XVI LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di martedì 1 marzo 2011

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 1o marzo 2011.

Albonetti, Angelino Alfano, Berlusconi, Bindi, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brandolini, Brugger, Brunetta, Caparini, Carfagna, Casero, Castagnetti, Cicchitto, Cirielli, Colucci, Gianfranco Conte, Cossiga, Crimi, Crosetto, D'Alema, Dal Lago, Donadi, Fava, Fitto, Franceschini, Frattini, Gelmini, Alberto Giorgetti, Giro, Jannone, La Russa, Leone, Lo Monte, Lupi, Mantovano, Maroni, Martini, Melchiorre, Meloni, Miccichè, Migliavacca, Leoluca Orlando, Arturo Mario Luigi Parisi, Prestigiacomo, Ravetto, Reguzzoni, Roccella, Romani, Rotondi, Paolo Russo, Saglia, Sardelli, Stefani, Tabacci, Tremonti, Vernetti, Volontè, Vito.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta)

Albonetti, Angelino Alfano, Berlusconi, Bindi, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brandolini, Brugger, Brunetta, Caparini, Carfagna, Casero, Castagnetti, Cicchitto, Cirielli, Colucci, Gianfranco Conte, Cossiga, Crimi, Crosetto, D'Alema, Dal Lago, Donadi, Fava, Fitto, Franceschini, Frattini, Gelmini, Alberto Giorgetti, Giro, Jannone, La Russa, Leone, Lo Monte, Lupi, Mantovano, Maroni, Martini, Melchiorre, Meloni, Miccichè, Migliavacca, Leoluca Orlando, Arturo Mario Luigi Parisi, Prestigiacomo, Ravetto, Reguzzoni, Roccella, Romani, Rotondi, Paolo Russo, Saglia, Sardelli, Stefani, Tabacci, Tremonti, Vernetti, Vito, Volontè.

Annunzio di una proposta di legge.

In data 28 febbraio 2011 è stata presentata alla Presidenza la seguente proposta di legge d'iniziativa del deputato:
GALATI: «Istituzione del marchio di "olio extravergine di oliva-alta qualità" per il contrasto delle frodi attuate mediante la miscelazione con oli deodorati» (4122).

Sarà stampata e distribuita.

Adesione di un deputato a una proposta di legge.

La proposta di legge costituzionale CALDERISI ed altri: «Modifiche alla parte seconda della Costituzione per assicurare governabilità al Paese» (4051) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Marinello.

Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.

A norma del comma 1 dell'articolo 72 del regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:

I Commissione (Affari costituzionali):
PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE GOZI ed altri: «Modifica degli articoli 56 e 58 della Costituzione, in materia di elettorato attivo e passivo per l'elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica» (4023).

II Commissione (Giustizia):
GNECCHI ed altri: «Modifiche al codice di procedura penale e alla legge 18 dicembre 1997, n. 440, per la prevenzione e il contrasto della violenza sulle donne e sui minori» (4037) Parere delle Commissioni I, V, VII (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento), XI, XII (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento) e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

V Commissione (Bilancio):
STRADELLA ed altri: «Interventi per la valorizzazione e la tutela dei comuni siti nelle zone montane degli Appennini» (4072) Parere delle Commissioni I, VIII, X, XIII (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento), XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e II (Giustizia):
GARAGNANI: «Modifiche alla legge 13 aprile 1988, n. 117, in materia di responsabilità civile dei magistrati, disposizioni in materia di ineleggibilità e di incompatibilità dei medesimi, nonché delega al Governo per la separazione delle carriere della magistratura ordinaria giudicante e requirente» (4069) Parere delle Commissioni V e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Trasmissione dalla Corte dei conti.

La Corte dei conti - sezione del controllo sugli enti - con lettera in data 28 febbraio 2011, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relativa relazione riferita al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'Ente nazionale di previdenza ed assistenza della professione infermieristica (ENPAPI), per gli esercizi 2008 e 2009. Alla determinazione sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (doc. XV, n. 285).
Questo documento - che sarà stampato - è trasmesso alla V Commissione (Bilancio) e alla XI Commissione (Lavoro).

Trasmissione dal ministro del lavoro e delle politiche sociali.

Il ministro del lavoro e delle politiche sociali, con lettera in data 28 febbraio 2011, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 66, comma 3, della legge 17 maggio 1999, n. 144, la relazione sulla formazione continua in Italia, relativa all'anno 2010 (doc. XLII, n. 3).

Questo documento - che sarà stampato - è trasmesso alla XI Commissione (Lavoro).

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

La Commissione europea, in data 28 febbraio 2011, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del regolamento, alle sottoindicate Commissioni, con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Riesame dello «Small Business Act» per l'Europa (COM(2011)78 definitivo), che è assegnata in sede primaria alla X Commissione (Attività produttive);
Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sull'attuazione e l'applicazione di determinate disposizioni della direttiva 2008/94/CE relativa alla tutela dei lavoratori subordinati in caso d'insolvenza del datore di lavoro (COM(2011)84 definitivo), che è assegnata in sede primaria alla XI Commissione (Lavoro).

Annunzio della trasmissione di atti alla Corte costituzionale.

Nel mese di febbraio 2011 sono pervenute ordinanze emesse da autorità giurisdizionali per la trasmissione alla Corte costituzionale di atti relativi a giudizi di legittimità costituzionale.

Questi documenti sono trasmessi alla Commissione competente.

Annunzio di provvedimenti concernenti amministrazioni locali.

Il Ministero dell'interno, con lettere in data 25 febbraio 2011, ha dato comunicazione, ai sensi dell'articolo 141, comma 6, del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, dei decreti del Presidente della Repubblica di scioglimento dei consigli comunali di Pontremoli (Massa Carrara), Pisticci (Matera), Grottole (Matera), Casoria (Napoli), Quarto (Napoli), Corbetta (Milano), Torri in Sabina (Rieti), Bellano (Lecco), Grandola ed Uniti (Como), Agnone (Isernia), San Giovanni in Fiore (Cosenza), Anghiari (Arezzo), Castel del Rio (Bologna), Sgurgola (Frosinone), Borbona (Rieti) e Bovolone (Verona).
Questa documentazione è depositata presso il Servizio per i Testi normativi a disposizione degli onorevoli deputati.

Trasmissione dal consiglio regionale dell'Emilia-Romagna.

Il presidente del consiglio regionale dell'Emilia-Romagna, con lettera in data 23 febbraio 2011, ha trasmesso il testo di un voto concernente osservazioni sulla proposta di raccomandazione del consiglio sulle politiche di riduzione dell'abbandono scolastico (COM(2011)19 definitivo).

Questa documentazione è trasmessa alla VII Commissione (Cultura) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

Comunicazione di nomine ministeriali.

La Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettere in data 28 febbraio 2011, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 19, comma 9, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, le seguenti comunicazioni concernenti il conferimento, ai sensi dei commi 4 e 10 del medesimo articolo 19, di incarichi di livello dirigenziale generale, che sono trasmesse alla I Commissione (Affari costituzionali), nonché alle Commissioni sottoindicate:

le comunicazioni concernenti i seguenti incarichi nell'ambito della Presidenza del Consiglio dei ministri:
al dottor Giuseppe Di Donato, l'incarico di consulenza, studio e ricerca, nell'ambito del dipartimento per gli affari regionali;
all'avvocato Patrizia De Rose, l'incarico di coordinatore dell'ufficio II - Procedimento legislativo, nell'ambito del dipartimento per i rapporti con il Parlamento;
al dottor Antonio Sabbatella, l'incarico di coordinatore dell'ufficio III - Sindacato ispettivo e controllo parlamentare, nell'ambito del dipartimento per i rapporti con il Parlamento;
al dottor Donato Leonardo, l'incarico di coordinatore dell'ufficio della comunicazione, valutazione e delle relazioni internazionali, nell'ambito della scuola superiore della pubblica amministrazione;
alla dottoressa Carla Chiara Santarsiero, l'incarico di coordinatore dell'ufficio della formazione, studi e ricerca, nell'ambito della scuola superiore della pubblica amministrazione;

alla XI Commissione (Lavoro) la comunicazione concernente il seguente incarico nell'ambito del Ministero del lavoro e delle politiche sociali:
alla dottoressa Grazia Strano, l'incarico ad interim di direttore della direzione generale dell'innovazione tecnologica;

alla XII Commissione (Affari sociali) la comunicazione concernente il seguente incarico nell'ambito del Ministero della salute:
al dottor Silvio Borrello, l'incarico di direttore della direzione generale della sicurezza degli alimenti e della nutrizione, nell'ambito del dipartimento per la sanità pubblica veterinaria, la nutrizione e la sicurezza degli alimenti.

Atti di controllo e di indirizzo.

Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell'Allegato B al resoconto della seduta odierna.

COMUNICAZIONI DEL GOVERNO AI SENSI DELL'ARTICOLO 2, COMMA 4, SECONDO PERIODO, DELLA LEGGE N. 42 DEL 2009, IN RELAZIONE ALLO SCHEMA DI DECRETO LEGISLATIVO IN MATERIA DI FEDERALISMO FISCALE MUNICIPALE

