluppo sostenibile.
Il recente rapporto ONU sulla missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan, la relazione sulla protezione dei civili nei conflitti armati rivela delle statistiche scioccanti: il numero dei civili uccisi in Afghanistan nei primi sei mesi del 2010 è salito del 30 per cento rispetto allo stesso periodo del 2009 a causa dell'aumento del numero di azioni ostili intraprese da parte di elementi armati.
Il 2010 è stato l'anno più sanguinoso da quando i talebani sono stati cacciati dalle forze afgane sostenute dagli Stati Uniti alla Pag. 12fine del 2001. Un totale di 6.716 sono gli incidenti di sicurezza nel 2010, come agguati, bombe su strada, attentati suicidi e lanci di razzi. La rivolta, però, ora si è spostata, nel corso degli ultimi due anni, dalle sue tradizionali roccaforti nel sud-est, in zone un tempo pacifiche del nord-ovest del Paese. Il nord, in particolare, è diventato un nuovo fronte mortale nella guerra
Le Nazioni Unite hanno detto che 2.412 civili sono stati uccisi e 3.803 feriti tra gennaio e ottobre dello scorso anno, il 20 per cento in più rispetto al 2009. Nonostante le dichiarazioni di alto profilo a Washington e Kabul circa i progressi compiuti in Afghanistan, il popolo afgano ha solo assistito e sofferto un conflitto armato intensificatosi negli ultimi mesi.
Contrariamente alla promessa del Presidente americano, Barack Obama, secondo cui il dispiegamento di altre 30.000 forze USA nel Paese avrebbe dovuto distruggere, smantellare e sconfiggere i ribelli talebani e i loro alleati di Al Qaeda nella regione, l'insurrezione è diventata più elastica, più strutturata e mortale.
In termini di insicurezza, cari colleghi, il 2010 è stato l'anno peggiore dalla caduta del regime talebano nel 2001. Non solo, il numero di incidenti è stato maggiore, ma lo spazio e la profondità della rivolta e le guerriglie connesse non aiutano a contrastare la violenza e hanno, altresì, ingrandito enormemente il pericolo di sicurezza. Fino a 1.200 incidenti per la sicurezza sono stati registrati nel mese di giugno, il più alto numero di incidenti dal 2002.
In mezzo a preoccupazioni diffuse circa la corruzione dilagante e l'abuso di potere da parte della polizia, la NATO non solo ha continuato ad assumere mal qualificati agenti, come riferito dai rapporti, ma ha ridotto il periodo di formazione a solo quattro settimane. Che cosa vogliamo fare con quattro settimane di formazione degli agenti afgani? La stragrande maggioranza delle forze di polizia è analfabeta e vi è una mancanza di conoscenze adeguate circa i fondamenti della polizia per i diritti civili e umani. Molti agenti di polizia sono tossicodipendenti o hanno considerevoli precedenti penali.
La corruzione dominante e l'abuso di autorità da parte della polizia hanno un impatto devastante sugli individui e sulla comunità civile che hanno un disperato bisogno di un senso di sicurezza, di protezione e di regole di diritto. La corruzione e l'abuso delle forze di polizia hanno anche contribuito alla criminalità diffusa, all'impunità penale e al diniego di accesso del popolo alla giustizia e ad altri servizi essenziali.
Da un recentissimo rapporto pubblicato da Human Rights Watch emerge che il Governo afgano e i suoi sostenitori internazionali hanno ignorato la necessità di tutelare le donne nei programmi per reintegrare i combattenti ribelli e non hanno garantito che i diritti delle donne saranno inclusi nei colloqui potenziali con i talebani. Il report affronta, tra l'altro, le sfide potenziali per i diritti delle donne derivanti da accordi di governo futuro con le forze ribelli e descrive come nelle zone sotto controllo talebano le donne siano spesso vittime di minacce, intimidazioni e violenze, e donne leader politici e attiviste siano attaccate e uccise impunemente. Nonostante le promesse dei sostenitori internazionali dell'Afghanistan per promuovere i diritti delle donne, Human Rights Watch continua a essere preoccupata che anche loro possano sacrificare i diritti delle donne come parte di una strategia di uscita dall'Afghanistan.
Un altro dato molto drammatico viene dalla condizione dei bambini - sempre in Afghanistan - che pagano il prezzo più alto. Infatti, secondo il rapporto di un'associazione umanitaria che combatte i soprusi e gli abusi contro i bambini, a cui fa riferimento anche Save the Children, l'Afghanistan è di giorno in giorno sempre meno un Paese per bambini. L'Afghanistan è tristemente noto per essere il Paese in cui si registra una delle percentuali più alte di bambini e bambine soldato. Casi documentati dimostrano che i bambini sono anche usati come attentatori suicidi da parte dei talebani. I bambini coinvolti Pag. 13vanno da 13-16 anni di età e, secondo le testimonianze degli attentatori falliti, vengono ingannati con promesse di denaro o altrimenti costretti a diventare kamikaze. Inoltre, molti bambini coinvolti in attacchi di tentato suicidio sono stati pesantemente indottrinati, molte volte in Paesi stranieri, e sono necessari ulteriori sforzi per combattere questa pratica. Alcuni rapporti indicano che i bambini utilizzati negli ultimi episodi di attentati non erano a conoscenza di quello che portavano. Altresì c'è la forte preoccupazione per la presenza di bambini nell'Afghan national army e nella polizia nazionale afgana.
Lo scorso febbraio 2010, il rappresentante speciale del Segretario generale ONU per i bambini coinvolti in conflitti armati, a conclusione della sua visita di sette giorni in Afghanistan, ha affermato che la protezione dei bambini deve essere al centro dell'agenda di riconciliazione del governo afgano, come sostenuto dalla comunità internazionale. Il rappresentante speciale ha dichiarato che i bambini devono essere protetti e di essere pronto a lavorare con l'ISAF e le forze armate governative per lo sviluppo di procedure operative standard che tutelino i bambini durante le operazioni militari.
L'allora comandante generale della NATO McChrystal aveva assicurato al rappresentante speciale che avrebbe lavorato con le Nazioni Unite per assicurare la migliore protezione dei bambini, ma a tutt'oggi nulla è stato fatto. Il clima generale di impunità, il vuoto normativo e la totale mancanza dei diritti hanno pregiudicato la denuncia della violenza e di abusi sessuali contro i bambini alle autorità. Sono aumentati gli attacchi alle scuole, le chiusure forzate, l'uso delle strutture scolastiche, i combattimenti o le esplosioni di ordigni nei pressi di edifici scolastici, gli attacchi militari mirati e le minacce nei confronti di allievi e personale docente.
L'Afghanistan è il secondo Paese al mondo per tasso di mortalità infantile, con 257 bambini con meno di 5 anni morti su ogni 1.000 nati vivi, e il Paese in cui mamme e bambini stanno peggio al mondo, secondo l'indice sullo stato delle madri di Save the Children. Ancora oggi oltre il 70 per cento dei parti avviene in casa senza alcuna assistenza specializzata. Un dottore segue in media 5.500 pazienti. Molto preoccupante è la diffusione e il consumo di droga, che a volte riguarda l'intera famiglia. Si calcolano in 60 mila i bambini sotto i 15 anni dipendenti da droga. Inadeguate sono l'assistenza e la cura dei bambini tossicodipendenti e anche di quelli colpiti da disturbi mentali e psicologici.
Save the Children ha lanciato un chiaro e allarmante appello e ha chiesto che venga approntato «un piano quinquennale per la protezione dei bambini, con degli obiettivi misurabili, come per esempio la riduzione del numero di attacchi alle scuole».
È in pieno svolgimento, cari colleghi, caro sottosegretario, una lotta determinante per le sorti dell'economia afgana e quindi per il destino di milioni di contadini e delle loro famiglie ovvero per la stragrande maggioranza del popolo di quel Paese: la lotta tra l'oppio talebano e le colture alternative promosse dalla coalizione internazionale, tra le quali spicca per produttività lo zafferano. I talebani sono tornati a convincere gli agricoltori della provincia afgana di Herat a coltivare l'oppio e ad abbandonare, di conseguenza, le coltivazioni legali, prima tra tutte, appunto, quella dello zafferano. Gli insorti sono stati visti distruggere campi di coltivazioni legali e minacciare gli agricoltori nella provincia occidentale di Herat, dove ha sede il Regional Command West a guida italiana e dove sono dispiegati i militari italiani.
Il narcotraffico rappresenta circa 500 milioni di dollari per quanto riguarda l'attività dei talebani. La produzione e il traffico di droga sono anche effetti della instabilità politica e trovano ampio spazio in uno Stato debole in cui «i signori della guerra» possono intimidire o corrompere i funzionari delle autorità incaricate o le forze di sicurezza. L'Afghanistan è un produttore illecito di oppio e vanta un primato mondiale riguardo a ciò in quanto fornisce circa il 90 per cento del mercato. Pag. 14Come il fattore «addestramento», anche quello delle colture alternative è un elemento essenziale nel faticoso cammino dell'Afghanistan verso la costruzione di uno Stato democratico e la lotta oppio versus altre coltivazioni è un fatto determinante se si vuole arrivare alla vittoria da qui al 2014.
E ancora, i medicinali e i prodotti farmaceutici donati allo scopo di mantenere l'esercito e la polizia afgani spariscono prima di raggiungere ospedali e cliniche militari. È stato rimosso dal suo incarico l'alto ufficiale medico dell'esercito nell'ambito di un'inchiesta per presunta corruzione che dovrà chiarire anche la relazione tra la scomparsa di medicinali del valore di 42 milioni di dollari, che gli Stati Uniti hanno donato quest'anno, e la morte di molti soldati afgani.
La strategia europea in materia di sicurezza comune adottata dal Consiglio europeo ha rivendicato a sé un ruolo più incisivo nel contesto internazionale. In particolare, si sottolinea la necessità, da parte dell'Unione europea, di assumersi le proprie responsabilità di fronte ad alcune minacce globali (terrorismo, criminalità organizzata, proliferazione delle armi di distruzione di massa, conflitti regionali). Nella relazione inviata nel mese scorso alle Nazioni Unite da parte di Staffan De Mistura, responsabile della missione Onu di assistenza all'Afghanistan, viene riportato che i «prossimi mesi saranno duri e ci sarà un peggioramento delle condizioni di sicurezza». I talebani «sono ancora là e programmano spettacolari attentati in tutto il Paese». Si tratta di una realtà drammatica, pertanto, in cui i talebani sono sempre più forti, il traffico di droga è aumentato, i signori della guerra si sono arricchiti, diventando sultanati indipendenti, la corruzione regna sovrana, le elezioni sono state inficiate da brogli elettorali di ogni genere, come è stato certificato da organismi internazionali, le donne e i bambini sono sempre in pericolo costante. Appare acclarato ormai che la missione di pace, sia essa di keeping o di enforcing, alla quale era stato destinato il nostro contingente, ha prodotto un fallimento e ciò va ammesso in ragione del fatto che tale missione ha in maniera evidente cambiato la propria natura nel corso del tempo, trasformandosi in presenza militare, ad avviso dei sottoscrittori del presente atto di indirizzo, in violazione dell'articolo 11 della Costituzione. Va segnalato, in tal senso, che, per le sole missioni Isaf e Eupol, il Governo italiano ha stanziato, dal 2002 a oggi, oltre 3 miliardi di euro - dico bene - dei quali circa il 90 per cento sono stati destinati ad armamenti ed equipaggiamenti e il solo restante 10 per cento per interventi di carattere civile, per interventi di ricostruzione e aiuto alla popolazione. Non è più pensabile di restare in quel drammatico teatro di guerra solo per coprire errori di strategia altrui, che stanno producendo una perdita dolorosa in termini di vite umane, sacrificate per stare in un Paese martoriato da troppi conflitti interni e un dispendio considerevole in termini finanziari. Parimenti non è più pensabile solo rivedere il senso della missione in Afghanistan come già deliberato lo scorso anno nel corso del dibattito sulle mozioni presentate in tale direzione.
Il momento che si accinge a vivere l'Afghanistan è uno dei più difficili e soprattutto pericolosi in assoluto da quasi dieci anni a questa parte. Sebbene gli altri alleati, a cominciare da Obama, abbiano convenuto di attuare una revisione della strategia di guerra, l'Italia non si è affatto posta il problema. Ciò, malgrado il 20 gennaio 2010 la Camera dei deputati abbia impegnato il Governo, con la mozione n. 1-00239 (Di Pietro e altri), a contribuire nelle sedi multilaterali all'aggiornamento e alla messa in opera della strategia di intervento per il ristabilimento della pace e della democrazia in Afghanistan, che è stata invece completamente ignorata dal Parlamento e soprattutto dal Governo. Il principale obiettivo delle missioni internazionali che vedono impegnati in prima linea il nostro Paese - lo ricordo a tutti quanti noi ma soprattutto al Governo e al Ministro della difesa - è la cooperazione allo sviluppo e al sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione. Pag. 15
Allora noi, ulteriormente, con questa mozione di oggi, intendiamo impegnare il Governo (non per l'ennesima volta, ma per l'ultima, perché abbia un sussulto di dignità): a farsi promotore con gli alleati di un maggiore controllo e monitoraggio sulle conseguenze che la missione in Afghanistan ha sulla popolazione civile; a valutare l'opportunità di individuare misure al fine di agevolare l'azione delle organizzazioni non governative che operano per fini umanitari in Afghanistan e Pakistan; ad avviare un monitoraggio e un controllo più diretto e mirato degli aiuti internazionali inviati a sostegno della popolazione civile afgana, al fine di dare un contributo al processo di ricostruzione del Paese in termini di legalità e di trasparenza; ad adottare ogni utile iniziativa per affrontare le molteplici problematiche che i bambini di questi territori sono costretti a subire con tragiche conseguenze; a valutare la reale condizione drammatica delle donne e delle ragazze nei territori dell'Afghanistan e i dati emersi dal rapporto di Human rights watch, una delle maggiori organizzazioni non governative internazionali che si occupa della difesa dei diritti, e a recepire le richieste sempre di Human rights watch e delle donne e delle ragazze che vivono in quei territori martoriati dalla guerra in linea con un mandato teso al mantenimento della sicurezza nell'interesse della ricostruzione e degli sforzi umanitari; da ultimo, ma non per ultimo, ad elaborare a breve termine un piano di rientro del nostro contingente militare dall'Afghanistan (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Di Stanislao, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Giulio Marini, che illustrerà la mozione Cicu ed altri n. 1-00561, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

GIULIO MARINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la missione ISAF è stata costituita a seguito della risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'ONU n. 1386 del 20 dicembre 2001 che, come previsto dall'Accordo di Bonn, ha autorizzato la predisposizione di una forza di intervento internazionale con il compito di garantire un ambiente sicuro a tutela dell'autorità provvisoria afgana e del personale delle Nazioni Unite. Accanto alle attività militari, ISAF assicura la fornitura di beni di necessità alla popolazione e promuove la ricostruzione delle principali infrastrutture economiche; a tal fine la missione collabora in modo stretto con Assistance Mission dell'ONU. Nell'ambito degli sforzi della comunità internazionale nella lotta al terrorismo e per il rispetto dei principi sacri della pace, della libertà e della legalità, l'Italia, grazie alla qualità e alla quantità del suo contributo alle missioni internazionali, tra cui in particolare ISAF, oltre a confermare il suo ruolo di prestigio sulla scena internazionale, si è guadagnata il convinto e unanime riconoscimento, tra tutti in particolare, del Presidente americano Obama, del Segretario generale della NATO Rasmussen, del comandante dell'ISAf, Petraeus, nonché delle autorità e popolazioni afgane, che in una o più circostanze hanno espresso giudizi di apprezzamento per il pregevole lavoro svolto dai nostri militari.
Dall'inizio della nostra partecipazione alla missione ISAF del 2002 hanno perso la vita 36 militari italiani, che non sono morti invano. Hanno perso la vita, compiendo il loro dovere in una missione internazionale voluta, riconosciuta e avallata dall'ONU, una missione di pace per la libertà e la sicurezza del popolo afgano, una missione di importanza strategica fondamentale anche per garantire la stabilità internazionale, un intervento necessario per l'affermazione della democrazia in un Paese nel quale si giocano i destini di un'intera area che non può essere lasciata sotto la minaccia di forze fondamentaliste, terroristiche e antidemocratiche. La presenza e il ruolo ISAF sono inoltre riconosciuti e apprezzati dalla stessa Assemblea Pag. 16generale delle Nazioni unite, come testimonia da ultimo la risoluzione n. 65/8 del 2010 sulla situazione in Afghanistan. La missione italiana in Afghanistan non è dunque solo una missione di pace, è anche una missione di libertà e di democrazia. L'Italia è determinata a mantenere l'impegno preso con la comunità internazionale per contribuire alla stabilizzazione, alla pacificazione e alla lotta contro il terrorismo in Afghanistan, con la presenza dei suoi contingenti a Kabul e a Herat, e non per condurre una guerra.
La base Snow, recentemente oggetto di diversi attacchi da parte di insorti, si trova nella valle del Gulistan. L'incremento delle nostre forze e mezzi ha consentito, infatti, di estendere a 20 chilometri la bolla di sicurezza attorno alla nostra base di Bala Murghab, consentendo a circa diecimila afgani di rientrare nei villaggi esistenti all'interno di tale bolla che, precedentemente, erano stati spopolati dalla presenza degli insorti. Tale strategia si ricollega alle riflessioni già avviate, a partire dallo scorso anno, allorquando è maturata, nella comunità internazionale, la convinzione, a causa della perdurante instabilità dell'area, che la soluzione esclusivamente militare al problema afgano non fosse sufficiente, ma che fosse necessaria una soluzione politica globale per il rafforzamento delle istituzioni afgane. La transizione prevede l'attività di tutoraggio e di formazione delle forze di sicurezza e, in quest'ambito, per il forte impulso alla formazione delle forze di sicurezza afgane, sarà incrementato e consolidato il ruolo ed il contributo nazionale grazie all'avvio di ulteriori duecento istruttori la cui eccellenza è ampiamente riconosciuta ed apprezzata.
In una prima fase, alcuni Paesi hanno assunto, oltre agli impegni finanziari per la ricostruzione, il ruolo di lead per l'assistenza in specifici settori dell'amministrazione: giustizia per l'Italia, esercito per gli Stati Uniti d'America, polizia per la Germania, lotta al narcotraffico per il Regno Unito e, successivamente, disarmo e smobilitazione delle milizie irregolari per il Giappone. Il nostro impegno civile in Afghanistan non è circoscritto al settore giustizia, ma i settori di maggior concentrazione della cooperazione civile italiana con l'Afghanistan sono attualmente: governance, a livello nazionale e locale, incentrato nella provincia di Herat; sistema giudiziario e diritti fondamentali, particolarmente su Kabul ed Herat; sviluppo rurale ed agricoltura, incentrato nella regione ovest; sanità, con focus particolare su Kabul ed Herat; infrastrutture stradali; aiuto umanitario alle fasce vulnerabili, prevalentemente nella regione ovest. La nostra cooperazione allo sviluppo per l'Afghanistan continuerà nel corso del 2011 in misura determinata dalle risorse rese disponibili attraverso i decreti-legge di rifinanziamento delle missioni internazionali. Attualmente, sono in corso 48 iniziative sostenute da fondi allocati negli anni precedenti, in larga parte destinati a progetti e programmi localizzati nella regione occidentale, in particolare nella provincia di Herat. Per il 2011, le risorse messe a disposizione dal decreto-legge missioni per il primo semestre sono pari a 16,5 milioni di euro.
Le ONG italiane che continuano ad operare sono cinque; i progetti in corso fanno capo a diversi settori di intervento: con riferimento a rule of law e amministrazione della giustizia, con un contributo complessivo di 13 milioni di euro, la cooperazione italiana è intervenuta per la riabilitazione e il sostegno del sistema giudiziario e penitenziario afgano; in ordine alla sanità, gli interventi si sono allineati ai programmi sanitari afgani e sono volti a migliorare l'accesso alle cure da parte della popolazione. Gli aiuti (10 milioni di euro) si sono concentrati nel settore materno-infantile e nell'emergenza dei grandi ustionati. Altri settori di intervento: agricoltura e sviluppo rurale, buon governo, infrastrutture stradali (iniziative per la costruzione di 136 chilometri della strada tra Bamyan e Maidan Shar, per un importo complessivo di 103 milioni di euro). Quanto agli aiuti comunitari, nel 2010 sono stati realizzati interventi di sminamento umanitario nelle province di Herat e Kabul, mentre sotto il profilo delle Pag. 17iniziative nel sociale, sul versante delle pari opportunità, la cooperazione italiana finanzia un programma di formazione imprenditoriale e professionale femminile a Kabul attraverso cui sono state costituite piccole imprese femminili nel taglio delle gemme, nel settore dell'elettronica, nel fotovoltaico, nei servizi di catering e di ristorazione, unico esempio gestito da donne in tutta Kabul.
Alla luce dei risultati ottenuti e di quelli che ancora si possono e si devono raggiungere, nonché della maggiore aggressività dimostrata dalle forze talebane, in virtù anche della circostanza per la quale il nostro Paese è impegnato in Afghanistan nell'ambito di una missione internazionale e potrà disimpegnarsi solo nel quadro di decisioni comuni, appare necessario intervenire per focalizzare lo sviluppo migliore della missione, riflettendo sulle potenzialità e gli obiettivi di breve e medio termine dell'impegno internazionale.
La presente mozione, quindi, impegna il Governo a confermare, coerentemente con la nuova strategia condivisa nell'ambito del recente vertice di Lisbona, il proprio contributo aggiuntivo, con particolare riguardo al settore della formazione delle forze di sicurezza afgane, ai fini del definitivo trasferimento delle responsabilità in materia di sicurezza; a proseguire nella collaborazione con le autorità afgane e gli alleati ISAF affinché le forze di sicurezza afgane siano messe, quanto più possibile, nelle condizioni di poter assumere la guida e la conduzione delle operazioni di sicurezza entro il 2014, fermo restando che l'impegno della NATO a sostegno dell'Afghanistan non verrà meno a quella scadenza, ma proseguirà anche attraverso lo strumento di cooperazione fra le parti approvato in occasione del vertice di Lisbona.
La mozione impegna inoltre il Governo ad accrescere l'impegno civile italiano per la stabilizzazione dell'Afghanistan in termini di sviluppo, rafforzamento istituzionale e collaborazione economica per contribuire in tal modo a creare le condizioni affinché il processo di transizione sia irreversibile e sostenibile; a continuare a svolgere un ruolo attivo e propositivo nei fori internazionali dedicati all'Afghanistan per evidenziare l'importanza di un approccio regionale alla questione afgana e per facilitare il processo politico interafghano (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tempestini, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00562. Ne ha facoltà.

FRANCESCO TEMPESTINI. Signor Presidente, colleghi, in modo molto schematico e credo anche rapido vorrei sottolineare alcuni punti essenziali. Abbiamo ascoltato nel corso di questa discussione alcuni stralci - posso così definirli - di interessanti, utili ed importanti report di organizzazioni internazionali che hanno trovato accoglienza nella mozione a prima firma Di Stanislao; si tratta di informazioni, dati, elementi che compongono il quadro che conosciamo e sulla base del quale abbiamo espresso nel corso di questi mesi e di questi anni la nostra preoccupazione per le difficoltà nelle quali la comunità internazionale si trova ad operare in Afghanistan. Si tratta, come dicevo, di elementi noti che compongono un quadro molto complesso, per qualche verso anche contraddittorio perché, accanto a tanti elementi di denuncia, penso anche che dobbiamo sottolineare quegli aspetti che appartengono all'altra categoria delle questioni, ossia quelle positive cioè il fatto che la virulenza dell'offensiva nasce anche dalla considerazione di alcuni punti. Ne cito uno per tutti: la questione dell'istruzione allargata ormai ad alcuni milioni di bambini che costituisce per quel Paese una novità di grande importanza e nello stesso tempo è uno degli elementi che più ha scatenato e scatena la reazione talebana. Quindi, un quadro certamente carico di ombre nel quale vi sono anche luci che nessuno ha mai pensato e credo che da questo punto di vista non abbiamo ascoltato neppure retorica da parte degli alti comandi se penso alle dichiarazioni Pag. 18dello stesso Petraeus. Ci sono state risparmiate esercitazioni di retorica. La comunità internazionale è consapevole delle difficoltà di un quadro così articolato e così difficile e ben vengano naturalmente tutte le sollecitazioni della Camera, di ogni gruppo con la rispettiva mozione che ha presentato, tutte le indicazioni utili affinché questo difficilissimo processo di transizione possa essere accompagnato da misure tali da alleviare e da correggere, laddove necessario, storture che riguardano l'uso dei fondi, la destinazione delle risorse, anche il difficilissimo e contrastato sviluppo e la difficilissima e contrastata articolazione della costruzione della società civile che è il vero tema su cui si misurano tutte le difficoltà e tutti i disastri, mi riferisco alla condizione della donna e a quella dei bambini in quel Paese.
Ma la domanda che naturalmente noi ci siamo posti, e non da oggi, perché credo che sia una domanda che tutti coloro i quali affrontano con onestà intellettuale questo tema non possono non porsi, è: che cosa accadrebbe se questo tentativo contraddittorio, difficile e incerto dovesse essere abbandonato, se da un giorno all'altro la comunità internazionale lasciasse l'Afghanistan? È questa la domanda tragica e per molti versi molto amara che ci siamo posti e che ha condotto inevitabilmente ad una risposta. Naturalmente questa risposta si può dare sulla base di differenti graduazioni.
La nostra opinione, espressa in altre mozioni, ma che riproponiamo in quella che abbiamo presentato in queste ore, è che noi non possiamo non fare come la comunità internazionale nel suo complesso, perché dobbiamo assecondare, favorire e rendere possibile un'exit strategy che non conduca ad un abbandono e che non conduca ad una fuga precipitosa, che trasformerebbe queste difficoltà di oggi in qualcosa di molto più drammatico e molto più difficile per quelle popolazioni.
Partendo da questa stella polare e da questo orientamento di carattere generale, noi naturalmente non pensiamo che si debba stare fermi. Non lo pensiamo innanzitutto perché ci siamo dati delle scadenze, anche come Parlamento. Noi credo, nel corso dei mesi a venire, da parte dell'ONU e della NATO e quindi anche dei comandi militari avremo sostanzialmente una risposta alla domanda che era implicita ed alla quale d'altronde gli stessi alti comandi militari ci avevano sollecitati, cioè una risposta su quale sia l'esito di questa fase che si è inaugurata nell'azione di contrasto, una fase che ha portato per alcuni versi ad un indurimento sul terreno degli scontri, una fase giudicata dalla comunità internazionale necessaria per verificare la possibilità di dare un colpo all'insorgenza.
Naturalmente questa «scadenza» è nelle cose, perché corrisponde ad una fase e ad una dichiarazione esplicita della stessa ONU presente in Afghanistan - ricordiamo proprio in questo senso le dichiarazioni del rappresentante Staffan De Mistura e naturalmente si accompagna a quell'altra decisiva fase di lavoro sul terreno e più in generale anche dei confini dell'Afghanistan, che è quella della costruzione di un equilibrio regionale tale per cui la questione afgana possa essere pilotata fuori dal contrasto dell'emergenza militare.
Sono due capisaldi di un'azione a cui la comunità internazionale guarda con attenzione molto seria e molto responsabile ed a cui collega lo sviluppo della presenza dei contingenti in Afghanistan. Questo è accompagnato, come ben sappiamo, da un ragionamento che attiene al come essere nella società civile e al come stare a fianco della società civile afgana. Naturalmente qui esistono opinioni diverse. Noi siamo tra quelli che giudicano assolutamente insufficiente ciò che è stato fatto, cogliamo tutte le difficoltà dell'azione per poter dire con sufficiente sicurezza che si possono misurare, come dicevo all'inizio, passi in avanti significativi. Ci sono più ombre che luci da questo punto di vista.
Ma noi - e vado verso la conclusione - dobbiamo allora entrare nell'altro caposaldo dell'impostazione che ci siamo dati come Parlamento, cioè di vedere in questa fase di transizione come assolutamente Pag. 19decisiva nei mesi che verranno, ma con una gradualità che è partita e deve partire sin da oggi, un'«afganizzazione» del conflitto, come è stata definita. Noi dobbiamo cioè giorno per giorno misurarci con il tema di un graduale ma significativo e reale trasferimento sulle spalle delle responsabilità afgane dell'onere del contrasto militare.
In questo senso, noi introduciamo nella nostra mozione una prima riflessione, che riguarda il tema della destinazione delle nostre presenze in quell'area. Per quello che ci riguarda, pensiamo che il processo di «afganizzazione» deve essere assolutamente una priorità, e che qualunque ipotesi riguardante diverse dislocazioni del nostro contingente militare debba essere riguardata sotto questa specie: diverse destinazioni devono essere commisurate, anzitutto, all'esigenza di un ulteriore trasferimento della responsabilità del contrasto agli afgani.
Questo è un tema delicato, ce ne rendiamo conto, perché attiene al modo con il quale questo contrasto si svolge e alle responsabilità dei comandi unificati, ma reputiamo che la nostra presenza in Herat è una presenza che non può essere replicata altrove, mentre è invece possibile, altrove, che l'azione italiana possa contribuire a processi di «afganizzazione» del contrasto. Questo è il punto conclusivo di un ragionamento che riguarda il tema e che ci porta a dire che parlare di una conclusione in termini unilaterali non porterebbe, sostanzialmente, lontano. Dobbiamo stare dentro la logica multilaterale, dobbiamo avere nella logica multilaterale sempre più chiara l'esigenza di dare una stretta al processo di «afganizzazione», dobbiamo stare nel processo multilaterale per approfondire le questioni relative alla società civile afgana, ma dobbiamo stare dentro un processo ancora molto difficile e complesso.
Ciò non toglie - e abbiamo voluto lasciare traccia, nella nostra mozione, anche di questo aspetto - che ciò che sta accadendo nel Mediterraneo e in un'area decisiva come il grande Medio Oriente - di cui è parte significativa la regione afgano-pakistana - porta noi e il Paese a porsi un interrogativo, che non è una domanda di economia (vi è anche quella naturalmente, perché i costi della missione cominciano ad essere importanti), ma un tema di fondo sul quale crediamo che il Governo debba avviare una riflessione o che, comunque, poniamo al Governo come tema centrale: è oggi, in questa condizione nuova che si sta determinando nel Mediterraneo, così automatico pensare che la gerarchia delle priorità dei nostri interventi, delle nostre azioni e delle nostre presenze militari sia la stessa di ieri?
Questa domanda, naturalmente, è complessa, e richiederebbe una discussione approfondita e tutta particolare, ma certamente oggi abbiamo una presenza molto significativa, anche in termini quantitativi, e molto importante dal punto di vista economico dell'Italia in Afghanistan e abbiamo presenze che fatichiamo a colmare in tutta l'area del Mediterraneo, che sta attraversando, come ben sappiamo, una grande rivoluzione, da ogni punto di vista.
La domanda che ci dobbiamo porre, anche questa non in una logica unilaterale, ma in una logica complessiva e partecipata anche con l'amministrazione Obama e con l'Europa, è: come corrispondere a queste novità con approcci politici di presenza e di partecipazione diversa da quella che abbiamo oggi? Si tratta di una discussione che noi possiamo aprire e che andrà in contemporanea con la discussione che dobbiamo approfondire nei prossimi mesi, per fare il punto sull'Afghanistan, che ci porta a dire che dobbiamo perseguire la nostra azione in una logica di continuità, ma nel contempo di apertura alle novità che si sono determinate.
Penso che ciò significhi una politica estera capace di stare non sulla novità in quanto tale, ma su ciò che vi è dietro, e cioè sui fenomeni sociali, politici ed economici che si stanno mettendo in atto, ai quali dobbiamo corrispondere con intelligenza e capacità di innovazione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

Pag. 20

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Porfidia, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00563. Ne ha facoltà.

AMERICO PORFIDIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, mai come in questo momento una mozione che affronti il problema della presenza delle nostre truppe in Afghanistan è così necessaria, non solo per un motivo politico di riflessione all'interno del Parlamento stesso, ma anche come elemento di informazione verso i cittadini che sono colpiti in alcuni momenti dai brutti messaggi che arrivano dall'Afghanistan e che interessano i nostri militari.
Voglio ricordare che questa missione è stata voluta fortemente dagli Stati Uniti, appoggiati dall'ONU, dopo l'attentato terroristico dell'11 settembre 2001. Infatti fu data vita alla operazione cosiddetta «libertà duratura» che aveva come obiettivo quello di portare a fine il regime dei talebani e la distruzione soprattutto dei campi di addestramento da cui partivano tutti gli attentati non solo a livello degli Stati Uniti, ma di tutto il mondo.
Nel giro di un paio di mesi il regime talebano viene rovesciato e questo accade nel novembre del 2001. Si insedia, dunque, un Governo democratico con Karzai che è tuttora il Capo dello Stato dell'Afghanistan. Sappiamo tutti che le forze dell'ISAF sono lì per garantire sicurezza e stabilità al nuovo Governo e, nonostante sia la polizia a mantenere ufficialmente l'ordine, qualche volta sono i comandi militari regionali ad occuparsi di ciò, soprattutto nelle campagne.
La missione ISAF è una forza di intervento internazionale che ha il compito di garantire un ambiente sicuro a tutela dell'autorità afgana che si è insediata a Kabul il 22 dicembre 2001 a seguito della risoluzione n. 1386 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite del 20 dicembre 2001, per cui è necessario confermare che questa operazione è un'operazione che è voluta da tutti, ma soprattutto dal Consiglio di sicurezza dell'ONU, quindi è condivisa da tutte le nazioni del mondo. Dall'agosto 2003 il contingente è passato alle dipendenze della NATO.
Il 2010, l'anno appena concluso, è stato l'anno sicuramente più difficile per le truppe alleate e, in generale, per il conflitto afgano. La perdita di vite umane per i contingenti militari stranieri è stata superiore agli anni precedenti e questo sta ad indicare quanto la situazione peggiori sempre di più, nonostante la presenza delle truppe militari: 711 caduti da gennaio, tra i quali 498 statunitensi e 103 britannici, cifre che portano il totale dei caduti in nove anni di guerra a oltre duemila, inclusi i morti per incidenti e malattie.
Veniamo all'Italia: il primo contingente italiano in Afghanistan risale al 2003 con l'invio di un piccolo contingente a Khost, nella zona sul confine pakistano, potenziato dal 2005 con schieramento di una forza sempre più grande nella regione sud-occidentale di Kabul. Chiaramente questo aumento di truppe inviate in Afghanistan ha determinato anche una crescita del numero dei morti italiani. Nessun dato certo lascia intendere che questa tendenza, purtroppo, possa declinare, anzi, tutt'altro. Più truppe disponibili significa poter dislocare i reparti in più settori e aumentare le operazioni contro gli insorti.
Alla proporzione tra aumento di organici e di perdite non è sfuggito neppure il contingente italiano che nel 2010 ha avuto 35 caduti in Afghanistan, due in più dei 33 soldati uccisi in Iraq tra il 2003 e il 2006. Le perdite subite dal contingente italiano sono proporzionali, quindi, all'incremento delle forze in campo, salite da 3200 a 4 mila rispetto al 2009 quando i caduti italiani furono nove, sette dei quali uccisi dai talebani.
Le ultime elezioni afgane si sono tenute anch'esse in un clima di alta tensione nel settembre 2010, con l'afflusso alle urne del 40 per cento degli aventi diritto; alle presidenziali dell'anno scorso aveva votato il 30 per cento.
Quindi, questo sta a indicare che la presenza militare ha già determinato qualcosa dal punto di vista della democrazia. Pag. 21I razzi dei talebani hanno però provocato, anche in quell'occasione, quattordici morti. Oltre a ciò non va dimenticato il preziosissimo lavoro che è stato svolto dai nostri militari, che dall'inizio della missione hanno portato a termine numerose iniziative di sostegno alla popolazione civile, contribuendo in vaste zone a ripristinare condizioni di vita normale. Sono stati fatti tantissimi interventi legati alla sicurezza, ma anche altri legati proprio alla realizzazione di infrastrutture, apertura di scuole, installazione di pompe per pozzi, strade ed acquedotti, il tutto per sostenere la vita delle popolazioni locali.
Voglio ricordare un evento che è particolare in tutto questo, ossia la riunione fatta da parte delle forze italiane con ben ottantadue capi villaggio che hanno assicurato la loro cooperazione con le forze ISAF e le forze afgane. Quindi, il lavoro meticoloso che stanno facendo i nostri militari in quella zona è veramente encomiabile, e questo encomio è stato riconosciuto dallo stesso Presidente Obama.
Nonostante gli sforzi profusi, tuttavia la situazione odierna in Afghanistan non è affatto come si sperava. Gli enormi sacrifici, anche di vite umane, hanno di molto migliorato la situazione ma non hanno ancora prodotto quelle condizioni che si ritengono indispensabili per riportare la democrazia in Afghanistan. In particolare, lo scenario di guerra si fa sempre più duro e il nostro contingente purtroppo è ancora immerso in quella realtà. Ecco perché è necessario chiarire le nostre posizioni, in particolare quelle del Parlamento italiano, e chiarire soprattutto agli italiani quale sia lo stato attuale.
Noi del gruppo di Iniziativa Responsabile crediamo che siamo arrivati al momento che gli italiani sappiano che cosa vogliamo fare. Chiediamo infatti un impegno ben chiaro al Governo. Dobbiamo confermare, coerentemente con la strategia che abbiamo condiviso nell'ambito anche del recente Vertice di Lisbona, il nostro contributo a quella nazione, con particolare attenzione, per quanto riguarda l'Italia, al settore della formazione delle forze di sicurezza afgane, però dall'altra parte chiediamo con forza al Governo di chiarire che entro il 2014 il nostro contingente non sarà più presente Afghanistan, che tutti i nostri italiani entro il 2014 saranno di nuovo nella loro nazione, e se possibile anche prima.
Chiediamo altresì al Parlamento di predisporre, in accordo con gli alleati e le autorità afgane, questo piano di rientro, ma nello stesso momento chiediamo che resti fermo l'impegno della NATO a sostegno dell'Afghanistan, che non deve venire meno a quella scadenza ma deve proseguire anche attraverso lo strumento della cooperazione tra le parti, come è stato anche sancito nel Vertice di Lisbona. Anzi, dobbiamo accrescere il nostro impegno civile italiano per la stabilizzazione dell'Afghanistan in termini di sviluppo e dobbiamo contribuire a creare le condizioni affinché il processo di transizione sia irreversibile e soprattutto sostenibile. Continuiamo a svolgere un ruolo attivo e propositivo nei fori internazionali dedicati all'Afghanistan per evidenziare l'importanza di un approccio regionale alla questione afgana e per facilitare il processo politico interafgano.
Ribadisco quindi che il Governo deve dire in modo chiaro se ha questa intenzione ed è questo ciò che noi del gruppo di Iniziativa Responsabile chiediamo in questa mozione, invitando tutto il Parlamento a votare a favore della stessa.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vernetti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00564. Ne ha facoltà.

