XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di giovedì 7 luglio 2011

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:

La Camera,
premesso che:
la contraffazione nel nostro Paese rappresenta, secondo gli ultimi studi condotti dal Censis e le risultanze derivanti dalle indagini eseguite dalla Guardia di finanza, una vera e propria economia parallela che ogni anno fattura più di 7 miliardi di euro, con conseguenti ingentissime perdite per il bilancio dello Stato in termini di mancate entrate fiscali e contributive e ben 130 mila posti di lavoro sottratti all'economia regolare;
il fenomeno della contraffazione, inoltre, si avvale di metodi sempre più sofisticati e risulta in aumento nel nostro Paese, come del resto testimoniano i dati ufficiali più recenti con riferimento all'anno 2010 e i primi 5 mesi dell'anno 2011:
a) nel corso del 2010 la Guardia di finanza ha sequestrato 110 milioni di prodotti contraffatti o pericolosi e sono state denunciate all'autorità giudiziaria ben 13.234 persone. Nel corso delle indagini compiute nel 2010 è stato accertato come il fenomeno della contraffazione si stia progressivamente sviluppando nell'ambito di una molteplicità di settori merceologici che vanno dai ricambi delle auto ai caschi per le motociclette, dai farmaci ai cosmetici, dagli oggetti di bigiotteria, alle figurine, dai giocattoli agli alimenti. In buona sostanza, sebbene l'alta moda, l'abbigliamento e i suoi accessori si siano confermati settori in cui la contraffazione e la falsa indicazione del made in Italy sono ancora fortemente diffusi, le operazioni condotte nel 2010 hanno evidenziato un notevole aumento dei sequestri di beni di largo consumo (+ 36 per cento) e di prodotti pericolosi per la salute (+33 per cento). Si conferma, inoltre, il coinvolgimento sempre maggiore della criminalità organizzata italiana e straniera nell'industria del falso: 341 sono le persone che sono state denunciate per associazione per delinquere finalizzata alla contraffazione e 98 quelle arrestate, il 50 per cento in più rispetto al 2009;
b) nei soli primi 5 mesi del 2011 sono state sequestrate quasi 37 milioni di merci contraffatte. Il comparto moda continua ad essere quello in cui si registrano i sequestri più ingenti (quasi 16 milioni di prodotti), anche se il settore che attualmente manifesta il più marcato trend in aumento (+35 per cento rispetto ai primi cinque mesi del 2010) è quello dei beni di largo consumo, tra cui emergono i sequestri di cosmetici contraffatti o insicuri, aumentati di sei volte rispetto al corrispondente periodo dello scorso anno;
la contraffazione di alcuni prodotti, in particolare, come quelli farmaceutici, gli alimentari, i giocattoli o le parti di veicoli, rappresenta un pericolo immediato per i consumatori, minacciandone la salute e la sicurezza. In materia di contraffazione di farmaci si segnala, in particolare, l'allarme lanciato il 25 marzo 2011 dall'Adiconsum (Associazione difesa consumatori e ambiente) che ha pubblicato un'indagine dalla quale emerge che ogni anno in Europa 200.000 persone muoiono di malaria perché curati con farmaci contraffatti, mentre 50.000 bambini perdono la vita dopo aver ricevuto una vaccinazione antimeningite rivelatasi in seguito contraffatta;
l'Italia, inoltre, è uno dei Paesi a maggiore rischio di perdita di competitività a causa dello sviluppo del mercato del falso, sia perché caratterizzata da un tessuto produttivo composto in gran parte da piccole e medie imprese che sovente riscontrano enormi difficoltà nel contrastare adeguatamente il fenomeno, sia perché l'Italia vanta una significativa quota di produzione e di export nel settore dei beni di lusso che corrisponde a uno di quei settori maggiormente esposti alla concorrenza sleale dei prodotti contraffatti;
alla base dello sviluppo dell'industria della contraffazione concorrono vari

fattori tra i quali si annovera, in particolare, la globalizzazione del mercato che ha spostato le produzioni nei Paesi asiatici e in quelli dell'est europeo, dove il costo della manodopera è molto più esiguo che in Italia. La produzione mondiale di merci contraffatte proviene, infatti, per il 70 per cento dal sud-est asiatico (soprattutto Cina, ma anche Thailandia, Taiwan e Corea) e la relativa destinazione interessa per il 60 per cento l'Unione europea;
la produzione di merci contraffatte in Italia si concentra per il 69 per cento nelle regioni del Sud ed interessa, in particolare, la regione Campania (cd, dvd, abbigliamento) che guida con largo margine la classifica con quasi la metà dei prodotti sequestrati su tutto il territorio nazionale. Alla Campania seguono la regione Lombardia nei settori della componentistica elettronica e dei profumi, il Veneto specie nei settori degli occhiali e delle calzature, le Marche, la Toscana (in particolare, Prato nel settore della pelletteria) e la Puglia;
secondo quanto emerge dalla recentissima indagine «Le caratteristiche della criminalità organizzata cinese in Italia», presentata in data 18 maggio 2011 dall'Osservatorio socio-economico sulla criminalità del Cnel, la contraffazione di prodotti costituisce il principale business delle organizzazioni criminali cinesi in Italia e Roma rappresenta il principale centro di smistamento e stoccaggio di questa merce che, in numerosissimi casi, reca il marchio contraffatto CE, quale acronimo di «China Export» in violazione delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 194, di recepimento della direttiva 2004/108/CE che vietano l'utilizzazione di segni che possano indurre in errore il consumatore in relazione al significato o alla forma grafica della marcatura CE che, come noto significa «Conformité Européenne» ed indica che il prodotto che lo porta è conforme ai requisiti essenziali previsti da direttive in materia di sicurezza, sanità pubblica e tutela del consumatore;
il fenomeno della contraffazione si presenta come un insieme complesso di violazioni a leggi, norme, regolamenti e vincoli contrattuali che regolano i diritti di proprietà intellettuale e di sfruttamento commerciale di prodotti di ogni genere ed è caratterizzato dalla presenza in Italia di due realtà particolarmente massicce: a) le merci contraffatte, ovvero le merci che recano illecitamente un marchio identico ad un marchio registrato; b) le merci usurpative, cioè quelle merci che costituiscono riproduzioni illecite di prodotti coperti da copyright;
attorno a queste due tipologie predominanti, esiste un'ulteriore realtà di vari fenomeni illeciti, o al limite del lecito, che costituiscono un habitat favorevole alla contraffazione, alla pirateria e a ogni altra attività criminale ad esse connessa. Fra questi si menzionano: a) le sovrapproduzioni illegittime approntate da licenziatari di produzione infedeli e da questi smerciate, con o senza il marchio originale, ma comunque in violazione del contratto di licenza; b) le produzioni destinate contrattualmente a specifiche aree geografiche, ma dirottate da licenziatari commerciali infedeli fuori dalle zone di loro pertinenza; c) la produzione di prodotti che, senza violare direttamente marchi o modelli, ne imitano in maniera tendenziosa e confusiva l'aspetto;
i disastri prodotti dalla contraffazione si configurano come l'esatto opposto dei benefici prodotti dalla sana concorrenza, in cui i produttori competono l'uno contro l'altro per il favore del consumatore sulla base della qualità e del prezzo. Lo scopo del contraffattore è invece quello di realizzare guadagni attraverso l'inganno, assumendo fraudolentemente l'identità di un produttore famoso e affidabile, in modo da evitare gli investimenti necessari per creare prodotti autenticamente di buona qualità. Il contraffattore non ha, quindi, nessun interesse ad investire nella buona qualità dei materiali impiegati, nei sistemi di controllo della qualità degli oggetti prodotti, nella ricerca e sviluppo volta alla continua innovazione

e, infine, nello sviluppo di tecniche di comunicazione e vendita volte a proporre i propri prodotti;
la contraffazione che, nell'immaginario collettivo continua ad essere considerata un trascurabile fenomeno di «microcriminalità» più folcloristica che preoccupante, presenta invece le caratteristiche di un vero e proprio cancro che aggredisce progressivamente la società in tutto il suo insieme;
nella seduta del 13 luglio 2010 la Camera dei deputati ha approvato il testo unificato doc. XXII, n. 12-16-A, che istituisce una Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale;
durante l'audizione svoltasi il 16 febbraio 2011 del comandante generale della Guardia di finanza, generale di corpo d'armata Nino Di Paolo, è emersa con tutta evidenza l'esigenza di intervenire nella lotta alla contraffazione anche e soprattutto attraverso un cambiamento della cultura e della percezione da parte del consumatore, facendo conoscere il valore, non solo culturale ma anche tecnico della merce che si acquista. Il consumatore, in buona sostanza, deve percepire che attingere all'offerta illecita non è un affare, non soltanto in termini di pericolosità ma anche in termini economici;
durante l'audizione dei rappresentanti di Confindustria del 16 marzo 2011 è stata altresì evidenziata l'esigenza di arricchire la legislazione attualmente vigente sulla contraffazione con normative più precise in materia di commercio elettronico a livello internazionale;
durante l'audizione del sottocapo di Stato maggiore del comando generale dell'Arma dei carabinieri, generale di divisione Antonio Ricciardi, svoltasi recentissimamente, ovvero il 22 giugno 2011, nell'analizzare nello specifico gli aspetti relativi alla lotta all'agropirateria, è stato sottolineato come, per quanto concerne gli aspetti relativi alle problematiche legate all'italian sounding, ovvero l'evocazione in etichetta dei prodotti tipici italiani, che penalizza gravemente le produzioni agroalimentari nazionali, si registri una carenza di strumenti di tutela a livello internazionale per la mancanza di una normativa che renda obbligatoria l'indicazione in etichetta della vera origine del prodotto agroalimentare,


impegna il Governo:


ad adottare con urgenza ogni iniziativa di competenza, anche presso le competenti sedi europee, volta ad arginare il dirompente fenomeno della contraffazione che minaccia i consumatori e le imprese del nostro Paese, sollecitando gli Stati membri dell'Unione europea ad attuare un efficace e continuo monitoraggio in tempo reale delle importazioni extracomunitarie provenienti in particolare dal sud-est asiatico, e segnatamente dalla Cina, così da garantire la piena attuazione dei divieti e delle correlative sanzioni previste dal decreto legislativo 6 novembre 2007, n.194, di recepimento della direttiva 2004/108/CE;
ad assumere ogni iniziativa, anche normativa, volta a potenziare il controllo della diffusione delle merci contraffatte su siti di compravendita on line, come e-Bay, promuovendo al contempo le opportune iniziative affinché l'Unione europea - oltre al nostro Paese - si faccia carico di portare avanti dei regolamenti a livello di Wto (World trade organization - Organizzazione mondiale del commercio) nell'ottica di riordinare l'intera normativa in materia;
a rafforzare ulteriormente le politiche di tutela e di controllo della qualità dei prodotti agricoli e di contrasto alla contraffazione ed all'«agropirateria» sui mercati interni ed esteri;
ad adottare le opportune iniziative tese ad avviare specifiche campagne informative nelle scuole di istruzione primaria e secondaria sulla gravità del fenomeno della contraffazione, rafforzando al contempo gli strumenti di sensibilizzazione dei consumatori italiani utilizzati sino ad oggi dalle istituzioni pubbliche;

a valutare l'opportunità di adottare ogni atto di competenza volto a dotare le dogane italiane di strumenti tecnologici adeguati al controllo qualitativo delle merci, al fine di individuare la presenza di sostanze vietate per legge e pericolose per la salute pubblica;
ad individuare specifici indirizzi per sostenere il made in Italy e per promuovere l'immagine dell'Italia all'estero, anche attraverso l'implementazione di strumenti efficaci a contrastare gli abusi di mercato e la contraffazione a garanzia delle imprese e a tutela dei consumatori, valutando altresì l'opportunità di incrementare le risorse finanziarie attualmente previste dalla decisione di bilancio 2011 per sostenere la lotta alla contraffazione pari a soli 0,9 milioni di euro (tab.3, missione 1, competitività e sviluppo delle imprese (11), programma 1.1. cap. 2385).
(1-00684)
«Cimadoro, Donadi, Borghesi, Evangelisti, Barbato, Cambursano, Di Pietro, Di Giuseppe, Di Stanislao, Favia, Aniello Formisano, Messina, Monai, Mura, Leoluca Orlando, Paladini, Palagiano, Palomba, Piffari, Porcino, Rota, Zazzera».

La Camera,
premesso che:
il sistema di governo locale, pur facendo perno sui comuni e sulle province, si presenta oggi assai più articolato di quanto emerga dalla lettura dell'originario dettato costituzionale, non solo perché il legislatore ordinario ha istituito nuovi enti locali territoriali quali la comunità montana e la città metropolitana (quest'ultima ora costituzionalizzata), ma anche perché ha incentivato in vari modi la cooperazione e l'associazione tra gli enti locali;
per lungo tempo l'Italia è rimasta sostanzialmente estranea ad ogni operazione di semplificazione del reticolo del governo locale, pur essendo il problema di tutta evidenza;
il regime fascista, stando ai dati del 1921, ereditò 9.144 comuni. Successivamente, con il regio decreto 29 luglio 1927 n. 1564, si tentò una politica di accorpamento di comuni che, nel breve volgere di qualche anno, li fece calare a 7.310 (nel 1931). In seguito questa tendenza si invertì evidenziando un aumento delle istituzioni locali di base: 7.681 nel 1946, 8.021 nel 1960, 8.056 nel 1971, 8.103 nel 1997. Il dato interessante è che anche dopo l'istituzione delle regioni, il numero dei comuni non accenna a diminuire. Ad oggi, abbiamo 8.101 comuni;
l'unione dei comuni è uno strumento amministrativo per la prima volta introdotto con la legge n. 142 del 1990, successivamente correto con la riforma attuata dalla legge n. 265 del 1999 e poi trasferito, con modifiche, nel Testo unico degli enti locali, decreto legislativo n. 267 del 2000. Le modifiche hanno principalmente riguardato i vincoli demografici per i comuni che desiderano partecipare ad un'unione, rimuovendo il tetto dei 5.000 abitanti (inizialmente l'istituto era stato pensato per i piccoli comuni) e l'obbligo di fusione;
nel nostro Paese le unioni sono 313 e vi aderiscono in tutto 1.561 comuni, per un totale di 5.758.607 abitanti. Le 313 unioni di comuni sono distribuite in 17 regioni italiane (non ne esistono in Valle d'Aosta, Liguria e Basilicata, probabilmente anche a causa della conformazione del territorio delle stesse e della storica presenza di comunità montane). Le unioni italiane sono composte in media da 5 comuni, con un range di variabilità ampio, andando da un minimo di 2 comuni ad un massimo di 20. I dati nazionali testimoniano comunque una prevalenza di unioni composte da pochi comuni. Questo comporta che sul piano nazionale, ogni unione è abitata in media da 18.398 abitanti, raggiungendo quindi agglomerati di una certa importanza. In termini relativi, le

unioni con popolazione tra 10.000 e 25.000 abitanti rappresentano la maggioranza (35 per cento);
l'unione, nasce con lo scopo di gestire e migliorare la qualità dei servizi erogati e delle funzioni svolte, di ottimizzare le risorse economico-finanziarie, umane e strumentali, di esercitare ai sensi dell'articolo 32, comma 2, del decreto legislativo n. 267 del 2000, in forma unificata per i comuni aderenti, le seguenti funzioni e servizi, nonché le funzioni previste dal decreto-legge 31 maggio 2010, 78 (misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica): servizi sociali; protezione civile; canile; musei; servizi ricreativi e culturali; avvocatura; mobilità - sistema trasporti intercomunali; sportello unico informa giovani; ufficio coordinamento dello sviluppo economico, sociale, ambientale, infrastrutturale del comprensorio, utilizzando tutti gli strumenti di concertazione e partenariato sociale opportuno; servizio informatico; servizio affissioni; difensore civico; nucleo di valutazione; servizio di mappatura delle funzioni e dei servizi dell'unione. All'unione possono essere attribuite altre funzioni e/o servizi con deliberazione del consiglio dell'unione previa delibera in tal senso dei comuni partecipanti all'Unione stessa;
la crisi e il processo di globalizzazione impongono la necessità di superare le frammentazioni e presentare i territori come entità coese, organizzate e rappresentative dei bisogni sociali ed economici della collettività. Le unioni possono rappresentare un utile strumento per superare le difficoltà che i comuni di piccole e medie dimensioni incontrano e nel reperire le risorse finanziarie necessarie alla fornitura di servizi per la collettività;
l'unione dei comuni, se opera correttamente può consentire una maggiore efficacia ed efficienza nella spesa per servizi con effetti favorevoli sulla crescita economica delle aree interessata dall'unione. I fattori che possono rendere conveniente l'istituzione di un'unione di comuni sono i seguenti: un miglioramento qualitativo dei servizi (anche in rapporto al loro costo); una gestione più razionale delle risorse (anche umane) e un taglio dei costi; un miglioramento quantitativo dei servizi; un maggiore potere contrattuale nella richiesta di contributi allo Stato, alla regione o all'Unione europea;
le unioni, trasmettono un senso di attivismo e di sapienza innovativa, e soprattutto aumentano la percezione positiva, da parte dell'opinione pubblica locale, riguardo l'operato delle amministrazioni. Offrono l'immagine di enti che vogliono fare, che si stanno dando da fare. Danno l'idea di una perizia concreta da parte delle amministrazioni nel loro agire. Un altro punto a vantaggio delle unioni è quello di incrementare il senso della comunità. Questo è un aspetto importante: valorizzano il senso del locale, confutano l'idea che vivere nei piccoli centri vuol dire avere meno servizi;
le unioni sono avvertite come una risposta allo spopolamento, un segnale della volontà di chi amministra, di chi fa politica, di occuparsi non solo del territorio, ma anche di invertire il processo di allontanamento dello sviluppo dai piccoli centri;
in altri Paesi europei l'aggregazione dei comuni ha dato ottimi risultati. In Danimarca è stato recentemente stabilito che gli attuali 260 comuni verranno ridotti a circa un centinaio attraverso un vasto processo di fusione, che risulta ampiamente condiviso e promosso dal basso. La Danimarca può essere considerata un caso di punta nel processo fusionista che però ha interessato in tempi non recentissimi anche altri paesi del centro e nord Europa, a differenza dei paesi «Club Méd», Francia (37.763 comuni), Italia e Spagna. Il Belgio è passato da 2.669 comuni a circa 600; la Germania da 38.814 comuni a poco più di 8 mila; la Gran Bretagna da 1.383 comuni a 400; la Svezia da 2.281 comuni a 286;
le giurisdizioni di base, i comuni e enti analoghi, presentano nella loro consistenza

demografica una variabilità enorme. La popolazione media di un comune francese è di circa 1.600 abitanti, di un comune italiano di poco superiore ai 7.100, in Inghilterra e nel Galles di 135.700. Inoltre, in Austria, Francia, Italia e Spagna sono presenti gamme demografiche molto ampie, da giurisdizioni di poche decine di abitanti a città di milioni di abitanti. Nei paesi scandinavi la taglia minima si aggira attorno ai 5.000 abitanti, con una media tra 10.000 e 30.000;
i comuni sono la più antica istituzione italiana, quella più vicina ai cittadini e non è possibile pensare di sopprimerla. Si dovrebbe dunque prevedere che resti il consiglio comunale ed il sindaco, ma che tutti i servizi comunali siano affidati ad una unione tra comuni (senza alcun costo aggiuntivo a carico dei comuni) in modo da raggiungere una soglia minima di 20-25mila cittadini amministrati. Si avrebbero così circa 450 centri di spesa rispetto ai quasi 6000 di oggi. Oggi anche il più piccolo dei comuni ha un servizio demografico, un servizio tecnico, un servizio di contabilità, un servizio di assistenza sociale, un servizio di polizia comunale, un servizio elettorale e cosi via. Con l'obbligo di aggregazione tutti questi servizi dovranno essere affidati obbligatoriamente all'unione tra comuni, alla quale sarà trasferito tutto il personale. Ciò permetterà sensibili riduzioni dei costi, almeno del 20 per cento di quelli attuali,


impegna il Governo:


al fine di assicurare un efficace esercizio delle funzioni e dei servizi comunali in ambiti territoriali adeguati, a prendere le opportune iniziative anche normative - ferme restando le prerogative del Parlamento - per imporre ai comuni con popolazione inferiore a 20.000 abitanti di costituire un'unione ai sensi dell'articolo 32 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 e per stabilirne le funzioni fondamentali, precisando, per evitare duplicazioni, che i comuni non potranno svolgere singolarmente una funzione il cui esercizio sia stato demandato all'unione di comuni, specificando che spetterà alle regioni il compito di individuare con legge la dimensione ottimale e omogenea per area geografica, e semplificando al massimo la composizione degli organi dell'unione;
a destinare i risparmi conseguiti a seguito della costituzione delle unioni dei comuni a misure volte a ridurre la compartecipazione al servizio sanitario da parte degli assistiti ed a ripristinare una piena indicizzazione al costo della vita delle pensioni.
(1-00685)
«Donadi, Di Pietro, Borghesi, Evangelisti, Piffari, Aniello Formisano, Barbato, Palagiano, Cambursano, Cimadoro, Di Giuseppe, Di Stanislao, Favia, Messina, Monai, Mura, Leoluca Orlando, Paladini, Palomba, Porcino, Rota, Zazzera».

