XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di lunedì 11 luglio 2011

TESTO AGGIORNATO AL 27 LUGLIO 2011

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:

La Camera,
premesso che:
la Siria è stata sottoposta alla legge di emergenza fin dal 1963, legge che di fatto ha sospeso la maggior parte dei diritti costituzionali dei cittadini siriani con la giustificazione dello stato di guerra con Israele;
l'onda lunga della rivoluzione araba (cosiddetta primavera araba), che recentemente ha visto coinvolti i Paesi del Maghreb e del Mashrek, ha, come è ormai noto, violentemente interessato anche la Siria, sorprendendo autorevoli commentatori e analisti che per mesi avevano ritenuto il regime immune da rivolte e richieste di cambiamento;
per la prima volta, infatti, in quarant'anni sono stati attaccati i simboli del regime: la sede del partito Ba'ath al potere è stata incendiata, le gigantografie di al-Assad sfregiate e la statua di Hafez al-Assad (padre dell'attuale Presidente e, a sua volta, Capo dello Stato dal 1971 al 2000) rovesciata; eventi inimmaginabili solo alcune settimane fa;
le proteste sono dapprima iniziate, quasi in sordina, a Damasco, quando il 16 marzo 2011 le forze di sicurezza hanno spezzato un raduno silenzioso in piazza Marjeh di circa 150 manifestanti che reggevano le foto di parenti e amici imprigionati; poi, le proteste si sono estese anche a Dara'a - piccolo centro agricolo vicino al confine con la Giordania, dopo l'arresto di alcuni studenti accusati di aver imbrattato i muri della scuola con scritte contro il regime - e nella regione meridionale dell'Hawran, nella sua forma più violenta, allargandosi alle principali città del Paese, fino a scuotere il porto di Latakia, sul Mediterraneo, 350 chilometri a nord-ovest della capitale;
fin dalla sua ascesa al potere, nel 2000, Bashar al-Assad aveva suscitato forti speranze di riforme (cosiddetta primavera di Damasco), solo alcuni mesi fa alimentate dallo stesso Segretario di Stato americano, Hillary Clinton, anche se è notizia di questi giorni che la stessa si è detta, però, «scoraggiata» dalla violenza in atto in quel Paese e ha affermato che per il Governo siriano il tempo delle riforme sta scadendo e che: «Il Governo di Damasco deve avviare le riforme o sarà costretto a confrontarsi con un'opposizione più organizzata»;
comunque, il 24 marzo 2011 al-Assad ha dovuto, sotto la spinta di proteste sempre più veementi, annunciare l'adozione di provvedimenti per aumentare gli standard di vita e per abolire, soprattutto, la legge di emergenza in vigore in Siria dal 1963;
tali misure sono risultate insufficienti perché, con il passare del tempo, migliaia di persone hanno sempre più aderito alle proteste, apparse da subito fuori controllo, per chiedere il ripristino delle libertà civili e la fine reale dello stato di emergenza;
la situazione in Siria, di settimana in settimana, precipita sempre più rapidamente; venerdì 20 maggio 2011, infatti, a un mese dalla revoca dello stato d'emergenza e dopo un breve periodo di relativa calma, la repressione è tornata a farsi particolarmente sanguinosa; migliaia di siriani sono intanto di nuovo tornati in piazza il 1o luglio 2011 per chiedere la caduta del regime in quasi tutte le località del Paese, compresi alcuni quartieri di Damasco e Aleppo, rimaste finora relativamente ai margini della contestazione; attraverso internet è possibile ormai vedere immagini, ancorché di scarsa qualità perché registrate clandestinamente e con il rischio reale di perdere la vita, che confermano la brutalità della repressione in atto;
recentemente, due missioni del Comitato della Croce rossa internazionale hanno potuto recarsi in due diverse province

siriane, colpite dall'offensiva militare decisa dal regime per reprimere il movimento di protesta in corso ormai da quasi quattro mesi, per visitare la regione di Dara'a e quella di Idlib, al confine con la Turchia, e per consentire al personale del Comitato della Croce rossa internazionale di valutare il tipo di assistenza necessaria;
Amnesty International ha più volte condannato la repressione violenta da parte delle forze di sicurezza e riferito dell'uccisione e dell'arresto di decine di persone;
secondo fonti internazionali, i morti dall'inizio della repressione da parte delle forze di sicurezza sarebbero già oltre 1300 e decine di migliaia gli arresti; altrettanti quelli in fuga verso i confini turchi per sfuggire alle violenze;
all'aggravarsi della situazione, il regime ha tentato di correre al riparo ordinando il rilascio di 260 prigionieri politici, per lo più curdi e islamisti, e annunciando l'aumento fino al 30 per cento dei salari dei dipendenti pubblici. Il Presidente al-Assad si è anche impegnato a studiare una serie di riforme politiche, anche attraverso l'apertura a nuove formazioni politiche, ad allentare la censura sui media e a concedere più potere alle organizzazioni non governative: insomma riforme che, se effettivamente attuate, potrebbero risultare a dir poco rivoluzionarie;
la Siria non è un Paese storicamente coeso e omogeneo, ma una società multietnica e multireligiosa, come l'Iraq e il Libano (per certi versi anche la Libia), e nessun attore internazionale o regionale (fossero gli Stati Uniti o l'Arabia Saudita e l'Iran) sembra interessato a un cambio di regime in Siria;
le minoranze confessionali (drusi, armeni, cristiani) ed etniche (curdi) temono la futura rappresaglia di un regime incattivito perché messo alle corde ed è, quindi, comprensibile che, unitamente a tanti cittadini siriani, si trovino a preferire la «stabilità» a vere riforme, fintantoché la comunità internazionale non adotterà una corretta politica di sanzioni e di condanne nei confronti del regime;
la comunità alawita ha davanti a sé il dilemma se arroccarsi a difesa dei clan del regime oppure schierarsi con la maggioranza degli insorti (sunniti), ma, allo stesso tempo, la violenta rimozione del regime potrebbe portare a uno scontro senza fine tra le diverse fazioni;
l'Unione europea ha, nel mese di maggio 2011, adottato sanzioni nei confronti di alcuni esponenti del regime siriano, prevedendone il bando del visto d'ingresso all'interno dei Paesi dell'Unione europea e il relativo congelamento dei beni posseduti in territorio europeo;
si apprende da un'agenzia stampa dell'Ansa che: «Sette scrittori di tutto il mondo hanno lanciato oggi da Parigi un appello al Consiglio di sicurezza dell'Onu affinché venga adottato "un progetto di risoluzione contro la repressione in Siria che metta fine ai massacri in quanto sarebbe tragico e moralmente inaccettabile rinunciarvi", si legge nella lettera dei sette intellettuali firmatari: Umberto Eco, David Grossman, Bernard-Henri Levy, Amos Oz, Orhan Pamuk, Salman Rushdie e Wole Soyinka»;
il Governo tedesco ha reso noto che intende impegnarsi per fare approvare dal Consiglio di sicurezza dell'Onu una risoluzione di condanna delle violenze in Siria entro la fine del mese di luglio 2011,


impegna il Governo:


ad attivarsi affinché il Consiglio di sicurezza dell'Onu si pronunci nel più breve tempo possibile per fornire una chiara risposta all'inaccettabile susseguirsi di violenze e repressione in Siria attraverso l'adozione di una risoluzione di condanna;
a farsi promotore di un deciso intervento diplomatico, di concerto con le istituzioni

europee, volto a far cessare qualsiasi atto di violenza nei confronti della popolazione siriana;
ad adottare ogni utile iniziativa, anche in occasione della stipula di eventuali accordi bilaterali di cooperazione, per favorire e sostenere scelte politiche che tengano conto delle richieste di rinnovamento e cambiamento di quanti da mesi stanno affrontando la dura repressione del regime siriano.
(1-00687)
«Leoluca Orlando, Evangelisti, Donadi, Di Stanislao, Borghesi».

La Camera,
premesso che:
la contraffazione è un fenomeno che in Italia ha raggiunto livelli insostenibili e che interessa praticamente tutte le tipologie di prodotti e non c'è un settore produttivo che non sia interessato dal fenomeno;
la vastità e la portata delle contraffazioni deve portare lo Stato ad attuare efficaci azioni anticontraffazione che devono basarsi sulla conoscenza e sulla quantificazione del fenomeno tenendo, altresì, conto degli effetti discorsivi della contraffazione sia in riferimento ai settori produttivi che a quelli dell'occupazione, dei consumi, delle entrate fiscali, dei flussi commerciali e, non ultimi, quelli relativi agli investimetiti;
ormai la contraffazione è diventata una linea di attività e interesse della criminalità organizzata che vede in essa la possibilità di ricavare enormi introiti tanto che si renderebbe necessario anche il monitoraggio continuativo, con particolare attenzione per il coinvolgimento della criminalità organizzata italiana e internazionale nel commercio e produzione di prodotti contraffatti, con una particolare attenzione nei riguardi delle direttrici in entrata e in uscita dei prodotti contraffatti gestiti dalla criminalità organizzata;
il Governo Berlusconi ha dato un grande impulso al contrasto alla contraffazione con l'approvazione della legge n. 99 del 2009 (cosiddetta legge sviluppo) che reca il pacchetto contraffazione. In tale contesto sono state previste misure relative alla protezione dei diritti di proprietà intellettuale e dei prodotti made in Italy e con la stessa legge è stato istituito presso il Ministero dello sviluppo economico il Consiglio nazionale anticontraffazione con le funzioni di indirizzo, impulso e coordinamento di tutte le amministrazioni centrali e locali che si occupano di lotta alla contraffazione;
nel triennio 2008-2010 il rapporto Iperico sulla contraffazione affermava che si erano operati 56.055 sequestri, per un totale di oltre 174 milioni di articoli contraffatti;
nel citato rapporto si riferisce che sempre nel triennio 2008-2010 il maggior numero di sequestri si è verificato nel Lazio con 12.158 operazioni pari al 22 per cento del totale dei sequestri effettuati a livello nazionale, a seguire la Lombardia, 8.664 sequestri, il 15 per cento del totale, la Campania, 6.760 sequestri pari al 12,1 per cento, la Puglia con 5.358 sequestri il 9,6 per cento;
le prime quattro regioni raggiungono complessivamente il 60 per cento delle azioni di sequestro realizzate dalla Guardia di finanza e dall'Agenzia delle dogane;
il 72 per cento dei sequestri riguardano le categorie merceologiche degli accessori, dell'abbigliamento e delle calzature;
analoga attenzione va rivolta alla contraffazione degli stessi marchi e non solo dei prodotti in quanto tali,


impegna il Governo:


a dare ulteriore impulso al contrasto della contraffazione dei prodotti e dei marchi, con particolare attenzione alle forme di contraffazione del marchio CE;

a concordare a livello europeo un'azione di contrasto efficace della contraffazione dei prodotti e dei marchi, in particolare quello CE, nonché un'azione coordinata e continuativa di monitoraggio e contrasto dei prodotti contraffatti gestiti dalla criminalità organizzata e sulle direttrici in entrata e in uscita dall'Italia e nel resto dei Paesi aderenti all'Unione europea;
a garantire, anche attraverso l'assunzione di ulteriori iniziative, anche di carattere normativo, l'aumento di efficacia dei controlli dei prodotti, ai fini della sicurezza e tutela dei consumatori e dei produttori;
ad inviare rapporti annuali al Parlamento che contengano i dati relativi alle azioni di contralto delle contraffazioni, sulle direttrici in entrata e in uscita dall'Italia dei prodotti contraffatti.
(1-00688)
«Moffa, Belcastro, Calearo Ciman, D'Anna, Grassano, Gianni, Guzzanti, Iannaccone, Lehner, Marmo, Milo, Mottola, Nola, Orsini, Mario Pepe (Misto-R-A), Pionati, Pisacane, Porfidia, Razzi, Ruvolo, Sardelli, Scilipoti, Siliquini, Soglia, Stasi, Taddei».

La Camera,
premesso che:
nel corso degli ultimi anni si è registrata una crescita costante del fenomeno della contraffazione e della violazione dei diritti di proprietà intellettuale che sta minacciando il nostro sistema industriale, la cui capacità competitiva è basata soprattutto sulla qualità della produzione;
i danni prodotti da questo fenomeno risultano ancor più preoccupanti in un momento congiunturale di crisi economica generalizzata come quello attuale;
oltre ad essere uno degli Stati dell'Unione europea maggiormente colpito da questo fenomeno, a causa della struttura del sistema-Paese, composta per la maggioranza di imprese piccole e medio piccole che hanno difficoltà ad attrezzarsi per contrastare il fenomeno, l'Italia è uno dei Paesi che ha più da perdere in competitività per effetto del diffondersi del fenomeno;
secondo le stime dell'organizzazione mondiale del commercio, i beni contraffatti ammontano all'8 per cento del commercio mondiale, mentre l'OCSE quantificava nel 2007 in 200 miliardi di dollari il giro d'affari complessivo della contraffazione. Il valore del mercato domestico del falso in Italia si aggirava sui 7 miliardi di euro nel 2008, senza considerare la quota di merci contraffatte che partono dal nostro Paese e senza contare la perdita di gettito fiscale per le casse dello Stato determinate dal fenomeno contraffattivo;
il fenomeno non sembra manifestare flessioni nonostante l'incessante attività di contrasto da parte dei nuclei specializzati delle forze dell'ordine che hanno portato a continui ed ingenti sequestri di merce contraffatta (l'ultimo, di 13.000 pezzi in tre fabbriche abusive che producevano calzature, risale allo scorso 6 luglio);
è superfluo considerare che le attività legate alla contraffazione costituiscono per la criminalità organizzata una fonte di reddito proficua a fronte di rischi penali molto bassi;
un altro elemento che caratterizza il fenomeno allo stato attuale è la sua diffusione attraverso internet che consente, grazie ad un anonimato dell'offerta di fatto, di riproporre la medesima offerta di prodotti contraffatti servendosi di una diversa identità e/o di un diverso fornitore di accesso;
la tipologia della merce contraffatta ha subito negli anni un'evoluzione, passando dal settore tessile abbigliamento

e pelletteria (soprattutto delle grandi firme della moda italiana) a prodotti di uso comune (apparecchi sanitari, ricambi auto, giocattoli, ed altro) fino a toccare gli alimenti ed i farmaci con gravi conseguenze sulla sicurezza e salute del cittadino consumatore;
in particolare, per i consumatori, i casi di disturbi ed incidenti causati da prodotti contraffatti hanno riguardato l'uso di farmaci, alcolici, integratori alimentari e i beni di uso quotidiano (in particolare giocattoli, calzature e abbigliamento);
secondo una stima della Cia-Confederazione italiana agricoltori, l'agropirateria internazionale nei confronti dell'agroalimentare «made in italy» ha raggiunto un giro di affari pari a circa 60 miliardi di euro. In Italia si realizza più del 21 per cento dei prodotti a denominazione d'origine registrati a livello comunitario. A questi vanno aggiunti gli oltre 400 vini Doc, Docg e Igt e gli oltre 4000 prodotti tradizionali censiti dalle Regioni e inseriti nell'Albo nazionale. Una lunghissima lista di prodotti che ogni giorno, però, rischia di essere contraffatto, imitato o sofisticato;
i danni derivanti da tale situazione sono purtroppo, destinati a crescere, visto che a livello mondiale ancora non esiste una vera difesa dei nostri Dop, Igp e Stg, che comprendono formaggi, oli d'oliva, salumi, prosciutti e ortofrutticoli. La tutela dei prodotti a denominazione di origine non esiste ancora fuori dal territorio dell'Unione ed è quindi interesse prioritario del nostro paese e dell'UE riuscire ad ottenere il mutuo riconoscimento a livello internazionale delle denominazioni;
nonostante l'articolo 16, paragrafo 2 della direttiva 2009/105/CEE stabilisce che: «È vietato apporre sui recipienti (o sulla targhetta) marcature che possano indurre in errore i terzi circa il significato ed il simbolo grafico della marcatura CE (...)», l'articolo 11, paragrafo 3, della direttiva n. 88/378/CEE recita: «È vietato apporre sui giocattoli marcature che possano indurre in errore i terzi circa il significato ed il simbolo grafico della marcatura CE», l'articolo 15, paragrafo 3, della direttiva 89/106/CEE dispone: «Gli Stati membri adottano le misure necessarie a vietare che si appongano sui prodotti o sui relativi imballaggi marcature che possano indurre in errore i terzi circa il significato ed il simbolo grafico della marcatura CE», gli Stati membri in realtà non sembrano in grado di vietare l'immissione sul loro mercato, e quindi su quello europeo, di prodotti provenienti da Paesi non membri dell'Unione europea e già marchiati;
infatti, sempre più numerosi i produttori cinesi che copiano il marchio CE, di conformità alle direttive europee, apposto sui prodotti provenienti dai paesi membri dell'Unione, attraverso una loro versione corrispondente al marchio China Exportation, eludendo quindi tutte le prove di conformità agli standard di sicurezza europei ed inondando i nostri mercati di prodotti di dubbia efficacia, sicurezza e qualità,


impegna il Governo:


a considerare la lotta alla contraffazione una priorità europea, oltre che nazionale, e a promuovere forme di coordinamento più stringenti a livello di Unione europea;
a sollecitare le istituzioni europee affinché si adoperino fattivamente presso le massime istituzioni cinesi perché cessi l'uso fraudolento del marchio CE quale acronimo della sigla China Exportation;
a predisporre una massiccia campagna pubblica di informazione e sensibilizzazione anche attraverso accordi con istituti scolastici medi e superiori, università e centri di ricerca, Agenzia delle dogane, Guardia di finanza e Poligrafico dello Stato, per l'inserzione nei programmi didattici di momenti formativi specificamente dedicati alla materia;
ad assumere iniziative, anche normative dirette a contrastare la contraffazione via internet, sia a livello nazionale sia a livello europeo;

a favorire, con accordi bilaterali con Paesi non membri dell'Unione europea, la cooperazione amministrativa per la lotta alla fonte del fenomeno nei Paesi di origine.
(1-00689)
«Anna Teresa Formisano, Della Vedova, Lanzillotta, Lo Monte, Galletti, Ruggeri, Pezzotta, Delfino, Ciccanti, Compagnon, Naro, Volontè, Raisi, Mosella, Pisicchio, Tabacci, Vernetti, Commercio, Latteri, Lombardo».