GIANNI VERNETTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, abbiamo presentato una mozione come forze politiche componenti del nuovo polo (Alleanza per l'Italia, Unione di Centro e Futuro e Libertà), ma prima di illustrare la nostra mozione volevo cogliere l'occasione per una breve riflessione sulla mozione presentata dall'Italia dei Valori, che ritengo abbia un'impostazione profondamente distante da quella che è oggi la cultura politica prevalente in seno all'Unione europea e alla comunità internazionale. Quella mozione Pag. 22descrive un mondo alla rovescia, un mondo che è spesso nella retorica di quanti chiedono ritiri immediati e disimpegno dall'Afghanistan.
Questo mondo alla rovescia viene sempre disegnato con un certo tratto distintivo. Non si capisce più perché siamo in Afghanistan. Sembra che siamo lì per chissà quali pulsioni neoimperialiste o neocolonialiste. Non si capisce più quale è il senso della missione: che siamo lì sulla base di una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite approvata poche ore dopo l'attentato dell'11 settembre quando l'Afghanistan - anche per la disattenzione della comunità internazionale - era diventato uno Stato fallito, nel quale per gruppi terroristici come Al Qaeda era possibile godere di un'ampia extra-territorialità.
Quindi, credo che oggi parlare di ritiro del contingente italiano dall'Afghanistan - come fa la mozione del gruppo Italia dei Valori - sia un gravissimo errore, intanto perché ciò rappresenterebbe un atto unilaterale.
Chi critica l'unilateralismo e chi pensa che la condivisione multilaterale (come anche noi pensiamo) sia il modo migliore per gestire le crisi a livello internazionale, dovrebbe rendersi conto che oggi pensare e proporre il ritiro del contingente italiano è un gesto unilaterale contro l'Europa. Infatti, noi siamo lì con contingenti di altri dei 27 Paesi dell'Unione europea e di almeno un'altra dozzina di altri Paesi non membri dell'Unione, ma Paesi europei. Si tratterebbe di un gesto anche contro la NATO, la nostra alleanza politico-militare, e contro gli impegni assunti dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
Quindi, ciò è naturalmente difficile ogni volta che c'è un lutto, ogni volta che il nostro contingente ha delle perdite o semplicemente dei feriti, ogni volta che il contingente militare è impegnato in un conflitto bellico in difesa e tutela del territorio.
L'opinione pubblica spesso non comprende perché dei nostri ragazzi, uomini e donne ai quali va la nostra stima per la loro professionalità e la loro capacità, debbano mettere a rischio la propria vita in un Paese così lontano dall'Italia.
Noi riteniamo che ci sia un chiaro interesse nazionale, intanto per la condivisione delle scelte. L'essere in Europa significa condividere le scelte con gli alleati europei. Essere membri della NATO e condividere scelte tra le due sponde dell'Atlantico è un valore in sé, non è un vezzo o una scelta casuale. È un valore in sé e noi siamo parte di questa comunità internazionale. Noi siamo consapevolmente europeisti e atlantisti.
Quindi, la prima questione è che siamo in quel contesto estremamente difficile per una scelta condivisa. Il secondo tema è che siamo in quel contesto difficile perché ce lo chiedono le Nazioni Unite e il legittimo Governo afgano.
Dopo la prima fase di conflitto e di liberazione del territorio (quello è un Paese che, tra mille difficoltà, ha faticosamente consolidato istituzioni democratiche con decine di elezioni a tutti i livelli), oggi un Parlamento e un Governo democraticamente eletti ci chiedono di continuare la nostra presenza.
Credo che non ci sia dubbio che tutto è migliorabile. La presenza italiana, europea e della NATO in Afghanistan è certamente migliorabile, ma non c'è dubbio che siano stati ottenuti risultati significativi e a questi dobbiamo guardare.
Fin da ora annuncio che voteremo con convinzione contro la mozione proposta dal gruppo di Italia dei Valori. La nostra mozione, invece, cerca di mettere un po' di ordine fissando delle priorità. Le priorità - lo ripeto - sono quelle italiane ed europee, condivise con gli alleati della NATO.
Quindi, occorre rafforzare la capacità di protezione del nostro contingente, migliorarlo, mettere i nostri soldati nelle condizioni di avere il massimo del sostegno e dell'efficienza tecnica.
Inoltre, occorre aumentare le capacità di addestramento del nostro contingente. Noi siamo molto apprezzati nel mondo per le capacità di formazione. I nostri carabinieri e le nostre forze di polizia hanno Pag. 23delle capacità inedite di formazione dei contingenti locali. Noi dobbiamo creare le condizioni per restituire a quel Paese il pieno controllo del proprio territorio e, quindi, la cosiddetta «afghanizzazione» del conflitto.
Inoltre, dobbiamo migliorare la capacità di intervento per sostenere lo sviluppo. Anche a questo proposito, vorrei evitare facili retoriche quando si pongono in alternativa gli investimenti militari e gli investimenti per lo sviluppo. È troppo facile, non è accettabile: la sicurezza è una precondizione per lo sviluppo. Se non sono raggiunte le minime condizioni di sicurezza sul territorio, non c'è il consolidamento delle istituzioni democratiche - ma come non c'è in Afghanistan, non ci sarebbe nemmeno dietro casa nostra - e non c'è possibilità di creare condizioni per lo sviluppo.
Quindi, noi sosteniamo la nuova strategia delle forze della coalizione, elaborata dai comandi congiunti della NATO europei e americani.
Diciamo che oggi la protezione dei civili è la vera priorità. Occorre garantire stabilità dopo il conflitto bellico, perché non è più semplicemente sufficiente combattere un gruppo talebano o un gruppo di insorgenti e poi ritirarsi. Piuttosto, dobbiamo garantire la presenza su quel territorio per far riporre la fiducia, da parte della popolazione, nelle forze della coalizione ma anche in se stessa e creare così quelle condizioni minime per sviluppare l'economia e il mercato. Non vi è mercato senza una rete stradale efficiente e una rete stradale efficiente deve essere anche sicura.
Come dicevo, in ordine al processo di afganizzazione - e lo ripeto - siamo assolutamente convinti che non rimarremo in Afghanistan in eterno. Il nostro obiettivo è rimanere fino a quando tutti insieme nella coalizione decideremo che vi saranno quelle condizioni sufficienti per poterci ritirare. Questa è certamente l'ambizione di ognuno.
Inoltre, pensiamo che si debba incrementare l'azione per il contrasto alla produzione dell'oppio. Anche in questo senso dobbiamo creare le condizioni perché la riconversione verso colture redditizie sia un'opportunità e una concreta possibilità che, però, oggi non è ancora possibile.
Inoltre, impegniamo il Governo ad adottare iniziative volte a sostenere un processo di dialogo. Dobbiamo sostenere il Governo Karzai nel tentativo di dialogare con quelle parti dell'insorgenza che possono abbandonare la scelta della lotta armata e intravedere, invece, una possibilità di futuro politico e di integrazione in un contesto democratico. Pertanto, siamo favorevoli a sostenere ogni forma di dialogo con quelle parti dell'insorgenza certamente disponibili a farlo.
Inoltre, credo che il tema delle donne in Afghanistan sia un tema cruciale e importante. Quando qualcuno ci chiede perché siamo in Afghanistan penso che un unico dato basterebbe a motivare la nostra permanenza in Afghanistan: fino al 2001 alle bambine e alle ragazze era impedito frequentare una scuola. Dopo l'intervento delle forze della coalizione oggi 7 milioni di bambini e di ragazzi frequentano regolarmente i corsi scolastici. Certamente, non saranno gli standard europei ma, intanto, è un'opportunità e una possibilità che il regime oscurantista e medievale dei talebani aveva, con violenza e con brutalità, negato.
L'Italia deve fare di più per sostenere il processo di piena valorizzazione della donna nella società afgana e nelle istituzioni democratiche.
Credo, infine, che il Governo debba riferire costantemente sui progressi e sullo sviluppo della nostra presenza.
Questi sono i motivi per i quali, fin d'ora, preannunziamo che voteremo convintamente contro la mozione presentata dall'Italia dei Valori che, come ripeto, disegna un mondo alla rovescia che non condividiamo. Pertanto, proponiamo questa nostra mozione all'Assemblea (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Alleanza per l'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Baldelli. Ne ha facoltà.

Pag. 24

SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, intervengo soltanto per lasciare il mio intervento agli atti di questa discussione sulle linee generali. Intanto, esprimo il mio ringraziamento nei confronti del collega Giulio Marini, che ha illustrato la mozione del Popolo della Libertà in ordine a questo tema.
Inoltre, signor Presidente, rilevo come la mozione inizialmente iscritta all'ordine del giorno su questo tema - su richiesta dell'opposizione e, in particolare, quella a prima firma dell'onorevole Di Pietro - sia stata sostanzialmente modificata e, addirittura, sia andata in una direzione quasi opposta. Infatti, abbiamo assistito a un primo testo della mozione Di Pietro ed altri che sostanzialmente chiedeva un immediato ritiro delle truppe in Afghanistan, mentre oggi discutiamo una quantità di mozioni relative alla richiesta da parte dell'Italia dei Valori di porre all'attenzione di questo ramo del Parlamento questo tema, con una mozione a prima firma non più dell'onorevole Di Pietro, ma dell'onorevole Di Stanislao che è quasi di segno opposto.
Pertanto, probabilmente alcuni interventi di certi colleghi si sono riferiti alla prima versione della mozione Di Pietro ed altri. Credo che, però, il parere che ascolteremo al termine della discussione generale da parte del Governo - quando inizieremo il seguito della discussione delle mozioni - sarà relativo alle mozioni nella loro versione definitiva.
È evidente che non possiamo non registrare che, dal punto di vista dell'Italia dei Valori, sia avvenuto, in corso d'opera, un cambio di rotta radicale anche se, lo ripeto, non diametralmente opposto e che questa discussione avvenga nella concomitanza della permanenza in vigore di un provvedimento - il decreto-legge sulle missioni - all'attenzione prima di questo ramo del Parlamento e attualmente nell'altro ramo del Parlamento, il Senato, relativo appunto alle missioni internazionali e che di per sé sarebbe inclusivo anche della questione dell'Afghanistan.
Quindi, signor Presidente, intervengo solo per dar luogo a queste sottolineature, vale a dire per ricordare che sono state presentate, anche se non formalmente, ma di fatto due mozioni dell'Italia dei Valori. La prima richiedeva il ritiro immediato delle truppe dall'Afghanistan, ma successivamente - ne prendiamo atto perché non possiamo fare diversamente - vi è stato un cambio di posizione dell'Italia dei Valori poiché la linea dell'onorevole Di Stanislao è prevalsa sulla linea dell'onorevole Di Pietro. Quindi, l'Italia dei Valori non vuole più il ritiro immediato dei nostri soldati dall'Afghanistan, ma evidentemente chiede - insieme ad una quantità di altre cose concernenti l'impegno umanitario ed iniziative che pure sono state illustrate dall'onorevole Di Stanislao - che si dia luogo ad un piano di ritiro progressivo delle nostre truppe.
Ne prendiamo atto, attendiamo di conoscere quale sarà il parere del Governo. Per quanto ci riguarda, evidentemente sosteniamo la nostra mozione che - lo ripeto - consapevolmente e compiutamente è stata illustrata dal collega Giulio Marini.
Credo che questo sia un elemento di chiarezza anche a fronte del dibattito che abbiamo ascoltato e nell'ambito del quale vi sono stati interventi che, a mio modesto avviso, non consideravano tanto la seconda versione della mozione dell'Italia dei Valori quanto in realtà, signor Presidente, la prima mozione e, quindi, avevano maturato anche giudizi di merito, valutazioni e dichiarazioni di voto che appartengono - lo sottolineo, signor Presidente - ad una seconda fase, ossia quella del seguito dell'esame delle mozioni stesse, che evidentemente dovrà essere effettuato non solo all'insegna dei pareri che il Governo esprimerà, ma anche del testo effettivo e definitivo delle mozioni, così come modificate dai presentatori.

PRESIDENTE. Sospendo adesso la discussione sulle linee generali, che riprenderà al termine dell'informativa urgente del Governo, prevista per le ore 16.

Pag. 25

Informativa urgente del Governo sugli sviluppi della situazione in alcuni Paesi dell'area mediterranea (ore 16,04).

PRESIDENTE. Avrà ora luogo lo svolgimento di un'informativa urgente del Governo sugli sviluppi della situazione in alcuni Paesi dell'area mediterranea.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO FINI (ore 16,05)

PRESIDENTE. Dopo l'intervento del rappresentante del Governo interverranno i rappresentanti dei gruppi in ordine decrescente, secondo la rispettiva consistenza numerica, per cinque minuti ciascuno. Un tempo aggiuntivo è attribuito al gruppo Misto.

(Intervento del Ministro degli affari esteri)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Ministro degli affari esteri, Franco Frattini.

FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Signor Presidente, onorevoli deputati, sono particolarmente lieto di essere anche questa settimana qui in Aula per informare il Parlamento su alcune vicende che stanno riguardando evidentemente importanti Paesi dell'area mediterranea, all'esito di una serie di visite che ho effettuato negli ultimi due giorni in Paesi importanti, alcuni dei quali - e penso alla Tunisia - sono stati e sono oggetto di un vivace dibattito politico e istituzionale a seguito dell'improvviso grande flusso di immigrati che, da quel Paese, sono arrivati alle coste italiane.
Quindi, inizierei proprio con la Tunisia, dove ho avuto ieri sera la possibilità di incontrare con un lungo e approfondito colloquio il Primo Ministro Ghannouchi. Abbiamo registrato, in primo luogo, in modo molto positivo, l'impegno del Governo tunisino transitorio a proseguire nella strada della rivoluzione pacifica che ha attraversato la Tunisia, una strada che sta preparando le riforme in vista delle elezioni che il Primo Ministro ha programmato per un periodo relativamente vicino (egli ha detto tra il mese di luglio e il mese di agosto di quest'anno) preannunciandomi anche l'adozione di importanti decisioni politiche e politico-istituzionali, quale quella dell'adesione della Tunisia alle convenzioni internazionali più importanti sui diritti umani.
Tra queste vi sono la Convenzione internazionale per la lotta alla tortura, la Convenzione che ha istituito la Corte penale internazionale ed altre.
Ho espresso al Primo Ministro Ghannouchi il pieno sostegno anzitutto politico del Governo italiano per questa transizione pacifica che sta coinvolgendo la società civile (sapete che una buona parte dei ministri del Governo transitorio del Primo Ministro vengono dalla società civile e dal mondo delle professioni, non hanno legami diretti con partiti politici) e l'impegno evidentemente politico dell'Italia a sostenere in vari modi - che rapidamente accennerò - questa fase di transizione.
Da parte del Governo tunisino, evidentemente, vi è stato un forte impegno - riaffermato all'inizio del nostro incontro - a contrastare con ogni strumento legale il traffico degli esseri umani. La Tunisia ha compreso che le migliaia di giovani e giovanissimi tunisini che sono arrivati sulle coste italiane sono le vittime evidenti di un traffico di esseri umani che oggi ha visto la definizione di vere e proprie tariffe per il passaggio nel Mediterraneo, senza neanche la garanzia di salvare la propria vita, cosa quindi che il Governo tunisino è fermamente determinato a contrastare. Evidentemente, già a partire da ieri, abbiamo visto alcune azioni intraprese. È stata schierata la Forza armata tunisina (l'esercito) a difesa e a presidio della legalità sui porti tunisini, il che ha condotto già oggi all'intensificazione di controlli nei porti di Gabes, di Sfax e di Zarzis con il blocco di alcuni barconi che erano già pieni di persone e stavano prendendo il largo evidentemente verso l'Italia. Pag. 26
È un impegno con alcuni fatti concreti, non mi faccio illusioni, non possiamo abbassare la guardia, non possiamo rinunciare all'impegno che ho riaffermato ancora ieri per una collaborazione anzitutto bilaterale italo-tunisina - poi ovviamente parleremo dell'Europa - anche attraverso un'assistenza tecnica da parte italiana; penso alla fornitura di materiali e di equipaggiamenti alle forze tunisine impegnate nel contrasto dei flussi illegali.
Certamente, sempre a livello bilaterale, occorre rivitalizzare l'Accordo italo-tunisino sull'immigrazione. È un Accordo che esiste, ma che evidentemente non era stato messo in esecuzione in tutte le sue parti. È una base importante dalla quale dobbiamo ripartire molto rapidamente per una piena attuazione di questo impegno.
Al Primo Ministro Ghannouchi ho espresso anche la disponibilità del Governo italiano a partecipare con uomini e mezzi dell'Italia a una missione Frontex dell'Unione Europea in acque internazionali, lasciando evidentemente al punto di raccordo fra acque internazionali ed acque tunisine scattare la responsabilità delle forze navali tunisine per la presa in consegna degli immigrati clandestini che fossero evidentemente intercettati al limite delle acque territoriali.
Non è in altri termini questo niente di nuovo, è quello che le missioni europee di Frontex hanno sempre fatto - e credo dovranno fare - limitando le regole di ingaggio ovviamente alle acque internazionali ma chiedendo la collaborazione di tutti i Paesi rivieraschi interessati per completare nelle acque interne l'azione di collaborazione internazionale.
Di questo evidentemente discuteremo in sede europea. Dove e come? Abbiamo chiesto la convocazione di una sessione ad hoc del Consiglio dei Ministri degli esteri e dei Ministri degli interni ed una sessione del Consiglio europeo dei Capi di Stato e di Governo, destinati ad occuparsi ovviamente non della sola questione tunisina, ma della questione strategica e geopolitica dei fenomeni migratori nel Mediterraneo, acuiti dalle situazioni di difficoltà o di crisi in alcuni Paesi della riva sud. L'Unione europea ha risposto positivamente alla richiesta del presidente Berlusconi al Presidente Van Rompuy di convocare presto un Consiglio europeo straordinario sull'immigrazione e sulla situazione in nord Africa. Per parte nostra, i Ministri degli esteri si riuniranno già questa domenica per affrontare in una sessione di lavoro pomeridiana ad hoc la questione e poi nel Consiglio formale, che sarà lunedì mattina sempre a Bruxelles. Questo nostro lavoro precederà il Consiglio dei Ministri degli interni, che si riuniranno il successivo 24 febbraio ed avremo, quindi, il quadro delle azioni che l'Europa può e deve intraprendere sotto il profilo operativo, sotto il profilo del pattugliamento - già avete visto, onorevoli colleghi, la risposta positiva alla partenza di una missione Frontex - e sul piano del contributo finanziario a Paesi - in questo caso l'Italia - che devono e dovranno sopportare degli oneri per far fronte all'emergenza, per ora a livello bilaterale.
L'Italia ha presentato un documento molto articolato in otto punti, che descrive le richieste del nostro Paese alla Commissione europea, a cominciare dalla gestione dell'emergenza, cioè la destinazione di coloro che sono arrivati in queste ore in Italia, che sono oltre cinquemila, tutti dalla Tunisia. Come voi sapete, lo scenario geopolitico attuale nel Mediterraneo rende verosimile, se non probabile, un flusso o una serie di ondate migratorie non solamente dalla Tunisia. Vi sono Paesi attraversati da momenti complessi di difficoltà. Penso all'Egitto. Il caso, che mi auguro isolato, di un barcone carico di egiziani arrivato sulle coste italiane potrebbe essere il sintomo di un'ulteriore, parallela e preoccupante ondata migratoria di proporzioni che evidentemente, date le dimensioni dell'Egitto, con 80 milioni di cittadini, è facilmente immaginabile. Ecco perché il primo punto di carattere politico che vorrei sottolineare in questa sede è che l'Unione europea deve non soltanto intervenire per la gestione di un'emergenza che si è verificata, ma per delineare una visione a medio e lungo termine con un ventaglio di iniziative che devono riguardare Pag. 27evidentemente il futuro prossimo dello sviluppo, della crescita, del rilancio sociale e socio-economico dei Paesi della riva sud. L'Italia ha voluto mostrare a livello bilaterale proprio con la Tunisia quale può essere la strada di questa visione, che non si limita alla gestione della sicurezza e dell'emergenza. Le autorità tunisine ci hanno sottolineato ieri il permanere di forti criticità in alcune aree depresse del Paese, quelle dell'interno, quelle della zona sud-occidentale della Tunisia, che sono proprio le aree dove hanno avuto origine i moti popolari.
Il Primo Ministro Ghannouchi ha parlato di un danno subito dal Paese, durante queste settimane di crisi e di rallentamento dell'economia, quantificabile in 5 miliardi di dollari, una cifra enorme per la Tunisia, esprimendo l'auspicio di un sostegno finanziario forte e coordinato della comunità internazionale - dell'Europa, ovviamente, e dei Paesi tradizionalmente più vicini alla Tunisia - per il rilancio dell'economia e per lo sviluppo.
Abbiamo pensato che fosse opportuno dare subito un segnale italiano alla Tunisia: abbiamo presentato, già ieri sera, un pacchetto di proposte di aiuti economici per il rilancio, in questa fase di breve termine, dell'economia tunisina. La cooperazione italiana ha potuto impegnare già 18 milioni di euro a dono per il bilancio tunisino. In quell'occasione, ieri sera, ho annunciato lo sblocco immediato della prima tranche, 5 milioni di euro, per l'emergenza e per gli interventi di prima necessità.
L'aspetto, però, più importante, sempre di collaborazione, è stata la proposta, che ho formulato, di aprire due nuove linee di credito di aiuto alla Tunisia, con una disponibilità altissima, che arriva all'80 per cento (assai simile a un dono, nella sostanza), per il sostegno alle attività private, in particolare per le piccole e medie imprese e per la loro rete di rilancio in Tunisia. Si tratta di 73 milioni di euro: una cifra piuttosto significativa, alla quale potremo aggiungere un'ulteriore linea di credito di circa 20 milioni di euro per una rete di monitoraggio contro l'inquinamento delle coste marittime tunisine, perché, come sapete, i tunisini vivono molto di turismo, e quindi anche della lotta all'inquinamento del mare.
Abbiamo poi formulato una proposta operativa, sempre per dare alla Tunisia un segnale che il rilancio socio-economico è effettivamente la priorità anche per noi. Dopodomani, 17 febbraio, ho organizzato a Roma, al Ministero degli affari esteri, un tavolo sulla Tunisia. Questo tavolo comprenderà le associazioni di categoria, le imprese italiane piccole, medie e grandi che hanno un interesse attuale o potenziale ad operare in Tunisia e le regioni italiane. Questo tavolo avrà come interlocutore, oltre a me, il Ministro per lo sviluppo economico della Tunisia, che il Primo Ministro invierà dopodomani a Roma.
Il nostro obiettivo è rendere tangibile una forma di collaborazione tra le imprese italiane e le province tunisine meno sviluppate e più in difficoltà. Una sorta di proposta che formulerò alle regioni italiane sarà quella, se posso usare una parola impropria, di «adottare» una provincia povera della Tunisia e di moltiplicare la cooperazione decentrata, che, oltre che dallo Stato, viene svolta anche dalle regioni.
Lo fanno già, lo stanno già facendo, ma credo sia il momento di lanciare progetti visibili e tangibili, che possano, nell'emergenza, scoraggiare tanti giovani, anche ben formati e professionalmente equipaggiati, dal lasciare la Tunisia per la disperazione. Il Primo Ministro tunisino mi ha poi informato di un'importante iniziativa di più ampio respiro internazionale. A marzo, a Cartagine, avremo una conferenza internazionale sulle riforme politiche ed economiche in Tunisia.
Mi ha anticipato questa informazione contando sull'Italia come Paese primo sostenitore per il successo della suddetta conferenza. È evidente che faremo la nostra parte affinché anche la conferenza di Cartagine possa illustrare al mondo, inclusi i nostri amici americani, quale sia questa transizione democratica tunisina e poi aiutarla. Pag. 28
Ieri ho avuto occasione di visitare altri due Paesi mediterranei di grande importanza per la stabilità della regione: la Siria e la Giordania. Il Presidente siriano Assad mi ha parlato con sincerità di una sua analisi e dell'origine di molte delle rivoluzioni o transizione pacifiche. Egli ha individuato una frattura tra i vertici politici e le popolazioni; anche la Siria si prepara ad una stagione di riforme. È certamente importante il riconoscimento fatto dalla Siria, soltanto due giorni fa, della libera utilizzazione di tutti i mezzi e tecnologie dell'informazione, compresi Facebook e YouTube, senza limitazioni, controlli e censura.
Il Presidente siriano mi ha parlato di un'intenzione, che si è già tradotta in un gruppo di lavoro, per il riconoscimento dei partiti politici, dei diritti di manifestazione e di associazione. È un'azione importante, che credo possa contribuire alla stabilità di una regione particolarmente delicata.
Da parte mia, ho prospettato al Presidente siriano Assad, vista la deludente azione dell'Unione per il mediterraneo, l'opportunità di lavorare insieme ad un patto di stabilità, sicurezza e prosperità che possa coinvolgere, per la prima volta in condizioni di effettiva eguaglianza tra interlocutori, l'Europa, i Paesi arabi del mediterraneo e gli Stati Uniti d'America. Un patto che possa permettere all'Europa di utilizzare meglio gli strumenti di cui dispone. Ho parlato nuovamente di un'idea per favorire la circolazione dei giovani, degli studenti e delle iniziative culturali per creare una rete, un network, di università del Mediterraneo. È un'idea che il presidente siriano e, come dirò tra un attimo, il re di Giordania hanno accolto con interesse. Anche per la Siria vi è, evidentemente, la necessità che in questa fase complessa non venga dimenticata la necessità di una ripresa del dialogo per la pace tra palestinesi ed israeliani.
Questa è anche l'opinione del re Abdallah II di Giordania che mi ha parlato, anche lui, di un gruppo di lavoro sulla costituzione dei partiti politici. Sarà approvata una legge sul diritto di riunione e di associazione nelle manifestazioni pubbliche. L'incontro con il neonominato Primo Ministro della Giordania, che aveva preso servizio solamente da una settimana, mi ha confermato che anche questo Paese ha un interesse importante alla stabilità della regione mediorientale. Vi è, evidentemente, la necessità che il processo di pace vada avanti e venga ripreso con i negoziati diretti.
Circa un'ora fa ho avuto un colloquio telefonico con l'inviato del presidente Obama per il Medio Oriente, il senatore Mitchell, con il quale abbiamo parlato delle varie prospettive che si stanno aprendo dopo la riunione del Quartetto e in preparazione della prossima riunione dello stesso, che potrebbe tenersi nella prima settimana di marzo, per favorire in queste settimane la ripresa dei negoziati di pace tra palestinesi ed israeliani.
Da ultimo viene l'Egitto. Sono convinto che questo Paese viva una fase di transizione estremamente importante e che il Governo provvisorio abbia intenzione di mantenere i patti assunti con il popolo egiziano: preparare le riforme elettorali e costituzionali per un'elezione politica e presidenziale entro la fine del mese di agosto. Ho parlato qualche giorno fa - ma già lo sapete - con le autorità egiziane del Governo provvisorio. Ho chiesto di organizzare una mia visita nei prossimi giorni a Il Cairo con il Primo Ministro in carica ed ho formulato alle autorità egiziane una proposta che integra l'idea del patto di stabilità, di prosperità e di sicurezza per il Mediterraneo. Si tratta di una sorta di Piano Marshall per l'Egitto e per i Paesi che hanno attraversato una fase di crisi politica grave. Debbo dirvi che su quest'idea, non solo l'Egitto, che un'ora fa con il suo Ministro degli affari esteri ha confermato la necessità di un piano internazionale di sostegno, ma anche gli Stati Uniti d'America, con la signora Clinton, hanno mostrato interesse.
Credo che occorra anche con all'Egitto continuare a lavorare per evitare che si ritardi il ritorno alla normalità della vita economica. Sono molto preoccupato, perché vi è una nuova ondata di scioperi annunciati nelle aziende che operano in Pag. 29Egitto. È preannunciata una serie di manifestazioni all'interno delle aziende, perché evidentemente il collasso economico di queste settimane sta provocando delle ricadute economiche gravissime, a cui l'Italia vuole contribuire a rimediare, chiaramente non da sola, ma considerando comunque che siamo il primo partner bilaterale europeo dell'Egitto, secondo nel mondo solamente agli Stati Uniti d'America (abbiamo visto, purtroppo, la nuova chiusura delle banche egiziane prevista fino a domani - mi auguro sia così e spero che non si vada oltre - e la riapertura della borsa de Il Cairo spostata a domenica).
Vi è un punto su cui credo che questo Parlamento debba e possa esprimere anche una valutazione specifica. Tutte le imprese italiane che operano in Egitto hanno ripreso a lavorare, ma ci hanno formulato una richiesta, che è stata avanzata propria dalle agenzie e dai tour operator, che impiegano circa 10 mila lavoratori tra italiani ed egiziani: ripensare all'avviso che sconsiglia i viaggi in Egitto nelle località turistiche. È una riflessione che dobbiamo condurre e che io sto già conducendo in queste ore. Sarebbe evidentemente un segnale di grande amicizia, a cui dovremmo però accompagnare l'impegno a delle forme immediate di tipo assicurativo da parte degli operatori turistici in caso di disagi nella circolazione e nel trasporto aereo. È questo un tema di cui ho ritenuto giusto investire il nostro Parlamento.
Vi avevo già informati - e concludo - della riunione dei Ministri degli esteri, cosiddetta cinque più cinque, che confermiamo di organizzare a Napoli, ma certamente non posso non spendere una parola sull'Iran. Quello che sta succedendo in queste ore in Iran è il segno che migliaia e migliaia di iraniani stanno chiedendo diritti e libertà, a cominciare dal diritto di manifestare liberamente.
Credo, onorevoli deputati, sia importante, anche in quest'Aula, confermare il sostegno alle legittime aspirazioni del popolo iraniano che chiede pacificamente l'esercizio dei diritti fondamentali della persona. Avrò occasione domani di ripetere questo appello molto forte e molto chiaro, che anticipo al Parlamento, al presidente della Commissione esteri del Parlamento iraniano, che è stato invitato in Italia dal Parlamento italiano e che incontrerò, cogliendo l'occasione per ripetere che l'Italia non può immaginare che legittime aspirazioni di un popolo, espresse in modo pacifico, siano represse con la violenza (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà, Lega Nord Padania, Iniziativa Responsabile e di deputati del gruppo Unione di Centro).

(Interventi)

PRESIDENTE. Passiamo agli interventi dei rappresentanti dei gruppi.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Boniver. Ne ha facoltà per cinque minuti di tempo.