La Camera,
premesso che:
le autonomie territoriali, e in modo particolare i comuni, versano in una situazione di gravissima difficoltà finanziaria, evidenziata nella predisposizione dei bilanci preventivi per il 2011, con pesanti ripercussioni sui servizi forniti ai cittadini (nidi e scuole dell'infanzia, assistenza agli anziani e ai disabili, manutenzione strade, edifici e verde pubblico, polizia urbana), mentre altre forti difficoltà si annunciano per il 2012, visti i «tagli» già previsti dalla legislazione vigente;
infatti la manovra triennale di finanza pubblica 2011-2013 (legge 30 luglio 2010, n. 122, di conversione con modificazioni del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78), recepita successivamente nella legge di stabilità per il 2011 (legge 13 dicembre 2010, n. 220) grava in modo del tutto sproporzionato su comuni, province e regioni. Essa prevede che su circa 40 miliardi di euro complessivi di riduzione delle spese correnti ben 22,4 miliardi di euro, pari al 56 per cento, siano a carico

di comuni (1,5 miliardi di euro nel 2011, 2,5 miliardi di euro nel 2012 e nel 2013), province (300 milioni di euro nel 2011, 500 milioni di euro nel 2012 e nel 2013) e regioni (4,5 miliardi di euro nel 2011, 5,5 miliardi di euro nel 2012 e nel 2013), a cui va sottratto il contributo per Roma (300 milioni di euro nel 2011, 2012 e 2013), quando la spesa di regioni ed enti locali rappresenta solo il 35 per cento del complesso della spesa pubblica al netto degli interessi sul debito;
i vincoli del patto di stabilità interno, che agiscono anche sui pagamenti ai fornitori, sono stati conseguentemente inaspriti, e molte amministrazioni locali non hanno potuto impiegare risorse che avevano a disposizione creando così forti difficoltà in modo particolare al settore delle costruzioni, il quale il 1o dicembre 2010 ha protestato unito, associazioni d'impresa e sindacati dei lavoratori, per chiedere urgenti modifiche che peraltro non sono state apportate;
il successivo decreto legislativo in materia di federalismo fiscale municipale (decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23) nell'immediato, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, non ha fatto altro che dare la facoltà ai comuni di istituire l'imposta di soggiorno e di aumentare l'addizionale comunale all'IRPEF, con conseguente aggravio della pressione fiscale per le famiglie e per le imprese;
gli effetti estremamente negativi per il sistema-Paese di manovre di riduzione della spesa pubblica fatte pesare eccessivamente sulle autonomie territoriali, ed effettuate nei confronti delle amministrazioni centrali dello Stato con il metodo indifferenziato dei «tagli» lineari, si sono già cominciati a vedere nel 2010;
il rapporto della Corte dei Conti 2011 mette in particolare evidenza la forte contrazione della spesa per investimenti che si è registrata nel 2010 (-16 per cento per lo Stato, -18,5 per cento per le amministrazioni locali), tenendo conto che la spesa in conto capitale dei soli comuni nel 2009 era pari al 50 per cento della spesa complessiva per investimenti di tutta la pubblica amministrazione. Il rapporto si esprime con seguenti parole: «Non può sottacersi, anche all'interno di questo rapporto, il rischio che una manovra di bilancio impostata con il dovuto rigore, ma non sostenuta da una adeguata strategia di crescita, eserciti effetti depressivi non auspicati e si riveli, per questo, non pienamente sostenibile. Ne è in qualche modo testimonianza il fatto, a più riprese sottolineato nel Rapporto, che il ridimensionamento dei programmi di spesa si sia concentrato, soprattutto nelle amministrazioni locali e anche per l'operare degli strumenti di coordinamento, sugli investimenti. Si tratta di una soluzione non efficiente, in considerazione della capacità di accrescimento del potenziale di sviluppo che viene comunemente riconosciuta al processo di accumulazione pubblica (pagina 3)»;
il rapporto della Corte dei Conti è particolarmente severo con il complesso della manovra operata dal Governo sulle autonomie territoriali, sul versante sia della contrazione dei trasferimenti che delle regole del patto di stabilità interno, e si esprime nei seguenti termini: «Il risultato di questa compressione di trasferimenti è che le amministrazioni locali hanno conseguito, nel 2010, gli obiettivi di indebitamento loro assegnati, ma attraverso un percorso diverso da quello programmato. Le dinamiche della spesa sono state infatti contenute al di sotto dei valori iscritti nei documenti di programmazione, compensando in tal modo il ridimensionamento delle risorse trasferite. L'emergere di restrizioni di cassa si è riflessa soprattutto sulla spesa in conto capitale, che ha registrato la riduzione più consistente. In sostanza, l'equilibrio di bilancio è stato raggiunto in corrispondenza di una dimensione di bilancio inferiore a quella prevista in sede di fissazione degli obiettivi. Un risultato che, presumibilmente, determina forti difficoltà di funzionamento alle amministrazioni decentrate (pagina 34)»;

il rapporto annuale dell'ISTAT sulla situazione del Paese nel 2010 indica che nel 2008 la spesa sociale dei comuni, la quale copre quasi i due terzi delle spese per il welfare locale, ammontava a 6,7 miliardi di euro «...un valore molto contenuto sia in rapporto al prodotto del paese, sia in rapporto alla popolazione residente: la spesa media pro capite si attesta, infatti, a 111 euro». Il rapporto individua nei tagli effettuati per il 2011 ai fondi statali destinati agli interventi sociali (fondo nazionale per le politiche sociali, fondo per le politiche della famiglia, fondo per la non autosufficienza, fondo per l'infanzia e l'adolescenza, fondo per l'inclusione sociale degli immigrati) ulteriori condizioni di restrizione della spesa sociale dei comuni «...con il probabile aumento, in un contesto di forti differenziali territoriali, di bisogni non soddisfatti provenienti dai segmenti di popolazione più vulnerabile (4.4.2, Gli interventi e i servizi sociali offerti dai Comuni, pagine 199-206)»;
con il documento di economia e finanza 2011 l'Italia si è impegnata a raggiungere entro il 2014 un livello prossimo al pareggio di bilancio, conformando in questo modo la dinamica del bilancio pubblico agli obiettivi europei di medio termine (rapporto deficit/prodotto interno lordo al 3,9 per cento nel 2011, al 2,7 per cento nel 2012, all'1,5 per cento nel 2013 e allo 0,2 per cento nel 2014), con il sistematico incremento del surplus primario in prospettiva della crescente riduzione del debito pubblico;
in base alle notizie fino ad ora disponibili, la manovra di 47 miliardi di euro per il 2012-2014 recentemente approvata dal Governo rende permanenti i «tagli» della manovra 2011-2013, grava ancora in modo insostenibile su comuni (1 miliardo di euro nel 2013, 2 miliardi di euro a decorrere dal 2014), province (400 milioni di euro nel 2013, 800 milioni di euro a decorrere dal 2014) e regioni (1,8 miliardi di euro nel 2013, 3,6 miliardi di euro a decorrere dal 2014) per un complesso di 9,6 miliardi di euro sui 40 previsti per il 2013 e 2014, e interviene pesantemente anche su sanità e blocco degli organici. Essa introduce una ripartizione degli enti di ciascun livello di governo in classi di virtuosità sulla base di criteri che non si limitano a parametri economico-finanziari ma interferiscono pesantemente sulle scelte autonome di regioni ed enti locali, e riduce il Fondo sperimentale di riequilibrio e i fondi perequativi, come se fossero i vecchi trasferimenti in piena contraddizione con i principi del federalismo fiscale;
vi è l'inderogabile necessità di ripartire equamente il peso delle manovre, sia quella già approvata per il triennio 2011-2013 che quella in corso di approvazione per il triennio 2012-2014, tra i diversi livelli istituzionali, tenendo conto di criteri obiettivi che sottopongano anche la spesa dei Ministeri ad un'accurata valutazione (analisi micro e valutazione delle singole voci di spesa, con spending review sistematica; bilancio a base zero, per valutare tutto e tutti sotto il profilo dei costi, dei risultati e dell'adeguatezza; comparazione di risultati fondata su indicatori inseriti nel bilancio, come prevede la legge di contabilità; regola permanente di evoluzione della spesa, con obiettivi massimi fissati per un periodo molto lungo e verifiche a scadenze prefissate; ridisegno dell'intera pubblica amministrazione per semplificare, superare i doppioni e stabilire chiaramente «chi fa che cosa»), mentre per le autonomie territoriali la legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale ha già individuato il percorso per passare dalla spesa storica ai costi e fabbisogni standard, per quanto riguarda i livelli essenziali delle prestazioni e le funzioni fondamentali degli enti locali;
questa esigenza è avvertita anche dalla legge, in coerenza con i principi del federalismo fiscale che altrimenti risulterebbero completamente negati. Infatti, il comma 2 dell'articolo 14 della legge n. 122 del 2010 (manovra triennale 2011-2013) stabilisce che in sede di attuazione del federalismo fiscale «non si tiene conto» della riduzione dei trasferimenti statali a

regioni, comuni e province, mentre i commi 3 e 4 dell'articolo 39 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 (fisco regionale, provinciale e sanità), istituiscono clausole di salvaguardia per il 2012 a favore delle regioni che il Governo si è impegnato ad estendere anche a province e comuni;
la sede nella quale «concorrere alla definizione degli obiettivi di finanza pubblica per comparto, anche in relazione ai livelli di pressione fiscale e di indebitamento» è, a norma dell'articolo 5 della legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale, la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, che si avvale della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale (COPAFF) quale segreteria tecnica dotata di una specifica banca dati. Essa è riconosciuta come tale anche dalla legge 7 aprile 2011, n. 39, che ha recentemente modificato la legge di contabilità e finanza pubblica in relazione alle nuove regole adottate dall'Unione europea in materia di coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri;
il comma 2 dell'articolo 35 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 (fisco regionale, provinciale e sanità) stabilisce che «entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, deve essere convocata la riunione di insediamento della Conferenza». Tale termine è trascorso, e la manovra 2012-2014 approvata dal Governo non è neanche stata illustrata ai rappresentanti delle autonomie territoriali;
l'esigenza di ripartire equamente il peso delle manovre tra i diversi comparti di spesa pubblica assume un significato sostanziale anche alla luce della previsione tendenziale per l'anno 2012 contenuta nei quadri di dettaglio del documento di economia e finanza 2011, su cui inciderà ulteriormente la futura manovra, che per ora si basa sulla sostanziale invarianza della pressione fiscale e sulla riduzione di circa 1,7 punti di prodotto interno lordo della spesa pubblica. Secondo tale previsione la contrazione sarà determinata, a legislazione vigente, per soli 6 decimi di punto di prodotto interno lordo da minori spese delle amministrazioni centrali, per 2 decimi di punto di prodotto interno lordo da minori spese degli enti previdenziali e per quasi un punto di prodotto interno lordo da minori spese delle amministrazioni locali;
nel definire criteri equi per ripartire la manovra occorre tener conto che nel quinquennio 2005-2009 il saldo di bilancio della pubblica amministrazione è peggiorato di quasi 20 miliardi di euro, mentre nello stesso periodo il bilancio aggregato del comparto comunale ha registrato un miglioramento di 2,6 miliardi di euro;
i comuni concorrono in modo molto contenuto alla formazione del deficit della pubblica amministrazione previsto per il 2012, che costituisce il dato da ridurre. In base ai quadri tendenziali illustrati nel documento di economia e finanza 2011 si evince come tale concorso non superi il 3,3 per cento. Se si applicasse tale percentuale all'intero valore delle manovre 2011-2013 e 2012-2014 di finanza pubblica, ai comuni dovrebbe essere restituito parte del «taglio» operato per il 2012 e non dovrebbero essere interessati dall'ulteriore manovra correttiva ora in discussione, come risulta da elaborazioni IFEL su dati del Ministero dell'economia e delle finanze,


impegna il Governo:


ad insediare immediatamente la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica e a sottoporre al suo esame la manovra 2012-2014, al fine di pervenire alla definizione di obiettivi che tengano insieme rigore finanziario e crescita economica e sociale del Paese, ripartendo equamente le manovre 2011-2013 e 2012-2014 tra i diversi livelli istituzionali;
ad individuare criteri per il riparto delle manovre 2011-2013 e 2012-2014 tra

i diversi livelli istituzionali che tengano conto: del concorso di ciascun comparto alla formazione del deficit della pubblica amministrazione; del contributo dato al miglioramento dei saldi di finanza pubblica nel periodo precedente; della necessità di mettere sotto controllo la spesa dei Ministeri; del principio della trasparenza nei conti pubblici di tutti i livelli di governo attraverso la istituzione immediata della banca dati unica prevista dalla legge di contabilità; della possibile semplificazione e riduzione di costi della politica e dell'amministrazione conseguente ad una chiara definizione del «chi fa che cosa» abolendo le sovrapposizioni, favorendo, per quanto di competenza, la sollecita approvazione del disegno di legge recante la Carta delle autonomie locali in discussione al Senato; dell'esigenza fondamentale di far ripartire gli investimenti che sono alimentati in grande parte dalla spesa in conto capitale dei comuni anche come contributo alla crescita dell'economia del Paese;
a promuovere una manovra coerente con i principi del federalismo fiscale, agendo sui risparmi che possono essere ricavati dal passaggio dalla spesa storica ai costi e fabbisogni standard per quanto riguarda i livelli essenziali delle prestazioni e le funzioni fondamentali degli enti locali, evitando di considerare le compartecipazioni e le quote di tributi erariali attribuiti alle autonomie territoriali, indisponibili per lo Stato, come i vecchi trasferimenti che potevano essere «tagliati»;
a garantire l'autonomia di ciascun ente nel raggiungimento degli obiettivi finanziari, promuovendo di conseguenza una revisione delle norme sul personale;
ad individuare indici di virtuosità per gli enti di ciascun livello di governo, concordati con i medesimi, che siano rigorosamente legati al raggiungimento degli obiettivi finanziari di riduzione del deficit delle amministrazioni, così come previsto dal patto di stabilità e crescita dell'Unione europea, evitando che possano interferire in alcun modo sull'esercizio dell'autonomia di regioni ed enti locali;
a proporre una profonda modifica del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, relativo al federalismo fiscale municipale, in relazione al disegno di legge delega di riforma fiscale approvato dal Consiglio dei ministri, anche al fine di restituire autentica autonomia impositiva ai comuni, in modo da far coincidere i beneficiari e i contribuenti dei servizi resi dalle amministrazioni locali, e di favorire il recupero dell'evasione decentrando il catasto;
a proporre la revisione della normativa attualmente in discussione sul decreto sviluppo relativa alla cessazione da parte di Equitalia delle attività di riscossione per i comuni a partire dal 1o gennaio 2012, evitando la diffusione di pratiche fiscali elusive da parte dei cittadini e l'ulteriore aggravio della situazione finanziaria per i comuni;
a proporre, ai fini di una più efficace collaborazione dei comuni alla lotta all'evasione fiscale, che si costituiscano presso gli uffici provinciali dell'Agenzia delle entrate specifici nuclei operativi dedicati a dar seguito alle loro segnalazioni, posto che ciò consentirebbe un costante monitoraggio dei risultati ottenuti e un dialogo continuo tra i diversi soggetti coinvolti, permettendo ai comuni di aumentare la qualità delle proprie segnalazioni e di allinearle con le priorità dell'Agenzia delle entrate, perfezionando anche le procedure per l'effettivo trasferimento nei bilanci comunali delle spettanze già maturate.
(1-00686)
«Franceschini, Causi, Ventura, Boccia, Fluvi, Baretta, Misiani, Nannicini, Soro».

Risoluzioni in Commissione:

La III Commissione,
premesso che:
il Consolato di Rosario in Argentina svolge da molti anni un grande lavoro

teso a facilitare e sviluppare rapporti culturali e commerciali tra il nostro Paese e il Paese sud americano;
questo lavoro si è ulteriormente incrementato anche attraverso la presenza e lo sviluppo della camera di commercio italiana;
negli ultimi mesi il consolato di Rosario ha incontrato numerose delegazioni commerciali e culturali italiane, incrementando gli scambi bilaterali a vantaggio di numerosi investitori italiani e dei nostri immigrati residenti,


impegna il Governo:


ad adottare ogni possibile iniziativa che consenta il potenziamento dell'organico del consolato d'Italia in Rosario, tenendo conto, per quanto riguarda specificatamente il personale a contratto, delle disponibilità del relativo contingente;
a valutare, sulla base delle effettive disponibilità di bilancio sui relativi capitoli, possibili variazioni compensative all'interno del programma «Italiani nel mondo e politiche migratorie», per continuare ad assicurare la massima assistenza alle collettività italiane in Argentina, ed in particolare a quella di Rosario, per mezzo degli enti assistenziali tra cui si è distinto per la sua positiva attività il Comitato di assistenza agli italiani, e ad ottimizzare i corsi di lingua e cultura italiana nel Paese;
a proseguire nell'azione volta a sviluppare ulteriormente i rapporti culturali e commerciali tra l'Italia e l'America Latina.
(7-00631)«Angeli, Renato Farina».

La IX Commissione,
premesso che:
il porto di Gioia Tauro è il più grande terminal per transhipment del Mar Mediterraneo tanto che è stato classificato «di rilevanza economica internazionale», con la legge n. 30 del 27 febbraio 1998;
il 16 luglio 1998 con decreto del Presidente della Repubblica è stata istituita ai sensi della legge n. 84 del 1994 l'autorità portuale e grazie alla sua localizzazione ottimale il porto di Gioia ha raggiunto risultati significativi sia in termini occupazionali che per flusso e movimentazione delle merci;
il transhipment è la primaria attività del porto che la società Medcenter container terminal (Mct), insediata nel novembre del 1993, svolge in regime di monopolio dal settembre 1995, dopo aver utilizzato i fondi non spesi dalla regione Calabria, secondo gli impegni assunti nel quadro comunitario 89-93 a valere sul Fondo sociale europeo, per la selezione e formazione di 600 addetti, oggi tutti utilizzati ed inseriti nella forza lavoro del terminal che tocca le 1.200 unità, avendo infatti superato di gran lunga sia i livelli occupazionali di 450 addetti e sia le movimentazioni annue di 1 milione di teus, target previsti nel 1993 e fissati entrambi nel contratto di Programma del 29 luglio 1994;
a partire dal 1995, e in pochi anni, la Mct ha guadagnato via via importanti fette di mercato arrivando a movimentare nel 2007 oltre 3,5 milioni di teus a fronte di una occupazione diretta di 1.100 addetti e di 600 lavoratori nell'indotto;
la Mct è un'azienda del gruppo Contship Italia, partecipato al 66 per cento da Eurokai e al 34 per cento da Eurogate, la holding che a partire dal 1996, attraverso il terminal presente nello scalo calabrese, ha rivoluzionato la catena logistica del Mediterraneo diventando la prima azienda in grado di soddisfare le nuove esigenze del settore marittimo legate alla globalizzazione, fenomeno che richiede grandi infrastrutture portuali e servizi di handling efficienti;
ottenute dalla capitaneria di porto condizioni esclusive ed ottimali accordate in concessione al costo di 1 miliardo di vecchie lire, canone annuo ottenuto e mantenuto nel tempo a prezzo politico, la Mct a partire dal 30 gennaio 1997 ha spuntato per 50 anni l'uso del canale che

si configura con una superficie ubicata parallelamente alla costa di 180 ettari di specchio acqueo interno; fondali: da 12,5 a 18 metri; sviluppo totale banchina: metri lineari 4.843; larghezza canale: metri lineari 210 e una suddivisione degli spazi a terra così organizzati: sviluppo banchina per transhipment container: metri lineari 3.011; sviluppo banchina per transhipment automobili (Blg nata su idea di Contship con sovvenzione globale ed oggi da essa partecipata, insieme alla Nyk): metri lineari 384; sviluppo banchina per traffico commerciale e passeggeri: metri lineari 991;
il terminal di transhipment calabrese fino al 2008 è stato il punto di riferimento delle principali linee di navigazione dotate di navi giramondo e in particolare della Maersk Sealand che ha acquisito attraverso la società APM Terminals, senza autorizzazioni preventive da parte degli enti competenti, il 33,3 per cento del terminalista Mct;
dal 2009, affrontata e superata anche la crisi dei mercati asiatici che si è riverberata su tutti i traffici marittimi delle navi giramondo, la Contship va ripetendo che non è più sopportabile il calo dei volumi di traffico registrato a Gioia Tauro; calo che è denunciato dalla Contship e che ha fatto spuntare alla Mct, a fronte di un accordo con i sindacati locali sull'assunzione dei precari del piazzale (100 unità) per i quali, trattandosi di lavoratori con contratto a termine aveva invece previsto il licenziamento, sei mesi di cassa integrazione ordinaria (Cigo);
la Cigo per 400 unità accordata dal Governo alla Mct fra febbraio ed agosto 2010, senza un progetto per la ripresa come si conviene in questi casi nei piani di prospettiva industriale, ha lasciato intuire ai mercati un lento e costante declino del porto di Gioia Tauro, mentre né la società, né l'autorità portuale si sono curate di pubblicizzare i dati ufficiali delle movimentazioni in banchina che testimoniano un calo effettivo, in termini di teus, solo dello 0,2 per cento tra il 2009 e il 2010 (2.857.438 teus nel 2009 - 2.851.261 nel 2010);
i dati sui movimenti 2009-2010 dimostrano quindi che, nonostante le difficoltà, il terminal contenitori di Gioia, crisi e disimpegno a parte, ha invece mantenuto il trend di traffico arrivando, nell'ultimo semestre 2010, anche a un forte recupero delle perdite registrate a partire dal 2009 come si evince dal + 13,60 per cento registrato fra luglio e dicembre 2010 nelle movimentazioni e raffrontate allo stesso periodo luglio-dicembre 2009, facendo immaginare agli esperti che il terminal, al di là delle pecche gestionali, è comunque competitivo, tanto da riuscire a recuperare mercato anche in un anno difficile come il 2010 e riuscendo a non escludere per il 2011, un ritorno ai livelli ante crisi;
tuttavia Contship in Calabria insiste nel lamentare ingenti perdite accumulate da Mct ed invoca la cassa integrazione pena il licenziamento di n. 465 unità di personale in esuberi, ma non mette in campo il dato che proprio nel porto dove si sono creati gli esuberi gestisce in monopolio banchine per oltre 3.391 metri lineari e piazzali per 1 milione 558 mila, 047 metri quadri (150 ettari) per i quali paga un canone annuo dimezzato del 50 per cento rispetto ai prezzi di mercato e pari a circa 1 milione e seicentomila euro;
«perdite» che non impediscono a Contship di crescere, anche se solo fuori dalla Calabria. Al 31 dicembre 2010 il conto economico del Gruppo Eurogate (fonte Shippingonline 26 aprile 2011) volava a +28,9 per cento: «La società terminalistica Eurogate di Thomas Eckelmann - scriveva il quotidiano specialistico - ha chiuso il 2010 con una crescita del 28,9 per cento dell'utile netto, a fronte di un incremento del fatturato dell'1,4 per cento. La movimentazione container nei terminal di Germania Italia, Portogallo e Marocco, è cresciuta del 5,2 per cento, pari a 12,6 milioni di teus. Il terminal che ha ottenuto la migliore performance è stato quello di Bremerhaven, con un +7,4 per cento e 4,9 milioni di teus. L'incremento di