La Camera,
premesso che:
è necessario intervenire in modo organico per la costruzione di un sistema solido e che tenga conto delle mutate condizioni del mercato del lavoro, nel quale si cambia professione e, quindi, ente previdenziale o categoria più volte nella vita lavorativa;
le disposizioni previste dai commi da 12-sexies a 12-undecies dell'articolo 12 del decreto-legge n. 78 del 2010 hanno abrogato tutte le norme che prevedevano il trasferimento della contribuzione all'Inps gratuitamente: legge 2 aprile 1958, n. 322 (ricongiunzione delle posizioni previdenziali ai fini dell'accertamento del diritto e della determinazione del trattamento di previdenza e di quiescenza); articolo 3, comma 14, del decreto legislativo 16 settembre 1996, n. 562 (fondo di previdenza per gli elettrici); articolo 28 della legge 4 dicembre 1956, n. 1450 (fondo di previdenza per i telefonici); articolo 40 della legge 22 novembre 1962, n. 1646 (personale dipendente dalle amministrazioni statali, anche con ordinamento autonomo, personale iscritto agli istituti di previdenza ora Inpdap, personale iscritto all'Istituto postelegrafonici (Ipost)); articolo 124 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (dipendenti civili e militari in servizio permanente e continuativo); articolo 21, comma 4, e articolo 40, comma 3, della legge 24 dicembre 1986, n. 958 (carabinieri, graduati e militari di truppa, sergenti di complemento);
per poter cumulare, in modo non oneroso, i contributi ai fini del diritto ad un'unica pensione, attualmente è necessario avere almeno tre anni di contribuzione versata in ogni singola gestione o fondo, altrimenti non è possibile effettuare la totalizzazione e comunque non esiste una reale reciprocità tra gli enti, tra i fondi sostitutivi, i fondi professionali e il calcolo della prestazione avviene solo con il sistema contributivo (per di più secondo un criterio specifico) e, quindi, in modo penalizzante per chi avrebbe avuto il diritto al calcolo retributivo se gli stessi contributi fossero stati in un unico fondo;
in assenza, pertanto, di un completamento dell'istituto della totalizzazione ci si trova in presenza di lavoratrici e lavoratori che non possono avvalersi di tale procedimento e che sono costretti a pagare la ricongiunzione con oneri divenuti significativi al fine di poter utilizzare i contributi che, comunque, hanno già versato; in caso contrario, tali lavoratori e lavoratrici sono costretti dai costi a rinunciare alla valorizzazione di parte della propria contribuzione ai fini pensionistici;
inoltre, non bisogna trascurare che la vita lavorativa variegata, che induce la maggior parte dei lavoratori a passare dal lavoro dipendente al lavoro autonomo e a progetto e viceversa, potrebbe portare ad accumulare contributi versati in diverse gestioni previdenziali, con difficoltà nel raggiungimento dei requisiti che permettano di andare in pensione ed avere perlomeno parte di quello che si è versato;
proprio per venire incontro a tali esigenze, sono in discussione in sede referente in Commissione XI (lavoro pubblico e privato) della Camera dei deputati delle iniziative che hanno l'obiettivo di ottenere un'unica pensione, calcolata con il cumulo di tutti i contributi versati, avvalendosi dell'istituto della totalizzazione, di cui possono usufruire, senza oneri, tutti i lavoratori che abbiano versato contributi presso più gestioni, garantendo

inoltre l'applicazione delle norme in vigore per quanto riguarda il sistema di calcolo retributivo, misto e/o contributivo,


impegna il Governo:


ad assumere le opportune iniziative normative per consentire la possibilità di cumulare ai fini del diritto a un unico trattamento pensionistico i periodi assicurativi non coincidenti, di qualsiasi durata, posseduti presso le diverse gestioni attraverso la determinazione pro quota del trattamento stesso senza penalizzazioni, ferma restando la facoltà di attivare - in alternativa - la ricongiunzione onerosa, al fine di ottenere un trattamento di miglior favore, valutando anche le modalità con le quali rimuovere il limite dei tre anni per quanto riguarda la possibilità di totalizzazione;
ad assumere le iniziative di competenza, ove possibile anche in sede di interpretazione autentica, per chiarire ab initio i casi di effettiva applicabilità di quanto previsto, in materia di ricongiunzione onerosa, nel decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.
(1-00690)
«Cazzola, Gnecchi, Fedriga, Poli, Della Vedova, Moffa, Borghesi, Lanzillotta, Lo Monte, Brugger, Baldelli, Ceccacci Rubino, Vincenzo Antonio Fontana, Antonino Foti, Giammanco, Lorenzin, Pelino, Scandroglio, Agostini, Baretta, Bellanova, Berretta, Bobba, Bocci, Boccuzzi, Braga, Brandolini, Carella, Marco Carra, Codurelli, Concia, Coscia, Damiano, De Biasi, De Pasquale, Esposito, Farinone, Ferrari, Froner, Gatti, Ghizzoni, Giovanelli, Laganà Fortugno, Lenzi, Lucà, Madia, Marchi, Marchignoli, Marchioni, Mariani, Mattesini, Miglioli, Miotto, Mosca, Motta, Murer, Narducci, Pedoto, Rampi, Rugghia, Samperi, Santagata, Scarpetti, Schirru, Siragusa, Strizzolo, Tullo, Vannucci, Velo, Vico, Villecco Calipari, Bitonci, Bonino, Caparini, Munerato, Binetti, Ciccanti, Compagnon, Delfino, Dionisi, Anna Teresa Formisano, Galletti, Libè, Naro, Occhiuto, Pezzotta, Ruggeri, Volontè, Buonfiglio, Lo Presti, Mottola, Paladini, Aniello Formisano, Commercio,Beltrandi, Bernardini, Farina Coscioni, Maurizio Turco, Zamparutti».

Risoluzione in Commissione:

La VII Commissione,
premesso che:
gli articoli 2, 3, 34 e 38 della Costituzione sanciscono rispettivamente i diritti inviolabili, il principio d'uguaglianza, il diritto allo studio, il diritto all'educazione e all'avviamento professionale per le persone con disabilità;
l'articolo 24 della Convenzione delle Nazioni unite del 13 dicembre 2006 sui diritti delle persone con disabilità, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni unite (ratificata dall'Italia con la Legge 3 marzo 2009, n. 18) dispone che gli Stati membri «riconoscono il diritto delle persone con disabilità all'istruzione»;
il rapporto «Gli alunni con disabilità nella scuola italiana: bilancio e proposte», promosso e realizzato in collaborazione da associazione Treellle ha registrato che negli ultimi 10 anni gli alunni con disabilità nella scuola italiana sono aumentati di circa il 45 per cento, superando la soglia di 200 mila nel 2009/10;
il numero di alunni con disabilità per docente di sostegno sembrerebbe rimasto nel tempo sostanzialmente stabile (oscillando fra 1,9 e 2) a livello nazionale, pur con differenze territoriali elevando in diversi casi il rapporto docente/allievo da 2 a 4;
gli alunni con problemi di invalidità e stato di handicap grave ai sensi della legge n. 104 del 1992 per poter richiedere l'insegnante

di sostegno devono essere in possesso della certificazione di invalidità legata alla legge n. 104 del 1992, senza la quale l'ufficio scolastico regionale e provinciale non concede l'insegnante di sostegno;
la nuova procedura, introdotta dall'articolo 20 del decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78, prevede che a rilasciare tali certificazioni, non sia più la Asl, ma anche una commissione di verifica apposita gestita dall'INPS;
si stanno registrando in tutta Italia gravi ritardi che rischiano di provocare un drastico calo del numero dei docenti di sostegno, nonostante i ragazzi con problemi siano rimasti gli stessi;
nella sola regione della Liguria risultano bloccate dall'INPS 35.000 domande relative al 2010 per il riconoscimento dell'invalidità civile;
si ritiene che altre 2.000 domande si aggiungeranno alla fine del 2011,


impegna il Governo


affinché vengano individuate tutte le misure organizzative e procedurali affinché gli enti preposti, ed in particolare l'INPS, assicurino l'espletamento delle certificazioni a essi rimesse in tempi certi e ragionevoli al fine di assicurare il diritto allo studio degli alunni con disabilità, compatibilmente con le scadenze relative all'inizio del prossimo anno scolastico e con la predisposizione dei piani educativi individualizzati (PEI), regolati dall'articolo 12, comma 5, della legge n. 104 del 1992, dando diritto all'assegnazione dell'insegnante di sostegno.
(7-00634) «Rossa, Tullo, Schirru».

...

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA
DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:

LANZILLOTTA, MOSELLA, PISICCHIO, TABACCI e VERNETTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
lo scenario che emerge dagli atti della procura di Napoli riguardanti l'inchiesta che coinvolge l'ex consigliere politico del Ministro Tremonti, Marco Milanese, rivela un desolante quadro di degrado e uso degenerato del potere incompatibile con il rigore e la rettitudine che dovrebbe invece caratterizzare l'esercizio del potere stesso da parte di chi chiede sacrifici agli italiani;
farsi pagare l'affitto o regalare orologi pagati con denaro di dubbia origine, se accertato, non sarebbe evidentemente compatibile eticamente per un Ministro della Repubblica;
ma ben più gravi sono gli elementi che stanno emergendo e che fanno intravedere una mancanza di trasparenza di molte scelte riguardanti nomine di vertici di importantissime società pubbliche, e che di fatto investono direttamente la responsabilità del Ministro dell'economia e delle finanze;
ciò che si legge, ad avviso degli interroganti, getta un'ombra molto pesante sulle logiche, gli interessi e sugli intrecci che possono condizionare la gestione delle società partecipate dal Ministero dell'economia e delle finanze, società che operano in settori delicatissimi dell'economia -:
cosa intendano fare il Presidente del Consiglio ed il Ministro interrogato per chiarire con urgenza quali siano i criteri, in virtù di quali rapporti, attraverso quali meccanismi di selezione siano state effettuate le designazioni nelle società dello Stato, e quali iniziative il Governo intenda assumere per revocare le persone la cui nomina può essere sospettata di appartenere a logiche di scambio e come ritenga di poter sottrarre la gestione delle società dello Stato a oscuri condizionamenti.
(3-01745)

Interrogazioni a risposta scritta:

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
il signor Federico L. ha convissuto a lungo con la signora Meirelles De Oliveira, cittadina portoghese, dalla quale ha avuto due figli, Filippo L. e Matteo L., entrambi nati a Bologna, il primo in data 19 marzo 2005 e il secondo in data 21 settembre 2006;
il 30 marzo 2007 la signora Meirelles parte alla volta del Portogallo insieme ai figli per quella che avrebbe dovuto essere una normale visita ai parenti. In seguito il signor Federico L. scoprirà che prima di partire la donna aveva rubato il denaro in cassaforte ed i libretti di risparmio dei bambini, essendo già intenzionata a non fare più ritorno in Italia;
dal marzo all'agosto 2007 il padre dei bambini si reca a Lisbona con cadenza pressoché mensile per andare a trovare i figli, facendo con sempre più insistenza pressioni per un loro immediato rientro in Italia. A fronte di ciò la donna reagisce in maniera violenta e negativa;
in data 17 agosto 2007 il signor Federico L. ricorre al tribunale per i minorenni di Bologna per ottenere l'affidamento dei figli; successivamente il medesimo sporge querela nei confronti della signora Meirelles per sottrazione di minori presso i carabinieri di Bologna;
il 16 ottobre 2007 il signor Federico L. attiva - attraverso l'autorità centrale italiana - il processo per il rimpatrio dei figli ai sensi della Convenzione Aja del 1980. La richiesta è trasmessa all'autorità centrale portoghese;
il 19 dicembre 2007 l'autorità centrale italiana si oppone al rigetto, che l'autorità centrale portoghese aveva nel frattempo manifestato, richiamandosi alla legislazione in materia di affidamento e all'indipendenza del processo Aia;
il 22 dicembre 2007 il signor Federico L. presenta una seconda querela nei confronti della signora Meirelles per il furto del denaro dalla cassaforte e dei libretti di risparmio dei bambini;
finalmente, in data 11 febbraio 2008, l'autorità centrale portoghese decide di inoltrare il fascicolo Aja al tribunale per i minori e la famiglia di Lisbona;
il 15 febbraio 2008 il giudice dell'Aja (tribunale dei minori e famiglia di Lisbona) contestualmente aveva sospeso (non archiviando) il processo per l'affidamento chiesto dalla signora Meirelles in Portogallo perché sovrapposto a quello di Bologna;
il giorno 14 marzo 2008 la signora Meirelles chiede l'affidamento dei figli al tribunale per i minori e la famiglia di Lisbona portoghese inspiegabilmente congiunto con il processo Aja;
il 2 aprile 2008 si svolge la prima udienza presso il tribunale per i minorenni di Bologna; nella circostanza la signora Meirelles, pur non presentandosi di persona, si costituisce in giudizio per mezzo dell'avvocato;
il 28 maggio 2008 il tribunale per i minorenni di Bologna, con provvedimento provvisorio ed in seguito all'indagine effettuata dai servizi sociali, al fine di concedere una chance alla madre e con l'intento di farla desistere in breve dai propri intenti di non fare mai più ritorno in Italia con i figli, stabilisce l'affidamento condiviso dei bambini, conferma il luogo di residenza dei minori in Italia, ordina alla signora Meirelles di riportare i minori in Italia. Il provvedimento non viene rispettato dalla signora Meirelles;
il 12 giugno 2008 il signor Federico L. si reca a Lisbona per l'udienza di rimpatrio ex Convenzione dell'Aja 1980. Nell'occasione al Console italiano in loco, dottor Giovanni Frignone, viene negato l'ingresso

in aula (nonostante richieste formali fossero state espresse in tal senso). Dopo l'udienza il padre cerca di vedere i figli (intenzione già anticipata con telegramma alla madre), ma la signora Meirelles, con l'aiuto di sua madre, si oppone e scappa. Viene inutilmente chiesto l'intervento della polizia;
il 2 luglio 2008 la signora Meirelles ricorre in appello contro il provvedimento adottato dal tribunale per i minorenni di Bologna; ma la corte d'appello di Bologna dichiara inammissibile il reclamo;
il 16 settembre 2008 il giudice dell'Aja portoghese emette sentenza che nega il rimpatrio dei minori poiché a suo avviso i bambini sono alla data e per decisione del tribunale dei minori di Bologna affidati congiuntamente ad entrambi i genitori e quindi non riscontra motivi per cui gli stessi non possano stare in Portogallo. Contro tale decisione il signor Federico L. ricorre in appello, e altrettanto fa il pubblico ministero portoghese;
il 27 marzo 2009 la corte d'appello di Lisbona si pronuncia sul ricorso presentato contro la sentenza Aja di primo grado dando ragione agli appellanti e definendo la ritenzione dei minori illecita, ma non ordina il rimpatrio dei bambini indicando al tribunale di primo grado di indagare sulle eventuali motivazioni di cui all'articolo 13 della Convenzione dell'Aja;
il 7 maggio 2009 il tribunale per i minorenni di Bologna concede l'affidamento esclusivo dei minori al padre e pronuncia la decadenza dalla potestà genitoriale della madre. Ordina anche il rimpatrio dei minori ed emette certificati conformi ex regolamento (articolo 39, paragrafo 1 e articolo 42, paragrafo 1) trasmessi in Portogallo debitamente tradotti ed apostillati;
il 25 giugno 2009 il signor Federico L. chiede il riconoscimento e l'esecuzione in Portogallo della sentenza di affidamento emessa dal tribunale dei minori di Bologna e il relativo procedimento viene assegnato al 1° giudizio, 1° sezione (di qui in avanti giudice dell'esecuzione). Nel frattempo si celebra una nuova udienza processo Aja 1980 a Lisbona; udienza resasi necessaria dopo la sentenza del 27 marzo 2009 emessa dalla corte d'appello;
il 9 luglio 2009 il giudice dell'esecuzione di Lisbona riconosce l'esecutività dell'affidamento anche in Portogallo;
il giorno 11 settembre 2009 il giudice Aja del tribunale dei minori di Lisbona si dichiara incompetente sull'affidamento chiesto dalla madre in Portogallo (in seguito al provvedimento definitivo emesso dal tribunale dei minori di Bologna) ed archivia;
il 7 ottobre 2009 la signora Meirelles impugna in corte d'appello di Bologna il decreto del tribunale per i minorenni. La corte d'appello di Bologna rigetta ancora una volta le istanza della Meirelles;
l'11 novembre 2009 la signora Meirelles si costituisce e presenta opposizione presso il giudice dell'esecuzione di Lisbona che la dichiara inammissibile;
nel frattempo - sempre nell'ambito del giudizio dell'esecuzione di Lisbona - il pubblico ministero chiede di effettuare la consegna dei bambini al padre;
il 15 febbraio 2010 il giudice dell'esecuzione ordina all'autorità centrale portoghese di accordarsi sulla consegna dei bambini al padre con l'omologa autorità centrale italiana;
il 26 febbraio 2010 la signora Meirelles avanza al giudice dell'esecuzione istanza di nullità per incompletezza della citazione iniziale (nonostante la questione non sia stata sollevata in via preliminare, e nonostante la signora abbia ugualmente esercitato il contraddittorio, non abbia subito pregiudizio alcuno ed il procedimento si sia concluso). Il pubblico ministero si esprime contro l'istanza, il giudice viceversa l'accoglie, fra l'altro asserendo che fatti del genere possono accadere in ragione della particolarità del processo, non comune presso il tribunale di Lisbona.