Risoluzioni

La Camera,
udite le comunicazioni del Governo;
preso atto che:
l'unità e l'indivisibilità della Repubblica costituiscono valori e principi fondamentali: tale idea di unità nazionale come «inseparabile» risulta peraltro connessa ad una articolazione statuale pluralistica e autonomistica, disegnata dal Costituente del 1948 e rafforzata, in tale aspetto, dal legislatore costituzionale del 2001 con la riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione;
sin dall'approvazione della riforma costituzionale del 2001, non è mai mancata la consapevolezza della necessità di
accompagnare l'evoluzione della forma dello Stato (e dell'architettura del sistema amministrativo) con una parallela e coerente riforma della finanza regionale e locale, ispirata ai principi del cosiddetto federalismo fiscale: responsabilità finanziaria degli enti territoriali, autonomia nella provvista delle risorse, loro sufficienza rispetto al compiti attribuiti, autonomia e responsabilità di spesa, perequazione e solidarietà;
l'ineludibilità dell'attuazione del federalismo fiscale è diventata oggi evidente sia sotto il profilo giuridico che, soprattutto, sotto quello politico ed economico. Al centro di questo processo vi è, infatti, il rapporto fiscale tra i cittadini, lo Stato, le Regioni e il sistema delle autonomie, nell'ambito del complessivo processo di decentramento della sovranità: dal centro alla periferia. La devoluzione di poteri, infatti, o è anche fiscale o non la si può considerare foriera di alcuna reale portata innovativa;
i criteri di convergenza economico-finanziaria e di coesione sociale che l'Unione europea impone al nostro Paese disegnano la cornice dentro cui lo Stato democratico e repubblicano dovrebbe chiamare il sistema delle Regioni e delle autonomie locali a declinare responsabilità fiscale e autonomia di spesa. L'equilibrio complessivo della finanza pubblica e il suo controllo dinamico sono le condizioni entro cui le classi politiche, espressione del dinamismo dei territori, potranno far valere i propri talenti e le proprie vocazioni. Completare, dunque, il disegno di un sistema ordinato di rapporti finanziari tra i livelli di governo richiede che siano conciliati almeno tre principi garantiti dalla Costituzione repubblicana, come riformata nel 2001:
(1) l'autonomia finanziaria di entrata e di spesa delle Regioni e degli enti locali, con propria responsabilità contabile;
(2) la perequazione necessaria per l'uniformità nei livelli essenziali delle prestazioni, che richiede importanti trasferimenti perequativi;
(3) la sostenibilità della condizione complessiva dei conti pubblici;
anche per questo, parte essenziale del procedimento attuativo del cosiddetto «federalismo fiscale» non può che dipanarsi nella fase consultiva parlamentare. Non solo per rispondere ad una prescrizione di carattere normativo, ma piuttosto per legittimare costituzionalmente un mutamento dell'assetto statuale di carattere istituzionale, fiscale e tributario, messo in atto dalla legge n. 42 del 2009. In altri termini, attuare una riforma di così notevole rilievo al di fuori del Parlamento nazionale, avrebbe inficiato inevitabilmente il suo percorso e, segnatamente, la sua legittimità formale oltre che sostanziale;
il cosiddetto federalismo fiscale modella la forma e la struttura dello Stato. Incide, pertanto, sull'intimo equilibrio costituzionale, in riferimento alla distribuzione concreta dei poteri (legislativi ed amministrativi), ma soprattutto sul godimento dei diritti civili e sociali, proclamati solennemente dalla nostra Carta costituzionale, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali e - per quanto in questa sede rileva - senza distinzione di luogo di residenza. L'esplicito legame tra i livelli prestazionali ed i diritti civili e sociali rappresenta un «ponte» di collegamento tra la prima e la seconda parte della Costituzione;
proprio per questo il Parlamento repubblicano non può, in alcun modo, essere estromesso dal processo decisionale, ovvero neutralizzato da tale processo;
sin dal percorso parlamentare che ha portato all'approvazione della legge n. 42 del 2009, il gruppo dell'Italia dei Valori ha mantenuto sempre una posizione costruttiva e di dialogo, apportando il suo contributo al miglioramento dei testi, senza per questo rinunciare a vigilare sulla garanzia dei valori costituzionali di autonomia, solidarietà, efficienza, responsabilità e trasparenza. Ci si è mossi, cioè, nella piena consapevolezza della necessità di dare attuazione alla riforma costituzionale del 2001 e della grande opportunità che tale attuazione costituisce, laddove determina il passaggio dalla spesa storica ai costi standard e dove valorizza il binomio autonomia-responsabilità, al fine di mettere in moto un processo virtuoso che porti ad una maggiore efficacia ed efficienza dell'amministrazione pubblica nel suo complesso;
contestualmente vi è stata la consapevolezza dei rischi che un'attuazione distorta e strumentale può provocare per l'unità del Paese e per i diritti sociali ed economici dei cittadini, in presenza di un quadro istituzionale ancora indefinito riguardo alla distribuzione delle funzioni tra i livelli di governo e, in conseguenza, di grandezze finanziarie non ancora quantificate né quantificabili;
in particolare, nell'ambito del procedimento attuativo della legge delega n. 42 del 2009, risultano sinora emanati tre decreti legislativi: in materia di federalismo demaniale, di Roma capitale e di determinazione dei fabbisogni standard. Una loro analisi - seppur scarna - dimostra come il percorso federalista risulti, sinora, assai deludente: volto, cioè, più che a esplicare normativamente le preziose indicazioni delle legge delega, a issare «bandiere» di carattere meramente propagandistico, senza portata realmente modificativa a vantaggio dei cittadini, degli elettori e dei contribuenti;
nell'ambito del primo decreto legislativo adottato (decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85 - Attribuzione a comuni, province, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio, in attuazione dell'articolo 19 della legge 5 maggio 2009, n. 42), dopo una integrale riscrittura del provvedimento in seno alla Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, anche a seguito dell'accoglimento di rilevantissime proposte emendative presentate dal gruppo ed accolte, Italia dei Valori stessa ha espresso voto favorevole, nella ferma convinzione che la responsabilizzazione della gestione locale del Paese debba passare - inevitabilmente - anche per il trasferimento di una dotazione patrimoniale per le amministrazioni locali, peraltro già sancita all'articolo 119 della Costituzione;
sul secondo decreto legislativo adottato (decreto legislativo 17 settembre 2010, n. 156 - Disposizioni in materia di ordinamento transitorio di Roma Capitale) si è registrata, viceversa, la sostanziale abdicazione - da parte del Governo - nel voler rispettare la delega assegnatagli. È infatti emersa, nella stesura del provvedimento, l'esclusiva preoccupazione di regolamentare lo status giuridico ed economico dei membri elettivi e di governo dell'ente (compresa la disciplina dei compensi e quella dei permessi retribuiti), eludendo, e rinviandole ad una più puntuale regolamentazione, le funzioni di Roma Capitale, costituzionalmente necessarie. Soltanto queste ultime sono infatti volte a rispondere ai reali e concreti bisogni ed esigenze di efficienza amministrativa e gestionale dell'ente. Si è dimostrata, in tutta evidenza, la fissazione di una priorità «castale»: si è anteposta, cioè, la questione dello status degli amministratori alla possibilità di fornire reali strumenti di controllo e di gestione riferiti ad un territorio caratterizzato da peculiari problematiche di primario rilievo;
il medesimo atteggiamento è stato assunto dal Governo in occasione dell'emanazione del terzo decreto legislativo (decreto legislativo 26 novembre 2010, n. 216 - Disposizioni in materia di determinazione dei fabbisogni standard di Comuni, Città Metropolitane e Province). La definizione dei fabbisogni standard costituisce, in vero, l'architrave su cui dovrebbe poggiare l'intero impianto del cosiddetto «federalismo fiscale». Dalla loro esatta determinazione deriverà e dipenderà - direttamente - la concreta salvaguardia dei diritti civili e sociali che danno corpo alla cittadinanza repubblicana, come sanciti nella parte prima della Costituzione. Tale provvedimento, viceversa, fortemente contrastato dal gruppo Italia dei Valori, contiene rilevantissimi vulnus di carattere costituzionale, normativo e finanziario. La marginalizzazione del ruolo del Parlamento nel procedimento di determinazione (e non meramente di controllo) dei fabbisogni standard, l'inidoneità formale e sostanziale della fonte «sub normativa» per la loro adozione (un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in luogo di un imprescindibile decreto legislativo), la parziale elusione della ratio delegationis rispetto alla legge n. 42 del 2009, oltreché la non quantificazione dei relativi oneri finanziari sono solo alcuni aspetti di criticità citati nelle proposte di parere alternativo presentate in data 25 gennaio 2011 e in data 1o febbraio 2011 in seno alla Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale;
a prescindere, tuttavia, da dette valutazioni di merito, su tali decreti legislativi la Commissione Parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale ha opportunamente esercitato il suo potere consultivo, al quale il Governo si è sostanzialmente attenuto, in sede di emanazione di detti decreti legislativi;
in riferimento allo schema di decreto legislativo in materia di fisco municipale, in data 3 febbraio 2011, la Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale ha respinto la proposta di parere favorevole condizionato, formulata dal relatore e volta a recepire le ipotesi modificative formulate dal Governo;
sebbene tale parere consultivo, al di là delle opportune valutazioni di carattere procedurale, assuma - come detto - una rilevanza assolutamente primaria nell'ambito della fase attuativa della legge delega n. 42 del 2009, il Governo, convocando un Consiglio dei ministri in via straordinaria, ha approvato nella medesima data, in via definitiva, un decreto legislativo identico al testo respinto dalla Commissione parlamentare bicamerale;
in data 4 febbraio 2011, il Presidente della Repubblica, in relazione all'emanazione ai sensi dell'articolo 87 della Costituzione del testo del decreto legislativo, ha rilevato che «non sussistono le condizioni per procedere alla richiesta emanazione, non essendosi con tutta evidenza perfezionato il procedimento per l'esercizio della delega previsto dall'articolo 2, commi 3 e 4, della legge n. 42 del 2009», che sanciscono l'obbligo di rendere comunicazioni alle Camere prima di una possibile approvazione definitiva del decreto in difformità dagli orientamenti parlamentari. Pertanto, il Capo dello Stato ha comunicato al Presidente del Consiglio di «non poter ricevere, a garanzia della legittimità di un provvedimento di così grande rilevanza, il decreto approvato ieri dal Governo». Il Presidente della Repubblica ha inoltre rilevato che «il testo è diverso da quello originariamente approvato dal Governo e trasmesso alla Conferenza unificata e alle Camere ai sensi e per gli effetti delle disposizioni richiamate ed è identico alla proposta di parere favorevole condizionato formulata dal Presidente della Commissione bicamerale: proposta che è stata respinta dalla stessa Commissione, ai sensi delle norme stabilite dai Regolamenti parlamentari allorché su di una proposta si registri parità di voti e dello stesso articolo 7, comma 1, del Regolamento interno della Commissione bicamerale. Né tale pronunciamento può evidentemente assimilarsi ad una mancanza di parere. Su quel testo la Commissione bilancio della Camera ha successivamente deliberato all'unanimità di non esprimersi proprio perché lo ha considerato »superato« per gli stessi motivi. Infine il Governo deve ottemperare all'obbligo previsto dall'ultimo periodo del comma 4 dell'articolo 2 della legge delega di esporre sia alle Camere sia alla Conferenza unificata le ragioni per le quali ha ritenuto di procedere in difformità dai suindicati orientamenti parlamentari e senza aver conseguito l'intesa nella stessa Conferenza, come risulta dal verbale in data 28 ottobre 2010»;
il Capo dello Stato ha inoltre rilevato che «non giova ad un corretto svolgimento dei rapporti istituzionali la convocazione straordinaria di una riunione del Governo senza la fissazione dell'ordine del giorno e senza averne preventivamente informato il Presidente della Repubblica; tanto meno consultandolo sull'intendimento di procedere all'approvazione definitiva del decreto legislativo»;
il Presidente della Repubblica ha infine richiamato «l'attenzione del Governo sulla necessità di un pieno coinvolgimento del Parlamento, delle Regioni e degli Enti locali nel complesso procedimento di attuazione del federalismo fiscale. La rilevanza e delicatezza delle conseguenze che ne deriveranno sull'impiego delle risorse pubbliche e in particolare sull'assetto definitivo del sistema delle autonomie delineato dal nuovo titolo V della Costituzione suggerisce infatti un clima di larga condivisione, così come si è del resto verificato in occasione della approvazione della legge n. 42 del 2009 e della emanazione dei tre precedenti decreti delegati. E di ciò ho avuto modo di dare più volte pubblicamente atto, ritenendolo il metodo più corretto ed utile per l'attuazione di una così importante riforma costituzionale. Se in questo caso non c'è stata condivisione sul piano sostanziale, più che opportuno resta evitare una rottura anche sul piano procedimentale, per violazione di puntuali disposizioni della legge»;
esaminato, quindi, il testo, con modificazioni, dello schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale e le relative osservazioni del Governo ai sensi dell'articolo 2, comma 4, della legge n. 42 del 2009, trasmesso al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei deputati in data 15 febbraio 2011;
trattandosi di fisco municipale va preliminarmente sottolineato che la situazione economico-finanziaria degli enti locali si attesta attualmente su un profilo di estrema criticità, derivante anche dai rigidi vincoli del patto di stabilità interno nonché, soprattutto, dalle ingentissime decurtazioni dei trasferimenti erariali messi recentemente in atto da numerosi provvedimenti di carattere normativo, tali da incidere pesantemente l'erogazione di servizi essenziali per i cittadini;
nel corso dell'esame del provvedimento in Commissione bicamerale, anche attraverso la presentazione di un articolato parere alternativo, il gruppo Italia dei Valori ha analiticamente evidenziato le criticità di ordine costituzionale e normativo, sia dello schema di decreto originario, che delle proposte modificative susseguitesi. Si sono dimostrate le criticità ed i vuoti del provvedimento, nonostante le diverse modificazioni intervenute. Si è dimostrato, in altri termini, come i principi condivisi dal gruppo Italia dei Valori, in occasione dell'approvazione della legge delega n. 42, si siano di fatto dissolti sotto il profilo formale e sostanziale;
segnatamente, la sconfessione della legge n. 42 - su cui il gruppo Italia dei Valori ha convintamente votato a favore - si attesta, principalmente e sinteticamente, su tre rilevantissimi profili:
(a) la negazione del principio della maggiore responsabilizzazione economico-gestionale degli amministratori locali: l'autonomia tributaria riservata ai comuni per tassare i non residenti, oltreché la tassa di soggiorno, contrastano il liberale principio del no taxation without representation; nuove imposte, cioè, su soggetti che non potranno valutare democraticamente i propri amministratori;