Gioia Tauro e Cagliari è stato dello 0,8 per cento con 4,7 milioni di teus. La società, il cui capitale è detenuto con quote paritetiche dalle tedesche Eurokai e BLG, gestisce infatti, insieme alla sua controllata Contship Italia (Eurogate 33,4 per cento, Eurokai 66,6 per cento) che opera direttamente a Gioia Tauro, anche i porti di La Spezia, Salerno, Ravenna e Cagliari e il nuovo terminal marocchino Tanger Med»;
superata la fase di cassa integrazione la regione Calabria, che aveva cambiato con le elezioni regionali del 2010 il segno politico della governance passando da una gestione del centrosinistra a quella del centrodestra, nel settembre 2010 ha stipulato, con l'autorità portuale e i Ministeri dello sviluppo economico e delle infrastrutture e dei trasporti, un accordo di programma quadro, per sviluppare la logistica retroportuale in modo da conferire al transhipment un supporto lavorativo più duraturo qual è il collegamento a terra per il trasporto delle merci su ferro;
ufficialmente raccordo stipulato prevede uno stanziamento di 459 milioni di euro, ma non c'è stata sufficiente chiarezza da parte del Governo regionale sul fatto che nel plafond sono compresi anche i 280 milioni e 500 mila euro già assegnati a Rfi quale beneficiario e responsabile del potenziamento della rete ferroviaria nel suo complesso e quindi compreso il collegamento ferroviario Gioia Tauro-Taranto-Bari (articolo 3 dell'accordo con i codici RFI 01-02-03-04-05) e per l'adeguamento della linea tirrenica Battipaglia-Reggio: progettazione e ricostruzione della galleria Coreca, comprese opere propedeutiche e tecnologiche. Lavori che pur impattando sui collegamenti da e per il porto di Gioia poco hanno a che vedere con la creazione del polo logistico che, stando alle notizie di stampa, avrebbe conquistato interamente a beneficio del porto 459 milioni e non già 161 milioni come previsto in base ad un accordo con il precedente governo regionale e dunque finalizzati, fra l'altro, ad opere previste dall'autorità portuale, e dal commissario del Governo per il porto di Gioia professor Rodolfo De Dominicis, (Lp - 01-02-03-04-05-06 e Ap 01) compreso quindi il centro di Marketing in promozione del polo logistico intermodale World trade center;
accordo che rimodulato in settembre 2010 non si è ancora riverberato sul territorio, mentre la situazione di crisi si è acuita dal momento che, quattro mesi fa, la società danese Maersk, peraltro socia di minoranza della Medcenter concessionaria del porto, dopo avere ridotto la sua presenza a Gioia Tauro dirottando i volumi altrove, in particolare a Vado Ligure e a Tangermed, ha abbandonato il porto di Gioia Tauro facendo mancare il traffico in quantità sufficienti ad indurre la Contship a parlare di 467 esuberi da licenziare e che solo le dovute assicurazioni sul rinnovo della Cigo potranno far rientrare;
una decisione questa della Maerks che potrebbe costare cara alla compagnia se l'autorità portuale si decidesse a far valere la clausola inserita nell'ordinanza sull'abbattimento delle tasse di ancoraggio emanata nel febbraio 2010. Una clausola inserita dall'autorità portuale che ben sapeva come un abbonamento, ancorché ottenuto con sostanziali agevolazioni a carico di un determinato porto che abbatte le tasse di ancoraggio utilizzando le economie di spesa fatte nell'anno fiscale corrente, non vincola la Compagnia a spenderlo nel porto in cui l'ha ottenuto ma in qualsiasi altro approdo del territorio italiano e per questo, pur concedendo lo sgravio, ha intimato ai clienti della Mct di utilizzare il benefit solo in presenza di un aumento dei volumi di traffico registrati nell'anno precedente, pena la restituzione delle somme di cui la compagnia ha beneficiato;
la Maerks ha sottoscritto abbonamenti per le tasse di ancoraggio agevolate assorbendo dal plafond dell'autorità portuale 1 milione di euro sui 4 milioni concessi per il 2010 dall'autorità portuale, ma invece di aumentare i volumi di movimentazione ha operato un definitivo e drastico taglio; mentre Nyk e Msc, che hanno utilizzato il resto del bonus, rispetto

ai movimenti dell'anno precedente, hanno mantenuto i livelli, o li hanno aumentati;
andata via Maerks, oggi, la concessionaria Mct può contare solo su un importante cliente: la MSC che però garantisce non più di 2 milioni di movimenti all'anno, mentre anche la Nyk, che opera con Ico-Blg nel transhipment auto, risentendo della crisi del Giappone, ha registrato un calo non indifferente,


impegna il Governo:


a promuovere la completa attuazione dell'accordo di programma quadro stipulato nel settembre 2010 dalla regione Calabria, con l'autorità portuale e i Ministeri dello sviluppo economico e delle infrastrutture e dei trasporti che, se interpretato nella sua complessità, rende necessari urgenti interventi di riorganizzazione interna e di integrazione del core business del porto;
a decidere di scorporare dall'Accordo le somme destinate integralmente al porto e retroporto di Gioia Tauro da quelle di cui è beneficiaria Rfi che da oltre un anno, non solo è disimpegnata rispetto all'Accordo fatto con la regione Calabria, ma si è anche defilata sia nella progettazione dei nodi utili a migliorare i collegamenti del porto con il resto del Paese e sia nel garantire continuità del servizio merci e passeggeri, in modo da giungere alla realizzazione, magari con partner da reperire con una gara internazionale, di un'attrezzata piattaforma logistica, che possa fungere da volano per lo sviluppo dell'intero sistema portuale nazionale e di quello delle regioni meridionali coinvolte;
a consentire, nella prospettica dell'autonomia finanziaria dell'autorità portuale prevista da numerose iniziative legislative in itinere, l'utilizzazione delle economie di gestione maturate dall'autorità portuale negli anni precedenti per finalizzarle all'abbattimento delle tasse di ancoraggio superando l'orientamento del Ministero dell'economia e delle finanze che obbliga le autorità portuali ad operare in questo importante campo con le economie maturate nella gestione dell'anno corrente;
a valutare la possibilità di incardinare lo sviluppo del retroporto di Gioia nel quadro del Piano nazionale della logistica, al momento assolutamente inadeguato rispetto alle aspettative che ha creato e che riserva al comparto transhipment solo poche righe, peraltro non finalizzate alla realizzazione del piano, (capitolo n. 6 intitolato «quel che va bene ai porti va bene al Paese»);
a valutare se non sia il caso di invitare l'autorità portuale di Gioia ad appellarsi all'articolo 47 del Codice di navigazione e mettere in discussione la continuità della gestione da parte di Mct per le aree ottenute in esclusiva considerato che fra il 9 e il 10 gennaio 2011 il terminalista ha chiuso per 30 ore il porto interrompendo di fatto il servizio di cui è titolare e responsabile in nome del «bene comune»;
a ridefinire la missione del porto di Gioia Tauro, assegnando ad esso funzioni di scalo industriale collegato ad una piattaforma logistica integrata con le reti di trasporto nazionali ed internazionali, funzioni da far interagire con quelle di transhipment rimesse in gioco, una volta ridimensionata l'area in concessione alla Mct, attraverso una manifestazione d'interesse da lanciare in ambito europeo;
a prevedere l'attivazione degli ammortizzatori sociali nei confronti dei lavoratori della Mct solo in presenza di un adeguato piano industriale che la società potrebbe non proporre, considerati gli interessi ormai già dirottati verso altri porti nazionali ed internazionali (vedi investimenti a Ravenna, a Melzo e a Tangermed) e a prevedere altresì l'attivazione degli ammortizzatori sociali anche per le imprese operanti nel porto di Gioia Tauro e interessate dal contingente ridimensionamento delle attività del porto stesso (circa 600-700 lavoratori);
a valutare quante risorse statali abbia assorbito la Contship attraverso Mct di

Gioia Tauro fra il 1994 ed oggi con le agevolazioni ottenute a partire dal contratto d'Area, dalla defiscalizzazione degli oneri sociali, dai finanziamenti all'attività utili per l'acquisto di mezzi mobili e di straddle-carrier; dalla cassa integrazione straordinaria ed ordinaria ottenuta nel 2010 e quante altre provvidenze abbia assorbito il Gruppo Contship Italia con il CICT Cagliari international container terminal che la capofila ha messo in concorrenza con il porto di Gioia Tauro spostando nel 2009 alcune linee che scalavano il porto calabrese sul porto sardo e quant'altro il gruppo abbia ottenuto dallo Stato per sostenere l'occupazione nei porti e interporti del Paese di cui è concessionario;
a valutare il quantum della perdita per il demanio che a partire dal 1995 ha concesso alla Mct un milione mezzo di metri quadrati per circa un miliardo di vecchie lire all'anno, prezzo politico e assolutamente fuori mercato per il terminal che per la sua posizione strategica, e fino a quando la Contship non ha acquistato il terminal di Cagliari e il secondo terminal di Tangeri, ha bruciato tutte le tappe nel qualificarsi primo porto del Mediterraneo;
a prevedere in una prossima iniziativa normativa un limite di cessione delle quote societarie di un terminalista che alimenta il proprio capitale dalle concessioni ottenute nelle aree depresse a prezzo politico e non in linea con il mercato;
a quantificare il beneficio costituito nel 2010 per Mct, già beneficiata da sei mesi di cassa integrazione e dalla contemporanea continuità di traffico, e per MSC cliente del terminal, dalla riduzione delle tasse di ancoraggio operata dall'autorità portuale;
a ricercare strumenti idonei per fare in modo che la Contship trasferisca i lavoratori del porto di Gioia Tauro ritenuti in esubero negli altri terminal di La Spezia, Ravenna, Cagliari, Tanger Med dove la stessa Contship, come dimostrano i bilanci del Gruppo, ha aumentato flussi di lavoro e utili;
a stabilire fin da ora se la realizzazione della polifunzionalità del porto di Gioia Tauro possa essere inserita nel Piano per il Sud;
a prevedere misure compensative per i minori introiti, anche attraverso l'utilizzo delle risorse provenienti dalla revoca dei finanziamenti effettuata ai sensi dell'articolo 2, comma 2-nonies, del decreto-legge 29 dicembre 2010, convertito con modificazioni dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10;
ad adottare iniziative, anche a carattere normativo, per ridurre sensibilmente la contribuzione sociale e assistenziale nonché le accise sui prodotti energetici utilizzati nei porti, come quello di Gioia Tauro, che movimentano più del 75 per cento del traffico da nave a nave.
(7-00633)
«Antonino Foti, Garofalo, Vincenzo Antonio Fontana».

La XIII Commissione,
premesso che:
il vino italiano è una fonte importante di ricchezza e di cultura e rappresenta un prestigioso biglietto da visita per il nostro Paese;
il vino made in Italy è oggi conosciuto e apprezzato in tutto il mondo per la sua qualità;
nell'attuale crisi economica, l'offerta di vino prevale sulla domanda e la produzione dei Paesi «storici» si rileva superiore alla capacità di assorbimento; la liberalizzazione dei diritti di impianto del settore vitivinicolo, da attuarsi tra il 2015 e il 2018, ai sensi del regolamento (CE) n. 479 del 2008 - riforma dell'organizzazione comune del mercato vino - rischia di destabilizzare ulteriormente l'intero comparto a livello nazionale e comunitario;
il regolamento (CE) n. 479 del 2008 introduce una significativa riforma dell'organizzazione del settore vitivinicolo attraverso, tra le altre misure, l'abolizione a

partire dal 1o gennaio 2016 del sistema dei diritti di impianto a livello comunitario;
il sistema dei diritti di impianto, fino ad oggi non solo ha seguito le evoluzioni del mercato ma ha anche evitato che nei momenti di maggior sviluppo dello stesso si potessero verificare eccessi di impianti, svolgendo a pieno la funzione di strumento di regolazione dell'offerta, che è quella che più rischierebbe nel caso venisse confermata la liberalizzazione alla fine del 2015;
inoltre, l'esistenza dei diritti di impianto non ha impedito, soprattutto all'Italia, di essere un attore primario sul mercato mondiale di alcuni vini di origine;
la deregulation stabilita dall'Europa porta di fatto ad una industrializzazione della viticoltura e gli effetti negativi saranno particolarmente evidenti sul settore dei vini di origine controllatala cui eccessiva produzione porterà al crollo dei prezzi, ad una perdita consistente dei posti di lavoro (la formazione offerta ai giovani del settore registra già una stagnazione e una diminuzione degli effettivi), nonché ad una caduta della qualità;
il nostro Paese rischia di veder compromesso un comparto fondamentale del made in Italy;
verrebbero, infatti, messi in discussione gli sforzi qualitativi portati avanti fino ad oggi dai produttori, senza considerare l'improvviso disequilibrio quantitativo, rispetto al mercato, che la proliferazione dei vigneti e delle produzioni porterebbe in molte zone viticole;
è dunque necessario il raggiungimento del comune obiettivo che consiste nel tutelare e salvaguardare le produzioni nazionali e la garanzia del reddito dei vitivinicoltori italiani che non sono certamente perseguibili attraverso l'aumento incontrollato dei prodotti immessi al consumo, così come risulterebbe dalle disposizioni che la Commissione europea intende prevedere, attraverso la liberalizzazione dei diritti di impianto a partire dal 31 dicembre 2015 (data in cui l'attuale regime dei diritti di impianto cesserà di essere regolamentato), che rischia irreparabilmente di compromettere i risultati positivi raggiunti dal comparto nazionale negli ultimi decenni,


impegna il Governo


ad assumere tempestivamente ogni utile iniziativa al fine di giungere ad una revisione delle disposizioni, previste in sede comunitaria, che stabiliscono a partire dal 1o gennaio 2016 la liberalizzazione dei diritti di impianto, liberalizzazione che rischia di mettere in seria crisi il settore vitivinicolo italiano di grande rilevanza economica e produttiva, con ripercussioni negative sul comparto occupazionale, nonché a perseguire con la massima determinazione misure alternative per la regolazione della produzione vitivinicola.
(7-00632)«Delfino».

...

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA
DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:

STRACQUADANIO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
a partire dai primi giorni di giugno sono apparsi sui principali quotidiani articoli che riferiscono di una inchiesta giudiziaria a carico di Franco Pronzato, componente del consiglio di amministrazione dell'Enac - l'Ente nazionale per l'aviazione civile e tratto in arresto per corruzione;
tale inchiesta si incentra sul bando di gara dell'Enac, del valore di circa 1 milione di euro, per garantire i voli di collegamento tra l'Isola d'Elba e l'aeroporto di Roma Urbe;

in tale inchiesta risulta indagato anche Vincenzo Monchini, il quale avrebbe fatto da «facilitatore», tramite la sua società di consulenza Sdb, per l'assegnazione di una serie di gare d'appalto a imprese amiche;
secondo le notizie di stampa Pronzato avrebbe accettato una tangente di 40mila euro per agevolare il rilascio di un certificato di idoneità alla compagnia aerea Rotkopf Aviation Limited per coprire le tratte Pisa-Marina d'Elba e Firenze-Marina d'Elba;
insieme a lui sono stati tratti in arresto, per effetto della stessa ordinanza di custodia cautelare, i titolari della compagnia di volo Viscardo e Riccardo Pagamelli;
nello svolgimento delle indagini gli investigatori del nucleo valutario hanno effettuato verifiche su tutti i «piani di volo» degli ultimi anni dalla Rotkopf e hanno scoperto che nel 2010 cinque trasferimenti (tre dalla Puglia a Roma) sono stati concessi al presidente del Copasir Massimo D'Alema;
secondo la portavoce del presidente del Copasir: «È vero che ci sono stati questi passaggi sui voli dei Paganelli, ma si è trattato di motivi legati a impegni di lavoro. Nel 2010 Vincenzo Monchini ci disse che aveva una partecipazione in una compagnia aerea e che avremmo potuto usufruirne qualora ci fosse stato bisogno. Dunque, in situazioni di emergenza e cioè quando non c'erano collegamenti diretti e immediati, abbiamo chiesto di poter salire su quei voli» -:
se al presidente del Copasir sia stato fornito ogni ausilio logistico e operativo per lo svolgimento dei suoi compiti istituzionali, così da potersi avvalere di mezzi di Stato per lo svolgimento degli impegni istituzionali.
(3-01743)

Interrogazione a risposta in Commissione:

LARATTA, LO MORO e OLIVERIO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
da qualche tempo, diverse strutture alberghiere della Calabria sono state scelte per ospitare i tanti profughi di guerra che sono giunti in maniera spesso drammatica in terra calabrese;
la sistemazione alberghiera potrebbe sembrare una scelta comoda e opportuna per affrontare e risolvere il dramma di tanta gente disperata costretta a scappare dai teatri di guerra, da oppressioni e torture, e che riesce a salvarsi giungendo sulle coste italiane;
i dubbi sulla scelta operata dalla Protezione civile sono tuttavia notevoli, a parte la qualità dell'accoglienza, la multiculturalità, l'integrazione, aspetti che vengono affrontati alla meno peggio, senza un serio progetto, un'idea, una prospettiva. Del resto, operando nell'emergenza, tutto diventa possibile;
tutto diventa buono per gli albergatori calabresi che, travolti dalla crisi delle presenze turistiche (nonostante gli spot promozionali della regione Calabria che usano ad avviso dell'interrogante in forma offensiva e inopportuna i Bronzi di Riace), si scoprono con il «tutto esaurito». Alcuni albergatori, ovviamente, non tutti, senza voler con questo sospettare che si siano consumate operazioni clientelari a vantaggio di sostenitori di qualche parte politica regionale -:
se il Governo intenda fornire elementi sui criteri e le modalità di scelta delle strutture alberghiere calabresi in cui i profughi sono alloggiati e sui costi giornalieri a persona;
quale sia la motivazione in base alla quale si è preferita la sistemazione alberghiera rispetto all'integrazione nei comuni calabresi;
quale sia la ragione per la quale i profughi sono stati alloggiati negli alberghi e non sono stati destinati nei comuni calabresi, come quello di Riace e di Acquaformosa, che hanno aderito al progetto alla rete nazionale dei progetti SPRAR

(sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), che offrono accoglienza, integrazione e controllo e che ad oggi hanno dato la disponibilità per ulteriori 250 posti all'interno dello SPRAR regionale.
(5-05074)

Interrogazione a risposta scritta:

MANNINO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
il Governo della Russia ha introdotto normative discriminatorie e penalizzanti nei confronti delle importazioni di vino dall'Italia. La legge vigente prevede imposizioni doganali e fiscali addirittura doppie rispetto a quelle praticate alle importazioni di vini francesi e spagnoli;
in sostanza, la dogana russa ha introdotto il valore minimo (customs profile) per i vini importati: un importo minimo che precedentemente non era previsto e che rappresenta una sorta di valore imponibile su cui calcolare poi dazi, accise e diritti doganali;
quindi, se finora le imprese dichiaravano semplicemente i costi di produzione su cui applicare una tassazione alla dogana del 40 per cento, con la normativa oggi in vigore il valore minimo per le etichette italiane sarà di 2,12 euro al litro, mentre per le etichette francesi e spagnole il customs profile sarà di euro 1,22;
tale meccanismo genererà un aumento del prezzo finale pari al 30 per cento per il prodotto italiano, contro un massimo del 12 per cento per i vini francesi e spagnoli, con un danno evidente per i produttori italiani. Il mercato russo in questi ultimi periodi era divenuto il quinto mercato di esportazione per l'Italia -:
tenuto conto dei buoni rapporti esistenti tra il Governo russo e quello italiano, se il Presidente del Consiglio ed i ministri interrogati non ritengano di attivarsi immediatamente presso le autorità russe, anche con il concorso della Unione europea, affinché si giunga ad un superamento della discriminatoria disciplina introdotta.
(4-12615)

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DIFESA

Interrogazioni a risposta scritta:

DI STANISLAO. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
purtroppo aumentano le preoccupazioni di Contramianto e Altri Rischi Onlus sul numero dei tumori causati dall' amianto in Marina militare;
gli ultimi operai del Ministero della difesa deceduti hanno lavorato all'interno dell'arsenale di Taranto in officina e a bordo delle navi con mansioni diverse ma accomunati dalla medesima esposizione alle fibre cancerogene di amianto;
in Marina militare e nello stesso arsenale di Taranto Contramianto ha registrato 37 casi di mesotelioma, su di un totale di 71 tumori per amianto, complessivamente oltre 200 le patologie amianto correlate di cui si ha conoscenza. Si tratta di lavoratori ammalati per essere stati esposti all'amianto e per i quali in alcuni casi la procura di Taranto ha già condotto e chiuso indagini accertando responsabilità e violazioni;
Contramianto ha ricostruito decine di storie lavorative delle vittime dell'amianto in Marina militare, acquisendo atti e documentazione che raccontano quello che accadeva nelle officine dell'arsenale di Taranto e nelle lavorazioni svolte a bordo del naviglio militare a diretto contatto con la mortale fibra cancerogena di cui nessuno parlava e sapeva;
nel 1968 la Marina militare commissionò una indagine epidemiologica all'Istituto di medicina del lavoro dell'università di Bari sui lavoratori del Ministero della

difesa impiegati presso l'arsenale di Taranto nel quale si rilevò sicuramente la presenza di neoplasie polmonari in molti lavoratori esposti ad amianto. Non vi fu mai, però, informazione sui rischi dell'esposizione ad amianto a bordo nave e negli arsenali e stabilimenti della Marina militare sia da parte del Capo di Stato Maggiore della difesa del periodo e dei responsabili gerarchicamente dipendenti sia dell'ispettorato di sanità della Marina militare. Ancor prima nel 1950 il problema della pericolosità dell'amianto per la salute dei militari era già noto e studiato dalle strutture sanitarie della Marina militare ed in ambito Nato l'esposizione all'amianto fu oggetto di apposito studio pubblicato dalla US Navy nel 1961 sui rischi lavorativi alla salute legati all'esposizione all'amianto nella Marina militare;
secondo i dati nazionali che emergono 731 sono i morti di amianto tra personale civile e militare che la stessa Marina militare ritiene parziali e sottostimati, di questi 370 sono i casi di mesotelioma in militari della Marina su un totale di 530 casi di patologie asbesto-correlate -:
se sia vero che i lavoratori abbiano svolto il proprio dovere completamente ignari dei rischi a cui erano esposti;
se il Governo intenda dare tutte le informazioni in suo possesso sulla presenza e sui pericoli dell'amianto in Marina militare e sulle adeguate precauzioni adottate finora per la tutela di tutti militari ed operai che lavorano negli arsenali della Marina militare.
(4-12610)

DI STANISLAO. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
è in corso il progetto pilota «Dematerializzazione della documentazione cartacea presente nelle caserme della Difesa». Lo scopo è quello di liberare infrastrutture oggi destinate ad archivio - si parla finora di 32 mila metri quadrati, soprattutto in caserme situate in zone abitative - cosi da rendere gli spazi disponibili o valorizzabili in altro modo e da ridurre «in modo drastico» il personale utilizzato a questo scopo;
il progetto complessivo prevede di «de-materializzare» ben 97 chilometri di faldoni, con un netto atteso pari a 409,5 milioni di euro;
in primo luogo, si prevede il ritiro dei documenti dagli archivi e la loro raccolta in un unico sito, individuato nello stabilimento grafico militare di Gaeta, gestito dall'AID (Agenzie industrie difesa). Questa enorme mole di materiale verrà poi sottoposta ad un processo di cernita, con la digitalizzazione delle informazioni di interesse e la distruzione dei fascicoli non più rilevanti -:
se il Governo intenda esporre i dettagli del progetto sopra citato, esplicitando i costi, le modalità di riutilizzo delle infrastrutture che saranno liberate e nello specifico il piano di reimpiego del personale in eccedenza, che dovrebbe essere risolto con il riallocamento presso altre unità della Difesa.
(4-12612)