Il signor Federico L. si oppone alla richiesta di nullità ma la sua istanza viene respinta;
il 5 marzo 2010 la signora Meirelles ricorre in Italia presso la Corte di cassazione contro il provvedimento emesso dal tribunale per i minorenni di Bologna; il ricorso è rivolto solo contro l'ordine di rimpatrio;
il 13 aprile 2010 la signora Meirelles ricorre in appello contro l'archiviazione (provvedimento del 11 settembre 2009) sul procedimento di affidamento da lei chiesto in Portogallo. Il ricorso è intempestivo oltre che infondato in fatto ed in diritto ma comunque pare accolto dalla corte d'appello di Lisbona;
il 23 aprile 2010 la signora Meirelles presenta ricorso in appello contro l'esecutività dell'affidamento in Portogallo;
il 26 aprile 2010 il signor Federico L., stremato da tutta la vicenda, presenta denuncia per infrazione alla Commissione europea nei confronti del Portogallo. Il procedimento viene rubricato al numero CHAP(2010)01687;
dopo due anni dall'illecita sottrazione dei minori, e precisamente in data 8 giugno 2010, il giudice Aja 1980 portoghese emette finalmente sentenza definitiva ordinando il rimpatrio dei bambini dando per assunta l'assenza dei rischi ex articolo 13 Convenzione dell'Aja del 1980;
il 15 giugno 2010 l'autorità centrale portoghese contatta telefonicamente il padre dei minori al fine di prendere accordi circa la consegna dei bambini. Il signor Federico L. si dice disposto a partire in qualsiasi momento raccomandandosi con le autorità portoghesi circa la pericolosità della signora Meirelles (lo stesso fa il console italiano a Lisbona, dottor Brignone). Dopo vari colloqui, anche nei giorni seguenti, le autorità portoghesi, dopo aver rassicurato i propri interlocutori sul fatto che le misure di controllo sono state prese, informano il padre che la data per la consegna è fissata per il 25 giugno 2010, perché prima non si può fare;
nel frattempo il giudice dell'esecuzione di Lisbona (non l'Aja) emette i mandati di consegna per la polizia di sicurezza pubblica ed informa l'autorità centrale portoghese; ciononostante dal 18 giugno 2006 il signor Federico L. non riesce più a parlare con i figli nemmeno al telefono. Risulterà poi che il 21 giugno è stato l'ultimo giorno in cui i bambini sono andati a scuola;
il 23 giugno 2010 la signora Meirelles chiede al giudice dell'esecuzione l'effetto sospensivo dell'appello e la revoca dei mandati. La richiesta è respinta. Nel frattempo Federico L. arriva a Lisbona in vista della consegna dei figli. Con il console italiano l'uomo va a colloquio con l'autorità centrale portoghese e viene rassicurato sul fatto che da una settimana la polizia sta controllando la Meirelles ed i bambini e che questi sono a casa. Dopodiché il padre si mette in contatto con i servizi sociali per la consegna dei minori informandoli sulla pericolosità della madre. Viene stabilito che la consegna avverrà il 25 giugno;
il 25 giugno il signor Federico L. si reca con il console italiano e l'avvocato Normanha alla polizia per la sicurezza pubblica per la consegna dei figli, ma risulta che la signora Meirelles è fuggita da una settimana con i bambini per destinazione ignota. L'uomo presenta querela contro la signora Meirelles presso il tribunale penale di Lisbona per sottrazione dei minori, scomparsa degli stessi e disobbedienza della madre a vari ordini dei giudici; presenta anche querela presso la stazione dei carabinieri di Bologna per sottrazione di minori e scomparsa degli stessi. Nel frattempo in Portogallo nessuno riesce a localizzare i bambini;
intanto il giudice dell'esecuzione, tramite il legale portoghese del signor Federico L., avvocato Normanha, suggerisce al padre una strana mediazione, mai supportata da alcuna richiesta di controparte;

il 2 luglio 2010 il giudice dell'esecuzione, accogliendo l'istanza della signora Meirelles, invia con urgenza il fascicolo alla corte d'appello di Lisbona; mentre l'autorità centrale di Lisbona chiama con insistenza il padre dei bambini per sapere quale sia la sua posizione circa la richiesta di mediazione e gli intima di rispondere formalmente entro 48 ore;
il 5 luglio 2010 il signor Federico L. si reca presso la Autorità centrale portoghese per avere chiarimenti sulla presunta proposta di mediazione e ribadisce di non opporsi a che la signora Meirelles salga in aereo e torni in Italia unitamente ai bambini, sebbene non abbia avuto alcuna richiesta formale in tal senso. Intanto l'avvocato Normanha contatta il collega di controparte per la fantomatica mediazione. Gli viene detto che sarà richiamato in giornata ma, nonostante ulteriori tentativi, ciò non viene fatto;
il sette luglio 2010 il padre rientra in Italia senza i figli;
il 28 luglio seguente il giudice dell'esecuzione chiede alla signora Meirelles di comunicare quando ha intenzione di consegnare i bambini. La madre informa il giudice dell'esecuzione che non ha intenzione né di fare sapere dove si trovi effettivamente né di consegnare i bambini poiché si dichiara certa che la corte d'appello revocherà i mandati;
il 20 agosto 2010 la corte d'appello di Lisbona respinge l'effetto sospensivo richiesto dalla madre atteso che i mandati non sono ricorribili; dopodiché il giudice dell'esecuzione recepisce e ribadisce il parere della corte d'appello, respinge l'effetto sospensivo e dichiara la signora Meirelles rea di disobbedienza;
il 6 settembre seguente - in forza degli ultimi pareri del giudice dell'esecuzione e della corte d'appello - il signor Federico L. chiede alla sezione penale di Lisbona (al GIP) i mandati di detenzione e richiesta di audizione degli agenti di polizia e dei parenti della signora Meirelles;
nel frattempo la signora Meirelles ripropone la stessa istanza di richiesta di attribuzione di effetto sospensivo alla corte d'appello di Lisbona che era già stata rigettata nel mese di agosto dalla stessa corte d'appello;
finalmente in data 24 settembre 2010 la signora Meirelles viene localizzata con i bambini a Setubal (località ubicata a circa 50 chilometri a sud di Lisbona) dalla polizia giudiziaria. Invece di avvertire il padre o l'Ambasciata italiana, la polizia giudiziaria conduce i bambini in un istituto (Santa Casa della Misericordia - Lisbona) applicando in modo ingiustificato la legge sui minori in pericolo;
il successivo 25 settembre 2010 la polizia giudiziaria inserisce il ritrovamento dei bambini in Schengen e SIRENE e convoca il padre in Portogallo urgentemente, per la consegna dei bambini, tramite Interpol. A questo punto il signor Federico L. si precipita in aeroporto mentre l'Interpol comunica agli omologhi portoghesi che l'uomo sarà a Lisbona entro l'indomani per recuperare finalmente i bambini;
il 26 settembre il padre sbarca a Lisbona alle 8.20 e incontra il console italiano e l'avvocato Normanha con i quali si reca all'istituto ma la polizia giudiziaria rifiuta di consegnare i bambini dapprima sostenendo che siccome i bambini sono sotto articolo 91 (legge portoghese sui minori in pericolo) è necessario un ulteriore mandato di un giudice per eseguire il mandato precedente;
il giorno seguente l'avvocato Normanha deposita atti informativi all'apertura delle cancellerie di tutti i tribunali a qualche titolo interessati, inclusa la corte d'appello, dopodiché il signor Federico L. si reca in tribunale portoghese con il console italiano e lo stesso avvocato Normanha per ottenere la firma del giudice su di un ordine di consegna dei bambini al padre, indirizzato all'istituto di accoglienza; nel pomeriggio dello stesso giorno il giudice Aja trasmette all'istituto un nuovo dispaccio che conferma la validità

dei mandati e ne ordina l'immediata esecuzione. Ma passano alcuni minuti e la cancelleria del giudice dell'esecuzione informa il padre dei bambini che la corte d'appello ha inviato direttamente all'istituto un'ulteriore decisione sommaria presa dal giudice Vouga con la quale viene accolta l'istanza della signora Meirelles e si ordina all'istituto di consegnare i bambini alla madre. L'atto non è inoltrato (come dovrebbe) attraverso il giudice dell'esecuzione;
a questo punto l'istituto di accoglienza dei bambini, in presenza di un ordine diametralmente opposto ai precedenti (quello del giudice Aja della stessa giornata che ribadisce provvedimento di consegna dei bambini al padre del 15 settembre 2010 e quello del giudice dell'esecuzione del 8 giugno 2010 che ordina la consegna dei bambini al padre, ai quali si contrappone il provvedimento emesso dalla corte d'appello nella persona del giudice Vouga che revoca i precedenti mandati ordinando di restituire i bambini alla madre), trattiene i bambini in attesa di chiarimenti;
il 28 settembre l'avvocato Normanha (avvocato portoghese del padre dei minori) chiede una nuova certificazione al Tribunale Aja (secondo giudizio) sulla validità dei mandati e la ottiene. Si reca quindi in corte d'appello per ottenere una analoga certificazione, ma viene fatto attendere fino alla chiusura;
l'avvocato dell'istituto di accoglienza dei bambini contatta l'avvocato Normanha comunicandogli di aver ricevuto, dallo stesso giudice Vouga, un ordine che gli impone di consegnare i bambini alla madre ignorando qualsiasi altro atto di qualsiasi altra corte;
il 29 settembre 2010 l'avvocato Normanha riesce finalmente a ottenere copia degli atti dalla corte d'appello. L'ultimo atto (quello del giorno prima) a firma del giudice Vouga non contiene alcuna motivazione e ordina sostanzialmente di ignorare qualsiasi altro atto sfavorevole alla signora Meirelles, citando esplicitamente il processo Aja;
attualmente l'avvocato Normanha ha preparato un ricorso contro il provvedimento emesso dal giudice Vogua, nonché un esposto contro il medesimo presso il Consiglio superiore della magistratura portoghese;
i contorni che la vicenda sta assumendo dimostrano una scarsa idoneità delle normative internazionali a sostenere situazioni come questa e come tante altre, che, in ragione dell'aumento della convivenza tra persone di diversa nazionalità, si stanno imponendo all'attenzione dell'opinione pubblica e del legislatore -:
se non ritengano necessario intervenire presso le autorità portoghesi affinché venga data finalmente esecuzione ai provvedimenti emessi dalle autorità giudiziarie italiane e straniere con le quali è stato disposto l'affidamento esclusivo dei minori al padre, e perché le stesse autorità agevolino, nell'interesse dei bambini, il loro rientro in Italia ed affinché, per quanto di competenza, siano trovati spazi di collaborazione sul versante giudiziario per arrivare in tempi brevi ad adottare decisioni sul futuro dei bambini conformi a quanto previsto dalle convenzioni internazionali.
(4-12640)

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
sul sito web del Governo si legge «Il Consiglio ha approvato un decreto-legge che assicura il rifinanziamento, fino al 31 dicembre prossimo, degli interventi di cooperazione allo sviluppo ed a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia. Nel decreto sono previsti per la prima volta, oltre a misure di contrasto alla pirateria, precisi impegni per la riduzione del personale militare per complessive 2070 unità entro la fine dell'anno, in piena armonia con le Organizzazioni internazionali di cui fa parte l'Italia»;

da una nota dell'AGENPARL del 7 luglio 2011, dal titolo «Missioni: Comellini (PDM), La Russa "tarocca" i numeri per compiacere la Lega» si apprende che dal sito della Difesa risulta che al 30 giugno erano 7.224 i militari in 29 missioni in 28 Paesi e non 9250, come riferito dal Ministro interrogato alle agenzie di stampa;
nella medesima nota si legge che il Segretario del Partito per la tutela dei diritti dei militari e forze di polizia (Pdm), Luca Marco Comellini, ha affermato che «[...] quindi ridurli a 7172 mi sembra ben poca cosa. Delle due una - sottolinea Comellini - o Bossi non sa fare i conti, oppure La Russa ha aumentato strumentalmente i numeri per poi ridurli e mantenere sempre lo stesso risultato di impegno perché i conti non tornano e al riguardo c'è sempre meno chiarezza da parte della Difesa. Credo che i cittadini, ai quali il Governo chiede sempre maggiori sacrifici, abbiano tutto il diritto di sapere quanto spendono per mandare i loro soldati in guerra. Una cosa è certa - conclude Comellini - in questo periodo di crisi gli unici che se la godono sono quelli che forniscono le armi mentre alla vera cooperazione, che dovrebbe essere il solo scopo di queste missioni, vengono riservate le briciole»;
sul quotidiano Avvenire del giorno 8 luglio è pubblicato un articolo a firma di Angelo Picariello, dal titolo «Ma i militari sono 7 mila o 9 mila?»;
da fonti di stampa (Ansa 7 luglio - ore 18,01) risulta che le missioni siano effettivamente costate 811 milioni di euro anziché i 754 autorizzati con la legge n. 9 del 22 febbraio 2011 che ha convertito il decreto-legge n. 228 del 29 dicembre 2010 -:
se il Governo non ritenga di dover fornire le necessarie spiegazioni che consentano di comprendere i contrastanti dati numerici riportati dal Ministro della difesa e conseguentemente di indicare quale sia il reale impegno numerico dei militari effettivamente impiegati nelle missioni di cui al decreto-legge approvato dal Consiglio dei ministri nella riunione n. 145 del 7 luglio 2011 e quali siano i tempi previsti per l'effettiva riduzione numerica dei contingenti militari.
(4-12643)

...

AFFARI ESTERI

Interrogazioni a risposta in Commissione:

MARANTELLI e BRAGA. - Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
il Cantone Ticino rappresenta da decenni un importante sbocco occupazionale per i cittadini italiani residenti nei comuni della fascia di confine; infatti, degli oltre 55 mila cittadini italiani occupati con il permesso di frontaliere nei Cantoni di frontiera Ticino, Vallese e Grigioni, più di 48 mila sono impiegati nel Cantone Ticino. La maggior parte di essi proviene dalle province di Como, circa 18 mila, e Varese, circa 26 mila. I lavoratori frontalieri hanno dunque dato un grande contributo allo sviluppo dell'economie cantonali e a quelle dei comuni italiani compresi nella «storica» fascia di demarcazione di 20 chilometri dalla linea di confine;
la presenza di un numero così importante di frontalieri impiegati in Svizzera ha indotto l'Italia e la Confederazione a negoziare numerosi accordi bilaterali per regolare varie questioni afferenti la previdenza sociale, l'imposizione fiscale, l'indennità di disoccupazione, le infrastrutture viarie e altro. Di tali convenzioni si richiama in particolare l'Accordo del 3 ottobre 1974 relativo all'imposizione dei lavoratori frontalieri e alla compensazione finanziaria a favore dei Comuni italiani di confine, successivamente recepito nella Convenzione Italo-Svizzera del 9 marzo 1976, convenzione stipulata per evitare le doppie imposizioni e regolare talune altre questioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio, entrata in vigore il 27 marzo 1979. In conformità a tale Convenzione la Svizzera provvede al trasferimento di una quota parte (attualmente il 38,8 per cento) delle imposte fiscali riscosse alla fonte

sui redditi dei frontalieri allo Stato italiano, il quale le trasferisce ai comuni della zona di confine, alle comunità montane e alle province. La dimensione dei trasferimenti è rilevante, poiché si tratta di somme che superano i 30 milioni di Euro l'anno, il che costituisce una risorsa fondamentale per i 160 Comuni della Provincia di Como, i 120 della Provincia di Varese che (oltre ai 55 Comuni della provincia di Verbania) ricevono i ristorni direttamente o indirettamente;
il 30 giugno 2011 il Consiglio di Stato ticinese, nonostante il voto contrario del rappresentante del partito socialista Emanuele Bertoli e di Laura Sadis, ha deciso di dimezzare l'importo dei ristorni destinati ai comuni di frontiera, congelando la cifra di 23 milioni di euro; lo stesso Ministro dell'economia e delle finanze elvetico Widmer-Schlumpf ha in questi giorni manifestato l'intenzione di rinegoziare con l'Italia le regole della doppia imposizione, facendo presagire una revisione al ribasso della quota di ristorno attualmente riconosciuta in base all'accordo del 1974;
una tale riduzione dei ristorni, se confermata, provocherebbe conseguenze nefaste per le risorse dei comuni di frontiera, già alle prese con i consistenti tagli operati dal Governo e fortemente in difficoltà nel garantire servizi e investimenti adeguati a cittadini ed imprese;
il negoziato sulla nuova convenzione era iniziato nel 2001 e successivamente interrotto. Ripreso nel 2009 è stato interrotto di nuovo lo stesso anno e non è più decollato. Da settembre 2010 il Governo italiano ha rifiutato ogni contatto. Tale situazione di stallo nei rapporti negoziali tra i due Paesi rischia di produrre gravi danni ai lavoratori frontalieri e alle amministrazioni locali di confine;
si è consapevoli che l'evasione fiscale ed il riciclaggio di denaro, spesso proveniente da attività illecite e criminalità, sono fenomeni che Italia e Svizzera devono contrastare con rigore -:
quali siano le ragioni che impediscono la necessaria ripresa di un dialogo tra l'Italia e la Confederazione Elvetica al fine di tutelare gli interessi dei lavoratori frontalieri e in particolare per garantire la piena applicazione della Convenzione del 9 marzo 1976 stipulata con la Confederazione elvetica in merito ai ristorni delle trattenute fiscali ai comuni italiani compresi nella linea di demarcazione di 20 chilometri dal confine italo-svizzero;
se il Governo italiano abbia già convocato un tavolo di confronto con il Governo elvetico e quali risultati abbia prodotto;
se il Governo non ritenga comunque di garantire con risorse proprie il pieno riconoscimento dei ristorni ai comuni di confine, affinché le questioni delicate aperte, a partire da quelle relative agli aspetti fiscali, possano essere risolte senza soggiacere a forme di pressione non rispettose degli accordi bilaterali in essere e senza far ricadere le conseguenze negative sui comuni di confine e i lavoratori frontalieri.
(5-05082)

NARDUCCI, FEDI e PORTA. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
a seguito delle chiusure di numerose rappresentanze consolari - decise dal Governo nell'ambito della ristrutturazione della rete diplomatico-consolare italiana all'estero - e della mancata istituzione di agenzie o sportelli consolari da parte del Ministero degli affari esteri, molti cittadini italiani si rivolgono ai Patronati italiani operanti sul territorio nella speranza di ottenere quei servizi istituzionali che non sono più garantiti come prima dagli uffici;
si verificano ora scene incresciose davanti ai patronati, che non contribuiscono affatto a migliorare l'immagine dell'Italia agli occhi dei cittadini e delle istituzioni dei Paesi che ospitano le nostre comunità;
giovedì mattina 7 luglio 2011 presso il Patronato INCA/CGIL di Amburgo si

sono raccolti numerosi connazionali intenzionati ad ottenere il rilascio del passaporto. L'impiegata del predetto patronato, non potendo soddisfare le richieste degli italiani presentatisi al suo ufficio, è stata aggredita fisicamente per cui il patronato stesso si è visto costretto a richiedere l'immediato intervento della polizia tedesca;
nell'ex circoscrizione consolare di Amburgo risiedono circa 18.000 cittadini italiani che, fino a poco tempo fa, facevano riferimento al consolato generale sito nella città anseatica tedesca porto commerciale tra i più importanti d'Europa. È anche frequente il caso di turisti italiani che avendo smarrito i documenti si rivolgono ai patronati, non avendo altri punti di riferimento;
non si può sottovalutare la situazione delle migliaia di pensionati italiani residenti nella ex circoscrizione consolare che, per ottenere il certificato di esistenza in vita dalla propria rappresentanza ai fini del pagamento della pensione INPS, sono costretti a recarsi da Amburgo al consolato generale di Hannover (sede ricevente) che dista 360 chilometri dal loro luogo di residenza, con un costo medio del biglietto ferroviario pari a 120 euro, un esborso che va a decurtare le già modeste pensioni percepite -:
se il Ministero degli affari esteri, in considerazione della gravità della situazione sopra descritta, intenda intervenire con provvedimenti urgenti per dare risposta alla domanda di servizi dei nostri connazionali residenti nella ex circoscrizione consolare di Amburgo, prevenendo in tal modo ulteriori stati di tensione, e se, al fine di risolvere in via definitiva la grave situazione determinatasi con la chiusura del consolato generale, intenda valutare l'apertura di un'agenzia consolare nella suddetta città al fine di attuare i disagi gravi fin qui riscontrati e purtroppo assolutamente prevedibili.
(5-05084)

...