(b) lo schema del decreto del Governo è fortemente intrecciato alla definizione dei fabbisogni standard: questione tuttora segnata da incertezza totale. Il germe dell'indeterminatezza che già infettava il precedente decreto legislativo sui fabbisogni standard si traspone, inevitabilmente e in tutta evidenza anche nel presente provvedimento;
(c) la grande questione economico-tributaria. Dal punto di vista complessivo, il testo dello schema del decreto legislativo sul federalismo municipale potrebbe potenzialmente determinare un aumento assai significativo del prelievo fiscale a carico dei cittadini. Al di là delle valutazioni di ordine generale, tali nuove imposte non fanno che tradire sotto il profilo strettamente normativo la legge «madre» sul federalismo fiscale: non era, infatti, prevista l'introduzione di alcuna nuova imposta, tale da determinare un aggravamento fiscale. Anzi, l'articolo 28, comma 2, lettera b), della legge n. 42 del 2009 imponeva la garanzia della «determinazione periodica del limite massimo della pressione fiscale nonché del suo riparto tra i diversi livelli di governo» oltreché, soprattutto, la salvaguardia dell'obiettivo «di non produrre aumenti della pressione fiscale complessiva anche nel corso della fase transitoria». L'aumento potenziale della pressione fiscale complessiva del presente decreto è dimostrata, in modo chiaro ed inequivocabile, anche dal non accoglimento, da parte del Governo, né da parte della maggioranza, della proposta emendativa n. 21, presentata dal gruppo Italia dei Valori presso la Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale in occasione della seduta del 1o febbraio, che mirava proprio alla sua invarianza;
paradossalmente, a questo schema di decreto va riconosciuto un merito. Il rischio di disgregazione Nord-Sud (ricchezza-povertà), che caratterizzava il decreto legislativo precedente concernente la determinazione dei fabbisogni standard, sembra aver lasciato il posto ad una logica tributaria unitaria. Maggior prelievo fiscale per tutto il Paese, indipendentemente dalla latitudine di residenza; unità del Paese in forza dell'aumento fiscale collettivo. Il minimo comune denominatore del provvedimento uniformerà il Paese, in quanto ne svuoterà unitariamente l'economia e la crescita;
lo schema di decreto legislativo in esame presentato dal Governo (Atto del Governo n. 292- bis) innova profondamente il testo a suo tempo presentato alla Commissione parlamentare (Atto del Governo n. 292): esso recepisce, infatti, diversi dei rilievi e delle osservazioni fatte su quel testo. Al punto da presentare significative differenze anche rispetto alla versione risultante dalla proposta di parere del relatore, onorevole La Loggia. Nonostante ciò residuano numerosi profili di criticità che si intende in questa sede evidenziare;
all'articolo 2, così come riformulato, le principali criticità attengono alla disciplina del Fondo sperimentale di riequilibrio (comma 3), di cui appare estremamente indeterminata la disciplina, concernente modalità di finanziamento e di riparto, nella sostanza totalmente demandata ad un decreto ministeriale, previo accordo sancito in Conferenza Stato-città ed autonomie locali. Gli unici criteri in concreto individuati attengono, difatti, alla previsione (fino al 2013) di una quota del 30 per cento del Fondo da distribuire in base al numero dei residenti: criterio, questo, che tuttavia non si comprende a quale logica perequativa (per fabbisogno o per capacità fiscale) debba rispondere;
all'articolo 3 è introdotta la nuova forma di imposizione sui redditi da fabbricato, denominata cedolare secca sugli affitti. L'effetto di tale modifica determinerà la sottrazione, alla tassazione progressiva propria dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, di un'ulteriore tipologia di redditi, oltre a quelli di capitale. E ciò appare criticabile. Innanzitutto perché la progressività del sistema tributario è oggi affidata, esclusivamente, all'imposta sul reddito delle persone fisiche (non vi sono altre imposte progressive); sicché, sottraendo base imponibile a tale imposta, se ne riduce peso ed importanza all'interno del sistema tributario. La scelta di assoggettare a tassazione proporzionale i canoni di locazione arreca, così formulata, un grave vulnus al modello d'imposizione voluto dalla Carta costituzionale, in palese violazione anche dell'articolo 2, comma 2, lettera l), della legge n. 42 del 2009, ai sensi del quale costituisce principio e criterio direttivo generale, cui deve conformarsi il legislatore delegato, tra gli altri, la «salvaguardia dell'obiettivo di non alterare il criterio della progressività del sistema tributario e rispetto del principio della capacità contributiva ai fini del concorso alle spese pubbliche». Per effetto della nuova imposta, i redditi derivanti dal capitale saranno (eccezione fatta per le locazioni di fabbricati ad uso commerciale) soggetti ad una tassazione proporzionale, laddove i redditi da lavoro continueranno (soli) a restare soggetti ad una tassazione progressiva. La fissazione dell'aliquota nelle due soglie del 21 per cento e 19 per cento comporta, peraltro, che il vantaggio, in termini di minore tassazione, sarà consistente per i contribuenti con aliquota marginale alta (43 per cento) e praticamente nullo per quelli con aliquota bassa (23 per cento). Tutto questo, infine, anche perché si è dell'avviso che, se mai ci potrà essere un recupero di materia imponibile per effetto dell'emersione degli affitti in nero, ciò dipenderà dall'inasprimento delle sanzioni contemplato per il caso di omessa o infedele registrazione e/o dichiarazione (peraltro, le pesanti sanzioni previste - comma 8 - sono limitate ai contratti di locazione da registrare; restano quindi esclusi i contratti di durata inferiore ai trenta giorni, ordinariamente impiegati nelle località turistiche), nonché al potenziamento dell'azione di contrasto, da realizzare ampliando i sistemi di incrocio delle informazioni presenti nelle varie banche dati ed il coinvolgimento degli enti locali (comma 10, articolo 2). Ulteriore critica alla cedolare secca sugli affitti attiene alla circostanza che, del nuovo regime, beneficeranno, nei fatti, soltanto i proprietari in mancanza di interventi a favore degli inquilini. L'unica misura a favore di quest'ultimi, a parte l'eliminazione della metà dell'imposta di registro sui contratti di locazione (1 per cento), è infatti a carico dei proprietari, che ove decidessero di beneficiare dell'imposta sostitutiva devono rinunciare all'indicizzazione del canone. Ma si tratta di una misura non certo soddisfacente, dal momento che i vantaggi per proprietari ed inquilini risultano eccessivamente sperequati. Senza dimenticare che per i contratti in corso, laddove l'imposta di registro sia stata già corrisposta per l'intera durata del contratto (come consentito dalla Nota I) all'articolo 5 della Tariffa, parte I, del decreto del Presidente della Repubblica n. 131/86), all'inquilino non spetterà alcun vantaggio ulteriore, posto che, in caso di opzione per il regime sostitutivo, non è dato il rimborso dell'imposta di registro e bollo già pagate;
sarebbe pertanto opportuno ampliare le detrazioni a vantaggio degli inquilini, reperendo le necessarie risorse anche attraverso una rimodulazione delle aliquote previste;
l'articolo 4 riconosce ai comuni capoluogo di provincia, alle unioni di comuni nonché ai comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d'arte la possibilità di istituire un'imposta di soggiorno a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive, da applicare secondo criteri di gradualità, in proporzione al prezzo e sino a 5 euro per notte di soggiorno. Si tratta, a ben vedere, di una vera e propria imposta: sperequata sia sotto il profilo dei soggetti fiscali attivi (una particolare categoria di comuni: quelli, appunto, turistici), nonché su quello dei soggetti fiscali passivi (non si comprende con esattezza se, in concreto, sia il gestore con rivalsa sul cliente, ovvero direttamente il cliente-turista). Soltanto il gruppo parlamentare Italia dei Valori, in seno alla suddetta Commissione parlamentare, ha proposto formalmente la soppressione di tale misura tributaria. E lo ha fatto per una serie di ragioni, di ordine politico-economico, che si tenta di illustrare assai brevemente. In primo luogo, la norma, in considerazione della sua indeterminatezza soggettiva fissata con fonte sub-legislativa, è viziata da chiara incostituzionalità. L'articolo 23 della nostra Carta costituzionale, infatti, sancisce che «nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge». Una riserva di legge assoluta, dunque, che viene di fatto sostituita da regolamento governativo da adottare in concerto con la Conferenza Stato-Città autonomie locali. Inoltre, il chiaro effetto depressivo sul comparto turistico, già investito da una crisi significativa e sui cui già grava una pressione fiscale complessiva che lo rende debole sotto il profilo competitivo internazionale. Non è retorico sostenere che il settore turistico del nostro Paese, soprattutto quello che nasce e si sviluppa nei contesti «cittadini», rappresenta, o meglio dovrebbe rappresentare, il core business nazionale, la missione dell'«Azienda Italia». Il nostro Paese è composto diffusamente da città d'arte e il significativo afflusso turistico - che va a determinare il cosiddetto «turisdotto» - rappresenta una fonte rilevantissima di ricchezza nazionale. Inoltre tale ipotesi vessatoria colpisce chi viaggia e pernotta fuori casa non solo per vacanza, ma anche per lavoro o per motivi di salute. L'imposta di soggiorno rappresenta, inoltre, un tributo che colpisce i non residenti, coloro quindi che non votano, e che, come tale, non può certo essere ritenuto «responsabilizzante», se non in via solo mediata. Se la responsabilità per gli amministratori, collegata a tale tributo, è colta dalla prescrizione di un vincolo sul gettito, che deve essere destinato sostanzialmente a finanziare interventi in materia di turismo, rileva l'assoluta mancanza di strumenti di garanzia della puntuale e coerente osservanza di simile vincolo;
all'articolo 5 si prevede che, con regolamento, venga disciplinata la graduale cessazione, anche parziale, della sospensione del potere dei comuni di istituire l'addizionale comunale IRPEF ovvero di aumentarla. È primariamente criticabile l'eccessiva vaghezza di una previsione che, di contro, dovrebbe portare a riconoscere ai comuni un importante strumento di responsabilizzazione politica ed amministrativa, quale è appunto l'addizionate. Si critica inoltre, ed in ogni caso, la mancata previsione di una misura volta ad assicurare che, nel caso di esercizio del predetto potere da parte del comune, intervenga, quale bilanciamento della pressione fiscale complessiva, una riduzione dell'Irpef erariale: come invece prescritto dall'articolo 28 della legge n. 42 del 2009. A rigore, infatti, la prescrizione del successivo articolo 12, comma 2, per cui dall'attuazione dei decreti legislativi non può derivare «alcun aumento del prelievo fiscale complessivo a carico dei contribuenti» appare eccessivamente generica ed indeterminata, priva come è di adeguati strumenti idonei a prevenire una simile eventualità. D'altra parte, ove risultasse idonea al risultato cui è diretta, la previsione da ultimo richiamata, in difetto di meccanismi di bilanciamento della pressione fiscale tra i diversi livelli di governo, si traduce in una totale negazione di margini di autonomia fiscale per i comuni;
all'articolo 6 si prevede che, con regolamento governativo, venga potenziata ed integrata l'imposta di scopo di cui all'articolo 1, comma 145, legge n. 296 del 2006. Tale imposta, quindi, dovrebbe diventare (tornare ad essere) a pieno titolo uno degli strumenti tributari a disposizione dei comuni. Tuttavia - va evidenziato - l'imposta in oggetto, per come è stata congegnata, risulterebbe un'addizionale all'ICI. Ebbene, posto che l'ICI, così come anche la futura imposta municipale propria (IMU), non si applica alla prima casa, anche l'imposta di scopo si tradurrà inevitabilmente nell'ennesimo tributo pagato da chi non ha il potere di sanzionare la scelta degli amministratori. In spregio, ancora una volta, della filosofia del cosiddetto federalismo fiscale, secondo cui il potere di imporre tributi è, innanzitutto, responsabilità verso i propri residenti-elettori;
agli articoli 8 e 9 viene introdotta una nuova imposta, la citata IMU, che tuttavia replica in modo pressoché integrale, sul piano sostanziale nonché su quello procedimentale, l'ICI. Ragione per cui non se ne comprende la ratio istitutiva. Profili di particolare criticità si rilevano, ad ogni modo, con riguardo al parzialmente nuovo regime di esenzione dall'IMU principale. Da un lato, perché è prevista l'esenzione solo per gli immobili, oltre che dello Stato, di regioni, comuni, province ed altri enti territoriali solo se posseduti sul proprio territorio e se destinati in via esclusiva a finalità istituzionale. L'effetto che si determina è paradossale, giacché saranno soggetti ad imposta gli immobili del comune che, pur presenti sul proprio territorio, non sono destinati, in via esclusiva, a finalità istituzionale. Dall'altro, perché tra le esenzioni oggi previste per l'ICI dall'articolo 7, comma 1, del decreto legislativo n. 504 del 1992, viene riconfermata per l'IMU quella di cui alla lettera i) (immobili utilizzati da enti non commerciali, destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive) che - come noto - rappresenta un'ipotesi al momento sub iudice presso la Commissione europea, giacché sospettata di integrare un aiuto di Stato vietato. Inoltre, non è stata richiamata quella prevista alla lettera g) per i fabbricati che, dichiarati inagibili o inabitabili, sono stati recuperati al fine di essere destinati alle attività assistenziali di cui alla legge 5 febbraio 1992, n. 104 (assistenza, integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate). È stata definita, questa, una nuova tassa patrimoniale che colpirà pesantemente artigiani e commercianti: coloro che, forse, stanno già pagando il prezzo più alto della perdurante crisi economica; all'articolo 10 viene modificata l'imposta di registro sui trasferimenti immobiliari. La misura appare, tuttavia, non prevista dalla legge delega. L'articolo 12 della legge n. 42 del 2009 prevede certamente anche la trasformazione di tributi statali, ma segnatamente nell'ottica di introdurre nuovi tributi propri dei comuni. Ebbene, non si può certo ritenere che l'imposta di registro sui trasferimenti immobiliari venga a costituire un simile tributo: tale imposta è, e rimarrà, un'imposta di carattere erariale, di cui viene solo prevista la devoluzione di una quota di gettito ai comuni. Non convince l'eliminazione generalizzata di tutte le agevolazioni e la previsione di una misura minima del tributo (mille euro): «pagare meno ma pagare tutti» può essere un valido motto per combattere l'evasione, ma non certo per decretare i criteri di riparto della spesa pubblica. Tra le agevolazioni che vengono soppresse, in particolare, sembrano rientrare quelle a favore delle ONLUS;
all'articolo 13, la principale criticità della previsione del Fondo perequativo per comuni attiene al fatto che la disciplina, ivi dettata, appare assolutamente generica e lacunosa. Praticamente per nessuno dei criteri direttivi enunciati dall'articolo 13 della legge n. 42 del 2009 sono individuate le modalità di attuazione, come invece richiesto dalla delega. La disciplina del Fondo, il suo funzionamento, il suo finanziamento ed il suo riparto sono interamente demandati ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri: ad una fonte di produzione del diritto, ben diversa da quella sancita dalla legge delega, sottratta peraltro alle procedure ed ai controlli parlamentari e costituzionali, ivi dettati per l'adozione dei decreti legislativi,