MARGHERITA BONIVER. Signor Presidente, onorevole Ministro, onorevoli colleghi, è del tutto evidente che le vere e proprie rivoluzioni che hanno prima scosso e poi provocato un profondo cambiamento di regime in Tunisia ed Egitto sono solo all'inizio. La mappa delle rivolte è naturalmente ben più ampia e ha riguardato e forse riguarderà ancora Algeria, Marocco, Sudan, Giordania, il poverissimo Yemen, la Nigeria e persino la Libia. Il caso dell'Iran è a sé stante, credo - il Ministro ne ha appena parlato - anche se è implicita una venatura da brivido ovvero che il regime possa ammettere le manifestazioni perché sono a favore della caduta di regimi tutto sommato filo-occidentali come erano appunto la Tunisia e l'Egitto. L'effetto domino è quindi implicito in un'area del mondo già solcata da crisi incandescenti ancora irrisolte: le crisi israelo-palestinese, prima di tutto, ma anche l'ipotesi di un Iran ancora nuclearizzato che minaccia l'esistenza stessa dello Stato ebraico, nonché l'egemonia del regime degli ayatollah su Libano, Hamas, Iraq e oltre. I timori per la transizione egiziana sono vivissimi anche Pag. 30se quello che appare come vero e proprio colpo di Stato in quel Paese da parte dei militari sembrerebbe reggere, perlomeno sotto il profilo dell'osservanza dei trattati internazionali e quindi del trattato di pace con Israele ma il modello ventilato per la transizione egiziana è quello turco o non rischiamo forse di ritrovarci con la sindrome pakistana? Se fosse così, sarebbe uno scenario da incubo. Nelle molte analisi che si sono lette dopo questo fatidico inverno maghrebino, un profilo è stato, secondo me, carente. La crisi economica e finanziaria, che dal 2008 indebolisce e flagella economie solide e strutturate dagli Usa all'Europa per intenderci, colpisce in modo molto duro le nazioni del continente africano, dapprima deprimendo l'esportazione di materie prime che per alcuni di questi Paesi rappresentano la sola forma di introito - parlo di Niger, Burkina Faso e altri - e più di recente, con l'improvvisa impennata di prezzi dei beni di prima necessità ovvero grano, zucchero e olio, colpendo quei vasti tratti di popolazione in Tunisia, Egitto ma anche in Algeria che vivono con redditi appena sulla soglia della sussistenza. È stato calcolato che il 40 per cento circa degli egiziani vive con due dollari al giorno. Questo dato, combinato con una popolazione giovanissima in preda ad una disoccupazione strutturale, sta alla base comunque di quello che avviene e ancora potrà avvenire in quella parte del continente. A sua volta, l'instabilità, la corruzione, le mancate riforme e la prospettiva di regimi politici più aperti e democratici ancora di là da venire hanno provocato il massiccio afflusso, in questi giorni, di immigrati tunisini, prevalentemente per motivi economici, arrivati a Lampedusa. È stata molto criticata la sostanziale inerzia dell'Europa in questa circostanza. Del tutte previste le pesantezze burocratiche, le gelosie nazionali, la mancanza di una visione unitaria in materia di immigrazione e di emergenza collegata a questo fenomeno che hanno sottoposto Bruxelles a molte critiche non soltanto italiane. Fino ad oggi l'assistenza da noi richiesta è stato di tipo verbale e, a parte le promesse di risorse finanziarie, la stessa richiesta di inserire all'ordine del giorno la crisi migratoria è stata accolta con molta difficoltà.
Ci auguriamo che qualcosa cambi davvero. Basti pensare allo smaccato ritardo imputato a Catherine Ashton prima di una reazione credibile rispetto ai fatti egiziani. La stessa agenzia europea Frontex, creata pochi anni fa, è palesemente soltanto un embrione di quell'azione necessaria per sorvegliare i confini esterni dell'Europa e contrastare, con mezzi aerei o navali, i massicci flussi di immigrati in marcia verso i nostri territori. C'è da chiedersi se questa volta si sarà capita la lezione, anche se dubito che la costruzione europea sia in grado di fronteggiare e risolvere fenomeni del tutto epocali, e per di più largamente imprevisti, come i recenti sommovimenti del Maghreb ci insegnano. Al di là della gestione di questa emergenza considero, tuttavia, questa fase anche una grande opportunità per l'Italia e per i Paesi del sud Europa in generale. Bisogna saper cogliere la grande sfida che è stata consegnata da piazza Tahrir con una possente richiesta di libertà e democrazia. Queste due parole così semplici sono la base stessa del nostro modo di concepire l'Europa, patria della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, una libera associazione di cui siamo stati prestigiosi costruttori.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

MARGHERITA BONIVER. Ancora pochi secondi, Presidente. Va registrato il sostanziale fallimento di una corrente politica mediterranea, a partire dall'Agenda di Barcellona, per non parlare di quella ambiziosa Unione per il Mediterraneo che finora è stata del tutto inoperosa. Fermo restando la vivissima preoccupazione sul fatto che questi sommovimenti possono provocare esiti negativi in termini di politiche contro Israele, quindi contro l'Occidente, e aprendo di fatto un varco verso quell'estremismo islamista... (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Onorevole Boniver, deve concludere.

Pag. 31

MARGHERITA BONIVER. Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Boniver, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Tempestini. Ne ha facoltà per cinque minuti.

FRANCESCO TEMPESTINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, nel corso della sua precedente informativa - Ministro Frattini - ho parlato, a proposito del suo intervento, di rimpianto per la stabilità perduta, per un Mediterraneo che conoscevamo nel suo immobilismo politico con le sue classi dirigenti sempre uguali a se stesse. È quel Mediterraneo forse a cui pensava il Presidente Berlusconi quando parlava del saggio Mubarak. Ora il punto è che noi non possiamo permetterci di guardare a quell'area e a ciò che sta accadendo in quell'area con gli occhi rivolti all'indietro, ad una stabilità perduta. Dobbiamo partire dal presupposto che siamo di fronte ad un processo di dimensioni e dagli esiti assolutamente incalcolabili, e dobbiamo collocare il Paese e le sue politiche in una posizione in grado di cogliere opportunità, favorire processi che conducano ad una diversa stabilità. Ho ascoltato il suo resoconto degli incontri che lei ha avuto con i rappresentanti del Paese in Giordania, in Tunisia, ed in Siria, ed è tutta un'agenda che non possiamo non condividere, ma dobbiamo sapere che queste agende, se sono le nostre sole agende, possono - ahimè - fare molto poco. Dobbiamo compiere un grande sforzo con l'Europa e con gli Stati Uniti, dobbiamo fare un grande sforzo che riporti l'Europa nel Mediterraneo. Il primo passo, naturalmente, è rimettere al centro dei Consigli europei la questione del Mediterraneo, la questione della sponda sud dell'Europa. Naturalmente si tratta di un percorso molto complesso, difficile; l'Europa deve essere insieme a noi a governare (dico governare tra virgolette, perché naturalmente nessun interferenza può essere neppure ipotizzabile) processi molto complessi. Quello che abbiamo visto accadere e che sta accadendo in Egitto ci lascia - diciamo la verità - con il fiato sospeso. Tutti ci interroghiamo su quale sarà il verso, su quale sarà la vera direzione di marcia dell'esercito. Non possiamo escludere il rischio di un esito pakistano, e sarebbe un esito di dimensioni molto gravi. Quindi vediamo quella crisi egiziana che si avvita in una crisi anche sociale. Occorre - si davvero - un piano Marshall, occorre - si davvero - un grande sforzo per sostenere il tentativo democratico che è appena partito in Egitto con un'assunzione di responsabilità economica e finanziaria che sia la millesima parte di quello che l'Occidente ha impegnato per sostenere il suo sistema bancario.
Se guardiamo alle cifre, alla distanza possibile tra le cifre, ciò che l'Occidente ha speso per salvare il suo mercato finanziario, ci rendiamo conto che si tratta di cifre possibili, ma che, naturalmente, sono solo alla portata delle grandi organizzazioni internazionali e dei grandi sponsor, come può essere l'Europa, per mettere in moto questo processo. Processo che, ormai, è partito e che dobbiamo guardare, appunto, nella sua imprevedibilità. Guardiamo con grande sofferenza ciò che sta accadendo in Iran dove un regime occhiuto, chiuso, sta comprimendo, ancora un'altra volta, un movimento che ha le stesse caratteristiche, gli stessi colori e le stesse identità di quello che si è mosso negli altri Paesi del Maghreb o in Egitto. Si tratta, cioè, di un movimento che ha messo da parte il fondamentalismo e le divisioni religiose; nel Bahrein, si sta consumando una battaglia che è democratica prima ancora che tra sciiti e sunniti e così è negli altri Paesi. Credo che la domanda che proviene da tutte queste realtà è della stessa caratteristica: vogliamo...

PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Tempestini.

FRANCESCO TEMPESTINI. ...vogliamo - e mi avvio a concludere, signor Presidente Pag. 32- aprire una fase nuova. Dobbiamo corrispondervi senza nervosismo, signor Ministro, perché lei ci ha fatto un resoconto delle misure concordate con il Primo Ministro tunisino e ne prendiamo atto, ma non possiamo dimenticarci che i giornali di oggi ci parlano di una forte irritazione tunisina per alcune dichiarazioni del Ministro Maroni relative al modo con il quale affrontare il tema dei respingimenti in mare; addirittura, si è detto di metterli in atto all'interno della acque territoriali di quel Paese. Assolutamente, quindi, senza nervosismi, ma con una grande determinazione a guardare ciò che è accaduto e sta accadendo come una grande occasione positiva per la democrazia e per il nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Dozzo. Ne ha facoltà.

GIANPAOLO DOZZO. Signor Presidente, signor Ministro, innanzitutto la voglio ringraziare, a mio nome e a nome del gruppo della Lega Nord Padania, per la relazione puntuale che ha reso oggi. La situazione, come si diceva dieci giorni fa, sempre riguardo ad un'altra sua relazione, si sa come è partita, ma non si sa come andrà a finire. Questa è la questione fondamentale che sta passando e bypassando tantissimi Paesi, non solo del nord Africa. Abbiamo visto, infatti, in queste ore, coinvolti anche Paesi come l'Iran dove le manifestazioni stanno veramente sfociando in aggressioni e in un bagno di sangue. Vorrei anche rallegrarmi con lei - e voglio rispondere al collega Tempestini che non vi è nessun nervosismo da parte di nessun Ministro appartenente a questo Governo; tutti i Ministri hanno, infatti, agito con estrema severità e alacrità - per quanto riguarda quelle opzioni che ha messo in campo e dire che, comunque, occorre rispettare gli accordi che già ci sono tra Italia e Tunisia per quanto riguarda l'immigrazione. Se la Tunisia, in un determinato momento di transizione - e possiamo anche capirlo -, non riesce molto probabilmente a far rispettare il trattato sull'immigrazione in tutti i suoi punti, noi dobbiamo aiutarla a far sì che il suddetto trattato venga rispettato. Ed è su questa linea che poggiava l'intervento del Ministro Maroni; affinché se ne discutesse. Per quanto riguarda, poi, la collaborazione, sappiamo che, in Tunisia, vi sono molte aziende italiane che, in questo momento, hanno anche ripreso a lavorare e, perciò, penso che la collaborazione e l'impegno per l'apertura di nuove linee di credito per la piccola e media impresa, specialmente in quelle zone tunisine dove è più insistente la crisi, sia una via da percorrere.
Noi della Lega abbiamo sempre detto di andare a prestare aiuto ai Paesi, ai cittadini in difficoltà ed è questo il motivo per cui queste aperture di credito, nonché il tavolo definito in Tunisia, che si terrà la prossima settimana a livello ministeriale, possono raccordare tutta una serie di iniziative affinché si attribuisca a quel Paese una possibilità di sviluppo. Ma non solo, stabilità e anche sicurezza. Sappiamo che la fase di transizione in questo Paese non è facile. Sappiamo che comunque vi è l'intenzione di porre in essere una serie di iniziative democratiche e il primo ministro Ghannouchi lo ha messo ben in chiaro e noi ci crediamo. Crediamo inoltre che vi sia la possibilità di fermare questi flussi. Qualcuno ha detto che il Governo si è trovato impreparato di fronte allo sbarco di 5.500 persone in 4 giorni, che si poteva evitare, che si poteva presupporre un flusso di emigrazione così veloce in pochissimo tempo. No, questo non si poteva assolutamente prevedere e bene ha fatto il Governo a chiedere subito al Governo tunisino di presidiare i porti di partenza. Abbiamo visto che da quando i militari tunisini stanno presidiando i porti di partenza questi sbarchi si sono interrotti. Vi è poi la grande questione Egitto.

PRESIDENTE. La invito a concludere, onorevole Dozzo.

GIANPAOLO DOZZO. In ordine alla grande questione Egitto vi è la prospettiva di introdurre un nuovo piano Marshall per Pag. 33questi Paesi. Penso che tutte queste misure debbano essere adottate in brevissimo tempo e spero una volta tanto che l'Unione europea, al di là della burocrazia imperante, si dia tempi certi (ho sentito parlare, sotto il profilo dei tempi, di un avvio per domenica o lunedì prossimo, con conclusione fra dieci giorni dell'iter burocratico dell'Unione europea).

PRESIDENTE. La prego di concludere,onorevole Dozzo.

GIANPAOLO DOZZO. Spero che una volta tanto l'Unione europea, oltre alle parole, agisca con fatti concreti, mettendo in campo una serie di finanziamenti che servono in questo momento a dare i giusti ristori che queste popolazioni meritano. La ringrazio, signor Ministro, per il suo intervento e le auguro buon lavoro (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Adornato. Ne ha facoltà.

FERDINANDO ADORNATO. Signor Presidente, signor Ministro, nel ringraziarla anche questa volta per la tempestività con la quale informa il Parlamento, vorrei proporle due considerazioni. La prima: non c'è chi non abbia visto dopo la fine della guerra fredda nel 1989 che il ruolo geopolitico dell'Italia era ormai concluso; si era conclusa una fase storica e bisognava inventarne un'altra. Nulla è stato fatto per non far perdere peso al nostro Paese nel mondo. Nulla è stato fatto di concreto, quando invece resta evidente che è il Mediterraneo, per la nostra vocazione e per la nostra storia, l'area nella quale possiamo riconquistare un ruolo positivo per il mondo.
Ma, ahimè, nessuna politica strategica per il Mediterraneo è stata messa in campo. Non parlo soltanto del suo Governo. Sono molti anni che questo manca in questo Paese, anzi per il suo Governo per la verità dovrei dire di peggio perché, nell'assenza della politica per il Mediterraneo, abbiamo assistito ad un rapporto esclusivo con la Libia che consideriamo sbagliato e abbiamo assistito anche all'improvvida dichiarazione del Presidente Berlusconi di appoggio a Mubarak proprio nelle ore imminenti alla sua decadenza da Presidente. Ma il problema che le voglio sottoporre è di guardare, come lei ha detto, all'orizzonte e non soltanto all'emergenza. Sull'emergenza siamo d'accordo con quanto lei ha affermato. Per guardare all'orizzonte, tuttavia, e mi rivolgo anche al Presidente Fini, pensiamo che, anche per parlare di cose serie nella politica italiana, sia necessaria una determinata sessione del Parlamento italiano (se il Ministro e il Governo si rendono disponibili e se il Presidente Fini fosse d'accordo); in particolare, il nostro gruppo chiede una sessione parlamentare sulla politica per il Mediterraneo per affrontare, con uno sguardo di insieme, quello che sta succedendo in quell'area del mondo che, a detta di quasi tutti, non è un fatto episodico ma prelude ad un cambiamento di epoca, di generazione anche perché si intravede chiaramente la lotta di una generazione contro l'altra.
Sicurezza, immigrazione e multiculturalismo sono tre parole dalle quali discendono politiche diverse, che noi abbiamo il dovere di discutere in quest'aula se appunto vogliamo dare una scossa e uno scatto alla politica, in un momento di decadenza anche morale. Questa è la prima considerazione, quindi è anche una formale richiesta al Governo e ovviamente al Presidente della Camera e agli altri gruppi, se intendono aderire a questa nostra idea. Anche nei confronti dell'Unione europea il nostro ruolo smetterebbe, in quel caso, di essere di pura lamentela, pure giusta e giustificata, perché è una vergogna che l'Unione europea non intervenga, però se noi conquistiamo un ruolo attivo diventiamo gli interlocutori e non solo i lamentosi rivendicatori di un aiuto e di una tutela.
La seconda considerazione è la seguente: noi siamo tra coloro che pensano che la democrazia è adatta anche ai popoli del Medio Oriente, che non vi è alcuna legge storica che impedisca a quei popoli Pag. 34e a quelle popolazioni di accedere ad una «visione della democrazia». Non siamo così ingenui da non sapere che i percorsi sono già e saranno sempre di più, forse, accidentati, perché non è detto che da una crisi come quella di oggi si esca per forza in positivo, ma d'altra parte dobbiamo ricordare che le democrazie anche in Occidente si sono affermate dopo non decenni, ma secoli di lotte e di contrapposizioni.
Allora da questo punto di vista noi chiediamo al Governo una cosa molto semplice: con la prudenza, con il realismo - ma non con la realpolitik - e con l'equilibrio che si confà al Governo di un paese occidentale, noi siamo sempre e dobbiamo sempre essere risolutamente dalla parte della libertà, dei diritti umani e della democrazia, dall'Iran alla Tunisia all'Egitto (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro). Non ci può essere mediazione da questo punto di vista. Ripeto: ci può essere equilibrio, lavoro per una transizione ordinata, gestione equilibrata delle crisi, ma non si deve deflettere da questa stella polare, perché deflettere da questa stella polare significa cadere totalmente in una contraddizione che noi non possiamo sopportare.
Noi appoggiamo anche dittatori in nome della pace e dell'equilibrio e così è stato per Mubarak, ma non possiamo far arrivare il nostro appoggio dato in nome dell'equilibrio fino a schierarci contro le popolazioni - e ho concluso - che sono in lotta per ottenere diritti e libertà. Questo non possiamo proprio farlo e noi dell'Unione di Centro invitiamo dunque il Governo a non deflettere mai, né con l'Iran, né con la Tunisia, né con l'Egitto, da questa stella polare della nostra democrazia (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro e Futuro e Libertà per l'Italia e di deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Della Vedova. Ne ha facoltà.

BENEDETTO DELLA VEDOVA. Signor Ministro, anch'io intendo unirmi ai ringraziamenti per questa tempestiva informativa e per esprimere a lei e a tutto il Governo il sostegno nostro e la volontà di collaborazione per la gestione di questa grave emergenza umanitaria, ma come lei giustamente ha fatto in buona parte del suo intervento credo che questo sia il momento anche per andare oltre l'emergenza, per capire come si è arrivati qui e cosa è meglio fare per il futuro, guardando innanzi tutto ai movimenti popolari che stanno scuotendo e rovesciando regimi decennali come in Egitto ed in Tunisia, leadership che sembravano consolidate e su cui l'Occidente ha fatto comprensibilmente affidamento per resistere a vere e presunte ondate dell'estremismo islamico.
Bisogna saper distinguere però anche in queste ore tra quello che emerge come iniziativa di liberazione popolare dal basso, spesso non casualmente giovanile, che è da assecondare, e i rischi sui quali, per come e per quanto sia possibile, bisogna lavorare. Credo che all'Europa però, prima che una mancata collaborazione operativa ed economica di cui si è parlato, bisogna rimproverare la disattenzione con cui si è arrivati ai fatti di questi giorni.
Tuttavia, signor Ministro, di questa Europa disattenta, cui oggi si chiede, più o meno giustamente, in una situazione difficile, interventi di emergenza, siamo stati anche noi, unitamente agli altri, corresponsabili, pur essendo in qualche modo i più vicini, pur essendo quelli che dovevano avere le antenne più ritte su quello che avveniva nel sud del Mediterraneo. Su questo abbiamo mancato.
Lei ha fatto alcuni riferimenti molto precisi e importanti agli elementi di cooperazione che sono stati messi in campo dal Governo con la Tunisia. Sono interventi di emergenza, va benissimo; riflettiamo come Paese europeo e come Paese che sta ai confini del Mediterraneo su quanto è stato fatto dall'Italia in questi anni - e non è una polemica specifica con questo Governo -, non dico per azzerare, ma sicuramente per drasticamente diminuire gli interventi di cooperazione; era già scritto che poi avremmo dovuto in qualche modo fronteggiare l'emergenza.
Pag. 35La cooperazione deve essere una risorsa strategica, non emergenziale, con questi Paesi, e in sede europea bisogna anche discutere di politiche commerciali, avendo ben presente che il dato economico è rilevante ma non è l'unico che muove le vicende, anche drammatiche, di questi giorni. Le buone relazioni con i Paesi e con i regimi, quali che siano, del nord Africa e del bacino sud del Mediterraneo, possono essere importanti, signor Ministro, ma tutte le considerazioni che lei ha fatto riguardo all'Iran, ad esempio, credo che - non per una polemica pregiudiziale che abbiamo fatto tante volte in quest'Aula - devono far riflettere, anche rispetto alla vicenda che ci lega ad uno dei Paesi del Mediterraneo, cioè la Libia.
Non credo che dobbiamo, come è stato fatto autorevolmente anche da lei, in qualche modo riconoscere una posizione o giustificare il nostro rapporto con Gheddafi dicendo che in Libia non succede niente, ma ciò ci deve preoccupare, e un eccesso di «amicizia» con Gheddafi ci rende meno credibili quando poi chiediamo, a partire dalla Siria con cui serve prudenza, di sostenere i movimenti popolari e democratici.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

BENEDETTO DELLA VEDOVA. Concludo signor Presidente. Credo debba essere impegno di tutti: questa è un'emergenza geo-politica, un'emergenza umanitaria da fronteggiare anche con gli strumenti di sicurezza, ma non è quello, chiaramente, l'unico punto su cui concentrarci. Dobbiamo guardare al futuro, ad una popolazione giovane che cresce e che sarà, comunque, l'interlocutore di migrazioni importanti (Applausi dei deputati del gruppo Futuro e Libertà per l'Italia e del deputato La Malfa).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Leoluca Orlando. Ne ha facoltà.

LEOLUCA ORLANDO. Signor Presidente, signor Ministro, ancora una volta il Mediterraneo torna al centro dell'attenzione di questo Parlamento, ancorché torni con problemi e difficoltà antiche ma con prospettive e potenzialità del tutto nuove. Credo vi sia ancora una volta l'esigenza di confermare una cornice di principi di legalità internazionale.
Il Ministro Frattini ha riferito della sua attività assai intensa, che parte dalla considerazione che l'Italia è nel Mediterraneo e che l'Italia è in Europa. Tuttavia, su questo secondo aspetto sembra che il Ministro Frattini abbia prestato meno attenzione. Vorrei dire con molta chiarezza che noi, come Italia, siamo abbastanza e sufficientemente grandi per occuparci di quanto sta accadendo nel Mediterraneo, ma non siamo tanto grandi da occuparcene da soli. Credo sia questa la ragione di critica che l'Italia dei Valori muove alla relazione del Ministro Frattini, che ha ripetuto almeno dieci volte, ma penso siano di più, l'espressione «bilaterale», come se noi fossimo tanto grandi da poter affrontare da soli un problema che investe il Mediterraneo e che l'Europa aveva ritenuto essere necessario affrontare all'interno di un processo organico, quel processo di Barcellona del quale si sono perse le notizie, si è persa traccia e con essa si è perso un possibile ruolo del nostro Paese che è e rimane nel Mediterraneo, ancorché non partecipe dei processi europei.
È cronaca di qualche giorno fa il documento sul Mediterraneo predisposto dalla Cancelliera Merkel, che guida la Germania, un Paese, come è noto, nel cuore del Mediterraneo, assieme con la Francia e con la Spagna. Appare singolare che in questo documento, inviato al Presidente Obama, il Presidente Sarkozy, la Cancelliera Merkel e il Presidente Zapatero abbiano fatto avere la loro opinione sul Mediterraneo senza preoccuparsi di coinvolgere l'Italia come se non fosse parte del Mediterraneo e dell'Europa.
Credo sia con queste premesse che occorre affrontare questo tema. Il Mediterraneo sta vivendo una stagione nella quale vengono al pettine i nodi legati alla carenza di laicità, alla carenza di libertà, alla carenza di democrazia in alcune Pag. 36realtà storiche e alla carenza di pace. Penso, per esempio, alla Palestina, al Libano, alla Siria e più recentemente, ancorché antichi, come l'Iran e l'Iraq. Adesso si uniscono la Tunisia, l'Algeria, l'Egitto e si preparano, sembrando in lista d'attesa, il Sudan, la Libia e lo Yemen.
Rimangono soltanto, al momento, non travolti da questa bufera il Marocco e la Giordania ma credo che il tema di fondo sia di uscir fuori da questa logica dei rapporti bilaterali che è inadeguata per quanto riguarda il ruolo del nostro Paese. Credo sia necessario prendere atto al tempo stesso del fallimento della politica italiana nei rapporti con il Mediterraneo, un fallimento legato non soltanto agli atti legislativi interni - che abbiamo sempre contestato - ma all'idea per cui, se c'è un problema, lo si risolve grazie al rapporto privilegiato con la Libia, e si è visto come è finita la politica dei respingimenti.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE (ore 17,05)

LEOLUCA ORLANDO. C'è un problema in Tunisia? Lo risolvo attraverso un rapporto bilaterale con la Tunisia; c'è un problema con l'Egitto? Lo risolvo attraverso un rapporto bilaterale con l'Egitto. In tutto questo, l'Europa ci percepisce sempre di più non parte di questa Unione e il Mediterraneo ci percepisce sempre di più come agenti di commercio che sono portati a piazzare scampoli di prodotti e non hanno una linea politica che sia degna di questo nome.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

LEOLUCA ORLANDO. Ecco la ragione per la quale manifestiamo il pieno dissenso, pur apprezzando la mole di attività, rispetto all'impostazione nella quale si muove questa mole di attività. Direi, paradossalmente, che il troppo operare rischia di essere il troppo danneggiare la politica italiana.
Probabilmente se si agisse di meno in termini bilaterali e di più in sede europea, eviteremmo di vivere quello che stiamo vivendo: la censura degli organismi internazionali nella nostra politica in materia di immigrazione e il rifiuto da parte nostra di chiedere l'intervento dell'Europa.

PRESIDENTE. Deve concludere.

LEOLUCA ORLANDO. L'Europa non viene perché non ci percepisce più come parte dell'Europa rispetto al dramma del Mediterraneo (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori e del deputato La Malfa).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Iannaccone. Ne ha facoltà.

ARTURO IANNACCONE. Signor Presidente, signor Ministro, a nome del gruppo di Iniziativa Responsabile la ringrazio per l'informativa, come sempre chiara, puntuale e precisa, che ha reso in Parlamento sulle vicende che stanno riguardando la sponda sud del Mediterraneo. Farò una prima riflessione.
Su questa vicenda, come su tante altre, tutti gli analisti hanno accusato un ritardo. Queste vicende sono risultate imprevedibili, impreviste e quindi ci rendiamo conto della difficoltà rispetto ad una diagnosi tardiva sulle terapie da mettere in campo. Anche in questo dibattito parlamentare, signor Ministro, abbiamo ascoltato tanti medici improvvisati e proposte tante terapie altrettanto improvvisate.
La invitiamo, pertanto, a distinguere e a continuare nella sua opera prudente ma determinata per tentare di dare una soluzione ai problemi che abbiamo davanti a noi. Ritengo che non sia importante ritagliare o meno un ruolo all'Italia, ma trovare delle soluzioni adeguate rispetto ai problemi - come dicevo prima - imprevisti di fronte ai quali ci troviamo. Apprezziamo quindi l'azione del Governo di sviluppare contestualmente rapporti bilaterali e, al tempo stesso, di richiamare l'Europa alle proprie responsabilità.
È su questa linea che riteniamo che il Governo debba andare avanti, sapendo bene che gli sbocchi di queste rivoluzioni Pag. 37pacifiche - come lei le ha definite - sono difficilmente prevedibili. Si affermerà la democrazia, ci saranno regimi democratici e laici che sostituiranno i vecchi regimi dispotici, tirannici, semi autoritari o ci saranno sbocchi in regimi teocratici che si sostituiranno a quelli che sono stati abbattuti dalle rivoluzioni pacifiche?
Riteniamo che si debba favorire il processo democratico attraverso iniziative che certo oggi sono complicate, complesse e difficili. Immaginare un Piano Marshall per tutti quei Paesi è sicuramente importante, ma sappiamo anche che oggi l'Europa, l'Italia, i Paesi occidentali non hanno tutte le risorse per poter affrontare le grandi emergenze sociali che ci sono in quei Paesi. Si tratta di emergenze sociali che determinano questi grandi flussi migratori. Hanno ritrovato fiato, signor Ministro, i mercanti di esseri umani. È evidente che dobbiamo far fronte alle emergenze umanitarie, ma come non possiamo non sottolineare che hanno ritrovato un terreno fertile i trafficanti di esseri umani?
Quindi dobbiamo tenere alta la guardia, essere chiaramente all'altezza dell'emergenza umanitaria ma anche, se non soprattutto, essere attenti alle questioni di sicurezza interna ed equilibrio sociale. È per questo, signor Ministro, che noi di Iniziativa Responsabile esprimiamo il pieno apprezzamento per la sua azione, per l'azione del nostro Ministero degli affari esteri e del nostro Governo e la invitiamo con forza a richiamare l'Europa alle proprie responsabilità (Applausi dei deputati del gruppo Iniziativa Responsabile).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Vernetti. Ne ha facoltà per due minuti.

GIANNI VERNETTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, anch'io ringrazio il Ministro e faccio alcune riflessioni. I regimi arabi, laici e secolari del Mediterraneo stanno cadendo uno dopo l'altro: prima la Tunisia di Ben Alì, poi l'Egitto di Mubarak. Credo che per troppo tempo l'Occidente tutto ha compiuto spesso l'errore di sostenere i regimi arabi, per quanto laici e secolari ma soprattutto autoritari e illiberali, come un passibile antidoto al fondamentalismo islamista.
In poche parole, in questi ultimi vent'anni abbiamo accettato lo status quo in cambio della stabilità. Abbiamo accettato l'assenza di libertà e democrazia in cambio di relazioni politiche stabili e durature. Non ha funzionato in passato e non può certo funzionare oggi. Ritengo che la grande onda e la grande richiesta di libertà e di democrazia che in queste ore attraversa in modo impetuoso il Medio Oriente e il Mediterraneo sia un fatto da cogliere con rapidità, tempestività e anche innovazione nell'agire.
Non c'è dubbio, lo hanno detto altri colleghi, il Mediterraneo è il nostro naturale bacino geopolitico e geostrategico: quale altro, d'altronde? Noi abbiamo interesse a far sì che da regimi laici e secolari, ma illiberali e autoritari, vi sia una dolce, gestita, curata transizione verso istituzioni solide e democratiche. Sappiamo che non bastano un'elezione o un semplice appuntamento elettorale. Guardiamo a che cosa è successo a Gaza. Lì abbiamo fatto l'errore semplicemente di pensare che un semplice appuntamento elettorale risolvesse. Tuttavia, consolidare le istituzioni democratiche significa aiutare la diffusione del multipartitismo e l'affermazione di una stampa libera.

PRESIDENTE. Onorevole Vernetti, la prego di concludere.

GIANNI VERNETTI. Quindi, credo che questo sia un grande programma e una grande agenda per la libertà e la democrazia nel Mediterraneo. Penso che la dovremmo mettere in cantiere noi italiani insieme ai nostri alleati europei (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Alleanza per l'Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole La Malfa. Ne ha facoltà.

GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, gli sviluppi in Medio Oriente e Pag. 38nell'Africa settentrionale ovviamente pongono il nostro Paese in prima fila con un ruolo straordinario da ogni punto di vista e con problemi straordinari, con responsabilità straordinarie e anche con delle opportunità politiche prima ancora che economiche.
Il punto è, signor Ministro, onorevoli colleghi, come può un Paese in queste condizioni essere all'altezza di queste sfide e di questi compiti con una condizione politica e con un Governo che non è in condizione di rivolgersi a nessuno, che non è in grado di parlare né ai Paesi del nord Africa né dell'Europa con autorità perché è un Governo screditato a tal punto che non gli resta altro che andarsene.
Signor Ministro, scusi la franchezza e la brutalità, questo è: finché l'Italia non cambia la sua condizione politica, essa non è nelle condizioni di affrontare la sfida e i problemi che la situazione del nord Africa e del Mediterraneo oggi ci pone (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento dell'informativa urgente del Governo.

Si riprende la discussione di mozioni (ore 17,10).

(Ripresa discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Chiappori. Ne ha facoltà.