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazione a risposta scritta:

FUCCI. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
il 23 giugno 2011 si è svolto un incontro tra l'amministrazione comunale di Andria e la Soprintendenza per i beni artistici della Puglia in merito ai programmi in corso e alla tempistica dei lavori di recupero della «laura basiliana» di Santa Croce, cripta di notevole importanza storica e grande rilievo artistico, in particolare per il pregio del ciclo di affreschi che la adorna;
la questione del restauro e della fruizione da parte del pubblico della «laura basiliana» si portava avanti da ormai moltissimi anni, ma senza soluzione. Ora sembra invece che vi possano finalmente essere le condizioni - grazie all'iniziativa del comune di Andria, al rinnovato impegno della Soprintendenza e alla collaborazione offerta anche dalla Diocesi andriese - per dare una svolta positiva -:
quale sia la tempistica prevista per i lavori di restauro da parte della Soprintendenza;
quali eventuali iniziative, per quanto di sua competenza, il Ministro interrogato ritenga di assumere per sensibilizzare la Soprintendenza sull'importanza di questa vicenda.
(4-12639)

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DIFESA

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

IV Commissione:

RUGGHIA, ARTURO MARIO LUIGI PARISI, RECCHIA e GAROFANI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
il trasporto mercantile marittimo rappresenta per l'Italia una struttura cruciale

per l'intero comparto produttivo nazionale e per la dimensione della movimentazione di beni;
in un anno i nostri armatori mobilitano più di 122 milioni di tonnellate di merci;
questo settore storicamente strategico per il nostro Paese è messo oggi in concreto e crescente rischio dall'aumento della pirateria marittima, uno scenario critico il cui peggioramento è evidente: 156 attacchi dall'11 gennaio 2011 ad oggi, 532 ostaggi catturati di cui 307 negli ultimi mesi;
tutto ciò nonostante il dispiegamento del gruppo navale europeo EUNAVFOR all'interno dell'operazione Atalanta che coinvolge, allo stato attuale, più di 26 Paesi;
oltre al grave pericolo cui sono sottoposti gli equipaggi ed i beni sulle rotte mercantili, questa mancanza di sicurezza influenza drasticamente i costi degli operatori che si trovano a fronteggiare non solo l'attuale instabilità dei mercati internazionali ma costi più che triplicati dalle compagnie assicurative, cosa che scoraggia peraltro nuovi investimenti nel settore;
il contrasto degli atti di pirateria contro navi italiane costituisce un obiettivo prioritario nella tutela degli interessi nazionali e comporta il conseguente dovere da parte dello Stato di garantire, nell'esercizio delle proprie irrinunciabili prerogative, la sicurezza dei mercantili italiani e del personale a bordo -:
quali misure il Governo intenda predisporre per ristabilire il necessario livello di sicurezza in mare ed, in particolare, se, all'interno di una strategia di difesa attiva, ritenga di utilizzare le forze armate in tal senso, compreso l'imbarco a bordo di mercantili di personale militare.
(5-05085)

DI STANISLAO. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
l'Unione sindacale di base (USB) - pubblico impiego del Ministero della difesa ha denunciato numerose segnalazioni sul mancato rispetto di quanto previsto in tema di formazione del personale civile;
nelle segnalazioni si evidenzia il deciso malcontento dei lavoratori che si sentono completamente abbandonati, condizione riscontrata anche nelle numerose note di protesta provenienti dagli enti delle tre forze armate che riferiscono della mancata attivazione della prevista concertazione sul tema, della mancata informazione anche su richiesta e della riluttanza a convocare incontri che riferiscano sull'attuazione del piano formativo, fornendo dati di comparazione tra esigenza segnalata e risposta fornita;
viene, inoltre, segnalato che, nonostante l'attuale quadro normativo e contrattuale di riferimento preveda l'importanza strategica e l'obbligatorietà di garantire a tutti i lavoratori un continuo accrescimento del proprio bagaglio culturale e professionale, si assiste a un progressivo depauperamento dell'offerta formativa sia negli enti centrali che soprattutto in quelli periferici;
secondo USB la principale struttura formativa di riferimento del Ministero della difesa - Civilscuoladife - non riesce a soddisfare le esigenze di formazione, aggiornamento e accrescimento del personale dipendente e i pochi dipendenti di enti periferici che riescono ad accedere ai corsi sono considerati dei «prescelti» per qualche fortunata combinazione;
allo stato attuale, l'attività formativa risulta bloccata e la scarsa formazione attivata, soprattutto in periferia, avviene in modalità extra Civilscuoladife, ricalcando gli stessi argomenti che la stessa offre nei suoi corsi programmati, gravando notevolmente sulle casse dello Stato;
risulta altresì che il personale già formatore, grazie alla frequenza di corsi presso il CEFODIMA di Firenze, non è utilizzato nonostante l'investimento notevolmente oneroso;

inoltre, non è assicurata alcuna informazione successiva sui piani di formazione pluriennali previsti con le diverse e complesse procedure e, soprattutto, manca il momento di verifica dei dati aggregativi tra enti territorialmente viciniori, promuovendo l'attività formativa decentrata;
a tal riguardo la USB Difesa ha inviato un documento di denuncia con l'esplicita richiesta di informazioni su: quale sia la strategia seguita per far decollare un piano di formazione decentrato sul territorio; quali siano i motivi ostativi a una logica alternativa che suggerisce di tenere i corsi in enti dotati di aule idonee, investendo esclusivamente sulle spese di missione del personale docente in forza a Civilscuoladife; il motivo del mancato impiego dei formatori; i motivi che non permettono di formare altro personale civile dipendente di altri enti del Ministero che possa tenere corsi in sede decentrata; se e quando il CEFODIMA di Firenze organizzerà altri corsi per formatori;
in sede di «tagli» delle risorse per il comparto Difesa vengono sempre penalizzati la formazione e l'addestramento e l'Italia risulta nel settore della gestione civile della crisi indietro rispetto agli altri Paesi, come la Germania, la Svezia, la Francia che hanno sviluppato un processo più inclusivo e efficace di generazione delle forze -:
come il Governo intenda giustificare la situazione sopra citata riguardante la formazione del personale civile della Difesa fornendo le informazioni richieste dalla USB Difesa.
(5-05086)

Interrogazione a risposta scritta:

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
con la sentenza n. 1023/2011 del tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania (Sezione Terza), relativamente ad un ricorso proposto da un sottufficiale in servizio presso il 41o stormo dell'Aeronautica militare di Sigonella, per l'accertamento del diritto di accesso alle relazioni istruttorie per la trattazione del ricorso gerarchico avverso una scheda valutativa, il Ministero della difesa è stato condannato al pagamento delle spese di giudizio nella misura di euro mille/00, oltre spese accessorie, Iva e Cpa;
con il foglio prot. n. M-D GMIL0 V 14 SC/0267276 del 6 giugno 2011, il Ministero della difesa, direzione generale per il personale militare, ha avviato le procedure per la liquidazione delle spese disposte dal Tribunale amministrativo regionale Sicilia;
tale episodio rappresenta un esempio di come l'ostinata riservatezza dell'amministrazione e la resistenza a rendere noti gli elementi di decisione arrechino un ingiusto danno sia al personale militare sia alla stessa amministrazione;
la riservatezza dell'amministrazione militare, ad avviso degli interroganti, spesso si rivela essere frutto dell'improbabile interpretazione di norme, non di rado, poco conosciute da coloro che gestiscono il potere amministrativo -:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza del fatto che, a distanza di oltre vent'anni dall'entrata in vigore della legge 7 agosto 1990, n. 241, il personale militare sia continuamente costretto a ricorrere alle cure dei tribunali per ottenere l'accertamento di taluni diritti come quello dell'accesso agli atti;
quanti siano, negli ultimi cinque anni, gli accessi agli atti del personale militare ammessi solo dopo l'intervento di una sentenza di un tribunale e quanti siano i funzionari responsabili segnalati alla Corte dei conti per l'eventuale danno arrecato all'erario;
se la condanna a carico del Ministero della difesa sia stata segnalata alla Corte dei conti al fine di accertare se vi siano

responsabilità amministrative e quali siano stati i provvedimenti adottati.
(4-12644)

TESTO AGGIORNATO AL 12 LUGLIO 2011

...

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta orale:

PROIETTI COSIMI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
molteplici sono le criticità - soprattutto di ordine strutturale - che affliggono, oggi, l'amministrazione della giustizia, determinando un'inaccettabile inefficienza dell'intero sistema giudiziario;
tali «malfunzionamenti» - connessi, principalmente, al crescente aumento della domanda di giustizia penale non bilanciata da segnali di rallentamento della domanda di giustizia civile di primo grado, all'anacronistica distribuzione geografica degli uffici giudiziari, alla difficoltà e lentezza del processo d'informatizzazione, alla drammatica carenza di strutture e risorse umane e materiali nonché alla preoccupante scopertura di organici e alla progressiva diminuzione di personale amministrativo e tecnico - si riflettono, inevitabilmente, sui tempi e sulla qualità dei servizi erogati ai cittadini, in uno dei settori fondamentali per ogni Paese democratico;
nel nostro Paese, si registra una crescente giacenza di processi, sia nel settore civile che in quello penale, per cui la durata media dei giudizi penali e, ancor più, dei giudizi civili, supera abbondantemente quella ritenuta ragionevole dalla Corte europea dei diritti dell'uomo;
l'aspetto certamente più critico è rappresentato dalla condizione emergenziale in cui versa il sistema giustizia sotto il profilo delle risorse umane;
la carenza cronica di personale, sia di magistratura che amministrativo, incidendo sui tempi di durata e sulla quantità dei procedimenti definiti, infatti, sta progressivamente portando ad una situazione di collasso la maggior parte degli uffici giudiziari, soprattutto quelli disagiati, quelli di piccole dimensioni nonché quelli complessi sia per la densità di popolazione che per la pervasiva presenza di organizzazioni criminali e delinquenza comune;
particolarmente insostenibile è la condizione strutturale in cui versa il tribunale di Tivoli;
la vastità del circondario e la correlata imponenza delle pendenze, sia nel settore civile che in quello penale, hanno, in pratica, reso palese, sin dal suo sorgere e primo operare, l'assoluta inadeguatezza delle dotazioni organiche, sia per il numero dei giudici che per quello dei cancellieri e del restante personale amministrativo;
la carenza di personale causa notevoli ritardi negli adempimenti, con forti disagi per gli operatori forensi e grave vulnus per l'effettività del diritto stesso di difesa, e provoca, in molti casi, addirittura la paralisi di ogni attività giudiziaria, rischiando di pregiudicare finanche la celebrazione di processi a carico di imputati detenuti e concernenti i reati di maggiore allarme sociale;
la camera penale di Tivoli, con la delibera del 20 giugno 2011, ha denunciato tale situazione intollerabile, già in passato oggetto di segnalazioni al Consiglio superiore della magistratura, le quali, tuttavia, non hanno sortito alcun effetto risolutivo;
il problema della carenza degli organici si è, nel tempo, aggravato e l'ulteriore perdita dal ruolo del tribunale di un magistrato giudicante - avvenuta a seguito del collocamento in aspettativa della dottoressa Minutino Turtur, assegnata alla commissione di concorso per i magistrati - mette seriamente a rischio il corretto funzionamento della sezione collegiale;
il noto processo di Rignano sulle presunte violenze ai bimbi dell'asilo «Olga Rovere», in particolare, rischia di ripartire da zero, in quanto il predetto magistrato (collocato fuori ruolo dal Csm) era membro del collegio giudicante;

è del tutto evidente che proprio l'efficace funzionamento del sistema giudiziario rappresenta una delle condizioni indispensabili per promuovere e garantire il buon funzionamento di ogni sistema economico e sociale;
il problema della predisposizione di adeguate risorse umane, pertanto, non può non rappresentare un punto cruciale ed un presupposto imprescindibile per una seria e condivisa riforma della giustizia che sia in grado di garantire il buon andamento dei servizi e la piena funzionalità ed efficienza degli uffici giudiziari -:
quali misure urgenti intenda adottare, per quanto di sua competenza, al fine di far fronte a tale emergenza ed assicurare la ripresa della regolare attività giudiziaria nel tribunale di Tivoli, attraverso dotazioni organiche adeguate e proporzionali al numero imponente delle pendenze e del bacino di utenza.
(3-01744)

Interrogazioni a risposta scritta:

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
Cosimo Intrepido, 31enne, originario di Trepuzzi (Lecce), rinchiuso nel carcere di Castrogno per scontare un residuo di pena per rapina, si è tolto la vita il 29 giugno 2011 impiccandosi alle sbarre della sua cella;
l'uomo era in attesa di entrare in una comunità di recupero per tossicodipendenti ed in passato aveva già tentato di togliersi la vita;
sul triste episodio il segretario del Sappe, Giuseppe Pallini, ha dichiarato: «L'istituto teramano potrebbe ospitare 240 detenuti invece ne ospita 410: di questi, oltre la metà soffre di problemi psichici con difficile gestione, scaricati a Teramo per il solo fatto che c'è il servizio di guardia medica su 24 ore e una psichiatra per alcune ore la settimana. I mancati interventi strutturali sull'esecuzione della pena e sul sistema penitenziario nazionale hanno nuovamente portato gli istituti di pena dei Paese in piena emergenza, lasciando soli a loro stessi gli appartenenti al corpo di polizia penitenziaria»;
i familiari del detenuto morto suicida hanno presentato un esposto alla procura della Repubblica per chiedere di chiarire le cause della morte -:
se il Governo non intenda urgentemente attuare iniziative di competenza per capire, anche attraverso l'avvio di un'indagine interna, se vi siano responsabilità sul piano amministrativo e disciplinare nella morte del detenuto avvenuta nel carcere di Castrogno;
in particolare, se non intenda verificare se ed in che misura il detenuto morto suicida disponesse di un adeguato supporto psicologico;
se non intenda, per quanto di competenza, aumentare l'organico degli psichiatri assegnati presso il carcere di Castrogno, anche alla luce dell'elevato numero di detenuti affetti di disturbi psichici ivi presenti;
se non si ritenga oramai indifferibile fornire elementi sulla reale consistenza del fenomeno delle morti in carcere e nei centri di identificazione ed espulsione in modo che possano essere concretamente distinti i suicidi dalle morti per cause naturali e da quelle, invece, avvenute per cause sospette;
se si ritenga necessaria e indifferibile, proprio per garantire i diritti fondamentali delle persone, la creazione di un «osservatorio» per il monitoraggio delle morti che avvengono in situazioni di privazione o limitazione della libertà personale, anche al di fuori del sistema penitenziario, osservatorio in cui siano presenti anche le associazioni per i diritti dei detenuti e degli immigrati;

se non si intenda assumere immediatamente iniziative volte a stanziare fondi per migliorare la vita degli agenti penitenziari e di detenuti in modo che il carcere non sia solo un luogo di espiazione e di dannazione, ma diventi soprattutto un luogo, attraverso attività culturali, lavorative e sociali, in cui detenuti possano avviare un percorso concreto per essere reinseriti a pieno titolo nella società;
se non sia indispensabile e urgente assumere iniziative, anche normative, per favorire il ricorso a forme di pene alternative per garantire un'immediata riduzione dell'affollamento delle carceri italiane;
se anche alla luce dei fatti riportati in premessa, si ritenga che all'interno delle carceri e dei centri di identificazione ed espulsione siano garantiti i diritti fondamentali della persona.
(4-12626)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il tibunale di Tivoli versa da tempo in una situazione di intollerabile carenza strutturale;
l'estensione del territorio e la correlata imponenza delle pendenze del tribunale di Tivoli, sia nel settore civile che in quello penale, hanno reso sempre più palese l'assoluta inadeguatezza delle dotazioni organiche del tribunale tiburtino sia con riferimento al numero dei giudici, che a quello del cancellieri e del restante personale amministrativo;
in particolare, la condizione di sofferenza nel settore penale è gravissima: la vacanza del posto di presidente di sezione, protrattasi per un anno e sei mesi, ha già prodotto in passato la paralisi di ogni attività del Tribunale in composizione collegiale e l'aumento esponenziale del numero dei fascicoli non trattati; il ruolo di rito monocratico è altrettanto gravato, risultando di impietosa evidenza la carenza di giudici e cancellieri non in grado di rispondere sufficientemente al contenzioso in entrata e drammaticamente in ritardo su quello ereditato dall'accumulo dei processi non risolti a causa dei numerosi avvicendamenti tra i giudici che hanno chiesto ed ottenuto il trasferimento dalla sede di Tivoli;
l'inadeguato dimensionamento della dotazione di personale amministrativo determina ritardi in ogni adempimento, con intuibile disagio per gli operatori forensi e grave vulnus per l'effettività del diritto di difesa;
la situazione di carenza degli organici si è ultimamente aggravata anche a causa dell'ulteriore diminuzione dei magistrati in organico ispirata ad una incomprensibile logica gestionale delle risorse che pregiudica l'esercizio della funzione giurisdizionale a vantaggio dello svolgimento di funzioni e mansioni schiettamente amministrative;
tale situazione incide sul diritto costituzionalmente garantito ad un processo equo di durata ragionevole, tanto per gli imputati quanto per le vittime dei reati;
la grave carenza degli organici di cui soffre il tribunale di Tivoli è stata oggetto di una delibera del consiglio direttivo della Camera penale di Tivoli datata 20 giugno 2011 nella quale i penalisti tiburtini hanno proclamato lo stato di agitazione;
con successiva delibera del 28 giugno 2011 la giunta dell'Unione camere penali italiane ha ritenuto di dover condividere le ragioni che hanno indotto la Camera penale di Tivoli a ricorrere alla proclamazione dello stato di agitazione e, nel contempo, ha espresso alla stessa la solidarietà dell'intera avvocatura penalistica italiana -:
se il Ministro interrogato non intenda attivarsi al fine di dotare il tribunale di Tivoli di personale amministrativo e per quanto di competenza di magistrati - sia giudicanti che requirenti - in misura adeguata e proporzionale al numero imponente