non approva le comunicazioni del Governo e impegna il Governo:

sotto il profilo generale:
a) a voler salvaguardare la correttezza formale e sostanziale dei rapporti istituzionali rispetto alla totalità degli organi costituzionali, preservandone la dignità oltreché l'indipendenza e l'autonomia: segnatamente nei confronti del Parlamento;
b) a voler riconoscere nella bandiera tricolore, nell'inno nazionale ed in Roma Capitale i simboli fondamentali dello Stato repubblicano e del patrimonio dei valori nazionali riconosciuti nel testo della Carta Costituzionale, ascrivibili tra i principi cardine dell'ordinamento, ovvero tra i fattori base di integrazione della comunità statuale nel suo complesso;
c) a voler sostenere - in sede di approvazione del disegno di legge cosiddetto «Carta delle Autonomie», già approvato dalla Camera dei deputati e giacente al Senato della Repubblica - modificazioni normative volte alla soppressione delle province, all'accorpamento obbligatorio delle amministrazioni comunali più piccole, alla razionalizzazione del personale politico degli enti locali e delle società da essi direttamente o indirettamente controllate;
d) a voler pedissequamente rispettare i principi ed i criteri direttivi contenuti nella legge delega n. 42 del 2009 nell'ambito dell'emanazione dei decreti legislativi attuativi rimanenti;
con riguardo al testo dello schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale, così come trasmesso alle Camere, ai sensi dell'articolo 2, comma 4, della legge n. 42 del 2009:
a) a voler prevedere un vincolo per assicurare l'invarianza della pressione fiscale a carico dei contribuenti, segnatamente volto ad inibire il preventivabile aumento delle imposte, ad opera delle amministrazioni centrali e periferiche. Prevedere, quindi, forme di compensazione in base alle quali, all'innalzamento della pressione locale corrisponda una pari riduzione di quella erariale e regionale;
b) a voler introdurre misure idonee a recuperare la progressività dell'imposizione, gravemente pregiudicata dall'introduzione della cedolare secca sugli affitti, in conformità all'articolo 53 della Costituzione, nonché all'articolo 2, lettera l), della legge n. 42 del 2009;
c) a voler prevedere misure di sostegno per i locatori, quali, in primis, la deducibilità dei canoni ovvero l'innalzamento della detrazioni fiscali ex articolo 16 del testo unico delle imposte sui redditi;
d) a voler prevedere misure idonee a responsabilizzare gli amministratori locali verso i propri elettori, per rimediare ad un sistema di fiscalità locale che appare estremamente orientato ad esternalizzare, prevalentemente sui non residenti, il peso del prelievo fiscale;
e) a voler sopprimere l'imposta di soggiorno, affrontando la complessiva disciplina fiscale e tributaria per il settore turistico in apposita proposta normativa volta segnatamente alla:
(1) riduzione del carico fiscale, anche in forma incentivante, a fronte di investimenti settoriali;
(2) introduzione di un vincolo di esclusività - riferito alla parziale copertura delle spese per la realizzazione di opere di rilevanza turistica - sul gettito derivante da eventuale imposta di scopo turistica;
(3) previsione di strumenti di garanzia della puntuale e coerente osservanza di tale vincolo impositivo, nei confronti delle amministrazioni che intendono eventualmente avvalersene.
(6-00060)
«Borghesi, Favia, Donadi, Di Pietro, Evangelisti, Leoluca Orlando, Cambursano, Messina, Barbato, Palomba, Di Stanislao, Zazzera, Piffari, Monai, Cimadoro, Paladini, Aniello Formisano, Palagiano, Mura, Di Giuseppe, Rota, Porcino».