DI STANISLAO. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
è stato denunciato l'anomalo impiego degli ufficiali medici nelle missioni internazionali;
l'Esercito italiano impiega diversi ufficiali medici, sino al grado di tenente colonnello nelle missioni di pace ed in particolare in Afghanistan;
solo da poco sono state chiuse da parte italiana le cosiddette sezioni OMLT, cioè quelle task force che operano direttamente alla ricerca dei talebani;
un ufficiale medico non ha l'addestramento adatto - lunghe marce comprese - per stare dietro a truppe altamente preparate. L'ufficiale medico che al rientro dall'Afghanistan ha verbalmente denunciato tale situazione di disagio sarebbe stato invitato fermamente «a non spargere voci in giro» sull'accaduto;

in tutti gli altri eserciti presenti in territorio afgano gli ufficiali medici operano soltanto in strutture stabili (ospedali da campo): per le operazioni in prima linea operano soldati e graduati «soccorritori» addestrati sia a lunghe marce che a spostamenti faticosi, contrariamente a ciò che avviene per gli ufficiali medici militari italiani costretti in operazioni a portare armi pesanti e non solo la pistola d'ordinanza (come previsto per il personale medico dalle convenzioni internazionali);
l'impiego degli ufficiali medici nelle aree sensibili non avviene in modo obiettivo e tra l'altro, gli ufficiali medici specializzati impiegati dovrebbero essere medici anestesisti, ortopedici e cardiologi, invece si ricorre indiscriminatamente a tutte le specializzazioni, mettendo in pericolo sia i pazienti che i medici stessi;
altresì risulta che tali ufficiali nella maggior parte dei casi non partano volontari, nonostante le reiterate assicurazioni in tal senso da parte delle autorità competenti -:
se il Governo non ritenga di dover fornire elementi in relazione a quanto esposto in premessa;
se il Governo non ritenga di dover chiarire i criteri per l'impiego degli ufficiali medici militari nelle missioni internazionali di pace al fine di garantire quanto più possibile la sicurezza di tutti.
(4-12617)

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ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta orale:

COMPAGNON. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
il 25 maggio 2011 il Governo accoglieva l'ordine del giorno 9/4307/213 che impegnava a verificare la possibilità, appena in grado, di modificare la tipologia di copertura finanziaria dell'onere conseguente all'aumento delle risorse del FUS - Fondo Unico dello Spettacolo e alle agevolazioni fiscali per il cinema utilizzata dal comma 4 dell'articolo 1 del decreto-legge 31 marzo 2011, n. 34, convertito dalla legge 26 maggio 2011, n. 75;
per tale copertura la norma prevede l'aumento delle accise sulla benzina verde, sulla benzina con piombo e sul gasolio usato come carburante;
l'ordine del giorno accolto dal Governo si propone di evitare un ulteriore aggravio alla spesa delle famiglie e ai bilanci delle imprese (specie quelle medio-piccole), già vessati da una incontrollata ascesa dei prezzi dei carburanti superiori alla media europea;
contrariameme all'impegno sopra richiamato, dal 1° luglio 2011 sono operativi gli aumenti promossi dal Governo delle accise di benzina e diesel (+0,19 centesimi al litro) per finanziare il FUS - fondo unico dello spettacolo e le agevolazioni fiscali per il cinema;
tale rialzo segue al maxi-aumento di 4 centesimi al litro per fronteggiare l'emergenza immigrati;
questi rincari saranno trasferiti dalle compagnie petrolifere sui consumatori finali;
il Governo, ancora una volta, non ha di fatto rispettato un formale impegno assunto in Parlamento -:
se intenda intervenire al fine di dare tempestivamente seguito all'impegno assunto e procedere pertanto ad individuare una diversa tipologia di copertura finanziaria dell'onere conseguente all'aumento delle risorse del FUS - fondo unico dello spettacolo e alle agevolazioni fiscali per il cinema.
(3-01741)

Interrogazione a risposta in Commissione:

RUBINATO, FLUVI e LULLI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al

Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 2, comma 2-quater, del decreto legge n. 225 del 2010 autorizza il presidente della regione interessata da calamità naturali o da eventi straordinari a deliberare aumenti di tributi, nonché ad elevare la misura dell'imposta regionale sulla benzina per autotrazione. Qualora tali misure non risultino sufficienti, la norma prevede la possibilità che siano utilizzate le risorse del Fondo nazionale di protezione civile ovvero del Fondo di riserva per le spese impreviste: quest'ultimo, però, in caso di utilizzo deve essere corrispondentemente reintegrato con le maggiori entrate derivanti da un aumento dell'aliquota dell'accisa su alcuni prodotti energetici (benzina, benzina senza piombo, gasolio per autotrazione), da adottarsi, mediante apposito provvedimento del direttore dell'Agenzia delle dogane, entro il limite massimo di 5 centesimi per litro;
in data 28 giugno 2011 è stata pubblicata la determinazione del direttore dell'Agenzia delle Dogane n. 77579, con la quale è stato disposto l'incremento, per il solo periodo dal 28 giugno al 31 dicembre 2011, dell'aliquota dell'accisa sulle benzine e sul gasolio usato come carburante. La misura dell'aumento è stata fissata in 40 euro per mille litri di prodotto (ossia a 4 centesimi di euro per 1 litro); tale incremento di accise è stato stabilito, secondo quanto affermato nella premessa della medesima determinazione, in relazione alla «necessità di provvedere all'incremento dell'aliquota di accisa al fine di fronteggiare lo stato di emergenza umanitaria nel territorio nazionale in relazione all'eccezionale afflusso di cittadini appartenenti a paesi del Nord Africa»;
da tale aumento di accise, di entità assai significativa, potrebbe derivare un maggior gettito per l'erario stimabile almeno intorno ai 900 milioni di euro per il semestre luglio-dicembre 2011: su base annua tale introito ammonterebbe ad almeno 1,8 miliardi di euro;
il predetto aumento è stato stabilito in singolare coincidenza con la diminuzione del prezzo del carburante verificatosi nell'ultimo mese, azzerando di fatto il beneficio che ne sarebbe derivato alla pompa a favore dei consumatori finali, che in un solo giorno hanno visto così sfumare i ribassi fatti registrare dal prezzo del carburante nelle ultime settimane;
il predetto aumento fa seguito, inoltre, ad un recente incremento della misura delle accise sui medesimi carburanti, previsto dal decreto-legge n. 34 del 2011 per consentire sia il reintegro di alcuni finanziamenti destinati alla cultura (per un ammontare pari a 281 milioni nel 2011) sia la compensazione del regime di esenzione per talune categorie di autotrasportatori. Tale incremento è stato disposto, con la determinazione dell'Agenzia delle dogane n. 41102 del 5 aprile 2011, nella misura di 0,73 centesimi di euro al litro, fino al 30 giugno 2011, e di 0,92 centesimi di euro al litro fino al 31 dicembre 2011;
entrambi i predetti incrementi di accisa determinano, per i consumatori finali, un doppio aggravio del prezzo dei carburanti, dovuto all'applicazione, oltre che dell'accisa, anche dell'IVA sui prezzi finali;
infatti subito dopo tali incrementi, la benzina verde è volata ben sopra la soglia di 1,6 euro, arrivando a 1,613 alla Esso, e il gasolio si è avvicinato a quota 1,5 euro (1,488 alla Esso), ed è facile prevedere che ci saranno ulteriori aumenti. Lo scostamento tra costo industriale e costo alla pompa, secondo quanto emerge dalle rilevazioni dell'Unione petrolifera, è decisivo: nell'ultimo mese il primo è sceso di almeno 3 centesimi al litro, mentre il secondo è cresciuto di 4,4 centesimi. Segno che a pesare è, per l'appunto, la componente imposte e accise;
gli aumenti, secondo le stime del Codacons, sono ancora più sostenuti: dalla fine di giugno, secondo l'associazione, i prezzi sono saliti di 7 centesimi, pari a una stangata di 84 euro ad autovettura. Adusbef e Federconsumatori parlano di un aggravio per gli automobilisti, rispetto

allo scorso anno, di addirittura 488 euro tra costi diretti e indiretti. È comunque certo che l'Italia, con questi prezzi, conferma la propria posizione di uno dei Paesi più cari d'Europa: come evidenza l'Adoc, nel nostro Paese la benzina verde costa l'8,7 per cento in più rispetto alla media europea;
le associazioni dei consumatori hanno chiesto al Governo di intervenire per cancellare il provvedimento dell'Agenzia delle dogane e anche Assopetroli-Assoenergia ha inviato alla Direzione delle dogane una lettera aperta «sottolineando l'inaccettabile procedura» seguita in occasione dell'aumento dell'accisa da 4 centesimi del 28 giugno ed ha annunciato che nell'assemblea del 13 luglio «saranno decise le azioni da intraprendere»;
l'aggravio del prezzo dei carburanti si tradurrà probabilmente anche in una crescita dei prezzi per i numerosi generi di consumo che risentono dell'andamento dei costi dei carburanti e al riguardo non va ignorato l'allarme ricordato da ultimo anche dal Procuratore generale aggiunto della Corte dei conti, in sede di relazione al rendiconto generale dello Stato 2010, secondo cui «la debole ripresa dell'economia nel nostro Paese» «sconta i fattori di rallentamento dell'economia mondiale particolarmente in termini di crescita dei prezzi delle materie prime energetiche ed alimentari (aumentati negli ultimi sei mesi del 30 per cento) e conseguenti spinte inflazionistiche», alimentando così un circolo vizioso che ostacola sempre più la ripresa economica del nostro Paese;
non va sottaciuto, infine, che pure a fronte di un significativo incremento del carico fiscale, le entrate per l'erario potrebbero comunque risultare influenzate negativamente dalla conseguente flessione dei consumi, tenuto conto anche dei dati da ultimo comunicati in merito alla stagnazione dei consumi delle famiglie nel 2010 da parte dell'Istat -:
quali effetti di incremento del gettito da accise sui carburanti siano stati determinati - nei mesi da aprile a giugno 2011 - dall'aumento delle aliquote disposto, con la determinazione dell'Agenzia delle dogane n. 41102 del 5 aprile 2011, nella misura di 0,73 centesimi di euro al litro;
a quanto ammonti l'aumento del gettito stimato per il semestre luglio-dicembre 2011 in relazione all'aumento delle aliquote disposto, con la medesima determinazione del 5 aprile 2011, nella misura di 0,92 centesimi di euro al litro;
quali siano le stime di aumento del gettito per il semestre luglio-dicembre 2011 in relazione all'incremento di accise sui carburanti disposto, con la determinazione dell'Agenzia delle dogane n. 77579 del 28 giugno 2011, nella misura - assai significativa - di 4 centesimi di euro al litro;
a quanto ammontino ad oggi le previsioni di spesa per l'anno in corso connesse alla necessità di fronteggiare lo stato di emergenza umanitaria in Italia per l'afflusso di cittadini provenienti dal Nord Africa;
posto che, ad avviso degli interroganti l'attivazione della procedura prevista dal decreto-legge n. 225 del 2010 (utilizzo, per interventi urgenti, del Fondo di riserva per le spese impreviste e successivo aumento delle accise sui carburanti) richiede un puntuale controllo degli effetti finanziari da parte del Parlamento e che, per garantire la trasparenza di tali decisioni di entrata e di spesa - che possono interessare un ammontare assai cospicuo di risorse -, se il Ministro dell'economia e delle finanze intenda trasmettere al Parlamento i necessari dati informativi in ordine alla tipologia, all'entità e alla durata delle spese che si prevede di coprire, nonché in ordine alle previsioni e ai consuntivi di entrata con specifico riferimento agli incrementi di accisa deliberati con provvedimenti dell'Agenzia delle dogane;
se non ritenga necessario, sulla base di una corretta stima del fabbisogno effettivamente necessario a copertura delle spese per l'emergenza umanitaria conseguente ai fatti occorsi nel Nord Africa, ove

risulti confermata l'ipotizzata eccedenza degli introiti dall'aumento delle accise sui carburanti a copertura delle stesse, promuovere l'immediata revoca e/o modifica della determinazione del direttore dell'Agenzia delle dogane n. 77579 del 28 giugno scorso;
se non ritenga altresì necessario disporre, a livello macroeconomico, una valutazione specifica degli effetti negativi degli aumenti delle accise sulla già debole ripresa dell'economia in termini di flessione dei consumi, contrazione del Pil e probabili spinte inflazionistiche, con conseguenze negative anche per l'erario, al fine di evitare l'adozione di provvedimenti controproducenti rispetto alla stessa esigenza di garantire la sostenibilità della finanza pubblica.
(5-05077)

Interrogazione a risposta scritta:

PILI, MURGIA, VELLA e NIZZI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
recentissimi interventi normativi del Governo compromettono in definitiva l'autonomia delle regioni a statuto speciale e delle province autonome riducendo «inaudita altera parte» fondi di perequazione e compartecipazioni erariali in contrasto con le procedure costituzionalmente previste;
il capo II del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitari all'articolo 21 «Autonomia di entrata delle province prevede Fondo sperimentale di riequilibrio provinciale» prevede:
«1. Per realizzare in forma progressiva e territorialmente equilibrata l'attribuzione alle province dell'autonomia di entrata, è istituito, a decorrere dall'anno 2012, un fondo sperimentale di riequilibrio. Il Fondo, di durata biennale, cessa a decorrere dalla data di attivazione del fondo perequativo previsto dall'articolo 13 della citata legge n. 42 del 2009;
2. Fermo restando quanto stabilito dall'articolo 18, comma 6, il Fondo è alimentato dal gettito della compartecipazione provinciale all'IRPEF di cui all'articolo 18, comma 1;
3. Previo accordo sancito in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali, con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, in coerenza con la determinazione dei fabbisogni standard sono stabilite le modalità di riparto del Fondo sperimentale di riequilibri»;
il medesimo decreto legislativo all'articolo 23 «Fondo perequativo per le province e per le città metropolitane» prevede:
«1. Il Fondo perequativo di cui all'articolo 13 del citato decreto legislativo n. 23 del 2011 è alimentato, per le province e per le città metropolitane, dalla quota del gettito della compartecipazione provinciale all'IRPEF di cui all'articolo 18 del presente decreto non devoluto alle province e alle città metropolitane competenti per territorio. Tale fondo è articolato in due componenti, la prima delle quali riguarda le funzioni fondamentali delle province e delle città metropolitane, la seconda le funzioni non fondamentali. Le predette quote sono divise in corrispondenza della determinazione dei fabbisogni standard relativi alle funzioni fondamentali e riviste in funzione della loro dinamica. Per quanto attiene alle funzioni non fondamentali, la perequazione delle capacità fiscali non deve alterare la graduatoria dei territori in termini di capacità fiscale per abitante;
2. Ai sensi dell'articolo 13 della citata legge n. 42 del 2009, sono istituiti nel bilancio delle regioni a statuto ordinario due fondi, uno a favore dei comuni, l'altro a favore delle province e delle città metropolitane, alimentati dal fondo perequativo dello Stato di cui al presente articolo»;
con riferimento invece alle regioni a statuto speciale e alle province autonome,

il connotato più forte dell'autonomia finanziaria è rappresentato dalle quote di compartecipazione ai tributi erariali;
ogni statuto elenca le imposte erariali delle quali una quota percentuale è attribuita alla regione, le aliquote eventualmente differenziate per ciascun tipo di imposta, la base di computo, le modalità di attribuzione. Talune specificazioni di dettaglio sono rimesse poi alle norme di attuazione;
le compartecipazioni possono essere considerate tributi regionali solo ai fini della destinazione del gettito (in tal senso sono «tributi propri»). Non sono regionali, però, per alcun punto della loro disciplina: istituzione, soggetti passivi e base imponibile, sanzioni, contenzioso e altro;
i tributi erariali sono diversamente articolati diversi statuti in sintesi, con relative ed evidenti diseguaglianze tra le stesse singole regioni a statuto speciale;
il primo comma dell'articolo 116 della Costituzione dispone che il Friuli-Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige e la Valle d'Aosta dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale;
la perequazione e conseguentemente le misure di riequilibrio richiamate costituiscono fondamento della Costituzione e dello stesso processo federalista dello Stato -:
se il Governo non intenda verificare ed eventualmente riconsiderare eventuali provvedimenti che ledano i principi e le procedure costituzionali riferite alle regioni a statuto speciale con particolare riferimento ai fondi perequativi di cui ai decreti legislativi richiamati in premessa e di cui all'articolo 119 della Costituzione e se non ritenga di dover avviare una procedura negoziale con le regioni a statuto speciale per l'attuazione dei citati decreti legislativi;
se non ritenga di attivare con urgenza un confronto sull'inderogabile esigenza di definire un apposito decreto attuativo relativo all'articolo 22 della legge n. 42 del 2009 con particolare riferimento al parametro insulare, da misurare e compensare per attuare un corretto piano perequativo finanziario economico e infrastrutturale che contempli il rispetto del riequilibrio e della coesione nazionale.
(4-12623)

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INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:

BARBARESCHI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
i minori, anche inferiori a due anni di età, sono soggetti al pagamento di un corrispettivo dovuto alla compagnia aerea, pur non occupando un posto a sedere;
le procedure di imbarco previste dalla società Aeroporti di Roma spa riferimento ai passeggeri che viaggiano con bambini piccoli risultano assai carenti;
è frequente, infatti, che, dopo le consuete operazioni di check in, i passeggeri che viaggiano con bambini non ancora in grado di camminare speditamente, non riescano a raggiungere agevolmente il gate per l'imbarco, né a raggiungere la cabina dell'aereo;
la società di gestione aeroportuale Aeroporti di Roma spa offre un servizio di accompagno con un mezzo a rotelle per le persone anziane o con mobilità ridotta fino alla scaletta dell'aereo o addirittura fino alla cabina, ma altrettanto non è previsto per passeggeri che viaggiano con uno o più bambini piccoli;

tale carenza risulta ancor più grave trattandosi dell'aeroporto della capitale, ossia quello che movimenta maggiori volumi di traffico a livello nazionale -:
se il Ministro non ritenga opportuno assumere tutte le opportune iniziative affinché venga garantito tale servizio da parte della società Aeroporti di Roma.
(5-05069)

SIRAGUSA. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
nell'atto di sindacato 5-04479 presentato dall'interrogante si dava conto di vari aspetti concernenti la realizzazione del «nodo ferroviario» di Palermo;
la rivista S-Il Magazine che guarda dentro la cronaca ha pubblicato nel mese di giugno 2011 un articolo dal titolo «Cosa nostra, politici e giudici. Ecco le carte dell'inchiesta che fa tremare la Sicilia»;
nell'articolo si parla dell'inchiesta giudiziaria che «sta svelando gli interessi di Cosa nostra sui lavori che devono cambiare la mobilità a Palermo. Una torta da 623 milioni di euro su cui i boss hanno messo gli occhi. Ci sono tutti i segnali di un quadro sconfortante. Nel quale la mafia condiziona cantieri e impone le ditte per i subappalti e le forniture di materiali. Nel quale i politici raccomandano amici e parenti. Nel quale funzionari dello Stato passano notizie riservate»;
lo schema che emerge è quello tradizionale: una grande opera, appaltata a una grande azienda, possibilmente di respiro europeo, che poi arriva a Palermo e si avvale, in una serie di posti-chiave, di personaggi locali che trattano con le imprese in odor di mafia;
quello che stupisce è che di fronte a quanto sta emergendo non vi sia una reazione né una presa di distanza da parte dei vertici delle Ferrovie che continuano a tenere come direttore dei lavori del passante una persona che, nell'altra veste di presidente dell'autorità portuale, contesta tutte le scelte progettuali relative all'anello ferroviario;
sempre Ferrovie dello Stato continua a sorvolare sulla permanenza nell'incarico di responsabile dei lavori per conto della SIS di un ingegnere che viene pesantemente chiamato in causa negli atti di polizia giudiziaria;
ancora nulla poi è stato fatto per combattere la parentopoli e lo strano intreccio tra controllori e controllati;
ad avviso dell'interrogante, i fatti emersi e richiamati mettono a repentaglio la fattibilità dell'opera, producono, qualunque ne sia l'esito, un grave danno per la città e per l'erario e rappresentano un fenomeno gravissimo e da condannare in tutti i modi, politico e giudiziario, di inquinamento della vita pubblica -:
se alla luce di quanto emerso e riportato in premessa non intenda verificare con urgenza la regolarità delle procedure e la corretta utilizzazione dei fondi statali nonché intervenire, per quanto di sua competenza, presso i vertici di Ferrovie dello Stato per avere chiarezza circa i fatti emersi dall'indagine giudiziaria, a tutela dell'interesse pubblico.
(5-05075)

Interrogazioni a risposta scritta:

RAZZI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
l'autorità portuale di Genova ha avviato una procedura per la dismissione delle azioni di proprietà della autorità portuale;
la «procedura» porta alla dismissione delle azioni di Aeroporto di Genova s.p.a. di proprietà dell'Autorità portuale di Genova, pari al 60 per cento del capitale sociale; Enac dovrebbe approfondire le valutazioni economiche e il quadro giuridico-contrattuale, per quanto di propria competenza;

l'advisor avrebbe proceduto a formalizzare in una nota il metodo di valutazione che porterebbe ad una forbice 30-42 milioni di euro per il valore delle azioni oggetto della procedura, senza considerare il premio di maggioranza;
a parte le considerazioni circa la valutazione stessa che l'advisor avrebbe fatto, che dovrebbe essere quantomeno verosimile la base d'asta viene fissata a 30 milioni di euro;
potrebbe essere una scelta troppo prudente per i seguenti motivi:
a) non si misurerebbe il valore del premio di maggioranza;
b) tutte le principali società di analisi finanziaria considerano il business delle gestioni aeroportuali un segmento in crescita (fatturato +6 per cento nei prossimi tre anni e costi -3 per cento) con tutti gli indici reddituali e patrimoniali (i.e. ROE, ROI, MOL) in crescita;
c) il processo di consolidamento in corso nell'industry con la ricerca di sinergie tra aeroporti attraverso acquisizioni e fusioni, aumenterebbe l'appealing verso il 60 per cento di aeroporto di Genova;

si ritiene che un patrimonio netto minimo di 15 milioni di euro, come requisito essenziale per i concorrenti, sia troppo basso per un acquisto di 30 milioni di euro (base d'asta). Inoltre, in caso di RTI questo requisito per la capogruppo si riduce al 60 per cento (quindi soli 9 milioni di euro);
sarebbe più opportuno adeguare questo requisito a quanto previsto, nella stessa procedura, per i fondi in investimento (60 milioni di euro);
inoltre, la procedura prevede che il concorrente presenti una dichiarazione di primario istituto bancario attestante la disponibilità di risorse e/o credito per importi volti a sostenere operazioni pari ad almeno 30 milioni di euro. Questo significa che l'acquirente potrà effettuare l'operazione mediante credito (cosiddetto leverage buy out) ad avviso dell'interrogante con un possibile appesantimento dei conti della stessa società Aeroporto di Genova. Infatti, difficilmente si potrà impedire all'acquirente di trasferire l'indebitamento, attraverso operazioni straordinarie, sulla stessa controllata;
la procedura prevede come criterio di aggiudicazione quello dell'offerta economicamente più vantaggiosa con una ponderazione 50 e 50, per quanto riguarda l'offerta tecnica e quella economica;
il 50 per cento di peso per la valutazione tecnica fornisce, ad avviso dell'interrogante, un elemento soggettivo troppo elevato che di fatto potrebbe ricondurre la vendita ad una trattativa privata vera e propria,
inoltre, la valutazione tecnica (peraltro la seduta sarebbe Riservata) si potrebbe basare su elementi discrezionali oltre che, in parte, contraddittori;
la qualità del piano strategico industriale, a cui si può dare sino ad un massimo di 30 punti su 50 massimo dell'offerta tecnica, si basa su criteri generici quali ad esempio:
a) coerenza complessiva e sostenibilità delle strategie industriali;
b) miglioramento dei collegamenti verso gli hub (ci si chiede se si intenda considerare Genoa solo un mercato da sfruttare a vantaggio di altri aeroporti; ci si chiede altresì se il nuovo management sia in grado di garantire un network internazionale importante ma senza passare da hub);
c) valutazione delle caratteristiche del traffico (ci si chiede chi stabilisca quali componenti, tra low-cost, charter, business siano da privilegiare e in che ordine e percentuale);

ad un elemento fondamentale e misurabile come il piano degli investimenti viene assegnato un massimo di soli 5 punti, quanti ne vengono assegnati al modello

organizzativo il quale dovrà premiare l'aumento dei livelli occupazionali;
per quanto si sia potuto valutare la procedura in due caratteristiche preminenti:
a) prezzo vantaggioso per l'acquirente;
b) evidente discrezionalità da parte del venditore;

queste semplici considerazioni portano a ritenere che ci sia un potenziale rischio che il risultato della procedura sia impugnato davanti all'autorità giudiziaria, con danno per la stessa società Aeroporto di Genova che vedrebbe la struttura proprietaria paralizzata da ricorsi giuridici e conseguente mancanza di indirizzo e capacità gestionale -:
se lo statuto della società Aeroporto di Genova preveda il diritto di prelazione da parti dei soci;
se ex amministratori della società Aeroporto di Genova al momento delle procedure di vendita fossero anche membri del consiglio di Enac;
quale ruolo abbiano svolto questi dirigenti;
se l'Enac abbia formulato osservazioni critiche sui piani di sviluppo dell'Aeroporto di Genova;
quali passaggi e valutazioni abbiano determinato prima una estensione della concessione per ben 40 anni e quali valutazioni economiche e giuridiche abbiano indotto poi ad invertire la procedura e cioè a perseguire la privatizzazione e la valutazione delle capacità dei nuovi acquirenti;
quali siano le iniziative poste in essere o da attuare da parte dei Ministeri e dell'Enac sul processo di privatizzazione e su quanto esposto in premessa.
(4-12618)