delle sue pendenze e del suo bacino di utenza.
(4-12627)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato dall'agenzia ANSA del 4 luglio 2011; un uomo, dall'altezza di due metri e dieci centimetri, è stato recentemente rinchiuso nel carcere sardo di Buoncammino;
a causa dell'altezza fuori dal normale, il detenuto non ha un letto adeguato, né vestiario e scarpe adatte alla sua stazza, sicché la sua condizione di vita sta divenendo sempre più insostenibile in un ambiente reso ancora più difficile dal sovraffollamento e dal caldo;
l'handicap dell'altezza rende di fatto la permanenza dell'uomo incompatibile con una struttura come quella di Buoncammino; oltre all'impossibilità di disporre di un letto adeguato alle sue dimensioni, che lo costringe a dormire rannicchiato o addirittura a terra, per il detenuto in questione vi sono problemi legati sia all'uso degli spazi della cella sia a quelli comuni, al vestiario, alle scarpe, e per l'alimentazione che dovrebbe essere adeguata alle necessità;
l'uomo ha più volte chiesto di essere trasferito in un istituto penitenziario del Piemonte, regione dove risiedono alcuni parenti -:
se il Governo non intenda, per il caso di specie, intervenire affinché venga garantito al detenuto in questione il diritto ad un trattamento che tenga conto della situazione di una persona alta oltre due metri, per la quale in tutta evidenza l'incompatibilità con la struttura carceraria di Buoncammino, del tutto inadeguata al soddisfacimento del bisogni primari di questa persona, diviene assoluta ed indiscutibile;
se non si intenda disporre l'immediato avvicinamento del detenuto ai suoi parenti e, quindi, il suo trasferimento in un istituto penitenziario del Piemonte, purché strutturalmente adeguato ad accoglierlo.
(4-12628)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
dal 1o luglio 2011 il Coordinamento sindacale unitario della polizia penitenziaria assegnata presso la casa di reclusione di Rossano ha decretato l'astensione dal consumare il pranzo e la cena, astenendosi dall'esercitare un diritto riconosciuto a tutti i lavoratori comandati in attività di servizio;
all'iniziativa ha aderito la totalità del personale in attività di servizio;
la decisone presa dalle organizzazioni sindacali è dovuta al disinteresse dimostrato dal Ministro della giustizia e dai vertici dell'amministrazione penitenziaria relativamente alla condizione lavorativa, al riconoscimento dei diritti e alle tante problematiche sollevate da tempo dagli agenti penitenziari della casa di reclusione di Rossano;
in particolare, le organizzazioni sindacali chiedono agli organi competenti di procedere nell'immediato: a) alla rivisitazione della pianta organica; b) all'integrazione dell'organico di polizia e del personale amministrativo/contabile; c) all'istituzione di una commissione per la definizione dei carichi di lavoro; d) al ripristino dell'orario ordinario di servizio; e) alla stabilizzazione definitiva del personale distaccato ad altre sedi; f) alla integrazione dell'organico destinato alla gestione dei terroristi; g) alla fissazione della capienza massima della popolazione carceraria ospitabile; h) alla dotazione di mezzi di trasporto personale e detenuti; i) alla liquidazione degli arretrati straordinario e missioni; l) alla rimodulazione della fascia di collocazione dell'istituto -:
quali iniziative abbia predisposto il Ministero della giustizia per andare incontro

alle necessità della polizia penitenziaria assegnata presso la casa di reclusione di Rosario specificatamente segnalate in premessa.
(4-12629)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
con lettera circolare GDAP-0068960-2011 ed oggetto «Direttive per l'applicazione della legge 193/2000 (Smuraglia) - Agevolazioni contributive», il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha rilevato, all'esito dell'esame del monitoraggio relativo all'anno 2009, l'avvenuto superamento dei limiti di budget previsti dal decreto n. 87 del 25 febbraio 2002 («Regolamento recante sgravi fiscali alle imprese che assumono lavoratori detenuti»), attuativo della legge n. 193 del 2000 (Smuraglia). In conseguenza di ciò, alla luce quindi dello stato delle cose rilevato al 31 dicembre 2009 ed ai dati relativi al primo semestre 2010, e tenuto inoltre conto del trend in costante crescita delle posizioni lavorative dei detenuti e quindi degli sgravi richiesti dalle imprese e cooperative, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha ritenuto quindi indispensabile procedere ad una esistente riduzione del budget che dovrà essere considerato a disposizione di ogni provveditorato regionale per le attività lavorative dei detenuti (sia per quelli ristretti in carcere, sia per quelli ammessi ad una qualche misura alternativa alla detenzione);
a seguito della citata circolare, l'associazione Antigone ha lanciato un appello intitolato: «Lavoro uguale sicurezza, lavoro uguale carceri meno affollate. Contro i tagli alle cooperative sociali, ai consorzi, alle imprese», il cui testo è il seguente: «Sono finiti i soldi. Così l'amministrazione penitenziaria sta giustificando le proprie disposizioni con le quali ha creato il panico nelle carceri italiane. Non vi sarebbero più soldi per pagare i contributi a favore di quelle cooperative e imprese che hanno assunto detenuti dentro il carcere o detenuti fuori dal carcere. Si tratta di un tipico taglio non ragionato. Se ciò dovesse essere confermato, così come pare, migliaia di detenuti in misura alternativa rientreranno in carcere in quanto licenziati dai loro datori di lavoro andando a peggiorare una situazione di affollamento penitenziario già insopportabile. Non arrivano segnali dal Ministero della giustizia diretti a risolvere il problema. Cooperative sociali, consorzi, associazioni, imprese non sarebbero nelle condizioni di proseguire nei loro lavori. Noi chiediamo al Dap di usare tutti soldi della Cassa delle ammende, compresi i milioni già promessi per progetti non ancora avviati oppure le decine di milioni messe da parte per l'edilizia penitenziaria, allo scopo di dare copertura finanziaria alla legge Smuraglia quanto meno sino alla fine dell'anno. Non fare questo ora sarebbe un errore tragico» -:
se il Governo non intenda assumere iniziative per destinare i fondi della Cassa delle ammende, e/o parte dei soldi accantonati per l'edilizia penitenziaria, al fine di dare copertura finanziaria alla legge n. 193 del 2000 (cosiddetta «Smuraglia»).
(4-12630)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa ANSA del 4 luglio 2011, un agente di polizia penitenziaria, Giuseppe P., 35enne, assistente capo in servizio presso il carcere di Parma, si è tolto la vita dopo aver fatto rientro nel suo paese di origine, in provincia di Crotone;
il segretario generale del Sappe, Donata Capece, ha commentato: «Al di là dei problemi personali del collega, che da poco aveva perso la madre ciò che purtroppo constatiamo per l'ennesima volta è la sottovalutazione dello stress psico-fisico del lavoro quotidiano degli agenti nelle sovraffollate carceri italiane. Controllare 69mila

detenuti è diventato anche pericoloso, visto che ciascun poliziotto penitenziario si trova a dover sorvegliare anche più di cento detenuti per volta. E che dire poi della istituzione del punti di ascolto psicologico che il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria aveva preannunciato nel 2008, quando a capo del Dap c'era Ettore Ferrara, predecessore di Franco Ionta. Non se ne è fatto nulla per mancanza di risorse. I 50 psicologi che hanno vinto il concorso devono infatti essere ancora assunti, ma i tagli previsti dalle ultime manovre non lo consentono. Sollecitiamo l'Amministrazione a destinare al lavoro in carcere educatori e psicologi ora impiegati in altri compiti»;
sempre più spesso ultimamente il mondo carcerario si misura con simili tragici eventi; i fenomeni di suicidio riguardano tanto i detenuti quanto i poliziotti penitenziari ed in entrambi i casi sono statisticamente superiori a quanto avviene fuori dal carcere;
a giudizio della prima firmataria del presente atto, chi quotidianamente lavora all'interno di carceri sovraffollate, invivibili ed ingestibili, dovrebbe essere supportato al meglio nella propria attività, essere messo nelle condizioni di fare fronte al disagio ed allo stress derivanti dai proprio lavoro, evitando che coloro che tutti i giorni sono in prima linea a contatto con i detenuti siano i soli a farsi carico di una situazione sempre più difficile, il che significa organizzare il lavoro degli agenti di polizia penitenziaria in modo da ridurre lo stress, superare la condizione di perenne sotto organico che obbliga questi ultimi a turni massacranti, fornire loro supporti anche di tipo psicologico -:
se siano state avviate eventuali indagini amministrative al fine di verificare le cause che hanno indotto l'assistente capo in servizio presso il carcere di Parma a togliersi la vita;
se le autorità fossero a conoscenza del disagio psicologico dell'agente e se fossero state avviate tutte le procedure di precauzione per prevenire l'atto suicidale;
se nel carcere al quale era assegnato l'uomo sia mai stato istituito un punto di ascolto con la presenza di psicologi;
se non intenda istituire con urgenza un tavolo di confronto sul disagio del personale appartenente alla polizia penitenziaria, così come da tempo richiesto dalle varie organizzazioni sindacali;
cosa intenda fare per aumentare significativamente l'organico degli agenti di polizia penitenziaria.
(4-12631)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato dal quotidiano La Città di Salerno del 4 luglio 2011, Carmine Parmigiano, 32enne, detenuto nel carcere di Rebibbia, sarebbe morto suicida in cella dopo quindici giorni di isolamento, in quanto, secondo una prima ricostruzione, non avrebbe retto al periodo di punizione seguito ad una violenta rissa scoppiata nel cortile della struttura detentiva romana;
la procura ha disposto l'esame autoptico sull'uomo, mentre le prime notizie diffuse nel corso delle ultime ore parlano di uno «strangolamento auto provocato»: il giovane si sarebbe dunque impiccato;
l'ultimo arresto nei confronti del detenuto morto suicida era arrivato nell'agosto 2010, con l'accusa di stupri, pestaggi e sequestri di persona con rapina al danni di prostitute e transessuali, in un giro di spedizioni romane concluse con gli arresti dello stesso Parmigiano, di Luigi De Prisco, 29 anni, e di una terza persona, il paganese Sabato Savastano, 21enne, già in carcere precedentemente alla misura -:
se intenda avviare una indagine amministrativa interna al fine di appurare se nei confronti del detenuto morto suicida nel carcere di Rebibbia siano state messe in atto tutte le misure di sorveglianza previste e necessarie e quindi se non vi

siano state responsabilità di omessa vigilanza e cura da parte dell'amministrazione dell'istituto;
se non si intendano adottare o implementare, per quanto di competenza, le opportune misure di supporto psicologico ai detenuti al fine di ridurre sensibilmente gli episodi di suicidio che ogni anno si registrano all'interno delle strutture penitenziarie;
se non ritenga che l'alto tasso di suicidi in carcere dipenda dalle condizioni di sovraffollamento degli istituti di pena e dalle aspettative frustrate di migliori condizioni di vita al loro interno;
quali iniziative, più in generale, il Governo intenda assumere per contenere e ridurre l'alto tasso dei decessi per suicidio in carcere.
(4-12632)

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
numerose Procure della Repubblica hanno accertato che il fenomeno dell'utilizzo di calcestruzzo depotenziato e di altri materiali di qualità scadente e non conformi ai capitolati di appalto è diffuso sull'intero territorio nazionale e che pertanto molte opere infrastrutturali ed edifici pubblici, presentano un grave rischio per la sicurezza di chi li utilizza;
ad ogni evento naturale, di modesta intensità (sisma o avversità atmosferiche) conseguono crolli con ingenti danni materiali e umani che vedono coinvolti anche fabbricati di recente costruzione o ristrutturati con «adeguamento alle norme tecniche in vigore»;
vi sono casi di edifici crollati (vds. Foggia, Roma, altri) anche senza le sollecitazioni di cui sopra o demoliti a seguito di indagini strutturali (5 palazzine a Molfetta, Trani, eccetera) inclusi i casi di edifici di scuole pubbliche;
le norme tecniche per le costruzioni (da ultimo il decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 14 gennaio 2008) prescrivono, da sempre, un numero minimo di cogenti e puntuali controlli con precisi adempimenti da parte dei direttori dei lavori e dei collaudatori per la verifica, in cantiere, delle forniture dei materiali con funzione strutturale mediante prelievi di campioni ed invio ai laboratori di cui all'articolo 59 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 «testo unico dell'edilizia»;
la quasi totalità dei certificati rilasciati dai laboratori ufficiali forniscono valori di resistenza compatibili con i valori progettuali poiché, spesso, i campioni inviati ai laboratori, non sono fedelmente rappresentativi dei materiali in opera;
gran parte delle pratiche di collaudo depositate presso le sedi del genio civile o degli altri uffici preposti non sono conformi a quanto richiesto dalle norme tecniche;
dal 2005 (decreto ministeriale infrastrutture 14 settembre 2005 Norme tecniche per le costruzioni) gli impianti di calcestruzzo debbono essere dotati un sistema di produzione certificato (FPC) da appositi organismi di certificazione abilitati dal Ministero dell'infrastrutture e dei trasporti. Al fine di «assicurare che il prodotto abbia i requisiti previsti dalle norme tecniche per le costruzioni»;
le norme tecniche per le costruzioni, ai fini della sicurezza, da sempre prescrivono che i materiali utilizzati (ed in particolare il calcestruzzo) siano obbligatoriamente

soggetti ai controlli di accettazione da parte del direttore dei lavori e che tale attività sia successivamente verificata dal collaudatore;
il decreto ministeriale 14 gennaio 2008 prescrive al cap. 11 che «i materiali e prodotti per uso strutturale devono essere: accettati dal direttore dei lavori mediante acquisizione e verifica della documentazione di qualificazione», nonché mediante prove sperimentali di accettazione ben specificate nel numero minimo dallo stesso decreto ministeriale;
le norme recitano altresì: «il direttore dei lavori, che è tenuto a verificare quanto sopra indicato ed a rifiutare le eventuali forniture provenienti da impianti non conformi; dovrà comunque effettuare le prove di accettazione previste al § 11.2.5 e ricevere, prima dell'inizio della fornitura, copia della certificazione del controllo di processo produttivo»;
ed inoltre: i «controlli di accettazione» sono obbligatori ed il collaudatore è tenuto a controllarne la validità, qualitativa e quantitativa; ove ciò non fosse, il collaudatore è tenuto a far eseguire delle prove che attestino le caratteristiche del calcestruzzo, seguendo la medesima procedura che si applica quando non risultino rispettati i limiti fissati dai «controlli di accettazione»;
il collaudatore è tenuto a verificare la conformità dei controlli effettuati dal direttore dei lavori a quanto prescritto dalle norme e ad effettuare tutti gli «gli accertamenti, studi, indagini, sperimentazioni e ricerche utili per formarsi il convincimento della sicurezza, della durabilità e della collaudabilità dell'opera» anche sui materiali già in opera;
le leggi istitutive ed i relativi regolamenti degli ordini professionali di ingegnere, architetto e geometra prevedono che l'ordine vigili sulle attività dei propri iscritti «reprimendo d'ufficio gli abusi e le mancanze dei propri iscritti nell'esercizio della professione»;
gli ordini professionali succitati sono posti sotto l'alta vigilanza da parte del Ministero della giustizia, per effetto delle stesse leggi e regolamenti istitutivi;
con riferimento a queste problematiche in data 9 ottobre 2009 è stato presentato al Senato della Repubblica il disegno di legge no 1817, «Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sull'utilizzo di calcestruzzo depotenziato e di altri materiali di qualità non conformi ai capitolati d'appalto nella realizzazione di opere infrastrutturali e di edifici pubblici» assegnato alla Commissione lavori pubblici il 2 dicembre 2009 e della quale non è stato iniziato l'esame -:
in che modo il Ministero della giustizia eserciti le funzioni di vigilanza e controllo affinché gli ordini professionali degli Ingegneri, Architetti e Geometri adempiano ai loro compiti istituzionali;
quali siano i controlli e le procedure attivate dagli ordini professionali suddetti per vigilare e reprimere d'ufficio le mancanze e le omissioni dei propri iscritti;
quale sia il numero, le modalità e l'oggetto dei controlli annuali, attivati dal Ministero nella giurisdizione territoriale relativa a ciascun ordine provinciale;
quale sia il numero annuale e l'entità dei provvedimenti disciplinari disposti da ognuno degli ordini professionali provinciali negli ultimi dieci anni, in ottemperanza a quanto le leggi e regolamenti prescrivono;
se gli impianti di produzione del calcestruzzo oggetto di inchiesta a causa del «calcestruzzo depotenziato» fossero provvisti del sistema di produzione certificato (FPC) da uno degli organismi autorizzati dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e, in caso positivo quali rilievi abbia elevato al produttore l'organismo autorizzato, quali provvedimenti abbia adottato in conformità al suo mandato e se vi siano state sospensioni e/o revoche della certificazione;

se dal 2005 vi siano stati casi di revoca del certificato da parte degli organismi autorizzati, quanti siano stati e quali provvedimenti siano stati presi per impedire a tali impianti la prosecuzione dell'attività;
se sia data adeguata pubblicità alle revoche delle certificazioni;
quanti siano attualmente gli impianti certificati e quanti operino senza certificato;
se il ripetuto verificarsi di forniture di calcestruzzo scadente sia dovuto a lacune legislative o all'inadeguatezza del sistema di certificazione o all'attività da parte di alcuni organismi abilitati al controllo dei produttori o al mancato controllo da parte degli ordini professionali sull'attività dei propri iscritti o da un inadeguato sistema di vigilanza da parte degli organi ministeriali sull'attività degli ordini e degli organismi abilitati al controllo dei produttori di materiali per le costruzioni e di calcestruzzo in particolare;
quali iniziative e provvedimenti si intendano assumere per assicurarsi che gli eventi citati non si ripetano e per garantire la sicurezza delle costruzioni ed infrastrutture ed evitare in futuro i disastri degli ultimi decenni.
(4-12646)