La Camera,
udite le comunicazioni del Governo,
preso atto che:
la situazione economico-finanziaria degli enti locali si attesta su un profilo di estrema criticità, derivante dai rigidi vincoli del patto di stabilità interno nonché, soprattutto, dagli ingentissimi tagli perpetrati ai trasferimenti erariali adottati con numerosi provvedimenti di carattere normativo, tali da compromettere l'erogazione di servizi essenziali per i cittadini;
lo schema di decreto in titolo recante disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale, nel testo originario depositato dal Governo, dispone la devoluzione ai comuni del gettito di numerosi tributi erariali, istituisce una nuova imposta sulle locazioni di immobili ad uso abitativo e prevede, a regime, un nuovo assetto delle attribuzioni fiscali tra Stato ed enti locali nel settore della fiscalità territoriale ed immobiliare, ma, al contempo, presenta importanti limiti di dinamicità e di manovrabilità, oltre a confermare, nella quantificazione delle risorse degli enti locali da fiscalizzare, i tagli operati con la manovra economica dello scorso luglio;
una valutazione degli effetti dello schema di decreto è resa difficile dall'assenza di dati quantitativi di riferimento sufficientemente precisi, in particolare, non è stata ancora definita l'entità esatta dei trasferimenti statali da sopprimere a fronte della assegnazione di risorse tributarie autonome;
il citato schema di decreto risulta contrastante con i principi del federalismo fiscale municipale, pur costituendone l'attuazione, senza contare il parossismo del fatto che solo le imposte facoltative sembrano effettivamente contribuire ad aumentare l'autonomia tributaria dei Comuni, rispetto alla situazione attuale;
il cosiddetto federalismo fiscale municipale andrà a regime solo nel 2014, in quanto la «vera» autonomia si avrebbe solo con l'introduzione della nuova imposta municipale (IMU), ma in tale fase impatteranno - salvo ripensamenti del Governo - anche le riduzioni dei trasferimenti previste per i Comuni superiori a 5000 abitanti nell'ambito della manovra finanziaria di luglio, lasciando presagire un periodo di pesante stress finanziario per le amministrazioni comunali;
in realtà, l'IMU è un modello di imposta fortemente centralizzato, in cui la normativa statale è pervasiva al punto da lasciare spazi estremamente esigui all'autonomia locale. Agli enti locali, a ben vedere, è riconosciuta solamente la possibilità di variare dello 0,3 per cento l'aliquota fissata. Si attua, in tal modo, un sostanziale arretramento sul tema dell'autonomia tributaria, anche semplicemente rispetto al modello dell'ICI;
l'IMU è indeducibile dalle imposte sui redditi e dall'IRAP. Al riguardo, si evidenzia che, nel regime attuale, solo l'ICI è indeducibile, mentre le altre imposte, di cui è prevista la sostituzione, sono deducibili; in primis l'imposta di registro. Per effetto della sostituzione, pertanto, il prelievo fiscale sul trasferimento di immobili sarà sempre indeducibile dall'imposta sul reddito e dall'IRAP, anche laddove oggi sarebbe deducibile. Con un ulteriore effetto indiretto di aggravio dell'imposizione;
nel fissare, con le ultime modifiche intervenute, la tassazione IMU (al 7,6 per mille - con ciò aggravando moltissimo, rispetto alla tassazione ICI, la pressione fiscale), sono scomparsi gli sconti destinati agli immobili strumentali delle imprese e dei soggetti passivi IRES: ciò si tradurrà in un rincaro medio per il comparto del 18,75 per cento rispetto all'aliquota media dell'ICI attualmente in vigore per i medesimi beni, ma il rincaro può arrivare anche al 52 per cento ove l'ICI ordinaria risultasse più bassa della media, come ad esempio è, attualmente, nella città di Milano;
le perplessità sull'IMU si aggravano ove si pensi che questo tributo è il perno del sistema fiscale municipale tratteggiato dallo schema di decreto: al di fuori dell'IMU l'autonomia concessa alle amministrazione locali risulta ancora più impalpabile;
è stata definita, questa IMU, una nuova tassa patrimoniale che colpirà pesantemente artigiani e commercianti: coloro che stanno già pagando un prezzo molto alto a causa della perdurante crisi economica,

impegna il Governo

a rivedere, con opportuni e tempestivi interventi, la disciplina della tassazione IMU, assimilandola a quella vigente per l'ICI, con riguardo agli immobili strumentali delle imprese e dei soggetti passivi IRES.
(6-00061)
«Cimadoro, Favia, Borghesi, Messina, Cambursano, Barbato».

La Camera,
udite le comunicazioni del Governo,
premesso che:
l'ineludibilità dell'attuazione del federalismo fiscale è diventata oggi evidente sia sotto il profilo giuridico che, soprattutto, sotto quello politico ed economico. Al centro di questo processo vi è, infatti, il rapporto fiscale tra i cittadini, lo stato, le regioni e il sistema delle autonomie, nell'ambito del complessivo processo di decentramento della sovranità: dal centro alla periferia. La devoluzione di poteri, infatti, o è anche fiscale o non la si può considerare foriera di alcuna reale portata innovativa;
completare il disegno di un sistema ordinato di rapporti finanziari tra i livelli di governo richiede che siano conciliati almeno tre principi garantiti dalla Costituzione repubblicana, come riformata nel 2001:
(1) l'autonomia finanziaria di entrata e di spesa delle regioni e degli enti locali, con propria responsabilità contabile;
(2) la perequazione necessaria per l'uniformità nei livelli essenziali delle prestazioni, che richiede importanti trasferimenti perequativi;
(3) la sostenibilità della condizione complessiva dei conti pubblici;
il federalismo fiscale modella la forma e la struttura dello Stato. Incide, pertanto, sull'intimo equilibrio costituzionale, in riferimento alla distribuzione concreta dei poteri (legislativi ed amministrativi), ma soprattutto sul godimento dei diritti civili e sociali, proclamati solennemente dalla nostra Carta costituzionale, senza distinzione distinzione di luogo di residenza. L'esplicito legame tra i livelli prestazionali ed i diritti civili e sociali rappresenta un «ponte» di collegamento tra la prima e la seconda parte della Costituzione. Proprio per questo il Parlamento repubblicano non può, in alcun modo, essere estromesso dal processo decisionale, ovvero neutralizzato da tale processo;
occorre concreta consapevolezza dei rischi che un'attuazione distorta e strumentale può provocare per l'unità del Paese e per i diritti sociali ed economici dei cittadini, in presenza di un quadro istituzionale ancora indefinito riguardo alla distribuzione delle funzioni tra i livelli di governo e, in conseguenza, di grandezze finanziarie non ancora quantificate né quantificabili;
in particolare, la definizione dei fabbisogni standard costituisce l'architrave su cui dovrebbe poggiare l'intero impianto del federalismo fiscale, dalla loro esatta determinazione deriverà e dipenderà - direttamente - la concreta salvaguardia dei diritti civili e sociali che danno corpo alla cittadinanza repubblicana, come sanciti nella parte prima della Costituzione;
il provvedimento in materia di fabbisogni standard degli enti locali, approvato di recente, viceversa, contiene rilevantissimi vulnus di carattere costituzionale, normativo e finanziario. La marginalizzazione del ruolo del Parlamento nel procedimento di determinazione (e non meramente di controllo) dei fabbisogni standard, l'inidoneità formale e sostanziale della fonte «sub normativa» per la loro adozione (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in luogo di un imprescindibile decreto legislativo), la parziale elusione della ratio delegationis rispetto alla legge n. 42 del 2009, oltre che la non quantificazione dei relativi oneri finanziari sono solo alcuni aspetti di criticità che sono stati considerati dal gruppo Italia dei Valori nelle proposte di parere alternativo presentate in seno alla Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale;
all'articolo 2 dello schema di decreto legislativo in materia di federalismo fiscale municipale molte criticità attengono al Fondo sperimentale di riequilibrio (comma 3), di cui appare estremamente indeterminata la disciplina, concernente modalità di finanziamento e di riparto, nella sostanza totalmente demandata ad un decreto ministeriale, previo accordo sancito in Conferenza Stato-città ed autonomie locali. Gli unici criteri in concreto individuati attengono, difatti, alla previsione (fino al 2013) di una quota del 30 per cento del Fondo da distribuire in base al numero dei residenti: criterio, questo, che tuttavia non si comprende a quale logica perequativa (per fabbisogno o per capacità fiscale) debba rispondere;
lo schema di decreto legislativo recita testualmente (secondo periodo del comma 7, articolo 2) che nel riparto del Fondo di riequilibrio «si tiene conto della determinazione dei fabbisogni standard, ove effettuata»: lo schema del decreto del governo è, dunque, fortemente intrecciato alla definizione dei fabbisogni standard, questione tuttora segnata da incertezza totale, come indicato nei precedenti paragrafi. Il germe dell'indeterminatezza che già infettava il precedente decreto legislativo sui fabbisogni standard si traspone, inevitabilmente e in tutta evidenza, anche nel presente provvedimento ed inserisce un grave vulnus con riguardo alla grande questione economico-tributaria,

impegna il Governo

ad accelerare le procedure di determinazione dei fabbisogni standard degli enti locali, posto che essi siano da considerarsi basilari per la definizione del Fondo sperimentale di riequilibrio o, in alternativa, a rendere tempestivamente noti in sede parlamentare i criteri di utilizzazione e di riparto tra i comuni del Fondo medesimo.
(6-00062) «Favia, Borghesi, Cambursano».

La Camera,
udite le comunicazioni del Governo,
premesso che:
l'articolo 4 dello schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale riconosce ai comuni capoluogo di provincia, alle unioni di comuni nonché ai comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d'arte la possibilità di istituire una imposta di soggiorno a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive, da applicare secondo criteri di gradualità, in proporzione al prezzo e sino a 5 euro per notte di soggiorno;
si tratta, a ben vedere, di una vera e propria imposta: sperequata sia sotto il profilo dei soggetti fiscali attivi (una particolare categoria di comuni: quelli, appunto, turistici), nonché su quello dei soggetti fiscali passivi (non si comprende con esattezza se, in concreto, sia il gestore con rivalsa sul cliente, ovvero direttamente il cliente-turista);
soltanto il gruppo parlamentare Italia dei Valori, in seno alla Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, ha proposto formalmente la soppressione di tale misura tributaria e lo ha fatto per una serie di ragioni, di ordine politico-economico, che si tenta di illustrare assai brevemente:
in primo luogo, la norma, in considerazione della sua indeterminatezza soggettiva fissata con fonte sub-legislativa, è viziata da chiara incostituzionalità. L'articolo 23 della nostra Carta costituzionale, infatti, sancisce che «nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge». Una riserva di legge assoluta, dunque, che viene di fatto sostituita da regolamento governativo da adottare in concerto con la Conferenza Stato-Città autonomie locali;
il chiaro effetto depressivo sul comparto turistico, già investito da una crisi significativa e sui cui già grava una pressione fiscale complessiva che lo rende debole sotto il profilo competitivo internazionale. Non è retorico sostenere che il settore turistico del nostro Paese, soprattutto quello che nasce e si sviluppa nei contesti «cittadini» rappresenta, o meglio dovrebbe rappresentare, il core business nazionale, la missione dell'«Azienda Italia». Il nostro Paese è composto diffusamente da città d'arte e il significativo afflusso turistico - che va a determinare il cosiddetto «turisdotto» - rappresenta una fonte rilevantissima di ricchezza nazionale;
tale ipotesi vessatoria colpisce chi viaggia e pernotta fuori casa non solo per vacanza, ma anche per lavoro o per motivi di salute;
l'imposta di soggiorno rappresenta, inoltre, un tributo che colpisce i non residenti, coloro quindi che non votano, e, come tale, non può certo essere ritenuto «responsabilizzante», se non in via solo mediata. Se la responsabilità per gli amministratori, collegata a tale tributo, è colta dalla prescrizione di un vincolo sul gettito, che deve essere destinato sostanzialmente a finanziare interventi in materia di turismo, rileva l'assoluta mancanza di strumenti di garanzia della puntuale e coerente osservanza di simile vincolo;
inoltre, viene sconfessata la legge n. 42 del 2009 - su cui il gruppo Italia dei Valori ha convintamente votato a favore - su un rilevantissimo profilo: la negazione del principio della maggiore responsabilizzazione economico-gestionale degli amministratori, locali. L'autonomia tributaria riservata ai comuni per tassare i non residenti, oltreché la tassa di soggiorno, contrastano il liberale principio del no taxation without representation. Nuove imposte, cioè, su soggetti che non potranno valutare democraticamente i propri amministratori;
tale nuova imposta tradisce sotto il profilo strettamente normativo la legge «madre» sul federalismo fiscale: non era, infatti, prevista l'introduzione di alcuna nuova imposta, tale da determinare un aggravamento fiscale,