GIANNI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
nel quartiere S. Antonio del comune di Lentini dove è sorto un fitto agglomerato urbano insistono due linee di tralicci di alta tensione di proprietà del Consorzio Asi e delle Ferrovie dello Stato;
le due linee di tralicci di alta tensione stanno mettendo in ansia le famiglie che vivono nel quartiere S. Antonio preoccupate dell'esposizione al rischio di campi elettromagnetici e che vedono in pericolo la loro salute;
fino ad ora non sono state ancora individuate le direttive da seguire circa lo spostamento dei tralicci elettromagnetici;
nel corso del 2010 il sindaco di Lentini ha chiesto l'intervento dell'assessorato regionale all'industria, in quanto la spesa occorrente è valutata in 800.000 euro e né l'amministrazione comunale né le famiglie residenti nel quartiere S. Antonio possono sostenerla;
stante la situazione, resta permanente il rischio derivante dalla esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici -:
se risulti che le Ferrovie dello Stato intendano concordare le modalità dello spostamento dei tralicci di alta tensione e venire incontro alle richieste dei residenti nel quartiere S. Antonio.
(4-12621)

...

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:

ALESSANDRI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
nella giornata del 29 giugno 2011, per ordine del Direzione distrettuale antimafia di Napoli, è stata posta sotto sequestro, a Bologna, l'attività in franchising di ristorazione e pizzeria denominata «Regina Margherita»;

le cronache riferiscono si tratti di una maxi operazione, «Megaride», nata da un'indagine della divisione investigativa antimafia, su riciclaggio ed usura volta al reinvestimento di capitali illeciti in catene di ristoranti, pub e bar collegati al clan camorristico Lo Russo. Nata in Campania, l'operazione ha toccato diverse città italiane, tra cui Bologna, perché tra le società coinvolte ci sarebbe il predetto franchising Regina Margherita Group;
i gestori dell'esercizio sequestrato, intervistati dai cronisti, hanno dichiarato di essere sereni ma comunque dispiaciuti e ad ogni modo estranei alle ipotesi di fatti criminali di cui sarebbero responsabili gli accusati campani ed in tal senso sperano di riaprire al più presto in quanto il loro impegno e le loro imprese sono incentrati solo sul lavoro e sul soddisfacimento delle richieste dei clienti;
in effetti, nell'inchiesta si fa riferimento sempre alla casa madre di Napoli e mai alle singole realtà come quella di Bologna o di Torino o Genova;
la vicenda in questione, va rimarcato, riapre un capitolo sempre dolente e fonte d'inquietanti interrogativi nella regione Emilia Romagna, ossia la presenza diffusa ed ormai evidente di infiltrazioni malavitose di diversa origine e non solo italiana (camorra campana, ndrangheta calabrese, mafia siciliana e malavita cinese o di origine islamica), che avvolge i tessuti produttivi locali e finisce per coinvolgere e compromettere pesantemente anche le attività economiche territoriali altrimenti trasparenti e corrette, in quanto potrebbero, inconsapevolmente, relazionarsi con operatori economici apparentemente puliti ma di fatto dediti alla criminalità;
di tali pericoli l'interrogante ha più volte interessato il Governo ed in proposito ricorda l'interrogazione parlamentare a risposta scritta 4-01775, presentata il 2 dicembre 2008, al Ministro della giustizia. In essa, tra l'altro, evidenziando come negli ultimi anni si sia registrato un aumento delle infiltrazioni della malavita nella regione Emilia Romagna, che fino a pochi anni fa godeva di una situazione di legalità assai favorevole ed il cui tessuto economico era quasi immune da fenomeni relativi alla malavita, segnatamente quelli a carattere mafioso o camorristico, chiedeva in particolare se risultasse che fossero state svolte indagini recenti sul tessuto economico in Emilia-Romagna ed in caso affermativo, quale fosse stato l'esito del relativo procedimento penale;
in risposta all'interrogazione il Ministero ha fatto presente, in particolare, che sulla base delle notizie fomite dal Ministero dell'interno e dal procuratore della Repubblica di Bologna - Direzione distrettuale antimafia, si riscontrava che:
«lo sviluppo economico della regione Emilia Romagna, determinatosi grazie allo spiccato dinamismo di piccole e grandi imprese, rappresenta indubbiamente motivo di attrazione per la criminalità organizzata, benché il tessuto sociale e la azione di contrasto delle forze di polizia costituiscano un importante contrafforte;
si deve dare atto, infatti, che è frequentemente segnalata, nella regione, l'operatività di elementi appartenenti ad organizzazioni di tipo camorristico, mafioso e di origine calabrese ('ndrangheta);
il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bologna, interessato in proposito, ha sintetizzato i principali filoni di indagine e le attività investigative condotte dalla DDA che, molto spesso - anche in coordinamento con le Direzioni distrettuali antimafia di volta in volta interessate (principalmente, quelle di Napoli, Palermo e Catanzaro) - si sono concretizzate in brillanti risultati;
da tempo, nella regione sono attivi soggetti contigui al "cartello dei Casalesi" che hanno esteso i propri interessi in alcuni settori economici ed imprenditoriali. Il "clan dei Casalesi", le cui emanazioni rappresentano un pericolo per il comparto degli appalti pubblici emiliano, ha creato articolazioni operative dapprima per fornire supporto logistico ai latitanti e

poi per agevolare penetrazioni finanziarie illecite nel mercato immobiliare e nelle gestioni d'impresa;
nei territori di Bologna, Modena, Reggio Emilia, Parma, Rimini e Ferrara la pressione estorsiva della delinquenza campana è stata esercitata non soltanto nei confronti di imprenditori edili di origine campana, ma anche verso quelli di origine emiliana;
secondo quanto riferito dal capo dell'ufficio requirente, allo stato, i soggetti legati alla camorra riconducibili al "clan dal Casalesi" sono presenti in particolar modo nella provincia di Modena, soprattutto nell'area che abbraccia i comuni di Castelfranco Emilia, Nonantola, Bomporto, Soliera, S. Prospero, Bastiglia e Mirandola. Le attività illecite esercitate si concentrano per lo più in estorsioni e gestione del gioco d'azzardo»;
la risposta proseguiva con elencazioni di argomenti relativi alla mafia, alla 'ndrangheta, con una significativa presenza di malavitosi di origine calabrese dediti, in prevalenza, alle estorsioni, al narcotraffico, all'ingerenza nel sistema degli appalti e al gioco d'azzardo, facenti capo alle 'ndrine crotonesi «Grande Aracri» e «Vrenna», nonché alle cosche reggine Nirta, Strangio, Mammoliti e Vadalà-Scriva, in particolare nelle provincie di Bologna, Modena, Ferrara, Forlì e Reggio Emilia con certezza di un forte radicamento di affiliati alle cosche di Cutro e Isola Capo Rizzuto Arena Dragone e Grande Aracri Nicosia;
è evidente che siamo di fronte ad un contesto assai problematico in cui la presenza di attività e di operazioni illegali facenti capo a soggetti della malavita e del crimine delle regioni del Sud (che vengono a riciclare i loro proventi illeciti nella regione Emilia Romagna), si traduce ormai non più in un semplice rischio, bensì in un concreto pericolo per gli onesti operatori locali che potrebbero inavvertitamente trovarsi invischiati in contesti delinquenziali e di malaffare, con gravissimi danni alla coesione sociale ed al prezioso dinamismo di piccole e grandi imprese che sono il vanto della regione -:
quali iniziative urgenti intenda assumere al fine di contrastare e debellare definitivamente il grave contesto di presenze nella regione Emilia Romagna, di organizzazioni di tipo camorristico e mafioso e di criminalità organizzata provenienti dalle regioni meridionali del Paese e quali provvedimenti intenda assumere sia per intensificare le azioni di prevenzione e di lotta alle infiltrazioni criminali nei territori a più alto rischio della regione sia per tutelare gli operatori onesti locali dal rischio di essere coinvolti in circostanze e relazioni socioeconomiche apparentemente trasparenti ma nei fatti connesse alla malavita.
(3-01742)

Interrogazioni a risposta scritta:

RIGONI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
con l'articolo 1-ter del decreto legge n. 78 del 2009 convertito dalla legge 3 agosto 2009 n. 102, il cosiddetto «anti crisi», è stata introdotta una procedura di emersione del lavoro irregolare;
secondo la norma in questione i datori di lavoro che, alla data del 30 giugno 2009, avevano impiegato irregolarmente da almeno tre mesi lavoratori italiani, comunitari o extracomunitari, potevano avvalersi della procedura di emersione dal lavoro irregolare;
dall'applicazione di questa normativa è emersa una lunga serie di incongruenze che ha creato, nei fatti, delle gravi disuguaglianze nel trattamento applicato ai lavoratori migranti ai quali la previsione era diretta;
adesso appare necessario individuare urgentemente delle soluzioni giuridiche diverse e appropriate per le diverse situazioni che si sono venute a creare;
i problemi maggiori riguardano i migranti che non hanno avuto accesso alla

sanatoria perché erano stati condannati (anche con sentenza non definitiva) ai sensi dell'articolo 14, comma 5-ter, del decreto legislativo n. 286 del 1998 (non avevano ottemperato all'ordine di allontanamento del questore): per questi la sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea del 28 aprile 2011 e diverse sentenze del Consiglio di Stato (fra le tante, le n. 7 e 8 del 10 maggio 2011) affermano che il reato previsto dall'articolo 14, comma 5-ter, deve essere considerato abrogato e comunque non può essere ritenuto ostativo alla sanatoria in quanto in contrasto con la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008, n. 2008/115/CE; naturalmente, chi ha fatto ricorso al TAR contro il diniego della prefettura e ha ottenuto la sospensiva, ha avuto un permesso di soggiorno temporaneo per motivi di giustizia (anche se avrebbe potuto ottenerlo per motivi di lavoro) in attesa della decisione nel merito;
tutti gli altri migranti che non hanno fatto ricorso al TAR si trovano nella situazione di non avere diritto al permesso di soggiorno per non aver fatto ricorso, cosa che configura un'evidente disparità di trattamento in violazione del principio di uguaglianza;
a Massa, ad esempio il questore ha chiesto formalmente al Ministro dell'interno se, a fronte della sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, fosse possibile concedere il permesso di soggiorno anche a tutti i migranti che non hanno fatto ricorso al TAR;
nel frattempo è intervenuta la circolare n. 3958 del 24 maggio 2011 che ha stabilito che, per quanto riguarda i procedimenti non ancora definiti essendo pendente ricorso al TAR, la prefettura avrebbe dovuto agire in autotutela e avrebbe dovuto predisporre il riesame dei singoli casi finalizzato all'accoglimento della domanda di regolarizzazione, mentre, per quanto riguarda i procedimenti definiti con diniego, in difetto di ricorso al TAR, i migranti avrebbero dovuto fare espressa richiesta di riesame e a seguito di detta richiesta la prefettura avrebbe dovuto riesaminare il caso e concedere la regolarizzazione;
laddove la circolare fosse stata applicata, praticamente tutti i migranti ai quali non è stata concessa la sanatoria per aver riportato condanna ai sensi dell' articolo 14, comma 5-ter (compresi quelli che non avevano fatto ricorso al TAR), avrebbero potuto essere regolarizzati: purtroppo, però, e in modo del tutto inspiegabile, solo due giorni dopo l'emanazione della circolare, lo stesso Ministero dell'interno ne ha sospeso temporaneamente l'efficacia;
in seguito, il 24 giugno 2011 è stata pubblicata una nuova circolare del Ministero dell'interno, la n. 17102/124 del 23 giugno 2011 attuativa del decreto-legge 23 giugno 2011, n. 89, con la quale si affronta anche la questione delle procedure di emersione dal lavoro irregolare nelle quali sia venuta in rilievo, quale causa ostativa all'ammissione, una sentenza di condanna per il reato di cui all'articolo 14, comma 5-ter del decreto legislativo n. 286 del 1998;
per quanto riguarda le procedure non ancora definite, la riapertura del procedimento avverrà in autotutela, mentre per quanto riguarda invece le procedure già definite, le prefetture «potranno» procedere al riesame solo a fronte di un'istanza del datore di lavoro: tali nuove linee di indirizzo sono peggiorative rispetto alla circolare n. 3958 del 24 maggio del 2011, in quanto l'istanza deve essere presentata dal datore di lavoro e non dallo straniero (con tutte le difficoltà del caso) e, inoltre, non è previsto un obbligo ma solo una possibilità di riesame -:
se il Ministro, alla luce dei fatti esposti, non ritenga necessario intervenire, ad esempio emanando una circolare che corregga le previsioni della circolare n. 17102/124 del 23 giugno 2011, al fine di prevedere l'obbligo, per le prefetture, di riaprire il procedimento a fronte di un'istanza presentata esclusivamente dallo

straniero per attivare le procedure di regolarizzazione definitive, evitando in questo modo che debba essere il datore di lavoro a presentarsi in prefettura per presentare istanza di regolarizzazione;
in subordine, se il Ministro, per dare definitivamente risposta alle problematiche emerse, non intenda far rivivere il contenuto della circolare n. 3958 del 24 maggio 2011 al fine anche di dare certezze sull'iter procedurale delle istanze di regolarizzazione dei migranti interessati.
(4-12614)

PICCOLO e ANDREA ORLANDO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il comune di Arzano, 36mila abitanti in provincia di Napoli, è guidato, dal marzo del 2010, dal sindaco Giuseppe Antonio Fuschino;
18 aprile 2011 i consiglieri di opposizione De Blasio, Maisto, Alberico, Iodice, De Rosa, Errichiello, Cozzolino, Aria hanno protocollato presso gli uffici della prefettura di Napoli le loro dimissioni dalla carica di consiglieri comunali, accompagnate da un dettagliato dossier riguardante una serie di censure rivolte all'amministrazione Fuschino per presunte illegittimità che, a parere degli stessi, sarebbero riscontrabili nell'azione amministrativa;
a distanza di pochi giorni, una delegazione dei gruppi d'opposizione è stata ricevuta dal prefetto di Napoli, al quale i consiglieri hanno riferito le loro valutazioni critiche sulla legittimità ed opportunità amministrativa di alcuni atti, ribadendo la convinzione che si sia consolidata una discutibile prassi di sistematica violazione delle regole da parte dell'amministrazione in carica;
i predetti consiglieri comunali, su espresso invito del prefetto, al termine di un articolato ed approfondito confronto nel merito delle questioni sollevate, hanno acconsentito a ritirare le dimissioni per continuare ad esercitare il loro ruolo all'interno del consiglio comunale, restando impregiudicata ogni loro riserva sulla gravità dei fatti denunciati;
nel voluminoso dossier consegnato al prefetto di Napoli è inserita anche la registrazione vocale (su cd) di una riunione di esponenti della maggioranza con il sindaco ed alcuni assessori comunali dalla quale emergono colloqui compromettenti ed inquietanti, chiaramente finalizzati a definire spartizioni di posti di lavoro nell'ambito delle attività di competenza del comune; risulta che tale registrazione sia stata trasmessa alla procura della Repubblica di Napoli per ogni conseguente valutazione;
nella lettera con la quale rassegnavano le dimissioni, i consiglieri comunali denunciavano la sospetta illegittimità della nomina dell'amministratore della società a capitale pubblico «Artianum», avvenuta, a loro avviso, in palese contrasto con le prescrizioni del regolamento comunale in quanto il sindaco avrebbe dovuto acquisire preventivamente gli indirizzi del consiglio comunale;
nella stessa documentazione venivano espresse, altresì, motivate riserve sulla regolaritá della nomina del Dirigente dell'area «governo del territorio», dal momento che il vincitore della selezione, secondo i denuncianti, non sarebbe in possesso di tutti i requisiti previsti dal bando; nello specifico, non si evincerebbe dal curriculum del dirigente selezionato il quinquennio di esperienza in funzioni dirigenziali così come richiesto espressamente nel succitato bando;
in merito al punto precedente, è da rilevare che alcuni giorni prima della selezione, dalle colonne del giornale locale La Voce, era stato preannunciato, con comprensibile clamore, che il vincitore della stessa sarebbe risultato un concorrente proveniente dal comune di Cardito: tale previsione - neanche a dirlo - risultata esatta;
altro rilievo veniva formulato in ordine alle nomine dei componenti del nucleo

di valutazione e del controllo di gestione che sarebbero avvenute in violazione di quanto previsto dal Regolamento sull'Ordinamento degli uffici e dei servizi e dal Regolamento del nucleo di valutazione;
altre gravi anomalie, inoltre, si riscontrerebbero in ordine:
a) all'approvazione del PEG (piano esecutivo di gestione), intervenuta alla fine dell'esercizio finanziario, quando evidentemente non ha più senso assegnare obiettivi in quanto i risultati sono ormai già definiti;
b) alle nomine dei rappresentanti del comune di Arzano presso il consorzio cimiteriale, effettuate, con straordinario tempismo, il giorno prima dell'entrata in vigore del nuovo «regolamento comunale per la designazione dei rappresentanti dell'ente presso istituzioni, società e consorzi» che, con la normativa introdotta, non avrebbe più consentito la loro nomina in quanto candidati non eletti al Consiglio comunale;
c) alla nomina del dirigente dell'area polizia locale conferita, in data 13 gennaio 2011 (decreto n. 1) per il periodo 1o novembre 2010-31 gennaio 2011 con un meccanismo, decisamente anomalo, di efficacia retroattiva;
d) all'incarico con determina dirigenziale, senza gara, per la riscossione della Tarsu, per l'anno 2010, alla società Sogert, richiamando un contratto scaduto oltre cinque anni prima;
e) all'approvazione del PUT nella seduta del consiglio comunale del 14 marzo 2001, avvenuta senza recapitare ai consiglieri di minoranza né la delibera, né gli atti, impedendo, in sostanza, ai consiglieri di minoranza di conoscere tempestivamente i contenuti della proposta;
f) alle reiterate violazioni del regolamento del consiglio da parte del presidente del consiglio comunale che in varie occasioni avrebbe condotto i lavori in modo non imparziale, favorendo sistematicamente la maggioranza;
infine, meritano una particolare evidenza le gravi e anomale decisioni assunte dall'amministrazione comunale relativamente ai concorsi banditi negli anni precedenti dal comune di Arzano che sono stati, inopinatamente ed immotivatamente, annullati, senza tenere conto che quello per geometri era stato già esperito ed era stata addirittura pubblicata la graduatoria dei vincitori e che per quelli di altre figure professionali erano già state espletate le prove scritte; a fronte di tali annullamenti, l'amministrazione, per sopperire alle carenze di personale, ha fatto sistematicamente ricorso ad assunzioni interinali, effettuate, ad avviso dei consiglieri di opposizione, secondo logiche discrezionali e con criteri di scarsa trasparenza -:
se, alla luce di tutto quanto sopra esposto, non intenda avviare ogni iniziativa di competenza al fine di verificare la sussistenza dei presupposti per avviare le procedure di scioglimento del comune di Arzano, ai sensi dell'articolo 141 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali.
(4-12616)

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ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:

PES. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 64 del decreto-legge n. 112 del 2008 penalizza fortemente le realtà scolastiche che operano nei territori disagiati dei piccoli comuni montani e che presentano una dislocazione di plessi distanziati tra di loro;
in seguito all'applicazione del decreto del Presidente della Repubblica n. 119 del 2009, concernente la nuova definizione degli organici del personale amministrativo tecnico ausiliario (ATA), tramite lo

schema di decreto interministeriale del 9 giugno 2010 trasmesso con nota del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca del 9 giugno 2010, prot. n. 5706, alcuni istituti scolastici situati in territori montani si trovano a fronteggiare una difficile situazione;
con l'interrogazione n. 5-03275 a prima firma dell'onorevole Mattesini del 22 luglio 2010 è stata chiesta al Ministro interrogato una deroga ai parametri di calcolo delle dotazioni organiche del personale amministrativo, tecnico e ausiliario (A.T.A.) delle scuole che operano nei territori montani;
il sottosegretario all'istruzione Viceconte, rispondendo in data 8 marzo 2011 a tale interrogazione, ha sostenuto che le situazioni di alcune scuole di montagna che si trovano in condizioni di difficoltà di collegamento avrebbero potuto costituire oggetto di specifico riesame da parte dell'ufficio regionale, al fine di adottare i necessari interventi per garantire la regolare funzionalità del servizio scolastico;
il comune di Cuglieri (Oristano) è inserito nell'elenco dei comuni di montagna (ex legge 1o marzo 1957, n. 90, e articolo 1 della legge 25 luglio 1952, n. 991);
il liceo scientifico di Cuglieri, nato nel 1969, è l'unica scuola superiore di secondo grado presente nel Montiferru (zona centro occidentale della Sardegna);
rappresenta per il territorio una realtà strategica per la tenuta culturale ed un servizio essenziale che contribuisce anche alla permanenza abitativa di famiglie e giovani generazioni;
ha permesso a molti studenti della zona di conseguire il diploma di scuola superiore e poter quindi proseguire gli studi universitari;
il liceo, nel corso della sua esistenza, ha posto particolare attenzione all'offerta formativa aprendo la scuola e il territorio all'Europa grazie a diversi progetti (Comenius, Sardegna speaks english, viaggi di istruzione al Cern di Ginevra);
registra un tasso bassissimo di dispersione scolastica e gli studenti ottengono buoni risultati agli esami di stato;
al momento mancano i requisiti numerici perché si formino tutte e cinque le classi;
la soppressione delle classi farebbe aumentare il tasso di dispersione scolastica, creando situazioni di svantaggio rispetto alla piena garanzia del diritto all'istruzione per le collettività locali;
la precaria rete viaria e la mancanza di mezzi di trasporto renderebbe il viaggio nelle sedi più vicine gravoso e faticoso per gli alunni e oneroso per i comuni e le famiglie;
l'ipotetica soppressione delle classi, e in futuro dell'intera scuola, avrebbe conseguenze disastrose sulla realtà demografico-territoriale dell'intero territorio;
per le famiglie che si trovano in disagiate condizioni economiche la chiusura del liceo sarebbe un ulteriore aggravio di oneri e, in taluni casi, potrebbe non essere garantito il diritto allo studio -:
se il Ministro interrogato non ritenga opportuno assumere iniziative perché l'ufficio scolastico della regione Sardegna conceda una deroga per le realtà scolastiche che operano in territorio montano e svantaggiato e, in particolar modo, per quelle di Cuglieri e dell'intera regione di Montiferru.
(5-05068)

BELLANOVA. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
il 6 settembre 2010 la signora Silvia Galignano, insegnante presso la Scuola primaria Paritaria «San Domenico Savio» a Monteroni di Lecce, ha denunciato una situazione di illegalità che si consuma da

tempo nella su citata scuola e con un atto di diffida ha invitato gli organi competenti a ripristinare la legalità;
lo stabile della scuola è di proprietà della diocesi leccese, la gestione della scuola è in capo alla Cooperativa «San Domenico Savio» creata da don Antonio Giancane, morto nel 2009. La signora Galignano è socia della cooperativa ed insegna nella struttura a partire dall'anno scolastico 2001/2002 con contratto a tempo indeterminato. Pur ricoprendo il ruolo di socia sembrerebbe non essere mai stata informata della situazione economica e gestionale della scuola. Tant'è che alla morte del gestore, don Giancane, è venuta a conoscenza della situazione economica drammatica nella quale la struttura versava. In questa occasione si è scoperto, infatti, che per alcuni anni non sono stati versati i contributi ai fini pensionistici delle insegnanti operanti nella struttura;
la signora Galignano ha denunciato agli organi competenti questa situazione di presunta illegalità che a detta della stessa continua a persistere nella gestione della struttura. Tra le illiceità riportate dalla signora Galignano e perpetrate nei confronti del personale docente si ritrovano: le costrizioni ad impegni lavorativi non previsti dalle vigenti norme in materia, ordini di servizio impartiti che pare abbiano obbligato le insegnati ad effettuare un orario di lavoro che va ben oltre le 24 ore settimanali, con diversi rientri pomeridiani e turni mensa, nonché attività amministrative svolte dalle stesse, in surroga al personale ATA della scuola. Tra le altre violazioni riportate che si consumano a danno dei soci della cooperativa, a detta della signora, si ritrova anche l'indebita «restituzione» di somme di denaro che i soci rigirano alla cooperativa, dopo averle percepite in busta paga come effettiva retribuzione, per far fronte, a detta del rappresentante legale, a debiti vari delle precedenti amministrazioni, con una conseguente difformità tra quanto registrato in busta paga e CUD e quanto effettivamente percepito dalle lavoratrici. Inoltre la stessa parla di un'omessa corresponsione degli stipendi nei mesi di giugno, luglio, agosto e mancata corresponsione della tredicesima mensilità, nonostante siano regolarmente dichiarati in busta paga, a ciò si aggiungono richieste economiche da parte del legale rappresentante per non ben definiti lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria, volti al rilascio dell'agibilità dello stabile dove si svolgono le attività didattiche;
in data 16 luglio 2010 e 20 luglio 2010 l'insegnate ha richiesto, al rappresentante legale della cooperativa, copia delle buste paga relative all'anno scolastico 2008/2009 ed il rispetto del CCNL-AGIDAE. A tale richiesta è seguito un riscontro da parte del legale rappresentante della cooperativa che motivava l'aggiunta di lavoro a carico degli insegnati con il dato che essendo soci della cooperativa gli stessi dovessero essere sottoposti a turni di lavoro riguardanti non solo le attività didattiche ma anche «altre funzioni e ruoli propri dei soci» pur di mantenere in vita la struttura in oggetto;
la signora Galignano ha più volte contattato gli uffici del Miur Puglia per denunciare le irregolarità presenti nella scuola di Monteroni, ma a queste segnalazioni non è mai seguito alcun riscontro -:
se il Ministro interrogato, in virtù di quanto sopra esposto, non ritenga utile intervenire con urgenza per predisporre quanto dovuto al fine di verificare quale sia la situazione che vige all'interno dell'istituto paritario «San Domenico Savio» con lo scopo di tutelare non solo le professionalità operanti in tale sede, ma anche tutti gli altri istituti paritari che rispettano le normative di legge.
(5-05076)

Interrogazione a risposta scritta:

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per le pari opportunità. - Per sapere - premesso che:
da notizie di stampa risulta che in un istituto di scuola superiore di Bari un

insegnante di sostegno sarebbe stata costretta per tutto l'anno scolastico a occuparsi di un alunno disabile, affetto da autismo, chiusa a chiave in un'aula diversa da quella della classe di appartenenza dello studente;
il caso è stato sollevato dal provveditore agli studi di Bari, dottor Giovanni Lacoppola, che ha comunicato di aver inviato una segnalazione agli organi competenti;
sarebbe stata la preside dell'istituto a imporre all'insegnante le particolari condizioni di espletamento del servizio;
in particolare, alla docente sarebbe stato imposto di chiudere a chiave l'aula per evitare che lo studente uscisse, e quest'ultimo sarebbe rimasto chiuso a chiave nell'aula ogni volta che l'insegnante di sostegno si allontanava;
in base a un accordo con i genitori, l'insegnante ha dovuto anche trascorrere del tempo con il ragazzo in orario extracurriculare, accompagnandolo in un centro commerciale e ai giardini pubblici;
ad avviso degli interroganti la vicenda ha dell'incredibile, e, in particolare appare inconcepibile che un disabile possa essere trattato in questo modo -:
se quanto sopra esposto corrisponda a verità;
quali iniziative si intendano promuovere, sollecitare e adottare in ordine a quanto esposto in premessa.
(4-12620)

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LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:

MARCO CARRA. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
in provincia di Mantova sono circa 1000 i lavoratori e le lavoratrici che da aprile ad oggi sono in regime di cassa integrazione in deroga;
ad oggi, a nessuno di costoro è stata pagata la cassa integrazione in deroga, in quanto, da un lato, la regione Lombardia (soggetto che deve decretare il pagamento da parte dell'Inps) non ha ancora dato il «via libera» e, dall'altro, l'Inps (che deve pagare sulla base delle indicazioni fornite dalla regione) è in difficoltà nell'analisi delle pratiche attivate ad aprile in ragione di una forte carenza d'organico;
per questi lavoratori e queste lavoratrici, il congelamento della cassa integrazione in deroga significa settimane e mesi senza alcun stipendio, determinando una situazione di intollerabile difficoltà per le loro famiglie;
è deprecabile che la regione Lombardia, la quale ha sottoscritto l'accordo quadro sugli ammortizzatori sociali il 28 febbraio 2011, non applichi correttamente quello stesso accordo -:
se il Governo intenda potenziare il personale dell'Inps di Mantova al fine di velocizzare le pratiche di sua competenza, a partire dai pagamenti della cassa integrazione in deroga decretati dalla regione Lombardia.
(5-05073)

Interrogazioni a risposta scritta:

GIANNI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
l'istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni e sul lavoro (Inail) ha riconosciuto ad un operaio dell'Agip petroli 21 anni di esposizione all'amianto;
secondo l'Inps di Caltanissetta, al contrario, al citato operaio, non va certificata nemmeno la malattia professionale;
vittima delle differenti valutazioni è Francesco Scicolone un operaio che ha operato nello stabilimento di contrada Piana del Signore dell'Agip petroli in qualità di saldatore;
l'operaio ha presentato denuncia sostenuto dall'avvocato Ezio Bonanno e dall'associazione

Ona nonché dai comitati per il riconoscimento ai lavoratori di Gela dell'esposizione all'amianto;
mentre l'Inps continua a negare il riconoscimento dell'esposizione all'amianto anche quando un altro ente pubblico l'Inail la riconosce, ogni giorno purtroppo si registrano decessi di operai che hanno lavorato in condizioni di esposizione all'amianto;
non è più ammissibile accettare il non riconoscimento da parte dell'Inps dell'esposizione all'amianto dei lavoratori nella provincia di Caltanissetta e, in particolare, di Gela;
è necessario che il Governo e i Ministri competenti intervengano senza ulteriori indugi affinché sia riconosciuta l'esposizione all'amianto da parte dell'Inps per i lavoratori della provincia di Caltanissetta e in particolare di Gela -:
se non ritenga indispensabile e improrogabile assumere le iniziative o gli atti necessari al riconoscimento dell'esposizione all'amianto dei lavoratori della provincia di Caltanissetta e, in particolare, di Gela da parte dell'Inps;
quali iniziative intenda intraprendere affinché non avvengano mai più differenti valutazioni e riconoscimenti di esposizione all'amianto nei confronti dei lavoratori interessati, da parte di enti pubblici, quali Inail e Inps.
(4-12611)

GIANNI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
un esposto, presentato da cinque ordini e un componente del consiglio di amministrazione dell'Enpam, ha segnalato un danno patrimoniale pari ad un miliardo di euro alla Cassa di previdenza dei medici e degli odontoiatri derivante da investimenti effettuate con operazioni finanziarie rischiose e molto costose;
il consiglio di amministrazione dell'Enpam ha incaricato la propria commissione interna di controllo di verificare la correttezza delle procedure degli investimenti con l'intenzione di costituirsi parte civile in eventuali processi;
da articoli di stampa, ad esempio Il Mondo del 24 giugno 2011, sembrerebbe che ci sia l'intenzione di commissariare l'Enpam -:
se effettivamente l'Enpam abbia subito un danno patrimoniale del valore di un miliardo di euro a seguito di investimenti con operazioni rischiose e costose e di chi siano le responsabilità;
se il Ministro del lavoro e delle politiche sociali abbia effettivamente intenzione di commissariare l'Enpam.
(4-12619)

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POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:

DE CAMILLIS. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
il Corpo forestale dello Stato si avvale di personale operaio assunto a tempo indeterminato e determinato per assicurare la gestione delle aree naturali protette e l'assolvimento degli ulteriori compiti istituzionali in base a quanto sancito dalla legge 5 aprile 1985, n. 124;
nel 2009 sono stati circa 180 operai assunti a tempo determinato, per una spesa pari a 3 milioni di euro. La legge finanziaria per il 2010 e il successivo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di riparto delle risorse hanno messo a disposizione ancora 3 milioni di euro per ciascuno degli anni 2010, 2011, 2012;
all'interrogante risulta che per l'anno 2011 le risorse per la riassunzione degli

operai predetti siano sufficienti a garantire solo sei mesi di contratto, creando una situazione di precarietà e di disagio;
questo personale è costituito, allo stato attuale, da un'aliquota di circa 1.400 unità a tempo indeterminato, oltre ad ulteriori unità di personale assunto a tempo determinato in virtù di specifiche autorizzazioni concesse da disposizioni normative particolarmente dedicate ad assolvere attività stagionali legate alla gestione delle riserve naturali statali ed alla lotta agli incendi boschivi -:
quali iniziative intenda assumere al fine di garantire le risorse finanziarie necessarie per l'assunzione degli operai che da anni svolgono le loro mansioni con contratto a tempo determinato e per la loro stabilizzazione ai sensi della legge 5 aprile 1985, n. 124, così come già fatto per altri comparti del sistema pubblico.
(5-05067)

SANI, OLIVERIO, ZUCCHI, AGOSTINI, BRANDOLINI, FIORIO, ALBONETTI, MARCO CARRA, SERVODIO, TRAPPOLINO e CENNI. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
il vino è una delle eccellenza del made in Italy: un settore presente uniformemente su tutto il territorio nazionale e che rappresenta un fondamentale volano economico, produttivo ed occupazionale;
secondo i dati Istat sono infatti 250 mila le aziende vitivinicole italiane e 210 mila gli addetti (50 mila dei quali giovani). Va inoltre aggiunto, in questo contesto, che la produzione di vino attiva fino a 18 settori produttivi, creando una occupazione complessiva di 1,2 milioni di persone;
il nostro Paese, con i risultati della vendemmia 2010-2011 (49,6 milioni di ettolitri), è divenuto il principale produttore al mondo, superando il primato fino ad ora detenuto dalla Francia;
il 60 per cento della produzione nazionale è rappresentata da vini di qualità con ben 14,9 milioni di ettolitri a denominazione «docg» e «doc» e 15,4 milioni di ettolitri con denominazione «igt»;
in Italia sono infatti presenti 504 tipologie di vini certificati (330 vini «doc», 56 «docg» e 118 «igt»);
questi elevati livelli di produzione a qualità certificata hanno permesso un aumento del 15 per cento delle esportazioni evidenziato nel primo bimestre del 2011. Scendendo nel dettaglio, secondo i dati forniti da alcune associazioni agricole, l'export del vino ha registrato una crescita del 31 per cento negli Stati Uniti, del 6 per cento nei Paesi dell'Unione europea e del 146 per cento in Cina. Un andamento che conferma gli straordinari risultati ottenuti dal vino italiano all'estero nel 2010 con un valore record delle esportazioni di 3,93 miliardi, superiori per la prima volta ai consumi nazionali;
uno dei mercati maggiormente in crescita a livello mondiale per le importazioni di vino (pari a 104 milioni di euro, con un incremento rispetto al 2009 del 64 per cento) è la Russia. Si tratta di volumi che gli esperti del settore giudicano in forte crescita anche nei prossimi anni;
la Russia è attualmente il quinto mercato mondiale per le importazioni di vino italiano;
secondo quanto denunciato da Federvini, la dogana russa ha introdotto senza preavviso il valore minimo (denominato customs profile) a cui sono soggetti i vini importati: si tratta di un recente valore imponibile su cui calcolare dazi, accise e diritti doganali;
questa decisione, oltre a essere una ulteriore tassazione doganale per le imprese, presenta inspiegabilmente evidenti disparità fra i differenti Paesi produttori: ai vini italiani verrebbe infatti applicato un valore minimo di 2,12 euro al litro, mentre per le etichette francesi e spagnole (che sono i maggiori concorrenti del settore rispetto all'Italia) il customs profile

sarebbe di 1,22 euro al litro. Si tratta di una decisione discriminatoria che comporterà un aumento del prezzo finale dei vini italiani pari al 30 per cento, rispetto ad un massimo del 12 per cento per i vini francesi e spagnoli;
è una scelta che, a detta degli operatori italiani del comparto (che hanno richiesto interventi urgenti ai Ministeri competenti), rischia di vanificare tutti gli investimenti, i progetti e le attività che il settore vinicolo nazionale ha dedicato in questi anni allo sviluppo delle esportazioni sul mercato russo;
questa problematica è già stata oggetto di una interrogazione presentata dagli eurodeputati del Gruppo Socialists & Democrats Paolo De Castro, Mario Pirillo e Gianluca Susta -:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza dell'introduzione, da parte del Governo russo, di un aumento improvviso dell'imposizione fiscale per i vini europei importati;
se trovi conferma la denuncia di Federvini sulla disparità di trattamento delle imposte doganali, citata in premessa, palesemente discriminatoria nei confronti dei vini italiani;
quali iniziative ed interventi urgenti si intendano assumere, qualora fosse appurata la disparità di trattamento sopracitata, per garantire il ripristino di pari condizioni alle esportazioni di vino italiano in Russia rispetto ai vini di altri Paesi.
(5-05071)

FIORIO. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
il passaggio dalla gestione del potenziale viticolo su base catastale a quella su base GIS ha fatto emergere problemi tecnici estremamente complessi che sono stati ulteriormente aggravati da definizioni di «superficie vitata» leggermente diverse fra le impostazioni italiane, costitutive dello schedario, e quelle contenute nel Regolamento (CE) n. 555/2008, articolo 75;
la complessità del problema giustifica il fatto che alcune regioni (ormai si parla apertamente di «regioni virtuose») abbiano già iniziato nel 2010 a presentare dichiarazioni di produzione e rivendicazioni delle denominazioni basate sullo schedario grafico mentre altre abbandoneranno definitivamente lo schedario alfanumerico solo nel 2011 o nel 2012; qualora questi tempi differenziati di passaggio allo schedario grafico dovessero ulteriormente ampliarsi sulla base di programmi regionali troppo dilatori, si passerebbe da comprensibili differenze locali ad inaccettabili sperequazioni fra produttori di diversa collocazione geografica -:
quali siano gli orientamenti del Governo in merito e quali siano i tempi del passaggio tra i sistemi di schedatura.
(5-05072)

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RAPPORTI CON IL PARLAMENTO

Interrogazione a risposta in Commissione:

VANNUCCI, GIANNI FARINA e ZUCCHI. - Al Ministro per i rapporti con il Parlamento. - Per sapere - premesso che:
alcuni deputati e senatori in carica svolgono formalmente e ufficialmente ruoli di consiglieri o consulenti in vari Ministeri della Repubblica -:
quanti siano gli incarichi in corso affidati a deputati e senatori in carica, quali siano i parlamentari incaricati, se gli stessi percepiscano compensi e quali strutture in uffici, personale e mezzi siano messe a disposizione da parte del Governo di ciascuno di essi.
(5-05078)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:

LULLI. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
ai sensi dell'articolo 18, comma 4, lettera c), della legge 29 dicembre 1993, n. 580, così come modificata dall'articolo 1, comma 19, del decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 23, la misura del diritto annuale dovuto ad ogni singola camera di commercio dall'impresa iscritta o annotata nel registro delle imprese è determinato mediante diritti annuali fissi per le imprese iscritte o annotate nelle sezioni speciali del registro delle imprese, mentre per gli altri soggetti è determinato mediante applicazione di diritti commisurati al fatturato dell'esercizio precedente;
i gestori dei carburanti sono tenuti al versamento del diritto annuale in relazione alla definizione di fatturato fornita dall'articolo 1, comma 1, lettera f), numero 4, del decreto 11 maggio 2001, n. 359, del Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato, di concerto con il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, che intende, per fatturato, ai fini del pagamento del diritto in questione «la somma dei ricavi delle vendite e delle prestazioni, degli altri ricavi e proventi ordinari e degli interessi attivi e proventi assimilati, come dichiarati ai fini dell'imposta regionale sulle attività produttive (IRAP)»;
di fatto la categoria dei distributori di carburanti è tenuta al versamento del diritto annuale alle camere di commercio sulla base del proprio fatturato al lordo delle accise e dell'IVA, che costituiscono una parte considerevole del ricavi di vendita;
per ovviare all'ingiustificato prelievo, il legislatore è intervenuto con l'articolo 44 della legge 23 luglio 2009, n. 99, stabilendo, limitatamente al versamento del diritto annuale relativo all'anno 2009, per le imprese esercenti attività di distribuzione di carburanti, che il fatturato di cui all'articolo 1, comma 1, lettera f), numero 4), del citato decreto 11 maggio 2001, n. 359, deve essere inteso al netto delle accise;
tuttavia tale agevolazione non è stata rinnovata per gli anni 2010 e 2011 -:
quali iniziative si intendano adottare per superare l'aggravio derivante dall'attuale iniqua normativa per le imprese esercenti attività di distribuzione di carburanti e per rendere permanente nel nostro ordinamento la previsione di cui all'articolo 44 della legge 23 luglio 2009, n. 99.
(5-05070)

Interrogazioni a risposta scritta:

FRONER. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
a fronte degli impegni che il nostro Paese ha sottoscritto con l'Unione europea e che necessitano di forti investimenti per lo sviluppo delle energie rinnovabili, a giudizio dell'interrogante si assiste ad un incomprensibile e dannosissimo pendolarismo normativo: i sistemi incentivanti, la certezza dei quali è elemento indispensabile per valutare qualsiasi investimento, vengono rivisti a cadenza annuale con il risultato di scoraggiare e spesso impedire degli investimenti cosi necessari per garantire il raggiungimento degli obiettivi Unione europea;
per il comparto idroelettrico, nello specifico, che abbisogna di tempi lunghi (almeno due tre anni per le autorizzazioni ed altrettanti per la realizzazione), diviene impossibile qualsiasi programmazione senza certezze di durata temporale medio lunga. Al legislatore sembra interessare poco l'argomento nonostante che il comparto idroelettrico nazionale contribuisca per più del 16 per cento al fabbisogno della Nazione; il tutto con impianti risalenti agli anni '40-'60 che, pur essendo stati mantenuti in perfetta efficienza in

coerenza con gli obblighi spettanti al concessionario, potrebbero, adottando più moderne tecnologie oggi disponibili, assicurare un aumento di producibilità utilizzando la medesima quantità d'acqua;
quanto sopra trova purtroppo conferma anche nel contenuto del recente decreto legislativo n. 28 del 2011. Esso infatti modifica, dopo solamente due anni, i sistemi incentivanti. Parecchie realtà che, in virtù del decreto 18 dicembre 2008, avevano avviato le procedure autorizzative (molto lunghe) e la realizzazione degli elaborati tecnici (molto costosi), sono state costrette ad abbandonare i progetti prima della cantierizzazione con pesanti perdite per il venir meno della sostenibilità economica e nella certezza di non poter rispettare le nuove date obbligatorie per la fine dei lavori (31 dicembre 2012). Nelle aree vocate all'idroelettrico sono molte le comunità che, considerando l'acqua un «bene comune», si sono riappropriate degli impianti insistenti sui loro territori fin dagli anni '40, impegnandosi economicamente. Per queste Comunità, in molti casi disagiate, i proventi derivanti dalla vendita dell'energia rappresentano un indispensabile contributo al presidio del territorio ed al loro sviluppo;
inoltre il decreto legislativo n. 28 del 2011 modifica all'articolo 24, il regime di sostegno previsto dal decreto ministeriale 18 dicembre 2008 a favore dei rifacimenti parziali di impianti idroelettrici. La normativa precedente prevedeva un sostegno (emissione di certificati verdi), calcolato sulla base della quantificazione dell'incremento di producibilità correlato all'intervento di rifacimento ed all'onere relativo. Le nuove disposizioni considerano tutti gli interventi di rifacimento parziale ricadenti in un'unica fattispecie mentre, secondo l'interrogante, il rifacimento parziale ad elevato contenuto energetico andrebbe distinto dal rifacimento parziale classico poiché permette l'ottenimento di un notevole incremento di producibilità;
gli impianti interessati a potenziali rifacimenti ad elevato incremento energetico sono qualche decina in Italia, non rappresenterebbero quindi una voce di spesa insostenibile. A fronte del sostegno di tali iniziative, si potrebbero ottenere incrementi di produzione di qualche centinaio di milioni di chilowatt anno. Inoltre circa, il 70 per cento degli investimenti riguarderebbe le opere cosiddette gratuitamente devolvibili che, a fine concessione, tornano di proprietà dello Stato -:
se non ritenga opportuno inserire nei prossimi decreti attuativi una distinzione fra interventi di rifacimento parziale che incidano solo in minima parte sull'incremento di producibilità ed interventi di rifacimento parziale «ad elevato incremento energetico», introducendo distinti sistemi di incentivi che vadano a premiare quelli che incrementano maggiormente la producibilità.
(4-12613)