GIACOMO CHIAPPORI. Signor Presidente, oggi ci troviamo a riprendere un dibattito più volte fatto in quest'Aula, in questo tempio dell'ipocrisia e dei partiti virtuali, del Presidente che esiste solo nei momenti in cui l'opposizione chiede le dimissioni del Presidente del Consiglio, che interviene di nuovo quando arriva il Ministro Frattini, quindi alla ricerca di una visibilità che non dovrebbe avere, visto che è comunque il presidente di un partito che non esiste, che non ha ancora avuto voti e che è stato oggi formulato in questo Parlamento in un triangolo strano con altri soggetti dei quali forse l'unico vero è l'Unione di Centro che si è sempre presentata da sola.
Quando sono partiti gli aerei per la guerra in Kosovo, questo Parlamento non ne sapeva niente (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania). Il signor Franceschini, che non è neanche giustizialista, oggi è venuto qui dicendo: «Guardate, nei banchi del Governo non c'è nessuno». Cinque minuti dopo non c'era nessuno nei suoi banchi, dopo che avevano detto che Berlusconi avrebbe dovuto dimettersi. Donadi ha aspettato addirittura che il buon Di Stanislao, presentatore di questa mozione, finisse di parlare per poter andare via, perché doveva recarsi a fare commenti esterni con i giornalisti, perché in questo Parlamento si vive di ipocrisia.
In tutti questi anni, credo di essere comunque stato fiero dell'appartenenza e della coerenza che mi hanno portato in questo Parlamento, della politica che ha fatto la Lega Nord Padania, di una politica che salvava il nord, ma avrebbe salvato il Paese. È per questo che oggi interveniamo anche su questioni trite e ritrite. Lo ha fatto l'amico Di Stanislao, che conosco. Conosco la sua posizione.
Capisco anche i momenti di difficoltà quando all'interno di una mozione deve inserire le idee del suo brillante segretario di partito ma, evidentemente, lo deve fare. Oggi, quindi, il dibattito riprende dalle mosse di questa singolare iniziativa assunta dal gruppo dell'Italia dei Valori che chiede al Governo italiano di predisporre una strategia per il ritiro dei nostri soldati dall'Afghanistan. Ciò solo pochi giorni dopo che 479 parlamentari contro 19 si erano espressi a favore della prosecuzione della missione.
Questo è, quindi, un motivo che ci spinge a chiedere il motivo di questa iniziativa, visto che non capiamo onestamente le ragioni che hanno indotto i dipietristi a promuovere questo ulteriore confronto. Non ve ne sono, infatti, se si eccettua la loro evidente volontà di marcare Pag. 39il punto nei confronti del resto del centrosinistra che, comunque, è schierato a favore come la maggioranza.
Pertanto, non ne capiamo il motivo. Poi veniamo anche accusati che in questo Parlamento non si lavora, ma è inutile lavorare su questi argomenti triti e ritriti. Caro Di Stanislao, certe volte magari anche tu riesci a dire «ma perché lo devo fare?». Sono convinto che dentro di te dici «perché lo devo fare?», perché di queste cose ne abbiamo tanto parlato e credo che di più non se ne possa parlare.
Veniamo ora ai contenuti della mozione che, comunque, è stata modificata. Infatti, essa non è nata bene e, quindi, nel tempo si è modificata, tentando di portare a casa forse un'approvazione che non so se verrà data dal Governo e da chi, comunque, ha valutato se i cambiamenti sono sufficienti per poter esprimere un parere favorevole.
Comunque, la mozione ha un testo davvero molto ampio e articolato, che sembra essere stato compilato con le espresse intenzioni di redigere un'enciclopedia delle cose andate storte in Afghanistan. Questo è molto semplice, cari colleghi, perché di risultati deludenti ve ne sono stati certamente, al punto che la strategia politico-militare alleata è già stata rivista numerose volte, almeno tre volte negli ultimi quattro anni.
E vero che la violenza è aumentata progressivamente, tanto d'intensità quanto in estensione, interessando porzioni via via maggiori del territorio afgano, come ben sanno i nostri amici tedeschi che presidiano la zona di Kunduz. È certamente vero che il Governo diretto da Karzai è lontano da quel modello di governo che offre efficienza e buona amministrazione che tutti avevamo auspicato. Tuttavia, questa triste considerazione o, comunque, constatazione ci sembra insufficiente per condannare il nostro impegno e, comunque, per cambiare la conclusione di questa nostra missione. Questa è certamente insufficiente, sia in rapporto alle ragioni per le quali la comunità internazionale è intervenuta, sia in rapporto alla complessiva valutazione dei risultati finora ottenuti.
Veniamo, dunque, al punto. Perché ci troviamo in Afghanistan? Siamo andati lì certamente dopo l'11 settembre. Non dobbiamo prenderci in giro e pensare che avremmo instaurato un regime democratico perfetto in quel Paese. Ci siamo andati perché sono crollate le torri e ci siamo andati perché vi era un'esigenza di protezione rispetto a un Paese dove i talebani si organizzavano per venirci a tirare le bombe sulla testa. Dunque, è evidente che abbiamo preso l'iniziativa e ci siamo mossi per evitare che fuori da questo Paese qualcuno si potesse organizzare per farci del male.
Tuttavia - e questa è una considerazione molto personale - non andrei in nessun Paese con la filosofia che è nata in questo tempio di ipocrisia, dove si dice «vogliamoci bene, pace, peace» e poi si mandano gli aerei, dove si dice «l'utero è mio e me lo gestisco io» e poi facciamo altre considerazioni oggi che sono ancora differenti.
Dunque, siamo andati in quel Paese perché dobbiamo difenderci da chi in quel Paese, tranquillamente e senza che nessuno lo controlli, vuole prepararci qualche brutta sorpresa. Questo lo sta facendo anche l'Iran. Non è che stiamo lì a guardare ma stiamo osservando cosa stanno facendo in quel Paese: potrebbe darsi che quelli che sono un po' più svegli e con qualche soldino in più vengano a tirarci la bombetta, quella che stanno preparando e che, comunque, come dicono gli americani, da anni è in preparazione.
Noi siamo stati colpiti al cuore e, in particolare, uno dei nostri alleati principali è stato colpito al cuore.
È, però, molto difficile per l'Italia sottrarsi alle responsabilità che incombono quando uno Stato amico viene aggredito in modo così grave sul proprio territorio nazionale. Gli Stati Uniti esigevano la solidarietà che noi gli abbiamo dato, la stessa che avremmo preteso da loro se fossimo stati attaccati dall'Unione Sovietica ai tempi della Guerra fredda, e glielo abbiamo anche dimostrato.
Non pensiamo sia stato un errore, non lo pensate neanche voi, non l'ha pensato Pag. 40neanche l'opposizione, se non con questa mozione della quale non riusciamo a capire il motivo. Del resto, anche tutte le altre nazioni - circa una cinquantina - si sono mobilitate al punto tale che un terzo del pianeta è in tal modo presente con i propri soldati in Afghanistan.
Pertanto, l'obiettivo fondamentale dell'intervento era quello di eliminare le condizioni che avevano permesso agli uomini di Bin Laden di progettare gli attacchi su Washington e New York ed è bene sottolineare come, all'indomani dell'abbattimento del regime talebano a Kabul - un regime politico per il quale ci auguriamo nessuno qui dentro coltivi delle nostalgie -, gli americani non si fossero preoccupati moltissimo di provvedere alla ricostruzione politica e sociale di un Paese sconvolto da trent'anni di guerra. Siamo stati noi, noi europei, incluso il nostro Paese, ad imporre invece questo tema nell'agenda della stabilizzazione afgana durante la Conferenza di Bonn del dicembre del 2001, quando venne definita una road map per il nuovo Afghanistan e deciso l'invio di una missione internazionale per proteggerla, quella che sarebbe poi diventata l'ISAF.
L'amministrazione Bush avrebbe preferito subappaltare certamente il controllo dell'Afghanistan ad un gruppo di signori della guerra di varia estrazione, come oggi suggerisce di fare anche il Vicepresidente americano Joe Biden. Noi invece, sulla base dei nostri valori, abbiamo cercato di far sì che l'Afghanistan fosse un posto dove i bambini - come è stato detto in quest' Aula - potessero studiare e le donne tornare nelle scuole e nel mondo del lavoro, un posto dove si celebrassero delle elezioni politiche, pur con tutti i problemi immaginabili e possibili delle elezioni politiche, e dove venissero introdotti i principi dello Stato di diritto e dell'uguaglianza di genere.
Se non la pensassimo così, ci converrebbe star fuori da questi Stati che sono stati tenuti nel tempo da dittatori come Saddam o attualmente Ahmadinejad. Qui, infatti ci troviamo di fronte a popolazioni che parrebbe sentano solo ed esclusivamente le legnate e non altro.
Allora noi abbiamo fatto una riflessione, ossia abbiamo provato a far diventare l'Afghanistan uno Stato di diritto con un'uguaglianza vera. Siamo stati visionari? Si può anche dire che lo siamo stati senza dubbio, ma di questo non dobbiamo incolpare l'America, che semmai ci ha bruscamente richiamati alla realtà e nella quale oggi si discute di come ridimensionare ambizioni dimostratesi finora così irrealistiche.
Tuttavia, alcune cose vanno dette: in Afghanistan si combatte e si muore, è vero, ma il reddito degli afgani è sensibilmente aumentato, così come si è ridotto il tasso di analfabetismo. Siamo riusciti ad aprire una breccia nel rifiuto della modernità, imposto a viva forza dai talebani: non è più vietato far volare gli aquiloni. Non è più vietato far volare gli aquiloni, si vedono le televisioni, si fa sport dentro quegli impianti nei quali un tempo si fucilava la gente. Gli afgani hanno conosciuto il telefonino, non che questo comunque sia un simbolo di civiltà o di democrazia, tuttavia c'è anche questo; specialmente nelle città qualche germoglio di sviluppo si è visto e c'è un embrione di pluralismo politico.
Partiamo, quindi, da qui per svolgere ulteriori considerazioni. Dobbiamo decidere se tutto questo debba essere o meno spazzato via attraverso un brusco ritiro, oppure se sia meglio tentare di spuntarla sostenendo le strategie di transizione suggerite ed applicate dai comandi statunitensi sul terreno.
I nostri colleghi dipietristi chiedono di esercitare pressioni per ottenere un cambio di strategia, ma non ci dicono se salvare l'Afghanistan o «mollarlo» al suo destino, riconsegnandolo ai terroristi e ai loro fiancheggiatori talebani.
Diteci - ma ditecelo veramente, una volta per tutte - cosa volete fare, assumendovene la responsabilità. Non si può ritornare tra qualche giorno ad un'ulteriore mozione che non serve perché siamo già intervenuti, ne abbiamo già discusso, ci Pag. 41eravamo già espressi, abbiamo detto di continuare quella missione, hanno votato a favore 419 o 420 parlamentari contro 19, quindi perché ritorniamo a parlare di queste questioni?
Ma c'è dell'altro: gli amici dell'Italia dei Valori chiedono al Governo di esercitare delle pressioni per ottenere un cambio di strategia mentre lo impegnano anche a preparare il ritiro. Un palese non senso.
Si tratta di un'alleanza che sta conducendo un'operazione militare - si contribuisce alla strategia e all'individuazione degli obiettivi sulla base dell'apporto che materialmente si offre - abbiamo sul terreno 4 mila uomini su 140 mila, quanto contiamo? Contiamo circa un 3 per cento. Vi pare che possiamo dettar legge? Sì, possiamo suggerire, forse, ma non possiamo fare altro, e questo 3 per cento ci consentirebbe di fare ancor meno se ci si preparasse fin da oggi al ritiro. Perderemmo ogni voce in capitolo, questo è quello che pensiamo.
C'è un ultimo punto, onorevoli colleghi, che vorrei trattare. Abbiamo perso in Afghanistan 35 vite, non sono poche, il sacrificio ha un senso solo in quanto utile a qualche fine. Se ce ne andassimo oggi, cosa resterebbe? Sarebbe stato tutto vano secondo noi, vano l'impegno di solidarietà offerto ai nostri alleati che ricorderebbero della nostra presenza solo l'atto finale, com'è già successo in Iraq anche grazie a voi e com'era successo anche molto prima.
Abbiamo per vizio di tradire a metà del percorso, dobbiamo stare molto attenti. Risulterebbe vano anche lo sforzo fatto per dare un barlume di speranza alle popolazioni che i soldati del nostro Paese stanno proteggendo, per offrir loro un futuro degno di questo nome. Come ha di recente ricordato il nostro segretario federale Umberto Bossi, non possiamo davvero andarcene da soli, proprio per le ragioni anzidette.
In vista del voto sulle mozioni al nostro esame, colleghi deputati e signor Presidente, proprio per questi motivi vi invito ad una riflessione approfondita sul peso delle decisioni che andrete ad assumere al momento del voto.
È certo che nel tempio dell'ipocrisia - come ho potuto notare oggi - credo che poco siano importanti le decisioni che prenderemo sull'Afghanistan, è più importante dire «noi siamo dei garantisti però succede questo» e giù legnate! Senza più lasciar lavorare questo Parlamento, perché siete voi che non lo lasciate lavorare con questa politica - come dice mio fratello - che non ha niente, perché non avete collante, non avete motivo per venirci a dire che non siamo capaci di lavorare. Siete - da uomo di sinistra - quelli che oggi vanno di dietro solo come un condor a qualche... guardo Giachetti e non insisto (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania)...

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente.
Il seguito della discussione è rinviato al prosieguo della seduta.

Inserimento all'ordine del giorno dell'Assemblea del seguito della discussione di un disegno di legge di ratifica e sull'ordine dei lavori (ore 17,30).

SIMONE BALDELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, vorrei rivolgere alla Presidenza e all'Assemblea una proposta sull'ordine dei lavori, nel senso che, a questo punto dei nostri lavori, sarebbe prevista la discussione sulle linee generali del testo unificato delle proposte di legge concernenti disposizioni in favore dei territori di montagna. È evidente, signor Presidente, che per definire un percorso anche più coerente dei nostri lavori potremmo utilizzare questa parte del pomeriggio per iniziare le votazioni sui provvedimenti. Pag. 42
Pertanto propongo alla Presidenza e all'Assemblea di inserire all'ordine del giorno della seduta odierna - ai sensi del comma 2 dell'articolo 27 del nostro Regolamento - il seguito della discussione del disegno di legge di ratifica sugli accordi in materia di cooperazione nel settore della difesa intercorsi tra Italia e Brasile, la cui discussione sulle linee generali è stata già svolta da questo ramo del Parlamento.
Propongo poi di proseguire con i punti all'ordine del giorno, nel senso di procedere per la giornata di oggi, successivamente alla ratifica degli accordi militari tra Italia e Brasile, al seguito dell'esame della mozione Di Stanislao ed altri n. 1-00530 sull'Afghanistan, di cui la discussione sulle linee generali si è testé svolta ed è terminata con l'intervento dell'ultimo collega del gruppo della Lega.
Successivamente, come ultimo punto all'ordine del giorno per la giornata di oggi, propongo di procedere con la discussione sulle linee generali del testo unificato delle proposte di legge recante disposizioni in favore dei territori di montagna. Evidentemente, così rimanendo stabiliti i lavori della giornata di oggi, si potrebbe proseguire mantenendo i successivi punti all'ordine del giorno, il cui esame inizierebbe nella giornata di domani con un ordine che la Presidenza può stabilire o, comunque, anche dando la priorità, come primo punto, allo stesso testo unificato sulla montagna, secondo quello che dovrebbe essere il contenuto degli accordi intercorsi. Successivamente, si potrebbe procedere all'esame degli altri due provvedimenti in materia di giustizia, uno concernente la tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori, l'altro riguardante l'inapplicabilità del giudizio abbreviato per i delitti per i quali è prevista la pena dell'ergastolo.
Quindi, signor Presidente, credo di aver delineato un quadro di insieme sulla possibile prosecuzione dei nostri lavori. È evidente che ella dovrà valutare e verificare se ci sia il consenso e procedere, ex articolo 27 del Regolamento. Successivamente, anche per l'iter dei punti all'ordine del giorno, così come proposto alla Presidenza, occorrerà verificare se vi è il consenso necessario.

PRESIDENTE. Come ella ha richiamato, ai sensi del comma 2 dell'articolo 27 del Regolamento, per poter deliberare su materie non iscritte all'ordine del giorno, è necessaria una votazione palese mediante procedimento elettronico con registrazione dei nomi.

Preavviso di votazioni elettroniche (ore 17,35).

PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta avranno luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di cinque e venti minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del Regolamento.
Per consentire il decorso del termine regolamentare di preavviso, sospendo la seduta, che riprenderà alle 17,55.

La seduta, sospesa alle 17,35, è ripresa alle 18.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI

Si riprende la discussione.

PRESIDENTE. Passiamo alla proposta di inserire all'ordine del giorno della seduta odierna il seguito della discussione del disegno di legge di ratifica dell'Accordo fra l'Italia e il Brasile in materia di cooperazione nel settore della difesa.
Se nessuno chiede di intervenire, porrò in votazione, a norma dell'articolo 27, comma 2, del Regolamento, la proposta di inserimento all'ordine del giorno della seduta odierna del seguito della discussione del disegno di legge di ratifica tra l'Italia e il Brasile in materia di difesa.
Ricordo che, a norma dell'articolo 27, comma 2, del Regolamento, per deliberare su materie non iscritte all'ordine del Pag. 43giorno è necessaria una votazione palese mediante procedimento elettronico con registrazione dei nomi e la maggioranza dei tre quarti dei votanti.
Indico la votazione nominale mediante procedimento elettronico sulla proposta di inserimento all'ordine del giorno del seguito della discussione del disegno di legge di ratifica n. 3882.
È aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevoli Aprea, Molteni, Livia Turco, Siliquini, De Girolamo, Pecorella, Goisis, Perina, Granata, Grimaldi, Stradella, Lo Monte, Zazzera, Ferranti, Brandolini, De Angelis, Calabria, Giammanco, Sardelli...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti 525
Votanti 490
Astenuti 35
Maggioranza 366
Hanno votato
490).

Prendo atto che i deputati Cambursano, Melandri e Rigoni hanno segnalato che non sono riusciti ad esprimere voto favorevole.
Per quanto riguarda il seguito dei lavori, l'onorevole Baldelli ha proposto altresì che lo svolgimento della discussione sulle linee generali del testo unificato delle proposte di legge recanti disposizioni in favore dei territori di montagna abbia luogo al termine delle votazioni dell'odierna seduta e che, dopo la ratifica dell'Accordo tra Italia e Brasile, abbia luogo il seguito della discussione delle mozioni relative alla definizione di un piano per il ritiro del contingente italiano in Afghanistan.
Gli altri argomenti sarebbero rinviati alla seduta di domani, iniziando con il seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge recanti disposizioni in favore dei territori di montagna e proseguendo con gli altri provvedimenti in materia di giustizia.
Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito.
(Così rimane stabilito).

Seguito della discussione del disegno di legge: S. 2402 - Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica federativa del Brasile in materia di cooperazione nel settore della difesa, fatto a Roma l'11 novembre 2008 (Approvato dal Senato) (A.C. 3882) (ore 18,05).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica federativa del Brasile in materia di cooperazione nel settore della difesa, fatto a Roma l'11 novembre 2008.
Ricordo che nella seduta dell'11 gennaio scorso il seguito dell'esame del provvedimento era stato rinviato ad altra seduta.

(Esame degli articoli - A.C. 3882)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame degli articoli del disegno di legge di ratifica.
Passiamo all'esame dell'articolo 1 (Vedi l'allegato A - A.C. 3882), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Passiamo ai voti.
Pongo in votazione l'articolo 1.
(È approvato).

Passiamo all'esame dell'articolo 2 (Vedi l'allegato A - A.C. 3882), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Passiamo ai voti.
Pongo in votazione l'articolo 2.
(È approvato).

Pag. 44

Passiamo all'esame dell'articolo 3 (Vedi l'allegato A - A.C. 3882), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Passiamo ai voti.
Pongo in votazione l'articolo 3.
(È approvato).

(Dichiarazioni di voto finale - A.C. 3882)

PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto finale.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Vernetti. Ne ha facoltà.

GIANNI VERNETTI. Signor Presidente, per i motivi già illustrati nella discussione sulle linee generali dell'11 gennaio scorso, quando parlammo a lungo della vicenda Battisti e al di là del merito in quanto tale della ratifica in oggetto, che, ovviamente, riteniamo un fatto assolutamente giustificabile e anche con un senso, annunciamo un voto di astensione perché riteniamo che sarebbe sbagliato far cadere l'attenzione politica su un fatto, su una scelta, di un Governo democratico come quello brasiliano che ha trattato il nostro Paese non come dovrebbe essere trattato un grande Paese democratico, autorevole membro della comunità internazionale.
Dunque, con le stesse motivazioni di allora sulla base delle quali ritenevamo che fosse impensabile rifiutare la richiesta di estradizione di Battisti nei confronti dell'Italia, perché qui non vi erano le condizioni minime per garantire l'impunità, la tutela e la sicurezza dell'imputato, riteniamo sensato oggi astenerci dalla votazione del provvedimento in esame.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Di Stanislao. Ne ha facoltà.

AUGUSTO DI STANISLAO. Signor Presidente, voglio riferirmi a quanto abbiamo già definito nella discussione sulle linee generali e anche nell'ambito della Commissione di merito.
Credo che si sia fatto un buon lavoro perché il Brasile rappresenta per noi un partner importante dal punto di vista della cooperazione in campo militare e anche un'opportunità sotto il profilo non solo della cooperazione, ma anche del dato del bilancio del commercio per quanto riguarda gli strumenti militari e gli armamenti. Quindi, questo rapporto, che si può implementare, può dare un impulso importante allo sviluppo dell'industria della difesa.
È evidente che l'accordo con il Brasile deve tendere a favorire ed incrementare la cooperazione bilaterale tra le nostre Forze armate e quelle brasiliane per consolidarne la capacità difensiva e migliorare la reciproca collaborazione in materia di sicurezza, mirando però anche, nel contempo, a produrre positivi effetti indiretti in alcuni settori produttivi e commerciali dei due Paesi in un'ottica di stabilizzazione, considerati gli interessi strategici nazionali e gli impegni assunti in ambito internazionale.
Tra questi si inserisce bene il provvedimento in esame, che rafforza ulteriormente i nostri già ottimi rapporti con il Brasile, nel solco dello spirito di un'amicizia preesistente, che è stata solo in parte offuscata da quanto è successo negli ultimi tempi con la nota vicenda diplomatica, di cui tutti hanno parlato qualche tempo fa.
Nell'ambito di questo rapporto e del miglioramento delle capacità militari che hanno riguardato non solo gli aspetti tecnologici ma anche l'aspetto industriale, per giunta in conformità con gli obblighi assunti a livello internazionale, è evidente che noi dovevamo avere il coraggio di osare di più e anche approfondire di più e meglio alcune tematiche importanti, che ci vedono partner fondamentale nei rapporti con il Brasile, ad un livello economico e commerciale. In questo caso dovevamo avere il coraggio anche di andare oltre, perché - è bene ricordarlo, perché magari qualcuno lo ha dimenticato o non vuole assolutamente parlarne o prenderlo in considerazione - i settori maggiormente rappresentativi di questa cooperazione riguardano la sicurezza e la politica di Pag. 45difesa, la ricerca, lo sviluppo, il supporto logistico e la condivisione delle esperienze di peacekeeping, che dovevamo assolutamente approfondire - e che non abbiamo fatto - nell'ambito del dibattito di carattere generale, ma anche adesso all'interno del Parlamento. Questa forse rappresenta un'ulteriore occasione perduta, perché vi sono comprese anche le implicazioni delle questioni ambientali e del controllo dell'inquinamento causato dalle strutture militari, nonché i servizi sanitari militari, la formazione, l'addestramento e anche lo sport e la storia militare.
Devo dire che l'Italia dei Valori in questo contesto si vuole intestare anche un punto a favore, perché grazie alla sua proposta emendativa, presentata nell'ambito del parere espresso, ha impedito che vi fosse un'azione libera, dando la possibilità, non agli Stati Brasile e Italia insieme, ma alle rispettive industrie - quindi ai privati - di poter svolgere un ruolo autonomo all'interno delle trattative sulle procedure di autorizzazione all'esportazione e all'importazione semplificate. In questo modo abbiamo impedito ciò, con quel parere che abbiamo reso vincolante all'interno della Commissione, facendo sì che si rispettasse quella legge importante e fondamentale, che non va messa da parte, ma che va invece in qualche modo esaltata e che è la legge n. 185 del 1990.
In quel contesto abbiamo svolto certamente un buon lavoro, ma evidentemente si è persa un'occasione che noi abbiamo comunque recuperato nell'esame dell'articolo 6. L'articolo 3 di quell'accordo tuttavia aveva tra i suoi compiti molteplici campi di cooperazione, che noi non abbiamo voluto affrontare - né si è voluto farlo all'interno della maggioranza -, che ricomprendevano e ricomprendono anche la ricerca e lo sviluppo di prodotti e servizi del settore della difesa.
In tutto questo, credo che abbiamo tutelato ancora volta e salvaguardato la legge n. 185 del 1990. Nell'ambito di un dibattito, che forse andava meglio speso e più approfondito cosicché avrebbe offerto, come dire, la possibilità di un approfondimento in termini qualitativi, credo che forse qualcosa in più potevamo mettere. Soprattutto lo poteva mettere in più la maggioranza e il Governo.
In tale quadro, avendo noi dato questo grande contributo, nei termini e nei modi che dicevo prima, nell'ambito del parere e della proposta emendativa all'interno di tale parere, penso che possiamo legittimamente - oltreché intestarci un risultato - esprimere un voto positivo su questo disegno di legge di ratifica. In qualche modo rappresenta infatti un punto in avanti, che sono sicuro possa essere un punto di sfida per la maggioranza e il Governo, affinché possano finalmente, una volta per tutte senza giri di parole, vincolarsi definitivamente al valore della legge n. 185 del 1990 (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Volontè. Ne ha facoltà.

LUCA VOLONTÈ. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il nostro gruppo parlamentare non potrà votare a favore di questo provvedimento. Ci asterremo - lo dico con chiarezza - non tanto perché il merito di questo accordo tra Italia e Brasile trovi in noi qualche disappunto nella sua formalità o nel suo contenuto, quanto perché ci vogliamo porre una domanda che spero risuoni anche alle orecchie di chi è più distratto in questo momento e cioè: che cosa è accaduto, caro sottosegretario, dall'11 gennaio, ovvero da qualche settimana fa, ad oggi?
Ricordo che l'11 gennaio è stato il giorno in cui abbiamo iniziato questa discussione e ci siamo tutti detti comunemente, quando ancora non si sapeva e anzi si era a conoscenza addirittura dell'impossibilità di estradare il signor Cesare Battisti, che per ragioni politiche e per la dignità del nostro Paese non era opportuno dar seguito a questo accordo favorevolmente.
Pensiamo non sia accaduto niente da allora. Ho avuto modo di verificarlo su Internet e sulle agenzie di stampa in questi giorni e fino a qualche minuto fa non mi Pag. 46sembra che vi sia stato un grande avvenimento di giustizia nei confronti della nostra storia e del nostro Paese. Non è stata data la possibilità a Battisti di rientrare in Italia, non c'è ancora alcuna decisione da parte del Governo brasiliano. C'è uno scambio di lettere molto rispettoso tra il Presidente della Repubblica italiana e quello della Repubblica federale del Brasile ma non è cambiato nulla. Mi chiedo e vorrei chiedere al sottosegretario, ma so che non può intervenire in questa fase del dibattito, cosa mai sia accaduto che è così nascosto alla stampa internazionale e alla coscienza di questo Parlamento. Dico di più, perché si è detto di più in queste settimane. Vi sono stati Ministri che legittimamente, secondo la propria opinione, hanno addirittura minacciato di stracciare questo accordo, che non solo non avrebbe dovuto aver seguito ma avrebbe dovuto essere strappato da parte italiana per il grave affronto commesso dalla magistratura e del Governo del Brasile, quello cioè di non dare la possibilità a Battisti di rientrare nel nostro Paese. La situazione è rimasta esattamente quella dell'11 gennaio scorso. Non si capisce quale valutazione politica oggi ci abbia indotto non solo a riportare in Aula questo provvedimento - lo dico ai colleghi della maggioranza come a quelli dell'opposizione - ma addirittura a votare a favore. O sbagliavamo tutti l'11 gennaio scorso o, forse, siete a conoscenza di avvenimenti straordinariamente segreti oppure stiamo commettendo un errore incredibile ad approvare in questo momento, quando ancora pende il giudizio e la volontà politica di non estradare Cesare Battisti che è un delinquente politico, un provvedimento che dà il via libera politicamente e pesantemente a questo accordo con il Brasile.
Ho l'onore di rappresentare un voto di astensione che mette l'accento su un disappunto forte da parte del nostro gruppo rispetto a questa scelta politica della quale chi voterà a favore si assumerà ovviamente la responsabilità.
Aggiungo, caro Vicepresidente di turno, onorevole Bindi - mi rivolgo a lei perché oggi ha l'onore di presiedere il nostro ramo del Parlamento - che mi viene un sospetto, purtroppo confermato in questi lunghi mesi di durissimo lavoro parlamentare che ci porta ad iniziare i nostri lavori il martedì pomeriggio e a concluderli, con una qualche fatica e spinta, il mercoledì a mezzogiorno. Penso, onorevole Vicepresidente Bindi, che, forse, una delle ragioni per la quale ci troviamo a togliere dal cassetto e dalla polvere questo provvedimento è la necessità di riempire questo scorcio di serata dei nostri lavori parlamentari. Se così fosse, onorevole Vicepresidente - con tutto il rispetto che lei sa nutro nei confronti suoi, degli altri Vicepresidenti e del Presidente della Camera - vorrei soltanto e, ovviamente con rispetto, farle presente che non è certamente possibile proseguire con un ritmo di lavori che inizia il martedì pomeriggio e si conclude con grande fatica di tutti il mercoledì a mezzogiorno, per fingere che si sta lavorando per risolvere i problemi del Paese. Non voglio accusare nessuno ma la sensazione che si vuole dare è quella di menefreghismo nei confronti del nostro lavoro e dei temi che stanno a cuore al nostro Paese, andando a recuperare provvedimenti, nascosti per ragioni politiche, per riempire il tempo. Penso che ognuno di noi, lo dico da parlamentare che sta qui da qualche anno, dovrebbe mettersi una mano sulla coscienza - mi rivolgo direttamente a lei, signor Vicepresidente e ai Presidenti dei gruppi parlamentari - perché, dopo due anni che si lavora con questo sistema, non è accettabile che si prosegua in questa direzione (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. Credo di non aver bisogno di ricordarle che potrebbe rappresentare tale esigenza, oltre naturalmente che in Assemblea, in sede di Conferenza dei Presidenti di gruppo.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Dozzo. Ne ha facoltà.

GIANPAOLO DOZZO. Signor Presidente, vorrei scindere le questioni. Mi riferisco, in primo luogo, alla questione Pag. 47inerente l'Accordo con il Brasile per quanto riguarda la cooperazione nel settore della difesa (mi riferisco in particolare all'articolato): abbiamo sentito da più parti che si tratta di un buon Accordo, che deve essere portato avanti, riguardo una serie di questioni che vanno dal supporto logistico al peacekeeping, alle questioni ambientali, alla ricerca e sviluppo nel settore, appunto, della difesa. Poi vi è la questione che ha fatto sì che questo Accordo fosse ritirato non più di un mese fa da questa Aula, cioè quella relativa all'estradizione del delinquente Battisti. Allora, mi chiedo - e vorrei chiedere al Governo - che cosa sia successo nel frattempo (in questo breve periodo) per cui oggi si riporta questo provvedimento in Aula. Chiedo al Governo - sottosegretario Scotti - se risulta vero che vi sia stata un'ingerenza di un Paese dell'Unione europea per quanto riguarda una fornitura militare, un contratto concernente una fornitura navale (se non erro, o comunque che riguarda le navi), con il Brasile. Dunque chiedo se vi sia stata l'ingerenza di un Paese dell'Unione europea, e magari di quel Paese che ha dato asilo al delinquente Battisti, e che - guarda caso - cerca in questa maniera di entrare nell'affare. Perché se è questo il punto, alla faccia della cooperazione europea e alla faccia dell'Unione europea (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania)!
Guardate che, al di là delle giuste posizioni e rivendicazioni che tutti i gruppi politici in questa Aula hanno espresso sulla questione dell'estradizione di Battisti, adesso si tratta di difendere i nostri interessi, i nostri interessi commerciali attaccati da un Paese membro dell'Unione europea. È per questo, signor Presidente, che noi voteremo a favore della ratifica di questo Accordo, per far in modo di dare una piccola lezione a coloro che hanno ancora in mente la loro grandeur (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Tempestini. Ne ha facoltà.

FRANCESCO TEMPESTINI. Signor Presidente, l'Italia e il Brasile sono due grandi Paesi che hanno (ognuno per il suo verso, naturalmente) l'ambizione di rappresentare nel mondo una posizione autorevole ed importante. Sono due Paesi che si giocano - non ultimo aspetto - una presenza nel Consiglio delle Nazioni Unite. Sono due Paesi che hanno una politica di carattere generale, e due grandi Paesi di questo tipo devono uniformare la loro politica alla netta distinzione tra fatti, avvenimenti, accadimenti che li riguardano, e salvaguardare quella che, per certi aspetti potrei definire, una forma di laicità nei rapporti internazionali. Quando è emerso con tutta la sua insopportabile inaccettabilità il caso Battisti, per quanto riguarda questa parte politica, non è stato mai pensato di mettere in discussione questa linea, che è fondamentale nelle relazioni internazionali, perché scegliendone un'altra si scivolerebbe inevitabilmente sulla strada di ritorsioni che porterebbero non si sa dove, e che condurrebbero le relazioni internazionali ad un livello e ad una conflittualità che - ripeto - non sono mai auspicabili, ma che tanto meno sono auspicabili per grandi Paesi come l'Italia e il Brasile.
Dobbiamo mantenere, anche nei confronti di condizioni così difficili come quelle che sono rappresentate dall'atto, compiuto dal Presidente Lula nei confronti dell'estradizione di Battisti (che abbiamo rifiutato dal profondo del cuore), quella laicità, quella capacità di distinguere, che è fondamentale nei rapporti internazionali. Certamente, l'altra volta abbiamo dato un segnale; voleva essere un segnale che ribadiva la preoccupazione per una scelta sbagliata che veniva compiuta, ma di segnale si deve trattare e non di più. Non ci possiamo incamminare sulla strada delle ritorsioni perché è una strada che non porterebbe lontano il nostro Paese. Per questa ragione di fondo, al di là di tutte le altre considerazioni che si possono fare, confermiamo un voto a favore di questo provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

Pag. 48

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Antonione. Ne ha facoltà.

ROBERTO ANTONIONE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, intervengo per preannunziare il voto favorevole del gruppo del Popolo della Libertà alla ratifica di questo trattato internazionale. Come sappiamo, il Parlamento è chiamato a ratificare gli accordi internazionali che i Governi, anche molto tempo fa, come in questa occasione, vanno a stipulare con Paesi amici; si tratta, sostanzialmente, di un atto dovuto. Si possono fare molte considerazioni in ordine a quelle che possono essere le difficoltà del momento, ma quando si assumono impegni internazionali e quando il nostro Governo lo fa a nome del nostro Paese, la ratifica non può che essere dovuta da parte del Parlamento. Per questa ragione, la sosteniamo con grande convinzione.

PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto finale.

(Votazione finale ed approvazione - A.C. 3882)

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione finale.
Indìco la votazione nominale finale, mediante procedimento elettronico, sul disegno di legge di ratifica n. 3882, di cui si è testé concluso l'esame.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevole Grimaldi...onorevole Traversa...onorevole Santelli...onorevole Casini...onorevole Rosato...onorevole Fiorio...onorevole Corsaro...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione:
S. 2402 - «Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica federativa del Brasile in materia di cooperazione nel settore della difesa, fatto a Roma l'11 novembre 2008» (Approvato dal Senato) (3882):
Presenti 524
Votanti 426
Astenuti 98
Maggioranza 214
Hanno votato 425
Hanno votato no 1.
(La Camera approva - Vedi votazionia ).

Prendo atto che il deputato Ginefra ha segnalato che non è riuscito ad esprimere voto favorevole.

Seguito della discussione delle mozioni Di Stanislao ed altri n. 1-00530, Cicu ed altri n. 1-00561, Tempestini ed altri n. 1-00562, Porfidia ed altri n. 1-00563 e Vernetti, Adornato, Della Vedova ed altri n. 1-00564, relative alla definizione di un piano per il ritiro del contingente italiano in Afghanistan (ore 18,30).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'esame delle mozioni Di Stanislao ed altri n. 1-00530 (Nuova formulazione), Cicu ed altri n. 1-00561, Tempestini ed altri n. 1-00562, Porfidia ed altri n. 1-00563 e Vernetti, Adornato, Della Vedova ed altri n. 1-00564, relative alla definizione di un piano per il ritiro del contingente italiano in Afghanistan (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Ricordo che nella seduta odierna si è conclusa la discussione sulle linee generali.

(Intervento e parere del Governo)

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo che esprimerà, altresì, il parere sulle mozioni presentate.

Pag. 49

ENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento, sottolineando in questa occasione soltanto un dato politico di fondo.

PRESIDENTE. La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.

ENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. La stabilizzazione e lo sviluppo dell'Afghanistan continuano a rappresentare il principale banco di prova della credibilità della NATO e della comunità internazionale impegnata fin dal 2002 per combattere il terrorismo e ricostruire il paese e le sue istituzioni. Un dato che noi non possiamo assolutamente prendere in considerazione è l'ipotesi di un ritiro immediato che ci metterebbe nell'impossibilità di continuare ad aiutare la popolazione civile soprattutto le persone più vulnerabili, donne, sfollati, indigenti. Ci siamo impegnati a Lisbona per una nuova strategia e su quella intendiamo proseguire così come è stato ricordato dalla maggioranza degli intervenuti nel dibattito.
Per quanto riguarda il parere, sulla mozione Di Stanislao ed altri n. 1-00530 (Nuova formulazione) il Governo esprime un parere negativo sulle premesse......

PRESIDENTE. Colleghi, un momento di silenzio per cortesia perché il rappresentante del Governo sta esprimendo il parere sulle mozioni ed i presentatori devono seguire con attenzione.

ENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Il Governo esprime un parere contrario sulle premesse; in ordine al dispositivo, invece, il Governo ne accetta i primi quattro capoversi, mentre chiede una riformulazione del quinto capoverso nel senso di sostituire le parole «a recepire le richieste», di una ONLUS, pur se importante, le seguenti: «di tenere in debita considerazione le istanze di Human Rights Watch». Per le ragioni che ho detto prima, il Governo è contrario al sesto capoverso così com'è stato espresso da tutti.
Per quanto riguarda la mozione Porfidia ed altri che è la seconda...

PRESIDENTE. No, la seconda mozione è Cicu ed altri n. 1-00561.

ENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Il Governo esprime parere favorevole sulla mozione Cicu ed altri n. 1-00561.

PRESIDENTE. Qual è il parere del Governo sulla mozione Tempestini ed altri n. 1-00562?

ENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Il Governo esprime parere favorevole sulla mozione Tempestini ed altri n. 1-00562. Vorrei richiamare l'attenzione per un minuto dell'onorevole Tempestivi su due capoversi del dispositivo. Nel primo capoverso l'onorevole Tempestivi scrive: «ad adottare ogni iniziativa utile, per quanto di sua competenza, affinché il graduale previsto ritiro delle forze militari dia luogo ad una nuova strategia (...)». La nuova strategia è stata adottata a Lisbona, quella della afganistanizzazione del conflitto e dell'impegno verso la società civile. Vorrei pregare il presentatore di riformulare quella parte del dispositivo nel modo seguente: «ad adottare ogni iniziativa utile, per dare attuazione contestualmente al ritiro delle truppe e alla strategia che prevede un forte rafforzamento dell'azione politica (...)».
In secondo luogo, il Governo accetta la mozione Tempestivi ed altri n. 1-00562 purché sia riformulato il quinto capoverso, sostituendo le parole: «ad assicurare la preventiva consultazione» sostituendolo con le seguenti: «a continuare a coinvolgere il Parlamento su modifiche sostanziali dell'impegno italiano in Afghanistan», per coinvolgere il Parlamento, questo mi sembra l'obiettivo di questo punto. Il Governo Pag. 50esprime favorevole sulla mozione Tempestini ed altri n. 1-00562 purché i presentatori ne accettino le riformulazioni.

PRESIDENTE. Qual è il parere del Governo sulla mozione Porfidia ed altri n. 1-00563?

ENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Vorrei pregare l'onorevole Porfidia di riformulare il secondo capoverso del dispositivo, che recita: «a presentare al Parlamento un piano, predisposto in accordo con gli alleati e l'autorità afgane (...)», nel modo seguente: «ad informare il Parlamento del piano definito con gli alleati e le autorità afgane approvato dal vertice NATO di Lisbona con le indicazioni temporali in esso contenute» che sono quelle del 2014, ciò che lei invoca come deadline per il ritiro.
Se accetta questa riformulazione il parere è favorevole.

PRESIDENTE. Sulla mozione Vernetti, Adornato, Della Vedova ed altri n. 1-00564?

ENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, il parere è favorevole.

(Dichiarazioni di voto)

PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto.
Prego gli onorevoli che intervengono e i presentatori delle mozioni di esplicitare se accolgono o meno la riformulazione proposta dal sottosegretario.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Vernetti. Ne ha facoltà.