BORGHESI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
rispondendo all'atto di sindacato ispettivo n. 4-00100, riguardante anomali comportamenti della procura e del tribunale di Bassano del Grappa, il Ministro rilevava come si fosse appena conclusa un'ispezione ministeriale, i cui risultati erano al vaglio degli uffici;
recentemente il tribunale di Bassano ha emesso una sentenza in una delle vicende citate in quell'atto di sindacato ispettivo, e cioè la questione della società Tricom P.M. Galvanica. Tale sentenza ha mandato assolti gli imputati accusati della responsabilità della morte di 15 operai della citata fabbrica, a causa della presenza di massicce quantità di cromo esavalente;
la sentenza pronunciata dal Gup Deborah De Stefano, che sembra scaricare la colpa sul fumo di sigaretta, ha ribaltato il giudizio sulla motivazioni di morte dell'operaio Domenico Bonan espresse nella sentenza di due anni fa, emessa sempre dallo stesso tribunale di Bassano presso il giudice del lavoro Monica Attanasio, che parlava invece di nesso causale tra il lavoro svolto e l'insorgenza della malattia che portò al decesso;
nel 2006 il tribunale di Padova sezione distaccata di Cittadella (quindi al di fuori della competenza del tribunale di Bassano) si pronunciò con una condanna per il proprietario a 2 anni e 6 mesi di reclusione e 2 milioni 250 mila euro per il delitto di avvelenamento colposo plurimo. Più di trent'anni per acclarare che il danno ambientale era stato provocato dalla Tricom - P.M. Galvanica;
ma il 24 dicembre 2003, dopo una serie di modifiche di denominazioni sociali, scorpori, trasferimenti di quote e cessioni e dopo delibere di anticipato scioglimento e messa in liquidazione, la ditta decretava il proprio fallimento, accettato il giorno stesso (la vigilia di Natale) dal Tribunale di Bassano e depositato tre giorni dopo, nonostante il procedimento penale in corso;
motivo per il quale, oltre a non pagare i 2 milioni 250 mila euro per avvelenamento colposo, a stima del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sono stati calcolati costi per 160 milioni di euro necessari per le operazioni di bonifica del territorio che non ricadono su chi ha commesso il reato, ma sulla collettività. Un'umiliazione per un comprensorio dalla falda avvelenata e ulteriore danno a una collettività che già ripetutamente è dovuta ricorrere alle autobotti per l'acqua;
ma la storia di questa azienda è emblematica di significativi atteggiamenti di acquiescenza tanto del potere politico quanto di quello giudiziario;

già nel 1971 una ditta, allora denominata Junior Costruzioni Meccaniche, con sede nel comune di Tezze sul Brenta in provincia di Vicenza, fece richiesta per costruire un edificio ad uso industriale in un'area sino ad allora usata prevalentemente in agricoltura;
il comune (delibera del 22 giugno 1971) acconsentì a tale richiesta;
successivamente venne concessa l'autorizzazione (previa domanda della ditta Junior) ad un ampliamento con la seguente clausola «Il terreno ceduto deve essere destinato alla costruzione di capannoni industriali, in caso di mancato adempimento di tale obbligazione o di cambiamento di destinazione dell'area o di parte di essa, la vendita dovrà intendersi risolta senza bisogno di formalità alcuna». Il consenso venne espresso dai consiglieri, purché non venisse installato un impianto galvanico e venissero rigorosamente rispettate le destinazioni del nuovo complesso;
con una lettera del 25 giugno 1973 la ditta «Junior» chiese di eseguire la costruzione di un impianto galvanico in netta opposizione alle condizioni poste dal comune l'anno precedente. Alla ditta viene concessa la costruzione dell'impianto a patto che vengano rispettate e siano presenti tutte le norme sulla sicurezza ambientale e che su eventuali scarichi di liquido non vi siano più di 50 mcg/l di cromo esavalente;
nel 1974 inizia l'attività della ditta di cromatura. Successivamente la società assume denominazione di «Tricom SPA». A febbraio dello stesso anno vengono rilevati 7200 mcg/l di cromo totale e 3700 mcg/l di nickel, valori altamente fuori dai valori massimi consentiti per legge (valori rilevati dalla perizia 5 giugno 2006 del dottor Morando Soffritti);
nel 1979 l'amministrazione provinciale revoca alla ditta l'autorizzazione allo scarico di liquami industriali (19 settembre 1979), ma la Tricom, grazie a 2 proroghe (dell'allora sindaco Rocco Battistella, dipendente Tricom) di tre mesi ciascuna, continua gli sversamenti in deroga alla revoca provinciale;
dal 1980 sino al 1982 vengono rilevati pozzi d'acqua inquinati da cromo esavalente in località Tombolo (località a Sud di Tezze sul Brenta) della vicina provincia di Padova. Vengono emessi provvedimenti dai NAS a carico della Tricom per varie omissioni:
a) non aver indicato il luogo di destinazione dei fanghi scaturiti dalla depurazione dei reflui industriali;
b) aver continuato a scaricare i fanghi nonostante la revoca della provincia, anche dopo la scadenza delle proroghe temporanee emesse dal sindaco di Tezze sul Brenta;
c) aver continuato ad aumentare l'inquinamento a seguito del continuo peggioramento qualitativo dei reflui industriali senza adottare tutte le misure necessarie ad evitare tali inconvenienti;
d) aver omesso di far sottoporre i propri dipendenti alle visite mediche trimestrali contro i rischi di malattie professionali;
nel 1982 alla pretura di Bassano del Grappa perviene la richiesta di rinvio a giudizio per: Forlin Pietro, Scalco Giovanni, Scalco Roberto, Sgarbossa Adriano, Bonifaci Pietro, Battistella Rocco e Brogli Adelchi; (procura della Repubblica 28/82 R.Gen. del 16 febbraio 1982);
nel 2002 vengono effettuate delle indagini approfondite della polizia giudiziaria di Cittadella (anche questo paese vicino a Tezze sul Brenta ma in provincia di Padova) e viene identificata come fonte inquinante la società Galvanica PM (nuova denominazione assunta dalla «Tricom spa») di Tezze sul Brenta;
a seguito delle indagini nel 2003 viene avviato un processo che si concluderà nel 2006 con la dichiarazione di colpevolezza e condanna in via definitiva di Paolo Zampierin, proprietario della Ex Galvanica PM (il 23 dicembre 2003 la Galvanica PM

dichiara fallimento) in quanto colpevole del delitto di avvelenamento colposo. La pena è di 2 anni e 6 mesi di reclusione (abbonati grazie all'indulto) e al pagamento di tutti i danni cagionati, per un totale di 2 milioni 250 mila euro;
all'interno della ditta Galvanica lavorarono molti operai: tra di essi si registrarono un numero considerevole di decessi per tumore (21 registrati sino al 1994). Molti esperti di medicina del lavoro hanno più volte dichiarato che le cause di tali morti potrebbero essere associate al tipo di lavoro a cui gli operai erano sottoposti;
nel 2006 la procura di Bassano del Grappa apre un fascicolo sulle morti sospette (ne furono accertate 14) tra gli operai della Galvanica PM. Le ipotesi di reato sono: omicidio colposo plurimo, lesioni colpose gravi e omissioni di difese e cautele contro disastri e infortuni sul lavoro e violazione sulle norme di sicurezza ed igiene negli ambienti di lavoro mentre gli indagati sono Sgarbossa Adriano (legale rappresentate della società Tricom); Zampierin Paolo (legale rappresentante della società Galvanica PM); Zampierin Adriano (responsabile del reparto cromatura); Battistella Rocco (impiegato nel reparto cromatura, ex-Sindaco di Tezze e all'epoca assessore provinciale);
nel 2008 viene richiesta per la prima volta l'archiviazione, da parte del pubblico ministero Giovanni Parolin, del fascicolo aperto 2 anni prima per determinare le causa delle morti sospette all'interno della galvanica. L'archiviazione viene chiesta in base al fatto che alcuni degli operai fumavano;
la richiesta di archiviazione viene rigettata in base a nuovi elementi e studi presentati dai legali dei famigliari delle vittime, che dimostrano che la mortalità all'interno della fabbrica era triplicata rispetto alla media nazionale. Attualmente tale mortalità risulta quintuplicata, considerando le morti degli ex-operai che, nel frattempo sono deceduti;
successivamente, il giudice Massimo Morandini (incaricato di analizzare i nuovi elementi e fare le nuove indagini), dopo quattro udienze preliminari per decidere o meno l'archiviazione del fascicolo lascia nuovamente al pubblico ministero Giovanni Parolin la decisione sul procedere o meno alla celebrazione del processo. Quest'ultimo, sempre adducendo alle motivazioni della prima richiesta d'archiviazione ripresenta una seconda richiesta di archiviazione;
all'archiviazione si sono opposti i legali dei famigliari delle vittime e da qui è scaturito il giudizio di assoluzione citato all'inizio -:
se il Ministro è a conoscenza dei fatti;
se dall'ispezione ministeriale citata in premessa siano emerse anomalie qui riportate, e se non ritenga di dover dar luogo ad un supplemento ispettivo al fine di valutare quanto esposto in premessa.
(4-12647)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il 4 luglio 2011 il quotidiano La Gazzetta del Sud, in un articolo firmato da Giuseppe Mercurio, ha riportato la notizia che, per la rilevanza in merito al funzionamento della sanità in carcere, la prima firmataria del presente atto, ritiene di dover riportare integralmente: «In carcere senza farmaci, è grave. Aveva subito il trapianto di un rene e non le è stata somministrata la terapia. Il diritto alla salute e quello alle cure mediche deve essere garantito a tutti, sia alle persone libere sia a quelle detenute. Purtroppo però non sempre è così. Troppi i casi di malasanità nelle carceri italiane con detenuti che hanno rischiato e continuano a rischiare la vita nel migliore dei casi e, quelli più sfortunati, che sono morti. Sarebbe proprio un presunto caso di malasanità quello di cui è rimasta vittima Rosa

Sacco, 29 anni, residente in viale Isonzo, coinvolta nel novembre 2010 nell'operazione Rinascita, effettuata dalla squadra Mobile della Questura catanzarese e che avrebbe, secondo le accuse, sgominato due associazioni a delinquere dedite al traffico e allo spaccio di sostanze stupefacenti, principalmente nella zona sud del capoluogo e, qualche settimana fa, nell'operazione Chiosco, effettuata congiuntamente da Polizia e Carabinieri, che ha portato all'arresto per spaccio di droga di 25 persone, al divieto di domicilio in Calabria per altre 10, con 7 indagati a piede libero e 3 ragazzini arrestati su disposizione del Tribunale dei minori. Rosa Sacco, dopo l'operazione Rinascita, è stata trasferita nel carcere di Potenza in quanto colpita dalla misura della custodia cautelare del carcere. Qui la donna avrebbe comunicato ai sanitari che 11 anni fa le era stato impiantato un rene. Un caso fortunato visto che non è facile trovare un organo compatibile. Per questo motivo il suo legale, l'avvocato Antonio Ludovico, ha presentato istanze di scarcerazione sia al giudice per le indagini preliminari sia al tribunale del Riesame per incompatibilità col regime carcerario. Tutte respinte. La giovane donna, quindi, avrebbe dovuto assumere un farmaco, il "Cellcept", due volte al giorno per impedire da parte del suo organismo il rigetto dell'organo trapiantato. Questa terapia che la donna avrebbe dovuto assumere non le sarebbe stata somministrata dai sanitari della casa circondariale. C'è dell'altro. A seguito delle doglianze di Rosa Sacco, i sanitari si sarebbero limitati a somministrare dei tranquillanti. La donna, col passare del tempo, avrebbe notato che le sue condizioni di salute stavano peggiorando progressivamente sino a quando, poco tempo fa, sarebbe caduta a terra priva di sensi. Immediato il trasporto urgente e il ricovero nell'ospedale di Matera dove si trova tuttora ricoverata in gravi condizioni. Proprio per questo motivo non è stato potuto espletare l'interrogatorio di garanzia davanti al giudice per le indagini preliminari di Potenza, La Rocca, dopo l'emissione dell'ordinanza di custodia cautelare dell'operazione Chiosco, perché, su un certificato medico rilasciato dal primario di nefrologia dell'ospedale di Matera, Rosa Sacco non è in grado di sostenere l'interrogatorio. La donna avrebbe voluto parlare, spiegare la sua posizione ma non è nelle condizioni di farlo. Proprio nei giorni scorsi l'avvocato Antonio Ludovico si è recato nell'ospedale di Matera per verificare di persona le condizioni di salute della sua cliente. "Sono rimasto mortificato e avvilito - ha detto - nel vedere una persona che è quasi un cadavere, riversa in un letto, piena di cerotti nella zona dell'esofago e della gola, e che a stento poteva parlare. La cosa ancora più grave è che la signora Sacco è tornata in dialisi. Ciò significa che la donna rischia di perdere il rene che le era stato impiantato undici anni fa. Questa situazione modificherà irreversibilmente lo stato di vita della signora Sacco e, per questo motivo, presenteremo alla Procura della Repubblica di Potenza un esposto dettagliato, denunciando i sanitari della casa circondariale di Potenza che non avrebbero permesso le cure mediche del caso e di tutti i sanitari che hanno avuto in cura la donna in questi mesi, che sono stati sordi a tutti gli appelli che ha fatto la mia assistita che, sistematicamente, tutti i giorni denunciava il fatto che stava malissimo e che non doveva interrompere la terapia. Ora, sul suo comodino all'ospedale di Matera c'è proprio una confezione di 'Cellcept', il farmaco che le sarebbe stato negato. Ovviamente, nomineremo un consulente, chiederemo una perizia al giudice e non arretreremo davanti a nulla. Anche perché non è possibile, dopo la fatica fatta per trovare in passato un rene compatibile, che tutto questo lavoro per far stare bene una persona sia stato vanificato, secondo noi, da una mancata somministrazione dei farmaci adatti. Per non parlare del dolore dei familiari che si sono trovati la Sacco in dialisi. Sarà innocente o colpevole ma ciò non autorizza nessuno a negare le cure mediche del caso. Non è assolutamente accettabile"»;
inoltre, sempre per rimanere nel tema della sanità nelle carceri lucane, la

prima firmataria del presente atto, è venuta a conoscenza di un altro episodio riguardante, questa volta, il carcere di Matera, vicenda che ha avuto per protagonista il detenuto extracomunitario, Camara Naw;
il 27 giugno 2011, Camara Naw che, particolare non irrilevante, tra pochissimi giorni avrà concluso il suo fine pena, si ustiona gravemente nel carcere di Matera. Dopo il ricovero in ospedale, il detenuto viene nuovamente tradotto in carcere il 2 luglio. Le prescrizioni dei sanitari ospedalieri prevedono una medicazione da farsi in carcere il 4 luglio e una seconda medicazione da effettuarsi in ospedale il 6 luglio;
in base a quanto appreso dall'interrogante, sembrerebbe che in un primo momento i sanitari del carcere di Matera abbiano disposto che il detenuto venisse medicato direttamente nella cella, in un ambiente tutt'altro che sterile e che solo a seguito del rifiuto opposto dall'infermiere incaricato, Camara Naw sia stato medicato nell'infermeria del carcere, ambiente anche questo tutt'altro che idoneo in caso di ustioni così gravi -:
se quanto descritto in premessa corrisponda al vero;
se risultino i motivi per i quali alla signora Rosa Sacco siano stati negati i farmaci antirigetto;
se si intenda svolgere un'indagine amministrativa interna per chiarire come si siano svolti i fatti che hanno portato la signora Rosa Sacco a mettere così seriamente in pericolo la sua salute e la vita stessa;
quanto alla vicenda di Camara Naw, se siano note le ragioni per le quali è stata disposta la medicazione in luoghi non sterili del carcere;
quale sia lo stato di salute attuale del detenuto e se sia stata effettuata la medicazione in ospedale prevista per il 16 luglio;
quale sia lo stato della sanità nelle due carceri lucane, se siano forniti ai detenuti malati i farmaci necessari e praticate le cure di cui hanno bisogno nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza.
(4-12648)

...