CAPARINI. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
il 16 maggio 2011 la società Tivuitalia s.p.a. sede legale a Brescia in Via G. Di Vittorio n. 17, ha depositato presso gli uffici del protocollo del Ministero dello sviluppo economico-comunicazioni e dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni l'«istanza di assegnazione di una frequenza in banda quarta e/o quinta facente parte del dividendo digitale»;
Tivuitalia opera nel settore dell'emittenza radiotelevisiva privata e, alla fine dell'estate 2009, era in possesso di tutti i titoli abilitativi necessari allo svolgimento di tale attività in ambito locale, avendo tra l'altro ottenuto l'assegnazione del diritto di uso del CH 27 UHF, in tecnica digitale sull'area del Piemonte Occidentale, rilasciata con provvedimento del 3 agosto 2009 trasmesso con raccomandata 5 2009 protocollo DGSCER/UFF/454;
il 29 dicembre 2009 Tivuitalia inoltrava al Ministero dello sviluppo economico-comunicazioni (di seguito semplicemente «Ministero») formale istanza di attivazione di ulteriori cinque impianti di diffusione televisiva nell'area di cui sopra,

sullo stesso CH 27 UHF, allo scopo di implementare la propria copertura delle province di Torino e Cuneo;
il 19 febbraio 2010 Tivuitalia, avendo la proprietà e l'esercizio di impianti di diffusione televisiva, tutti operanti in tecnica digitale, nei bacini di Valle d'Aosta, Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli, Toscana, Marche, Campania e Calabria, dopo un approfondito esame della situazione di fatto e di diritto del settore televisivo nazionale e dopo una serie di contatti preliminari con altri operatori dello stesso settore su possibili future acquisizioni, depositava all'ufficio protocollo del Ministero formale «Istanza per il rilascio dell'autorizzazione generale per l'attività di operatore di rete in ambito nazionale su frequenze terrestri in tecnica digitale ai sensi del combinato disposto dell'articolo 25 del decreto legislativo 1o agosto 2003 n. 259, dell'articolo 23, comma 7, della legge 3 maggio 2004 n. 112 e dell'articolo 15, comma 1, del decreto legislativo 31 luglio 2005 n. 177 come modificato dall'articolo 8-nonies del decreto-legge 8 aprile 2008 n. 59 convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2008 n. 101», allegando a tale istanza l'altrettanto formale «Dichiarazione per l'offerta al pubblico di reti e servizi di comunicazione elettronica in ambito nazionale», nonché i relativi allegati, con espressa riserva di integrare detta dichiarazione una volta raggiunta, attraverso nuove acquisizioni di rami di azienda ed impianti di diffusione televisiva, una copertura non inferiore al 50 per cento della popolazione italiana;
tale istanza era oggetto di una prima integrazione, datata 24 marzo 2010 e depositata il 26 marzo 2010 all'ufficio protocollo del Ministero, dopo l'acquisizione di una serie di impianti, nonché perfezionata e completata il 21 maggio 2010, con integrazione definitiva depositata in pari data, con la quale veniva comunicato il superamento della copertura del 50 per cento della popolazione italiana e, come legislativamente previsto, la rinuncia alla concessione analogica in ambito locale; contestualmente Tivuitalia integrava la dichiarazione di inizio attività datata 18 febbraio 2010, fornendo la documentazione tecnica di tutti gli impianti in esercizio. Alle due integrazioni venivano allegate sia la documentazione comprovante le ultime acquisizioni, sia la documentazione tecnica, anche su supporto informatico, richiesta dalla direzione generale per la pianificazione e la gestione dello spettro radioelettrico del Ministero con lettera del 31 marzo 2010, allo scopo di effettuare la verifica della raggiunta copertura;
nelle more fra la prima e la seconda integrazione Tivuitalia riceveva dal Capo del dipartimento delle comunicazioni del Ministero dello sviluppo economico, con messaggio telefax del23 aprile 2010 e a mezzo raccomandata pervenuta il 30 aprile 2010, il provvedimento datato 16 aprile 2010 con il quale, richiamata la delibera n. 181/09/CONS del 7 aprile 2010 dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (di seguito semplicemente «Autorità») con specifico riferimento sia alle reti nazionali contemplate, sia alla necessaria previsione dell'uso della tecnica SFN, veniva precisato da un lato che non sarebbe stato «possibile assegnare una ulteriore frequenza nazionale» e, dall'altro, «che ai fini della verifica della sussistenza dei presupposti e dei requisiti previsti per l'attività di operatore di rete, di cui all'articolo 25, comma 4, del Codice delle Comunicazione (decreto legislativo 259/03/Cons), occorre definire l'attività procedurale della disciplina prevista dall'articolo 14 del citato decreto legislativo 259, per le fattispecie ad essa riconducibili, tuttora in corso di espletamento da parte di questa Direzione Generale»;
il 18 maggio 2010 venivano depositate agli uffici protocollo della direzione generale per i servizi di comunicazione elettronica e radiodiffusione del ministero, della direzione generale per la pianificazione e la gestione dello spettro radioelettrico del ministero dell'Autorità tre separate istanze di attivazione della procedura di cui all'articolo 14 del decreto legislativo 259 del 2003, in relazione alle acquisizioni

dei dirittid'uso sulle regioni Lazio, Sardegna e Campania, firmate dai cedenti e da Tivuitalia;
avverso il provvedimento del 16 aprile 2010 Tivuitalia proponeva, in data 16 giugno 2010, tempestivo ricorso al TAR del Lazio, chiedendone l'annullamento per evidenti vizi di legittimità e di merito, dichiarando la propria disponibilità ad accettare, stante anche il contenuto della delibera 181/09/CONS dell'Autorità, una rete in modalità KSFN, cioè costituita da più frequenze diverse riferite a macroaree, in luogo di una rete in modalità SFN, cioè costituita da una sola frequenza sull'intero territorio nazionale;
con ricorso del 30 giugno 2010 Tivuitalia chiedeva al TAR del Lazio l'annullamento dei provvedimenti con i quali il Ministero aveva definito il contenzioso in essere con la società Centro Europa 7 spa attraverso un accordo integrativo e l'assegnazione di una serie di canali, fra i quali specificamente il CH 27 UHF dalle postazioni di Torino Eremo (Torino) e Garessio (Cuneo), con possibilità di ampliamento della relativa copertura, sottolineando come tali provvedimenti da un lato erano in contrasto con il contenuto della già citata delibera 181/09/CONS dell'Autorità e, dall'altro, consentivano la possibilità alla Centro Europa 7 di realizzare addirittura due reti nazionali;
pur avendo già abbondantemente superato, alla data del 21 maggio 2010, il limite della copertura del 50 per cento della popolazione italiana, Tivuitalia poneva in essere ulteriori acquisizioni, sia per non correre alcun rischio nella preannunciata e dovuta verifica del Ministero su tale copertura, sia allo scopo di allargare immediatamente la propria rete nazionale, sia per rendere più appetibile nei confronti di fornitori di contenuti e servizi media in ambito nazionale l'acquisizione di capacità trasmissiva del proprio multiplexer digitale;
con comunicazione fax 1o settembre 2010 protocollo DGSCER/DIV/III56351 il Ministero, con riferimento alla «istanza per il rilascio dell'autorizzazione generale per l'attività di operatore di rete televisivo in ambito nazionale», informava la Tivuitalia di essere «in attesa dell'esito della verifica condotta dall'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni nonché dall'Autorità per la Concorrenza ed il Mercato presso cui sono stati depositati gli atti inoltrati da Codesta Società medesima a questa Direzione Generale». Tale posizione del Ministero veniva immediatamente riscontrata dalla Tivuitalia con raccomandata anticipata via fax del 2 settembre 2010 (erroneamente datata 2 agosto 2010») nella quale veniva da un lato evidenziato il decorso di tutti i termini legislativamente previsti sia per la verifica delle singole acquisizioni di impianti e/o di rami di azienda comprensivi di assegnazioni di diritti d'uso di frequenze televisive, sia per la verifica della sussistenza dei presupposti e dei requisiti richiesti per l'autorizzazione generale per reti e servizi di comunicazione elettronica, sia per l'eventuale notifica del divieto di prosecuzione dell'attività e, dall'altro, rivendicato il conseguito status di «autorizzato generale per l'attività di operatore di rete in ambito nazionale su frequenza terrestri in tecnica digitale», puntualizzando che in tale veste e ruolo intendeva sia partecipare ai tavoli tecnici già indetti e da indire, sia far valere i propri diritti ed interessi legittimi;
dopo che la posizione di Tivuitalia non era stata tenuta in considerazione nella procedura di convocazione del tavolo tecnico e di invio del masterplan di tutti gli impianti esistenti nell'area tecnica 3 relativa allo switch-off della Lombardia e del Piemonte Orientale, la stessa Tivuitalia risultava assegnataria, in forza della determina 21 ottobre 2010 del Ministero, della frequenza CH 27 UHF nella suddetta area, seppur in condivisione con terzi nel Piemonte Orientale e conquella che appare all'interrogante una inspiegabile quanto poco razionale variazione di frequenza nella provincia di Parma;
in sede di switch-off delle aree tecniche 5, 6 e 7, corrispondenti in linea di

massima alle regioni Veneto, Friuli Venezia Giulia ed Emilia Romagna, Tivuitalia si vedeva nuovamente assegnata, in forza della determina 26 novembre 2010 del Ministero, la frequenza CH 27 UHF, a dimostrazione della sopra evidenziata illogicità dell'assegnazione del CH 7 VHF su Parma;
il 15 dicembre 2010 Tivuitalia (che sino dal 1o ottobre 2010 aveva sottoscritto con la Interactive Group spa, un contratto di cessione di capacità trasmissiva qualificandosi, conformemente alle proprie argomentazioni della raccomandata del 2 settembre 2010, non contestate dal Ministero, come «autorizzato generale per l'attività di operatore di rete in ambito nazionale»), apprendeva che il Ministero, con riferimento all'istanza di assegnazione della numerazione LCN nazionale presentata dalla società Class Editori spa titolare di autorizzazione per l'attività di fornitore di contenuti in ambito nazionale con il marchio «Class Horse TV DTT», da tempo inserito nel multiplexer digitale di Tivuitalia, non aveva accolto la richiesta del numero 55, assegnando il numero 184, riservato ai programmi trasportati su multiplex di operatori locali e attribuendo quindi indirettamente tale qualità alla rete di Tivuitalia, seppur senza citare la stessa;
avverso a tali provvedimenti Tivuitalia presentava tempestivo ricorso al competente TAR del Lazio impugnando altresì le comunicazioni e i provvedimenti ministeriali del 22 ottobre 2010, del 25 novembre 2010, del 3 dicembre 2010 e del 22 dicembre 2010 nonché le delibere dell'Autorità n. 300/10/CONS, 603/10/CONS e n. 475/10/CONS, chiedendone l'annullamento sia per i molteplici e macroscopici vizi procedurali, sia per le altrettanto molteplici illegittimità, avanzando contestualmente formale domanda di risarcimento dei danni subiti e subendi;
il 20 gennaio 2011 l'Autorità emanava la delibera n. 24/11/CONS sul «Mercato dei servizi di diffusione e radiotelevisiva per la trasmissione di contenuti agli utenti finali (mercato n. 18 fra quelli identificati dalla raccomandazione sui mercati rilevanti dei prodotti e dei servizi della Commissione Europea)» nella quale da un latonon teneva conto, a giudizio dell'interrogante, nell'esame preliminare delle norme legislative che riguardavano le emittenti nazionali e gli operatori di rete televisiva in ambito nazionale, dell'articolo 23, comma 7, della legge 3 maggio 2004, n. 112, (che aveva consentito a Tivuitalia, anche in base al combinato disposto dell'articolo 25 del decreto legislativo 1o agosto 2003, n. 259, di conseguire tale status) e, dall'altro, trascurava l'esistenza della stessa Tivuitalia fra gli autorizzati generali per l'attività di operatore di rete in ambito nazionale;
Tivuitalia, che aveva continuato ad acquisire impianti di diffusione televisiva e rami di azienda ricomprendenti sia gli impianti di diffusione, sia i diritti d'uso di frequenze digitali, allo scopo di implementare comunque in tempi brevi la propria rete di alta frequenza, e che era stata costretta, per assicurarsi una idonea copertura del Piemonte stante quella che appare l'inerzia del Ministero, ad acquisire da un operatore di rete terzo capacità trasmissiva su tale regione, anche per soddisfare le esigenze del cliente Interactive Group spa, che diffondeva i palinsesti nazionali Sportitalia, Sportitalia 2 e Sportitalia News, depositava al Ministero tutta una serie di separate istanze tese ad ottenere sia la modifica della frequenza assegnata nelle regioni Sardegna e Trentino Alto Adige, sia l'autorizzazione all'attivazione di impianti con funzione integrativa nelle aree digitali di Valle d'Aosta, Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Lazio, Campania e Sardegna, sia la razionalizzazione e l'ottimizzazione della rete esistente nelle suddette aree digitali;
la direzione generale per la pianificazione e la gestione dello spettro radioelettrico del Ministero comunicava il proprio parere positivo nei normali tempi tecnici sulla quasi totalità delle istanze presentate da Tivuitalia, la direzione generale per i servizi di comunicazione elettronica

e radiodiffusione dello stesso Ministero ometteva totalmente di dar corso alle relative autorizzazioni;
in ordine a tutte le acquisizioni effettuate Tivuitalia aveva comunicato e comunicava tempestivamente le stesse sia all'Autorità che al Ministero, ma, mentre la prima provvedeva puntualmente ai relativi riscontri autorizzativi, nessuna posizione veniva assunta dal Ministero che, senza assumere alcuna iniziativa verso la stessa Tivuitalia, chiedeva peraltro alla Interactive Groups.p.a. di comunicare su quale rete stesse diffondendo i propri programmi;
sebbene la sopra denunciata situazione risultasse, come si preciserà più compiutamente in seguito, gravemente pregiudizievole per Tivuitalia, che continuava ad essere tenuta nel «limbo» nonostante i ripetuti interventi presso il Ministero, rendendo nel contempo credibili i dubbi insinuati da soggetti concorrenti nei confronti dei fornitori nazionali di servizi di media audiovisivi sul conseguito status di autorizzato generale per l'attività di operatore di rete nazionale, Tivuitalia attendeva pazientemente e fiduciosamente l'esito positivo della vicenda procedurale e sostanziale;
in data 31 marzo 2011 veniva pubblicato sulla Gazzetta ufficiale il decreto-legge n. 34 del 2011 che, all'articolo 4, prevedeva tra l'altro «l'assegnazione dei diritti di uso relativi alle frequenze radiotelevisive nel rispetto dei criteri e delle modalità disciplinati dai commi da 8 a 12 dell'articolo, 1 della legge 13 dicembre 2010 n. 120, nonché, per quanto concerne le frequenze radiotelevisive in ambito locale, predisponendo, per ciascuna area tecnica o Regione, una graduatoria dei soggetti legittimamente abilitati alla trasmissione radiotelevisiva in ambito locale che ne facciano richiesta»;
la situazione giuridica di Tivuitalia è stata sinteticamente riassunta nella lettera del 2 settembre 2010 che viene ritrascritta integralmente: «Oggetto: Istanza per il rilascio dell'autorizzazione generale per l'attività di operatore di rete televisivo in ambito nazionale su frequenze terrestri in tecnica digitale ai sensi del combinato disposto dell'articolo 25, comma 4, del decreto legislativo 259 del 2003, dell'articolo 23, comma 7, della legge n. 112 del 2004 e dell'articolo 8-nonies della legge n. 101 del 2008.
Riscontrando la Vostra pregiata comunicazione fax 1o settembre 2010 protocollo N. DGSCER/DIV III/56351 ci permettiamo di far rispettosamente presente quanto segue:
a) la nota protocollo 20897 del 16 aprile 2010 a firma del dottor Roberto Sambuco è stata tempestivamente impugnata al TAR del Lazio per gli aspetti non legittimi e/o infondati e/o non condivisibili;
b) indipendentemente dal deposito, da parte di Codesto Onorevole Ministero dello Sviluppo Economico, presso l'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni e presso l'Autorità per la Concorrenza ed il Mercato, degli atti inoltrati dalla scrivente società, ed indipendentemente dalla non "definizione" dell'"attività procedurale della disciplina prevista dall'articolo 14 del decreto legislativo 259 del 2003" menzionata nella già citata comunicazione 16 aprile 2010, i soggetti cedenti e l'acquirente società hanno depositato in data 18 maggio 2010 presso gli uffici protocollo dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni e delle D.G.S.C.E.R, e D.G.P.G.S.R. di Codesto Onorevole Ministero, con riferimento ai diritti d'uso delle regioni Campania, Lazio, e Sardegna, le formali separate istanze di attivazione della procedura prevista dall'articolo 14, comma 4, del decreto legislativo 259 del 2003;
c) il termine di 90 giorni, previsto dal già citato articolo 14, comma 4, decreto legislativo 259 del 2003 per la comunicazione del nulla-osta alla cessione dei diritti d'uso e/o per la apposizione di eventuali specifiche condizioni, risulta scaduto in data 16 agosto 2010 e, conseguentemente, tali cessioni devono comunque ritenersi pienamente efficaci e definitive;
d) la suddetta "efficacia" e "definitività" è divenuta tale prima della scadenza

del termine di sei mesi, previsto dall'articolo 23, comma 7, della legge n. 112 del 2004, per il raggiungimento, da parte del soggetto richiedente, di una "copertura non inferiore al 50 per cento della popolazione", avendo la scrivente società protocollato la propria "istanza per il rilascio dell'autorizzazione generale per l'attività di operatore di rete in ambito nazionale" in data 19 febbraio 2010 e potendo quindi raggiungere tale copertura sino al 19 agosto 2010;
e) tutte le acquisizioni di impianti di diffusione televisiva sono state poste in essere nell'ambito della previsione dell'articolo 27, comma 3, del decreto legislativo 31 luglio 2005 n. 177, non modificato dal decreto legislativo 15 marzo 2010 n. 44, e devono quindi ritenersi ugualmente efficaci e definitive;
f) risulta infine abbondantemente scaduto anche il termine di 60 giorni previsto dal penultimo capoverso dell'articolo 25, comma 4, del decreto legislativo n. 259 del 2003 sia per la verifica della "sussistenza dei presupposti e dei requisiti richiesti" per l'autorizzazione generale per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica, sia per l'eventuale notifica del "divieto di prosecuzione dell'attività", termine che andava a scadere al 20 aprile 2010 ove riferito alla DIA depositata il 19 febbraio 2010 unitamente alla già citata "istanza per il rilascio dell'autorizzazione generale per l'attività di operatore di rete in ambito nazionale", ovvero al 20 luglio 2010 ove riferito alla integrazione definitiva di tale DIA, depositata in data 21 maggio 2010, con conseguente maturazione dell'istituto giuridico del "silenzio-assenso";