GIANNI VERNETTI. Signor Presidente, intervengono nei due minuti che mi rimangono con grande rapidità. Noi voteremo convintamente contro la mozione presentata dal gruppo dell'Italia dei Valori perché riteniamo che oggi affermare l'idea del ritiro sia una scelta unilaterale, contro l'Europa, contro i nostri alleati europei e americani. Oggi non è possibile pensare di affrontare così la grande questione afgana, nata dopo l'11 settembre con un voto unanime del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, dal quale è disceso un grandissimo impegno politico, civile e militare, un grande impegno di risorse umane ed economiche per sostenere una democrazia in difficoltà e per tentare di stabilizzare, eliminare e sradicare il terrorismo, stabilizzare quel Paese e creare le condizioni per lo sviluppo. Lo sappiamo: senza sicurezza è impossibile creare condizioni minime per lo sviluppo. Questo quindi è il senso della mozione che abbiamo presentato come Alleanza per l'Italia, Unione di Centro e Futuro e Libertà e che proponiamo al voto dell'Assemblea.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Porfidia Ne ha facoltà.

AMERICO PORFIDIA. Signor Presidente e onorevoli colleghi, la missione ISAF è stata ritenuta necessaria dal Consiglio di sicurezza dell'ONU dopo l'attentato terroristico dell'11 settembre 2001 e come obiettivo aveva quello di mettere fine al regime dei talebani, distruggendo anche i campi di addestramento della rete di Al Qaeda, l'insieme di identità politico-militari di ispirazione islamica, che con mezzi terroristici intende destabilizzare l'Occidente e che come tutti sappiamo ha a capo Osama Bin Laden.
In seguito a questa missione immediatamente il regime talebano viene rovesciato dopo poco più di un mese e al potere si insedia il Presidente Karzai, che tuttora è a capo dello Stato dell'Afghanistan. Il Paese ad oggi rimane tuttavia sotto occupazione del contingente NATO a causa della persistente instabilità politica e dei numerosi attentati terroristici messi in campo dai sostenitori dei talebani.
Quindi da un lato la nostra presenza ha determinato un lavoro proficuo e questo ha determinato anche un riconoscimento a livello internazionale per il nostro Paese, che è addirittura venuto anche dal Presidente Obama, che sta svolgendo appunto Pag. 51un grande lavoro per la pace e la democratizzazione in quell'area.
Moltissime sono le missioni che sono state portate a termine dal nostro contingente militare in quella zona e tra gli eventi più importanti vogliamo ricordare l'apertura di scuole, il restauro di edifici e moschee, l'installazione di pompe per pozzi, la costruzione di importanti infrastrutture come ponti, strade e acquedotti. Voglio ricordare fra tutti un evento importantissimo secondo me, che fa capire anche il modo con cui il nostro contingente si sta muovendo in quel territorio: la riunione da parte delle forze italiane con ben 82 capivillaggio, che hanno assicurato la loro cooperazione con le forze ISAF e le forze afgane. Pertanto è chiaro e insindacabile che il nostro contingente sta lavorando alacremente in quella zona.
Per altro verso però dobbiamo ammettere che questa missione sta costando tantissimo alla nostra nazione: sta costando molto in termini di vite umane, senza tener conto delle centinaia di vittime che il conflitto sta arrecando anche tra gli afgani e, ahimè, fra i civili, spesso donne, anziani e bambini. Il bilancio ormai si è fatto veramente pesante. Ad oggi l'Italia ha dovuto sacrificare un numero considerevole dei suoi uomini ed a loro va ancora il nostro ricordo ed il nostro civile ringraziamento.
Considerando l'impegno crescente, nulla fa presagire che non vi siano altre perdite, questo è un punto fondamentale. Infatti, dobbiamo ricordare che la perdita di vite umane è stata proporzionale alla nostra presenza in quel territorio. Lo scenario di guerra si fa sempre più duro ed il nostro contingente è sempre più immerso in quella realtà.
Noi del gruppo di Iniziativa Responsabile cosa vogliamo dire al Governo? In primo luogo, è vero che in questo momento una fuga avrebbe ripercussioni gravissime e negative, in primo luogo sulle popolazioni locali, le quali si troverebbero in questo momento in balia di poteri fuori dal contesto del diritto. In questo senso abbiamo al più presto necessità di garantire davvero la sicurezza e la forza alle autorità locali di ispirazione democratica, che in questi anni hanno contribuito a far crescere e stabilizzare quella nazione. Conosciamo ancora le attuali difficoltà del Governo Karzai e la lontananza che ancora separa quel Governo da un processo di consolidata democrazia, ma il percorso è ormai avviato e riteniamo che stia arrivando quasi al termine.
In secondo luogo, voglio ricordare a tutti che è vero che in questo momento non riusciremmo a giustificare sic et simpliciter ed in modo immediato un rientro delle nostre forze rispetto alle altre nazioni che hanno partecipato e condiviso con noi lo sforzo bellico, che forse sarebbe visto come un tradimento: verrebbe fuori un'Italia che non tiene fede agli impegni e perderemmo in un attimo tutto il riconoscimento internazionale fino ad ora acquisito.
Vi è poi un altro concetto che vorrei fosse ben chiaro da parte del gruppo Iniziativa Responsabile: intorno a questo argomento così importante noi non vogliamo e non intendiamo fare politica come qualcuno, in questo momento, vuole fare nel Parlamento. Questo è un argomento che sta mettendo a repentaglio la vita dei nostri giovani militari, vogliamo quindi andare su cose concrete e fattibili, che tengano conto dello scacchiere internazionale e della posizione che in questo momento l'Italia ricopre in esso.
Certo, dobbiamo dare un senso a quello che stanno facendo i nostri giovani connazionali in quel contesto. Forse ogni qualvolta accade un brutto episodio il cuore di ognuno di noi ci dice di fuggire da quelle zone e di andare via, poi però la razionalità ci impone di fare dei ragionamenti. In Afghanistan purtroppo ci troviamo in una zona di guerra certamente voluta da altri, al fine di evitare che si possano ripetere nuovi attentati stile «11 settembre» e che essi possano interessare anche l'Italia, oggi e domani.
Detto questo, noi accettiamo la riformulazione proposta dal Governo sul secondo capoverso dell'impegno della nostra mozione, avendo accolto lo stesso i restanti tre capoversi. Accogliamo la riformulazione Pag. 52perché con essa il Governo vuole comunque assicurare a tutto il Parlamento che entro il 2014 vi sia un rientro e che predisponga, insieme agli alleati e d'accordo con le autorità afgane, un piano di rientro. Ringrazio quindi il Governo per aver accettato la nostra richiesta e annuncio il voto favorevole alla riformulazione proposta (Applausi dei deputati del gruppo Iniziativa Responsabile).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Donadi. Ne ha facoltà.

MASSIMO DONADI. Signor Presidente, preliminarmente mi permetto di osservare che io ero interessato ad ascoltare l'intervento dell'onorevole Porfidia, ma non ho capito quasi nulla a causa del brusio presente in Aula.

PRESIDENTE. Ha ragione, onorevole Donadi, il richiamo viene fatto ma...

MASSIMO DONADI. Preliminarmente, mi rivolgo al Governo per dire che il nostro gruppo non accetta né la riformulazione né la richiesta di voto per parti separate, per cui prendiamo atto che il parere del Governo è negativo, ma chiediamo comunque il voto sull'intera mozione.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'Italia dei Valori rivendica, e lo fa con orgoglio, il fatto di avere sempre sostenuto con il proprio impegno politico e con il proprio voto in Parlamento il ruolo e le scelte di politica estera del nostro Paese. In particolare, abbiamo sempre sostenuto quella che riteniamo essere non solo la scelta, ma addirittura in positivo il tratto caratterizzante della politica estera del nostro Paese, rappresentato da un impegno costante, deciso e sempre di primo piano in quelle missioni internazionali svolte sotto l'egida dell'ONU volte a garantire processi di pace, di democratizzazione dei Paesi dilaniati da guerre o da straordinarie turbolenze politiche e sociali.
Lo abbiamo fatto sempre e non abbiamo mai guardato, al momento del voto, qual era il colore politico dei governi che in origine avevano dato il via a quelle missioni, consapevoli come siamo che su queste scelte non c'è appartenenza altra che non sia quella al nostro Paese e alla comunità internazionale. Ci accompagnava anche in queste scelte la consapevolezza - per la quale voglio esprimere qui e oggi anche un riconoscimento sentito e tutt'altro che convenzionale - che le nostre Forze armate sempre si sono dimostrate all'altezza dei compiti, anche dei più ardui, sia per abnegazione che per professionalità e addestramento, e che rappresentano oggi nel nostro Paese un grande e sicuro baluardo di democrazia (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
Proprio perché non ci appartengono visioni ideologiche in materia di politica estera, però, crediamo che sia un dovere, non solo del nostro gruppo, ma del Parlamento e dei singoli gruppi che lo compongono, in momenti particolari e in situazioni particolari, rivendicare con orgoglio come un momento importante e positivo un confronto vero, profondo e nell'oggettività delle cose quando le missioni internazionali si trovano a punti di svolta straordinari, quando coinvolgono scelte e responsabilità per il Paese che li sostiene non ordinari e non quotidiani.
Noi questo lo vogliamo fare e questo è il senso della nostra mozione, al di là della contingenza dei voti semestrali che dobbiamo dare, pressati dall'urgenza, pressati dalla necessità delle scelte, con i rifinanziamenti complessivi delle missioni. Vogliamo oggi, per una giornata, che crediamo ben spesa, che l'attenzione del Parlamento venga posta su quello che è lo stato e la situazione della partecipazione italiana alla missione di pace in Afghanistan.
Onorevoli colleghi, credo che tante cose possiamo dire di questa missione di pace, tranne fare finta che vada tutto bene, tranne fare finta che la strategia fino a qui seguita sia stata un successo. Dopo dieci anni di presenza in quel Paese della NATO e dell'ONU dobbiamo prendere atto che la situazione oggi è sostanzialmente questa. Citerò una serie di dati che non sono Pag. 53opinioni del gruppo Italia dei Valori, ma sono tutti dati oggettivi che provengono da organismi internazionali, dall'ONU, dalla NATO, dai rappresentanti al più alto livello delle istituzioni impegnate in Afghanistan.
Ci dicono questo: oggi in quel Paese la disoccupazione è dilagante, basti pensare che il Paese è precipitato nell'indice mondiale dello sviluppo al 181o posto su 182 Paesi. Da quando la rappresentanza internazionale è in Afghanistan la produzione di oppio è aumentata di 40 volte: 40, onorevoli colleghi, al punto che oggi la produzione di oppio rappresenta il 60 per cento del prodotto interno lordo dell'Afghanistan.
L'aspettativa di vita in Afghanistan nel corso di questi dieci anni è precipitata a 44 anni. Anche i diritti conquistati dalle donne, che hanno rappresentato senz'altro uno dei momenti e dei punti di maggior successo della presenza internazionale in Afghanistan, sono oggi nuovamente a rischio, non solo perché nelle aree sempre più vaste controllate dai talebani questi diritti vengono nuovamente negati, ma soprattutto perché il Governo Karzai non sembra avere o la forza, o l'interesse, di fare della tutela di questi diritti un elemento non negoziabile nei colloqui futuri di pace con i talebani.
In questi dieci anni, onorevoli colleghi, l'Afghanistan è diventato il Paese nel quale si registra uno dei più alti tassi di bambini e bambine soldato tra i tredici e i sedici anni.
Oggi ci sono nelle galere afgane centinaia di bambini carcerati, nei confronti dei quali esistono molteplici riscontri documentali secondo cui vengono attuati interrogatori duri, e quando parliamo di interrogatori duri si intende comprendere anche l'uso di scosse elettriche o di percosse. In questo momento sono all'ordine del giorno in Afghanistan sparizioni di bambini collegate al traffico di esseri umani. L'Afghanistan, onorevoli colleghi, è il Paese che ha scalato da poco la triste classifica della mortalità infantile e oggi è al primo posto: un bambino su quattro in Afghanistan non arriva a spegnere la quinta candelina della sua vita.
Non solo, la NATO ha continuato ad assumere i mal qualificati agenti della polizia locale, ma addirittura ha accorciato il tempo della loro formazione professionale a quattro settimane. Ci ritroviamo con la stragrande maggioranza delle forze di polizia locale analfabeta e priva delle conoscenze anche minimali per svolgere fra la popolazione civile i fondamentali compiti di polizia nel rispetto dei diritti civili e umani. Molti agenti di polizia sono tossicodipendenti o hanno precedenti penali per reati famigerati.
Il popolo afgano, infine, ha sofferto negli ultimi mesi il peso di un conflitto armato che si è andato sempre più intensificando. Contrariamente alle promesse del Presidente americano, anche il dispiegamento di ulteriori trentamila militari non solo non ha portato alla cessazione delle attività belligeranti, ma ha addirittura prodotto il risultato contrario e oggi la controffensiva degli insorti talebani registra i livelli più alti per numero di azioni, per pericolosità delle azioni e per diffusione di queste azioni in tutto il territorio afgano. Non sembrano nemmeno esserci le condizioni perché questo scenario possa mutare nei prossimi mesi. In questi giorni, in una relazione inviata all'ONU, De Mistura, responsabile della missione ONU in Afghanistan, ha detto che i prossimi mesi saranno ancora più duri e ci sarà un peggioramento delle condizioni di sicurezza, i talebani sono ancora lì e programmano spettacolari attentati in tutto il Paese.
Inoltre la rivolta si è estesa dal sud-est, tradizionale roccaforte, al nord-ovest e il nord in particolare oggi è un vero e proprio teatro di guerra. Per tutte queste ragioni, onorevoli colleghi, appare a nostro avviso ormai chiaro che la missione di pace, sia essa di peacekeeping o di peace enforcing, alla quale era destinato il nostro contingente, ha prodotto un sostanziale fallimento non per l'incapacità e la mancanza di impegno dei Paesi che vi erano coinvolti, ma perché ormai sul campo si Pag. 54sta svolgendo e combattendo una guerra generalizzata. Quello che è certo è che non è possibile nel mezzo di un campo di battaglia dedicarsi ad azioni umanitarie o di ricostruzione. Chi sta lì oggi svolge il suo ruolo in una guerra sicuramente per difendere l'Occidente dal terrorismo e da estremismi pseudoreligiosi ma, onorevoli colleghi, non è la nostra guerra perché il nostro dettato costituzionale ce lo impedisce.
Allora crediamo che sia giunto il momento per questo Paese di fare una riflessione profonda e che siano maturati i tempi, per un Paese che non può stare lì per fare altro che non la pace, per pensare in tempi brevi a mettere in campo una strategia di rientro dei nostri soldati, ovviamente in tempi, con modalità e condizioni che non espongano a rischio, né dal punto di vista logistico né dal punto di vista organizzativo, le altre forze internazionali presenti nel campo, ma crediamo che oggi sia un dovere di questo Paese compiere una scelta (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori e del deputato Zaccaria).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Paglia. Ne ha facoltà.

GIANFRANCO PAGLIA. Signor Presidente, sinceramente sono un po' in imbarazzo a parlare oggi di Afghanistan perché veramente credo di non aver capito nulla. Come è possibile che in una situazione in cui un Governo dovrebbe dimostrarsi unito, maggioranza e opposizioni unite su un tema così importante, si possa presentare una mozione dove si chiede il ritiro immediato dei nostri soldati?
Si potrebbe parlare per ore dell'Afghanistan e di cosa stanno facendo lì i nostri soldati. Stanno garantendo la governabilità (adesso ci sono un Parlamento e un Governo), la sicurezza (ci sono tante zone dell'Afghanistan dove oggi è possibile riuscire ad avere una vita normale), la ricostruzione (già dal 2006 ci sono circa 140 progetti fatti dal nostro contingente, per non parlare poi degli aiuti umanitari e delle missioni sanitarie che vengono svolte giorno per giorno in tutta la zona afgana).
Quindi, voglio vedere positivo e pensare che l'Italia dei Valori abbia presentato questa mozione pensando di fare del bene e che i nostri soldati vogliano tornare a casa. Tuttavia, voglio far capire loro che questo è un segno di grande debolezza. L'ho già detto in quest'Aula: la storia ci insegna che scappare da queste missioni è controproducente. A Mogadiscio in Somalia abbiamo fatto esattamente la stessa cosa: dopo due anni e mezzo di missione l'abbiamo abbandonata. Cento morti e oggi è la più grossa base terroristica del mondo.
Nella ex Jugoslavia siamo presenti dal 1995 e oggi è possibile andare lì a fare il turista. In Kosovo siamo dal 1999 e oggi è possibile andare lì a fare i turisti. In Libano siamo dal 2007 e oggi è possibile fare i turisti. L'Iraq è stato, invece, abbandonato e sinceramente non consiglio a nessuno di voi di andare a Baghdad perché è poco «igienico».
Quindi, inviterei tutti ad una riflessione: se pensate che le nostre Forze armate vogliano tornare a casa, vi sbagliate per un semplice motivo: perché aver perso 36 uomini non avrebbe più senso. Quindi, a questo punto è inutile stare qui a piangere i nostri soldati, ma bisogna continuare con questa missione. Le missioni umanitarie sono un po' come le guerre: si sa quando iniziano, ma non quando finiscono. Quindi, ci dobbiamo dimostrare uniti. È per questo motivo che Futuro e Libertà per l'Italia voterà convintamente contro la mozione dell'Italia dei Valori (Applausi dei deputati dei gruppi Futuro e Libertà per l'Italia, Popolo della Libertà e Unione di Centro).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bosi. Ne ha facoltà.

FRANCESCO BOSI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, credo che l'intervento del collega Paglia, più di ogni altro, abbia centrato il senso della nostra presenza Pag. 55nello scenario afgano. Credo proprio che bisogna tapparsi gli occhi per non vedere che cosa i nostri militari hanno fatto con costi altissimi, anche a sacrificio della propria vita, per dare alla popolazione afgana più diritti per i bambini, per le persone, per le donne e anche maggior benessere. Chi ha visitato l'Afghanistan agli inizi della nostra missione e lo visita oggi si rende conto di quanto importante sia stato anche l'aiuto umanitario in queste missioni.
Mi dispiace, ma noi dell'Unione di Centro non siamo d'accordo con il collega Donadi che ha detto: «Torniamocene a casa». Tornare a casa, infatti, significa aver perso inutilmente la vita di molti nostri militari e non rendere onore al loro sacrificio. Tornare a casa significa far ripiombare immediatamente quel Paese nelle condizioni drammatiche nelle quali si veniva a trovare. Tornare a casa significa interrompere un processo iniziato di partecipazione popolare, perché si è votato anche in Afghanistan; significa interrompere un processo di civilizzazione di alcune situazioni drammatiche; significa anche ritornare ad un Medioevo nel quale delle truppe o dei mercenari possono scorribandare per tutto il Paese, seminare lutti e stermini e imporre la loro violenta legge della morte.
Pertanto, cari colleghi, crediamo che debba essere confermata questa missione a cui l'Italia partecipa con grande onore e debba essere confermata la decisione delle organizzazioni internazionali di considerare questa missione come una missione di stabilizzazione e di pace.
Certo ci rendiamo conto - e dobbiamo parlarne - che questa missione deve poter portare a maggior autosufficienza dell'esercito e della polizia afgana. Per questo lo sforzo, le maggiori risorse e anche la maggiore presenza di militari italiani dedicati alla formazione dei quadri e della polizia è di fondamentale importanza. Insomma, vogliamo che questo Paese giunga progressivamente ad autogovernarsi senza dover soggiacere alla logica della pura e semplice violenza prepotente di gruppi di terroristi.
Dobbiamo anche incrementare gli sforzi per l'assistenza umanitaria, per il finanziamento alla ricostruzione di quel Paese e anche per dare, soprattutto alle categorie più deboli di quella popolazione, la difesa, la protezione e la dignità che spetta quando vengono costantemente calpestati i più fondamentali diritti della persona umana sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite.
Pertanto, colleghi, voteremo contro la mozione presentata dall'Italia dei Valori. Ci asterremo sulla mozione presentata dal gruppo del Partito Democratico ed esprimeremo un voto favorevole su tutte le altre mozioni.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Dozzo. Ne ha facoltà.

GIANPAOLO DOZZO. Signor Presidente, la mozione presentata dall'Italia dei Valori ha delineato un quadro della presenza italiana e internazionale sul terreno afgano caratterizzato, quasi esclusivamente, da aspetti critici e criticabili. Noi della Lega non intendiamo sottrarci alla constatazione che il teatro del conflitto afgano è tra i più difficili che i nostri uomini abbiano affrontato e che, purtroppo, ci siamo trovati più volte, in quest'Aula, a rendere omaggio ai nostri caduti.
Le criticità sono note. Vi è, infatti, il costante aumento delle vittime civili; la forza ancora molto consistente dell'insorgenza; le difficoltà nella formazione delle Forze armate e di sicurezza afgane; la corruzione, ancora persistente, nelle istituzioni afgane.
Tuttavia, tracciare un quadro a sole tinte fosche non dà conto della situazione reale. Come ha rilevato il Segretario generale dell'ONU nel suo rapporto dello scorso dicembre il numero delle vittime civili attribuite alle forze della coalizione internazionale è diminuito sensibilmente e questo rappresenta un elemento indispensabile per non alienarsi il consenso della popolazione locale.
Al di là di questo aspetto, comunque, nessuno intende certo ignorare le gravi Pag. 56difficoltà e la situazione deteriorata nelle quali opera la missione ISAF e, all'interno di questa, il contingente italiano.
Tuttavia, ciò che deve essere oggetto di valutazione, in questa sede parlamentare, è come possa essere idonea a un miglioramento della situazione afgana la soluzione prospettata dalla mozione dell'Italia dei Valori, cioè il ritiro del nostro contingente militare, e se questo si debba intendere come un rientro che prescinde dal calendario del ritiro che è stato elaborato in sede NATO.
Come è noto, infatti, il vertice di Lisbona dello scorso novembre ha individuato nel 2014 la data per il completamento della fase di transizione nel passaggio della responsabilità della sicurezza alle forze afgane.
Occorre, quindi, valutare se un ritiro del contingente italiano non concordato con gli alleati potrebbe contribuire ad un miglioramento della situazione in Afghanistan soprattutto con riferimento all'interesse strategico della NATO in generale, ma anche specificatamente italiano, che giustifica la nostra presenza in quello Stato.
Occorre ricordare che la NATO si trova in Afghanistan non per una complessa opera di nation building, che nella situazione afgana rischierebbe di andare avanti ancora decenni, bensì al fine di creare le condizioni necessarie minime idonee a garantire che l'Afghanistan non torni ad essere in futuro rifugio e santuario di organizzazioni terroristiche che mirano - bisogna ricordarlo - a colpire gli Stati occidentali.
In questa ottica, merita allora di realizzare i risultati che la partecipazione italiana alla missione ha fatto conseguire. A questo proposito, alcuni dati appaiono imprescindibili: dal punto di vista politico l'Italia è stata la prima a lanciare l'idea, che in seguito molti hanno sposato, di una conferenza regionale sulla stabilizzazione dell'Afghanistan, che veda il coinvolgimento di attori principali regionali, come il Pakistan, l'Iran e la Cina.
Inoltre, come è stato ricordato nella relazione del Ministro Frattini, l'Italia è stata la prima ad indicare un approccio complessivo alla questione afgana, che poi è stato ripreso sia dalla NATO nel 2008, sia dagli USA nel 2009.
Le condizioni di sicurezza del comando regionale dell'ovest sotto la responsabilità italiana continuano ad essere comparativamente migliori di quelle di altre zone dell'Afghanistan. Il numero degli attacchi in quest'area si mantiene circa sette volte inferiore a quello relativo alle altre zone.
L'Italia sta dando un contributo fondamentale alla formazione del personale di forze di sicurezza e di polizia afgane. L'attività degli amministratori italiani è stata elogiata dai vertici della NATO e dal generale Petraeus, tanto che se ne sta predisponendo l'aumento. L'Italia ha svolto in passato il ruolo di nazione leader nell'assistenza della comunità internazionale per la formazione del nuovo sistema giudiziario afgano, ancora oggi è impegnata nella ricostruzione delle strutture della procura di Herat e naturalmente stiamo in generale assumendo un'ampia serie di iniziative per la formazione di diplomatici e di dirigenti della pubblica amministrazione afgana.
Nella regione di Herat, l'Italia ha, inoltre, svolto un ruolo di eccellenza nella ricostruzione di strutture sociosanitarie.
In questo contesto, come ricordato ancora dal Ministro Frattini, l'Italia sta attualmente programmando iniziative importanti di cooperazione economica. In particolare, alcuni nuclei di imprese italiane hanno preso cognizione delle opportunità di investimento offerte dalla provincia di Herat. Presupposto di tutti i risultati fin qui conseguiti è la partecipazione italiana ad ISAF e la nostra presenza sul territorio afgano.
Pertanto, per tutti gli elementi fin qui esposti, si può concludere che un abbandono precipitoso dell'Afghanistan da parte del contingente italiano comporterebbe un peggioramento delle condizioni di sicurezza di quel Paese e una diminuzione delle possibilità di successo della missione ISAF. Ne deriva una diminuzione della Pag. 57sicurezza rispetto ai rischi degli attacchi terroristici per tutto l'Occidente e anche per l'Italia.
Questo non vuol dire prevedere una nostra presenza indefinita in Afghanistan, che nessuno vuole, bensì concordare con gli alleati NATO, senza fughe in avanti, come si vorrebbe fare da parte degli esponenti irresponsabili dell'Italia dei Valori, un calendario per il completamento della fase di transizione nel passaggio delle responsabilità di sicurezza alle forze afgane con tempi certi, definibili e credibili (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Tempestini. Ne ha facoltà.

FRANCESCO TEMPESTINI. Signor Presidente, interverrò brevemente perché rinvio in larga parte all'intervento che ho svolto in sede di discussione sulle linee generali. Vorrei sottolineare un punto, che mi pare essenziale: noi procediamo sulla base di un'analisi che, anche se con graduazioni diverse, è un'analisi naturalmente preoccupata. Noi vediamo luci, ma anche molte ombre.
Siamo convinti di dover seguire questa vicenda coerentemente con quanto abbiamo stabilito a Lisbona, dobbiamo dare credito e fiducia a quella strategia alla quale naturalmente noi del Partito Democratico pensiamo di doverci attenere e chiediamo in questo senso al Governo di attenersi ad essa, avendo presente che non si tratta di una perdita di tempo, non è uno stare in Afghanistan tanto per starci, ma è una strategia che deve puntare con rigore, con forza e con serietà all'afganizzazione di quel contrasto, di quella situazione.
Nel corso dei prossimi mesi dobbiamo pertanto, sempre più intensamente, favorire processi che vadano nella direzione di una transizione che conduca il conflitto e poi - ci auguriamo - il dialogo e il confronto fra le parti sempre più in un contesto afgano.
Riteniamo che questo processo debba vedere nello stesso tempo non una riduzione ma probabilmente una presenza ulteriore della comunità internazionale, perché ci saranno momenti - quando questa fase entrerà davvero in atto - complessi, che richiederanno una maggiore azione civile e non una riduzione dell'impegno civile in quel Paese.
È una strategia che abbiamo approvato e poi riconfermato nelle ultime occasioni in cui abbiamo discusso in quest'Aula di questa tematica, in base alla quale restiamo ancorati alla vocazione multilaterale per la quale abbiamo dato il consenso alla presenza del nostro contingente in Afghanistan. È la stessa ispirazione multilaterale che ci porta oggi a dire che questo processo che prevede una transizione che va verso un ritiro delle truppe è e deve essere un processo concordato nel contesto dell'impegno e delle alleanze multilaterali presenti in quel Paese (l'ONU, la NATO e tutto ciò che comporta).
In tal senso troviamo una contraddizione nell'ultimo capoverso della mozione presentata dall'onorevole Di Stanislao, perché la conclusione che porta sostanzialmente ad un ritiro unilaterale dell'Italia non ci pare condivisibile. Quindi, penso che sia ragionevole da parte mia proporre all'Italia dei Valori una votazione per parti separate, per poterci consentire su quel punto di esprimere un voto contrario e per il resto, come faremo per le altre mozioni, una posizione di astensione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cicu. Ne ha facoltà.

SALVATORE CICU. Signor Presidente, rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, oggi mi trovo ad intervenire sulla nostra mozione che impegna il Governo a confermare una strategia già definita nel novembre scorso, al vertice di Lisbona, che riguarda la NATO e la nostra missione ISAF in Afghanistan.
Credo che sia importante rilevare che il quadro internazionale ci osserva e le decisioni rispetto alla permanenza in Afghanistan non nascono in maniera slegata da Pag. 58un quadro di sicurezza e da un quadro umanitario. Credo che il punto riguardante la permanenza sia quello relativo alla fase che attualmente stiamo vivendo, ed è una fase positiva, che ha raggiunto risultati importanti e che concerne soprattutto la possibilità di formare le forze di sicurezza afgane ai fini del definitivo trasferimento di responsabilità alle istituzioni afgane.
Vorrei ricordare lo sforzo, l'impegno e la qualità raggiunta dalle nostre Forze armate, che ormai è unanimemente riconosciuta da tutti gli alleati. Credo sia importante sottolineare che la nuova fase, la cosiddetta transizione, lancia il processo attraverso il quale le autorità afgane assumeranno gradualmente piena responsabilità. Questo si ricollega a riflessioni che sono state avviate a partire dallo scorso anno, quando è maturata nella comunità internazionale la convinzione che bisogna trovare una soluzione che non sia esclusivamente militare, ma che riguardi soprattutto la politica globale per il rafforzamento delle istituzioni afgane. È inutile ricordarci, visto che abbiamo approvato da pochi mesi il decreto-legge di proroga, quale funzione, quale ruolo e quale obiettivo importante è stato raggiunto. Innanzitutto, la cooperazione civile italiana in Afghanistan si è concentrata sulla governance, sul sistema giudiziario e i diritti fondamentali, sullo sviluppo rurale e l'agricoltura, sulla sanità, sulle infrastrutture stradali e sull'aiuto umanitario alle fasce vulnerabili. Certo, bisogna fare di più e meglio per le donne e i bambini, ma tutto questo può avvenire se la cornice di sicurezza si realizza. Ho colto l'impegno straordinario del collega Di Stanislao, che è riuscito a far prevalere un'impostazione e una riflessione di equilibrio, una posizione e un ruolo di responsabilità rispetto all'impostazione iniziale data alla mozione Di Pietro. Ho colto anche la capacità di realizzare la condizione di una trasformazione della stessa impostazione per ricondurla con serietà e responsabilità ad un quadro obiettivo e reale. Però, è evidente che parlare di ritiro oggi significherebbe dichiarare il fallimento di una strategia globale, che è quella dell'Occidente, della NATO, di una alleanza atlantica, quella cioè dell'opportunità di far prevalere i diritti di quelle comunità oppresse ed emarginate. Tutto questo, peraltro, lo rileviamo oggi con quello che sta avvenendo nelle aree mediterranee a noi vicine. Oggi, c'è necessità di una cultura diversa, ma anche di una credibilità diversa. Vogliamo che le istituzioni libere e democratiche dell'Afghanistan possano pensare alla crescita economica, sociale e culturale del proprio Paese, ma lo possono fare non solo essendone consapevoli, ma anche in grado di portare avanti questo obiettivo. Credo che lo sforzo che in tutti questi decenni questo Parlamento ha dimostrato non possa essere vanificato da una posizione incomprensibile e irresponsabile, da una posizione per la quale noi voteremo contro interamente e convintamente (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto.

(Votazioni)

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, a norma del comma 5 dell'articolo 114 del Regolamento, le formulo una richiesta formale di votazione per parti separate della mozione a prima firma Donadi, nel senso di votare tutta la mozione ad eccezione dell'ultimo capoverso, il sesto, che chiediamo di votare separatamente.

ENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

Pag. 59

ENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, se si procede alla votazione per parti separate, il Governo conferma il parere favorevole sui primi cinque capoversi, con la riformulazione che avevo proposto, e contrario sul sesto.

PRESIDENTE. Signor sottosegretario, con la differenza che, mentre il voto per parti separate può essere proposto anche da altri, l'accoglimento della riformulazione deve essere necessariamente fatto dal proponente. Quindi, devo chiedere all'onorevole Donadi o al presidente Di Pietro se accettano la riformulazione.

ENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, ho detto nel caso in cui sia accolta la riformulazione.

MASSIMO DONADI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASSIMO DONADI. Signor Presidente, come avevo già detto, non solo non accettiamo la riformulazione, ma siamo anche contrari - poi lei valuterà, a termini di Regolamento - che il voto avvenga per parti separate, perché la mozione ha un suo contenuto unitario e crediamo che il voto per parti separate ne stravolga il senso.

ANTONIO DI PIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANTONIO DI PIETRO. Signor Presidente, si tratta di una questione di principio. Vi è una motivazione e vi è una richiesta formale nel dispositivo. Che senso ha votare una motivazione per parti separate e non votare il dispositivo? Abbiamo fatto una richiesta, ma è una sola. La nostra mozione contiene una sola richiesta. Non si può votare la motivazione e non votare il dispositivo. Ci si assuma la responsabilità, ma questo gioco di un colpo al cerchio e un colpo alla botte non ci sta bene (Commenti del deputato Zacchera)!

PRESIDENTE. Onorevole di Pietro (Il deputato Di Pietro si dirige verso il deputato Zacchera)...
Onorevole Di Pietro, la prego (Commenti dei deputati del gruppo Popolo della Libertà)! Per cortesia! Bene, vedo un atto di pacificazione.

DARIO FRANCESCHINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DARIO FRANCESCHINI. Signor Presidente, vorrei riprendere quello che ha detto un attimo fa l'onorevole Di Pietro e spiegare la nostra richiesta di votazione per parti separate, che, ovviamente, deve essere accolta, se richiesta da un gruppo parlamentare.
Non è possibile votare l'ultimo capoverso del dispositivo della mozione in esame, che prevede espressamente di impegnare il Governo a: «elaborare, a breve termine, un piano di rientro del nostro contingente militare dall'Afghanistan». I nostri interventi oggi e tutta la linea che il Partito Democratico ha tenuto, sia quando era maggioranza sia quando era opposizione, è dettata dal fatto che siamo in Afghanistan nell'ambito di una missione della NATO e delle Nazioni Unite; quindi, ogni piano di rientro e ogni ritiro deve avvenire sul piano multinazionale e non può essere un atto unilaterale soltanto del nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Onorevole Di Pietro, è sua facoltà, e solo sua, o comunque del presentatore della mozione, accogliere o meno la riformulazione proposta dal Governo. L'onorevole Donadi ha confermato che non accoglie la riformulazione. Il parere del Governo, quindi, resta contrario.
Per quanto riguarda, invece, la votazione per parti separate, può essere richiesta Pag. 60anche da altri gruppi e la Presidenza, a norma di Regolamento, la deve accogliere. Tra l'altro, l'onorevole Franceschini...

ANTONIO DI PIETRO. Non si può votare per parti separate, vi è una sola cosa che chiediamo (Commenti dei deputati del gruppo Popolo della Libertà)!

PRESIDENTE. Scusate, colleghi! Onorevole di Pietro, è stato chiesto di votare per parti separate l'ultimo capoverso del dispositivo, perché, evidentemente, vi è una disponibilità ad un voto diverso sulle altre parti. Qualunque gruppo ha facoltà di chiederlo e la Presidenza deve necessariamente concederlo.

ANTONIO DI PIETRO. Non ha senso! È una presa in giro!

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Ricordo che i presentatori della mozione Di Stanislao ed altri n. 1-00530, (Nuova formulazione), non hanno accettato la riformulazione proposta dal Governo. Quindi, si deve ritenere che il parere da parte del Governo sia contrario. È stata d'altra parte richiesta dal gruppo del Partito Democratico la votazione per parti separate.
Avverto che è stata chiesta la votazione nominale mediante procedimento elettronico.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla parte motiva e sul dispositivo della mozione Di Stanislao ed altri n. 1-00530, (Nuova formulazione), ad eccezione del sesto capoverso del dispositivo, non accettata dal Governo.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevoli Vernetti, Conte, Goisis, Bocciardo, Siliquini...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazionia ).