impegna il Governo

a voler sopprimere l'imposta di soggiorno, affrontando la complessiva disciplina fiscale e tributaria per il settore turistico in apposita proposta normativa volta segnatamente alla:
a) riduzione del carico fiscale, anche in forma incentivante, a fronte di investimenti settoriali;
b) introduzione di un vincolo di esclusività - riferito alla parziale copertura delle spese per la realizzazione di opere di rilevanza turistica - sul gettito derivante da eventuale imposta di scopo turistica;
c) previsione di strumenti di garanzia della puntuale e coerente osservanza di tale vincolo impositivo, nei confronti delle amministrazioni che intendono eventualmente avvalersene.
(6-00063)
«Cambursano, Favia, Borghesi, Cimadoro, Barbato, Messina».

La Camera,
udite le comunicazione del Governo,
premesso che:
il principale obiettivo del federalismo fiscale è quello di rendere i sindaci responsabili davanti ai propri cittadini;
l'ineludibilità dell'attuazione del federalismo fiscale è diventata oggi evidente sia sotto il profilo giuridico che, soprattutto, sotto quello politico ed economico. Al centro di questo processo vi è, infatti, il rapporto fiscale tra i cittadini, lo Stato, le regioni e il sistema delle autonomie, nell'ambito del complessivo processo di decentramento della sovranità: dal centro alla periferia. La devoluzione di poteri, infatti, o è anche fiscale o non la si può considerare foriera di alcuna reale portata innovativa;
completare il disegno di un sistema ordinato di rapporti finanziari tra i livelli di governo richiede che sia esaudito uno dei tre principi garantiti dalla Costituzione repubblicana, come riformata nel 2001, vale a dire la sostenibilità della condizione complessiva dei conti pubblici;
vi è stata la consapevolezza dei rischi che un'attuazione distorta e strumentale può provocare per l'unità del Paese e per i diritti sociali ed economici dei cittadini, in presenza di un quadro istituzionale ancora indefinito riguardo alla distribuzione delle funzioni tra i livelli di governo e, in conseguenza, di grandezze finanziarie non ancora quantificate né quantificabili;
trattandosi di fisco municipale va preliminarmente sottolineato che la situazione economico- finanziaria degli enti locali si attesta attualmente su un profilo di estrema criticità, derivante anche dai rigidi vincoli del patto di stabilità interno nonché, soprattutto, dalle ingentissime decurtazioni dei trasferimenti erariali messi recentemente in atto da numerosi provvedimenti di carattere normativo, tali da incidere pesantemente sull'erogazione dei servizi essenziali per i cittadini;
con il decreto legislativo in materia di federalismo fiscale municipale sono state, in sintesi, introdotte quattro nuove tipologie di tasse locali: l'IMU (Imposta municipale sul possesso, in luogo dell'ICI, ma in assenza dei medesimi «sconti»), la cosiddetta «cedolare secca», l'imposta di soggiorno, l'imposta di scopo - in ordine alle ultime due imposte vige la sola facoltà di imposizione ma occorre tenere presente la situazione economica dei comuni;
dal punto di vista complessivo, il testo dello schema del decreto legislativo recante disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale potrebbe potenzialmente determinare un aumento assai significativo del prelievo fiscale a carico dei cittadini: al di là delle valutazioni di ordine generale, tali nuove imposte non fanno che tradire, sotto il profilo strettamente normativo, la legge «madre» sul federalismo fiscale, in quanto non era prevista l'introduzione di alcuna nuova imposta, tale da determinare un aggravamento fiscale. Anzi, l'articolo 28, comma 2, lettera b), della legge n. 42 del 2009 imponeva la garanzia della «determinazione periodica del limite massimo della pressione fiscale nonché del suo riparto tra i diversi livelli di governo» oltreché, soprattutto, la salvaguardia dell'obiettivo «di non produrre aumenti della pressione fiscale complessiva anche nel corso della fase transitoria». L'aumento potenziale della pressione fiscale complessiva del citato schema di decreto è dimostrata, in modo chiaro ed inequivocabile, anche dal non accoglimento, da parte del Governo, della proposta emendativa n. 21, presentata dal gruppo Italia dei Valori presso la Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale in occasione della seduta del 1o febbraio, che mirava proprio alla sua invarianza;
quanto alla salvaguardia della pressione fiscale, il comma 5 dell'articolo 14 dello schema di decreto legislativo fa riferimento al «limite massimo della pressione fiscale complessiva», come stabilito dalla Decisione di finanza pubblica di cui all'articolo 10 della legge n. 196 del 2009, che la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica dovrà monitorare in ordine agli effetti derivanti dal presente decreto legislativo, al fine di garantirne il rispetto,

impegna il Governo

ad adottare provvedimenti idonei a consentire di verificare la misura della pressione fiscale anche relativamente al solo comparto locale e di monitorare gli effetti finanziari del decreto legislativo non solo al fine di garantire il rispetto del limite massimo della pressione fiscale, ma anche in ordine alle sue variazioni.
(6-00064)
«Messina, Barbato, Borghesi, Favia, Cambursano».

La Camera,
considerate le osservazioni svolte dal Governo e allegate al testo trasmesso, ai sensi dell'articolo 2, comma 4, della legge n. 42 del 2009,
udite le comunicazioni rese dal rappresentante del Governo, ai sensi del medesimo articolo 2, comma 4, della legge n. 42 del 2009,
considerati i singoli articoli e il complesso del testo, con modificazioni, dello schema di decreto legislativo recante «Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale», trasmesso dal Governo il 15 febbraio 2011,
condivisa in particolare l'opportunità che si introduca una disposizione in base a cui il Governo garantisca, nell'attuazione del decreto legislativo, l'adeguamento delle capacità amministrative per l'acquisizione delle informazioni necessarie per assicurare, in sede di prima applicazione, l'assegnazione del gettito dell'imposta sul valore aggiunto per provincia; fino a tale adeguamento, l'assegnazione del gettito dell'imposta sul valore aggiunto per ogni comune potrà avere luogo sulla base del gettito di tale imposta per Regione, suddiviso per il numero degli abitanti di ciascun comune,
ne approva per intero i contenuti.
(6-00065)
«Cicchitto, Reguzzoni, Sardelli».