In una tale situazione la scrivente società non può che rivendicare a pieno titolo il riconoscimento dello status di "autorizzato generale per l'attività di operatore di rete in ambito nazionale su frequenze terrestri in tecnica digitale" ed in tale veste e ruolo intende sia partecipare ai Tavoli Tecnici già indetti e da indire, sia far valere i propri diritti ed interessi legittimi.
Ad abundantiam, per tuziorismo e per mera curiosità, data la cogenza delle argomentazioni di cui alle precedenti considerazioni di diritto e la attuale irrilevanza dell'esito della "verifica di ufficio" che la D.G.P.G.S.R. avrebbe dovuto svolgere e che aveva preannunciato con lettera 31 marzo 2010 PR 15982, sarebbe gradita la conferma dei dati di copertura dichiarati in data 21 maggio 2010, copertura peraltro oggetto di ulteriori integrazioni, precipuamente finalizzate all'immediato servizio di diffusione in altre aree, poste in essere successivamente a tale data»;
le affermazioni contenute in tale lettera, prodotta ed espressamente richiamata anche nei ricorsi amministrativi presentati da Tivuitalia, nonché nella risposta di Interactive Group spa non sono mai state né riscontrate né tantomeno contestate dal Ministero;
il Ministero dello sviluppo economico: a) non ha ancora comunicato a Tivuitalia l'esito della verifica della copertura della rete di alta frequenza, verifica che doveva essere svolta «d'ufficio» entro il 22 luglio 2010 ove riferita alla data di deposito della DIA definitiva, ovvero entro il 20 ottobre 2010 ove riferita alla data di scadenza del termine di sei mesi dalla presentazione dell'istanza per il conseguimento dello status di operatore di rete nazionale, legislativamente, concesso al soggetto istante per il raggiungimento di una copertura non inferiore al 50 per cento della popolazione; b) non ha ancora comunicato l'«attività procedurale» che, secondo il contenuto della propria lettera dovrebbe essere adottata in caso di acquisizione di diritti d'uso; c) non si è ancora pronunciato sulle tre istanze del 18 maggio 2010 presentate da Tivuitalia sulla base dell'interpretazione letterale dell'articolo 14 del decreto legislativo n. 259 del 2003, istanze sulle quali avrebbe dovuto emettere i propri provvedimenti decisionali entro il 18 agosto 2010; d) nulla ha comunicato in ordine alle numerosissime acquisizioni di impianti poste in essere da Tivuitalia nell'arco di oltre un anno; e) non ha rilasciato, nonostante i pareri positivi

espressi dalla direzione generale per la pianificazione e la gestione dello spettro radioelettrico, le autorizzazioni alle legittime istanze di cui alla seconda parte del precedente punto a18), presentate da Tivuitalia;
devesi aggiungere che lo stesso Ministero, nei procedimenti relativi allo switch-off delle aree tecniche 3, 5, 6 e 7, che hanno visto direttamente coinvolta Tivuitalia, avrebbe reso impossibile da un lato la partecipazione di questa ai procedimenti, la cui «comunicazione di avvio» è stata contestuale o addirittura successiva alla relativa conclusione e, dall'altro, la verifica del rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, pubblicità, trasparenza, non discriminazione e proporzionarietà ripetutamente enunciati da tutte le norme nazionali e comunitarie;
la posizione assunta dal Ministero nei confronti di Tivuitalia si appalesa, ad avviso dell'interrogante, oltre tutto poco coerente sul piano della logica, in quanto, stante l'unico elemento differenziatore dell'attività radiotelevisiva nazionale o locale identificato dal decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177 (testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici) nella copertura o meno del 50 per cento della popolazione (articolo 2, comma 1, lettere «u» e «z»), oltre tutto con limitazione, per le emittenti televisive locali ad un massimo di dieci bacini, o Tivuitalia viene riconosciuta ufficialmente come rete nazionale oppure (per assurdo) tutte le acquisizioni effettuate dopo il raggiungimento della copertura del 50 per cento della popolazione nazionale o, comunque, ricadenti nei bacini regionali a partire dall'undicesimo, dovrebbero essere dichiarate illegittime ed annullate, in quanto contra legem;
quantomeno «singolare», oltreché configurante una incontrovertibile «disparità di trattamento», appare all'intrerrogante la circostanza del ben diverso comportamento precedentemente tenuto dal Ministero nei confronti del nuovo concessionario nazionale 3lettonica s.p.a. titolare della rete «H3G» che aveva seguito lo stesso iter procedurale sulla base della medesima normativa e che, sotto la reggenza dello stesso Ministro Paolo Romani, a quanto consta l'interrogante, si era vista riconoscere il proprio status nazionale pochi giorni dopo la presentazione della relativa domanda, addirittura senza lo svolgimento di particolari verifiche sulla copertura raggiunta;
tutto quanto sopra evidenziato, tanto ingiustificabile quanto incomprensibile, legittima comunque l'insorgenza del dubbio che la posizione assunta dal Ministero verso Tivuitalia possa essere inquadrata nel tentativo di mantenere inalterata una situazione delle reti televisive nazionali di oligopolio, peraltro molto simile al monopolio ove si consideri che in Italia il potere politico coincide con il potere economico quantomeno con riferimento al sistema televisivo, ed il Presidente del Consiglio dei Ministri, proprietario dei principali network televisivi, può esercitare una influenza rilevantissima anche sul consiglio di amministrazione della concessionari pubblica;
è incontrovertibile che Tivuitalia, soggetto «nuovo entrante» del settore televisivo, definita dal già citato Ministro Paolo Romani in un articolo apparso su Il Riformista come «una società privata che si sta espandendo con forze proprie» ha subito e sta subendo gravissimi danni a seguito del denunciato comportamento ministeriale in quanto: a) rischia di veder vanificati i rilevantissimi investimenti (oltre euro 35.000.000,00 - trentacinquemilioni) allo stato sostenuti per la realizzazione della rete di diffusione e di una dorsale bidirezionale ad alta capacità con funzione di interconnessione degli impianti di diffusione e di veicolazione di programmi e dati di soggetti terzi; b) incontra notevoli difficoltà nella cessione a terzi della propria capacità trasmissiva, unica fonte di provento della propria attività imprenditoriale, avendo scelto motivatamente di non dedicarsi direttamente alla realizzazione di palinsesti/servizi di media audiovisivi c) sostiene da un lato

inutili costi e, dall'altro, non consegue una parte dei ricavi essendo stata costretta, sotto il primo aspetto, ad acquisire capacità trasmissiva da terzi e, sotto il secondo aspetto, non potendo praticare nei confronti di Interactive Group spa gli aggiornamenti dei corrispettivi contrattualmente previsti in caso di incremento della popolazione servita per impossibilità di attivazione degli impianti con funzione integrativa;
a tali danni diretti devono aggiungersi i danni indiretti che il denunciato comportamento ministeriale finisce per arrecare sia alla stessa Tivuitalia, sia alla controllante Screen Service Technologies spa, società quotata in borsa con azionariato diffuso, con reiterate influenze negative sulle quotazioni di quest'ultima sul mercato azionario e con conseguente danno anche per gli investitori, che per primi dovrebbero essere tutelati da un corretto comportamento della pubblica amministrazione;
peraltro, la disposizione dell'articolo 4 del decreto-legge 31 marzo 2011, n. 34, rende ancor più concreti i paventati rischi, dato che tale norma richiama espressamente l'articolo 1, commi da 8 a 12, della legge 13 dicembre 2010, n. 220, che, al comma 10, con riferimento alla «definitiva assegnazione dei diritti d'uso del radiospettro» enuncia il seguente principio «successivamente all'assegnazione di cui al precedente periodo, i soggetti privi del necessario titolo abilitativo si astengono dal compiere atti che comportino l'utilizzo delle radiofrequenze...», mentre l'articolo 8-nonies del decreto-legge 8 aprile 2008, n. 59, convertito con modificazioni dalla legge 6 giugno 2008, n. 101, pure richiamato dallo stesso articolo 4 del citato decreto-legge 31 marzo 2011, n. 34, prevede espressamente, al comma 4, che «i diritti di uso delle frequenze per l'esercizio delle reti televisive digitali saranno assegnati, in conformità ai criteri di cui alla deliberazione n. 181/09/CONS dell'Autorità... nel rispetto dei principi stabiliti dal diritto comunitario, basate su criteri obiettivi proporzionali, trasparenti e non discriminatori;
dal combinato esame delle sopra citate disposizioni emerge in modo incontrovertibile che: a) la deliberazione 181/09/CONS dell'Autorità ha previsto sia «21 reti nazionali con copertura approssimativamente pari all'80 per cento del territorio nazionale da destinare al DVB-T ed ulteriori 4 reti nazionali... per servizi DVB-H», sia l'assegnazione di 8 delle reti DVB-T agli altrettanti concessionari nazionali esistenti all'epoca ed operanti in tecnica analogica, sia l'assegnazione di ulteriori 8 delle reti DVB-T per il mantenimento delle altrettante reti digitali terrestri nazionali DVB-T gestite dagli operatori di rete legittimamente operanti all'epoca, sia la destinazione di «un dividendo digitale non inferiore a 5 reti televisive nazionali, oltre ad una eventuale rete DVB-H», sia l'assegnazione di tali ultime risorse «attraverso procedure selettive basate su criteri obiettivi, proporzionali, trasparenti e non discriminatori, nel rispetto dei principi stabiliti dal diritto comunitario» aggiungendo che «i cinque lotti messi in gara avrebbero dovuto essere suddivisi in due parti: parte A), pari a tre lotti, riservati ai nuovi entranti e ad altri operatori esistenti (esclusi gli operatori che prima delle conversioni delle reti analogiche e della razionalizzazione dei multiplex digitali esistenti DVB-T avevano la disponibilità di due o più reti televisive nazionali in tecnica analogica; parte B) pari a due lotti, aperti a qualsiasi offerente» e, quindi, tutte le reti nazionali DVB-T risultano aver avuto una propria specifica destinazione; b) conseguentemente, nella fase di assegnazione dei diritti d'uso delle frequenze nazionali, prevista sia dal comma 10 dell'articolo 1 della legge 13 dicembre 2010, n. 220, sia dall'articolo 4 del decreto-legge 31 marzo 2011, n. 34, non sarà possibile procedere all'assegnazione di una di tali frequenze digitali DVB-T in quanto già assegnate ovvero facenti parte del «dividendo digitale»; c) d'altra parte Tivuitalia non può certo aspirare ad un proprio inserimento nelle «graduatorie»

previste nei vari bacini dal più volte citato articolo 4 del decreto-legge 31 marzo 2011, n. 34, sia poiché tali graduatorie attengono all'assegnazione delle «frequenze radiotelevisive in ambito locale» sia perché le graduatorie stesse sono riservate unicamente ai «soggetti legittimamente abilitati alla trasmissione radiotelevisiva in ambito locale», sia perché Tivuitalia, nel rispetto del dettato legislativo di cui al pure già più volte citato articolo 23, comma 7, della legge 3 maggio 2004, n. 112, ha rinunciato ai propri titoli abilitativi in ambito locale contestualmente al raggiungimento della copertura di oltre il 50 per cento della popolazione, proprio per il conseguimento dello status di autorizzato generale per l'attività di operatore di rete in ambito nazionale;
devesi aggiungere, con specifico riferimento alla «gara» per l'assegnazione delle frequenze del dividendo digitale che, pur essendo allo stato ignoto il contenuto del relativo bando, di fatto la gara stessa sembra essersi limitata unicamente a due delle suddette frequenze, in quanto il CH 58 UHF risulta già da tempo assegnato, seppur con la causale della «sperimentazione di nuove tecnologie», a Mediaset spa che vi diffonde anche la propria normale programmazione, il CH 54 UHF risulta pure assegnato con la stessa formula alla Telecom Italia Media Broadcasting spa ed un terzo canale risulta di quasi certa assegnazione alla RAI Radiotelevisione Italiana spa;
sempre con riferimento a quanto evidenziato al punto precedente non può inoltre sottacersi sia che l'assegnazione sperimentale del CH 58 a Mediaset è avvenuta quando il Ministero dello sviluppo economico-comunicazioni era retto ad interim dallo stesso Presidente del Consiglio dei ministri, sia che, avendo RAI, Mediaset e TIMB rinunciato a far valere le proprie richieste di assegnazione di una ulteriore frequenza digitale per ciascuna società proprio per consentire l'attuale configurazione del dividendo digitale al precipuo scopo di evitare gli effetti della procedura di infrazione n. 2005/5086 della Corte di Giustizia dell'Unione europea, ove l'esito della «gara» fosse quello ricostituire, con l'imprimatur della legalità, la pregressa situazione;
quanto poi alla specifica situazione di Tivuitalia, una eventuale partecipazione della stessa alla suddetta gara, prescindendo dal particolare che, secondo una prima bozza del bando circolata nel settore televisivo, uno dei requisiti veniva identificato nella esistenza di un titolo abilitativo in ambito locale, titolo al quale la stessa Tivuitalia ha da tempo rinunciato, l'eventuale aggiudicazione di una delle due frequenze residue lascerebbe irrisolta la problematica sia degli investimenti effettuati per la realizzazione della attuale rete, sia dell'utilizzo delle frequenze acquisite e/o già assegnate come diritti d'uso;
al contrario, in caso di assegnazione diretta, ed extra gara e prima dell'effettuazione della stessa, di una delle suddette frequenze del dividendo digitale, in quarta o quinta banda UHF, eventualmente nell'ambito di un accordo transattivo, Tivuitalia sarebbe disponibile sia a rinunciare ai propri diritti/interessi legittimi ed alle correlative richieste di risarcimento danno nei confronti del Ministero per quelli che appaiono comportamenti inadempienti ed omissivi, sia a mettere a disposizione dello stesso Ministero le frequenze oggi in esercizio, frequenze che, data la scarsità di tale risorsa, potrebbero adeguatamente essere utilizzate dallo stesso Ministero per risolvere le note problematiche delle emittenti locali, con notevole risparmio degli indennizzi previsti quali «misure economiche di natura compensativa» dall'articolo 1, comma 9, della legge 13 dicembre 2010, n. 220;
il 1° giugno 2011 la società Tivuitalia spa ha depositato presso gli uffici del protocollo del Ministero dello sviluppo economico - comunicazioni ben quindici separati atti di «contestazione inadempimento, costituzione in mora, diffida ad adempiere, riserva azioni anche per risarcimento danni», cinque dei quali depositati

anche agli uffici del protocollo dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e della Autorità garante della concorrenza e del mercato, in relazione ad una serie di comportamenti gravemente omissivi del Ministero dello sviluppo economico - comunicazioni Tivuitalia spa ha proposto da tempo quattro ricorsi amministrativi al TAR del Lazio della più volte citata istanza, e sono tuttora pendenti i rispettivi procedimenti nei quali il Ministero dello sviluppo economico - comunicazioni si è limitato ad una mera costituzione formale tramite l'Avvocatura di Stato, senza alcuna confutazione o contestazione in ordine alle domande della società Tivuitalia spa;
il 24 giugno 2011, dopo aver autorizzato il giorno precedente i tre trasferimenti dei diritti d'uso relativi alle regioni Lazio, Sardegna e Campania, il Ministero dello sviluppo economico-comunicazioni ha risposto, a distanza di oltre sedici mesi rispetto al termine legislativamente previsto di sessanta giorni, alla società Tivuitalia spa sulla dichiarazione di inizio di attività del 18 febbraio 2011 e successive integrazioni, confermando in primo luogo il provvedimento, già emesso non riconoscendo in secondo luogo Tivuitalia spa quale «operatore di rete televisiva nazionale» sulla base di una assunta «implicita abrogazione dell'articolo 23, comma 7, della legge n. 112 del 2004», facendo riferimento, in terzo luogo ed in modo assolutamente contraddittorio, ad una «autorizzazione generale conseguita ai sensi dell'articolo 25, comma 4, del decreto legislativo n. 253 del 2003» che consentirebbe «comunque alla Tivuitalia di esercire in tecnica digitale le singole reti televisive acquisite» ed autorizzando la stessa Tivuitalia a «veicolare uno o più identici contenuti televisivi in tecnica digitale... nell'ambito delle reti televisive»;
il sopra riportato provvedimento ministeriale sostanzialmente negativo e privo addirittura della comunicazione preventiva di cui all'articolo 10-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, ha prodotto sia rilevantissimi danni sulla quotazione del titolo della controllante Screen Technologies spa, quotata in borsa, sia una vasta eco nei media che hanno diffuso la notizia con commenti negativi quali: a) «il digitale terrestre, figlio della legge Gasparri avrebbe dovuto aprire ancora di più il mercato a garantire maggiore pluralismo nelle televisioni, ma non per Screen Service» (Il Sole 24 Ore); b) «Romani, il guardiano delle TV... un'altra Europa 7. È lo spettro che aleggia su Tivuitalia, il canale di Screen Service cui il Ministro dello sviluppo economico, Paolo Romani, ha negato lo status di operatore nazionale... è l'ennesimo pasticcio del Ministero che sedici mesi fa ha ricevuto dalla società notifica della copertura di diciotto regioni e del 70 per cento della popolazione: il diniego sarebbe dovuto arrivare entro sessanta giorni, altrimenti vale il silenzio assenso. Fino alla doccia fredda di venerdì Ma Tivuitalia minaccia sedici messe in mora e una denuncia all'UE che con il Ministero ha un filo diretto. Da Europa 7 al beauty contest delle frequenze.» (La Repubblica); c) Broadcasting «la società trasmette al 70 per cento sul territorio italiano in 18 diverse regioni. Screen Service, su Tivuitalia è scontro con il Ministero. All'emittente non è riconosciuto la status di operatore nazionale. Mazzara: - Fatti gravissimi già condannati dall'Europa - » (Bresciaoggi); d) «Screen Service fa ricorso al TAR e alla UE contro lo stop di Romani. Coprire con il proprio segnale 18 regioni italiane su 20 ed il 70 per cento della popolazione non basta per essere considerato un Operatore di taglia nazionale. Questo è il parere del Ministero dello Sviluppo Economico che può limitare lo sviluppo del business di operatore di rete televisivo di Tivuitalia, principale asset della quotata Screen Service. La notizia, ...ha provocato uno Scossone a Piazza Affari: il titolo ieri ha chiuso a 0,5 euro perdendo il 9,95 per cento» (MF); e) «Scoppia il caso Tivuitalia: negato lo status di operatore di rete nazionale. Screen Service Broadcasting comunica in una nota che il Ministero dello Sviluppo economico ha

autorizzato la controllata Tivuitalia a veicolare contenuti televisivi in tecnica digitale nell'ambito delle reti televisive acquisite, ma ha negato lo status di operatore di rete in ambito nazionale, richiesto dalla società oltre sedici mesi fa in base al superamento della copertura del 50 per cento della popolazione, come previsto dalla legge Gasparri del 2004. Il provvedimento sembrerebbe abrogare l'articolo 23, comma 7 della Legge Gasparri 2004, ma soprattutto appare agli addetti ai lavori come l'ennesima mossa del Governo, dopo la tribolata vicenda di Europa 7, per creare barriere di ingresso nel mercato del digitale terrestre in vista del Beauty contest gratuito che assegnerà sei multiplex agli operatori nazionali.»;
risalto è stato altresì dato al comunicato stampa di Tivuitalia nei lanci di agenzie fra le quali II Sole 24 Ore, MF Dow Jones, Reuters e Radicor-Il Sole 24 Ore, che nell'edizione del 27 giugno 2011 unitamente al sito di La Stampa.it cosi lo riporta: «Screen Service: no Ministero status operatore nazionale. La società intende impugnare il provvedimento. (Il Sole 24 Ore Radiocor) - Milano, 27 giugno - Tivuitalia, controllata dalla Screen Service Broadcasting Technologies, ha ricevuto alcuni provvedimenti dal Ministero dello Sviluppo Economico Dipartimento per le Comunicazioni. I provvedimenti ricevuti, si legge in una nota, legittimano tutte le acquisizioni realizzate e che hanno portato alla costituzione del Mux, autorizzano a veicolare contenuti televisivi in tecnica digitale nell'ambito delle reti acquisite con copertura in 18 diverse regioni e di circa il 70 per cento della popolazione italiana, negano alla stessa il riconoscimento dello status di autorizzato generale alla attività di operatore di rete televisivo in ambito nazionale. Viene quindi negato il riconoscimento dello status di operatore di rete nazionale, richiesto da Tivuitalia oltre 16 mesi fa, nel febbraio 2010, e successivamente ribadito con la formale comunicazione del superamento della copertura del 50 per cento della popolazione formulata in data 21 maggio 2010. In base al principio del silenzio-assenso, decorsi sessanta giorni dalla data della richiesta, lo status di operatore di rete nazionale viene conseguito ipso jure, sempreché il Ministero non notifichi nello stesso termine un provvedimento motivato contenente il divieto di prosecuzione della attività, provvedimento che nei confronti di Tivuitalia non è mai stato emesso. La consapevole correttezza dell'iter attivato e seguito da Tivuitalia, la tardività, l'illegittimità, l'ambiguità e la contraddittorietà del provvedimento del Ministero, che nega lo status di operatore di rete in ambito nazionale pur consentendo a Tivuitalia di operare in un regime di fatto nazionale e che attribuisce ad una norma regolamentare dell'AGCOM (la delibera 181/09/CONS) l'effetto di una «abrogazione implicita» di una norma legislativa primaria dello Stato (in particolare l'articolo 23 comma 7 della legge 03 maggio 2004 112, nota come «legge Gasparri»), espressamente richiamata dall'articolo 15 comma 4 del decreto legislativo 31 luglio 2005 177 - «Testo Unico della Radiotelevisione» - e tuttora pienamente valida ed efficace, impongono a Tivuitalia di far valere i propri diritti ed i propri interessi legittimi nelle sedi più opportune.
«Oltre a risultare tardivo, le motivazioni a sostegno del Provvedimento appaiono illegittime e ambigue» si legge. Dal documento si dedurrebbe infatti che la legge 112 del 2004 nota come «Legge Gasparri" e in particolare il suo articolo 23 comma 7, risulterebbe «implicitamente abrogata» da una norma regolamentare dell'AGCOM (la delibera 181/09/CONS), mentre il citato articolo della Gasparri risulta tuttora pienamente valido ed efficace, anche in quanto espressamente richiamato dall'articolo 15 comma 4 del «Testo Unico della Radiotelevisione» decreto legislativo 177 del 2005. L'ambiguità e contraddittorietà deriva invece dal negare lo status di operatore nazionale ma contestualmente riconoscere e autorizzare Tivuitalia a veicolare contenuti televisivi con copertura in 18 regioni e circa il 70 per cento della popolazione italiana, ben oltre i parametri massimi che caratterizzano gli operatori locali (max 10 regioni e

49 per cento della popolazione). Tali motivazioni impongono quindi a Tivuitalia di ricorrere per far valere i propri diritti ed i propri interessi legittimi nelle sedi più opportune. «Impugneremo tali Provvedimenti ministeriali a difesa degli interessi legittimi non solo di Tivuitalia ma di tutti gli azionisti di Screen Service - ha dichiarato Antonio Mazzara, amministratore delegato di Tivuitalia - attivando tutte le iniziative necessarie sia in ambito nazionale - ricorrendo in via giurisdizionale agli organi di Giustizia Amministrativa e rivolgendoci all'Antitrust - sia in sede europea, intervenendo nel procedimento di infrazione tuttora pendente nei confronti dello Stato italiano per violazione dei principi sulla libera concorrenza e per la situazione di pratico monopolio dell'attività televisiva nazionale. Stiamo altresì valutando se nei comportamenti omissivi e commissivi posti in essere dal Ministero sono configurabili fatti di rilevanza penale» -:
se corrisponda al vero quanto affermato in premessa;
se e come il Ministero dello sviluppo economico intenda affrontare le problematiche sollevate dalla società Tivuitalia spa quantomeno in relazione all'articolo 10-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, eventualmente con l'emanazione di un atto di autotutela, evitando da un lato, in Italia ed in Europa, l'insorgenza di un contenzioso simile, a quello dell'emittente Europa 7 e riconoscendo, dall'altro, il principio del pluralismo ripetutamente ribadito dalle norme comunitarie, con specifico riferimento al settore televisivo, nel quale, ad avviso dell'interrogante, sussiste un noto conflitto di interessi tra potere politico e potere economico.
(4-12622)

...

Apposizione di una firma ad una mozione.

La mozione Nirenstein e altri n. 1-00669, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 giugno 2011, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Cosenza.

Apposizione di firma ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

La mozione Nirenstein ed altri n. 1-00669, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 giugno 2011, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Vernetti. Contestualmente, su richiesta del presentatore, l'ordine delle firme viene così modificato: «Nirenstein, Corsini, Polledri, Adornato, Della Vedova, Vernetti, Boniver, Maran, Renato Farina, Lorenzin, D'Antona, Calderisi, Pianetta, Urso, Di Virgilio, Barbieri, Bertolini, Picchi, Cosenza».

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

La risoluzione in Commissione Monai e altri n. 7-00624, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 luglio 2011, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Cimadoro.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

L'interrogazione a risposta immediata in Commissione Bossa e Miotto n. 5-05063, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 luglio 2011, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Sarubbi.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Compagnon n. 4-12588 del 6 luglio 2011 in interrogazione a risposta orale n. 3-01741.

ERRATA CORRIGE

Interrogazione a risposta in Commissione Bellanova e altri n. 5-05058 pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 496 del 6 luglio 2011. Alla pagina 23094, seconda colonna:
dalla riga trentaseiesima alla riga trentasettesima deve leggersi: «consistenza numerica, peraltro, sfugge anche all'esame statistico -:» e non «consistenza numerica, peraltro, sfugge anche all'esame statistico;», come stampato;
alla riga quarantaquattresima deve leggersi: «di tali fenomeni in alcune aree del Paese;» e non «di tali fenomeni in alcune aree del Paese -:», come stampato.