(Presenti 524
Votanti 340
Astenuti 184
Maggioranza 171
Hanno votato
23
Hanno votato
no 317).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Di Stanislao ed altri n. 1-00530 (Nuova formulazione), limitatamente al sesto capoverso del dispositivo, non accettata dal Governo.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevoli Di Virgilio, Di Stanislao, Sardelli, Ruvolo, Goisis, Cesario, Sanna, Naccarato...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazionia ).

(Presenti 526
Votanti 522
Astenuti 4
Maggioranza 262
Hanno votato
23
Hanno votato
no 499).

L'onorevole Casini segnala di non essere riuscito ad esprimere voto contrario. Prendo atto che il deputato Gasbarra ha segnalato di non essere riuscito a votare.
Passiamo alla votazione della mozione Cicu ed altri n. 1-00561.
Avverto che, ove venisse approvata tale mozione, il primo capoverso del dispositivo assorbirebbe il primo capoverso del dispositivo della mozione Porfidia ed altri n. 1-00563, il terzo capoverso del dispositivo assorbirebbe il terzo capoverso del dispositivo della mozione Porfidia ed altri n. 1-00563, il quarto capoverso del dispositivo assorbirebbe il quarto capoverso del dispositivo della mozione Porfidia ed altri n. 1-00563.
Passiamo ai voti. Pag. 61
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Cicu ed altri n. 1-00561, accettata dal Governo.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevoli Casini, Mazzuca, Scilipoti, Sardelli, Cesario, Di Virgilio, Vernetti, Naccarato, Goisis...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti 527
Votanti 339
Astenuti 188
Maggioranza 170
Hanno votato
317
Hanno votato
no 22).

Passiamo alla votazione della mozione Tempestini ed altri n. 1-00562.
Avverto che, ove venisse approvata tale mozione, il settimo capoverso del dispositivo assorbirebbe il quinto capoverso del dispositivo della mozione Vernetti ed altri n. 1-00564, l'undicesimo capoverso del dispositivo assorbirebbe il nono capoverso del dispositivo della mozione Vernetti ed altri n. 1-00564.
Ricordo inoltre che l'onorevole Tempestini ha accolto la riformulazione proposta dal Governo.
Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Tempestini ed altri n. 1-00562, nel testo riformulato, accettata dal Governo.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevoli Casini, Calearo Ciman, Vernetti, Di Caterina...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti 529
Votanti 335
Astenuti 194
Maggioranza 168
Hanno votato
314
Hanno votato
no 21).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Porfidia ed altri n. 1-00563, nel testo riformulato, per le parti non assorbite, accettata dal Governo.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevoli Rainieri, De Girolamo, Iapicca, D'Anna... L'onorevole Rainieri non riesce ancora a votare. Onorevoli Maggioni, Paolo Russo...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti 530
Votanti 340
Astenuti 190
Maggioranza 171
Hanno votato
318
Hanno votato
no 22).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Vernetti ed altri n. 1-00564, per le parti non assorbite, accettata dal Governo.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevoli Scilipoti, Pugliese...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti 527
Votanti 345
Astenuti 182
Maggioranza 173
Hanno votato
323
Hanno votato
no 22).
Pag. 62

Discussione del testo unificato delle proposte di legge Brugger e Zeller; Quartiani ed altri; Quartiani ed altri; Caparini ed altri, Quartiani ed altri, Barbieri; di iniziativa del consiglio regionale della Valle D'Aosta: Disposizioni in favore dei territori di montagna. (A.C. 41-320-321-605-2007-2115-2932-A) (ore 19,33).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di legge di iniziativa dei deputati Brugger e Zeller; Quartiani ed altri; Quartiani ed altri; Caparini ed altri, Quartiani ed altri, Barbieri di iniziativa del consiglio regionale della Valle D'Aosta: Disposizioni in favore dei territori di montagna.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 41-A ed abbinate)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare Partito Democratico ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la V Commissione (Bilancio) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Simonetti, ha facoltà di svolgere la relazione.
Onorevole Simonetti, se non riesce a intervenire ha tutta la mia comprensione e anzi prego i colleghi di lasciare l'Aula possibilmente in silenzio.

ROBERTO SIMONETTI, Relatore. Signor Presidente, il provvedimento in oggetto, «Disposizioni in favore dei territori di montagna», è il frutto di una sintesi emersa dal dibattito, svoltosi in V Commissione in oltre un anno e mezzo, relativo a sei distinte proposte di legge riguardanti i territori di montagna, presentate nel corso della legislatura: Brugger e Zeller (A.C. 41), Quartiani ed altri (A.C. 320-321-2007), Caparini (A.C. 605) e Barbieri (A.C. 2115).
Il progetto di legge ha una portata di carattere generale e coinvolge i territori montani sotto molteplici profili. Il provvedimento proposto intende, dunque, dare attuazione al disposto dell'articolo 44 della Costituzione, che ha attribuito al legislatore il compito di predisporre i provvedimenti a favore delle zone montane.
Allora era stata l'estrema povertà in cui versava la popolazione di montagna nell'immediato dopoguerra ad imporsi al costituente ed a spingerlo ad inserire nel testo della Costituzione un'apposita norma a favore dei territori montani.
Oggi, in un contesto socio-economico mutato in cui la montagna non è più considerata come un problema ma come una risorsa da tutelare e valorizzare, i territori montani si dimostrano ancora bisognosi della nostra attenzione e dell'intervento del legislatore nazionale. È giusto il caso di ricordare che in questa direzione sembra muoversi anche l'Unione europea, che con il Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 ha previsto per la prima volta uno specifico riferimento ai territori montani: il nuovo articolo 174 del Trattato, relativo alla coesione economica, sociale e territoriale, prevede infatti che tra le regioni interessate un'attenzione particolare sia rivolta alle regioni che presentano gravi e permanenti svantaggi naturali e demografici, quali le regioni settentrionali con bassissima densità demografica, e le regioni insulari, transfrontaliere e di montagna, appunto.
Passando alla disamina del provvedimento, all'articolo 1 troviamo che le finalità della presente legge sono la salvaguardia e la valorizzazione delle specificità culturali, economiche, sociali e ambientali dei comuni montani come individuate ai sensi del successivo articolo 2, a garanzia di una adeguata qualità della vita dei soggetti residenti e in particolare dei nuclei familiari, allo scopo di evitare lo Pag. 63spopolamento dei territori montani e di contenere la tendenza di innalzamento dell'età media delle popolazioni.
All'articolo 2, ai soli fini della proposta di legge, con decreto dei Ministri competenti e con l'intesa della Conferenza unificata, sono definiti i criteri per l'individuazione dei comuni montani svantaggiati. Le regioni poi provvederebbero alla classificazione del rispettivo territorio montano. Si propone il riconoscimento di comune montano svantaggiato per quello caratterizzato alternativamente da due condizioni: il posizionamento di almeno il 70 per cento della superficie comunale al di sopra dei 400 metri di altitudine; il posizionamento di almeno il 40 per cento della superficie comunale al di sopra dei 400 metri di altitudine e presenza in almeno il 30 per cento del territorio comunale di una pendenza superiore al 20 per cento. Inoltre in comuni situati nelle regioni alpine tali soglie vengono elevate a 500 metri; è richiesta anche la presenza di particolari situazioni di svantaggio sociale ed economico dovute alla fragilità del territorio, alla marginalità delle aree e alla limitata accessibilità dei territori montani. All'articolo 3 viene istituito il Fondo nazionale integrativo per i comuni, con una dotazione di 6 milioni di euro a decorrere da quest'anno, in funzione di determinate tipologie di interventi. Ricordo il potenziamento e la valorizzazione dei servizi pubblici, il potenziamento del sistema scolastico, la valorizzazione delle risorse energetiche, gli incentivi per l'utilizzo di territori incolti e per l'accesso dei giovani alle attività agricole, lo sviluppo del sistema...
Scusi onorevole Di Pietro, per cortesia. Scusi Presidente.

PRESIDENTE. No, scusi lei. Colleghi per cortesia...

ERMINIO ANGELO QUARTIANI. Presidente, è in corso una riunione di gruppo!

PRESIDENTE. Si, è in corso una riunione di gruppo, ma mi pare che si stia sciogliendo. Prego, onorevole Simonetti.

ROBERTO SIMONETTI, Relatore. Ricordo ancora lo sviluppo del sistema agrituristico, la valorizzazione della filiera forestale, la valorizzazione delle biomasse, gli interventi per la salvaguardia del prato-pascolo. All'articolo 4 si prevede una maggiore sburocratizzazione per l'affidamento dei lavori pubblici nei comuni montani e la possibilità di finanziare le opere a carattere complesso infrastrutturale, per una quota non superiore al 70 per cento dell'importo complessivo, con risorse derivanti dall'emissione da parte degli stessi enti di specifiche obbligazioni appositamente finalizzate. All'articolo 5 si prevede che anche agli Sci club riconosciuti dalla Federazione italiana sport invernali e alle sezioni del Club alpino italiano si applichi il regime fiscale agevolato di determinazione forfetaria del reddito e dell'imposta sul valore aggiunto. All'articolo 6 vi sono norme concernenti le attività del Corpo nazionale di soccorso alpino e speleologico del Club alpino italiano. All'articolo 7 si prevede l'istituzione della certificazione di ecocompatibilità. All'articolo 8 si prevede che nei comuni montani le controversie relative alle compravendite di beni gravati da diritti di uso civico risultanti successivamente al perfezionamento dell'atto, qualora non siano dimostrati dolo o colpa da parte degli acquirenti, siano definite applicando oneri calcolati sulla base del valore dei beni nello stato di fatto antecedente alla compravendita. All'articolo 9 troviamo norme riferite ai rifugi di montagna, considerando gli stessi come strutture ricettive custodite da soggetti qualificati ubicate in zone disagiate o isolate di montagna. All'articolo 10 si prevede che il Collegio nazionale delle guide alpine e il Collegio nazionale dei maestri di sci, nell'ambito delle proprie attività istituzionali, possano prevedere progetti per la sicurezza e la prevenzione in montagna, ed altre attività.
All'articolo 11 si formula un'interpretazione autentica ai fini dell'applicazione dell'ICI per i fabbricati per i quali ricorrono i requisiti di ruralità. All'articolo 12 si fanno salve le competenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome Pag. 64di Trento e di Bolzano. Vorrei solo ricordare all'Aula che il testo depositato, oggetto del dibattito, ha ricevuto l'assenso da parte di tutti i gruppi parlamentari della V Commissione per l'esame in sede legislativa. Successivamente, gli eventi hanno portato in Aula la proposta che, quindi, confermo come un testo di unità di intenti di tutti i gruppi parlamentari della V Commissione (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo che, peraltro, non vedo e che sarebbe bene provvedere affinché fosse presente, per cortesia. Onorevoli colleghi, saremmo costretti a sospendere se il presidente Giorgetti non riuscisse a fare il miracolo di portarci il rappresentante del Governo nei prossimi secondi. Bene, mi dicono che è in arrivo il sottosegretario, un attimo solo. Prego, onorevole sottosegretario.

STEFANO SAGLIA, Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Borghesi. Ne ha facoltà.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, intervengo solo qualche minuto per rilevare che questo provvedimento ha ormai una storia parlamentare abbastanza lunga, nella presente legislatura, perché l'esame è stato avviato nel giugno del 2009 e già da allora ha lavorato un comitato ristretto. Non voglio raccontare la storia del provvedimento che, evidentemente, è stata lunga, articolata ed ha avuto svariati contributi; ad un certo punto, sembrava anche che dovesse, poi, terminare il suo iter in sede legislativa nella Commissione bilancio, ma, invece, ora è in Aula. Abbiamo manifestato, nel corso del provvedimento, qualche perplessità su taluni aspetti e devo anche dire che, su alcune questioni, quelle più rilevanti, vi è stato il parere positivo del relatore. Pure questa mattina, in sede di Comitato dei nove, alcuni dei nostri emendamenti hanno visto già il parere favorevole del relatore e, quindi, spero anche del Governo. La perplessità più rilevante che resta da parte del nostro gruppo è quella che, forse, andrebbe corretto il titolo nel modo seguente: «Misure a favore dei territori di montagna e di collina», ossia aggiungendo ai territori di montagna quelli di collina. Evidentemente, infatti, la scelta fatta è stata quella di portare ad una altimetria di 400 metri il comune montano, sia pure ai fini soltanto di questo provvedimento senza, quindi, andare a toccare la definizione corrente di comune di montagna che è quella, come noto, data da legislazioni precedenti, anche se dobbiamo dire che, nell'ordinamento italiano, non c'è mai stata una dichiarazione chiara ed univoca di montagna. Generalmente, però, l'idea è che l'altimetria sia come minimo superiore ai 600 metri perché credo che nessuno di noi consideri 600 metri montagna, ma, prevalentemente, tutti accettiamo l'idea che a 600 metri, se va bene, siamo in collina in sostanza. L'idea di portare questo valore di riferimento a 400 metri a noi è sembrata sbagliata ed è anche la perplessità di fondo che ci resta su questo provvedimento.
A parte questo avevamo presentato alcune proposte emendative, le principali delle quali però, come dicevo, hanno visto il parere favorevole del relatore in sede di Comitato dei nove e, benché ancora non vi sia il parere del Governo, ci auguriamo che sia conforme a quello del relatore. Che cosa chiedevamo di migliorativo rispetto al testo base? Anzitutto di escludere la possibilità che i comuni potessero ricorrere ai derivati: qualcuno diceva che era implicita perché, quando si parla di obbligazioni, non si parla di derivati ma, poiché la storia ci ha insegnato che la fantasia degli inventori di prodotti finanziari è grandissima, noi abbiamo chiesto che vi fosse proprio una precisazione esplicita sul ricorso ai derivati perché le obbligazioni potrebbero anche essere indicizzate a loro volta su strumenti derivati e questo porterebbe il danno che i derivati hanno causato, come a tutti è noto, nel nostro Pag. 65Paese a molti enti locali. Pertanto, abbiamo proposto questo emendamento che è stato - ripeto - approvato dal relatore così come alcuni suggerimenti erano stati accolti già in passato per quanto riguarda il fatto che, inizialmente, le provvidenze a favore dei comuni avrebbero permesso a questi comuni di utilizzarle anche per spese correnti. Noi abbiamo chiesto che sia assolutamente escluso e che vadano sostanzialmente utilizzate per progetti specifici e quindi non a copertura di spese correnti.
Altro aspetto riguardava infine un problema che attiene ai rifugi di montagna per i quali si chiedeva una deroga totale rispetto alle normative di qualunque genere sia urbanistiche che di altro tipo. Ebbene, abbiamo chiesto da questo punto di vista che invece vi fosse comunque un minimo di requisiti da parte dei comuni in particolare per quanto concerne gli aspetti sanitari, quindi locali di cucina e quelli destinati al pernottamento e al ricovero delle persone, nonché alcuni requisiti di minima stabiliti dai comuni per quanto riguarda la qualità degli scarichi e degli impianti di smaltimento dei reflui. Credo che il Ministero dell'ambiente, della tutela del territorio e del mare avesse fatto una segnalazione proprio nei riguardi di una deroga totale; il fatto che in sede di Comitato del nove il relatore abbia accolto il nostro emendamento ritengo riporti ad una situazione più controllata anche questi aspetti in modo che alcuni requisiti minimi almeno vi siano.
L'altro aspetto che riteniamo interessante - con questo concludo il mio intervento, signor Presidente - riguarda la richiesta che venisse data una certa priorità a tutti i casi in cui i comuni, anziché presentare progetti individualmente, comune per comune, avessero costituito unioni di comuni con almeno cinquemila abitanti complessivamente amministrati, presentando progetti a valere su questo provvedimento di legge. Questo concetto della necessità che i servizi siano sempre più resi da unioni di comuni in modo da raggiungere una massa critica accettabile è a nostro giudizio un elemento estremamente importante che abbiamo richiesto una prima volta di ricomprendere nella legge-quadro sul federalismo fiscale e, in quell'occasione, il Governo accolse un nostro emendamento in tal senso. Successivamente quel principio è stato accolto anche nel codice delle autonomie degli enti locali e riteniamo che sempre più ci si debba incamminare verso questo tipo di soluzione se vogliamo realmente abbassare la spesa pubblica in particolare presso gli enti locali e in particolare presso i comuni.
È evidente che i piccoli comuni - e vi sarà anche un provvedimento specifico su di essi a breve, credo in Aula o in Commissione in sede legislativa, non so, essendo anche quell'iter quasi terminato - non hanno la massa critica e sono costretti ad avere costi fissi di struttura assolutamente non adeguati alle prestazioni di servizi che vengono erogate.
Un modo per intervenire in modo efficace sulla spesa pubblica è proprio quello che, invece, raggiungano determinate soglie dimensionali, formando delle unioni, con un numero di amministrati che noi indicavamo addirittura in ventimila, ma capisco che anche una dimensione inferiore a quella di ventimila significhi comunque ridurre fortemente i centri di spesa. Comunque se si arrivasse addirittura a ventimila, i centri di spesa si ridurrebbero da ottomila a meno di mille, il che avrebbe un impatto effettivamente importante sulla spesa pubblica.
Pertanto, nonostante vi siano alcune perplessità, che ho illustrato, così come qualche altra perplessità vi è in ordine ai soggetti che ricevono vantaggi di tipo fiscale e che potevano essere estesi anche ad associazionismi diversi da quelli che sono citati nella legge, noi complessivamente comunque diamo un parere positivo al provvedimento in esame e quindi non faremo mancare il nostro voto favorevole.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole La Loggia. Ne ha facoltà.

ENRICO LA LOGGIA. Signor Presidente, mi rendo conto - e faccio anche i miei complimenti al relatore - dell'opera Pag. 66difficile di mediazione che si è sviluppata a seguito di numerosi interventi, tutti volti con le migliori intenzioni possibili a dare finalmente una risposta ai comuni montani. Mi rendo conto che anche il Governo ha fatto la sua parte.
Tuttavia non posso sottacere un paio di osservazioni e penso di poterlo fare, visto che dal 2003 mi occupo di questo argomento: ebbi l'onore di presentare un disegno di legge apposito, come Ministro per gli affari regionali, durante la legislatura 2001-2006, sotto il Governo Berlusconi. Anche allora vi fu un dibattito molto intenso e molti colleghi che hanno partecipato a questo dibattito furono protagonisti anche di quello: penso all'onorevole Quartiani, ad esempio, con il quale scambiammo numerose osservazioni, valutazioni ed iniziative per tentare di trovare una soluzione che fosse la più efficace possibile.
Il discorso se vogliamo è ancora più lungo, perché parte dal 1952 e non si è mai riusciti a dare una risposta concreta, efficace e valida. Questa è la prima osservazione che faccio, coordinata con la seconda: quando parliamo di comuni montani - faccio questa piccola premessa - parliamo di piccoli comuni. Sappiamo bene che in Italia vi sono circa 1.750 comuni che hanno la caratteristica di comuni montani, quelli che hanno realmente questa caratteristica. Poi tanti altri comuni, anche con la legislazione vigente, si sono fregiati di questa caratteristica, pur senza averne un compiuto titolo. Da qui le varie dissertazioni: un certo numero di metri quadri in montagna, e un certo numero di metri quadri non in montagna, una certa quantità di popolazione in montagna e una certa quantità di popolazione non in montagna, sino all'assurdo - non me ne vogliano gli amici cittadini del comune di Sanremo - che anche Sanremo fu qualificato come comune montano.
Con il che è ovvio che man mano che le risorse andavano diminuendo per poter far fronte alle esigenze di questi comuni, così diffusi e così talvolta impropriamente definiti montani, le risorse si sono dimostrate sempre più insufficienti. Soprattutto in un periodo di crisi come quello che abbiamo attraversato recentemente trovare una risposta efficace si è reso ancora più difficile.
Da qui, il mio compiacimento, per un verso, e le mie congratulazioni al relatore Simonetti, per aver fatto realmente quanto è stato possibile fare, non certo il massimo che si sarebbe potuto - ne converrà con me il collega Simonetti -, perché le risposte avrebbero dovuto essere ben più efficaci.
Tuttavia, noto un'altro aspetto: vi è una mancanza di coordinamento. Mi rivolgo al collega Quartiani, che questi argomenti li segue veramente da tanti anni, almeno da quanti anni le seguo io, forse di più: nel decreto di attuazione del federalismo fiscale, proprio quello che abbiamo appena approvato in Commissione, abbiamo inserito, con risorse adeguate e su mia iniziativa, un principio che risponde a quale esigenza? Sono circa 1.750 i comuni montani, ma i comuni al di sotto dei cinquemila abitanti, nel nostro Paese, sono ben 5.600, che messi tutti insieme fanno la bellezza di 12 milioni di abitanti, esattamente il 20 per cento della popolazione italiana. Se risolvessimo il problema, o meglio, in maniera più realistica, avviassimo a soluzione il problema dei piccoli comuni, avremmo in gran parte, anche se non in tutto, risolto anche i problemi dei comuni montani, di quei 1.750 che, a loro volta, stanno all'interno di quei 5.600.
Che cosa abbiamo previsto nel decreto sul federalismo municipale, su mia iniziativa, ma condivisa da tutta la Commissione? Che dal fondo di riequilibrio, da questo enorme salvadanaio, che precede quello che sarà il fondo perequativo dove in atto verranno a confluire tutti i tributi di cui i comuni potranno disporre, vengono sottratte il 20 per cento di queste risorse (fatto salvo il 30 per cento che sarà distribuito per quota capitaria), cioè una consistente somma finanziaria viene destinata ai comuni al di sotto dei cinquemila abitanti. Il resto di questo enorme salvadanaio viene poi suddiviso tra tutti, anche gli stessi piccoli comuni, con il che abbiamo realizzato un forte inizio di riequilibrio Pag. 67dal punto di vista della possibilità, per questi comuni, di erogare servizi essenziali, i famosi LEP e LEA: i livelli essenziali delle prestazioni e i livelli essenziali di assistenza.
Senza questa previsione non avremmo neanche avviato la possibilità per questi comuni di recuperare il gap che li separa dalla media degli altri comuni italiani, ma anche con una ben precisa previsione: che questo 20 per cento potrà essere da loro utilizzato laddove realizzeranno servizi in comune. Cosa vuol dire questo? Che con un colpo solo otteniamo due risultati: quello di favorire l'organizzazione di servizi associati tra piccoli comuni (in questo caso dei comuni montani), ma anche quello di dare loro risorse in più per poterli concretamente realizzare.
Forse, se avessimo fatto un miglior coordinamento tra quella norma e questa, sicuramente avremmo ottenuto un risultato migliore, così come se, allo stesso tempo, avessimo potuto meglio definire che cosa si intende per comune montano. A suo tempo - lo ricorderà bene Quartiani, ma anche Simonetti, - si parlò di comuni ad alta marginalità.
Forse, se avessimo recuperato quella definizione - lo ricorda bene l'onorevole Di Centa che partecipò a numerose di quelle riunioni - e avessimo applicato quel concetto alla migliore definizione della qualità di comune montano, avremmo potuto essere ancora più generosi nei confronti di chi ha realmente bisogno e non magari estendere a comuni che hanno certamente un bisogno minore (lo hanno il bisogno, ma minore) rispetto a quelli ad alta marginalità montana.
Allora, concludo il mio ragionamento: certo, si sarebbe potuto fare di meglio e di più. Forse, dopo tanti anni di attesa, si sarebbe anche potuto tentare di porre l'asticella un po' più su e vedere se riuscivamo a scavalcarla, anche se con qualche difficoltà.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE (ore 20,02)

ENRICO LA LOGGIA. Forse lo stesso Governo avrebbe potuto tentare di prevedere qualche risorsa in più, ma che dire? La situazione attuale mi fa pensare - mi scuserà la Presidenza - che stasera si apre il festival di Sanremo e - mi si lasci passare la battuta - ricordo una vecchia canzone di Caterina Caselli di circa quarant'anni di cui sostanzialmente estrapolo una frase che diceva: anche il fuoco di un cerino può sostituire il sole che non hai.
Questo caso calza proprio a pennello: il sole non l'abbiamo realizzato; non lo daremo neanche ai comuni montani, ma il fuoco di un cerino (che è sostanzialmente quanto realizziamo) serve a squarciare il velo dell'oscurità e a lasciarci un segno di speranza. Questo è quello che si è potuto fare alla Camera: domani ci auguriamo di fare ancora meglio al Senato (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Quartiani. Ne ha facoltà.

ERMINIO ANGELO QUARTIANI. Signor Presidente, ringrazio ovviamente e anzitutto il relatore perché in questo anno e mezzo abbiamo cercato di mettere insieme la scrittura di un provvedimento che fosse in grado di unificare sette proposte di legge, tre delle quali portano la mia prima firma e quella di molti colleghi del Partito Democratico e non solo, ma anche di molti colleghi del gruppo «Amici della montagna in Parlamento». Abbiamo lavorato per trovare una comune modalità per affrontare anzitutto la questione della montagna nel Parlamento italiano, perché prima di tutto è questo, prima ancora che del testo che ci viene consegnato, il segnale che vogliamo e possiamo dare al Paese sulle questioni della montagna italiana.
Il collega relatore Simonetti ha ricordato che c'è un disposto preciso della Costituzione (l'articolo 44) che indica al legislatore la necessità di legiferare in favore dei territori montani. Vorrei ricordare che nella Costituzione italiana l'unico territorio al quale presta attenzione il legislatore costituzionale è quello montano, Pag. 68e non altri. Voglio ricordarlo perché è stato uno dei punti di avvio sui quali abbiamo trovato una condivisione nel lavoro che è stato fatto con tutti i gruppi, insieme al relatore e al presidente della Commissione. Voglio ringraziare anche tutti i rappresentanti degli altri gruppi, perché siamo arrivati a una conclusione bipartisan e non scontata.
Tuttavia, voglio anche ricordare al collega La Loggia che non siamo in presenza di una proposta di legge del Governo. Se siamo arrivati ad una conclusione, è perché la materia è stata assunta dal Parlamento e dai gruppi parlamentari e anche dai singoli parlamentari - vorrei dire anche qualche volta indipendentemente dall'appartenenza partitica e politica - assumendo su di sé la responsabilità di intervenire su un settore rispetto al quale una sola legge importante è stata fatta per la montagna nel 1994 e poi nulla più.
Anzi, si sono determinati nel corso degli anni tagli importanti relativamente a risorse per investimenti e interventi nel settore montano, non ponendo fine, e neanche un argine, allo spopolamento della montagna italiana.
Se oggi arriviamo a un risultato e a un testo comune nel quale si riconoscono tutti i gruppi parlamentari, di opposizione e di maggioranza, è perché questa proposta di legge è di iniziativa parlamentare, non del Governo. Tanto è vero che ancora oggi - ringrazio il collega Saglia per la presenza, ma ovviamente spero che domani mattina il Governo ci dia definitivamente un parere favorevole sul testo e non dubito che ciò arriverà - non eravamo nelle condizioni di conoscere esattamente quale fosse il parere definitivo del Governo perché alcuni ministeri avevano ancora dubbi.
Se alcuni ministeri, dopo un anno e mezzo, hanno ancora dubbi su una proposta di legge semplificata, ridotta all'osso, che non è una proposta di legge che riguarda organicamente la riscrittura delle leggi complessivamente riferite alla montagna italiana, ma che contiene semplicemente alcuni provvedimenti in favore della montagna italiana, soprattutto in un periodo di crisi economica che viene ancor più sentita in questi territori, è evidente che se fosse stata di iniziativa del Governo probabilmente oggi non disporremmo di un testo nel quale si riconosce tutto il Parlamento italiano e spero che lo si riconosca definitivamente in un voto unanime domani sul testo complessivo. Quindi, si tratta di una iniziativa di carattere parlamentare.
Ho detto prima che questa non è una nuova proposta di legge per la montagna, l'esito del lavoro ci conduce a mettere insieme una serie di provvedimenti che vanno in favore della montagna. In particolare, voglio rammentare il fatto che, se anche limitatamente alle modalità con le quali agirà il Fondo per lo sviluppo della montagna relativamente ai progetti speciali e straordinari, non ordinari, ai quali potranno accedere alcuni comuni e alcuni enti, si è per la prima volta cercato di dare una definizione in norma. Ripeto, anche se solo ai fini della esclusiva attuazione dell'articolo che riguarda il Fondo, si è tuttavia arrivati per la prima volta ad una definizione di montagna.
La definizione di montagna non è una ricerca astratta filosofica, è una necessità dell'Italia intera oltre che di chi abita in montagna, ma anche di chi abita in pianura, di chi ha la responsabilità di governare le regioni, i comuni, gli enti locali, lo Stato a livello nazionale. In Europa finalmente è stato ottenuto un grande risultato, ossia che la montagna è considerata uno dei punti essenziali sui quali si determina la coesione sociale, economica e territoriale. La montagna è considerata uno di quei territori sui quali insiste la possibilità di determinare aiuti di Stato secondo la regolamentazione europea.
Fino ad oggi, in nome del fatto che non si potevano fare aiuti di Stato, non si è contribuito a restituire alla montagna risorse che le sono state prese in questi decenni ai fini di uno sviluppo generale della collettività, si pensi solo all'utilizzo dell'acqua, dell'idroelettrico, delle fonti del legno, della foresta, delle risorse di pietra di cui dispone la montagna. Si tratta di fonti che non sono inesauribili e che comunque la montagna ha fornito alla Pag. 69pianura, alle metropoli, alle città per potere garantire uno sviluppo collettivo. Queste risorse non sono in parte mai state restituite alla montagna non per garantire che ci sia una vita privilegiata di chi vi abita, di chi lavora, di chi fa impresa in montagna, ma per garantire che quei territori siano messi in sicurezza dalla presenza dell'uomo.
Infatti, senza l'uomo la montagna si perde, senza la presenza dell'attività umana la montagna è solo wildness, è solamente elemento selvaggio che si può contemplare ma che nel momento in cui piove a dirotto, lo zero termico si alza, cade il doppio o il triplo della neve, la montagna rotola a valle e ci sono le alluvioni. Da questo punto di vista i costi per la collettività sono molto più elevati di quelli che invece si potrebbero organicamente determinare per garantire che ci sia un'attività continua in montagna in modo tale che il terreno, il territorio, sia vigilato, monitorato e lavorato.
È questo ciò che bisogna fare: ricreare la controtendenza e il segnale che fornisce questa norma, che tra l'altro non porta molti soldi e molte risorse, ma è un primo segnale in controtendenza e importante. Infatti, per la prima volta mettiamo noi stessi come Parlamento (e speriamo di aiutare il Paese a fare un salto un po' più in là di quello che è stato finora considerato il rapporto tra la collettività nazionale, la fiscalità generale e chi vive in montagna) e il Paese in condizione di considerare che occorre costruire un nuovo patto solidale tra le terre alte, i territori di montagna, le persone, le collettività e le comunità che abitano in montagna con la collettività e quel pezzo di Paese che abita, lavora e imprende in pianura e nelle metropoli. Si tratta, cioè, di un grande patto solidale tra città e montagna. Questo serve al Paese.
Serve al Paese perché la montagna è un valore, non è un problema. La montagna ha ancora grandi risorse da dare al Paese per consentire ad esso di essere capace anche di competere come ci è richiesto a livello internazionale, ma anche - ad esempio - di raggiungere gli obiettivi che ci indica la Comunità europea. Se noi sfruttiamo bene il bosco e la foresta, se noi pensiamo alla montagna come un elemento di risorsa importante per quanto riguarda, ad esempio, la biomassa, questo è un valore che noi dobbiamo considerare della collettività. Se ci sono valori della collettività, è del tutto evidente, signor Presidente, che occorre un atteggiamento diverso dal punto di vista della fiscalità generale.
Servirebbero - spero che il provvedimento in esame avvii una fase nuova in questo senso - degli automatismi che garantiscano che alla montagna ritornino risorse certe. So che in Piemonte la giunta precedente lo fece e la giunta attuale lo ha confermato (quindi, non è una questione di destra o di sinistra per intenderci): una quota delle bollette pagate sull'acqua e sul gas è utilizzata per garantire lo sviluppo delle comunità di valle e delle comunità montane. Questo è un modo per fare stipulare un patto vero, nuovo e solidale tra montagna e città, tra pianura e terre alte.
Credo che allora, anche quando parliamo di montagna, bisogna ricordare che se alcune cose riusciamo a farle oggi è perché alcuni grandi statisti all'inizio hanno inserito nella nostra Costituzione il richiamo alla montagna. E ci sono alcune grandi personalità della politica nella storia delle istituzioni di questo Paese e dei suoi Governi - penso a Vanoni - che ci hanno ricordato (come nel discorso del febbraio del 1956) che in quegli anni, nei quali il PIL cresceva del 10 per cento, ancora c'erano comunità di 2-3 mila persone che non erano raggiunte da strade, che vivevano in case disagiate e la cui qualità della vita era talmente bassa da non essere in grado di conoscere ancora esattamente che cosa significasse la patria. Molti di quei montanari e di quei contadini, come diceva Vanoni in quel suo ultimo discorso del 1956 in quest'Aula, avevano conosciuto la patria solo perché avevano fatto la leva come carne da macello nelle truppe alpine.
Oggi non è più così, ma attenzione: se non c'è la responsabilità nazionale per Pag. 70garantire che ritornino risorse importanti verso la montagna si rischia di tornare al periodo precedente a Vanoni. Noi abbiamo la responsabilità di dire ai giovani che non trovano lavoro nelle piccole imprese di pianura, che si può lavorare e imprendere in montagna.
Abbiamo, inoltre, la responsabilità di metterci nelle condizioni di poterlo fare.
Signor Presidente, in questi ultimi periodi si è determinata una politica di taglio. Si è tagliato l'EIM, si è chiuso l'ente italiano della montagna, l'unica tecnostruttura in grado di fare ricerca per la montagna al servizio della pubblica amministrazione. Inoltre, si sono tagliate le risorse per le comunità montane, che si sono azzerate e non sono state ridistribuite ai comuni. Insomma, vi è stato un depauperamento delle risorse. Questo provvedimento comincia a invertire la tendenza.
Ha ragione il collega La Loggia quando dice che vi sarebbe bisogno di collegare un po' di più il ragionamento sulla montagna con quello che sta facendo la Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale. Però, attenzione. Se occorre affrontare la questione montagna in quella sede un conto è affrontarla in termini di perequazione e un altro conto, invece, è assumere la montagna come una responsabilità dello Stato e della nazione e non solo come delle entità alle quali verrà assegnata la responsabilità di gestire in piena autonomia i territori decentrati.
Pertanto, dobbiamo sapere che la responsabilità del legislatore, quando interviene sulla montagna, è quella di chi dovrebbe sapere che molto spesso in montagna il mercato fallisce. Non si può pretendere che il piccolo negozio paghi la stessa quota degli studi di settore del piccolo negozio del centro di Roma o del centro di Milano, né si può pensare che, essendoci un dato demografico di un certo tipo, si possano applicare gli stessi tetti per il mantenimento di scuole e di plessi scolastici in montagna così come possiamo e dobbiamo farlo in pianura, per risparmiare e mettere insieme risorse per sviluppare il settore.
Insomma, dobbiamo capire che vi è una specificità della montagna e questa specificità della montagna abbiamo provato a scriverla anche nella definizione che ne deriva. Forse sarebbe stato meglio scrivere «500 o 600 metri», ma non si tratta solo di un problema di altitudine, signor Presidente. In questo provvedimento affermiamo che la montagna deve essere definita sia dal punto di vista dei suoi caratteri fisici, climatici e geografici, ma anche dal punto di vista della conoscenza delle condizioni socio-economiche in cui vivono le popolazioni montane e indichiamo al Governo una strada per definire i comuni montani che avranno la disponibilità di accedere, ad esempio, al Fondo. Non indichiamo solamente l'altitudine ma, piuttosto, insieme all'altitudine, indichiamo anche la pendenza, perché vi sono dei comuni che sorgono anche mediamente a 400 metri sul livello del mare ma che hanno una pendenza tale per cui lavorare quei terreni è assolutamente impossibile. Tuttavia, quei terreni hanno bisogno della presenza dell'uomo per impedire che vi sia un dissesto idrogeologico che interviene sulla pianura e a valle.
Pertanto, signor Presidente, il ragionamento che abbiamo iniziato a fare è un ragionamento che è contenuto in una norma che non possiamo non considerare come solo un primo passo in avanti, solo un primo passo in avanti. Se questa legislatura proseguirà dovremo farlo nei prossimi mesi. Invece, se questa legislatura cederà il passo a una nuova, credo che, comunque, almeno avremo consegnato un articolato di legge che avrà la priorità di lettura nelle legislature a seguire e, soprattutto, consegniamo un articolato poco impugnabile dal punto di vista del contrasto tra le forze politiche.
Pertanto, quel che abbiamo scritto in questa norma - qualora si registrasse un voto unanime - è già un segnale che potremmo dare al Senato perché faccia il possibile affinché entro febbraio assegni il provvedimento in esame alle Commissioni di merito ed entro Pasqua consegni all'Italia una norma che effettivamente è un primo segnale utile. Pag. 71
Infatti, il problema è di scegliere di comprendere non solo che vi è una questione montagna ma che insieme alla questione montagna vi è anche la necessità di sapere che non tutto ciò che è sopra il livello del mare è certamente montagna e che occorre salvare e promuovere la montagna vera per il bene dell'Italia, del suo territorio e del suo equilibrato sviluppo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nicco. Ne ha facoltà.