La Camera,
udite le comunicazioni del Governo ai sensi dell'articolo 2, comma 4, della legge n. 42 del 2009, sullo schema di decreto legislativo in materia di federalismo fiscale municipale,
premesso che:
il testo, con modificazioni, dello schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale e relative osservazioni del Governo è molto distante dalle aspettative di autonomia e responsabilità delle comunità locali che sono alla base del federalismo fiscale, ben rappresentato dalla legge n. 42 del 2009, nella quale i deputati del gruppo parlamentare del Partito Democratico si riconoscono pienamente, a causa dei forti condizionamenti iniziali e della mancata volontà da parte del Governo di accogliere le proposte alternative avanzate dalle opposizioni. Le motivazioni sono già state ampiamente illustrate dagli interventi nella Commissione per l'attuazione del federalismo fiscale e nelle altre Commissioni competenti;
si è voluto procedere con un decreto sulla fiscalità comunale del tutto separato dal sistema perequativo, salvo tentare di recuperare in extremis con un nuovo articolo suggerito da un emendamento proposto da parlamentari del gruppo del Partito Democratico. La legge n. 42 del 2009 disegna, invece, un sistema nel quale autonomia fiscale e perequazione sono le due facce della stessa medaglia e, per superare la spesa storica con i costi e i fabbisogni standard la perequazione è indispensabile;
rispetto al sistema di perequazione a regime, invece, tutto è rinviato ad un successivo decreto legislativo correttivo ed integrativo da adottarsi ai sensi della legge n. 42 del 2009. In tale ambito, si prevede soltanto che ai fini della determinazione del fondo perequativo non si terrà conto delle variazioni di gettito prodotte dall'esercizio dell'autonomia tributaria, nonché dell'emersione della base imponibile riferibile al concorso comunale all'attività di recupero fiscale;
uno degli aspetti maggiormente critici del provvedimento è che il Fondo perequativo a regime dovrà essere coordinato con la fiscalità municipale già introdotta con il provvedimento in esame, e per come sembrerebbero fissate le aliquote base, stando al decreto, il sistema perequativo a regime dovrebbe configurarsi come un sistema orizzontale, con tutti gli effetti e i rischi che discendono da tale situazione;
senza perequazione non c'è attuazione della legge sul federalismo fiscale, non c'è garanzia di finanziamento integrale delle funzioni fondamentali, né intervento per ridurre le differenze di capacità fiscale tra i diversi territori. Non c'è neanche autonomia, perché non c'è alcuna corrispondenza possibile tra la richiesta di un maggior contributo alle entrate di un comune e l'erogazione di servizi ulteriori rispetto a quelli essenziali;
inoltre manca ogni corrispondenza con il principio federalista secondo cui i contribuenti di un comune devono coincidere con i beneficiari dei servizi, affinché si innesti il circuito virtuoso di responsabilità e autonomia in cui il Partito Democratico crede fermamente e che può davvero portare a migliorare le prestazioni pubbliche;
di questo principio nel decreto non c'è traccia. Non ci sono innovazioni significative, anzi la situazione è destinata a peggiorare in termini di autonomia per i comuni, che vedono un sistema fondato prevalentemente sulle compartecipazioni e le quote di gettito devolute che rappresenta una ricentralizzazione della propria finanza;
il principale tributo locale sarà l'imposta municipale sugli immobili che dal 2014 sostituirà l'ICI. La pagheranno solo i possessori di seconde e terze case, in prevalenza non residenti, e quindi che non votano per gli amministratori chiamati a decidere su quell'imposta. Per di più gli spazi di manovrabilità dei tributi per i comuni sono estremamente ridotti, sono nulli sui tributi devoluti nella fase transitoria, e sono minori rispetto a quelli garantiti fino al 2007 per la fase a regime;
l'indisponibilità del Governo a tener conto di questo fondamentale principio si è chiaramente manifestata nel non accoglimento della proposta, avanzata in Commissione, di introdurre una imposta comunale sui servizi, sostitutiva di TARSU/TIA e di addizionale comunale all'IRPEF, pagata da tutti i residenti in quanto usufruiscono dei servizi non tariffabili dei comuni, che poteva costituire il pilastro della nuova fiscalità comunale;
si è cercato fin dall'inizio di evitare la chiara indicazione dell'aliquota base dell'IMU, poiché si sapeva che sarebbe stata molto alta, con un evidente aggravio del carico tributario per determinate categorie di contribuenti. Inizialmente c'era un rinvio ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri poi, nello schema di decreto legislativo, si è indicata l'aliquota base del 7,6 per mille;
tale aliquota è chiaramente sottostimata, è probabilmente destinata ad aumentare fino all'8,5 per mille e determinerà un incremento ingiustificato della pressione fiscale sulle imprese e i lavoratori autonomi, come risulta dai dati che stanno emergendo in questi giorni. Ciò avviene per effetto della facoltatività della riduzione di imposta fino al cinquanta per cento per gli immobili ad uso produttivo e commerciale, mentre sugli immobili locati tale riduzione è automatica;
l'insieme del provvedimento comporterà un inevitabile aumento delle tasse per i cittadini. Questo non è il frutto del federalismo fiscale, ma della decisione del Governo di tagliare 2,5 miliardi di euro ai comuni per il 2011 e il 2012;
per questa ragione sia lo sblocco delle addizionali IRPEF sia il contributo di soggiorno si tradurranno da facoltà in obbligo impositivo per migliaia di comuni;
si è voluto inserire nel provvedimento l'imposta sostitutiva ad aliquota unica sui redditi da locazione, la cosiddetta «cedolare secca», che il gruppo del Partito Democratico considera necessaria e utile. Ma il Governo non ha indicato l'indispensabile copertura finanziaria, né per le certe perdite di gettito della prima fase della sua applicazione, né per le necessarie detrazioni per gli inquilini con particolare riguardo alle famiglie;
la «cedolare secca» si propone due obiettivi fondamentali: indurre molti proprietari ad affittare i loro immobili disponibili per agire positivamente sul mercato dell'affitto e determinare l'emersione del sommerso che si valuta essere molto ampio in questo settore. Con la proposta contenuta in questo schema di decreto legislativo nessuno di questi due obiettivi verrà raggiunto, e in più si determinerà un buco nel bilancio dello Stato;
inoltre, in presenza di contratti di locazione a canone concordato, spariscono una serie di agevolazioni, sia per il proprietario sia per il conduttore, che finora hanno garantito l'appetibilità di tale strumento: e ciò rischia di contribuire ad una forte contrazione nell'utilizzo di tale importante strumento sociale, quale si è rivelato nelle realtà in cui è stato opportunamente valorizzato e sostenuto, a vantaggio dei contratti di locazione a canone libero, con ricadute difficilmente gestibili proprio nei comuni a più alta tensione abitativa;
resta inoltre il grave problema dell'incertezza di entrate per i comuni nella fase transitoria 2011-2013, poiché il Fondo di riequilibrio viene distribuito annualmente in base alle decisioni della Conferenza Stato - Città e autonomie locali. È molto negativo che il Governo abbia respinto gli emendamenti tesi ad estendere anche al 2013 la salvaguardia delle risorse per i comuni e ad evitare che vi siano perdite di entrate significative e ingiustificate per ciascun comune fino all'entrata in vigore del meccanismo di superamento della spesa storica basato sui fabbisogni standard;
meno risorse per i comuni, più tasse per i cittadini, meno autonomia tributaria locale: non è certo questo il federalismo della legge n. 42 del 2009, ma è quello che prevede lo schema di decreto legislativo che è ora all'esame di questa Assemblea;
tutto ciò avviene peraltro in un quadro molto deludente di applicazione della legge n. 42 del 2009: mancano il patto di convergenza e gli obiettivi di servizio che dovrebbero essere contenuti nella legge di stabilità; manca la ricognizione a legislazione vigente dei livelli essenziali delle prestazioni; manca il sistema finanziario per le città metropolitane; mancano le funzioni e il sistema finanziario per Roma Capitale. Le norme previste nei prossimi decreti sui sistemi perequativi di regioni ed enti locali, sugli interventi speciali per ridurre le diseguaglianze territoriali e sulla perequazione infrastrutturale ricalcano il testo della legge delega, e sono perciò inattuate,
non le approva.
(6-00066)
«Franceschini, Bersani, Ventura, Maran, Villecco Calipari, Amici, Boccia, Lenzi, Quartiani, Giachetti, Rosato, Causi, Misiani, Nannicini, Soro, Baretta, Bressa, Fluvi».