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:

ZAZZERA. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
la notte del 30 giugno 2011 a Milano, Michele Ferrulli, 51 enne originario di Acquaviva delle Fonti (Bari) è morto in circostanze ancora da chiarire;
l'uomo si trovava in via Varsavia in compagnia di due rumeni, accanto alla vettura con la musica ad alto volume;
infastidito dagli schiamazzi notturni, l'inquilino di un palazzo limitrofo ha chiesto l'intervento della polizia. I quattro agenti giunti sul posto hanno fermato il signor Ferrulli per i dovuti controlli, ma dopo una colluttazione lo avrebbero preso ripetutamente «a manganellate» (dichiarazione del cognato di Ferrulli riportata su La Gazzetta del Mezzogiorno del 3 luglio 2011);
secondo i parenti del signor Ferrulli, l'uomo sarebbe stato «pestato» e «colpito alla testa» dai quattro poliziotti, e la moglie denuncia che al suo arrivo in strada, quando ancora l'ambulanza doveva arrivare, suo marito era già morto, aveva il viso «tutto nero», le mani viola ed era freddo al tatto (La Repubblica del 3 luglio 2011);
accanto al cadavere dell'uomo è stata ritrovata una confezione di un medicinale per aritmie cardiache, ma come confermato dal medico, il signor Ferrulli non soffriva di cuore. Anche la moglie ha dichiarato che quel farmaco non apparteneva al marito, che soffriva soltanto di una lieve ipertensione. La donna sostiene che siano stati i poliziotti a mettere quelle compresse accanto al corpo del marito (La Repubblica del 3 luglio 2011);

La Repubblica ha pubblicato un video che riporta la dinamica del tragico episodio, già acquisito dalla procura di Milano che ha iscritto nel registro degli indagati i quattro poliziotti con l'accusa di omicidio preterintenzionale;
gli agenti si sono rivolti ad un avvocato, il quale ha affermato che «dalla documentazione disponibile, il video e il referto medico, appare evidente la estraneità dei quattro da qualsiasi ipotesi di reato»;
dai primi risultati dell'autopsia del cadavere sono emersi traumi cranici e fratture alle costole, ma gli esami non hanno rilevato segni di lesioni gravi agli organi interni;
in particolare, il signor Ferulli sarebbe morto «per quella che i medici chiamano un'insufficienza acuta di circolo» (La Repubblica.it del 5 luglio 2011) -:
di quali elementi disponga il Ministro sulla dinamica del tragico evento descritto in premessa.
(5-05079)

ZAZZERA e FAVIA. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
su un articolo pubblicato l'11 maggio 2011 su www.turiweb.it, il portale di informazione del Comune di Turi (BARI), il Maresciallo Lozito denuncia lo stato di totale abbandono in cui da anni versa la Stazione dei Carabinieri di Turi;
i locali della caserma sono insalubri e inagibili, e l'umidità è talmente alta da costringere gli agenti a lavorare in archivio o dentro lo sgabuzzino;
della ristrutturazione della caserma di Turi se ne parla dal 1999, ma ad oggi, dopo vari tentativi, non è stato adottato alcun provvedimento;
il progetto che era stato avviato per ripristinare la struttura si è bloccato a causa della strada costruita dall'amministrazione comunale alle spalle della caserma, che ha di fatto sottratto alla stazione dei carabinieri ben 300 metri quadri di spazio;
anche l'iniziativa di affidare ai Carabinieri i locali di San Giovanni non è andata a buon fine, perché l'area, ad avviso della regione Puglia, doveva essere destinata all'edilizia popolare;
la prefettura ha dato parere negativo alla proposta di affitto di uno stabile, suggerita da un architetto, il quale si sarebbe addirittura reso disponibile ad accollarsi tutti i costi di sistemazione;
a quanto risulta, il Ministero dell'interno, già interessato alla questione, avrebbe sospeso ogni iniziativa in attesa delle determinazioni sugli oneri di spesa per l'impianto di videosorveglianza degli spazi messi a disposizione in forma temporanea ai carabinieri;
nell'articolo succitato il maresciallo Lozito dichiara di non poter neppure chiedere l'intervento dell'ASL perché «ci sono locali ai quali possono accedere solo i medici militari»;
le condizioni in cui il personale della caserma di Turi è costretto ad operare sono assolutamente inaccettabili ed indecorose per l'arma, e lo stesso maresciallo ha annunciato lo sciopero bianco fino a quando le autorità competenti non risolveranno definitivamente la questione -:
quali iniziative urgenti il Ministro intenda adottare al fine di garantire le condizioni igienico-sanitarie all'interno della stazione dei carabinieri di Turi (Bari).
(5-05080)

Interrogazioni a risposta scritta:

ALLASIA. - Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
stando a quanto riportato da autorevoli testate giornalistiche, il 13 aprile 2011 al chilometro 13,600 della tangenziale Nord, nel tratto torinese diretto verso

Milano ed Aosta, ignoti hanno lanciato dei sassi da un cavalcavia verso la sede stradale, centrando con una pietra di dieci centimetri di diametro il parabrezza di un camion ed obbligando il suo autista ad una difficile manovra per arrestare il mezzo;
secondo il personale della pattuglia della polizia stradale di corso Giambone a Torino, intervenuta sul posto, del fatto sarebbero responsabili alcuni giovani rom residenti nel campo di strada Aeroporto;
l'episodio non sarebbe un fatto isolato, ripetendosi in media tre-quattro volte all'anno, verosimilmente perché i giovani rom considerano quest'azione pericolosa e riprovevole alla stregua di una prova di coraggio;
il fenomeno parrebbe intensificarsi nei mesi più caldi dell'anno -:
quali misure il Governo ritenga opportuno assumere per arginare il fenomeno prima che sfoci in gravi incidenti e nella morte di qualche automobilista.
(4-12625)

FUCCI. - Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
da molto tempo, nella città di Andria, il più popoloso dei tre capoluoghi della provincia di Barletta-Andria-Trani, è in atto un intenso dibattito sul tema della sicurezza rispetto alla presenza della criminalità, che pare essere sempre più aggressiva nei confronti delle istituzioni (si vedano gli atti intimidatori verso l'amministrazione comunale di fine marzo 2011) e del mondo economico (sono ancora recenti i tentativi di intimidazione verso alcuni imprenditori locali);
come già denunciato dall'interrogante in due riprese, prima con l'interrogazione 5-00336 e poi con l'interrogazione 4-11539, che raccoglievano le istanze provenienti dall'opinione pubblica cittadina e dalla stessa amministrazione locale, sembra necessario rafforzare gli organici di polizia e carabinieri presenti in città;
vi è inoltre il tema, assolutamente centrale, relativo alla effettiva istituzione della questura della sesta provincia pugliese, ad oggi prevista entro i prossimi due anni proprio nella città di Andria, ma che in realtà sarebbe urgente e indifferibile istituire subito, in quanto si tratterebbe di un importante presidio per la sicurezza sia a livello simbolico che, soprattutto, a livello concreto, perché significherebbe avere sul territorio le strutture decisionali e mettere a disposizione della sicurezza organici delle forze dell'ordine più adeguati -:
quali iniziative di competenza - che paiono improcrastinabili anche alla luce della complessità sociale, della popolosità e della vivacità economico-imprenditoriale di Andria - intenda assumere il Governo in merito a quanto esposto in premessa, con particolare riferimento agli effettivi tempi di istituzione della questura.
(4-12637)

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ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:

LORENZIN. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
è stata prospettata - per vie brevi ed informali - l'ipotesi del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca di procedere alla soppressione del settore scientifico disciplinare di diritto dell'economia (IUS 05), facendo defluire i professori universitari che ne fanno parte o nel settore scientifico disciplinare di diritto pubblico (IUS 10) o in quello diritto commerciale (IUS 04);
tale ipotesi deve ritenersi contraria ai contenuti degli insegnamenti oggi identificati nel suddetto settore scientifico disciplinare:

diritto bancario, diritto delle assicurazioni, diritto dei mercati finanziari e diritto dell'economia;
infatti, come è dato evincere dalla stessa normativa ministeriale, tale settore «comprende gli studi relativi alla regolamentazione delle attività economiche, volti ad approfondirne i profili pubblicistici e privatistici secondo un metodo interdisciplinare. Gli studi attengono, in particolare, agli ordinamenti settoriali dell'attività bancaria, finanziaria ed assicurativa» (allegato B al decreto ministeriale 4 ottobre 2000, recante «Declaratorie descrizione dei contenuti scientifico-disciplinari dei settori di cui all'articolo 1 del decreto ministeriale 23 dicembre 1999»);
inoltre, la prospettiva di una soppressione del settore scientifico disciplinare in questione non tiene conto della specificità assunta in epoca recente dalla regolazione dei mercati finanziari, oggetto di studio e di insegnamento da parte dei professori di diritto dell'economia. Per vero, la stabilità dell'euro-sistema (BCE e banche centrali nazionali) e dell'ordinamento finanziario europeo (quale risulta a seguito della ridefinizione delle sue autorità di vertice, come prevista dal Rapporto De La Rosiere e dalla direttiva 2010/78/CE) è oggi al centro di analisi e ricerche che - sia a livello metodologico che contenutistico - fanno capo alle forme tecniche di indagine proprie del diritto dell'economia. Da qui, il rilievo crescente assunto in materia dalla riferibilità all'ordinamento comunitario e, più in generale, a quello globale;
consegue la configurazione di una specificità di studi che, nel postulare l'autonomia del diritto dell'economia, ne sconsiglia ogni riconduzione a materie di insegnamento tradizionali (pubblico o commerciale), che non sono in grado di recepire a pieno il metodo e l'oggetto di indagine del settore, quali si sono determinati negli ultimi decenni a seguito della globalizzazione e della finanziarizzazione dell'economia -:
se si ritenga di conservare il settore scientifico disciplinare di diritto dell'economia (IUS 05), mantenendone l'autonomia e preservando la specificità del relativo oggetto di studio, evitando, quindi, che con la sua scomparsa vadano dispersi i risultati positivi sin qui conseguiti grazie alla peculiarità di un innovativo metodo di analisi.
(5-05083)

Interrogazioni a risposta scritta:

BARANI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per le politiche europee. - Per sapere - premesso che:
da notizie di stampa, tra cui il quotidiano la Repubblica del 23 novembre 2010, si apprende di otto arresti, trenta indagati e beni sequestrati per un valore complessivo di trecento milioni di euro, a fronte dell'accertata frode allo Stato e all'Unione europea di agevolazioni e finanziamenti, per progetti di ricerca mai svolti dai beneficiari;
come dimostra l'indagine svolta dalla procura della Repubblica di Cosenza e dalla Guardia di finanza di Catanzaro la malversazione del denaro pubblico è stata resa possibile anche grazie al coinvolgimento dei valutatori nominati dal Ministero dell'istruzione, università e ricerca e dal Ministero dello sviluppo economico;
da un tale quadro fattuale, emerge un sistema basato su connivenze, omissioni e inquietanti complicità;
la ricerca e l'innovazione, non soltanto rappresentano un'istanza prioritaria del Paese, ma anche un valore da preservare e proteggere da truffe, sperperi e abusi -:
se siano state disposte indagini amministrative interne al fine di verificare eventuali responsabilità e connivenze di funzionari o dirigenti e quali siano stati gli esiti;
se, alla luce della gravità delle notizie e dei reati contestati siano stati disposte

più generali verifiche e attività di indagine interne al fine di verificare la legittimità dei comportamenti e delle procedure di selezione, valutazione e gestione dei fondi pubblici per la ricerca nell'ambito dei suddetti Ministeri;
se, stante il groviglio di connivenze e l'abnormità dei fatti per cui la magistratura sta procedendo, non si ritenga strettamente necessario di verificare se, quante e quali altre irregolarità possano essersi consumate nel medesimo ambito amministrativo;
se siano state frattanto comunque informate le autorità preposte al controllo e alla tutela dei fondi comunitari (Ministero dell'economia e delle finanze, OLAF e procura europea);
se e quali funzioni svolgano oggi le persone già incaricate della gestione dei progetti di ricerca oggetto dell'indagine;
se dirigenti o funzionari del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, competenti per la gestione dei finanziamenti risultino a qualsiasi titolo coinvolti nella vicenda;
quali iniziative i Ministri interrogati, per quanto di rispettiva competenza, intendano adottare al fine di disporre approfondite indaginiinterne e verificare in concreto eventuali responsabilità sul piano amministrativo e disciplinare.
(4-12633)

DI PIETRO e MURA. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
la durata dell'incarico del direttore dell'Accademia di belle arti è regolata dal decreto del Presidente della Repubblica 28 febbraio 2003, n. 132, articolo 4, comma 2, «Regolamento recante criteri per l'autonomia statutaria, regolamentare e organizzativa delle istituzioni artistiche e musicali, a norma della legge 21 dicembre 1999, n. 508», che prevede che l'incarico di direttore ha durata triennale e può essere rinnovato consecutivamente una sola volta;
la citata previsione normativa è ripresa integralmente dallo statuto dell'Accademia di belle arti di Bologna nel Capo III - Direttore, articolo 24, secondo comma;
sulla base delle disposizioni riportate, il TAR dell'Emilia Romagna-Bologna, con sentenza resa in forma semplificata, n. 03188/2009 REG. SENT., al punto 4), su ricorso del professor Pacitti, ha statuito l'ineleggibilità del professor Mazzali (direttore uscente al 31 ottobre 2009) per il terzo triennio (2009-2012) consecutivo;
il Consiglio di Stato, sez. VI, con decisione n. 2235/2010, sul ricorso proposto dal Ministero per la «Riforma della sentenza breve del T.A.R, Sez. I n. 03188/2009, resa tra le parti, concernente elezione del direttore dell'Accademia di belle arti per il triennio 2009/2013» ha ritenuto il ricorso manifestamente infondato e lo ha respinto;
intanto il Ministero ha nominato un commissario rimasto in carica fino al 31 ottobre 2010;
dal 21 aprile 2010, data della decisione del Consiglio di Stato, il presidente dell'Accademia, con decreto n. 5854 del 9 luglio 2010, ha convocato l'adunanza del collegio dei docenti per venerdì 30 luglio 2010, ammettendo i candidati Professor Adriano Baccilieri - originariamente escluso dalla competizione elettorale, poi riammesso per decisione del T.A.R. di Bologna - e professor Cesare Pacitti;
le elezioni si riferivano alla carica di direttore per il triennio 2010/2013 e nella prima tornata elettorale su 71 votanti Pacitti riportava 32 voti contro i 31 di Baccilieri, 3 schede nulle e 5 schede bianche;
la commissione elettorale ha ritenuto non raggiunto il quorum del 50+1, in quanto ha considerato come voti validamente espressi le cinque schede bianche che se escluse dal calcolo avrebbero

determinato l'elezione del Pacitti, infatti: 71-8 = 63/2=31,5+1=32,5 che arrotondato per difetto è uguale a 32 (voti ottenuti da Pacitti);
le elezioni al ballottaggio si sono risolte a favore del Baccilieri con voti 34 e 33 per Pacitti, due schede bianche e due schede nulle; risultava pertanto eletto alla carica di direttore per il triennio 2010-2013 il professor Baccilieri;
il 20 aprile 2011, il decreto, prot. n. 3945 dell'Accademia, disponeva il collocamento a riposo del direttore professor Baccilieri con decorrenza 1o novembre 2011, in quanto non poteva ulteriormente essere trattenuto in servizio;
dagli atti emerge che il Ministero con lettera prot. n. 6544, riferita alle elezioni del direttore per il triennio 2010-2013, nonché con il decreto a firma del Ministro interrogato, del 21 settembre 2010, ha conferito l'incarico di direttore dell'Accademia al professor Baccilieri, con decorrenza 1o novembre 2010 - 31 ottobre 2011, data del collocamento a riposo del docente;
di fatto si è determinato un mandato limitato a un solo anno accademico: quello 2010-2011, e non a uno riferito all'intero mandato triennale 2010-2013, come da previsione del decreto del Presidente della Repubblica n. 132 del 2003 e da quella statutaria dell'istituzione, le cui certe ed ineludibili applicazioni sono state confermate dalle decisioni del TAR e del Consiglio di Stato;
l'elezione per un mandato di un solo anno non è contemplata da nessuna norma positiva di riferimento;
la ineleggibilità sopravvenuta e non sanata del professor Baccilieri - che travolge soltanto la sua posizione e non l'intera procedura che resta salva - a quanto consta agli interroganti avrebbe portato il professor Pacitti a svolgere le proprie rimostranze al Ministero, assumendo di essere stato fortemente danneggiato dalle determinazioni dell'amministrazione, chiedendo di essere individuato quale destinatario del mandato di direzione, anche limitatamente al periodo restante di due anni per poter portare a compimento il triennio (in via transattiva);
intanto il Ministero ha indetto nuove elezioni per il triennio 2011-2014 -:
se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e non ritenga urgente intervenire per fare chiarezza sull'intera vicenda e riconsiderare l'opportunità di nuove elezioni, già previste per il 21 luglio 2011, al fine di non aggravare le procedure già espletate anche in considerazione del costo oneroso delle stesse.
(4-12642)

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LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta scritta:

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
un operaio di nazionalità polacca la mattina del 30 giugno 2011 è deceduto vittima dell'ennesimo incidente sul lavoro, questa volta a Pognano, in provincia di Bergamo;
secondo quanto riferito dall'agenzia Ansa, l'uomo sarebbe stato travolto da una pesante lastra, forse di cemento, mentre lavorava in un'azienda lungo la strada provinciale nella zona industriale del paese;
quale sia stata l'esatta dinamica dell'incidente;
se fossero state rispettate le normative previste sulla sicurezza del lavoro -:
quali iniziative si intendano promuovere, sollecitare, adottare in relazione a vicende come quella sopra segnalata, che per dimensioni - dall'inizio dell'anno risultano essere decedute almeno 270 persone per incidenti sul lavoro; 457.260 sono

stati gli infortuni, 1.080 gli invalidi - assume i connotati di quella che non è esagerato definire una strage.
(4-12624)