ROBERTO ROLANDO NICCO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghe e colleghi, da ormai parecchi anni, anzi troppi anni, il Parlamento discute delle problematiche relative ai territori montani. Lo spopolamento è stato a lungo il dramma umano ed economico delle aree montane e la conseguente necessità di invertire quella tendenza per mantenere un essenziale presidio del territorio ha impegnato - ed impegna tuttora - gli amministratori locali nella messa in campo di politiche adeguate.
È di tutta evidenza che le aree montane - che sono territori molto vasti e con scarsa densità demografica - generano inevitabilmente costi pro capite elevati, tanto nelle attività tradizionali, quanto nelle opere infrastrutturali e nei servizi. Il differenziale dei costi è stato ampiamente provato da attendibili studi e già l'abbiamo ricordato in quest'Aula in occasione delle discussioni sul federalismo e sulla perequazione. Nell'attività agricola, in particolare fondamentale per mantenere i delicati equilibri idrogeologici e della montagna, la raccolta del latte comporta un sovraccosto dell'80 per cento e spese per la meccanizzazione del 74 per cento.
La costruzione e la manutenzione di una rete stradale, oppure idrica o fognaria su quel tipo di orografia hanno costi decisamente più elevati che altrove. Nel trasporto pubblico locale gestire un adeguato servizio di collegamento di villaggi e di edifici sparsi comporta evidenti costi aggiuntivi e lo stesso dicasi per la raccolta dei rifiuti solidi urbani o per l'assistenza domiciliare per gli anziani.
Noi ci siamo chiesti se una legge nazionale sia effettivamente lo strumento più adeguato per affrontare questo ordine di questioni o se, essendo le realtà montane tutt'altro che omogenee e dipendendo non solo dall'altimetria o dalla pendenza, ma dal tipo di antropizzazione che si è storicamente sviluppata, non siano più opportune invece politiche complessive sui territori montani poste in capo alle diverse regioni che meglio conoscono ciascuna il proprio territorio. Fatta comunque - come è stata fatta - la scelta di una legge nazionale si tratta di capire se questa mette effettivamente in campo gli strumenti e le risorse necessarie.
Voglio ricordare che nella scorsa legislatura, su impulso del gruppo Amici della montagna del Parlamento, era stato elaborato un testo bipartisan, coordinato dai senatori Perrin e Santini, che affrontava con una certa organicità la materia dei servizi pubblici e sociali (si parlava di sistemi informativi, di sanità e di scuola), della gestione delle risorse idriche, della difesa del suolo e delle attività economiche. Poi c'è stata la fine anticipata della legislatura, che ha interrotto l'iter.
Sulla scia di quella proposta, anche in questa legislatura, in particolare ad opera del consiglio regionale della mia regione, la Valle d'Aosta, sono state avanzate proposte di intervento ampio ed articolato. Il testo che noi discutiamo oggi in Aula purtroppo - e sottolineo purtroppo - ha recepito in parte assai limitata quelle indicazioni. Si tratta di un testo che da un lato, all'articolo 3, promuove dei progetti socioeconomici volti alla realizzazione di obiettivi certo molto ambiziosi, dal potenziamento e dalla valorizzazione dei servizi pubblici e del sistema scolastico, agli incentivi per l'accesso dei giovani alle attività agricole, dallo sviluppo dell'agriturismo, del turismo montano alla valorizzazione della filiera forestale delle biomasse fino alla salvaguardia del prato pascolo.
Dall'altro canto, questo testo non indica poi gli strumenti normativi e gli strumenti Pag. 72fiscali con i quali promuovere tutto ciò. Insomma, è vero, vi sono - come è stato ricordato - alcune specifiche norme, certamente utili sui lavori pubblici, sui fabbricati rurali, sui rifugi di montagna, ma tutt'altro è incidere sulle questioni strutturali alle quali si è prima accennato. Mi avvio alla conclusione, signor Presidente. Soprattutto si mettono a disposizione risorse che sono francamente limitate: 6 milioni di euro per tutto il territorio nazionale. Non vorrei che, a conti fatti, paradossalmente la spesa sostenuta complessivamente dai comuni per la realizzazione dei progetti socioeconomici risulti alla fine superiore ai finanziamenti ottenuti.
In conclusione - so che la mia è una voce dissonante - ci sembra questa un'occasione mancata e ci auguriamo che sul tema si possa ritornare con un'altra organicità proprio nel quadro della perequazione legata al federalismo e ovviamente con risorse adeguate.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vannucci. Ne ha facoltà.

MASSIMO VANNUCCI. Signor Presidente, rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, noi sosterremo questa proposta di legge. Approfitto subito per ringraziare il relatore per il lavoro complesso e complicato e per ringraziare i presentatori, chi ha voluto caparbiamente tenere aperta la possibilità che la montagna abbia una legge - primo fra tutti l'onorevole Quartiani - e il rappresentante dell'Associazione amici della montagna, il consiglio regionale della Valle d'Aosta e tutti gli altri colleghi dei gruppi che si sono impegnati su questa tematica. La sosterremo ma, signor Presidente, questa legge non corrisponde alle nostre aspirazioni e, soprattutto, non corrisponde alle esigenze della montagna. Voglio citare l'inserto di oggi del più importante quotidiano italiano che dedica tre pagine a questa materia. L'occhiello dice: dai 170 milioni di euro del 2002 ai 16 milioni di euro del 2011, la mannaia del Governo si abbatte sui fondi ai comuni montani. Fa poi una serie di analisi e di citazioni che poi brevemente riprenderò. Non risponde alle esigenze della montagna e non risponde alle esigenze del Paese, perché la montagna è una grande risorsa di questo Paese, il 57 per cento del territorio nazionale è montano e produce il 17 per cento del PIL. Come diceva l'onorevole Quartiani, è una risorsa, perché la montagna garantisce l'aria, l'acqua, le risorse primarie a questo Paese. Va tutelata perché è un patrimonio.
Pertanto, come analizzarla? C'è un contesto storico? Dobbiamo contestualizzare la situazione. Signor Presidente, so che lei è un metropolitano, però conosce la montagna e la apprezza. Cosa è accaduto? In questo Paese - ma non solo, anche in Europa - c'è stata una forte antropizzazione: la gente si è spostata nelle grandi città, ha seguito prima i flussi delle grandi reti ferroviarie e quelli delle strade e autostrade. Prima, storicamente, si stava in montagna per difendersi, le strade erano trasversali, poi è cambiata l'articolazione delle nostre strade. Questo ha fatto sì che si sia prodotto un forte spopolamento delle aree interne ed una forte antropizzazione dei centri urbani, che creano una serie di problemi. Sappiamo che la concentrazione di popolazione nelle aree urbane è un problema così come lo è il depauperamento delle popolazioni nelle aree interne e specificamente in montagna. Perché, cosa succede? Si innesca un circolo vizioso per il quale non c'è popolazione, quindi lo Stato, le regioni, gli enti locali non possono garantire servizi, e la gente non ci sta perché non ci sono i servizi. Se noi continuiamo a legiferare con i parametri in base ai quali per una caserma dei carabinieri è necessario un certo numero di abitanti, per una scuola è necessario un certo numero di abitanti, per un ospedale è necessario un certo numero di abitanti, per un distributore di carburante è necessario un certo numero di abitanti e non individuiamo invece e selezioniamo le deroghe possibili, non potremo garantire i servizi.
La gente non resta in montagna perché non ci sono i servizi, oggi anche le grandi Pag. 73autostrade - il sottosegretario si occupa un po' di questo aspetto - che sono quelle ad esempio delle reti informatiche e della banda larga, purtroppo passano sempre lungo le grandi strade e le grandi arterie, quindi non invertiamo il settore, mentre sarebbe invece possibile lavorare a distanza. Dobbiamo pertanto fare una doppia operazione: decongestionare le zone fortemente antropizzate e congestionare quelle montane. Cosa dico? Dico una cosa enorme, favorire la corretta distribuzione della popolazione sul territorio. Signor Presidente, questo è un grande tema europeo.
È un grande tema che possiamo risolvere solo con il concerto europeo. Nei giorni scorsi, abbiamo avuto un'audizione del commissario per le politiche regionali Johannes Hahn e ne abbiamo parlato. Ha apprezzato il nostro intervento per il riequilibrio territoriale e per la coesione territoriale. Altri Paesi, come Spagna, Danimarca e Regno Unito, fanno politiche di riequilibrio demografico, per favorire lo spostamento delle popolazioni. Cito questo per contestualizzarlo. Noi avremmo voluto una legge che fosse in grado di fare questo, di invertire queste politiche e di rompere questo circolo vizioso, perché tutti veniamo dalla montagna, anche se lei, signor Presidente - lo ripeto - è un metropolitano; anche le sue origini probabilmente sono montane e con la montagna difendiamo l'identità, le tradizioni e la tipicità.
Ho citato all'inizio l'articolo di questo quotidiano relativo al passaggio dai 170 ai 16 milioni di euro perché, come classe dirigente, dobbiamo fare un esame di coscienza. È vero quel che diceva anche il presidente La Loggia, che non siamo intervenuti per tempo per correggere le distorsioni. È vero che molto spesso facciamo demagogia, perché non abbiamo il coraggio di selezionare i centri, le zone e le aree che hanno veramente necessità. E se siamo tutti montani, nessuno è montano e non possiamo intervenire, questo coraggio non l'abbiamo avuto, perché abbiamo permesso che proliferassero comunità montane anche al livello del mare. È anche vero, però, che una campagna di stampa improvvida come quella che vi è stata, con la grande denuncia sulla casta - mi riferisco a Gian Antonio Stella e a Rizzo - si è tradotta poi nel partorire il topolino che è stato l'assalto alle comunità montane, in fondo l'assalto alla montagna. Per tutta questa propaganda alla fine chi ha pagato? Ha pagato la montagna, quindi abbiamo buttato via assieme all'acqua sporca anche il bambino. Ed è un errore perché nel frattempo si sono fatte diverse iniziative: le regioni hanno ridotto da 330 a circa 200 le comunità montane. Noi abbiamo invece legiferato con la mannaia, abbiamo detto che lo Stato non si interessa più delle comunità montane. Però, quei fondi - lo diceva bene l'onorevole Quartiani - non li abbiamo lasciati in montagna, ma li abbiamo usati per altre cose. Si potevano fare benissimo le cose che diceva l'onorevole Nicco, però non si sono fatte e si è scelto invece di tagliare. Ci dovremmo purtroppo tornare sopra, perché fatte così le cose sono fatte male. Le comunità montane hanno cinquemila dipendenti, vivono di finanza derivata, non possono andare in default e, quindi, il loro deficit si scaricherà sui comuni, sulle regioni e sulle province. Poi lo dovremmo ripagare e non avremmo una politica complessiva. Qual è la politica complessiva? Quella di pensare ai territori montani nell'ottica che qui si diceva. Come diceva l'onorevole Quartiani, se investiamo in montagna, se spendiamo qualcosa per mantenere i fossi, le strade, i campi e una corretta agricoltura, se incentiviamo la residenza, quindi la presenza dell'uomo, che è fondamentale e indispensabile, spenderemo meno dopo, per andare a sistemare i danni e i guasti che avremo fatto. Quindi, dobbiamo denunciare una politica che non è lungimirante in questo senso. Ho criticato in generale la politica del Governo, ma ho detto in premessa che sosterremo questo provvedimento. La sosteniamo perché aver portato in Aula un provvedimento che conferma l'impegno costituzionale dell'articolo 44 - la legge dispone provvedimenti a favore delle zone montane - è importante. Averlo fissato nei principi fondamentali della legge e aver Pag. 74rinnovato questo impegno è importante, ma non possiamo pensare che questo sia esaustivo. Se nei provvedimenti più importanti del Governo - le leggi di stabilità, le leggi di spesa, ma anche le leggi sulle incentivazioni, le leggi fiscali - non ci torneremo, se non caratterizzeranno tutta la politica in questo senso, in uno sviluppo organico e corale di questo nostro Paese, per produrre - perché siamo in un'epoca diversa da quella del passato, della rivoluzione industriale - o riprodurre un equilibrio, non renderemo un servizio a questo Paese.
Noi vogliamo interpretarla in questo senso. Da questo punto di vista, ci auguriamo che domani il Governo sciolga gli ultimi nodi rimasti e che questa proposta di legge possa essere approvata domani stesso in quest'Aula. Questo è il segnale di un primo passo verso il futuro; credo che il relatore, onorevole Simonetti, sia d'accordo nel considerarla in questo senso, cioè come un discorso e un principio che produrrà effetti in futuro, se non direttamente con questa proposta di legge (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Unione di Centro).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Caparini. Ne ha facoltà.

DAVIDE CAPARINI. Signor Presidente, molti di coloro che sono intervenuti in questa discussione sulle linee generali, tentando, con enormi difficoltà, di trovare una soluzione all'annosa questione della montagna, sono qui dal 2000. Abbiamo ereditato una legge, quella del 1994, assolutamente inadeguata, nella maggior parte non applicata. Nel 2000 è stato istituito un Osservatorio per la montagna, che ha prodotto molto materiale, molta letteratura e molte proposte, che sono state fatte proprie a volte dal Governo e a volte da questo o quel partito.
Il risultato è che siamo nel 2011 e, con enormi difficoltà, stiamo tentando di produrre una nuova proposta di legge in questo ramo del Parlamento. Poi sappiamo che vi saranno le «forche caudine» del Senato, e quindi l'incognita di un percorso travagliato, come quello che, purtroppo, vi è stato in passato per diversi provvedimenti e con altrettanto diversi schieramenti politici. Il punto è che questo colpevole ritardo paga la concezione che qui a Roma si ha della montagna: questa viene vista come un problema da risolvere, come un'area da assistere, e non come deve essere in realtà affrontata, ovvero come una risorsa del Paese, che può e deve essere valorizzata attraverso provvedimenti legislativi il più possibile vicini alle realtà su cui intervengono.
Quindi, occorre un'opera fondamentale di delegificazione e semplificazione, da una parte, e, dall'altra, un finanziamento attraverso - qui entriamo nel cuore del problema, in ciò che abbiamo fatto dal 2009 con il federalismo fiscale - gli enti locali, i soggetti più vicini alle problematiche delle montagne.
In questo senso va visto l'importante e fondamentale contributo che siamo riusciti a dare con la legge di attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, che incrocia, in tanti suoi ambiti, l'articolo 44 della Costituzione, che, nello specifico, invita il Parlamento a legiferare per la montagna, anche recependo le indicazioni del Trattato di Lisbona del 2007, che finalmente colma un tremendo ritardo da parte dell'Europa in materia e prende ad esempio, per quanto riguarda lo squilibrio socioeconomico, anche la montagna tra i punti fondamentali dell'azione europea.
Mettendo a sistema tutte queste risorse, nel federalismo fiscale siamo riusciti ad identificare un modello di intervento finalmente rivoluzionario, quello che serviva, secondo noi, alla montagna, ovvero un intervento infrastrutturale mirato, di perequazione fatta a livello regionale, di definizione della marginalità. Infatti, non tutta la montagna è uguale e non tutta la montagna ha gli stessi problemi.
Sarebbe utopistico pensare ad un intervento omogeneo ed uguale in ogni parte del Paese perché questo è profondamente diverso, è eterogeneo e, quindi, richiede interventi e misure diverse a seconda delle necessità. Pag. 75
È importante sottolineare che abbiamo tratto giovamento anche dalla visione del Governo di centrosinistra che con Prodi ha fatto una monumentale opera di riduzione di quella che era la «montagna assistita», sono state cancellate le comunità montane che non lo erano in quanto posizionate in riva al mare e, quindi, sottraevano importanti risorse a chi ne aveva effettivamente bisogno.
Abbiamo confermato le misure agevolative proprio secondo quello spirito che sentivo anche da parte del collega Quartini, che ringrazio in quanto sempre a fianco della montagna - signor Presidente sto per concludere - che consentono, in linea con il discorso, fondamentale per noi, di valorizzare le risorse energetiche e, soprattutto, di colmare questo gap infrastrutturale attraverso degli interventi diretti e non a pioggia.
Dopodiché siamo riusciti, attraverso una politica fortemente innovativa, a far sì che gli enti locali entrassero a pieno titolo nella compartecipazione degli utili e nella gestione di quella che è una delle principali risorse della montagna, ovvero lo sfruttamento idrico, e, conseguentemente, anche nella nuova visione della gestione integrata del sistema idrico abbiamo ritagliato un ruolo importante per le piccole comunità attraverso delle gestioni in house che bene si ritagliano sulle necessità delle piccole comunità di montagna.
Ora serve una migliore gestione del territorio, e con il provvedimento in esame affrontiamo il problema. Serve incentivare l'utilizzo dei territori incolti, l'attività agricola, la valorizzazione dell'enorme patrimonio forestale, quindi la produzione di energia elettrica con le biomasse, e tutta la filiera forestale che oggi è completamente inespressa proprio a causa di una legislazione nazionale inadeguata.
Concludendo, voglio porre l'attenzione su un aspetto che trovo fondamentale ovvero il fatto che, purtroppo, lo stratificarsi di molte norme ha portato ad una burocratizzazione senza logica che in montagna diventa ancor più un limite allo sviluppo economico e sociale e, a volte, viene percepita come una vera e propria ingerenza da parte dello Stato centrale.
Credo che uno degli aspetti affrontati dalla proposta di legge in oggetto sia proprio quello di iniziare quest'opera di semplificazione e di sburocratizzazione, anche nell'ottica di evitare la situazione di una neocentralismo regionale. Purtroppo alcune regioni, anche quella da cui provengo, pagano questa visione per cui ad un centralismo italiano poi si sostituisce un centralismo lombardo. Noi, ovviamente, siamo per l'autodeterminazione e non tolleriamo alcuna ingerenza anche qualora vengano pensate a Siracusa per la montagna lombarda. Sono visioni antitetiche al nostro modo di concepire la politica.
Vi è anche un invito al Governo da parte del nostro gruppo ad essere lungimirante e seguire esso stesso la sua azione perché si tratta di essere coerenti con le misure che sono state adottate sino ad ora. Credo che la svolta che hanno compiuto il legislatore ed il Governo consenta finalmente di esaltare le specificità culturali, economiche, sociale ed ambientali della montagna. Questo è stato possibile proprio uscendo dalla logica di regista assistenzialista e preferendo un'azione realmente efficace che parta dal basso (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ciccanti. Ne ha facoltà.

AMEDEO CICCANTI. Signor Presidente, onorevole sottosegretario, onorevoli colleghi, il provvedimento in esame è la sintesi di sei distinte proposte di legge di iniziativa parlamentare. Va dato atto al relatore Simonetti di aver saputo svolgere un ruolo di integrazione e di raccordo tra le diverse impostazioni e valutazioni dei gruppi emerse nella Commissione bilancio nella sua qualità di Commissione referente.
Prima di affrontare il contenuto del provvedimento in esame, è utile una visione complessiva del problema. L'organizzazione locale di base, quella rappresentata cioè dai comuni, è molto frantumata. La maggiore frammentazione è rappresentata Pag. 76però dai comuni montani. In Italia vi sono 8.101 comuni e di questi soltanto 662 hanno una popolazione superiore a quindicimila abitanti. Vi sono duemila comuni al di sotto dei mille abitanti e tra questi 846 sono i comuni con meno di cinquecento abitanti. Soltanto 2.263 comuni superano i cinquemila abitanti. La fascia dei comuni più numerosa è quella al di sotto dei tremila abitanti.
È dunque una dimensione molto esigua di fronte a territori spesso molto vasti, soprattutto nelle zone montane. Fino a qualche anno fa erano 3.546 i comuni montani, secondo la definizione della legge del 1952. I comuni montani rappresentano il 54,33 per cento del territorio e il 18,28 per cento della popolazione, pari a circa 11 milioni di italiani residenti.
Questo quadro polverizzato del governo del territorio è stato parzialmente compensato con modelli associativi, come le comunità montane e le unioni dei comuni. Il modello associativo però ha scontato un limite: il carattere facoltativo per le unioni di comuni e la vita legislativa travagliata delle comunità montane, soprattutto nell'ultima parte della precedente legislatura e agli inizi di questa legislatura con le finanziarie 2009 e 2010.
In base ad alcuni dati statistici risultano costituite circa 270 unioni di comuni, per poco più di 1.200 comuni, riguardanti circa 4 milioni di abitanti. Non ci sembra sia stato un successo, rispetto alle aspettative del legislatore che le pensò con il Testo unico, il decreto legislativo n. 267 del 2000. Le comunità montane che sono previste dall'articolo 27 del Testo unico sugli enti locali, come dinanzi ho richiamato, sono invece unione di comuni obbligatorie. Quelle censite nel 2008 erano 371, quando cioè la legge finanziaria ne previde la riduzione del numero; oggi sono poco più di 290. L'operazione è stata completata con il taglio dei finanziamenti statali del 2010 e con la modifica della nozione di «comunità montana».
La fusione dei comuni avanzata nei primi anni Novanta è stata, per così dire, velleitaria perché essa non si è realizzata, anzi questa ipotesi ormai è tramontata anche nel dibattito politico più generale. Quindi le resistenze di carattere politico, da una parte, per la salvaguardia della propria individualità dei piccoli comuni e sostanzialmente una sorta anche di resistenza da parte dei partiti che hanno trovato in questi enti forme di collocazione anche di personale politico, hanno in qualche modo vulnerato l'immagine e la credibilità di queste istituzioni, sebbene questa conformazione pur avendo dei meriti storici che nel passato hanno fatto valere le condizioni di sviluppo, di cui oggi godono molte aree montane, hanno però determinato una rigidità del sistema amministrativo italiano nel suo complesso.
La finanziaria per il 2011 prevede infatti che le comunità montane saranno limitate ai comuni in cui almeno il 75 per cento del territorio si trova sopra i 600 metri al di sopra del livello del mare. Al criterio rigido di definizione di comune montano l'attuale provvedimento, all'articolo 2, sostituisce la nozione di comune montano svantaggiato in rapporto ad una situazione orografica articolata e ben definita, quantunque opinabile (e in tal senso noi dell'Unione di Centro, abbiamo in sede di discussione, fatto delle osservazioni su questo punto). Il provvedimento ha la finalità di far fronte alla generale situazione di disagio che vivono i territori montani stante la mancanza di soluzioni aggregative. L'ambizione di questo testo di legge unificato non ha lo scopo di ridisegnare il sistema di comuni montani o del sistema dei comuni italiani nel suo complesso, ma quello più limitato di semplificare e razionalizzare le attuali loro competenze. La sede di una riforma più ampia e radicale è quella della riforma del Codice delle autonomie che, com'è noto, si è arenata al Senato. Tra le norme che caratterizzano il provvedimento in esame è da menzionare la definizione dei criteri che stanno alla base dell'individuazione della ripartizione territoriale a cui destinare le risorse utili allo sviluppo ancorché le risorse siano previste in invarianza di bilancio. Lo sviluppo socio-economico, il miglioramento dei servizi pubblici, il potenziamento del sistema scolastico, la valorizzazione Pag. 77delle risorse idriche e energetiche, lo sviluppo del turismo, l'incentivazione dei terreni incolti di montagna, lo stimolo all'accesso dei giovani alle attività agricole, la forestazione dei territori a rischio idrogeologico: sono tutti obiettivi di coesione, integrazione e convergenza territoriale che recuperano in via funzionale la disgregazione dei livelli di governo del territorio. L'incertezza normativa nazionale e regionale che riguarda i piccoli comuni montani e i tagli che via via sono stati effettuati su tali realtà istituzionali, soprattutto da ultimo con il decreto-legge n. 78 dell'anno scorso, impongono interventi mirati soprattutto per la salvaguardia ambientale e il rilancio dell'occupazione, quale deterrenza di carattere generale per invertire la tendenza allo spopolamento e al dissesto idrogeologico, vera e sentita preoccupazione dell'Unione di Centro per un'Italia che frana ogni giorno.
Noi abbiamo quindi la cogenza del provvedere a favore delle zone montane, come prevede l'articolo 44 secondo comma della Costituzione, ma anche l'utilità e la necessità di salvaguardare le risorse primarie ambientali a cominciare da quelle idriche e forestali. Abbiamo quindi un doppio impegno. Noi dell'Unione di Centro abbiamo anche una sensibilità culturale e una vocazione affettiva verso un tessuto sociale dove ritroviamo i valori della responsabilità, della famiglia e della tradizione, che sono i fondamentali di un nostro patrimonio politico e anche quello che riteniamo costitutivo della nostra nazione. L'Unione nazionale dei comuni montani (UNCEM) in occasione del XV Congresso nazionale ha sostenuto che la montagna costituisce un giacimento ancora inesplorato di ricchezza e di potenzialità per l'economia nazionale. Questo potenziale è da coniugare - aggiungiamo noi - con le risorse dei beni culturali delle città storiche in un virtuoso modello turistico nazionale. Secondo l'UdC la normativa in esame è parziale e limitata.
Chiediamo un coraggio riformatore più deciso, sistemico e complessivo. È, comunque, meglio di niente quello che è stato fatto. Il recepimento dei rilievi dell'UNCEM nella Commissione agricoltura sulla tipologia dei progetti di sviluppo e del sistema agrituristico, la valorizzazione della filiera forestale e la salvaguardia del prato al pascolo, sono utili segnali di attenzione a settori economici finora ignorati. Le misure contenute sono concrete anche ai fini della valorizzazione delle specificità culturali, economiche e sociali. Il testo in discussione ha ricevuto un consenso trasversale di tutte le forze politiche parlamentari. L'Unione di Centro - e mi avvio alla conclusione, signor Presidente - è, pertanto, parte di questo consenso che meglio esporremo in sede di dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e, pertanto, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 41-A ed abbinate)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore, onorevole Simonetti, e il rappresentante del Governo rinunciano alla replica.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Modifica nella composizione del Comitato per la legislazione.

PRESIDENTE. Comunico che, a norma dell'articolo 16-bis, comma 1, del Regolamento, il Presidente della Camera ha chiamato a far parte del Comitato per la legislazione l'onorevole Deodato Scanderebech, in sostituzione dell'onorevole Roberto Occhiuto, dimissionario.
Avverto che, cessando conseguentemente l'onorevole Occhiuto dalle funzioni di segretario del Comitato, sulla base dei criteri stabiliti dalla Giunta per il Regolamento del 16 ottobre 2001, tali funzioni sono affidate all'onorevole Deodato Scanderebech.

Pag. 78

In morte dell'onorevole Pier Corrado Salino.

PRESIDENTE. Comunico che è deceduto l'onorevole Pier Corrado Salino, già membro della Camera dei deputati nella XII legislatura.
La Presidenza della Camera ha già fatto pervenire ai familiari le espressioni della più sentita partecipazione al loro dolore, che desidera ora rinnovare anche a nome dell'Assemblea.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Mercoledì 16 febbraio 2011, alle 10:

(ore 10 e ore 16)

1. - Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
BRUGGER e ZELLER; QUARTIANI ed altri; QUARTIANI ed altri; CAPARINI ed altri, QUARTIANI ed altri, BARBIERI; d'iniziativa del CONSIGLIO REGIONALE DELLA VALLE D'AOSTA: Disposizioni in favore dei territori di montagna. (C. 41-320-321-605-2007-2115-2932-A).
- Relatore: Simonetti.

2. - Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
BRUGGER e ZELLER; BERNARDINI ed altri; FERRANTI ed altri: Modifiche al codice di procedura penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, e altre disposizioni a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori. (C. 52-1814-2011-A).
- Relatore: Samperi.

3. - Seguito della discussione della proposta di legge:
LUSSANA: Modifica all'articolo 442 del codice di procedura penale. Inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell'ergastolo. (C. 668).
e dell'abbinata proposta di legge: D'ANTONA ed altri. (C. 657).
- Relatore: Lussana.
(ore 15)

4. - Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata.

La seduta termina alle 21.

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO AUGUSTO DI STANISLAO IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DELLE MOZIONI SUL RITIRO DEL CONTINGENTE ITALIANO IN AFGHANISTAN