La Camera,
premesso che:
le riforme istituzionali si dovrebbero fare avendo in mente il futuro e l'interesse generale del Paese;
una riforma in senso federalista non può comportare maggiori prelievi fiscali per i cittadini e deve necessariamente tenere conto delle differenze tra contesti regionali locali, in termini di gap infrastrutturali, territoriali ed economici;
la legge delega sul federalismo fiscale, n. 42 del 2009, costituiva un'occasione propizia per eliminare l'enorme confusione che la riforma costituzionale del 2001 ha prodotto nello schema di ripartizione di competenze tra Stato, regioni ed enti locali. In realtà si è prodotto un aumento delle competenze amministrative per gli organi periferici senza che ciò, di contro, comportasse uno snellimento dell'attività dello Stato;
invece è stata approvata una delega in bianco al Governo per individuare la classificazione dei livelli essenziali e per determinare quali imposte si possano manovrare, con il rischio che un utilizzo distorto della leva fiscale possa determinare squilibri e disuguaglianze territoriali;
una corretta attuazione del federalismo fiscale avrebbe dovuto presupporre in particolar modo tre ragioni: ragioni politiche, in quanto il decentramento accentua la partecipazione dei cittadini alle scelte pubbliche rafforzando la democrazia cosicché i rappresentanti politici siano più controllati nel loro operato; ragioni organizzative, in quanto le soluzioni accentrate portano ad un maggior disordine nella divisione del lavoro, mentre il decentramento favorisce una maggiore sperimentazione ed innovazione nella fornitura di servizi pubblici, incentivata da opportuni trasferimenti dal livello superiore di governo e soprattutto dalla competizione e dall'imitazione tra i governi; ragioni economiche, in base alle quali il decentramento dovrebbe produrre un aumento dell'efficienza nello svolgere determinate funzioni da parte degli enti decentrati, in particolare inerenti alla produzione di beni pubblici di interesse locale;
uno dei princìpi cardine per una corretta attuazione del federalismo fiscale consiste nel fatto che una vera e propria autonomia fiscale degli enti locali si giustifica soltanto nel caso in cui sussista una vera e propria autonomia di spesa, con l'attribuzione a detti enti di numerose e qualificanti funzioni, ed una perfetta coerenza tra benefici offerti dagli enti più prossimi ai cittadini rispetto ai contributi fiscali destinati agli enti stessi: solo cosi si rispetta uno dei fondamenti teorici del federalismo fiscale, il «principio del beneficio»;
collegare, infatti, il potere di imposizione tributario con quello di rappresentanza e di spesa consente di realizzare una fortissima saldatura della rappresentanza politica con la responsabilità politica, rendendo più diretta la correlazione tra tassazione e beneficio: tra prelievo effettuato ai cittadini e servizio,
lo schema di decreto sul federalismo municipale, approvato in prima lettura dal Governo il 4 agosto, è stato trasmesso alle Camere nel novembre successivo senza che si raggiungesse l'intesa con la Conferenza Unificata. Successivamente, a conclusione di un lungo e approfondito esame da parte delle Commissioni parlamentari, il relatore della Commissione bicamerale per l'attuazione del federalismo, istituita ai sensi dell'articolo 2 della legge n. 42 del 2009, ha proposto un parere favorevole corredato di una serie di condizioni il cui eventuale accoglimento prefigurava un testo radicalmente nuovo. Tale parere peraltro, messo ai voti, è risultato respinto. Di conseguenza non si è neppure espressa la Commissione bilancio della Camera, mentre la Commissione bilancio del Senato si è espressa sulla bozza di parere poi bocciata dalla bicamerale;
di fronte a questa plateale bocciatura sia del testo originario (totalmente riscritta dal relatore della bicamerale) che della proposta presentata dal relatore d'intesa con il Governo, l'Esecutivo ha tentato di fare come se nulla fosse e di approvare il testo bocciato in Parlamento nel corso di una riunione del Consiglio dei ministri convocata in fretta e furia, laddove invece l'articolo 2, comma 4, della legge n. 42 del 2009, stabilisce che «Il Governo, qualora non intenda conformarsi ai pareri parlamentari, ritrasmette i testi alle Camere con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni e rende comunicazioni davanti a ciascuna Camera. Decorsi trenta giorni dalla data della nuova trasmissione, i decreti possono comunque essere adottati in via definitiva dal Governo. Il Governo, qualora, anche a seguito dell'espressione dei pareri parlamentari, non intenda conformarsi all'intesa raggiunta in Conferenza unificata, trasmette alle Camere e alla stessa Conferenza unificata una relazione nella quale sono indicate le specifiche motivazioni di difformità dall'intesa.»;
dalla disposizione citata si ricava che, affinché il Governo, «qualora non intenda conformarsi ai pareri parlamentari», sia legittimato ad apportare al testo originario del decreto (che rimane quello del 4 agosto) «osservazioni e modifiche», occorre che un parere positivamente espresso dalle Commissioni parlamentari esista;
nel caso dello schema di decreto legislativo sul federalismo municipale, al contrario, i pareri parlamentari non esistono e non perché non sia stato espresso un parere ma perché la proposta è stata respinta. È quindi opinabile che questa procedura sia conforme alla legge, che avrebbe sicuramente consentito, decorsi i termini, o di approvare il testo originario di agosto (soluzione peraltro impraticabile in quanto tale testo avrebbe determinato la sollevazione dei Comuni); ovvero, non conformandosi al parere respinto, di recepire le principali motivazioni di quel voto, apportando al testo alcune sostanziali modifiche. Sarebbe stato poi in ogni caso necessario un nuovo vaglio da parte della Conferenza Unificata;
dunque, lo spirito della legge sarebbe formalmente violato se i decreti attuativi del federalismo fiscale, cioè di una riforma che coinvolge l'intero sistema istituzionale, amministrativo, fiscale e finanziario della Repubblica, non fossero attuati con il massimo della condivisione e del coinvolgimento del Parlamento e del sistema delle autonomie;
ciò determina conseguenze di carattere giuridico e di natura politica: in primo luogo, il decreto sul federalismo municipale sarebbe esposto al giudizio di incostituzionalità del giudice delle leggi, esponendo così all'incertezza e alla precarietà l'intero sistema della finanza locale. I bilanci degli enti locali sarebbero approvati sulla base di norme che la Corte costituzionale potrebbe dichiarare incostituzionali; in secondo luogo il prosieguo dell'attuazione del federalismo non potrebbe più giovarsi di quel clima di leale cooperazione tra istituzioni che la complessità di tale processo esige e che sarebbe invece irrimediabilmente messo in crisi se il Governo dimostrasse, con il suo comportamento, di ignorare il ruolo delle Commissioni parlamentari, e, innanzi tutto, della Commissione bicamerale per l'attuazione del federalismo fiscale, il cui deliberato verrebbe del tutto vanificato. Così come concepito, questo modello di federalismo fiscale è pericoloso innanzi tutto perché viene portato avanti esclusivamente per meri obiettivi politici piuttosto che spinto dalla necessità di risolvere realmente i problemi del Paese e la disparità tra territori e regioni per natura profondamente diversi;
anziché procedere in modo frettoloso all'attuazione del federalismo fiscale probabilmente sarebbe stato più opportuno rivedere il sistema istituzionale, in modo tale da stabilire le competenze da attribuire ai vari livelli di Governo così da delineare in modo chiaro «chi fa che cosa»;
il federalismo fiscale sarebbe dovuto essere la parte finale di una più precisa riforma istituzionale;
in particolar modo le riforme da intraprendere avrebbero dovuto riguardare innanzi tutto il ridisegno dell'assetto statale, in modo da renderlo più «snello», «leggero» e meno burocratico; la riduzione del numero dei parlamentari, visto che appare superfluo mantenerne un così alto numero con il nuovo assetto federale; l'abolizione delle province, considerate come enti di governo periferici inutili e costosi; l'accorpamento dei comuni, considerato che in Italia ci sono 6 mila comuni con meno di 5 mila abitanti;
inoltre il federalismo fiscale non attua, come sempre si era annunciato, una riforma e una semplificazione dell'amministrazione locale (aggregazione dei comuni, riduzione dei livelli di governo, specificazione-specializzazione delle funzioni) ma lascia tutto com'è. Il risultato sarà che l'efficienza si perseguirà solo riducendo i servizi e non migliorando l'organizzazione e i costi;
il provvedimento attuativo del cosiddetto federalismo municipale sembra un'operazione di dubbio apprezzamento e costruito non tenendo affatto conto di una dotazione di risorse drasticamente ridotte rispetto al passato: sostituire la logica dei trasferimenti con la devoluzione dei tributi è sicuramente inconsistente se non si recuperano i tagli operati agli enti locali con le ultime manovre finanziarie;
il decreto legislativo in discussione in realtà comporta, infatti, un aumento mascherato dell'imposizione fiscale che ricadrà sui cittadini: sembrerebbe che il Governo stia cercando di offrire ai comuni la possibilità di aumentare l'imposizione fiscale per ovviare agli ingenti danni provocati dai tagli ai trasferimenti operati dalle ultime manovre finanziarie;
il sistema proposto non assicura la copertura finanziaria del fabbisogno dei comuni. Ciò vorrà dire che l'addizionale IRPEF e le altre nuove tasse (di soggiorno, di scopo) serviranno non a finanziare spese aggiuntive ma a coprire il fabbisogno ordinario;
la cosiddetta «cedolare secca» sugli affitti, che in realtà è un'imposta sostitutiva dell'IRPEF sulle locazioni di abitazioni, è un provvedimento oltremodo iniquo, in quanto sposta l'imposizione immobiliare rendendola proporzionale anziché progressiva: le imposte proporzionali favoriscono indubbiamente i redditi più alti rispetto a quelli più bassi;
rispetto alla versione originaria del decreto, già insufficiente ed inconsistente, l'ultima previsione sull'istituzione della cedolare sugli affitti non prevede alcun beneficio fiscale per le famiglie affittuarie con figli;
nato con l'obiettivo di combattere l'evasione fiscale nelle locazioni immobiliari, il recupero di gettito fiscale non è quantificabile e certo, soprattutto perché non è prevista alcuna forma di contrasto di interessi tra locatore e conduttore; sarebbe molto più opportuno prevedere una deducibilità crescente degli affitti in funzione del numero dei componenti del nucleo familiare;
l'istituzione dell'imposta di soggiorno è del tutto ingiustificata e ha solo l'obiettivo di aumentare l'imposizione fiscale dei comuni e stimolare oltre tutto una competizione tra località turistiche limitrofe basata sul peso delle imposte di soggiorno applicate; costituisce inoltre un palese deterrente per l'attrazione di turisti stranieri in Italia;
le imprese del settore turistico subiranno in modo particolare l'imposta, in quanto dovranno rivedere al ribasso i loro prezzi a fronte di costi che resterebbero comunque immutati; tutto questo mentre l'OCSE, proprio di recente, ha bocciato il settore turistico italiano;
la tassa di scopo sulle opere pubbliche è in realtà un'imposta patrimoniale mascherata. È un'evidente discriminazione perché le opere pubbliche che per il 60 per cento attualmente sono fatte dai comuni non saranno più a carico della fiscalità generale ma ricadranno sui cittadini che rischiano di doverle pagare attraverso una patrimoniale sulle infrastrutture;
l'istituzione dell'imposta municipale propria penalizzerà soprattutto le imprese e gli immobili strumentali posseduti dalle stesse: l'aliquota IMU al 7,6 per mille, infatti, comporterà un aumento d'imposizione fiscale del 18,75 per cento circa rispetto all'attuale ICI che pagano le imprese,

impegna il Governo:

nel procedimento di adozione dei prossimi schemi di decreto legislativo per l'attuazione del federalismo fiscale, al dovuto rispetto delle istituzioni che prendono parte all'iter di esame e delle sedi parlamentari;
a prevedere nel decreto interventi di maggiore tutela verso le famiglie;
a rimodulare la prevista applicazione dell'imposta municipale propria che rappresenta un aggravio della già elevata pressione fiscale ricadente sulle piccole e medie imprese;
ad eliminare le ulteriori nuove imposte introdotte dal provvedimento che risultano particolarmente penalizzanti per il settore del turismo e del suo indotto (tassa di soggiorno) e per i cittadini che subiranno di fatto l'imposizione di una patrimoniale sulle infrastrutture (tassa di scopo);
a rendere noti i criteri mediante i quali verrà utilizzato il Fondo sperimentale d'equilibrio (che sostituirà i trasferimenti) e come verrà ripartito tra i comuni; di perequazione si parla troppo poco nei decreti legislativi, mentre l'aumento della pressione fiscale locale peserà sui cittadini e acuirà ancor di più le distanze tra i territori ricchi e quelli in ritardo nello sviluppo;
a prevedere meccanismi di «contrasto d'interessi» tra locatori e conduttori, in modo da rendere più efficace e perseguibile l'obiettivo di impedire l'evasione fiscale nelle locazioni immobiliari.
(6-00067)
«Galletti, Della Vedova, Lanzillotta».

La Camera,
udite le comunicazioni del Governo ed esaminato il testo, con modificazioni, dello schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale e relative osservazioni del Governo,
considerato che:
l'articolo 47, secondo comma, della Costituzione recita: «[La Repubblica] favorisce l'accesso del risparmio popolare alla proprietà dell'abitazione»; in conseguenza di questo, oltre a negarsi quanto da più parti erroneamente sostenuto, che allo Stato spetti il compito di realizzare e cedere gratuitamente gli immobili abitativi, si esprime chiaramente la preferenza dei costituenti per un regime di proprietà diffusa tra i cittadini degli immobili abitativi;
se gli oneri per acquistare o locare un'abitazione o un'immobile commerciale o produttivo sono relativamente bassi in proporzione al reddito, ciò contribuisce in misura rilevante a mantenere basse le spese per la produzione del reddito, requisito primario per il calmieramento generale dei prezzi al consumo; la casa di proprietà costituisce inoltre un eccellente deposito di valore, in forza della graduale rivalutazione nel tempo del patrimonio immobiliare;
i risultati delle attività finanziarie che hanno considerato gli immobili a meri fini speculativi, (il cosiddetto «mattone di carta») sono sotto gli occhi di tutti: la bolla immobiliare ha dapprima innalzato a dismisura i prezzi degli immobili; la crisi «subprime» li ha successivamente abbattuti ben al di sotto del valore reale; in entrambe i casi si è registrato un danno alle famiglie ed alle attività produttive;
lo schema di decreto legislativo in esame costituisce l'occasione per riaffermare il valore del dettato costituzionale in materia di accesso diffuso alla proprietà dell'abitazione,

impegna il Governo

a provvedere alla progressiva equiparazione tra persone fisiche e persone giuridiche del livello di tassazione dei redditi immobiliari, comunque definiti, sia per civile abitazione che commerciali e produttivi, individuando peraltro i casi in cui una società immobiliare costituisce uno schermo fittizio, costituito per la gestione di un patrimonio immobiliare familiare;
ad impedire che quote, anche ampie, del patrimonio immobiliare possano rimanere inutilizzate, a prevedere che i comuni ad alta densità abitativa siano messi in grado di applicare una forte tassazione progressiva in base al tempo di mancato uso, per gli immobili civili e commerciali lasciati sfitti;
a favorire la certezza del diritto dei proprietari degli immobili e la conseguente messa sul mercato degli stessi con evidente calmieramento dei prezzi, a garantire adeguata rapidità e certezza di conclusione ai procedimenti di recupero degli immobili per finita locazione o per morosità;
a favorire la mobilità sul territorio dei cittadini mediante la rapida circolazione degli immobili, a semplificare quanto più possibile i passaggi di proprietà, eventualmente favorendo la costituzione nei comuni più grandi di appositi uffici casa in grado di svolgere gli adempimenti burocratici relativi ai passaggi di proprietà;
per i medesimi fini di cui al punto precedente, a favorire quanto più possibile la trasparenza sui gravami a carico degli immobili ad esempio prevedendo che sia ipoteche che servitù non possano essere opposti se non iscritti nella Conservatoria dei registri immobiliari.
(6-00068) «Mario Pepe (IR)».