CODURELLI, DAMIANO, BELLANOVA e GNECCHI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
il professor Michele Tiraboschi, consulente del Ministro interrogato e direttore del Centro Studi Marco Biagi, presiede anche la commissione di certificazione del medesimo istituto, autorizzata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali per la certificazione sui contratti;
come si legge sul sito del Centro studi internazionali e comparati «Marco Biagi», per quanto riguarda la certificazione dei contratti di lavoro «La certificazione dei contratti di lavoro è una delle più significative novità introdotte dalla Riforma Biagi. Ha l'obiettivo di accrescere le tutele dei lavoratori già in fase di incontro tra domanda e offerta di lavoro, ma anche di ridurre il notevole contenzioso in materia di qualificazione dei contratti. L'Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, per il tramite del Centro studi internazionali e comparati "Marco Biagi", è stata la prima sede universitaria, in Italia, ad essere autorizzata allo svolgimento di tale attività, che dal 22 febbraio 2005 - giorno dell'iscrizione della Commissione di Certificazione nell'apposito Albo istituito presso il Ministero del lavoro e della previdenza sociale - ad oggi si è andata via via incrementando. L'istituto risulta ancora poco conosciuto nonostante le notevoli opportunità di certezza che garantisce ai lavoratori e alle imprese che decidono di ricorrervi. Grazie alla certificazione è infatti possibile rivolgersi ad una sede altamente qualificata per verificare se il contratto presenti i requisiti di forma e contenuto richiesti dalla legge. L'effetto, in sostanza, è quello di diminuire non solo l'eccessivo numero di controversie giudiziali tra lavoratori e datori di lavoro, ma anche quell'abuso dei contratti di lavoro (specie autonomo) che poi danno luogo alla precarizzazione del mercato del lavoro»;
la Isonzo Multiservice, con 417 corrieri, è una cooperativa, che lavora anche in appalto per la DHL nelle regioni del Nord Italia, ed aveva inquadrato da circa 4 anni i lavoratori come «collaboratori a progetto», nonostante, con furgoncini di proprietà della cooperativa, i citati corrieri dovessero portare ad orari precisi i giornali al mattino nelle edicole e tornare a prendere le rese a precisi orari nel pomeriggio. Anche i percorsi erano fissati nelle tabelle fornite dai capi senza alcuna possibilità di decisione autonoma da parte dei lavoratori;
nonostante tali caratteristiche il Centro Studi Marco Biagi, aveva certificato la natura «a progetto» dei suddetti contratti, ma alcuni lavoratori, contestando tale decisione aziendale si sono rivolti al giudice. La magistratura ha riconosciuto la natura dipendente dei rapporti, non solo in primo grado ma anche in appello;
come si legge da un comunicato delle organizzazioni sindacali: «il 23 maggio 2011 è stato siglato l'accordo definitivo fra la Isonzo Multiservices e le organizzazioni sindacali CGIL, CISL e UIL»;
l'accordo, che prevede l'assunzione a tempo indeterminato di 417 lavoratori, è giunto al termine di un lungo percorso di trattative e successiva mobilitazione dei lavoratori, culminate con lo sciopero indetto per il 18 maggio 2011, poi sospeso nel momento in cui l'azienda ha riaperto la trattativa;
alla Isonzo vi era un utilizzo illecito dei contratti a progetto, unitamente a una pratica illegittima di certificazione dei contratti stessi. Grazie alle cause promosse dal sindacato infatti è stata riconosciuta la non veridicità della certificazione e sono stati dichiarati illegittimi i contratti a progetto impropriamente utilizzati per lavoratori che effettuano quotidianamente consegna merci a bordo di mezzi aziendali;

dunque il centro di documentazione, presieduto dal professor Michele Tiraboschi, ha di fatto erroneamente certificato la natura a progetto dei contratti della Isonzo Multiservice, errore poi riconosciuto dalla magistratura e conclusosi con l'assunzione di tutti e 417 lavoratori, al termine di una lunga trattativa sindacale -:
come il Governo possa spiegare la vicenda riportata in premessa;
se non ritenga che, di fronte a tale manifesta erronea certificazione dell'omonima commissione del centro Marco Biagi, non si debba procedere ad attento esame del riconoscimento dal parte del Ministero di tali commissioni anche al fine di non indurre in errore lavoratori e datori di lavoro che, in forma spontanea, vi si rivolgono;
se e come siano previste ispezioni o altre forme di controllo di tali commissioni nei casi in cui queste incorrano in tali macroscopici e manifesti errori di valutazione come quello citato in premessa;
se non ritenga che, alla luce degli accertamenti emersi dalla magistratura anche a fronte dell'erronea valutazione della commissione del Centro Studi Marco Biagi, di riconsiderare il riconoscimento del Ministero al Centro medesimo, in materia di certificazione dei contratti.
(4-12635)

PEDOTO. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
l'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro, organo tecnico scientifico del Servizio sanitario nazionale, dalla sua nascita svolge una fondamentale attività di ricerca, sperimentazione, controllo, consulenza, assistenza, formazione, informazione e documentazione in materia di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali, oltre che numerose altre attività garantite su tutto il territorio nazionale in raccordo anche con le ASL;
il decreto-legge 78 del 2010 convertito dalla legge 122 del 2010 ha disposto la soppressione dell'ISPESL e l'attribuzione delle relative funzioni all'Inail;
il citato decreto-legge 78 del 2010 ha disposto che il trasferimento delle risorse strumentali, umane e finanziarie dell'Ente soppresso doveva essere regolato da appositi decreti di natura non regolamentare del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro della salute;
risulta all'interrogante che alla data odierna non siano ancora stati emanati i decreti non regolamentari di cui all'articolo 7, comma 4, del decreto-legge 78 del 2010 mentre il personale ISPESL continua a svolgere le sue importantissime funzioni di verifica e controllo che la legge prevede -:
se il Governo sia a conoscenza della mancata emanazione dei decreti di cui in premessa, quali siano i motivi di tale ritardo e in quali tempi se ne preveda l'adozione, anche al fine di garantire la piena tutela della salute sui luoghi di lavoro;
nelle more dell'emanazione dei previsti regolamenti, se si intenda procedere alla definizione della pianta organica e alla regolarizzazione del personale precario.
(4-12638)

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POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:

BELLANOVA. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
in questi giorni gli agricoltori del territorio pugliese ed in particolare di alcune zone del Salento stanno dando

luogo a delle manifestazioni per denunciare la grave crisi che sta subendo il settore produttivo delle angurie;
oltre duemila ettari di angurie, infatti, rischiano di marcire nei campi salentini a seguito della mancata richiesta di prodotto da parte del mercato italiano ed europeo. Tutto ciò sta provocando, a quanto denunciato dagli stessi addetti ai lavori, danni per oltre venti milioni di euro nell'immediato e gravissime ripercussioni sul futuro dell'economia agricola pugliese e salentina;
tra le motivazioni ricercate dagli agricoltori ed imputabili a questa débâcle del prodotto vi sarebbe in prima istanza una ripercussione, nel settore ortofrutticolo, a seguito dell'allarme che ha suscitato tra le persone la contaminazione da Escherichia Coli con i numerosi casi registrati Nord Europa e che di fatto ha frenato i consumi. Ma nondimeno, sottolineano gli stessi, a far la propria parte in questa brusca frenata di vendite, anche la stagione climatica particolarmente non favorevole al prodotto che si è registrata nella regione Puglia e nel Salento -:
se il Ministro interrogato, data la situazione determinatasi e le possibili ripercussioni economiche che da essa potrebbero scaturire, non intenda intervenire con urgenza per attivare ogni iniziativa utile volta a scongiurare una ulteriore penalizzazione del comparto agricolo salentino e Pugliese.
(5-05081)

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SALUTE

Interrogazione a risposta scritta:

PEDOTO e GASBARRA. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
si apprende da organi di stampa che presso l'ospedale Sant'Andrea di Roma sono state, sospese moltissime visite oncologiche;
questa situazione sembrerebbe determinata dalla scadenza di molti contratti a termine dei medici oncologi con conseguente rallentamento di tutta l'attività;
nonostante le rassicurazioni da parte dell'amministrazione - che informa anche del ripristino dei contratti scaduti - sono molte le segnalazioni sul blocco delle visite di controllo oncologiche presso il Sant'Andrea;
risulta anche che ai malati oncologici - molti dei quali donne operate di carcinoma mammario - non viene neanche offerta una data alternativa. Conseguentemente molti malati sono stati costretti a rivolgersi ad oncologi privati a pagamento;
le notizie se confermate sono di notevole gravità -:
se il Ministro, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dei disavanzi sanitari della regione, sia informato della situazione determinatasi al Sant'Andrea con particolare riferimento al ripristino delle attività che hanno subito la sospensione di cui in premessa, dato che i ritardi possono incidere gravemente sulla prospettiva di salute e di vita dei pazienti;
quali iniziative si intendano adottare coerentemente agli obiettivi prefissati dal piano sanitario nazionale 2011-2013, in grado di garantire la tutela della salute dei cittadini che si sono rivolti al Sant'Andrea, in quanto struttura di eccellenza della regione Lazio, e nell'immediato di verificare che in un'altra struttura vengano garantite le prestazioni nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza.
(4-12636)

TESTO AGGIORNATO AL 12 LUGLIO 2011

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SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta scritta:

MUNERATO, NEGRO e BITONCI. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
il sequestro della Guardia di finanza di Venezia ha portato al ritiro dal mercato

di oltre seicentomila paia di occhiali da sole con marchio contraffatto «made in China», estremamente dannosi per la sicurezza e la salute dei cittadini;
dalle analisi di laboratorio è infatti emerso che gli occhiali sequestrati erano privi di filtro UVA, distorcevano le immagini e addirittura le montature contenevano tracce di nichel che a contatto con la pelle avrebbero potuto procurare danni molto seri ai consumatori, dalla comparsa di dermatiti allergiche alla perdita della vista;
gli occhiali, che si presentavano con design e colori alla moda, erano esposti nelle vetrine di alcuni negozi del centro storico a prezzi estremamente bassi, questi ultimi giustificati dalla pessima qualità dei componenti utilizzati;
l'operazione ha portato alla denuncia di sette persone per frode in commercio e vendita di prodotti nocivi, mettendo in luce l'esistenza di una vera e propria catena di importazione che, direttamente dalla Repubblica cinese, distribuiva gli occhiali contraffatti in tutta Italia e in Europa;
i dati rilevano come il fenomeno della contraffazione sia in forte aumento nel nostro Paese; l'Italia nel triennio 2006-2008, secondo le ultime stime ufficiali, è stato il terzo Paese europeo per numero di prodotti contraffatti, con oltre 44 mila prodotti sequestrati, pari all'11,5 per cento del totale europeo. Nel 2008, il 54,6 per cento dei prodotti contraffatti è arrivato dalla Cina;
le imprese italiane non sono in grado di sostenere la sleale concorrenza cinese, la quale molto spesso risulta favorita da costi di produzione e di manodopera estremamente bassi, dovuti alle continue violazioni da parte delle imprese cinesi delle leggi sulla tutela del lavoro, della sicurezza dei consumatori e dell'ambiente -:
se il Ministro non ritenga di assumere immediate iniziative, sia a livello nazionale che europeo, volte a contrastare, anche attraverso l'applicazione di più stringenti misure doganali, l'ingresso nei mercati di prodotti contraffatti provenienti dalla Cina.
(4-12634)

DE MICHELI e MIGLIAVACCA. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
la RDB s.p.a. è una società piacentina leader nel settore edilizio e, in particolare, nella progettazione, produzione e installazione di sistemi e strutture prefabbricate e nella produzione di componenti per l'edilizia; costituita nel 1934, la RDB è un'azienda storica che nel corso del tempo, attraverso una serie di acquisizioni, ha assunto dimensioni nazionali e che oggi è configurata come un gruppo societario quotato in borsa con oltre 1200 dipendenti, 18 stabilimenti e 200 punti vendita;
attualmente l'azienda versa in una situazione economico-patrimoniale molto grave, come testimoniato dal confronto tra i dati relativi all'anno 2010 e quelli relativi al primo trimestre del 2011, che riportano un crollo del fatturato del 45 per cento e un sostanziale aumento dell'indebitamento netto;
tale situazione si inserisce in un contesto di generale crisi del settore edilizio in Italia e di specifica difficoltà dell'azienda ad uscire dall'ambito esclusivamente nazionale - nonostante il tentativo di ampliare la quota di mercato attraverso una serie di acquisizioni - ed inserirsi in circuiti produttivi più ampi in grado di incentivarne lo sviluppo e la crescita sia sotto il profilo produttivo che commerciale;
ciononostante, la RDB è un'azienda fortemente capitalizzata e patrimonializzata che continua ad avere un grande potenziale anche in termini di risorse professionali, per non disperdere le quali si rende necessario un intervento di risanamento strutturale, ossia un piano industriale che ridefinisca l'assetto aziendale, il

modello produttivo e la collocazione sul mercato, ma che al contempo tuteli l'occupazione;
l'8 giugno 2011 l'assemblea legislativa della regione Emilia-Romagna ha approvato una risoluzione che impegna la giunta regionale ad attivarsi per conoscere le reali dimensioni della situazione economico-finanziaria della RDB e i contenuti del piano di ristrutturazione, nonché a porre in essere tutte le azioni atte a scongiurare il declassamento dell'azienda;
il 9 giugno 2011 le organizzazioni sindacali hanno proclamato uno sciopero nazionale del gruppo, nonché una serie di manifestazioni davanti ai vari siti produttivi per mantenere alta l'attenzione delle istituzioni locali e nazionali;
nel corso di queste settimane gli approfondimenti sulla situazione della RDB avrebbero portato all'emergere di fatti aziendali ed imprenditoriali non chiarissimi per un'azienda quotata di borsa;
le istituzioni locali, la provincia di Piacenza e i comuni coinvolti hanno ripetutamente convocato le parti per trovare una soluzione sia di prospettiva futura sia relativamente alla necessità di pagare gli stipendi entro il 14 luglio 2011 -:
quali iniziative i Ministri interrogati, messi a conoscenza della grave situazione in cui versa la RDB s.p.a. e convocate le parti per il 12 luglio 2011 presso il Ministero dello sviluppo economico intendano intraprendere al fine di agevolarne la ristrutturazione aziendale e tutelarne l'occupazione e, in particolare, se intendano attivare modalità stabili di concertazione tra le parti interessate per l'eventuale ricorso agli ammortizzatori sociali.
(4-12641)

PORTA, GIANNI FARINA, FEDI, GARAVINI e NARDUCCI. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
nelle scorse settimane Rai Corporation ha deciso di chiudere la storica sede di Montevideo di RAI Internazionale, notificando anche ai circa venti dipendenti il licenziamento definitivo per alcuni dopo diecine d'anni di servizio;
l'apertura della sede di Montevideo, avvenuta nel 1965 ad opera di dirigenti dotati di notevole visione strategica come Granzotto e Delle Fave, era motivata dall'intento di offrire a diecine di milioni di italodiscendenti un'informazione costante e qualificata sul Paese di origine e di realizzare una circolarità di comunicazione tra le nostre comunità presenti nel continente sudamericano;
in particolare, la RAI America Latina realizzava un giornale radio in italiano, spagnolo e portoghese distribuito ad una cinquantina di emittenti radiofoniche, con una copertura giornaliera di circa 30 milioni di ascoltatori nel continente; in Brasile, inoltre, erano trasmessi alcuni minuti di notizie in catene come Bandeirante. Il costo annuale del servizio era pari a 22.000 euro;
l'utenza del servizio fornito da RAI international si è allargata oltre i confini comunitari per la decisione di trasmettere i notiziari, oltre che in italiano, anche in spagnolo e portoghese e per il consolidamento di un sistema di collaborazione tra emittenti che ha prodotto il riversamento di molti programmi in circa 1.000 emittenti radio e 300 canali TV, molti dei quali aventi un ampio bacino d'ascolto;
contestualmente allo sviluppo di questa strategia informativa, si rafforzava la proiezione di alcune imprese italiane nell'ampio mercato sudamericano, come dimostra la vicenda della Pirelli, che raggiungeva quasi la metà del suo fatturato in America Latina, e quella della FIAT;

la sede di Montevideo faceva da supporto tecnico per gli inviati RAI in America Latina, soprattutto per i contatti con i canali TV e radio del continente;
l'attività della sede di Montevideo toccava standard soddisfacenti anche sotto il profilo qualitativo, come testimonia l'attribuzione alla RAI di due premi Martin Fierro della TV continentale;
la decisione di chiusura cade in un trend di notevole crescita del peso specifico dell'America Latina nell'economia mondiale, come dimostrano l'aumento del 5 per cento del prodotto interno lordo a livello continentale e il fatto che il Brasile ha superato i tassi di sviluppo del nostro Paese;
essa, inoltre, è in controtendenza con gli orientamenti della TV Espanola, che ha aumentato del 10 per cento la diffusione della lingua e la distribuzione dei programmi, e di France Press, che ha aperto una sede continentale proprio a Montevideo;
le motivazioni alla base della scelta di chiusura, di natura prevalentemente finanziaria, si scontrano con la realtà di un budget assegnato alla sede di Montevideo di circa 500.000 dollari statunitensi annui, poco più alto dello stipendio di un direttore generale della stessa azienda e inferiore di 4-5 volte al compenso di un conduttore di medio livello;
la chiusura della sede di Montevideo, inoltre, presenta un segno diverso rispetto alla decisione di tenere aperta la sede di New York di Rai corporation - alla quale, sin dai primi anni '90, RAI Para Las Americas era stata data in gestione amministrativa - che ha costi notevolmente più alti di quelli sostenuti in America Latina e si rivolge ad una platea di italo discendenti inferiore -:
come influisca la decisione di chiudere la sede di Montevideo di Rai Corporation sul diritto dei cittadini italiani residenti in America Latina a fruire di un adeguato servizio pubblico radiotelevisivo, anche alla luce degli impegni previsti dal contratto di servizio con riferimento all'offerta per l'estero.
(4-12645)

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Apposizione di firme a mozioni e modifica dell'ordine dei firmatari.

La mozione Nirenstein e altri n. 1-00669, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 giugno 2011, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Vernetti, Gianni, Fiano. Contestualmente, con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme viene così modificato: «Nirenstein, Corsini, Polledri, Adornato, Della Vedova, Gianni, Vernetti, Boniver, Maran, Renato Farina, Lorenzin, D'Antona, Calderisi, Pianetta, Urso, Di Virgilio, Barbieri, Bertolini, Picchi, Cosenza, Fiano».

La mozione Reguzzoni ed altri n. 1-00671, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 30 giugno 2011, deve intendersi sottoscritta anche dagli onorevoli: Baldelli, Mistrello Destro, Galati, Ascierto e Golfo. Contestualmente l'ordine delle firme viene così modificato: «Reguzzoni, Baldelli, Lussana, Montagnoli, Luciano Dussin, Fogliato, Dal Lago, Fava, Maggioni, Alessandri, Allasia, Bitonci, Bonino, Bragantini, Buonanno, Callegari, Caparini, Cavallotto, Chiappori, Comaroli, Consiglio, Crosio, D'Amico, Desiderati, Di Vizia, Dozzo, Guido Dussin, Fedriga, Follegot, Forcolin, Fugatti, Gidoni, Goisis, Grimoldi, Isidori, Lanzarin, Molgora, Laura Molteni, Nicola Molteni, Munerato, Negro, Paolini, Pastore, Pini, Pirovano, Polledri, Rainieri, Rivolta, Rondini, Simonetti, Stefani, Togni, Torazzi, Vanalli, Volpi, Stucchi, Mistrello Destro, Galati, Ascierto, Golfo».

Ritiro di documenti d'indirizzo.

I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
mozione Gnecchi n. 1-00583 del 7 marzo 2011;
mozione Poli n. 1-00674 del 5 luglio 2011;
mozione Cazzola n. 1-00675 del 5 luglio 2011;

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
interrogazione a risposta in Commissione Favia n. 5-04641 del 20 aprile 2011;
interrogazione a risposta in Commissione Arturo Mario Luigi Parisi n. 5-04769 del 18 maggio 2011.