AUGUSTO DI STANISLAO. Presidente, Governo, colleghi, l'Afghanistan è in una fase cruciale del conflitto e della sua lotta per uscire dalla povertà. C'è una necessità oggettiva che le comunità internazionali facciano di più per aiutare gli afghani a creare istituzioni efficaci e per promuovere una crescita economica equa.
In base al ruolo unico del suo sistema e all'ampiezza delle sue competenze, il quadro delle Nazioni Unite a sostegno dell'Afghanistan National Development Strategy (ANDS) si concentra su tre aree prioritarie: governance di pace e stabilità, vita sostenibile e servizi sociali di base, sostenute da interventi su questioni trasversali come i diritti umani, la parità tra i sessi, la tutela dell'ambiente, la lotta contro le mine e il narcotraffico. Questi tre settori prioritari sono inquadrati in un contesto in cui l'ONU è nella posizione migliore per sostenere la strategia nazionale di sviluppo, concentrandosi sul nesso tra la stabilità e l'alleviamento della povertà, in particolare per i più emarginati e vulnerabili. Pag. 79
Malgrado siamo prossimi ai dieci anni di presenza della NATO (attraverso la missione ISAF i cui obiettivi restano la ricostruzione, la stabilizzazione e l'addestramento, all'interno di un mandato teso al mantenimento della sicurezza, nell'interesse della ricostruzione e degli sforzi umanitari), la situazione in Afghanistan è peggiorata.
Le strade rimangono non edificate, una percentuale, seppur non altissima, di afghani rimane senza accesso a servizi di base, la disoccupazione è diffusa. Nel 2005, l'indice di sviluppo umano per l'Afghanistan era di 173 su 178 Paesi. Oggi è 181 su 182. La produzione di oppio è aumentata di 40 volte. I proventi della droga rappresentano oltre il 60 per cento dell'economia. L'Afghanistan ha il peggior record delle morti infantili e ha un'aspettativa di vita di 44 anni.
Tutto ciò, nonostante le centinaia di miliardi di dollari spesi dalla NATO, una forza che sembra impotente a difendere la popolazione dalle attività di un gruppo di signori della guerra.
Quello degli aiuti internazionali è stato il problema principale discusso nella Conferenza dei donatori a Kabul del luglio 2010 che ha riunito circa 70 delegazioni di Paesi e rappresentanti delle istituzioni internazionali.
Tra il 2002 e il 2009 l'Afghanistan ha ricevuto circa 40 miliardi di dollari di assistenza internazionale. Di questi, solo 6 miliardi sono passati dal Governo centrale del Paese. I rimanenti 34 sono stati veicolati dalle organizzazioni internazionali (ONU, ONG varie, Banca mondiale, banche regionali per lo sviluppo, e altre). Una percentuale compresa tra il 70 e 1'80 per cento di queste somme non ha mai raggiunto la popolazione afghana. La maggior parte degli aiuti che i contribuenti e i donatori europei e americani intendono destinare a uno dei popoli più poveri del mondo si perde lungo la catena della distribuzione e ritorna sotto altre forme, lecite e illecite, ai centri da cui è partita.
Il Governo USA ha anche istituito un Ispettorato generale sulla ricostruzione dell'Afghanistan (Sigar) che inizia a misurare l'impatto dei fondi stanziati per lo sviluppo del Paese, ricostruirne la mappa, prevenire e identificare gli abusi. Sulla scia di quanto stanno facendo gli Stati Uniti, necessitano forme di controllo più rigorose e un'indagine accurata sul miliardo di euro di aiuti civili che l'Unione europea e i Paesi membri destinano ogni anno all'Afghanistan. Nessuna pace duratura è possibile in Afghanistan senza una sostanziale riduzione della povertà e una lungimirante politica di sviluppo sostenibile.
Il recente rapporto ONU sulla missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan, la relazione sulla protezione dei civili nei conflitti armati, rivela delle statistiche scioccanti: il numero dei civili uccisi in Afghanistan nei primi sei mesi del 2010 è salito del 31 per cento rispetto allo stesso periodo del 2009 a causa di un aumento del numero di azioni ostili intraprese da parte di elementi armati.
Il Governo afghano ha affermato che il numero di poliziotti afghani uccisi nel corso del 2010 è diminuito di circa il sette per cento, nonostante la violenza diffusa in tutto il Paese all'inizio del decimo anno di guerra.
Le vittime straniere, militari e civili, sono giunte, invece, a livelli record, nonostante la presenza di circa 150.000 truppe a guida NATO. Il 2010 è stato l'anno più sanguinoso da quando i talebani sono stati cacciati dalle forze afghane sostenute dagli Stati Uniti alla fine del 2001.
Bashary, il portavoce del Ministero degli Interni, ha dichiarato che 2.447 poliziotti afghani sono stati feriti, mentre 5.225 ribelli sono stati uccisi e 949 feriti.
Un totale di 6.716 sono gli incidenti di sicurezza nel 2010, come agguati, bombe su strada, attentati suicidi e lanci di razzi.
La rivolta si è spostata, nel corso degli ultimi due anni, dalle sue tradizionali roccaforti nel sud-est in zone un tempo pacifiche del nord-ovest del Paese. Il nord, in particolare, è diventato un nuovo fronte mortale nella guerra.
Le Nazioni Unite hanno detto che 2.412 civili sono stati uccisi e 3.803 feriti tra gennaio e ottobre dello scorso anno, il 20 per cento in più rispetto al 2009. Pag. 80
Il Ministero della difesa afghano ha reso noto che 821 soldati afghani sono stati uccisi l'anno scorso. Il Generale di brigata Josef Blotz, un portavoce della missione ISAF/NATO, ha dichiarato che l'alto numero di vittime tra le forze di sicurezza afghane, «... è un testamento al loro sacrificio, ai loro sforzi, al loro impegno, stanno combattendo per il proprio Paese e che l'aumento del numero di truppe straniere in guerra in Afghanistan avvenuto l'anno scorso aveva portato a una prevedibile ripresa della violenza». Le forze straniere hanno subito un numero di decessi record nel 2010.
Georgette Gagnon, direttore dei diritti dell'uomo per UNAMA, ha dichiarato nella sua relazione che «dopo nove anni le misure per proteggere i civili afghani in modo efficace e per ridurre al minimo l'impatto del conflitto sulla base dei diritti umani sono più urgenti che mai».
Invitando tutti gli interessati a fare di più per proteggere i civili, rispettando i loro obblighi di diritto internazionale, nella citata Relazione si raccomanda che le forze militari internazionali rendano più trasparente la propria responsabilità nel caso di perdite umane e di essere più attenti durante le attività aeree, e che il Governo afghano si impegni a creare un organismo speciale per rispondere agli incidenti e, infine, che i talebani cessino l'esecuzione di civili.
Secondo la Convenzione di Ginevra relativa alla protezione delle persone civili in tempo di guerra, le clausole prevedono chiaramente che le forze d'invasione hanno la responsabilità di proteggere i civili. Se dopo nove anni le vittime sono in aumento, allora risulta evidente una incapacità della NATO di condurre la missione con successo.
Nonostante le dichiarazioni di alto profilo a Washington e Kabul circa i progressi compiuti in Afghanistan, il popolo afghano ha solo assistito e sofferto un conflitto armato intensificatosi negli ultimi mesi. Contrariamente alla promessa del Presidente americano, Barack Obama, secondo cui il dispiegamento di altre 30.000 forze Usa nel Paese avrebbe dovuto «distruggere, smantellare e sconfiggere» i ribelli talebani e i loro alleati di Al-Qaeda nella regione, l'insurrezione è diventata più elastica, più strutturata e mortale.
In termini di insicurezza, il 2010 è stato l'anno peggiore dalla caduta del regime talebano nel 2001. Non solo il numero di incidenti è stato maggiore, ma lo spazio e la profondità della rivolta e le guerriglie connesse non aiutano a contrastare la violenza e hanno, altresì, ingrandito enormemente il pericolo di sicurezza. Fino a 1.200 incidenti per la sicurezza sono stati registrati nel mese di giugno, il più alto numero di incidenti dal 2002.
In mezzo a preoccupazioni diffuse circa la corruzione dilagante e abuso di potere da parte della polizia, la NATO non solo ha continuato ad assumere i mal qualificati agenti, come riferito dai rapporti, ma ha ridotto il periodo di formazione a solo quattro settimane.
La stragrande maggioranza delle forze di polizia è analfabeta e vi è una mancanza di conoscenze adeguate circa i fondamenti della polizia per i diritti civili e umani. Molti agenti di polizia sono tossicodipendenti o hanno famigerati precedenti penali.
La corruzione dominante e l'abuso di autorità da parte della polizia hanno un impatto devastante sugli individui e sulla comunità civile che hanno un disperato bisogno di un senso di sicurezza, di protezione e di regole di diritto; la corruzione e l'abuso delle forze di polizia hanno anche contribuito alla criminalità diffusa, all'impunità penale e al diniego di accesso al popolo alla giustizia e ad altri servizi essenziali.
L'ultima revisione della strategia USA in Afghanistan osserva che le truppe della coalizione stanno facendo vittorie contro i talebani sul campo di battaglia. Ma questo non ha fermato l'afflusso di denaro nelle casse dei talebani.
Le pubblicazioni del sito di Wikileaks rivelano una crescente frustrazione degli Stati Uniti con gli alleati arabi e la loro incapacità di trattare con enti di beneficenza e donatori privati che inviano denaro Pag. 81ai gruppi estremisti talebani. Gli analisti e funzionari affermano che le donazioni per i talebani potrebbero diventare un punto controverso data la loro crescente capacità di generare cassa per conto proprio.
Da un recentissimo rapporto pubblicato da Human Rights Watch emerge che il Governo afghano e i suoi sostenitori internazionali hanno ignorato la necessità di tutelare le donne nei programmi per reintegrare i combattenti ribelli e non hanno garantito che i diritti delle donne saranno inclusi nei colloqui potenziali con i talebani.
Il report affronta, tra l'altro, le sfide potenziali per i diritti delle donne derivanti da accordi di governo futuro con le forze ribelli e descrive come nelle zone sotto controllo talebano le donne siano spesso vittime di minacce, intimidazioni e violenze, e donne leader politici e attiviste sono attaccate e uccise impunemente.
«Le donne afghane non sono tenute a rinunciare ai propri diritti in modo che il governo possa tracciare un accordo con i talebani», ha detto Tom Malinowski, Direttore a Washington di Human Rights Watch. Sarebbe, infatti, un grave tradimento ai progressi compiuti dalle donne e per le donne e ragazze nel corso degli ultimi nove anni.
Nonostante le promesse dei sostenitori internazionali dell'Afghanistan per promuovere i diritti delle donne, Human Rights Watch continua a essere preoccupata che anche loro possano sacrificare i diritti delle donne come parte di una strategia di uscita dall'Afghanistan; un altro dato molto drammatico viene dalla condizione dei bambini in Afghanistan che pagano il prezzo più alto. Infatti, secondo il rapporto del Watchlist on children and armed conflict, un network di organizzazioni umanitarie che si batte contro le violazioni dei diritti dei minori nei paesi colpiti da guerre e conflitti e di cui fa parte Save the children, «l'Afghanistan è di giorno in giorno sempre meno un paese per bambini».
L'Afghanistan è tristemente noto per essere il Paese in cui si registra una delle percentuali più alte di bambini e bambine soldato. Casi documentati dimostrano che i bambini sono anche usati come attentatori suicidi da parte dei talebani. I bambini coinvolti vanno da 13-16 anni di età e, secondo le testimonianze degli attentatori falliti, vengono ingannati con promesse di denaro o altrimenti costretti a diventare kamikaze. Inoltre, molti bambini coinvolti in attacchi di tentato suicidio sono stati pesantemente indottrinati, molte volte in paesi stranieri, e sono necessari ulteriori sforzi per combattere questa pratica. Alcuni rapporti indicano che bambini utilizzati negli ultimi episodi di attentati non erano a conoscenza di quello che portavano.
Altresì c'è forte preoccupazione per la presenza di bambini nell'Afghan National Army (ANA) e nella Polizia nazionale afgana (ANP).
Dalla relazione 2010 del Segretario Generale al Consiglio di Sicurezza emergono casi di bambini in stato di detenzione da parte del governo nazionale, presumibilmente per oneri relativi alla sicurezza, ed è confermato che un certo numero di questi bambini detenuti erano stati attirati con lo scopo di trasportare esplosivi o addestrati a condurre attacchi suicidi-tipo contro la sicurezza nazionale e forze internazionali o funzionari del governo. Due bambini hanno rivelato che erano stati rapiti in Afghanistan e portati in Pakistan dove è avvenuto l'addestramento militare. Diversi casi sono stati confermati di bambini pakistani utilizzati per condurre operazioni militari connesse in Afghanistan.
Centinaia di bambini sono stati arrestati dalla Direzione nazionale della sicurezza e delle forze militari internazionali con accuse relative alla sicurezza nazionale, compreso il loro presunto coinvolgimento o di associazione con i gruppi talebani e altri gruppi armati. L'accesso alle strutture di detenzione continua a essere difficile e le informazioni sui bambini detenuti dalle forze filo- governative restano limitate. L'uso di tecniche di interrogatorio duro e pratiche per costringere a dichiarare confessioni di colpevolezza da parte della polizia nazionale Pag. 82afgana e della Direzione nazionale della sicurezza sono state ampiamente documentate, compreso l'uso di scosse elettriche e percosse.
Lo scorso febbraio 2010, il Rappresentante speciale del Segretario Generale ONU per i bambini coinvolti in conflitti armati, Radhika Coomaraswamy, a conclusione della sua visita di sette giorni in Afghanistan, ha affermato che la protezione dei bambini deve essere al centro dell'agenda di riconciliazione del governo afghano, come sostenuto dalla comunità internazionale.
Il Rappresentante speciale ha dichiarato che i bambini devono essere protetti e di essere pronto a lavorare con l'ISAF e le forze armate governative per lo sviluppo di procedure operative standard che tutelino i bambini durante le operazioni militari, il che significa utilizzare un protocollo per risolvere le problematiche dei bambini associati a gruppi armati, e avviare iniziative atte a portare chiarezza nella delineazione di attività civili e attività militari, in modo che l'assistenza umanitaria e gli operatori umanitari non vengano a trovarsi in pericolo.
L'allora comandante generale NATO Stanley McChrystal aveva assicurato al rappresentante speciale che avrebbe lavorato con le Nazioni Unite per assicurare la migliore protezione dei bambini.
Il clima generale di impunità e il vuoto normativo e la totale mancanza dei diritti ha pregiudicato la denuncia della violenza e abusi sessuali contro i bambini alle autorità e il perseguimento dei colpevoli. Secondo la relazione del luglio 2009 intitolato «Il silenzio è la violenza», redatto da UNAMA e l'Ufficio delle Nazioni Unite e l'Alto Commissario per i diritti umani, questi crimini sono collegati ai rappresentanti del potere locale, come il governo o funzionari eletti, ai comandanti potenti, ai membri dei gruppi armati illegali e alle bande criminali.
Sono aumentati attacchi alle scuole, le chiusure forzate, l'uso delle strutture scolastiche, i combattimenti o esplosioni di ordigni nei pressi di edifici scolastici, attacchi militari mirati e minacce nei confronti di allievi e personale docente.
La vendita e il trasferimento di minori sfruttati poi in attività spesso illegali con il Pakistan o l'Iran è documentata ampiamente e molte sparizioni e rapimenti di bambini in Afghanistan sono collegati al traffico di esseri umani. Talora sono gli stessi familiari, ridotti in povertà, che vendono a reti criminali i propri figli. I minori vengono impiegati come corrieri e spacciatori di droga o di derrate alimentari. Talvolta vengono rapiti dagli stessi sfruttatori e trafficanti, magari nei campi di sfollati interni dove si stima vivano circa 80 mila minori. Nel 2009 sarebbero stati oltre mille i bambini impiegati nel trasporto e trasferimento di farina dall'Afghanistan al Pakistan.
L'Afghanistan è il secondo Paese al mondo per tasso di mortalità infantile, con 257 bambini con meno di 5 anni morti su ogni 1.000 nati vivi e il paese in cui mamme e bambini stanno peggio al mondo, secondo l'indice sullo Stato delle madri di Save the Children. Ancora oggi oltre il 70 per cento dei parti avviene in casa senza alcuna assistenza specializzata. Un dottore segue in media 5.500 pazienti. Molto preoccupante è la diffusione e il consumo di droga, che a volte riguarda l'intera famiglia. Si calcolano in 60 mila i bambini sotto i 15 anni dipendenti da droga. Inadeguata è l'assistenza e la cura dei bambini tossicodipendenti e anche di quelli colpiti da disturbi mentali e psicologici.
Save the Children, la più grande organizzazione internazionale indipendente per la difesa e la promozione dei diritti dei bambini, ha lanciato un chiaro allarme e ha chiesto «... che venga approntato un piano quinquennale per la protezione dei bambini, con degli obiettivi misurabili, come per esempio la riduzione del numero di attacchi alle scuole. Chiede inoltre che sia messo in opera un meccanismo per le vittime che renda facile la denuncia delle violazioni e accessibile l'informazione sul procedimento in corso. Chiede infine la definizione di criteri chiari e validi ovunque Pag. 83per l'assegnazione di sussidi ai familiari delle vittime della guerra e delle violenze. Il successo degli sforzi di portare la pace in Afghanistan risiede nella nostra abilità di proteggere i bambini di questa nazione. È urgente stabilire le giuste priorità per riuscire in questa missione».
È in pieno svolgimento una lotta determinante per le sorti dell'economia afgana e quindi per il destino di milioni di contadini e delle loro famiglie, ovvero per la stragrande maggioranza del popolo di quel Paese: la lotta tra l'oppio talebano e le colture alternative promosse dalla coalizione internazionale, tra le quali spicca per produttività lo zafferano.
Il generale di brigata Josef Blotz, portavoce della Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (ISAF), durante una conferenza stampa a Kabul, ha affermato che i Talebani sono tornati a convincere gli agricoltori della provincia afghana di Herat a coltivare l'oppio e ad abbandonare, di conseguenza, le coltivazioni legali, prima tra tutte, appunto, quella dello zafferano.
Gli insorti, sono stati visti distruggere campi di coltivazioni legali e minacciare gli agricoltori nella provincia occidentale di Herat, dove ha sede il Regional Command West a guida italiana e dove sono dispiegati i militari italiani.
Due camion carichi di bulbi di zafferano sono stati attaccati dai talebani, in un agguato che è costato la vita agli autisti dei mezzi. L'attacco, ultimo di una serie, quindi, secondo la Nato, sembra confermare che i talebani non sono intenzionati a rinunciare agli introiti derivanti dal narcotraffico, che ogni anno porta nelle loro casse circa 500 milioni di dollari. Anche i militari italiani quest'anno sono rimasti coinvolti in uno scontro a fuoco con gli insorti durante un'attività per la consegna nell'Ovest del Paese dei bulbi di zafferano.
La produzione e il traffico di droga sono anche effetti della instabilità politica e trovano ampio spazio in uno stato debole in cui i signori della guerra possono intimidire o corrompere i funzionari delle autorità incaricate o le forze di sicurezza.
Nel breve e anche nel medio termine l'Afghanistan rischia di essere il luogo con il primato nella produzione di droga. Attualmente ha un enorme vantaggio di prezzo rispetto ai suoi rivali più vicini come produttore illecito di oppio in quanto fornisce circa il 90 per cento del mercato mondiale, e ha una quota maggiore anche nel mercato dell'emisfero orientale.
Come il fattore «addestramento», anche quello delle colture alternative è un elemento essenziale nel faticoso cammino dell'Afghanistan verso la costruzione di uno stato democratico e la lotta oppio versus altre coltivazioni va necessariamente vinta, da qui al 2014.
E ancora, i medicinali e i prodotti farmaceutici donati allo scopo di mantenere l'esercito e la polizia afghani spariscono prima di raggiungere ospedali e cliniche militari. È stato rimosso dal suo incarico l'alto ufficiale medico dell'esercito nell'ambito di un'inchiesta per presunta corruzione che dovrà chiarire anche la relazione tra la scomparsa di medicinali del valore di 42 milioni di dollari che gli Stati Uniti hanno donato quest'anno e la morte di molti soldati afghani.
La strategia europea in materia di sicurezza comune adottata dal Consiglio Europeo ha rivendicato un ruolo più incisivo per l'Unione europea nel contesto internazionale. In particolare, si sottolinea la necessità, da parte dell'Unione, di assumersi le proprie responsabilità di fronte ad alcune minacce globali (terrorismo, criminalità organizzata, proliferazione delle armi di distruzione di massa, conflitti regionali).
I leaders della NATO hanno convenuto al vertice di Lisbona nel mese di novembre di porre fine alle operazioni di combattimento e di sicurezza e di lasciare la responsabilità in mano a forze afghane entro la fine del 2014. Obama ha promesso di iniziare a ritirare le truppe USA a partire dal luglio 2011.
La data del 2014 fissata dal presidente Hamid Karzai è stata da più parti criticata in quanto troppo ambiziosa poiché vi sono carenze in Afghanistan e nelle sue forze di Pag. 84sicurezza, e anche perché la fissazione di una data per il ritiro delle truppe rende più forti e temerari gli insorti.
Nella relazione inviata il mese scorso alle Nazioni Unite da parte di Staffan De Mistura, responsabile della missione ONU di assistenza all'Afghanistan, viene riportato che i «prossimi mesi saranno duri e ci sarà un peggioramento delle condizioni di sicurezza.» I talebani «sono ancora là e programmano spettacolari attentati» a macchia di leopardo in tutto il Paese.
Una realtà drammatica, pertanto, in cui i talebani sono sempre più forti, il traffico di droga è aumentato, i signori della guerra si sono arricchiti, diventando sultanati indipendenti, la corruzione regna sovrana, le elezioni sono state inficiate da brogli elettorali di ogni genere, come è stato certificato da organismi internazionali, le donne e i bambini sono sempre in pericolo costante; appare acclarato ormai che la missione di pace, sia essa di keeping o di enforcing, alla quale era stato destinato il nostro contingente ha prodotto un fallimento e va ammesso in ragione del fatto che tale missione ha in maniera evidente cambiato la propria natura nel corso del tempo trasformandosi in presenza militare, ad avviso dei sottoscrittori del presente atto di indirizzo, in violazione dell'articolo 11 della Costituzione; va segnalato, in tal senso, che, per le sole missioni ISAF e EUPOL, il nostro Governo ha stanziato dal 2002 a oggi, oltre 3 miliardi di euro dei quali circa il 90 per cento destinati per armamenti e equipaggiamento e solo il restante per interventi di carattere civile, per interventi di ricostruzione e aiuto alla popolazione.
Non è più pensabile di restare in quel drammatico teatro di guerra solo per coprire errori di strategia altrui che stanno producendo una perdita dolorosa in termini di vite umane, sacrificate per stare in un Paese martoriato da troppi conflitti interni, e un dispendio in termini finanziari considerevole; parimenti non è più pensabile solo rivedere il senso della missione in Afhganistan come già deliberato lo scorso anno nel corso del dibattito sulle mozioni presentate in tale direzione.
Il momento che si accinge a vivere l'Afghanistan è uno dei più difficili e soprattutto pericolosi in assoluto da quasi dieci anni a questa parte.
Sebbene gli altri alleati, a cominciare da Barak Obama, hanno convenuto di voler attuare una revisione della strategia di guerra, l'Italia non ha affatto posto il problema; ciò, malgrado il 20 gennaio 2010 la Camera dei deputati abbia impegnato il Governo, con la mozione 1-00239 (Di Pietro e altri), a contribuire nelle sedi multilaterali all'aggiornamento e alla messa in opera della strategia di intervento per il ristabilimento della pace e della democrazia in Afghanistan, che è stata invece completamente ignorata.
Il principale obiettivo della missioni internazionali che vedono impegnato in prima linea il nostro Paese è la cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione. Si chiede, quindi, di impegnare il Governo: a farsi promotore con gli alleati di un maggiore controllo e monitoraggio sulle conseguenze che la missione in Afghanistan ha sulla popolazione civile; a valutare l'opportunità di individuare misure al fine di agevolare l'azione delle ONG che operano per fini umanitari in Afghanistan e Pakistan; ad avviare un monitoraggio e un controllo più diretto e mirato degli aiuti internazionali inviati a sostegno della popolazione civile afghana al fine di dare un concreto aiuto nel processo di ricostruzione del Paese, di legalità e di trasparenza; ad adottare ogni utile iniziativa per affrontare le molteplici problematiche che i bambini di questi territori sono costretti a subire con tragiche conseguenze; a valutare la reale condizione drammatica delle donne e delle ragazze nei territori dell'Afghanistan e i dati emersi dal rapporto di Human Rights Watch, una delle maggiori organizzazioni non governative internazionali che si occupa della difesa dei diritti umani, e a recepire le richieste di Human Rights Watch e delle donne e ragazze che vivono nei territori martoriati dalla guerra in linea con un mandato teso al mantenimento della sicurezza nell'interesse della ricostruzione e degli sforzi umanitari; a Pag. 85elaborare, a breve termine, un piano di rientro del nostro contingente militare dall'Afghanistan.

CONSIDERAZIONI INTEGRATIVE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO MARGHERITA BONIVER IN SEDE DI INFORMATIVA URGENTE DEL GOVERNO SUGLI SVILUPPI DELLA SITUAZIONE IN ALCUNI PAESI DELL'AREA MEDITERRANEA

MARGHERITA BONIVER. La stessa agenzia europea Frontex - creata pochi anni fa - è palesemente un embrione di quell'azione necessaria per sorvegliare i confini esterni dell'Europa e contrastare, con mezzi aerei e navali, i massicci flussi di immigrati in marcia verso i nostri territori.
C'è da chiedersi se questa volta si sarà capita la lezione anche se dubito che la costruzione europea sia in grado di fronteggiare e risolvere fenomeni del tutto epocali e per di più largamente imprevisti, come i recenti sommovimenti nel Maghreb ci insegnano.
Al di là della gestione di quest'emergenza considero tuttavia questa fase anche una grande opportunità per l'Italia e per i Paesi del sud Europa in generale. Bisogna saper cogliere la grande sfida che è stata consegnata a Piazza Tahrir con una possente richiesta di libertà e democrazia. Queste due parole così semplici sono la base stessa del nostro modo di concepire l'Europa, una libera associazione di cui siamo stati prestigiosi costruttori.
Registrato il sostanziale fallimento di una coerente politica mediterranea a partire dall'agenda di Barcellona, per non parlare di quella ambiziosa (Unione per il Mediterraneo) fino ad oggi sostanzialmente inoperosa, per capire la grandiosità e la complessità di questa sfida, l'Italia deve essere per prima capace di dare una risposta a questo anelito di libertà che appartiene a tutte le nazioni non solo alle piazze che hanno cacciato gli autocrati.
Fermo restando la vivissima preoccupazione che questi sommovimenti possano provocare esiti negativi in termini di politiche contro Israle quindi contro l'Occidente, aprendo di fatto un varco verso quell'estremismo islamista che è un vero e proprio flagello della nostra epoca, dobbiamo per primi, come ha ben fatto il Governo e il Ministro degli Esteri offrire, se richiesta, assistenza non solo economica a questi Governi transitori, che hanno iniziato ancora un incerto cammino verso orizzonti di riforme e di aperture democratiche.
Questa vocazione appartiene al dna della nostra politica estera, sin dall'epoca delle forti iniziative volute da Craxi, Mitterrand, Gonzales, agli inizi degli anni '80.
Iniziative più che mai necessarie oggi, dove attorno al mare nostrum, sul quale si affacciano 24 nazioni, l'Italia deve essere presente, attiva, propositiva e coerente con il suo naturale indirizzo di grande Paese, ineluttabilmente legato alle dinamiche dei popoli amici sulle altre rive del Mediterraneo.

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL SOTTOSEGRETARIO DI STATO PER GLI AFFARI ESTERI ENZO SCOTTI IN SEDE DI PARERE DEL GOVERNO SULLE MOZIONI SUL RITIRO DEL CONTINGENTE ITALIANO IN AFGHANISTAN

ENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. La stabilizzazione e lo sviluppo dell'Afghanistan continuano a rappresentare il principale banco di prova della credibilità della NATO e della comunità internazionale, impegnata sin dal 2002 per combattere il terrorismo e ricostruire il Paese e le sue istituzioni.
La sfida è ardua. Non possiamo nasconderci le difficoltà: è legittimo, anche alla luce dei tragici eventi che hanno colpito il nostro contingente, interrogarsi sulla nostra presenza militare in Afghanistan e cercare risposte che contemperino l'imperativo di aiutare il popolo afghano con la tutela dei nostri interessi nazionali e l'esigenza di minimizzare i rischi per i nostri coraggiosi soldati.
Una risposta che, tuttavia, non può consistere nel ritiro immediato dal Paese. I tragici episodi dei giorni scorsi dimostrano, infatti, che occorre proseguire Pag. 86nello sforzo di stabilizzazione dell'Afghanistan ed accelerare il processo, già avviato, di transizione che consentirà di trasferire all'esercito ed alla polizia afghani le responsabilità di sicurezza del proprio Paese.
Solo un progressivo trasferimento di responsabilità agli afghani, condizionato al conseguimento di risultati concreti, potrà garantire una stabilizzazione duratura del Paese.
Come membri responsabili di un'alleanza non possiamo far venire meno il nostro sostegno ad una linea condivisa e frutto di un'attenta riflessione, così come non possiamo prescindere dalla lealtà alle Nazioni Unite, che hanno dato mandato alla coalizione e, con la missione UNAMA, parlano con una voce unica a Kabul, una voce che ci chiama a perseverare nel nostro impegno.
Un governo legittimo e democraticamente eletto, come mai era successo in secoli di storia afghana, ci chiede di restare. È evidente che senza il multiforme apporto internazionale non potremo garantire progressi stabili e duraturi alla martoriata popolazione afghana.
Il nostro Paese è chiamato a proseguire la sua azione nell'ambito di una missione comune di assoluta priorità. Non solo per i Paesi membri della coalizione, ma anche per tutti gli altri attori che condividono lo stesso interesse strategico di dare stabilità e prosperità ad un'area dove e' in gioco la sicurezza globale.
Voglio ricordare il sacrificio dei nostri soldati caduti proprio nel tentativo di portare pace e sicurezza in Afghanistan e ringraziare quanti contribuiscono quotidianamente e tenacemente alla realizzazione di questi obiettivi.
In Afghanistan, l'accresciuta pressione militare sui talebani sta lentamente portando i suoi frutti e le «bolle di sicurezza», create dalle forze alleate in partenariato con le forze afghane intorno alle roccaforti, anche quelle più radicali dell'insorgenza, si stanno espandendo. I progressi sono tuttavia fragili e, per questo, ci viene richiesto uno sforzo supplementare.
Il Vertice di Lisbona della NATO ha indicato la strada da percorrere, fissando i principi-chiave della transizione intesa come processo, graduale ma irreversibile, di assunzione di responsabilità da parte afghana nel campo della sicurezza, che interesserà progressivamente le varie aree del Paese. Si tratterà di un processo calibrato sulle condizioni sul terreno e dunque non vincolato a scadenze temporali prefissate, che ne pregiudicherebbero la necessaria flessibilità. Un processo che dovrà essere accompagnato da progressi anche sul piano della governance e dello sviluppo.
Abbiamo condiviso la prospettiva di un avvio della transizione nella prima parte del 2011, con la provincia di Herat che potrebbe verosimilmente figurare nel gruppo di testa. L'obiettivo è che entro il 2014 le istituzioni afghane siano in grado di gestire autonomamente la sicurezza del Paese, pur con la necessaria assistenza internazionale in funzione di sostegno e non di sostituzione.
L'Italia si sta impegnando affinché le condizioni per consentire questo processo si realizzino. Gli strumenti individuati sono: l'incremento degli addestratori militari, chiamati a formare le truppe dell'Esercito afghano, che già ora vanno assumendo la responsabilità principale nelle operazioni di sicurezza, con le truppe dell'ISAF in posizione di supporto; nuove iniziative di sostegno istituzionale e sviluppo; l'allineamento alle priorità afghane; il supporto al settore privato; l'attenzione alle tematiche trasversali quali la giustizia e i diritti umani.
La necessità di un processo politico che integri e completi il percorso di transizione e le necessarie operazioni militari è ormai unanimemente riconosciuta. Un processo politico che deve essere a guida afghana e deve assicurare trasparenza e sostenibilità, per consentire il recupero alla vita civile di quegli insorgenti disposti a rinunciare alla violenza ed al terrorismo e ad accettare i principi di legalità sanciti dalla Costituzione afghana.
L'Italia ha ben presente la centralità della dimensione politica e sta portando avanti un'intensa attività diplomatica, in Pag. 87tutte le occasioni di incontro internazionale dedicate all'Afghanistan, per favorire un approccio regionale alla questione afghana e per incrementare il profilo civile dell'assistenza internazionale al Paese. La riunione dei Rappresentanti Speciali per Afghanistan e Pakistan svoltasi a Roma il 18 ottobre scorso - che ha visto la partecipazione dei principali attori della regione incluso l'Iran - si inserisce in questa prospettiva.
Voglio poi ricordare un aspetto essenziale del nostro impegno in Afghanistan che non sempre ottiene l'attenzione che merita. Si tratta dell'azione civile e di cooperazione allo sviluppo, che riteniamo indispensabile per la crescita sostenibile e autonoma del Paese e per far uscire la popolazione afghana dalle condizioni di estrema povertà in cui versa.
Riteniamo che il successo della transizione dipenda non solamente da soddisfacenti condizioni di sicurezza: il benessere economico e sociale della popolazione afghana rappresenta un elemento indispensabile per contrastare il terrorismo, la radicalizzazione religiosa, le tensioni interetniche. È in linea con queste premesse che intendiamo intensificare l'azione civile, sempre più strategica per la stabilizzazione del Paese.
Con tali forti motivazioni, l'Italia è impegnata in prima linea in Afghanistan a favorire lo sviluppo socio-economico ed il rafforzamento delle istituzioni di governo del Paese, con un impegno finanziario, in media, di 50 milioni di euro all'anno. Nel periodo 2001-2010, sono state approvate iniziative per 518 milioni di euro e sono stati erogati finanziamenti pari a 442 milioni di euro, di cui oltre 79 per iniziative umanitarie di emergenza.
I settori prioritari della nostra azione civile sono la governance, a livello nazionale e locale, lo sviluppo rurale (con una forte componente di micro finanza), il sostegno alle fasce vulnerabili (sanità), e le infrastrutture stradali, con attenzione principale nella Regione occidentale.
Tra le iniziative di maggior rilievo recentemente approvate desidero ricordare le seguenti: il contributo di 4 milioni di euro al Programma afghano di Pace e Reintegrazione (Afghanistan Peace and Reintegration Programme) gestito dall'UNDP, per il recupero dei combattenti talebani che accettino di rinunciare alla violenza e al terrorismo e di rispettare la Costituzione e le leggi afghane; l'apporto di 4 milioni di euro al Fondo Fiduciario afghano di Ricostruzione (Afghanistan Reconstruction Trust Fund), che porta a 68 milioni di euro il finanziamento complessivamente erogato dall'Italia a favore del Fondo dal 2002 ad oggi (si tratta di una forma di aiuto al Bilancio afghano, con il coordinamento dalla Banca Mondiale); i nuovi fondi da destinare a programmi di sviluppo agricolo e rurale, per un importo totale di 6,2 milioni di euro, nella Regione Ovest in conformità con le priorità nazionali; un'iniziativa per la realizzazione di strade rurali nella Provincia di Herat per 7 milioni di euro; un progetto bilaterale di sostegno ai programmi sanitari governativi a Kabul ed Herat per 5 milioni di euro.
A partire dal 2008, l'impegno della Cooperazione Italiana si è concentrato nella Regione Ovest del Paese (nella località di Herat, Farah, Baghdis, Ghor), in particolare ad Herat dove ha sede il Team di Ricostruzione Provinciale a guida italiana (Provincial Reconstruction Team - PRT). In tale area, la priorità viene data al miglioramento della governance locale - per consentire un'adeguata erogazione dei servizi alla popolazione e un più efficace governo del territorio - all'assistenza sanitaria e ai gruppi vulnerabili e al finanziamento di programmi nazionali afghani in ambito agricolo e rurale. Nella città di Herat, le iniziative di maggior rilievo sono l'assistenza all'Ospedale Regionale e all'Ospedale Pediatrico, realizzate dalla Cooperazione italiana in sinergia con il nostro Team di Ricostruzione.
Sono attualmente in corso nella regione occidentale iniziative per un totale di circa 64 milioni di euro, mentre altri interventi sono allo studio nell'ottica complessiva di sostegno italiano alla strategia di transizione.
Per quanto riguarda un altro settore qualificante del nostro impegno in Afghanistan, vale a dire la giustizia e lo stato di Pag. 88diritto, abbiamo reso possibile la creazione di una Scuola di Magistratura; la stesura di un codice di procedura penale; la realizzazione di moderne strutture detentive. Abbiamo inoltre promosso iniziative nel settore della giustizia minorile, del rafforzamento del patrocinio gratuito, senza dimenticare l'assistenza prestata alle autorità afghane nella redazione del piano nazionale per la giustizia (National Justice Programme) ed il sostegno assicurato all'Ordine Forense afghano ed alle donne magistrato.
L'Italia assicura altresì particolare rilevanza all'approccio di genere, sia finanziando interventi diretti alla promozione dei diritti e del ruolo sociale e politico della donna, sia inserendo questa componente all'interno dei propri progetti di sviluppo (salute materno-infantile, imprenditorialità femminile, sostegno alle donne parlamentari eccetera). Si può stimare che circa la metà dei fondi stanziati per Herat abbiano la popolazione femminile come beneficiaria diretta o indiretta.
La nostra azione include una forte componente di sostegno alla società civile, al settore privato ed alla tutela del patrimonio culturale afghano, settori che riteniamo prioritari in una strategia di sviluppo che sia bilanciata e di lungo periodo. Continueremo quindi a promuovere occasioni e progetti di dialogo interculturale, tutela dei diritti umani e scambio di esperienze e conoscenze - come nel caso delle collaborazioni sempre più frequenti tra Università italiane e Atenei afghani.
Allo stesso modo, sono in programma ulteriori iniziative di incontro e collaborazione tra aziende italiane, soprattutto nei settori del marmo e dell'agro-industria, e aziende afghane. Abbiamo iniziato due anni fa concentrandoci su Herat e, visto che i risultati sono stati incoraggianti ben al di là delle aspettative, contiamo di proseguire in questo cammino che vuole creare basi autonome per lo sviluppo del Paese.
Stiamo inoltre intensificando il nostro impegno a sostegno dei media afghani, anche con occasioni di scambio ed incontro in Italia, che riteniamo possano svolgere un cruciale ruolo quali vettori di messaggi di moderazione e agenti di democratizzazione.
Possiamo essere fieri di quanto fatto finora perché i risultati della nostra azione, anche in campo civile, ci sono stati riconosciuti dagli amici afghani, dalle Nazioni Unite e dai nostri principali partner internazionali. Siamo inoltre citati ad esempio perché, prima e più di altri, abbiamo compreso l'importanza del rispetto dell'ownership afghana. Infatti, il nostro impegno è concentrato in quei settori considerati prioritari nel quadro della Strategia Afghana di Sviluppo Nazionale (Afghan National Development Strategy - ANDS).
In conclusione, alla luce di queste considerazioni, non possiamo neppure prendere in considerazione l'ipotesi di un ritiro immediato - che ci metterebbe nell'impossibilità di continuare ad aiutare la popolazione civile, soprattutto le persone più vulnerabili, donne, sfollati, indigenti, che ci siamo impegnati ad assistere - e che non lascerebbe dietro di sé strutture di governo in grado di tutelarle e di promuoverne lo sviluppo. Dobbiamo invece cercare, coordinandoci con i nostri partner, di completare la missione nel più breve tempo possibile compatibilmente con l'avanzare del processo di transizione.
Il 2010 è stato l'anno più difficile per la coalizione, ma il processo afghano ha fatto registrare taluni risultati apprezzabili, che non dobbiamo dimenticare e che ci devono incoraggiare a guardare avanti. La prospettiva di transizione, lo spostamento dell'enfasi sullo sforzo civile, l'attenzione crescente per la governance locale, il miglioramento del coordinamento tra donatori hanno creato le giuste premesse per l'imbocco di un trend che riteniamo essere positivo e che necessita del perdurante impegno dei membri responsabili della comunità internazionale.

VOTAZIONI QUALIFICATE
EFFETTUATE MEDIANTE PROCEDIMENTO ELETTRONICO

INDICE ELENCO N. 1 DI 1 (VOTAZIONI DAL N. 1 AL N. 8)
Votazione O G G E T T O Risultato Esito
Num Tipo Pres Vot Ast Magg Fav Contr Miss
1 Nom. Inserimento articolo 27 all'odg 525 490 35 366 490 41 Appr.
2 Nom. Ddl 3882 - voto finale 524 426 98 214 425 1 40 Appr.
3 Nom. Moz.Di Stanislao e a n.1-530 nf I 524 340 184 171 23 317 34 Resp.
4 Nom. Moz.Di Stanislao e a n.1-530 nf II 526 522 4 262 23 499 34 Resp.
5 Nom. Moz. Cicu e a n. 1-561 527 339 188 170 317 22 33 Appr.
6 Nom. Moz. Tempestini e a n. 1-562 rif. 529 335 194 168 314 21 33 Appr.
7 Nom. Moz. Porfidia e a n. 1-563 rif. 530 340 190 171 318 22 33 Appr.
8 Nom. Moz. Vernetti e a n. 1-564 527 345 182 173 323 22 33 Appr.

F = Voto favorevole (in votazione palese). - C = Voto contrario (in votazione palese). - V = Partecipazione al voto (in votazione segreta). - A = Astensione. - M= Deputato in missione. - T = Presidente di turno. - P = Partecipazione a votazione in cui è mancato il numero legale. - X = Non in carica.
Le votazioni annullate sono riportate senza alcun simbolo. Ogni singolo elenco contiene fino a 13 votazioni. Agli elenchi è premesso un indice che riporta il numero, il tipo, l'oggetto, il risultato e l'esito di ogni singola votazione.